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martedì 22 febbraio 2022

Romani e Germani - I - Dall'antichità al limes degli Agri Decumates nella Germania romanizzata

In rosso il limes fra Rhein (Reno) e Donau (Danubio)
degli Agri Decumates nel 259, che separava l'impero
romano dal resto della Germania, in una mappa
dell'era contemporanea.
"Limes" (al plurale limites) è un termine latino attinto dall'aruspicina, l'arte divinatoria fondata sull'osservazione delle viscere delle vittime, propria degli aruspici fra i Romani. Lo si trova infatti connesso con le pratiche rituali e le operazioni relative alla limitatio del mondo, del cielo, degli organi interni di animali e delle terre. Dal significato originario di "sentiero di confine", nell'età di Augusto il "limes" indicava le strade che si spingevano all'interno di territori di recente conquista o ancora da conquistare, come nel caso del limes germanico augusteo (nell'occupazione romana della Germania con Augusto imperatore), che correva lungo le rive del fiume Lippe, presidiato da numerosi forti ausiliari e fortezze legionarie, nella costituenda provincia romana di Germania. Alla fine del I secolo d.C., (con Frontino e Tacito) il termine "limes" è passato a designare una linea stradale militarizzata, con fortificazioni, lungo la frontiera che segnava il confine dell'Impero romano.

Il fiume Lippe nell'ovale
rosso, immagine presa
da https://www.wiki
wand.com/it/Reno
Il fiume Lippe (Lupia in latino) è un fiume della Germania, dell'omonimo ex stato tedesco, affluente del Reno e della lunghezza di 255 km. La sua sorgente è situata nella foresta di Teutoburgo vicino a Paderborn; nel suo percorso attraverso la regione della Ruhr, costeggia la città di Lippstadt e confluisce nel Reno in prossimità di Wesel. Attualmente, a causa degli scarichi industriali della zona, soffre di un inquinamento molto alto e sono allo studio soluzione per la protezione della fauna e della flora acquatica. Il distretto di Lippe, unendosi con la Vestfalia, ha contribuito con il suo territorio a formare l'attuale Land della Renania Settentrionale-Vestfalia.

Da https://www.wikiwand.com/it/Limes_germanico-retico: Il limes germanico-retico è un insieme di fortificazioni di confine, forti e fortini ausiliari (castella), torri o postazioni di guardia (turres o stationes), mura o palizzate ed un vallo, fatti erigere dagli imperatori romani a protezione dei confini delle province della Germania superiore e della Rezia, che inseriva tra i fiumi Reno e Danubio i territori dei cosiddetti Agri decumates. Il limes germanico-retico si estendeva, fra i fiumi Reno e Danubio, a nord da Rheinbrohl, vicino a Neuwied, congiungendosi a Kelheim dopo ben 548 km di strade affiancate da fortificazioni, torrette di avvistamento, fossati, agger (argini, terrapieni, bastioni, ripari, baluardi, rive, ammassi o accumuli) e palizzate. Lungo il suo percorso, divenuto patrimonio dell'umanità sotto il patrocinio dell'UNESCO, si trovano gli importanti siti archeologici, con i relativi musei, di Aalen, Saalburg e Weißenburg in Bayern, nei quali sono stati fedelmente riprodotti i sistemi di fortificazione costruiti sia dai Romani stessi che da loro truppe ausiliarie, auxilia o "numeri". Il 15 luglio del 2005 il limes germanico-retico è stato incluso dall'UNESCO nella lista dei Patrimoni dell'umanità, unendosi al Vallo di Adriano situato tra Scozia e Inghilterra (iscritto nel 1987). Nel 2008 a questa coppia si è aggiunto il Vallo Antonino, in Scozia.

confini dell'impero romano erano generalmente costituiti da difese naturali, come i mari o barriere paesaggistiche del territorio che dividessero il mondo romano dagli stranieri, come fiumi (Reno, Danubio ed Eufrate), monti (il gruppo del Taunus in Germania, la catena dei Carpazi in Dacia e dell'Atlante in Mauretania) o deserti (come in Egitto, Arabia e Siria). Generalmente comunque, i castra delle legioni, lo zoccolo duro della forza militare romana, erano stabiliti lungo la ripa fluviale o a breve distanza dalla stessa (come in Germania a  Vetera, Bonna, Mogontiacum, Argentoratum - mai spostati in avanti, neppure dopo l'annessione degli Agri Decumates - e, fino all'inizio del II sec., Vindonissa (in CH), lungo il Reno, mentre Castra Regina, Lauriacum, Vindobona, Carnuntum, Brigetio, Aquincum, Singidunum, Viminacium, Ratiaria, Oescus, Novae, Durostorum e Troesmis erano state edificate lungo il Danubio; i castra di Melitene, Samosata e Zeugma erano stati invece allestiti sull'Eufrate

Dove non vi fossero difese naturali, (per esempio Isca Silurum, Deva, Eburacum e Lindum in Britannia; Apulum e Potaissa in Dacia; Nicopolis in Egitto; Lambaesis in Africa, ecc.) i castra erano generalmente edificati nell'interno della provincia, oppure, dove necessitava una sicurezza della frontiera, furono apportate difese artificiali, come valli e fortificazioni di vario tipo; agger di terra, palizzate o muri in pietra (a partire soprattutto dall'imperatore Adriano) con fossati antistanti, come nel caso del vallo di Adriano, di Antonino e del Porolissensis, nella regione nord-occidentale dell'antica provincia della Dacia, oppure fortificazioni varie, come nel limes germanico-retico

Il problema della debolezza del limes retico fra il Rhein/Reno e il Donau/Danubio, dove non sussistevano ostacoli naturali, aveva spinto infatti Claudio, imperatore dal 41 al 54, a dotarlo di truppe stanziate permanentemente in forti e fortezze che ne garantissero il presidio. 

Le varie fasi temporali dell'avanzamento del limes germanico-retico
in territorio tedesco. Immagine https://upload.wikimedia.org/wiki
pedia/commons/0/06/Limes2.png
 modificata, presa da https://
www.wikiwand.com/it/Limes_germanico-retico
.

Ogni frontiera era comunque seguita parallelamente, per tutta la sua estensione, da una strada presidiata ad intervalli regolari, oltre che da fortezze legionarie (castra), anche da forti (castella) e fortini (burgi) ausiliari, oltre a torrette (turris) e stazioni di avvistamento (stationes). Per l'Impero Romano infatti, il limes incarnava il concetto di strada, possibilmente continua, lungo la quale si potessero muovere le truppe destinate alla sorveglianza dello steso e lungo il quale si potessero acquartierate. Si stabiliva quindi uno stretto nesso fra il limes come strada che percorreva la zona di confine e le truppe dislocate lungo questa, e quindi gli accampamenti, i valli, i fossati, i fortilizi, le torri di vigilanza e di osservazione, ecc., tutte opere costruite dalle milizie stesse, generalmente legioni, ma anche ausiliari (alleati locali) scaglionate all'interno della frontiera e pronte a intervenire con celerità nei punti minacciati. E quanto più frequente si manifesterà il pericolo e forte la pressione sui confini, tanto più il limes si svilupperà in profondità, potendosi così rafforzare.

Il più esteso monumento dell'antichità, lungo quasi centomila chilometri, è senza dubbio la rete delle strade  romane, dal Nord Africa all'Inghilterra e dalla Turchia al Portogallo, dove Roma era il punto di partenza verso le più lontane periferie dell'Impero. Plinio il Vecchio scrisse, fra le sue innumerevoli cronache: "I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che furono dai Greci neglette, cioè nell'aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache". 

L'elemento fondamentale della frontiera, era quindi sempre costituito da una strada che generalmente, ma non necessariamente, si snodava nella direzione del confine, con diramazioni verso l'interno, cosicché ad un certo punto, tutta la rete stradale ai confini dell'Impero venne ad essere interessata dal limes. Pertanto si comprende come il continuo sforzo compiuto dagli imperatori nella costruzione di strade e nella loro manutenzione mirasse principalmente ad assolvere necessità di ordine militare. In un più vasto orizzonte si può presumere che l'arteria più breve che collegava i limites della Britannia e del Reno con quelli dell'Oriente, lungo la quale dovevano essere dirottati i grandi spostamenti di truppe dall'uno all'altro scacchiere in previsione di azioni offensive o ai fini di tamponare falle o per altro scopo, non coincidesse ovunque con la strada a ridosso dei confini dell'Impero, bensì con vie più interne, come quella che da Mogontiacum, attraverso gli Agri Decumates, raggiungeva Augusta Vindelicum e di qui Virunum, Poetovio, Sirmium, Singidunum, per proseguire verso Serdica, Philippopolis e Hadrianopolis, arrivando quindi in Asia (la via militaris per eccellenza degli itinerari romani).

Parte dell'impero romano ai tempi dell'imperatore
Adriano (117-138), dove sono segnalate le strade
della via militaris sopra citata. Immagine modificata
di Andrein - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https:/
/commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=
12214143
, da https://upload.wikimedia.org/wiki
pedia/commons/b/bb/Roman_Empire_125.png
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Del limes germanico-renico rimangono tracce e monumenti più o meno appariscenti sul terreno, visibili ad occhio nudo, affiorati dagli scavi, rilevati dall'osservazione aerea e sopravvivenze che trovano la loro espressione sia nei confini di regioni, di diocesi, di comunità e di fondi nell'alto Medioevo, sia nei toponomi antichi e moderni come chester, chastre, châtre, kastro, qasr, kasteel, castle, Kastell, bourg, Burg, burgh, bordj, Turm, wall, Pfahl, sat, valul, ecc. Come documentato dalle parziali raffigurazioni sulle colonne di Traiano e di Marco Aurelio, l'allestimento delle fortificazioni del limes era compito delle truppe (legioni, ali miliarie o quingenarie, coorti peditate ed equitate, miliarie o quingenarie, numeri e vessillazioni), alle quali era inoltre devoluto il compito della difesa e del controllo dei movimenti delle popolazioni translimitanee (condiviso, in determinate circostanze geografiche, dalle flottiglie fluviali e costiere), insieme a quello della manutenzione e del rafforzamento delle strade e degli apprestamenti difensivi. Infatti consuetudine e norme esplicite della disciplina militare romana, sia dell'età  repubblicana che imperiale, imponevano ai soldati la costruzione degli apprestamenti offensivi e difensivi di ogni genere in tempo di guerra e di pace. Essi, inoltre, dovevano provvedere in modo autarchico anche al reperimento, alla preparazione e alla confezione del materiale da costruzione, non soltanto alla sua messa in opera.

La costruzione di una strada da parte dei legionari,
particolare nella colonna di Traiano, Roma,
attribuita a Apollodoro di Damasco. Immagine
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid
=5122366
 da https://it.wikipedia.org/wiki/Strade
_romane#/media/File:067_Conrad_Cichorius,
_Die_Reliefs_der_Traianss%C3%A4ule,
_Tafel_LXVII.jpg

I centri di organizzazione e fortificazione nel presidio del limes potevano essere di vari tipi:

1) castra, accampamenti delle truppe, di forma rettangolare (eccezionalmente trapezoidale), che variavano nelle dimensioni in base all'entità delle truppe che dovevano accogliere e potevano differire nel numero delle torri e delle porte, nella disposizione interna (tranne che nelle vie pretoria e principale oltre all'ubicazione del praetorium, quaestorium e forum), nelle parti annesse e nella struttura edilizia (per esempio, il vallum poteva essere eseguito in terra con rivestimento ligneo, in zolle, in pietra, oppure in pietra con travi di legno). Il vallo (in latino: vallum) era un tipo di costruzione difensiva romana realizzata a protezione degli accampamenti (castra) e dei confini, costituito da due parti, un fossato (fossa) e un terrapieno (agger), su cui erano innalzati una palizzata oppure un bastione in pietra. Castra, castra hiberna o hiberna sono sempre detti i quartieri generali delle legioni così come i campi delle unità ausiliarie (auxilia) e dei numeri. In particolare, i castra delle legioni furono stabiliti lungo la ripa fluviale o a breve distanza dalla stessa (per esempio Vetera, Bonna, Mogontiacum, Argentoratum - questi ultimi mai spostati in avanti, neppure dopo l'annessione degli Agri Decumates - e, fino all'inizio del II sec., Vindonissa (in CH) lungo il Reno mentre Castra Regina, Lauriacum, Vindobona, Carnuntum, Brigetio, Aquincum, Singidunum, Viminacium, Ratiaria, Oescus, Novae, Durostorum e Troesmis lungo il Danubio; Melitene, sull'Eufrate. E' quindi evidente l'importanza dell'ostacolo fluviale come linea di arresto dell'invasore e di copertura ai fini dell'organizzazione di una difesa attiva, mentre quando non esisteva un fiume al quale appoggiarsi (per esempio Isca Silurum, Deva, Eburacum e Lindum in Britannia; Apulum e Potaissa in Dacia; Nicopolis in Egitto; Lambaesis in Africa, ecc.) i castra erano edificati nell'interno della provincia;

2) castellum, come diminutivo di castrum, doveva indicare un piccolo campo, una piazzaforte con presidio di soldati. Tuttavia non è detto che castellum, a preferenza di castrum o castra, dovesse denominare necessariamente il campo di unità ausiliarie o di numeri, in contrapposizione ai campi (castra) delle legioni, sebbene potrebbero deporre in tal senso i toponimi di località antiche e moderne dette castellum e castle, Kastell, Kasteel, dove si sa non essere mai state dislocate che truppe ausiliarie. Nonostante evidenti sinonimie e oscillazioni dei termini con cui gli antichi indicarono certi apprestamenti militari, forse i castella potrebbero essere accostati ai milecastles del muro di Adriano;

3) praesidium designava sia la guarnigione che il quartiere che l'accoglieva, differenziandosi dal burgus e dal froúrion;

4) il centenarium era una fortezza con cortile al centro e caserme lungo i lati, così chiamato con riferimento al lato di 100 piedi, oppure come rapporto con gli effettivi della guarnigione o con il titolo centenarius del comandante (corrispondente alla dekanía, agli ordini di un decanus);

5) il burgus era un edificio di modeste proporzioni, destinato soprattutto all'osservazione, al controllo dell'andirivieni delle genti e alla sicurezza dei trasporti militari. Dall'aspetto di torre, il burgus si differenziava da essa sia per la struttura edilizia che per la destinazione: il burgus era una torre di dimensioni tali da servire anche come accantonamento di scorte in vista di un utilizzo futuro mentre il turris, di dimensioni assai ridotte, era destinato alla segnalazione e poteva essere isolato o parte di un dispositivo (come un muro o un vallum);

6) turris era la torre isolata in legno o in pietra, di base quadrata, poligonale o circolare, che collegava a vista fra loro gli accampamenti e, cinta da una o più fosse circolari concentriche, disponeva di pochi uomini che sorvegliassero i movimenti delle genti e provvedessero, in caso di pericolo, a segnalarne la presenza con mezzi ottici o acustici (v. le torri rappresentate nei rilievi delle colonne di Traiano e di Marco Aurelio);

7) oppidum designava in origine un centro fortificato e successivamente, per trapasso di significato, venne ad indicare in generale una città; tuttavia non è escluso che in qualche caso un oppidum potesse essere stato costruito lungo il limes per ragioni militari e di colonizzazione. Specialmente nella tarda romanità le città, fornite di imponenti cinte murarie e di baluardi, divennero vere e proprie roccaforti contro le invasioni e non soltanto asili sicuri per i civili nello stato di insicurezza che dominava le campagne;

8) fossatum scavato nel terreno o nella roccia per varie profondità ed ampiezza lungo il margine esterno del limes, era destinato ad arrestare e ostacolare il passaggio del nemico dove non esisteva la difesa naturale di un fiume. Poteva essere costruito con levate di terra e anche con muri in pietra ed essere provvisto di torri di avvistamento e di segnalazione sull'uno e sull'altro lato, quando ad esso non si appoggiasse un muro apposito o un vallum. Un fossatum è noto per esplicita testimonianza soltanto per la provincia dell'Africa (Cod. Theod., vii, 15, 1) ed è stato rilevato dalla fotografia aerea per vasti settori del limes della Numidia (in alcuni tratti si ha addirittura un doppio fossato), ma ne è stata individuata sul suolo l'esistenza anche nel tratto transrenano del limes della Germania Superiore, dinnanzi ai muri di Adriano e di Antonino Pio in Britannia e lungo il limes della Mauretania Tingitana;

9) vallum esprime il plurale di vallus = palo, significando dapprima la palizzata posta attorno all'accampamento poi, per estensione, anche l'aggere di zolle, rivestito di legname all'esterno e talvolta anche all'interno, o di pietre, sostenente la palizzata. Parimenti si disse vallum il bastione di terra, di zolle o di pietra, che si stendeva in linea continua a copertura del limes almeno dove non esisteva già la difesa naturale di un fiume, secondo il principio enunciato in Hist. Aug., Hadr., 12, ma contraddetto forse dalla convenzionale raffigurazione del limes sulla colonna di M. Aurelio: tali, in Britannia, i valla di Adriano e di Antonino Pio, il Brazda lui Novac e il Brazda de Sud in Dacia e nella Muntenia, i valla tra Axiopolis e Tomis nella Scythia Minor;

10) praetentura significava in origine e continuò ad indicare la parte dell'accampamento opposta alla retentura e compresa fra la via principale e la porta pretoria, cioè la parte rivolta verso il nemico. Per estensione il verbo praetendere venne ad acquisire il significato di "occupare una posizione avanzata" e di fatto ricorre come tale a proposito di vessillazioni dislocate ai margini esterni del limes. Ed ancora per estensione praetentura venne a significare una zona di frontiera presidiata da truppe, come dopo la calata dei Quadi e Marcomanni del 167, nelle province danubiane e in Italia, e per breve tempo, la praetentura Italiae et Alpium, e la praetentura, cioè la strada di arroccamento, con dispositivi militari di copertura, creata da Settimio Severo nel 201 nella Mauretania Cesariense, fra Cohors Breucorum e Kaputtasaccura;

11) clausurae nell'età tarda romana erano le difese continue del limes.

Per la datazione del limes germanico-retico e degli elementi di cui esso si componeva, si trova nelle fonti letterarie qualche indicazione generale relativa alla costruzione e ai successivi rifacimenti e restauri di grandi opere. Più frequenti, e spesso anche più particolari e precisi, sono i dati ricavabili dalle epigrafi: dediche imperiali, miliari, presenza e avvicendamento delle truppe di stanza con la storia del loro dislocamento. Seguono, in ordine di importanza e di valore ai fini cronologici, i dati ricavabili dalle monete, soprattutto dai ripostigli monetari, con i limiti che essi comportano nello stabilire un terminus non ante ed ante quem; i dati della ceramica, specialmente sigillata, italiana e locale e di fabbricazione militare; i dati forniti dai bolli laterizi e infine le risultanze dello studio di forme, strutture e tecniche edilizie, e del metodo stratigrafico.

Il limes non era concepito inoltre, come una specie di muraglia cinese, tale da precludere ogni passaggio nell'uno e nell'altro senso, ma era inteso piuttosto come un'organizzazione atta a controllare le pacifiche migrazioni e infiltrazioni delle genti, specialmente dei nomadi nelle zone desertiche e altrove delle popolazioni clienti dello stato romano, oltre all'andirivieni di commercianti alla spicciolata. Soltanto all'occorrenza il limes assurgeva al ruolo di cintura e di baluardo difensivo. Di fatto, per quanto statiche fossero le opere edificate lungo di esso, il sistema di difesa risultava mobile, grazie alle maglie del dispositivo militare lungo le strade e le piste che collegavano tra loro castra, castella, centenaria, burgi ecc., scaglionati in linea e in profondità e grazie alla presenza di contingenti armati alla leggera e montati a cavallo, particolarmente adatti al compito di copertura, di vigilanza e di inseguimento in zone piane e montuose. Non è inoltre da sottovalutare il fatto che, adeguatamente alle posizioni geografiche, i limites delle diverse province non costituivano dei compartimenti stagni, bensì vigeva fra di essi il principio dell'interdipendenza e della reciprocità ai fini della difesa, della quale in definitiva era unico responsabile l'imperatore.

Seguono le immagini della dislocazione del limes germanico-retico con segnalati i tipi di fortificazioni, da cui si evince che l'intero limes era presidiato da fortini delle truppe ausiliarie dell'esercito romano.

Parte settentrionale del limes germanico-retico, immagine
modificata da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:
Agri_decumates_Karte.png
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Parte meridionale del limes germanico-retico, immagine
modificata da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:
Agri_decumates_Karte.png
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Estremo meridione del limes germanico-retico, fino ai territori che
attualmente appartengono alla Confederazione Elvetica o Svizzera.
Immagine modificata da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:
Agri_decumates_Karte.png
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Molto probabilmente molte delle fortificazioni lungo il limes germanico-retico fra Reno e Danubio, erano state costruiteper poi essere presidiate, da genti della zona, appartenenti all'etnia locale, in quanto inquadrati nell'esercito romano come ausiliari naturali (auxilia) o "numeri", con l'incarico di unità militari di confine (chiamate specificatamente limitanei o ripariani, in latino riparienses, visto che il limes correva generalmente per lunghi tratti sui fiumi). 

Da https://www.homolaicus.com/storia/antica/roma/esercito_ausiliari.htm: Le truppe ausiliarie (auxilia) dell'esercito romano nella fase repubblicana, erano costituite da contingenti di italici alleati (socii) con Roma, popoli liberi ma perlopiù sconfitti militarmente dai Romani e costretti, a titolo di tributo, ad offrire un certo numero di contingenti armati sulla base di patti di mutua alleanza ma non erano in possesso della cittadinanza  romana, almeno fino al 90-88 a.C., dopo la rivolta di gran parte degli alleati (con la guerra sociale), quando la cittadinanza venne estesa a tutti gli italici, il che dava loro diritto di prestare servizio nella legione. Gli italici (in qualità di socii) avevano autonomia amministrativa e, sul piano meramente locale, anche politica, ma la loro politica estera e militare dipendeva strettamente da quella romana e fornivano all'esercito romano soprattutto reparti di cavalleria, specialità trascurata nell'ordinamento militare di Roma; fornivano comunque anche reparti di fanteria leggera, in quanto quella pesante era tipica della legione.

Il primo imperatore, Augusto, offrì agli auxilia, ormai reclutati in servizio permanente e non più solo in occasione di campagne militari, una paga mensile e un equipaggiamento uniforme e stabilì inoltre che rimanessero di stanza nella loro regione di reclutamento, ad eccezione del comando delle singole unità, che veniva sempre affidato a ufficiali superiori romani (tribuni), scelti inizialmente tra i giovani figli dei senatori, nell'espletamento del primo degli incarichi militari tipico della loro carriera politica e successivamente, dopo le riforme di Claudio, tra l'ordine equestre.

Dalla fine del I sec. d.C. gli auxilia saranno qualitativamente di poco inferiori alle legioni.

Successivamente, quando l'impero romano raggiunse la sua massima espansione (con Traiano, nel 117), i contingenti alleati furono tratti prevalentemente dalle popolazioni barbariche. I contingenti delle truppe ausiliarie (auxiliapotevano essere costituiti da elementi mercenari oppure di foederati, provenienti da quei popoli liberi ma perlopiù sconfitti militarmente da Roma e costretti, a titolo di tributo, ad offrire un certo numero di contingenti armati sulla base di patti di mutua alleanza con l'Impero Romano. Gli auxilia svolgevano anche funzioni di supporto come l'esplorazione, la ricerca, la presa di contatto con l'avversario e la costruzione di fortilizi difensivi.

Ai tempi di Traiano gli auxilia erano divenuti così importanti che nella guerra in Dacia furono proprio loro a sostenere i principali scontri col nemico. Nella Colonna Traiana i legionari, essendo considerati delle truppe specializzate, vengono ritratti non tanto nei combattimenti (a meno che il loro intervento non fosse assolutamente necessario), quanto nelle mansioni tecniche o logistiche.

La ferma di un ausiliario durava da 25 a 28 anni. Si prestava servizio in unità di fanteria, la cui formazione prendeva il nome di coorte, con effettivi che potevano andare da 500 uomini (le centurie di 82-83 fanti ciascuna) a 1.000 (dieci centurie di 100 fanti). A dir il vero quando la coorte fu inventata da Gaio Mario i manipoli erano soltanto tre, per un totale di 300 uomini.

Le coorti di fanteria potevano essere integrate con elementi di cavalleria, come sei centurie da 65 fanti e quattro torme da 30 cavalieri, oppure 10 centurie da 76 fanti ciascuna e sei torme di 42 cavalieri ciascuna. Invece le unità di cavalleria pura (le ali) erano composte, a seconda dei casi, di 16 torme da 32 cavalieri o da 24 torme da 42 cavalieri.

Le coorti, a seconda della tipologia, erano comandate o da un prefetto o da un tribuno. I ranghi dell'ufficialità inferiore erano costituiti da centurioni e decurioni.

Un ausiliario, come paga, prendeva tre volte meno di un legionario, ma alla fine della sua carriera gli veniva assicurata la cittadinanza romana, a lui e alla sua discendenza legittima.

Verso l'ultimo periodo del I sec. d.C. si crearono i "numeri", cioè quei reparti militari la cui consistenza non superava le 500 unità. Questo permetteva di arruolare facilmente gli elementi barbarici, che all'interno dell'esercito romano conservavano la propria lingua, la propria uniforme, le proprie armi, il proprio modo di combattere. Alla fine diventeranno loro i veri auxilia. L'imperatore dal 117 al 138, Adriano, istituzionalizzò i "numeri" e il loro impiego crebbe tanto che alle soglie dell'età diocleziana (Diocleziano è stato imperatore dal 284 al 305) costituivano il fulcro di un esercito completamente imbarbarito.

Nel 212 d.C., con la Constitutio Antoniniana dell'imperatore Caracalla, la cittadinanza romana venne estesa a tutti i sudditi, rompendo così, definitivamente, quella differenza di rango tra legioni e auxilia. Nel corso del III secolo Roma introduce l'unità di cavalleria dei cunei o cunei equitum. Era in sostanza similare ai numeri, quindi con marcate connotazioni etniche, ma a differenza di questi ultimi, sembra si differenziasse proprio per la caratteristica di utilizzare solo reparti di truppe montate a cavallo.

Quindi le truppe non legionarie lungo il limes erano quasi certamente abitanti della zona oppure coloni romani, perlopiù veterani in congedo o loro discendenti.

Da http://storieromane.altervista.org/la-riforma-di-gaio-mario/: Veterani delle legioni vengono ricordati da Cassio Dione, durante l’ultima fase della terza guerra mitridatica (65-64 a.C.), allorquando Pompeo Magno decise di fondare una città chiamata Nicopoli, proprio nel luogo in cui Mitridate venne sconfitto in battaglia. Pompeo mandò tutti quei soldati prossimi al congedo o ancora convalescenti per le ferite riportate ad abitare il nuovo insediamento.

Giulio Cesare, a differenza dei suoi predecessori che omaggiavano i propri soldati con doni occasionali, pensò che fosse il caso di dare continuità al servizio che i suoi militari fornivano, istituendo il diritto per chi si congedava, ad avere un premio in terre da coltivare, prima di allora un’usanza a totale discrezione del comandante.

Ad Augusto si deve inoltre l’introduzione di un esercito professionale, che rimanesse in servizio per almeno 16 anni nel caso delle legioni, portato poi a 20 nel 5 d.C. Proprio all’inizio del suo principato, sappiamo dallo stesso Augusto nel suo “Res Gestae”, che ai 300.000 veterani mandati in congedo furono distribuiti dei donativi prelevati dal bottino di guerra e inoltre numerose colonie imperiali vennero popolate dai veterani delle legioni: “Fondai colonie di soldati in Africa, in Sicilia, in Macedonia, in entrambe le Spagne, in Acaia, in Asia, in Siria, nella Gallia Narbonense, in Pisidia. L’Italia poi possiede, fondate per mia volontà, ventotto colonie, che durante la mia vita furono assai prosperose e popolose. 

Il limes germanico-retico degli Agri Decumates su
una carta geografica attuale.

Dopo 130 anni circa dalla conquista delle Gallie del 58/54 p.e.v. (a.C.) da parte di Gaio Giulio Cesare e dopo 61 dalla battaglia della Foresta di Teutoburgo (del 9 e.v. o d.C.), si assisterà alla romanizzazione della parte sud-occidentale di quella che è la Germania dei nostri giorni, gli Agri Decumates, che comprendevano quelle che oggi sono le città di Friburgo in Brisgovia, Ulma, Stoccarda, Karlsruhe, Heidelberg, Mannheim, Mainz e Francoforte sul Meno, mentre Regensburg/Ratisbona, Augsburg/Augusta e la Baviera meridionale (in cui sorse in seguito Monaco di Baviera) erano già romanizzate poiché appartenenti alla Vindelicia, la parte settentrionale della Rezia.

Legenda della carta a fianco,
tradotta da https://commons
.wiki media.org/wiki/File:Ag
ri_decumates_Karte.png
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Agri Decumates con limes germanico-retico.
Immagine modificata presa da https://commons.wiki
media.org/wiki/File:Agri_decumates_Karte.png
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Gli Agri Decumates, ai tempi di Antonino Pio, imperatore romano dal 138 al 161, raggiunsero la loro massima estensione, comprendendo i territori alla destra del fiume Reno, dalla Foresta Nera ai territori dal fiume Nekar, poi a nord fino al Meno e oltre, mentre a est della Foresta Nera occupavano i territori  dell'Hohenzollern e delle Alpi Sveve (Schwäbische Alb o Schwäbischer Jura), comprendendo il primo tratto del Danubio, per spingersi poi a nord-est fino ad Heidenheim an der Brenz (pochi km a sud-ovest da un  cratere con diametro di 70 km dovuto all'impatto di un meteorite) poi a Gunzenhausen e, verso est-sudest, fino a Pförring sul Donau/Danubio, a pochi chilometri dal grosso centro di Castra Regina/Ratisbona/Regensburg, dove il Regen affluisce nel Donau, che da lì segnerà il limes nord-orientale dell'Impero. Attualmente i territori che formavano gli Agri Decumates fanno parte del Baden-Württemberg (con Stoccarda), della Renania-Palatinato (con Mainz/Magonza), dell'Assia (con Frankfurt/Francoforte sul Meno) e della Baviera (con Augsburg e München in Bayern).

L'unica testimonianza antica del nome Agri Decumates proviene dal "De origine et situ Germanorum" di Tacito, pubblicato nel 98. Il significato della parola "decumates" è andato perduto ed è oggetto di contesa. Secondo lo storico britannico Michael Grant si riferiva all'antico termine celtico indicante la suddivisione politica dell'area in "dieci cantoni".

Penso che il significato di "Agri Decumates" sia, presumibilmente, "lotti di terreni dedicati alla coltivazione da parte di famiglie di agricoltori", e mi spiego. I Romani ridisegnavano il territorio conquistato attraverso il sistema della centuriazione, ossia la suddivisione del territorio in lotti atti ad essere lavorati da cento famiglie di coloni, a loro volta suddivisi da decumani, vie che delimitavano gli spazi ogni dieci famiglie. L'ager centuriatus veniva tracciato dall'agrimensore, che individuava l'umbilicus agri, cioè il punto in cui si sarebbero incrociati due assi stradali perpendicolari tra loro: uno era generalmente in direzione est-ovest ed aveva il nome di "decumano massimo" (in latino, decumanus maximus), che collegava quindi le due porte dell'insediamento in direzione est-ovest, la dextera e la sinistra, mentre il secondo asse correva in direzione nord-sud ed era detto "cardo massimo" (cardo maximus), per cui l'insediamento romano risultava così diviso in quattro parti chiamate quartieri, termine che in seguito ha assunto il significato di nucleo con proprie caratteristiche storiche e geografiche all'interno di un agglomerato urbano. Di regola, all'incrocio delle due direttrici principali si trovava il forum, ossia l'agorà, la piazza principale della città. In particolare, per quanto riguarda le fondazioni di insediamenti coloniali, il territorio era suddiviso in appezzamenti in cui ciascun lotto costituiva il fondo per cento famiglie di coloni (da cui il motivo del termine "centuriazione"), delimitato da cardi paralleli al cardo maximus e ogni dieci famiglie da un decumanus (variante di decimanus, derivato di decĭmus, "decimo"), "la strada della decima parte", parallelo al decumanus maximus. Per ragioni pratiche, l'orientamento degli assi non sempre coincideva con i quattro punti cardinali e a volte si basava sull'orientamento di vie di comunicazione preesistenti (così per le centuriazioni lungo la via Emilia) o su altre caratteristiche geomorfologiche. Sembra quindi plausibile che "Agri Decumates" si riferisse a territori suddivisi in lotti assegnati a coloni coltivatori. Decumanus maximus e cardo maximus erano così denominati anche nell'ambito degli accampamenti romani, detti castra, all'incrocio dei quali non vi era il forum, bensì il cosiddetto praetorium, ossia la tenda del comandante. Solitamente l'impostazione urbanistica assegnata all'accampamento veniva conservata nella futura planimetria del municipium o della civitas. Alcune tra le principali città italiane (Torino, Pavia, Aosta, Napoli, Verona, Potenza) ed europee (Vienna e York) sono esempi di accampamenti in posizioni strategiche divenuti civitas.

Ripercorriamo ora gli eventi intercorsi fra Romani e Germani fino all'abbandono degli Agri Decumates da parte dell'Impero Romano, con Gallieno imperatore, nel 259/260, a causa dell'invasione degli Alemanni, confederazione di tribù suebe che giunsero fino a Mediolanum/Milano, mentre gran parte dell'Impero romano d'Occidente (Gallie e Hispania) cadeva sotto il controllo di Postumo, ex governatore romano delle province galliche e germaniche.

Nel 750 a.C. - A metà dell'VIII secolo a.C., popolazioni di Germani risultano attestate lungo l'intera fascia litoranea che va dall'Olanda alla foce della Vistola. La pressione verso i territori interni si manifestò nei secoli successivi non come un movimento unitario e unidirezionale ma come un intricato processo di avanzamenti, retrocessioni e infiltrazioni in regioni abitate anche da altri popoli. Reperti archeologici confermano l'esistenza, dal 750 a.C., di popolazioni di cultura germanica detta di "Jastorf", collocata tra la Scandinavia del sud e le coste del Baltico (nello Jutland danese) e lungo il corso del fiume Elba. Lo storico romano Tacito (per "Elenco degli storici antichi dell'Occidente" clicca QUI) nella sua opera "De origine situ germanorum", comunemente conosciuta come "Germania", l'unica opera a carattere etnografico su un popolo straniero pervenutaci dell'antichità e pubblicata nel 98, riporta che il loro progenitore comune fosse «il Dio nato dalla terra» tramite suo figlio Mannus o anche Manu, da cui nascerebbe l'espressione "umanità". In quei tempi erano tutti amalgamati, quasi un unico popolo, ma si distingueranno in varie tribù, con alcune analogie negli usi e costumi e nelle loro arcaiche istituzioni che saranno anche molto differenziate. Si suddivideranno così in Germani e Scandinavi.

  La Germania e le sue divisioni interne (Ingaevones,
Istaevones e Herminones) secondo gli storici antichi
Plinio (nel Naturalis Historia) e Tacito (in Germania),
databile pertanto al 78-98 d.C
. Immagine di Cristiano
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, da
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_del_III_secolo#/media/File:Invasioni_
occidente_258-260_png.png

Dal 700 a.C. - Iniziano le prime grandi migrazioni di popolazioni germaniche verso sud e sud-ovest e la loro divisione diventerà quasi netta dai IV-III secoli a.C. per alcune fino ai III-IV secoli d.C. per altre, quando scenderanno a sud, prima per fare razzie e poi per stabilirsi in vari territori, Italia compresa. Sulla base dei resoconti fatti dai soldati romani di ritorno dai territori in cui erano stanziati i Germani, le cui tribù incontrate erano state 40 e più, Tacito riporta che le grandi migrazioni delle popolazioni germaniche dalla Scandinavia verso sud e sud-ovest fossero composte da tre stirpi principali, a loro volta composte da varie tribù:

1) gli Ingaevones (stanziati nello Jutland e sulla foce del Reno, daranno vita al gruppo friso-sassone) e gli Istaevones (i Germani nord-occidentali che daranno vita al gruppo franco), che provenivano dall'Oceanus Germanicus, nome che i Romani antichi assegnavano al Mare del Nord;

Teschio suebo con nodo
nei capelli. Immagine di
Bullenwächter - Opera
propria, CC BY-SA 3.0,
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dia.org/w/index.php?cur
id=8885456
 da https://it.
wikipedia.org/wiki/
Suebi#/media/File:
Osterby_Man.jpg

2) un altro ceppo, gli Herminones, proveniva dal Suevicum, il Mar Baltico. Agli Herminones (spesso indicati con il nome generico di Suebi o Svevi durante il Medioevo, Schwäbisch in tedesco), appartenevano i Semnoni insieme a Marcomanni, Quadi, Ermunduri e Langobardi (chiamati comunemente Longobardi). I Semnoni erano considerati, come ricorda Tacito, i più nobili ed antichi tra le popolazioni dei Suebi e forse i più importanti. Duemila anni fa il Mar Baltico era conosciuto dai Romani come Suebicum mare. In parte a causa della scarsa conoscenza da parte dei Romani dei diversi popoli germanici che interagirono con Roma, lo storico romano Tacito si era riferito a tutti i Germani dell'Elba con il nome di Herminones, che Strabone aveva identificati con i Suebi. E benché Cesare li considerasse un unico popolo all'interno di una più vasta alleanza, anche se il più bellicoso e numeroso tra tutti i Germani, gli autori più tardi come Plinio il Vecchio, Strabone o Tacito non concordarono con l'opinione di Gaio Giulio Cesare. Scrisse Tacito: «È giunto il momento di parlare degli Svevi: essi non costituiscono un unico popolo come i Catti o i Tencteri. Occupano gran parte della Germania, divisi in tribù con nomi propri. Comunque, tutti assieme, sono detti appunto Svevi. È segno distintivo di questa gente ravviare lateralmente i capelli e fermarli con un nodo: in questo modo gli Svevi si differenziano dagli altri Germani e, al loro interno, distinguono gli uomini liberi dagli schiavi. Presso gli altri popoli è questo un uso raro e seguito solo dai giovani, per affinità con gli Svevi o, come spesso accade, per imitazione. Gli Svevi invece fino alla vecchiaia si tirano all'indietro le ispide chiome e spesso le legano soltanto in cima al capo. I nobili vi aggiungono qualche ornamento: è un modo per curare, senza malizia, la loro immagine fisica; e non lo fanno per essere più attraenti, ma per sembrare ancora più imponenti e terribili agli occhi dei nemici, quando vanno in guerra.» (Publio Cornelio Tacito, Germania, 38)

3) la terza stirpe proveniva dal Cimbrico (lo Jutland danese) e, come i Suebi Erminoni, si stanziarono sull'Elba, al centro del territorio della Germania odierna, fino al Danubio, limite di queste tribù.

I popoli germanici erano chiamati dai Romani "Germani" poiché una delle prime tribù che conobbero e sconfissero si chiamava "Jerman" e proveniva anch'essa dallo Jutland, scesa verso il Danubio superiore, ai confini dell'Impero romano, assieme ai suebi Marcomanni, ai Cimbri, agli Ambroni e ai Teutoni, probabilmente durante le guerre cimbriche (dal 113 a.C. al 101 a.C.).

Così gli abitanti della Germania (Deutschland in tedesco), in inglese si definiscono Germans, in francese Allemands e in spagnolo Alemanes (da Alemanni), mentre in italiano sono chiamati Tedeschi. "Tedesco" deriva dal latino medievale "theodiscus", dall'antico tedesco "theod", ossia "popolo", col significato di "lingua del popolo tedesco", così come in modo analogo "vulgaris" significa "lingua del volgo", dove "vulgus" è "popolo". In seguito il termine si è esteso a indicare anche il popolo che parlava tale lingua e divenne dunque anche aggettivo. Il termine "theod" da cui deriva "theodiscus" è stato usato per la prima volta in tarda età carolingia per indicare gli abitanti dell'Europa occidentale che non parlavano lingue romanze. 

I rapporti fra Roma e i Germani, prima della massiccia germanizzazione dell'occidente dell'Impero Romano con i regni di Suebi, Franchi, Vandali, Visigoti, Eruli, Ostrogoti, Burgundi, Langobardi, Angli e Sassoni, sono iniziati con le guerre cimbriche, dal 113 a.C. al 101 a.C., fra la Repubblica romana e la coalizione delle tribù germanico-celtiche di Cimbri, Teutoni ed Ambroni; una questione più seria per Roma del recente conflitto ligure-celtico cisalpino del 121 a.C., guerre che hanno generato un grande timore nei romani, quando per la prima volta dopo la seconda guerra punica, si sono sentiti seriamente minacciati. Inizialmente i Romani hanno subito pesanti perdite anche a causa della rivalità tra i consoli al comando. Ripercorriamo ora gli eventi accaduti.

Nel 120 a.C. - La tribù dei Cimbri abbandona lo Jutland e anche i loro vicini Teutoni decidono di spostarsi altrove attraverso la Germania. La fortezza romana di Teutoburgium, a circa 19 chilometri a nord della moderna città di Vukovar, in Croazia lungo il Danubio, viene spesso citata come prova della loro presenza. Non è tuttavia chiaro se i Teutoni si siano subito uniti ai Cimbri o se li abbiano seguito ad una certa distanza.

I Cimbri erano una tribù germanica, anche se alcuni ritengono che fosse di origine celtica, la cui sede originaria pare fosse nel nord dello Jutland, nell'attuale Danimarca, che nell'antichità era chiamata penisola cimbra. Probabilmente sia Ambroni che Cimbri avevano radici miste celto-germaniche, infatti durante il loro breve e sanguinario attraversamento dell'Europa, i Cimbri erano guidati da Boiorix, un nome celtico che significa "Re dei Boi".

I Tèutoni erano secondo fonti romane un popolo germanico che originariamente viveva nello Jutland. Il nome Teutones o Teutoni tramandato dalle fonti greche e romane non permette di riconoscerne una provenienza certa, potrebbe essere tanto di origine celtica quanto protogermanica poiché esisteva una grande quantità di lessemi simili e non è possibile tracciare un collegamento ad una località precisa. Il termine è stato spesso collegato con l'etnonimo Deutsche ("tedeschi"), che risale ai termini in alto tedesco antico "theodisk" e "diutsc", che possedevano la radice germanica "theoda", che significa "popolo" o "tribù" ma che significava originariamente "appartenente al popolo" e "che parla la lingua del popolo". I geografi antichi riconoscevano nella denominazione "Teutoni" un nome collettivo per gli abitanti non celtici della costa del Mare del Nord o anche per l'interezza dei Germani. L'autore romano Plinio il Vecchio è stato il primo a riportare che i Teutoni vivessero sulla costa occidentale dello Jutland, verosimilmente a sud dei Cimbri e che in quei luoghi praticavano il commercio dell'ambra; da notare che il prefisso Amb è usuale in molti nomi tribali celtici. Secondo gli autori antichi, una devastante marea aveva costretto i Teutoni ad abbandonare le loro aree di insediamento.

La tribù degli Ambroni (o Ambrones) appare brevemente nelle fonti romane realtive al II secolo a.C. La loro posizione originaria pare fosse lungo la costa dell'Europa settentrionale, a nord del Rhinemouth (la foce del Reno), nelle Isole Frisone, regione oggi occupata dai resti dello Zuider Zee e dallo Jutland, che gli Ambroni condivisero con i propri vicini Cimbri e Teutoni. Lo Zuiderzee (in italiano Mare del Sud) era un golfo dei Paesi Bassi, lungo le coste del Mare del Nord dove in epoca romana c'era il Lago Flevo, separato dal mare dalla presenza di dune. Nel XIII secolo, a seguito di inondazioni il mare aveva invaso il lago, trasformandolo in golfo marino. Al fine di ampliare e garantire il loro territorio, gli olandesi all'inizio nel XIX secolo avviarono un grande progetto per la creazione di polder (i Zuiderzeewerken), tratti di mare asciugato artificialmente attraverso dighe e sistemi di drenaggio dell'acqua. Il prefisso Amb è usuale in molti nomi tribali celtici, per cui si potrebbe pensare che gli Ambroni fossero di origine celtica, ma esistono prove a sostegno dell'ipotesi che Ambroni e Cimbri avessero radici miste celto-germaniche.

Queste etnie miste, probabilmente in origine celtiche ma assimilate dai Germani, suggeriscono d'altra parte come in quel periodo le tribù germaniche fossero pesantemente influenzate dalle culture celtiche. La potenza dei Celti in Europa stava declinando nel corso del II - I secolo a.C. mentre i Germani cominciavano a premere per attraversare i due grandi fiumi europei, il Reno ad occidente per invadere la Gallia e la penisola iberica ed il Danubio a sud sud-est per poi spingersi fino ai Balcani, in cerca di una nuova sistemazione. La grande migrazione delle genti germaniche che ne seguì comportò lo spostamento di intere popolazioni, comprese donne, bambini ed anziani, carriaggi e mandrie, mentre un buon numero di Celti erano scacciati dai loro insediamenti nel centro europeo, come i Boi che prima erano in Boemia e poi erano passati in Baviera (Baiovara), dove sono ricordati in quei toponimi, per cui di Celti ne rimarranno in Italia Settentrionale, alcuni fondendosi con gli antichi Liguri, in Francia, nella Galizia iberica mischiati agli Iberici, in tutta la Britannia (Scozia inclusa) e Irlanda, alcuni fino all'Asia Minore (i Galati).

Secondo gli autori antichi, una devastante marea aveva costretto i Teutoni ad abbandonare le loro aree di insediamento e forse gli Ambroni erano stati convinti ad emigrare dalle recenti alluvioni dello Zuider Zee; comunque Cimbri, Teutoni e Ambroni in una prima fase, non miravano a scontrarsi coi Romani, al contrario il loro disegno originario potrebbe essere stato quello di attraversare il fiume Danubio per stanziarsi nei Balcani. Si trattava di circa 300.000 uomini delle tre tribù, dei quali 30.000 erano Ambroni. La migrazione si trasformò ben presto in razzie. Mentre puntavano verso la Boemia, vennero bloccati dai Boi, che in quel periodo abitavano le terre che ancora oggi portano il loro nome e si creò forte preoccupazione nelle genti alleate ai Romani del Norico, che ne richiesero l'intervento a propria salvaguardia.

Il Norico con i relativi passi alpini. Immagine di 
Ziegelbrenner - Opera propria https://commons.wiki
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. Da https://
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_Austria.png

Il Norico era popolato alla fine della prima Età del ferro dalla cultura di Hallstatt. Attorno alla metà del IV secolo a.C. una prima ondata di popoli celti invasero il Norico, portando con loro nuove tradizioni (Cultura di La Tène), che nei secoli successivi furono assorbite dalle popolazioni indigene. Gli studi preistorici e linguistici della regione hanno evidenziato tre diverse componenti: i Veneti nella parte meridionale-occidentale del Norico, con le tribù dei Laianci e dei Saevates; gli Illiri nella parte meridionale-orientale, come propagazione delle popolazioni illiriche di Pannoni e Dalmati; i Celti nella parte settentrionale, identificabili con i Taurisci o Norici, come suggerisce Plinio il Vecchio, e nella parte meridionale con i Carni.

I Celti nel corso dei tre secoli successivi occuparono gradualmente l'intera area norica, a partire dalla valle dal Danubio, per poi percorrere le vallate Alpine fino alla Carinzia (nella seconda metà del III secolo a.C.), e poi ad est, espellendo le tribù illiriche che si trovavano in quest'area. Fondarono numerose città, che ancora all'epoca romana conservavano il suffisso celtico, come Boiodurum, Stanacum, Joviacum, Lauriacum, Juvavum, Ovilava, ecc.. Il primo incontro tra gli abitanti di questa regione ed i Romani avvenne nel 183 a.C., quando alcune bande di Taurisci avevano deciso di migrare nell'Italia settentrionale, più precisamente in Friuli, nella zona dove un paio d'anni più tardi sarebbe sorta Aquileia, dove erano intenzionati a fondarvi un loro nuovo oppidum. Roma però, che non voleva interferenze sul suolo italico da parte di altri popoli, decise di intervenire costruendovi nel 181 a.C. una nuova colonia a protezione dei suoi confini settentrionali (Aquileia appunto). Fu così che i Taurisci furono costretti a tornare nelle loro terre, pur mantenendo un rapporto di amicizia con i "nuovi vicini" Romani. Testimonianza ne è la richiesta di intervento armato romano, in seguito all'invasione di Cimbri e Teutoni, con il successivo scontro presso la città norica di Noreia del 113 a.C.. Il Norico divenne protettorato romano alla fine del II secolo a.C., sviluppando una cultura marcatamente romanizzata (come si evince dalle legende in latino sulle monete e da altre iscrizioni) che portò all'annessione nel 16 a.C., da parte di un certo Publio Silio Nerva, della sola parte meridionale dei territori, dove erano presenti numerose e produttive miniere d'oro scoperte un secolo e mezzo prima (Carinzia settentrionale).


Le popolazioni celtiche in Europa.

Nel 113 a.C. - Strabone racconta che i celti Boi erano riusciti a respingere i primi attacchi dei Cimbri, che avevano poi proseguito la loro marcia, insieme a Teutoni ed Ambroni, girando attorno ai Boi ed erano entrati in Serbia ed in Bosnia oltrepassando il Sava e la Morava. Ben presto però avevano lasciato quei territori montuosi seguendo un tragitto che passava a nord delle Alpi e dei pericolosi Romani, verso la Pannonia e il Norico. Il console Gneo Papirio Carbone vista l'avanzata delle genti germaniche, di cui egli stesso sapeva poco, temendo che potessero invadere l'Italia come era accaduto tre secoli prima con il sacco di Roma, decise di sorprendere gli invasori, ma subì un'autentica disfatta nei pressi di Noreia (l'attuale Krainburg, comune tedesco in Baviera) nel 113 a.C., battaglia che segnò così l'esordio delle guerre romano-germaniche che si susseguirono per i sei secoli successivi fino alla caduta dell'Impero romano d'Occidente. La partecipazione dei Teutoni alla battaglia di Noreia nel 113 a.C. è attestata in diverse fonti antiche. Dopo il successo nella battaglia di Noreia, Cimbri, Teutoni ed Ambroni attraversano poi il Reno e i territori degli Elvezi per poi giungere nei verdi pascoli della Gallia, devastandola, come riporterà Cesare nel suo "De bello Gallico".

Nel 109 a.C. - La migrazione di Cimbri, Teutoni ed Ambroni viene affrontata dal proconsole romano Marco Giunio Silano, al comando di 4 legioni (composte di 5 000÷6 000 armati l'una) ma è sconfitto nelle terre dei Sequani, evento che provoca un inizio di ribellione da parte delle tribù celtiche che erano state di recente assoggettate dai Romani, nella parte meridionale del paese. La coalizione celto-germanica subisce poi una sconfitta da parte dei Celti Belgi.

Gallie con relative tribù. Immagine di User Feitscherg
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. Da https://it.wiki
pedia.org/wiki/Gallia#/media/File:Map_Gallia_Tribes
_Towns.png
I Romani suddividevano la Gallia in
cinque parti: Gallia Belgica, Gallia Celtica (corrispondente
alla provincia della Gallia Lugdunensis), Gallia Cisalpina,
Gallia Narbonensis e Gallia Aquitania.

Nel 107 a.C. - I Tigurini, clan dei Celti Elvezi, guidati da un certo Divicone, menzionato dallo stesso Cesare nel suo "De bello Gallico", riescono a penetrare nella provincia romana della Gallia Narbonense. Il console Lucio Cassio Longino, accorso per difendere i territori romani con 6 legioni (composte da 5.000÷6.000 armati l'una) e 6.000 cavalieri, si dirige verso Tolosa, percorrendo la via fatta costruire dal console Enobarbo nel 122 a.C. A pochi chilometri dall'oppidum celtico ingaggia una battaglia contro il popolo dei Volci Tectosagi (i Volci erano un popolo celtico originario della valle del Danubio) a cui si erano uniti parte dei Cimbri, Teutoni e Tigurini, riuscendo a batterli. Continuerà poi l'avanzata in territorio celtico portandosi appresso i bagagli, quasi fosse una semplice marcia di trasferimento, risalendo la valle del fiume Garonna fino alla zona di Bordeaux dove le legioni, ormai distanti dai confini con la provincia narbonense romana saranno massacrate nella zona di Agen  (presso il popolo dei Nitiobrogi), mentre lo stesso Lucio Cassio perderà la vita. Fu un autentico massacro dove persero la vita almeno 35.000 armati tra i due contendenti. Fu solo grazie all'ufficiale di grado più elevato fra quelli sopravvissuti, Gaio Popilio Lenate, figlio del console dell'anno 132 a.C., che si riuscì a patteggiare una resa mettendo in salvo quanto restava delle forze romane, ma solo dopo aver ceduto metà degli equipaggiamenti ed aver subito l'umiliazione di far marciare il proprio esercito sotto il giogo, in mezzo allo scherno dei vincitori.

Nel 106 a.C. - Il console Quinto Servilio Cepione marcia da Narbona, alla testa di ben 8 legioni (composte di 5 000÷6 000 armati l'una), contro le tribù ribellatesi a Roma stanziate nella zona di Tolosa. Si racconta che Cepione cercasse, all'interno della città di Tolosa e per diversi giorni, il tesoro di cui narrava una leggenda, un'enorme quantità di oro che pare fosse custodita nei santuari dei templi (il cosiddetto Oro di Tolosa o Aurum Tolosanum). Non trovando nulla, decise di prosciugare i laghi vicini alla città e ritrovò così sotto la melma 50.000 lingotti d'oro, 10.000 lingotti d'argento e macine interamente in argento, una fortuna incredibile. Durante il trasporto verso Massilia (l'odierna Marsiglia), nel tratto tra Tolosa e Narbona, dove avrebbe dovuto essere imbarcato), 1.000 predoni si impadronirono dei 450 carri che trasportavano i soli lingotti d'oro. A Roma si sospettò dello stesso Cepione, che però fu confermato nel comando anche per l'anno successivo, ma si unì a lui nelle operazioni in Gallia meridionale anche uno dei due nuovi consoli, Gneo Mallio Massimo.

Nel 105 a.C. - Al pari di Gaio Mario, anche Gneo Mallio Massimo era un uomo nuovo, che non faceva cioè parte di alcuna élite romana e la collaborazione fra lui e Quinto Servilio Cepione si dimostrò fin da subito impossibile. Cimbri, Teutoni e Ambroni erano apparsi sul corso del fiume Rodano proprio mentre l'esercito di Mallio si trovava nella stessa zona. Cepione, che era accampato sulla riva opposta del fiume, si rifiutò in un primo momento di venire in soccorso del collega minacciato, decidendosi ad attraversare il fiume solo dopo che il Senato gli aveva ordinato di cooperare con Mallio. Tuttavia si rifiutò di unire le forze dei due eserciti mantenendosi a debita distanza dal collega. Il primo scontro si ebbe 65 km a nord di Arausio (l'attuale Orange in Francia) quando un certo Marco Aurelio Scauro, alla testa di 5.000 cavalieri, ingaggiò una prima battaglia, che gli fu sfavorevole, con le avanguardie della coalizione germanica. I successivi due scontri si rivelarono disastrosi per entrambi i comandanti romani. Prima Cepione (alla testa di 7 legioni) fu battuto a 48 km a Nord di Arausio e poi Manlio (alla testa delle 7 legioni precedenti a cui se ne erano aggiunte altre 2) a soli 8 km a nord di Arausio, il 6 ottobre del 105 a.C., subì una nuova disfatta. I Romani dovettero combattere con il fiume alle spalle che impediva loro la ritirata e, stando alle cronache, furono uccisi 80.000 soldati e 40.000 ausiliari. Dopo gli scontri, i Cimbri si spostarono in direzione dell'Hispania per dedicarsi al saccheggio della penisola iberica mentre Teutoni e Ambroni si stanziarono nella Gallia Narbonense, diventata dal 121 a.C. provincia romana.

Le perdite subite nel decennio precedente erano state molto gravi, ma questa sconfitta, provocata soprattutto dall'arroganza della nobiltà che si rifiutava di collaborare con i più capaci capi militari non nobili, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non soltanto le perdite umane erano state enormi, ma l'Italia stessa era ormai esposta all'invasione delle orde barbariche. Il malcontento del popolo contro l'aristocrazia stava raggiungendo ormai l'esasperazione. Nell'autunno del 105, mentre si trovava ancora in Africa, Gaio Mario fu rieletto console. L'elezione in absentia era una cosa abbastanza rara e inoltre una legge successiva all'anno 152 a.C., imponeva un intervallo di almeno 10 anni fra due consolati successivi, mentre sembra che una legge del 135 a.C. addirittura proibisse che questa carica potesse essere rivestita per due volte dalla stessa persona. La grave minaccia incombente dal nord fece tuttavia passare sopra ad ogni legge e consuetudine e Mario, ritenuto il più abile comandante disponibile, sarà rieletto console per ben 5 volte consecutive, dal 104 al 100 a.C., cosa mai avvenuta in precedenza.

Gaio Mario. Immagine
© José LuizBernardes
 Ribeiro,CCBY-SA4.0
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Da https://it.wikiquote.
org/wiki/Gaio_Mario
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Marius_(GL_319)_-
_Glyptothek_-_Munich
_-_Germany_2017.jpg

Nel 103 a.C. - I Germani indugiavano ancora nelle proprie scorribande in Hispania ed in Gallia e questo fatto, insieme alla morte del console collega Lucio Aurelio Oreste, consentì a Gaio Mario, che stava già marciando verso nord, di rientrare a Roma per venirvi confermato console per l'anno 102 a.C., insieme ad un nuovo collega, Quinto Lutazio Càtulo.

Gaio Mario (Cereatae, nel territorio del comune di Veroli, in provincia di Frosinone, oggi Casamari, da "casa Marii",157 a.C. - Roma, 13 gennaio 86 a.C.) è stato un "uomo nuovo", che non faceva cioè parte di alcuna élite romana. Militare e politico romano, per sette volte è stato console della Repubblica romana. Lo storico Plutarco gli dedicherà una delle sue "Vite parallele", raffrontandolo al re d'Epiro Pirro, della stirpe macedone di Alessandro. La carriera di Gaio Mario non sembrava destinata a grandi successi fino al 110 a.C., quando gli fu proposto un matrimonio con una giovane esponente dell'aristocrazia, Giulia Maggiore, sorella del senatore Gaio Giulio Cesare il vecchio e futura zia di Gaio Giulio Cesare. Mario accettò, divorziando dalla sua prima moglie Grania di Pozzuoli. La gens Iulia era una famiglia patrizia di antichissime origini (faceva risalire la propria discendenza a Iulo, figlio di Enea, e a Venere, dea della bellezza), ma nonostante ciò i suoi appartenenti avevano, per ragioni finanziarie, notevoli difficoltà a ricoprire cariche più elevate di quella di pretore (solamente una volta, nel 157 a.C. un Giulio Cesare era stato console). Il matrimonio permise alla famiglia patrizia di rimettere in sesto le proprie finanze e diede a Mario la legittimità per candidarsi al consolato. Da sottolineare comunque che Gaio Mario è stato il campione del partito dei populares così come Lucio Cornelio Silla lo è stato degli aristocratici optimates e lo stesso Gaio Giulio Cesare rimarrà fedele ai populares fino al suo assassinio, avvenuto nel Senato, il tempio degli optimates patrizi, i patres della patria.

Invasione di Cimbri e Teutoni. Croci verdi per le loro
 vittorie e croci rosse per le sconfitte. Immagine di
TcfkaPanairjdde - Cimbrians and Teutons.png, CC
BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/ind
ex.php?curid=4033347
. Da  https://it.wikipedia.
org/wiki/Guerre_cimbriche#/media/File:Cimbrians
_and_Teutons_-_it.png

Nel 102 a.C. - I Cimbri dall'Hispania tornano in Gallia e insieme ai Teutoni e agli Ambroni, decidono un attacco congiunto alla Repubblica romana. Dalla Gallia, i Teutoni e gli Ambroni avrebbero dovuto puntare a sud-est dirigendosi verso le coste del Mediterraneo, mentre i Cimbri dovevano penetrare nell'Italia Settentrionale da nord-est attraversando il passo del Brennero (”per alpes Rhaeticas”). Infine i Tigurini, la tribù celtica loro alleata che aveva sconfitto Longino nel 107, progettava di attraversare le Alpi provenendo da nord-ovest. La decisione di dividere in questo modo le loro forze si sarebbe dimostrata fatale, poiché diede ai Romani, avvantaggiati anche dalle linee di approvvigionamento molto più corte, la possibilità di affrontare separatamente i vari contingenti, concentrando le proprie forze laddove era di volta in volta necessario. Così mentre Ambroni e Teutoni transitavano nella Gallia Narbonense (a est di Marsiglia) verso l'Italia, i Cimbri si dirigevano verso il passo del Brennero (”per alpes Rhaeticas”) per poi entrare da lì in Italia. Il console Gaio Mario decise così di intercettare Teutoni e Ambroni, che si trovavano in quel momento nella provincia romana della Gallia Narbonense e si stavano dirigendo verso le Alpi alla volta dell'Italia, stabilendo un campo sul loro percorso.

Aquilifer. Immagine di
Marten253 - Opera
propria, CC BY-SA 3.0
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Sallustio narra che Gaio Mario usò per la prima volta l'aquila come insegna nella guerra contro i Cimbri, consegnandone una ad ogni legione. In battaglia e durante le marce era tenuta in consegna dall'aquilifer (aquilifero) e strenuamente difesa. La sua perdita era motivo di disonore e poteva causare lo scioglimento dell'unità. L'aquila, nel periodo antico, rappresentava l'Icona di Giove, padre di tutti gli dei e protettore dello stato. Come tale fungeva da simbolo del potere di Roma e del suo impero e venne utilizzata da allora come insegna da parte dell'esercito. Ai tempi di Gaio Giulio Cesare, l'aquila delle legioni era d'argento e oro ma a partire dalla riforma augustea il materiale utilizzato fu il solo oro. L'aquila era custodita dalla prima centuria della prima coorte, conservata presso l'accampamento (assieme ai signa militaria) all'interno dell'aedes signorum, uno degli edifici dei Principia (quartier generale della legione). L'aquila usciva dall'accampamento romano solo in occasione dei trasferimenti dell'intera legione, sotto la responsabilità di un sottufficiale legionario, l'Aquilifer che, oltre a doverne garantire la custodia, era incaricato di portarla in battaglia e difenderla anche a costo della propria vita. In tal senso, l'aquilifer può essere paragonato ad un alfiere, quindi un giovane ufficiale dei moderni eserciti e la stessa aquila può essere considerata come una bandiera di guerra o uno stendardo. Era segno di grave disfatta la sua perdita, evento che accadde in rare occasioni, come nel corso della battaglia della foresta di Teutoburgo nel 9 d.C., quando ben tre aquilae caddero nelle mani del nemico germanico.

Gli Ambroni e i Teutoni, guidati dal loro re Teutobod, assaltarono il campo romano venendo respinti e decisero quindi di proseguire verso l'Italia aggirando il campo, ma Mario li seguì accampandosi vicino a quella che sarebbe passata alla storia col nome di battaglia di Aquae Sextiae (l'attuale Aix en Provence, insediamento fondato dal console Gaio Sestio Calvo nel 109 a.C.), in modo da sbarrare il cammino ai Germani. Gaio Mario aveva organizzato nel migliore dei modi la propria armata, i soldati erano stati sottoposti ad un addestramento che mai in precedenza si era visto, e si erano abituati a sopportare senza lamentele le fatiche delle lunghe marce e dell'allestimento di accampamenti e macchine da guerra, tanto da meritarsi il soprannome di muli di Mario. Ad Aquae Sextiae, alcuni contingenti di Ambroni, l'avanguardia dell'esercito dei Germani, si lanciarono avventatamente all'attacco delle posizioni romane, senza aspettare l'arrivo di rinforzi, attaccando i Romani mentre stavano attingendo acqua da un vicino fiume. I Liguri, alleati dei Romani, accorsero ad aiutarli ricacciando gli Ambroni al di là del fiume. Secondo Plutarco, in occasione della battaglia di Aquae Sextiae del 102 a.C., quando i Liguri alleati dei romani urlarono "Ambrones!" come grido di battaglia, ottennero in risposta lo stesso grido dal fronte opposto dei Celti Ambroni, che seguendo i costumi celtici, urlavano il nome della propria tribù durante le entrate in battaglia. Da ciò deriva l'ipotesi di una derivazione culturale o contaminazione, nel settentrione italico, dei Celti dai Liguri (la cui originaria espansione si estendeva presumibilmente dalla penisola a quella iberica e nella Francia meridionale prima dell'espansione dei Celti, mentre i Romani consideravano gli Ambroni Germani, non Celti. Queste circostanze suggeriscono la presenza di etnie miste, probabilmente in origine liguri poi celtiche così come etnie celtiche assimilate poi dai Germani. Non solo gli Ambroni provenivano da una regione settentrionale recentemente germanizzata, ma in quel periodo le tribù germaniche venivano pesantemente influenzate dalla cultura celtica.

Nella battaglia di Aquae Sextiae (ad Aix-en-Provence), i Romani ricompattarono i ranghi rigettando gli Ambroni che tentavano di nuovo di oltrepassare il fiume e lì gli Ambroni persero buona parte delle loro forze e 30.000 di loro rimasero uccisi. Gaio Mario schierò poi un contingente di 3.000 uomini per tendere un'imboscata al grosso dell'esercito dei Germani, che presi alle spalle e attaccati frontalmente, furono completamente sterminati e persero 100.000 uomini mentre quasi altrettanti ne furono catturati. Gli Ambroni furono annientati e, fondendosi con i Celti locali, diedero vita ad una nuova tribù, gli Aduatuci, storia che si può trovare nella vita di Gaio Mario nell'opera "Vite Parallele" di Plutarco scritta nell'80. Dopo la battaglia, i Teutoni non verranno più nominati nelle fonti romane. Le parti dell'esercito teutone sopravvissute alla sconfitta si stabilirono presso la Mosa sotto il nome anch'essi, di Aduatuci. Verosimilmente, ancora nel II - III secolo d.C., risiedevano nei dintorni del Meno. Dalle loro prime vittorie contro gli eserciti romani, si era creato un collegamento fra i Teutoni ed il terrore che avevano generato, così che gli storici romani parlavano di furor teutonicus, furore teutonico. A partire dalla tarda età carolingia, l'aggettivo latino teutonicus venne utilizzato per indicare la popolazione residente nell'Impero carolingio che non parlasse una lingua romanza (così come il  termine "theod" da cui deriva "theodiscus" da cui "tedesco") e nel corso del Medioevo, venne utilizzato come traduzione per deutsch, tedesco (ad esempio, Ordo Teutonicus o ordine dei Cavalieri Teutonici, è la traduzione di Deutscher Orden). A volte, un "tedesco tipico" viene indicato come teutone o teutonico nel senso di "un uomo di forma possente e robusta" o di deutschtümelnd, oppure, a scopo ironico, un individuo che accenti fortemente i tratti caratteriali di tedesco.

Nel 101 a.C. - Il collega di Gaio Mario, Quinto Lutazio Càtulo, console nel 102, non era invece riuscito ad impedire che i Cimbri forzassero il passo del Brennero avanzando nell'Italia settentrionale verso il finire del 102 a.C.. Gaio Mario apprese la notizia mentre si trovava a Roma, dove era rieletto console per l'anno 101 a.C. e immediatamente si mise in marcia per ricongiungersi con Càtulo, il cui comando fu prorogato anche per il 101 a.C. Infine, nell'estate del 101 a.C., a Vercelli, nella Gallia Cisalpina, in una località allora chiamata Campi Raudii, ebbe luogo lo scontro decisivo. Ancora una volta la ferrea disciplina dei Romani ebbe la meglio sull'impeto dei Cimbri e almeno 65.000 di loro (o forse 100.000) perirono, mentre tutti i sopravvissuti furono ridotti in schiavitù. I Tigurini, clan dei Celti Elvezi, a quel punto rinunciarono al loro proposito di penetrare in Italia da Nord-Ovest e rientrarono nelle loro sedi. Càtulo e Mario, come consoli in carica, celebrarono insieme uno splendido trionfo, ma nell'opinione popolare, tutto il merito venne attribuito a Mario. In seguito Càtulo si trovò in contrasto con Mario, divenendone uno dei più accaniti rivali. Come ricompensa per avere sventato il pericolo dell'invasione barbarica, Mario venne rieletto console anche per l'anno 100 a.C. Gli avvenimenti di quell'anno, tuttavia, non gli furono propizi, poiché proprio nel corso dell'anno il tribuno della plebe Lucio Appuleio Saturnino richiese con forza che si varassero riforme simili a quelle per cui si erano in passato battuti i Gracchi. Propose quindi una legge per l'assegnazione di terre ai veterani della guerra appena conclusasi e per la distribuzione da parte dello stato di grano a prezzo inferiore a quello di mercato. Il senato si oppose a queste misure, provocando così lo scoppio di violente proteste, che presto sfociarono in una vera e propria rivolta popolare, e a Mario, come console in carica, fu chiesto di reprimerla. Sebbene egli fosse vicino al partito popolare, il supremo interesse della repubblica e l'alta magistratura da lui rivestita gli imposero di assolvere, sebbene riluttante, a questo compito. Dopodiché lasciò ogni carica pubblica e partì per un viaggio in Oriente mentre Roma conobbe alcuni anni di relativa tranquillità.

Vediamo ora le fasi della conquista romana dei territori in cui erano stanziate tribù di Germani fino al 260 e.v. (d.C.).

Nel 72 a.C. - Popolazioni germaniche comandate dal re Ariovisto invadono dei territori della Gallia, appannaggio delle tribù celtiche, sulla riva sinistra del Reno, dopo averlo attraversato insieme a popolazioni suebe (sveve) provenienti dalle vallate dei fiumi Neckar e Meno. Nel corso degli anni, gli esponenti di quelle tribù germaniche cresceranno di numero fino a raggiungere rapidamente le 120.000 unità.

I domini della Repubblica di Roma nel 58 a.C., quando erano state
romanizzate solo la Gallia Narbonensis (Provenza, Languedoc
e Occitania) e la Gallia Cisalpina (l'Italia settentrionale), prima della
conquista delle altre Gallie. Immagine di Cristiano64 - Opera propria,
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curid=2985081
 

Statua di Gaio Giulio
Cesare nel foro
romano, da QUI.
Nel 58 a.C. - Durante la conquista della Gallia da parte di Gaio Giulio Cesare, negli anni 58 e 57 a.C., si narra che Cesare, una volta battuti i celti Elvezi, abbia rivolto la sua attenzione alle tribù germaniche di Suebi (stirpe, secondo Tacito, appartenente agli  Herminones, che provenivano dal Suebicum mare, il Mar Baltico, chiamati Suebi da Strabone, Svevi durante il Medioevo, Schwäbisch in tedesco) che avevano invaso la Gallia nel 72 a.C. e le affrontò in combattimento in Alsazia, in una piana, ai piedi dei monti Vosgi, oggi compresa tra le città di Mulhouse e Cernay. I Germani, al termine dello scontro assai cruento, furono massacrati dalla cavalleria romana mentre cercavano di riattraversare il fiume Reno e lo stesso Ariovisto, il loro condottiero, scampò a stento alla morte, riuscendo a guadare il Reno insieme a pochi fedeli. Da quel momento Ariovisto scomparve dalla storia mentre Cesare, respingendo i Suebi al di là del Reno, eleggeva il fiume in quella che sarebbe stata la barriera naturale della Repubblica di Roma per molti anni a venire.

Prima della conquista della Gallia da parte di Gaio Giulio Cesare, spinte alle spalle dalla pressione dei Suebi, le tribù germaniche degli Usipeti e dei Tencteri avevano vagato per tre anni e si erano spinte a nord del fiume Meno, fino a raggiungere le regioni abitate dalla tribù celtico-gallica dei Menapi, alla foce del Reno. I Menapi possedevano, su entrambe le sponde del fiume, campi, casolari e villaggi e quindi, spaventati dall'arrivo di quella moltitudine di genti (Cesare sostiene fossero ben 430.000 persone), abbandonarono gli insediamenti a est del Reno e posero alcuni presidi lungo il fiume, per impedire ai Germani di passare in Gallia. Non riuscendo ad attraversare il fiume, Tencteri ed Usipeti simularono la ritirata per poi tornare improvvisamente di notte facendo strage dei Menapi che erano tornati nei loro villaggi. Si impadronirono quindi delle loro navi e passarono il fiume Reno, occuparono i loro villaggi in Gallia e si nutrirono per tutto l'inverno con le loro provviste. 

Venuto a conoscenza di questi fatti, Cesare decise di anticipare la sua partenza per la Gallia e raggiungere le sue legioni, che svernavano nei territori della Gallia Belgica. Era venuto inoltre a sapere che alcune tribù galliche avevano invitato le tribù germaniche ad abbandonare i territori appena conquistati del basso Reno, per inoltrarsi in Gallia. « Attratti da questa speranza, i Germani si spinsero più lontano con le loro scorrerie, fino ai territori degli Eburoni e dei Condrusi, che sono un popolo cliente dei Treviri [...] Cesare dopo aver blandito ed incoraggiato i capi della Gallia, ed avergli richiesto reparti di cavalleria alleata, stabilì di portare la guerra ai Germani [...] Cesare dopo aver provveduto a raccogliere frumento ed arruolati i cavalieri si diresse verso le regioni dove si diceva si trovassero i Germani. » (Cesare, De bello Gallico, IV, 6-7,1). 

I Germani Usipeti e Tencteri, che si trovavano in una località non molto distante dall'attuale città olandese di Nimega (in olandese Nijmegen), una volta venuti a conoscenza dell'avvicinamento dell'esercito romano decisero di inviare ambasciatori a Cesare, per chiedere al generale il permesso di stanziarsi in quei territori, offrendo in cambio la loro amicizia. Gli ricordarono il motivo per cui erano stati costretti a migrare ed il loro valore in battaglia, ma Cesare negò loro il permesso di occupare territori della Gallia sostenendo che non era giusto che i Germani si impadronissero delle terre di altri popoli, proprio loro che non erano stati capaci di difendere i propri territori dalle scorrerie dei Suebi. Cesare consigliò loro di riattraversare il Reno e di occupare i territori del popolo amico degli Ubi, che avevano chiesto a Cesare di intervenire oltre il grande fiume offrendogli la loro alleanza, per potersi liberare finalmente dal giogo dei vicini Suebi

Gli Ubi (in latino Ubii) erano un'antica popolazione germanica che aveva abitato, fino al 38 a.C., la sponda destra del fiume Reno nei territori di fronte all'attuale città di Köln (Colonia, dai Romani chiamata Ara o Oppidum Ubiorum dal 39 a.C., quando permisero agli Ubi di insediarsi sulla riva sinistra del Reno e Colonia Claudia Ara Agrippinensium dal 49), territori che confinavano a sud con quelli dei Suebi, di cui gli Ubi dovettero diventare tributari. Appartenenti, secondo Tacito, agli Istaevones (i Germani occidentali), confinavano, nella Gallia al di là del Reno, con i Treveri, anch'esso popolo originariamente germanico. Nel 55 a.C., Giulio Cesare, poco prima di oltrepassare il Reno e compiere la prima incursione romana in territorio germanico, descriveva così questo popolo: 

«...gli Ubi, nazione che in passato fu potente e florida... È un poco più civilizzata degli altri popoli proprio perché in prossimità del fiume Reno, e sono spesso visitati dai mercanti e questa vicinanza li fa assomigliare agli usi e costumi dei vicini Galli... ed i vicini Suebi, non avendo potuto cacciarli, malgrado ci avessero provato in passato con molte guerre, proprio per l'importanza e potenza di questa nazione, li sottomisero a sé come tributari, facendoli diventare meno importanti e più deboli...» (Cesare, De bello Gallico, IV, 3, 3-4).

Nel frattempo era stata quindi stabilita una tregua fra Usipeti e Tencteri con Cesare, al fine di giungere ad una soluzione, ma durante la tregua, quei Germani si scontrarono con uno squadrone di cavalleria gallo-romana, e lo costrinsero alla fuga. Così, quando gli ambasciatori di Usipeti e Tencteri si recarono da Cesare per giustificarsi, lui li accusò di non aver rispettato l'accordo, li fece imprigionare, dopodiché con una mossa fulminea, piombò sull'accampamento germanico difeso solo da carri e bagagli, massacrò uomini donne e bambini (quasi 200.000 persone) e costrinse i superstiti alla fuga verso nord, in direzione della confluenza del Reno con la Mosa, lungo uno dei tratti finali del Reno, quello più occidentale, chiamato Waal. L'azione, particolarmente cruenta, suscitò la sdegnata reazione di Catone, che propose al senato di consegnare Cesare ai Galli, in quanto colpevole di aver violato i diritti degli ambasciatori. Il Senato invece, proclamò una lunghissima supplicatio di ringraziamento di ben quindici giorni.

Ricostruzione del ponte sul Reno fatto costruire
da Gaio Giulio Cesare, tela di John Soane del 1814,
da https://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_di_Cesare_sul_
Reno#/media/File:Il_ponte_di_Cesare_sul_Reno.jpg
Nel 55 a.C. quindi, per rispondere alla richiesta di soccorso dei nuovi alleati Ubi e punire i loro oppressori, Cesare si decide ad attraversare il Reno ed entrare in Germania tramite la costruzione di un ponte che accedesse ai territori degli alleati Ubi, in una località identificata con Neuwied, 15 km a nord di Coblenza, per attuare un'azione dimostrativa che intimorisse e scoraggiasse definitivamente i propositi di tribù germaniche a stanziarsi in futuro nelle Gallie e/o di fornire truppe mercenarie ai Galli, intromettendosi fra le loro vicende e Roma. Il fiume Reno si presentava allora particolarmente largo e profondo, inoltre la rapidità delle sue acque richiedeva una struttura molto solida per un ponte. Per questo motivo furono utilizzati come sostegni dei cavalletti a due gambe, di cui ciascuna costituita da due pali molto robusti (con un diametro di 45 cm) ricavati da robusti tronchi, uniti tra loro da traverse lunghe circa 60 cm. Questa struttura diede a ciascuna gamba l'aspetto di una scala a pioli, ma essa si opponeva efficacemente alla corrente del fiume. 

Ponte romano sul Reno di Lo Scaligero, da https://
commons.wikimedia.org/wiki/File:Ponte_romano
_sul_Reno.png#mediaviewer/File:Ponte_romano
_sul_Reno.png
.
I pali avevano lunghezza variabile a seconda della profondità del fiume e furono calati nel fiume con apposite attrezzature, quindi messi in posizione e infissi con dei battipali. La parte che veniva appuntita veniva conficcata nel fondo del fiume e non si innalzavano perpendicolarmente al letto, ma venivano inclinati in modo che i pali a monte avessero la corrente contro, mentre quelli a valle l'avessero a favore. Una grossa trave teneva unita la coppia di piloni, completando il cavalletto. Su questa struttura poggiavano travi spesse 60 cm e lunghe quanto la distanza che vi era tra un pilone e l'altro, cioè 5 m. 
La pavimentazione era costituita di un’intelaiatura di legno poggiata su tronchi trasversali e ricoperta di tavole. Alla solidità bisognava affiancare l'elasticità, per cui non vennero utilizzati chiodi, ma legature in corda. Vennero anche approntate altre opere di rinforzo secondarie: a valle furono fissati altri pali obliqui per aumentare la resistenza alla corrente del ponte, mentre poco più a monte vennero costruite delle palizzate per attutire eventuali colpi subiti da alberi o navi che le popolazioni germaniche potevano lasciare nel fiume in modo da danneggiare il ponte. Il ponte doveva avere una carreggiata di circa 4 m ed era lungo poco meno di 500 m., con 56 campate di 8 m. che costituivano il ponte sul Reno. L'opera, secondo Cesare, fu completata in soli dieci giorni. Approntato il lungo ponte di legno sul Reno, Cesare lo attraversò con le sue truppe (composte da 8 legioni di 5/6.000 armati ciascuna) e si accamparono presso i nuovi alleati Ubi, poi per 18 giorni operarono una serie di devastazioni nei vicini territori dei Sigambri (che in seguito costituirono la confederazione dei Franchi) e dei Suebi (che in seguito costituirono la confederazione degli Alemanni o Alamanni), per fargli intendere di lasciare in pace gli Ubi, nuovi alleati di Roma. Terrorizzati a sufficienza i Germani, Gaio Giulio Cesare decise di far ritorno in Gallia, distruggendo il ponte alle proprie spalle per non lasciare facile accesso alla Gallia e fissando il confine della Gallia assoggettata alla Repubblica romana, sul Reno. (Gaio Giulio Cesare, De bello Gallico, IV, 16, 2; 18, 2; 19, 4 e Cassio Dione, Storia romana, XXXIX, 48).

Gaio Giulio Cesare,
da QUI.

Nel 54 a.C. - Tornato in Italia per ottemperare alle sue funzioni di proconsole nella Gallia Cisalpina (il settentrione italiano), Cesare si reca nell'Illirico poiché gli era stato riferito che i Pirusti erano sconfinati nel territorio romano. Alla sola notizia che Cesare stava arruolando truppe e le stava concentrando in un luogo stabilito, i Pirusti gli inviarono ambasciatori per trovare un accordo col generale romano. Cesare, preso atto delle loro giustificazioni, si fece consegnare ostaggi e dichiarò loro di essere pronto a muovere guerra se non avessero ottemperato agli obblighi, quindi Cesare tornò in Gallia, presso le sue legioni. Appena giunto, ispezionò tutti i quartieri d'inverno e le navi da guerra. Impartì quindi le istruzioni e ordinò alle truppe di concentrarsi a Porto Izio (forse Boulogne), da dove sapeva che il passaggio in Britannia che aveva intenzione di compiere fosse più conveniente, una traversata di circa trenta miglia dal continente. Lasciato lì il presidio che gli sembrava sufficiente, partì con quattro legioni e ottocento cavalieri per il paese dei Treveri, popolo che non partecipava alle assemblee e non obbediva agli ordini, e, si diceva, sollecitava l'intervento dei Germani trans-renani. I Treveri erano una potente tribù della Gallia Belgica, stanziata al nord est della Gallia, lungo le due sponde della Mosella, nel territorio dove sorse poi la città di Treviri, confinante col territorio dei Belgi Atuatuci a nord, con il territorio dei Vangioni, dei Nemeti e dei Germani Ubi ad est, con il territorio dei Mediomatrici a sud e con il territorio dei Belgi Remi ad ovest. Sebbene il popolo fosse originariamente germanico, in seguito al lungo insediamento in Gallia aveva accolto elementi celtici che si erano fusi al ceppo primario. I Treveri possedevano una cavalleria che era la migliore di tutta la Gallia e una numerosa fanteria. Due erano gli uomini che a quel tempo si contendevano la supremazia su questo popolo: Induziomaro e Cingetorige. Quest'ultimo, appena seppe dell'arrivo di Cesare con le legioni, si recò da lui confermando la fedeltà, sua e dei suoi, agli impegni presi con il popolo romano e l'intenzione di non tradire l'amicizia. Induziomaro, invece, decise di raccogliere truppe, di far nascondere nella foresta delle Ardenne coloro che non potevano combattere e di prepararsi alla guerra. Ma dopo che numerosi capi dei Treveri, indotti dal prestigio di Cingetorige e spaventati dall'arrivo dell'esercito romano, si erano presentati a Cesare con richieste a titolo personale, dato che non potevano decidere per l'intero popolo, Induziomaro, temendo una generale defezione, mandò ambasciatori a Cesare per spiegargli che lui non si era presentato poiché non aveva voluto lasciare il suo popolo per impedire che la plebe, approfittando dell'assenza di tutta la nobiltà, per imprudenza venisse meno agli impegni assunti. In questo modo il popolo era sotto controllo e, se Cesare lo avesse permesso, egli sarebbe venuto all'accampamento e avrebbe affidato a lui se stesso e il proprio popolo. Sebbene fosse consapevole che queste parole non erano vere, Cesare, per non essere costretto a passare l'estate nel paese dei Treveri, mentre tutto era già pronto per la spedizione in Britannia, ordinò a Induziomaro di presentarsi a lui con duecento ostaggi. Quando questi (tra cui lo stesso figlio di Induziomaro) gli furono consegnati, Cesare rassicurò il capo dei Treveri, esortandolo a mantener fede agli impegni presi. E comunque, convocati i capi di questo popolo, li fece mettere d'accordo a uno a uno con Cingetorige, sia per ricompensarlo, sia perché riteneva importante favorire presso i Treveri la presa di potere di un uomo ben disposto verso Roma. Induziomaro accettò male questa riduzione della sua influenza, ragion per cui il suo risentimento verso i Romani e Cesare crebbe.

A quel punto Cesare torna a Porto Izio e salpa, per la sua seconda spedizione, verso la Britannia. Una volta tornato in Gallia, nella seconda parte del 54 e nel 53 a.C., Cesare si trovò di fronte a una nuova rivolta contro i romani invasori guidati dai legati Quinto Titurio Sabino e Lucio Aurunculeio Cotta, guidata da Ambiorige e Catuvolco (re della metà degli Eburoni) del popolo degli Eburoni che, sobillati da Induziomaro dei Treviri, avevano massacrato a tradimento nel corso dell'inverno quindici sue coorti (di circa 600 uomini ciascuna). Gli Eburoni erano una tribù nella Gallia Belgica (oggi Francia del nord, Belgio e sud dei Paesi Bassi fino al fiume Reno) di cui Gaio Giulio Cesare scrisse che erano un popolo di origine germanica e che praticasse sacrifici umani al dio Fonohok. Si pensa che vivessero tra il fiume Mosa e il Reno. La loro capitale era Atuatuca, che in seguito alla loro scomparsa divenne capitale dei Tungri. Per Cesare era a quel punto opportuno rivolgere la propria attenzione ad Ambiorige, Catuvolco e ai loro Eburoni. Una volta attraversata la foresta delle Ardenne, mandò a precederlo con l'intera cavalleria Lucio Minucio Basilo, con l'ordine di sfruttare la rapidità della marcia e di sorprendere il nemico. Ambiorige riuscì per poco a sfuggire alla cattura romana: Basilio era riuscito ad individuarne il nascondiglio, ma Ambiorige, protetto dai suoi, riuscì a volgere in fuga nei fitti boschi che circondavano il luogo. Il panico per l'avanzata romana portò l'intero popolo degli Eburoni a cercare rifugio nelle foreste, nelle paludi e nelle isole, mentre Catuvolco, re della metà degli Eburoni, data l'età ormai avanzata e disperando ormai di potersi salvare, decise di suicidarsi, dopo aver maledetto Ambiorige per averlo coinvolto nella rivolta. Il terrore si diffuse anche tra le popolazioni limitrofe, tanto che sia i Segni, sia i Condrusi, popoli che vivevano tra i Treviri e gli Eburoni, inviarono a Cesare ambasciatori per pregarlo di considerarli amici del popolo romano, pur appartenendo alla stirpe dei Germani. Cesare, per provarne l'autenticità dei sentimenti, ordinò che gli fossero consegnati tutti gli Eburoni rifugiati presso di loro; in cambio, assicurava che non avrebbe invaso e devastato i loro territori. Segni e Condrusi si piegarono. Isolato così Ambiorige, raggiunse l'oppidum di Atuatuca, dove lasciò i carriaggi carichi di bottino, duecento cavalieri ed una legione (la legio XIV, appena riformata) a loro protezione, affidandoli al giovane legato Quinto Tullio Cicerone. Cesare decise quindi di attaccare gli alleati del principe eburone prima di provocalo a guerra aperta, evitando così che, persa la speranza di salvarsi, potesse nascondersi tra il popolo dei Menapi o al di là del Reno, tra i Germani. Con le restanti nove legioni (di 5/6.000 armati ciascuna), divise in tre colonne parallele (formate ciascuna da tre legioni), delegò a Tito Labieno il compito di controllare i Menapi fino all'oceano e a Gaio Trebonio quello di devastare i territori contigui al paese degli Atuatuci. Poi Gaio Giulio Cesare, il comandante in capo, raggiunse invece la confluenza tra il fiume Schelda e la Mosa, dove gli era stato riferito che Ambiorige si era diretto con pochi cavalieri. Dispose infine che le colonne avrebbero dovuto riunirsi tutte sette giorni dopo, ancora ad Atuatuca. Cesare aveva in mente non solo di catturare il capo degli Eburoni, ma anche di sterminarli tutti, vendetta per le quindici sue coorti (di 5/6.000 armati ciascuna) massacrate a tradimento nel corso dell'inverno precedente. La difficoltà del generale romano era riuscire a scovarli, poiché l'essersi dispersi e rifugiati ovunque nelle foreste e nelle paludi offriva loro qualche speranza di difesa o salvezza. Il proconsole romano inviò ambasciatori a tutte le genti della regione affinché, con la promessa di un ricco bottino, fossero gli stessi Galli a rischiare la vita in quei luoghi angusti (e non i suoi legionari) ed a cancellare completamente il popolo degli Eburoni. Il massacro ebbe inizio poco dopo, poiché una grande moltitudine di Galli si radunò rapidamente nei loro territori. Parteciparono alle operazioni anche i Germani Sigambri che, una volta attraversato il Reno con duemila cavalieri, entrarono nel territorio degli Eburoni e si impadronirono di una grande quantità di bestiame. Informati però che presso Atuatuca solo un'esigua guarnigione era stata lasciata a guardia dell'enorme bottino fatto da Cesare nel corso di quegli anni, decisero di recarsi con grande velocità in questa località per impadronirsene prima del ritorno del proconsole. Cicerone, il legato rimasto a guardia di Atuatuca, dopo aver atteso il ritorno di Cesare per sette giorni e non vedendolo tornare, decise di inviare cinque coorti (di 5/6.000 uomini ciascuna) a mietere frumento. Ma proprio quel giorno i legionari romani, intenti a fare raccolto, furono intercettati dalla cavalleria dei Sigambri. Nello scontro che ne seguì, nel tentativo di riguadagnare il forte romano, due delle cinque coorti furono massacrate. Gli assalti che si susseguirono al castrum romano furono drammatici; perfino i feriti romani furono costretti ad imbracciare le armi e a partecipare alla difesa disperata, che riuscì a respingere l'assalto nemico. Alla fine i Germani, persa la speranza di espugnare il forte e forse venuti a conoscenza dell'imminente ritorno del proconsole, si ritirarono oltre il Reno. Alla fine dell'estate Cesare era riuscito a devastare interamente il Paese degli Eburoni: « Tutti i villaggi e le fattorie [...] venivano incendiati, il bestiame ucciso, ovunque si saccheggiava, il frumento era consumato dalla moltitudine dei cavalli e degli uomini è [...] cosicché anche una volta allontanatosi l'esercito invasore, chiunque (tra gli Eburoni), anche se fosse riuscito a nascondersi, non avrebbe potuto evitare di morire per la carestia. [...] ed intanto Ambiorige riusciva a fuggire per nascondigli e boschi con la protezione della notte e si trasferiva in altre regioni, sotto la scorta di quattro cavalieri ai quali soltanto affidava la sua vita. » (Cesare, De bello Gallico, VI, 42). Con la fine dell'estate Cesare ricondusse l'esercito a Durocortorum, tra i Remi. Qui convocò un'assemblea affinché conducesse un'inchiesta sulla congiura promossa da Senoni e Carnuti. Dopo la conclusione delle indagini, fece prima flagellare e poi decapitare il capo ribelle, Accone, (capo della tribù celto-gallica dei Senoni, che aveva spinto il suo popolo alla rivolta contro Gaio Giulio Cesare nel 53 a.C.) quale monito per tutti i Galli. Sciolta l'assemblea e provveduto al frumento necessario per l'inverno, collocò due legioni (di 5/6.000 armati ciascuna) al confine con i Treveri, due nel Paese dei Lingoni e le sei restanti ad Agendico, tra i Senoni, prima di far ritorno in Italia come sua abitudine. A seguito di questa rivolta gli Eburoni furono sterminati e le loro terre devastate; furono rimpiazzati dai Tungri, tribù celto-gallica.

Secondo altre fonti invece, pare che Cesare, una volta stabilito di attaccare per primi gli alleati degli Eburoni, con cinque legioni e senza bagagli si fosse messo in marcia alla volta dei Menapi (i cui territori saranno inglobati quasi 150 anni più tardi nella provincia della Germania inferior), i quali, grazie alla conformazione del terreno, decisero di non radunare l'esercito, ma di rifugiarsi nelle fitte foreste e paludi con i loro beni più preziosi, poiché sapevano che avrebbero avuto la peggio in uno scontro aperto con il generale romano. I Menapi, tribù celtica della Gallia Belgica, secondo Strabone e Tolomeo, vivevano nella zona dell'estuario del Reno e verso sud lungo la Schelda, fino alle Ardenne, in epoca pre-romana e romana. La loro città principale era l'oppidum di Cassel, nei pressi di Terouanne (Francia del nord). Confinavano a ovest coi Morini, a sud-est coi Nervi, a nord-est con gli Eburoni (fino all'arrivo di Cesare, a cui si opposero strenuamente), a est coi Tungri (da dopo Augusto) e a nord (oltre la foce della Schelda) coi Sigambri e i Batavi. La strategia di Cesare è stata quella di dividere il suo esercito in tre colonne parallele: una guidata dal luogotenente Gaio Fabio, una dal questore Marco Crasso e la terza, presumibilmente quella centrale, sotto la sua guida. Le operazioni cominciarono con la devastazione dei territori del nemico in ogni direzione; molti villaggi furono incendiati, mentre una grande parte del bestiame dei Galli fu razziata e molti dei loro uomini furono fatti prigionieri. Alla fine anche i Menapi inviarono a Cesare ambasciatori per chiedere la pace. Cesare lasciò sul posto l'atrebate Commio con la cavalleria, affinché mantenesse l'ordine, e prestò la propria attenzione verso il territorio dei Treveri, più a sud (territorio della futura provincia di Germania superior) dove era stanziato il legato di Cesare Tito Labieno.

Le Gallie dopo la conquista di Gaio Giulio Cesare,
Il proconsole romano Cesare aveva spedito tutti i suoi carriaggi (complesso dei carri e dei trasporti su ruote che compongono le salmerie al seguito delle truppe), accompagnati da due legioni (di 5/6.000 armati ciascuna), nel paese dei Treveri, al campo base di Tito Labieno, dove lo stesso aveva svernato con un'altra legione. Induziomaro dei Treveri, conscio del prestigio che si era guadagnato presso molti popoli e convinto che avrebbe trovato facilmente truppe di volontari se fosse uscito dal suo territorio, convocò l'assemblea armata dei Treveri, in cui dichiarò nemico pubblico Cingetorige, confiscandone i beni. Dichiarò poi davanti all'assemblea di essere stato chiamato dai Senoni, dai Carnuti e da altri popoli della Gallia, e che quindi si sarebbe diretto verso di loro, passando attraverso il territorio dei Remi, devastandolo, ma che prima avrebbe dato l'assalto all'accampamento del legato di Cesare, Tito Labieno, nei pressi di un fiume identificabile con il Semois, a circa quattoridici miglia ad est della Mosa, che era però ben difeso e ben fortificato, e si trovava in una buona posizione strategica. Informato da Cingetorige e dai suoi parenti del discorso tenuto da Induziomaro, Labieno inviò messaggi ai popoli confinanti e richiamò da ogni parte truppe di cavalleria, ordinando il giorno in cui avrebbero dovuto puntualmente presentarsi. Nel frattempo, quasi ogni giorno Induziomaro si aggirava con la cavalleria presso l'accampamento romano per studiarne la posizione, per venire a colloquio e per incutere timore. I cavalieri bersagliavano il campo con proiettili e Labieno doveva trattenere le truppe al coperto, cercando di dare l'impressione di essere intimoriti dai ribelli. Mentre Induziomaro continuava ad avvicinarsi al campo, Labieno fece entrare di nascosto in una sola notte tutti i cavalieri giunti su suo ordine. Come ormai era solito fare da giorni, Induziomaro si accostò al campo, trascorrendo là la maggior parte del giorno, mentre i suoi cavalieri lanciavano giavellotti e parole ingiuriose per provocare i Romani. Non ottenendo alcuna risposta quindi, all'imbrunire i ribelli si allontanarono in piccoli gruppi in ordine sparso, e allora Labieno fece uscire all'improvviso tutti i cavalieri da due porte e ordinò espressamente che, dopo aver spaventato e messo in fuga la cavalleria nemica, si cercassero il solo Induziomaro e lo si uccidesse, promettendo grandi ricompense a chi ci fosse riuscito. Mandò poi le coorti in appoggio alla cavalleria. Il suo piano riuscì e Induziomaro fu raggiunto e ucciso, mentre stava guadando un fiume: la sua testa fu portata all'accampamento. Mentre rientrava al campo, la cavalleria inseguì e uccise anche tutti i nemici che poteva. Informate dell'accaduto, le truppe degli Eburoni e dei Nervi, che si erano radunate, si dispersero. I Romani riuscirono così ad ottenere la resa dei Treviri di Induziomaro e trasferirono il potere nelle mani di Cingetorige, da sempre principe filo-romano.

Nel 53 a.C. - Cesare ha lasciato scritto che il suo legato, Quinto Tullio Cicerone, a capo di 7 coorti legionarie della legio XIV, era stato sconfitto presso Atuatuca, capitale degli Eburoni (l'attuale Tengeren, nel Belgio fiammingo) da 2.000 guerrieri dei Germani Sigambri, per cui, venuto a sapere del nuovo successo ottenuto dal suo legato Tito Labieno sui Treveri, decide di passare per la seconda volta il Reno, costruendovi un secondo ponte con la stessa tecnica del primo (il secondo ponte costruito nel 53 a.C. era a 2 km circa a monte del primo), in una località compresa tra Urmitz e Weissenturm, nei pressi di Coblenza, ancora una volta di fronte alla sponda germanica abitata dagli Ubi). I motivi che lo spinsero a prendere questa decisione erano due: non solo i Germani avevano mandato aiuti ai Treveri contro i Romani, ma Cesare temeva anche che Ambiorige degli Eburoni potesse trovarvi rifugio. « Stabilito ciò, decise di costruire un ponte un poco più a monte del luogo dove aveva attraversato il fiume la volta precedente [...] dopo aver lasciato un forte presidio a capo del ponte nel territorio dei Treveri, per impedire che si sollevassero di nuovo [...] portò sulla sponda germanica le altre legioni e la cavalleria. Gli Ubi, che in passato avevano consegnato ostaggi e riconosciuto l'autorità romana, per allontanare da loro possibili sospetti, mandarono a Cesare degli ambasciatori [...] non avevano infatti né inviato aiuti ai Treveri, né avevano violato i patti [...] Cesare scoprì infatti che gli aiuti erano stati inviati dai Suebi [...] Accetta pertanto le spiegazioni degli Ubi e si informa sulle vie da seguire per giungere nel paese dei Suebi. » (Cesare, De bello Gallico, VI, 9). Ma i Suebi, che ormai conoscevano le gesta militari del generale romano, decisero di ritirarsi nell'interno ed aspettare, in luoghi remoti e difesi dalle insidie delle fitte foreste e delle pericolose paludi, il possibile arrivo di Cesare. L'inverno stava ormai avanzando e non c'era tempo di condurre una nuova campagna in quelle terre così selvagge per cui Cesare, tenendo conto che il suo obiettivo principale era il controllo della Gallia e considerando anche la difficoltà degli approvvigionamenti di frumento in un territorio tanto selvaggio, decise di tornare indietro. « Cesare per lasciare ai barbari il timore di un suo ritorno [...] una volta ricondotto l'esercito in Gallia, fece tagliare solo l'ultima parte del ponte per una lunghezza di circa 200 piedi (60 metri N.d.R.) ed all'estremità fece costruire una torre di quattro piani, oltre ad una fortificazione imponente munita di ben 12 coorti (di circa 600 uomini ciascuna N.d.R.), assegnando il comando al giovane Gaio Vulcacio Tullo » (Cesare, De bello Gallico, VI, 29), affinché i Germani non dimenticassero che in qualunque momento gli eserciti romani avrebbero potuto marciare contro di loro.

I domini della Roma Repubblicana dopo la conquista delle Gallie,
nel 50 a.C. Immagine di Cristiano64 - Opera propria, CC BY-SA

Marco Vipsanio Agrippa
al Louvre di Parigi,
immagine di Shawn
Lipowski da QUI.
Nel 38 a.C. - Marco Vipsanio Agrippa, amico e futuro genero di Cesare Ottaviano (che diventerà poi Augusto) divenuto governatore della Gallia, decide di passare il fiume Reno a causa delle continue razzie compiute da parte di una tribù germanica di Suebi (di stirpe degli Herminones, così chiamati da Tacito, che provenivano dal Suevicum, il Mar Baltico, indicati con il nome generico  di Suebi o Svevi durante il Medioevo, che chiamavano se stessi Schwäbisch, in tedesco) e di altre popolazioni germaniche che abitavano lungo la sponda destra del grande fiume, che avevano tentato di passare il Reno con grave danno per le province galliche. Il passaggio del fiume da parte delle armate romane avvenne nel territorio degli alleati Ubi, rimasti fedeli ai Romani fin dai tempi di Cesare e Agrippa compì così ingenti devastazioni nei territori germanici. 
Roma, intitolazione ad Agrippa
del Pantheon, da QUI.
Una volta date sufficienti dimostrazioni di forza con le armi, Agrippa tornò sulla sponda sinistra del grande fiume, permettendo agli alleati Ubi di trasferirsi in massa all'interno dei confini imperiali, garantendo così loro una maggiore protezione, riconoscente dei servigi prestati durante quell'anno di guerra e per tener lontani eventuali altri Germani. Una volta trasferiti all'interno dei confini dell'Impero romano, gli Ubi rimasero fedeli alleati dei Romani, fondando per l'occasione una nuova città: Ara Ubiorum, la moderna città di Köln (Colonia). In questa città, a partire dalla disfatta di Teutoburgo del 9 d.C. e almeno fino al 17-18, soggiorneranno due legioni: la legio I Germanica e la legio XX Valeria Victrix.

Nel 29 a.C. - I Suebi tentano nuovamente di passare il Reno, con grave danno per le province galliche.

Statua di Augusto di
Prima Porta, Musei
Vaticani, da  QUI.
Dal 26 a.C. - L'imperatore Augusto inaugura una serie di campagne militari, fino all'8 a.C., per occupare tutti i territori alpini della Rezia fino alla Vindelicia, al fine di poter occupare la Germania Magna fino all'Elba.

Nel 19 a.C. - Il generale romano Marco Vipsanio Agrippa è impiegato sia per sedare alcune rivolte in Gallia Comata causate da Germani che per sedare definitivamente una nuova rivolta dei Cantabrici in Hispania.

Nel 17 a.C. - La tribù germanica dei Sigambri al comando di Melo, insieme alle tribù alleate dei germani Usipeti e Tencteri, catturano nei loro territori alcuni  commercianti romani e li impalano (o crocefiggono N.d.R.), poi attraversano il Reno portando devastazione nella Gallia Comata, saccheggiandone i territori e provocando il pronto intervento della cavalleria romana, mandata in soccorso dalle guarnigioni del Limes renano. L'esito fu però disastroso per i Romani, poiché non solo la cavalleria fu sorpresa e distrutta in un agguato ma, cosa ben più grave, l'esercito accorrente del governatore della provincia, Marco Lollio, subisce una disastrosa sconfitta contro Sigambri, Usipeti e Tencteri (clades lolliana del 17 a.C.), paragonabile a quella di Publio Quintilio Varo, dove una delle sue legioni, la V Alaudae, perde l'Aquila, con grande disonore per le armate romane (Velleio Patercolo, Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo, 97; Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 23; Tacito, Annales, I, 10).

Le popolazioni germaniche avevano più volte tentato di passare il Reno con grave danno per le province galliche: nel 38 a.C. (anno in cui gli alleati germani, Ubi, furono trasferiti in territorio romano), nel 29 a.C. da parte dei Suebi e nel 17 a.C. ad opera di Sigambri e dei loro alleati Tencteri ed Usipeti. È forse a questo periodo che si può attribuire la costruzione di alcuni castra (forti e fortezze) militari come quelli di Folleville e Mirebeau-sur-Bèze all'interno della Gallia oppure Castra Vetera (Xanten, in Renania Settentrionale/Vestfalia, Germania) e Mogontiacum (Mainz/Magonza, nella Renania-Palatinato, Germania ) lungo il fiume Reno. Augusto stesso, in seguito a questi eventi, decise di partire per il fronte germanico, fermandosi in Gallia per due interi anni, per rendersi conto sul da farsi e programmando per gli anni a venire l'occupazione della Germania Magna, portando così i confini imperiali (il limes) dal fiume Reno all'Elba. D'altra parte le campagne di conquista dei territori alpini della Vindelicia e della Rezia erano state intraprese al fine di occupare la Germania Magna.

Nel 16 a.C. - Sebbene Augusto, dopo la campagna in Oriente, avesse ufficialmente dichiarato in senato che avrebbe abbandonato la politica di espansione, ben sapendo che un'estensione territoriale eccessiva sarebbe stata letale per l'imperium romano, decide comunque di attuare altre campagne per rendere sicuri i confini dai Germani. Tiberio, appena nominato pretore, accompagna Augusto in Gallia Comata, dove trascorre i tre anni successivi, fino al 13 a.C., per assisterlo nell'organizzazione e nel governo delle province galliche. Il princeps fu accompagnato dal figliastro anche in una campagna punitiva oltre il Reno, contro le tribù dei Sigambri e dei loro alleati, Tencteri ed Usipeti, che nell'inverno del 17-16 a.C. avevano causato la sconfitta del proconsole Marco Lollio, la parziale distruzione della legio V Alaudae e la perdita delle insegne legionarie. Augusto riteneva fosse giunto il momento di annettere la Germania a Roma, come aveva fatto il suo padre adottivo, Gaio Giulio Cesare, con la Gallia, desiderando spingere i confini dell'Impero romano più ad est, spostandoli dal fiume Reno al fiume Elba. Il motivo era prettamente strategico, più che di natura economica e commerciale; del resto si trattava di territori acquitrinosi e ricoperti da interminabili foreste. Il fiume Elba avrebbe ridotto notevolmente i confini esterni dell'impero, permettendo una migliore distribuzione ed economia di forze lungo il suo tracciato. Questo significava che era necessario operare, parallelamente, sul fronte meridionale, portando i nuovi confini dell'Illirico al medio corso del Danubio. Per conquistare la Germania comunque, era necessario occupare prima i territori alpini della Vindelicia e della Rezia e a tal fine erano mirate le campagne militari iniziate fin dal 26 a.C.

Nerone Claudio Druso,
noto come Druso
Maggiore, a cui fu
assegnato l'appellativo
Germanicus, anche per
i suoi discendenti,
da QUI.

Nello stesso 16 a.C. quindi, Druso maggiore, uno dei più audaci realizzatori della politica militare di Augusto, nella carica di questore combatte contro Reti e Vindelici a nord dei passi alpini, in quella che sarà la nuova provincia di Rezia. Nerone Claudio Druso (Roma, 14 gennaio 38 a.C. - Mogontiacum, 9 a.C.), nato come Decimo Claudio Druso o Decimo Claudio Nerone e meglio conosciuto come Druso maggiore (Drusus maior, per distinguerlo dal nipote Druso minore, figlio di Tiberio), apparteneva alla dinastia giulio-claudia in quanto figlio della terza moglie di Augusto, Livia Drusilla, madre anche di Tiberio. Secondo Svetonio, Druso nacque con il prenome di Decimus, in seguito cambiato in Nero. Era nato poco dopo il divorzio di sua madre Livia Drusilla dal padre, Tiberio Claudio Nerone, per potere sposare Augusto. Il padre adottivo Augusto aveva concesso numerosi privilegi al figliastro, che nel 19 a.C., aveva avuto la possibilità di ricoprire cariche pubbliche (cursus honorum) cinque anni prima dell'età consentita per legge.

Nel 15 a.C. - Roma sottomette i territori di Rezia e Vindelicia. Insieme al fratello Tiberio, Druso (maggiore) conduce una campagna militare contro le popolazioni dei Reti, stanziati tra il Norico e la Gallia Comata, e Vindelici. Druso aveva già in precedenza scacciato dal territorio italico i Reti, che si erano resi colpevoli di numerose scorrerie, ma Augusto decise di inviare anche Tiberio, affinché la situazione fosse definitivamente risolta. I due, nel tentativo di accerchiare il nemico attaccandolo su due fronti senza lasciargli vie di fuga, progettarono una grande "operazione a tenaglia" (risultata fondamentale nelle successive campagne germaniche del 12-9 a.C.), che misero in pratica anche grazie all'aiuto dei loro luogotenenti: Tiberio mosse dalla Gallia Comata (da Lugdunum, Lione), passando per l'Elvezia, mentre il fratello minore da Aquileia (nella Gallia cisalpina) e raggiunta Tridentum (Trento), divise l'esercito in due colonne. Una prima colonna percorse la valle dell'Adige e dell'Isarco (alla cui confluenza costruì il Pons Drusi, presso l'attuale Bolzano), risalendo fino all'Inn; la seconda percorse quella che diventerà sotto l'imperatore Claudio la via Claudia Augusta (tracciata pertanto dal padre Druso maggiore) che attraverso la val Venosta ed il passo di Resia, raggiungeva anch'essa il fiume Inn. Tiberio, che avanzava da ovest, sconfisse i Vindelici nei pressi di Basilea e del lago di Costanza. In quel luogo i due eserciti poterono riunirsi e prepararsi a invadere la Vindelicia. Druso nel frattempo aveva sconfitto e sottomesso i popoli dei Breuni e dei Genauni. L'azione congiunta permise ai due fratelli di avanzare fino alle sorgenti del Danubio, dove ottennero l'ultima e definitiva vittoria sui Vindelici. Questi successi permisero ad Augusto di sottomettere le popolazioni dell'arco alpino fino al Danubio e gli valsero una nuova acclamazione imperatoria, mentre Druso maggiore, figliastro prediletto di Augusto, per questa vittoria ottenne gli ornamenta praetoria e il rango pretorio.

Rezia con la Vindelicia e Norico romani, da https://
it.wikipedia.org/wiki/Reti#/media/File:Droysens_
Hist_Handatlas_S17_Germanien.jpg
.
La Rezia (in latino Raetia) era la denominazione della regione geografica alpina abitata dal popolo dei Reti e corrispondeva ad una zona adesso compresa tra Svizzera, Baviera, Svevia, Austria, Trentino-Alto Adige, provincia di Belluno ed alcune valli della Lombardia settentrionale, tra cui la Valtellina. In età romana, i centri maggiori erano: Alae (Aalen, nel Baden-Württemberg/Svevia, Germania), Arbor Felix (Arbon, nel San Gallo, Svizzera), Apodiacum (Epfach in Bayern/Baviera, Germania), Augusta Vindelicorum (Augusta/Augsburg in Bayern/Baviera, Germania), Aquilea (Heidenheim an der Brenz, nel Baden-Württemberg/Svevia, Germania), Bilitio (Bellinzona, nel Ticino, Svizzera), Brigantium (Bregenz, nel Vorarlberg, Austria), Cambodunum (Kempten im Allgäu, in Bayern/Baviera, Germania ), Castra Batava (Passavia/Passau, in Bayern/Baviera, Germania ), Castra Regina (Regen/Ratisbona, in Bayern/Baviera, Germania), Clunia (probabilmente Feldkirch o Balzers, nel Vorarlberg, Austria), Curia Raetorum (Coira, nei Grigioni, Svizzera), Foetes (Füssen, in Bayern/Baviera, Germania), Guntia (Günzburg, in Bayern/Baviera, Germania ), Gamundia Romana (Schwäbisch Gmünd, nel Baden-Württemberg/Svevia, Germania), Parthanum (Partenkirchen, in Bayern/Baviera, Germania), Sorviodurum (Straubing, in Bayern/Baviera, Germania). In Rezia coabitarono e si succedettero diverse popolazioni, sia indoeuropee che pre-indoeuropee; il nome stesso della regione deriva da quello dei suoi primi abitatori noti, i Reti, un popolo non indoeuropeo. In seguito nell'area penetrarono nuclei celtici che si scontrarono, si mescolarono o si sovrapposero ai Reti. In tempi remoti vi si spinsero gli Etruschi, in seguito cacciati dai Celti (o Galli). La regione costituì l'area di transizione tra i Galli celtici e i Pannoni, gruppo misto tra Celti e Illiri. A partire dalla conquista romana la regione ospitò numerosi nuclei latini, composti sia da coloni che da militari (la provincia era collocata infatti a ridosso del Limes germanico-retico). A causa della vicinanza del Limes, la regione fu tra le prime a essere investita dalle invasioni barbariche fin dal III secolo. La penetrazione germanica fu intensa, tanto da portare alla germanizzazione dell'area. I Romani, che dettero il nome all'area ed agli abitanti (i Reti), conquistarono la Rezia nel 15 a.C., a seguito delle campagne condotte da Druso e Tiberio. Augusto affidò il territorio di nuova acquisizione ad un prefetto (praefectus Raetis, Vindelicis et Vallis Poeninae) sottoposto all'autorità del legato, comandante dell'esercito della futura provincia di Germania Superior. Il distretto militare venne elevato a provincia però solo da Claudio, con il nome di Raetia, Vindelicia e Vallis Poenina (comprendendo quindi anche il distretto delle Alpi centro-occidentali). La provincia venne affidata ad un cavaliere di rango ducenario con il procurator Augusti. La prima capitale provinciale è stata Camdodunum (Kempten, in Bayern/Baviera, Germania) poi, dalla fine del I secolo d.C., Augusta Vindelicum (Augsburg in Bayern/Baviera, Germania) divenne il nuovo caput provinciae. Dopo le guerre marcomanniche del II secolo d.C., la provincia di Raetia passa da provincia procuratoria a provincia legataria, ed è quindi assegnata ad un legatus Augusti pro praetore al comando della Legio III Italica, acquartierata nella vicina Castra Regina (l'odierna Regen/Ratisbona in Bayern/Baviera, Germania). Tra il 356 e il 358 gli Iutungi e gli Alamanni invasero la Rezia distruggendone la capitale Castra Regina, uno dei più grandi accampamenti militari della Germania.

I Vindelici erano l'antica popolazione alpina che abitava la regione chiamata, nella geografia dell'Europa preromana, Vindelicia. Quest'area era delimitata a nord dal Danubio e in seguito dal Limes renano di Adriano, a est dal fiume Oenus (Inn), a sud dalla Rezia e ad ovest dai territori degli Elvezi. Corrispondeva dunque alla parte nordorientale della Svizzera, al Baden sudorientale ed al sud del Württemberg/Svevia e del Bayern/Baviera. L'etnonimo "Vindelici" è stato spesso messo in relazione a quello dei Venedi (Germani slavizzati), dei Veneti britannici o dei Veneti adriatici: la frequenza di questo etnonimo in diverse aree europee non va però spiegato con ipotetici legami storici e linguistici tra i diversi popoli che ne hanno fatto uso, quanto piuttosto un'uguale derivazione, più volte ripetuta, dalla medesima radice indoeuropea *wen ("amare"). I "Veneti" (*wenetoi) sarebbero pertanto gli "amati", o forse gli "amabili", gli "amichevoli". La cultura dei Vindelici era la Cultura celtica di La Tène anche se non è certo se i Vindelici parlassero una lingua celtica (o gallica) o germanica, ed è anche possibile che fossero una popolazione di origine celtica ma con una forte componente illirica. I Vindelici vennero sottomessi a Roma nel contesto delle campagne di conquista di Rezia ed arco alpino sotto Augusto, condotte dai generali Druso maggiore e Tiberio (il futuro imperatore) tra il 16 e il 15 a.C. Nello stesso anno la capitale della regione occupata dai Vindelici fu ri-fondata con il nome di Augusta Vindelicorum ("Augusta dei Vindelici"), e in seguito trasformata dall'imperatore Adriano in municipium. Oggi è la città di Augsburg/Augusta. Il nome dei Vindelici è ricordato in nona posizione nel Trofeo delle Alpi ("Tropaeum Alpium"), monumento romano eretto nel 7-6 a.C. per celebrare la sottomissione delle popolazioni alpine e situato presso La Turbie del Principato di Monaco, nel sud della Francia. In esso si specifica che i Vindelici si suddividevano in quattro tribù: «Popoli alpini sottomessi: [...] · Le quattro tribù dei Vindelici · Cosuaneti · Rucinati · Licati · Catenati [...].» (Trofeo delle Alpi, Iscrizione frontale)

Dal 13 a.C. - Il difficile compito di sottomettere le popolazioni dell'intera Germania Magna, che era stato affidato al generale Marco Vipsanio Agrippa, amico e genero di Augusto, dopo la morte di questi per cause naturali nel 13 a.C., è affidato prima al secondo figliastro dell'imperatore Augusto, Druso maggiore, poi al suo fratello maggiore Tiberio.

Dal 12 a.C. - Cominciano le campagne per sottomettere le popolazioni dell'intera Germania al comando del secondo figliastro dell'imperatore, Druso maggiore (Nero Claudius Drusus; Roma, 14 gennaio 38 a.C. - Mogontiacum, 9 a.C., padre di Germanico, Claudia Livilla e del futuro imperatore Claudio), figlio della terza moglie di Augusto, Livia Drusilla e fratello minore di Tiberio. Nel corso dei quattro anni successivi (dal 12 al 9 a.C.), Druso maggiore si spinge fino all'Ems (l'Amisia dei Romani, attraversa gli stati della Renania Settentrionale-Vestfalia e Bassa Sassonia; il suo estuario, una baia del Mare del Nord chiamata Dollard, forma il confine di stato tra la regione basso-sassone della Frisia orientale in Germania e la provincia di Groninga nei Paesi Bassi. Alla sorgente del fiume, nel 9 d.C. si svolgerà la battaglia della foresta di Teutoburgo), poi al Weser e infine all'Elba, iniziando a costruire una prima rete di fortificazioni difensive. Nel corso della prima campagna del 12 a.C., Druso penetra all'interno del territorio germano, passando per l'isola dei Batavi (probabili alleati di Roma) e devasta le terre di Usipeti e Sigambri. Dopo aver disceso con una flotta il Reno in direzione del Mare del Nord (grazie anche alla costruzione di un canale artificiale, la fossa Drusi), si rende alleati i Frisi e penetra nel territorio dei Cauci, fino oltre l'Amisia (l'attuale Ems, dove potrebbe aver costituito un avamposto per l'attracco): «... dove si trovò in pericolo quando le sue imbarcazioni si incagliarono a causa di un riflusso della marea dell'Oceano. In questa circostanza venne salvato dai Frisi, che avevano seguito la sua spedizione con un esercito terrestre, e dopo di ciò si ritirò, dal momento che ormai l'inverno era cominciato...» (Cassio Dione, LIV, 32.2-3.)

Nell'11 a.C. - Druso affronta e batte per primo, sottomettendolo, il popolo degli Usipeti. Getta quindi un ponte sul fiume Lupia (l'attuale Lippe), che si trova di fronte a Castra Vetera (Xanten, in Renania Settentrionale/Vestfalia, Germania) e invade il territorio dei Sigambri, che erano però assenti poiché in lotta con i vicini Catti. Penetrato all'interno della Germania Magna, raggiunge prima il popolo dei Marsi e poi i confini occidentali dei Cherusci sul fiume Visurgis (l'attuale Weser). Avrebbe attraversato questo fiume se non fosse stato a corto di approvvigionamenti e non fosse sopraggiunto l'inverno. Cassio Dione aggiunge che nel suo accampamento, nei pressi del Weser, venne visto uno sciame di api, quasi che fosse un presagio negativo a non proseguire in territorio nemico. «In Germania, nell'accampamento di Druso, uno sciame di api si posò nella tenda di Ostilio Rufo, prefetto dell'accampamento: la fune tesa e la lancia che fissava la tenda ne furono avvolte. Un gran numero di Romani fu sconfitto in un'imboscata.» (Giulio Ossequente, Libro dei prodigi, 2.81, Paulo Fabio et Q. Aelio cons. - 11 a.C.)

Sulla strada del ritorno infatti, è assalito da una coalizione dei tre popoli dei Sigambri, Cherusci e Suebi (di stirpe degli Herminones, così chiamati da Tacito, che provenivano dal Suevicum, il Mar Baltico, indicati con il nome generico di Suebi o Svevi durante il Medioevo, che chiamavano se stessi Schwäbisch, in tedesco), presumibilmente nelle strette gole e folte foreste dei Marsi, non lontano dalla località chiamata Arbalo (identificabile forse con l'accampamento di Oberaden, una frazione della città tedesca di Bergkamen, nella Renania Settentrionale/Vestfalia. Fa parte di una serie di fortificazioni realizzate all'epoca di Augusto ai fini dell'occupazione della Germania e della sua trasformazione in provincia romana) e per poco non fa la fine di Publio Quintilio Varo, annientato insieme al suo esercito qualche anno più tardi, nella battaglia della foresta di Teutoburgo, se non fosse stato per la sua tempra ed abilità di generale: «i Germani, infatti, con un diversivo lo assalirono di sorpresa, e dopo averlo chiuso in un luogo stretto e profondo, per poco non lo annientarono. E lo avrebbero sbaragliato insieme a tutta la sua armata romana, se essi, nella loro infinita presunzione di averli già praticamente catturati e di dover solo compiere l'attacco finale, non lo avessero assalito in modo disordinato.» (Cassio Dione, LIV, 33.3.)

E Floro aggiunge: «[...] i Cherusci, i Suebi e i Sigambri, dopo aver messo in croce venti centurioni romani, avevano iniziato la guerra con questo loro atto, come se fosse un giuramento e con la speranza di vittoria talmente sicura, da aver deciso in precedenza di dividersi il bottino con un accordo tra loro. I Cherusci avevano scelto i cavalli, i Suebi l'oro e l'argento, i Sigambri i prigionieri. Ma tutto andò a rovescio. Druso infatti, risultò vittorioso, divise e vendette come bottino i cavalli, le greggi, le loro collane e i prigionieri.» (Floro, II, 30.25.)

E così alla fine furono i Germani a subire la sconfitta, dalla quale non si mostrarono più così coraggiosi. Al contrario si mantennero ad una distanza sufficiente dai Romani da poterli solo infastidire, rinunciando ad avvicinarsi, non potendo fermarne la marcia verso il Reno. Druso, in seguito, fece costruire due baluardi fortificati per proteggersi da loro, uno esattamente nel punto in cui il fiume Lupia e l'Eliso si congiungono (in località Aliso, identificabile con la moderna Haltern am See, in Renania Settentrionale/Vestfalia, Germania), l'altro nel territorio dei Catti, lungo la riva del fiume Reno, a Mogontiacum (Mainz/Magonza, nella Renania-Palatinato, Germania). Per questi successi Druso ricevette gli onori trionfali (ovvero gli ornamenta triumphalia), il diritto di entrare in Roma a cavallo, potendo esercitare il potere proconsolare alla scadenza del suo mandato di pretore. I suoi soldati, infine, lo acclamarono Imperator, come avevano fatto in precedenza col fratello, Tiberio, anche se non gli venne attribuito da Augusto, che al contrario poté fregiarsene più volte grazie ai due figli adottivi.

Nel 10 a.C. - Druso dà inizio alle operazioni contro i Catti ed altre popolazioni limitrofe, come i Mattiaci e i Tencteri. Ne devasta quindi i territori, che in precedenza i Romani avevano loro assegnato, ma che trovarono disabitati poiché, come avevano fatto i Sigambri, l'anno precedente si erano ritirati nel profondo delle foreste germaniche (nella selva Ercinia). Il quartier generale di quell'anno fu posto nella fortezza legionaria di Mogontiacum (l'odierna Mainz), collegata con altre fortificazioni di nuova costruzione come quella di Rödgen (Bad Nauheim, nell'Assia, Germania). Più a nord poi fece costruire un ponte di fronte a Bonna (Bonn, in Renania Settentrionale/Vestfalia, Germania), rafforzandolo con una flotta lungo il Reno (Classis Germanica). Fece, quindi, costruire un porto, che dotò di flotta, anche a Gesoriacum (Boulogne-sur-Mer, in Francia) lungo il canale della Manica e di fronte alla Britannia. Al termine dell'anno, Druso incontrava Augusto e Tiberio a Lugdunum (Lione, in Francia, luogo in cui nacque il futuro imperatore Claudio), e rientrava con loro a Roma.

Nel 9 a.C. - All'età di 28 anni (con 5 anni di anticipo sul cursus honorum), Druso è eletto console, ma ancora una volta lascia la città prima di assumere ufficialmente la carica e si dirige in Germania Magna invadendo prima il territorio della potente tribù dei Catti, poi avanza fino ai territori dei Suebi e degli Ermunduri, mentre i Suebi Marcomanni, su cui regnava Maroboduo, decidono di emigrare in Boemia, unica regione non interessata dall'occupazione romana e anche i Suebi Quadi emigrano, insieme ai "cugini" Marcomanni, in Moravia, presso il fiume Morava.

Tribù germaniche con a sud i Marcomanni nel 50,
con Claudio imperatore, da https://upload.wikime
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GermanenAD50-it.png
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I Marcomanni erano una tribù di Suebi (di stirpe degli Herminones, così chiamati da Tacito, che provenivano dal Suevicum, il Mar Baltico, indicati con il nome generico di Suebi o Svevi durante il Medioevo, che chiamavano se stessi Schwäbisch, in tedesco) ed erano i più famosi e potenti delle popolazioni suebiche. Sono menzionati per la prima volta da Gaio Giulio Cesare come facenti parte dell'esercito di Ariovisto, che a capo di una coalizione di popoli germanici invase la Gallia nel I secolo a.C. e che Giulio Cesare stesso sconfisse nel 58 a.C., ai piedi dei Vosgi. Forse i Suebi Marcomanni parteciparono anche alla prima invasione germanica con Cimbri Teutoni ed Ambroni, all'epoca di Gaio Mario. Erano stanziati tra il Reno, il Meno ed il Danubio superiore (zona precedentemente occupata dagli Elvezi) fino al 9 a.C. Altri Suebi erano i Naristi (al loro sud-ovest) e i Quadi (al loro sud-est). Con le campagne di Druso, nel 9 a.C., col loro sovrano Maroboduo, i Marcomanni decidono di emigrare in Boemia (dove erano stanziati i celti Boi, regione che da loro aveva preso il nome), unica regione non interessata dall'occupazione romana e anche i Suebi Quadi emigrano, insieme ai "cugini" Marcomanni, in Moravia, presso il fiume Morava.

I Suebi Naristi erano i vicini degli Ermunduri (ad occidente) e dei Marcomanni (ad oriente). In seguito alle campagne di Druso del 10-9 a.C., mentre i vicini Marcomanni e Quadi sono costretti a lasciare le loro terre lungo il fiume Meno per rifugiarsi nella Selva Boema, circondati da una catena di monti che potesse proteggerli dall'avanzata romana, i Naristi continuano a rimanere nell'attuale Palatinato.

Nel 9 a.C. Druso si impadronisce, non senza difficoltà, delle regioni che percorre, sconfiggendo chiunque lo avesse attaccato, pur combattendo dure battaglie. Dai territori dei Suebi (di stirpe degli Herminones, così chiamati da Tacito, che provenivano dal Suevicum, il Mar Baltico, indicati con il nome generico di Suebi o Svevi durante il Medioevo, che chiamavano se stessi Schwäbisch, in tedesco) passa poi nel territorio dei Cherusci e, dopo ave attraversato il Visurgis (il fiume Weser), si spinge fino al fiume Elba, dove nessun altro romano era giunto mai prima di allora, portando devastazione. L'Elba, per i Romani, nasceva dalle montagne vandaliche (i Sudeti) e sfociava con il suo ampio corso nell'Oceano settentrionale (Oceanus Germanicus). Druso tentò di attraversare il grande fiume, ma non vi riuscì e si ritirò dopo aver innalzato dei trofei. Lo storico Floro aggiunge che, con le spoglie e le insegne dei Marcomanni, adornò una collinetta come se fosse un trofeo. Lo storico Cassio Dione racconta poi che, quando giunse in prossimità dell'Elba, incontrò una donna di grandezza sovrumana che gli disse: «Fin dove vuoi arrivare, insaziabile Druso? Non è nel tuo destino che tu veda tutti questi territori; torna indietro piuttosto, poiché la fine delle tue imprese è ormai prossima!» (Cassio Dione, LV, 1.3.). Druso pertanto, decide di tornare indietro e, sulla strada del ritorno, rimane ferito per una caduta da cavallo che gli procura la rottura della gamba e un'infezione tale da condurlo alla morte prima di giungere sul Reno, dopo aver resistito per un mese ai traumi e, come ci tramanda Svetonio, rifiutandosi di tornare a Roma. Suo fratello  Tiberio, che si trovava a Ticinum (Pavia) con Augusto, lo raggiunse rapidamente, percorrendo duecento miglia in un giorno e in una notte e lo vide esalare l'ultimo respiro. Una volta morto, Druso venne trasportato da tribuni militari e centurioni negli accampamenti invernali sul Reno (a Mogontiacum), poi fu condotto a Roma grazie ai notabili cittadini di ciascuna città in cui transitava. Druso era riuscito, nei suoi quattro anni di campagne, a fortificare la nuova provincia della Germania Magna con numerose guarnigioni e posti di guardia lungo i fiumi Mosa, Elba e Visurgis (il fiume Weser) e fece costruire più di cinquanta forti lungo il Reno. Unì inoltre con un ponte le due rive del Reno di fronte al forte di Bonna (Bonn). La sua salma venne quindi portata nel Campo Marzio dai cavalieri, sia quelli appartenenti all'ordine equestre sia quelli di famiglia senatoria. Qui venne dato alle fiamme e le sue ceneri furono poi depositate nel Mausoleo di Augusto, mentre a Druso furono tributati tutti gli onori che competevano al figlio di un sovrano. Druso, infatti, fu salutato imperator, a lui e alla sua discendenza fu attribuito il titolo di Germanicus, ottenne inoltre altri onori come statue, un arco trionfale e un monumento funebre a Mogontiacum sul Reno. Sembra che lo stesso abbia scritto di lui una biografia, non conservatasi. Certamente fu preferito a Tiberio dal padre adottivo Augusto.

Sappiamo che a partire dalle campagne di Druso, (Nerone Claudio Druso, 39 - 9 a.C., conosciuto come Druso maggiore) la popolazione dei germani Sicambri (o Sigambri) aveva cominciato a fornire truppe ausiliarie all'interno dell'esercito romano. Sono state citate infatti le seguenti unità:

- I Claudia Sugambrorum tironum veterana, che fu prima in Mesia sotto Vespasiano (nel 77), poi in Mesia inferiore sotto Domiziano (nel 91), Nerva (nel 96-98) ed ancora sotto Antonino Pio nel 139 e nel 145. La troviamo inoltre in Siria nel 157;

- della II e III Sugambrorum se ne ipotizza l'esistenza in base alla presenza della IV;

- la IV Sugambrorum si trovava in Mauretania Caesariensis sotto Traiano nel 108.

Dal 26 gli storici non citano più i Sicambri (o Sigambri) ma sembra che possano essere affluiti nella federazione dei Franchi. Secondo alcune fonti (fra cui Fredegario) i Franchi Sicambri, che discendevano attraverso l'Arcadia dalla tribù israelitica di Beniamino, sarebbero quindi stati gli antenati dei Merovingi.

La Turbie e il Trofeo delle Alpi,
immagine di Berthold Werner
da https://it.wikipedia.org/wiki
/Trofeo_delle_Alpi#/media/
File:La_Turbie_BW_1.JPG
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Nel 7/6 a.C. - Viene edificato il Trofeo delle Alpi (detto anche Trofeo di Augusto), imponente monumento romano sull'Alpe Summa (Alpis Summa), a 480 metri di altitudine, nell'attuale comune di La Turbie. Il monumento venne eretto, sulla via Julia Augusta, negli anni 7-6 a.C. in onore dell'imperatore Augusto per commemorare le vittorie riportate dai suoi generali (tra cui i figliastri Druso maggiore e Tiberio) e la definitiva sottomissione di 46 tribù alpine. L'Alpe Summa, detta anche Turbia (la Turbie in francese), che sorge nel dipartimento francese delle Alpi Marittime, a breve distanza dal Principato di Monaco, è contraddistinta da evidenti forze geomagnetiche, percepite da sempre e descritte anche nel racconto delle 12 fatiche di Ercole, quando il semidio ritorna dall'Hiberia con le mandrie di Gerione e ingaggia la battaglia dei Campi Lapidarii contro i liguri, guidati dai giganti Albione e Dercino, dove Zeus farà piovere sassi in soccorso al suo pupillo, in difficoltà nella lotta contro i liguri. Lo storico e viaggiatore greco Posidonio, vivente fino all'anno 50 e.V. nell’isola di Rodi, segnalava la presenza, fin dal secondo secolo prima di Cristo, di una strada tra Piacenza e Marsiglia, che valicava l’Alpis Summa, l’odierna Turbia, conosciuta col nome di Via Heraclea o Herculea, giacché si voleva tracciata dall’eroe greco nel corso del suo ritorno dalla decima fatica, quando andò a rapire la mandria di buoi a Gerione, nell’isola di Erizia, sulle sponde dell’Atlantico. Questo territorio d’eccezione dal punto di vista esoterico, fu eletto a sito  della celebrazione di Augusto  come imperatore di Roma, evocando ulteriormente la memoria di Ercole (il mitico semidio greco Heracle), oltre ai trionfi celebrati da Augusto il 12 agosto, giornata consacrata ad Heracles Invictus ed il giorno successivo, consacrato a Heracles Victor. Qui è stato edificato il Trofeo delle Alpi  (detto anche Trofeo di Augusto) imponente monumento romano a 480 metri di altitudine, nel comune di La Turbie. Il monumento venne eretto, sulla via Julia Augusta, negli anni 7-6 a.C. in onore dell'imperatore Augusto per commemorare le vittorie riportate dai suoi generali (tra cui i figliastri Druso maggiore e Tiberio) e la definitiva sottomissione di 46 tribù alpine. Servì inoltre a demarcare la frontiera tra l'Italia romana e la Gallia Narbonese lungo la Via Julia Augusta. Questo trofeo nel tempo segue, nelle Gallie, il trofeo di Pompeo, in Summum Pyrenaeum, quello di Briot (ora al museo di Antibes) e altri. La costruzione, parte in marmo lunense e parte in pietra locale, concepita secondo il modello architettonico vitruviano sul modello del Mausoleo di Alicarnasso, consisteva di un piedistallo quadrato misurante 38 m di lato, sulla cui facciata occidentale era apposta un'iscrizione con la dedica ad Augusto. Ai lati dell'iscrizione c'erano dei trofei. Il secondo ordine era composto da un basamento, anche questo quadrato ma di dimensione minore, su cui poggiavano 24 colonne, con capitelli dorici, poste in cerchio e adornate da un fregio dorico con alternanza di metope e triglifi. All'interno del colonnato si trovava una torre cilindrica in cui, alternate alle colonne, si trovavano delle nicchie dove erano state collocate le statue dei comandanti militari che avevano partecipato alla spedizione, tra cui quella di Druso. Sulle colonne poggiava infine una copertura conica a gradoni, coronata da una imponente statua di Augusto in bronzo dorato raffigurato nell'atto di sottomettere due barbari inginocchiati ai suoi piedi. La solenne iscrizione, di cui rimanevano solo alcuni frammenti, è stata ricostruita completamente durante il restauro del monumento curato da Jules Formigé, grazie alla menzione fattane da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (III, 133 segg.). Il testo riporta tutti e 46 i nomi delle tribù sconfitte in ordine cronologico e geografico ed è affiancato da due bassorilievi della Vittoria alata. Parimenti visibile è il "trofeo" in senso stretto, ossia una raffigurazione delle armi conquistate ai nemici e appese ad un tronco d'albero. Ai due lati del trofeo sono raffigurati coppie di prigionieri galli in catene. «All'imperatore Augusto, figlio del divo [Giulio] Cesare, pontefice massimo, acclamato imperatore per XIV volte, essendo investito per la XVII volta della potestà tribunizia, il senato e il popolo romano [eressero] poiché sotto la sua guida e i suoi auspici tutte le genti alpine, che si trovavano tra il mare superiore e quello inferiore sono state assoggettate all'impero del popolo romano. Genti alpine sconfitte: Triumpilini, Camunni, Venosti, Vennoneti, Isarci, Breuni, Genauni, Focunati, le quattro nazioni dei Vindelici: Cosuaneti, Rucinati, Licati e Catenati; gli Ambisonti, Rugusci, Suaneti, Caluconi, Brixeneti, Leponzi, Uberi, Nantuati, Seduni, Veragri, Salassi, Acitavoni, Medulli, Ucenni, Caturigi, Brigiani, Sogionti, Brodionti, Nemaloni, Edenati, Vesubiani, Veamini, Galliti, Triullati, Ecdini, Vergunni, Eguituri, Nematuri, Oratelli, Nerusi, Velauni, Seutri.». I lavori di riduzione in pristino sono stati resi possibili dagli studi dell'architetto Jules Formigé e dal generoso finanziamento del mecenate statunitense Edward Tuck. L'altezza del monumento misura oggi 35 metri, mentre originariamente, grazie alla statua, raggiungeva i 50 metri. Dalla sua terrazza panoramica è possibile godere d'un punto d'osservazione che, in giornate limpide, consente di spaziare visivamente dalla riviera ligure di ponente al golfo di Saint-Tropez.

Nel 4 d.C. - Germanico (Germanicus Iulius Caesar; 24 maggio 15 a.C. - Antiochia di Siria, 10 ottobre 19), fratello maggiore del futuro imperatore Claudio, nato con il nome di Nerone Claudio Druso da Druso maggiore e da Antonia minore, figlia di Marco Antonio e di Ottavia minore, sorella dell'imperatore Augusto, aveva ricevuto il cognomen Germanicus in seguito ai successi del padre, comandante in Germania tra il 12 ed il 9 a.C. Il Senato decretò, infatti, nel 9 a.C., dopo la morte del padre, che a quest'ultimo e ai suoi discendenti fosse attribuito tale cognomen. Mutò così il nome originario in quello di Germanico Giulio Cesare in seguito alla sua adozione nella gens Iulia, avvenuta dopo le morti dei nipoti di Augusto ed eredi al trono, Lucio e Gaio Cesare, figli di Giulia maggiore (l'unica figlia di sangue di Augusto) e Marco Vipsanio Agrippa (rispettivamente nel 2 e nel 4 d.C.), non senza che si sospettasse che Livia Drusilla avesse avuto qualche ruolo nella loro morte: il primo si era misteriosamente ammalato mentre il secondo era stato colpito a tradimento in Armenia mentre discuteva con i nemici una proposta di pace. Tiberio, al suo ritorno dall'esilio volontario a Rodi, dopo aver evitato in ogni modo di partecipare alla vita pubblica per un decennio, era stato adottato da Augusto insieme all'ultimo figlio maschio di Giulia maggiore, Agrippa Postumo. Il princeps aveva costretto però Tiberio ad adottare a sua volta il nipote Germanico, sebbene Tiberio avesse già un figlio, concepito dalla sua prima moglie Vipsania, figlia di Marco Vipsanio Agrippa e prima moglie di Tiberio, di nome Druso (Druso minore) e più giovane di un anno soltanto di Germanico. L'adozione di Tiberio e di Germanico fu celebrata il 26 giugno del 4 d.C. con grandi festeggiamenti e Augusto ordinò che si distribuisse alle truppe oltre un milione di sesterzi.

Nello stesso anno 4, a Germanico è data in moglie Agrippina maggiore, figlia di Giulia maggiore e del generale Marco Vipsanio Agrippa, quindi nipote di Augusto, dalla quale ebbe nove figli, tra cui: il primogenito Nerone (nato nel 4/5 e morto nel 30), Druso (nato nel 7/8 e morto nel 31), il futuro imperatore Caligola, Agrippina minore (moglie e nipote del futuro imperatore Claudio, fratello minore dello stesso Germanico e madre del futuro imperatore Nerone), Giulia Drusilla e Giulia Livilla.

Nel 4/5 - Con le campagne del 4 e 5 d.C., Tiberio, figlio adottivo dell'imperatore Augusto, aveva completato la conquista quasi ventennale della parte settentrionale della Germania, e domato gli ultimi focolai di una rivolta dei Cherusci, i territori compresi tra i fiumi Reno ed Elba apparivano ai Romani come una nuova provincia.

Le armate romane avevano percorso i territori della Germania Magna partendo dai castra (fortezze) principali di Castra Vetera (Xanten, in Renania Settentrionale/Vestfalia, Germania) e Mogontiacum (Mainz/Magonza, nella Renania-Palatinato, Germania), ottenendo la sottomissione di tutti i territori germanici e la costituzione della Germania in provincia romana, con esclusione della sola Boemia, in cui erano emigrati nel 9 a.C. i Suebi Marcomanni mentre i Suebi Quadi si erano spostati sul fiume Morava.

Nel 6 - In seguito alla progettata campagna di Tiberio del 6 d.C., i suebi Quadi diventano popolo Cliente dei Romani, ed è forse per questo motivo che si spostano ancora più ad est, in Slovacchia, come risulterebbe ai tempi di Tacito, alla fine del I secolo.

Strabone, in Geografia, VII Germania, scrive che prima della battaglia della Foresta di Teutoburgo, a Roma si pensava che ormai fosse arrivato il momento di introdurre in Germania il diritto e le istituzioni romane. L'imperatore Augusto aveva così deciso di affidare a un burocrate, più che a un generale, il governo della nuova provincia della Germania Magna scegliendo quindi il governatore della Siria, Publio Quintilio Varo, personaggio certamente non noto per l'abilità bellica ma che avrebbe potuto affabulare i Germani, che non apprezzavano i modi rudi dei militari romani. Varo invece, si rivolgeva ai Germani come fossero dei sudditi arresisi alla volontà romana, più che dei provinciali in via di formazione e romanizzazione e non percepiva il crescente rancore che covavano per l'invasore, problematiche a cui invece avrebbe dovuto porre maggiore attenzione, tanto più che di esempi nel passato ve ne erano in abbondanza: dalle drammatiche resistenze nella conquista della Gallia di 50-60 anni prima alla recentissima rivolta delle genti dalmato-pannoniche.

Carta della Germania romanizzata, nel 9, con
l'ubicazione della foresta di Teutoburgo, da 
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/
commons/b/b3/Germania_7-9_Varo.jpg
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Nel 9 d.C. - Dall'8 all'11 settembre si combatte la battaglia della Foresta di Teutoburgo, chiamata clades Variana (la disfatta di Varo) dagli storici romani, tra tre legioni romane guidate da Publio Quintilio Varo e una coalizione di tribù germaniche comandate da Arminio, ufficiale delle truppe ausiliarie di Varo, ma segretamente anche capo dei Cherusci. La battaglia ebbe luogo nei pressi dell'odierna località di Kalkriese, nella Bassa Sassonia, e si risolse in una delle più gravi disfatte subite dai Romani: tre intere legioni (composte di 5/6.000 armati ciascuna), la XVII, la XVIII e la XIX, furono annientate, oltre a 6 coorti di fanteria (di circa 600 uomini ciascuna) e 3 ali di cavalleria ausiliaria (di circa 500 armati l'una). Nel settembre dell'anno 9, finita la stagione di guerra (che per i Romani incominciava a marzo e finiva a ottobre), Varo si muoveva verso i tre campi invernali che si trovavano a Alise (Haltern am See, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, in Germania), sede amministrativa lungo il Reno della nuova provincia di Germania, a Castra Vetera (l'attuale Xanten, in Renania Settentrionale/Vestfalia, Germania) e il terzo ad Ara Ubiorum (Köln/Colonia, anch'essa sul Reno). Il percorso abituale sarebbe stato quello di scendere dal fiume Weser (presso l'attuale località di Minden), attraversare il passo di Doren (le cosiddette porte della Vestfalia) e raggiungere l'alto corso della Lippe presso Anreppen, per poi proseguire fino a Haltern (la romana Aliso) e di qui al Reno. Al comando di tre legioni (la XVII, la XVIII e la XIX), reparti ausiliari (3 ali di cavalleria e 6 coorti di fanteria) e numerosi civili, Varo si spinse invece in direzione ovest attraverso un nuovo percorso, affidandosi alle indicazioni degli indigeni poiché non conosceva la regione. Non sospettava che Arminio, principe dei Cherusci (che militava da anni nelle file dell'esercito romano tra gli ausiliari), stava progettando un'imboscata per sopraffare l'esercito romano in Germania, ma al contrario si riteneva al riparo dai pericoli, considerando Arminio un fedele alleato. Sia Velleio Patercolo sia Dione raccontano che Varo non prestò fede ad alcuno, incluso Segeste, futuro suocero di Arminio, che lo aveva informato dell'agguato. Venne simulata una rivolta nei pressi del massiccio calcareo di Kalkriese (una collina alta 157 metri, situata nella Bassa Sassonia, in Germania, oggi sito e museo archeologico fra i più importanti in Germania), nel territorio dei Bructeri, e Varo, non dando credito alle voci circa un possibile agguato al suo esercito in marcia su un percorso finora mai esplorato e all'interno di una folta foresta circondata da acquitrini, non utilizzò alcuna precauzione che lo mettesse al riparo da una possibile aggressione, facilitando il compito ad Arminio e ai suoi Germani. Varo disponeva di tre intere legioni: la XVII, XVIII e XIX, oltre ad alcune unità ausiliarie (3 ali e 6 coorti), pari a circa 15.000 legionari e 5.000 ausiliari (a ranghi completi). I Germani di Arminio potevano invece contare su circa 20.000/25.000 guerrieri delle tribù dei Cherusci, Bructeri, oltre probabilmente a Sigambri, Usipeti, Marsi, Camavi, Angrivari e Catti. Gran parte dei superstiti romani vennero sacrificati alle divinità germaniche. I restanti vennero liberati o scambiati con prigionieri germanici, oppure riscattati. A seguito di tale battaglia, nell'esercito romano le legioni non ebbero più le numerazioni XVII, XVIII e XIX. Lucio Asprenate, nipote di Varo e suo subordinato in Germania, accorse con due legioni da Mogontiacum (Magonza), per scongiurare un'invasione germanica, salvare i superstiti e rafforzare gli animi incerti delle popolazioni galliche. Da allora almeno fino al 17/18 d.C., ad Ara Ubiorum (la moderna città di Köln/Colonia) soggiorneranno due legioni: la legio I Germanica e la legio XX Valeria Victrix.

Arminio, dopo questo grande successo militare, avrebbe voluto proseguire l'attacco a Roma alleandosi con l'altro grande sovrano germano Maroboduo, il re dei Marcomanni, come ci racconta Velleio Patercolo: «La crudeltà dei nemici germani aveva fatto a pezzi il cadavere, quasi completamente carbonizzato, di Varo, e la sua testa, una volta tagliata, fu portata a Maroboduo, il quale la inviò a Tiberio Cesare, perché fosse seppellita con onore [...]» (Velleio Patercolo, Storia romana II, 119)

Fu una fortuna per Roma che Maroboduo avesse mantenuto fede ai patti stipulati con Tiberio tre anni prima (nel 6), gesto che costerà caro al sovrano marcomanno poiché nel 18 Arminio, raccolta un'enorme confederazione di genti germane, lo sfiderà e riuscirà a sconfiggerlo in uno scontro campale. Tiberio, ricordando quanto Maroboduo gli fosse rimasto fedele evitando che la disfatta di Teutoburgo si trasformasse in una nuova e ancor più devastante invasione germanica (come quella avvenuta un secolo prima da parte di Cimbri e Teutoni, nel 113-101 a.C.), gli diede asilo politico, una volta caduto in disgrazia presso la sua gente, all'interno dei confini imperiali, a Ravenna.

Ora a Roma necessitava una reazione militare immediata e decisa per non permettere al nemico germanico di prendere coraggio e di invadere i territori della Gallia e magari dell'Italia stessa, mettendo a rischio non solo una provincia ma la stessa salvezza di Roma.

Ottaviano Augusto nell' Ara Pacis.

In una situazione tanto drammatica, Augusto fu costretto anche ad arruolare liberti:

«[...] Augusto organizzò comunque le rimanenti forze con ciò che aveva a disposizione [...] arruolò nuovi uomini [...] tra veterani e liberti e poi li inviò con la massima urgenza, insieme a Tiberio, nella provincia di Germania [...]» (Cassio Dione Cocceiano, Storia Romana, LVI, 23, 3.)

«[...] due volte soltanto arruolò i liberti come soldati: la prima volta fu per proteggere le colonie vicine dell'Illirico, la seconda per sorvegliare la riva del Reno. Erano schiavi che provenivano da uomini e donne facoltosi, ma egli preferì affrancarli subito e li collocò in prima linea, senza mescolarli ai soldati di origine libera (peregrini) e senza dar loro le stesse armi.» (Svetonio, Augustus, 25.)

«[...] (Tiberio Cesare) viene inviato in Germania, e qui rafforza le Gallie, prepara e riorganizza gli eserciti, fortifica i presidi e avendo coscienza dei propri mezzi, non timoroso di un nemico che minacciava l'Italia con un'invasione simile a quella dei Cimbri e dei Teutoni, attraversava il Reno con l'esercito e passava al contrattacco, mentre al padre Augusto ed alla patria sarebbe bastato di tenersi sulla difensiva. Tiberio avanza così in territorio germano, si apre nuove strade, devasta campi, brucia case, manda in fuga quanti lo affrontano e con grandissima gloria torna ai quartieri d'inverno senza perdere nessuno di quanti aveva condotto al di là del Reno [...]» (Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 120.)

Nel settembre del 9, dopo aver brillantemente sconfitto i ribelli dalmati, Tiberio torna a Roma dove decide, giunta la notizia della battaglia della Foresta di Teutoburgo, di posticipare la celebrazione del trionfo che gli era stato tributato in modo tale da rispettare il lutto imposto per la disfatta di Varo. Augusto lo invia sul Reno, per evitare che il nemico germanico attacchi la Gallia e che le province appena pacificate possano rivoltarsi nuovamente in cerca dell'indipendenza. Giunto in Germania, Tiberio poté constatare la gravità della disfatta di Varo e delle sue conseguenze, che impedivano di progettare una nuova riconquista delle terre che andavano fino all'Elba. Adottò, dunque, una condotta particolarmente prudente, prendendo ogni decisione assieme al consiglio di guerra ed evitando di far ricorso, per la trasmissione di messaggi, a uomini del luogo come interpreti. Sceglieva allo stesso modo con cura i luoghi in cui erigere gli accampamenti, in modo tale da fugare qualsiasi pericolo di rimanere vittima di una nuova imboscata e mantenne infine, tra i legionari una disciplina ferrea, punendo in modo estremamente rigoroso tutti coloro che trasgredivano i suoi rigidi ordini. In questo modo poté ottenere numerose vittorie e confermare il confine lungo il fiume Reno, mantenendo fedeli a Roma i popoli germanici dei Batavi, Frisi e Cauci, che abitavano quei luoghi.

E comunque, dopo la pesante sconfitta, i Romani per riscattare l'onore dell'esercito sconfitto, diedero inizio a una guerra durata sette anni. La battaglia di Idistaviso del 16 è considerata la rivincita dell'Impero romano contro i Germani.

Tiberio, dal Museo di
Venezia QUI.

Nel 10 d.C. - Tiberio dimostra, ancora una volta, di essere un generale geniale e riesce a frenare i propositi, da parte della genti germaniche vittoriose, di una nuova invasione. Negli anni che si susseguirono (dal 10 al 12) condusse egli stesso gli eserciti ancora al di là del Reno: «[...] abbatté le forze nemiche in Germania, con spedizioni navali e terrestri, e placate più con la fermezza che con i castighi la pericolosissima situazione nella Gallia e la ribellione sorta tra la popolazione degli Allobrogi [...]» (Velleio Patercolo, Storia di Roma, II, 121.). E ancora: «[nell'11 d.C.] [...] Tiberio e Germanico, quest'ultimo in veste di proconsole, invasero la Germania e ne devastarono alcuni territori, tuttavia non riportarono alcuna vittoria, poiché nessuno gli si era opposto, né soggiogarono alcuna tribù [...] nel timore di cadere vittime di un nuovo disastro non avanzarono molto oltre il fiume Reno [forse fino al fiume Weser].»

Tutta la Germania del nord tra il Reno e l'Elba era definitivamente perduta da Roma e neppure le azioni intraprese da Tiberio negli anni 10-11 e da Germanico nel 14-16, più che altro volte a vendicare l'onore di Roma, poterono ripristinare quanto era stato così faticosamente conquistato nei vent'anni di campagne militari precedenti. Il confine naturale tornava temporaneamente al fiume Reno, nonostante l'impresa difficile e dispendiosa di Augusto del ventennio precedente, che desiderava emulare la conquista delle Gallie da parte di Gaio Giulio Cesare.

Nel 14 - Augusto muore all'età di 75 anni e Tiberio gli succede alla guida dell'impero Romano. Asceso al trono all'età di 55 anni, Tiberio (Roma, 16 novembre 42 a.C. - Miseno, 16 marzo 37 d.C.) operò molte importanti riforme in ambito economico e politico e pose fine alla politica di espansione militare, limitandosi a mantenere sicuri i confini grazie anche all'opera del nipote Germanico Giulio Cesare, figlio del fratello minore di Tiberio, Druso maggiore e di Antonia Minore, figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Augusto. Tiberio, malgrado le aspettative del giovane nipote e generale Germanico, riteneva di rinunciare a nuovi piani di conquista della Germania poiché era una terra selvaggia e primitiva, inospitale, ricoperta da immense paludi e fitte foreste, con limitate risorse naturali (a quel tempo conosciute) e quindi, non particolarmente appetibile da un punto di vista economico. Tiberio decise, pertanto, di sospendere ogni attività militare oltre il Reno, lasciando che fossero le stesse popolazioni germaniche a sbrigarsela, combattendosi tra loro. Nonostante queste considerazioni, Tiberio permise a Germanico, figlio del fratello scomparso Druso, di compiere tre nuove campagne nel territorio dei Germani, dal 14 al 16, a capo di ben 8 legioni e relative truppe ausiliarie, per riscattare in maniera definitiva l'onore di Roma, cercando di recuperare le tre aquile legionarie andate perdute nella battaglia di Teutoburgo. Una fu trovata da un subordinato di Germanico, Lucio Stertinio, che ritrovò l'aquila della Legio XIX recuperandola dai Bructeri nel 15. Il luogo dove era nascosta la seconda aquila venne svelato a Germanico dal capo dei Marsi, fatto prigioniero dopo la battaglia di Idistaviso nel 16. Non riuscì invece a recuperare la terza insegna, che secondo Dione Cassio Cocceiano nella sua Storia romana venne trovata solo nel 41 da Publio Gabinio presso i Cauci. Inoltre Tiberio permetteva così al figlio del fratello Druso, di ripercorrere le orme del padre e soprattutto cercava di terrorizzare il nemico germanico, dissuadendolo dal compiere nuove e possibili invasioni future del suolo romano della Gallia.

Nel 14/16 - Il generale romano Germanico, figlio di Druso maggiore e fratello maggiore del futuro imperatore Claudio, per vendicare l'onta subita dagli eserciti romani nella Foresta di Teutoburgo conduce sanguinose campagne in Germania.

Nel 15 - Durante una spedizione in Germania (sei anni dopo la disfatta della Foresta di Teutoburgo) Germanico si fa ricondurre sul campo di Kalkriese avvalendosi dell'aiuto dei pochissimi superstiti della battaglia, gli unici che potessero essere in grado di indicargli il luogo, per dare degna sepoltura ai resti dei commilitoni morti sei anni prima. Qui vede lo scempio di un autentico massacro. «[Germanico giunse sul luogo della battaglia, ove] nel mezzo del campo biancheggiavano le ossa ammucchiate e disperse [...] sparsi intorno [...] sui tronchi degli alberi erano conficcati teschi umani. Nei vicini boschi sacri si vedevano altari su cui i Germani avevano sacrificato i tribuni ed i principali centurioni [...]» (Cornelio Tacito, Annali I, 61.)

Germanico Giulio
Cesare, figlio di Druso,
da QUI.
Durante la campagna in Germania del 15 d.C., nella città di Ara Ubiorum, Germanico riceve uno dei capi germani, Segeste (lo suocero dell'Arminio che aveva procurato ai Romani l'agguato della Foresta di Teutoburgo nell'anno 9), che implorava la pace per la sua fazione, ottenendone in seguito il perdono. Segestes era un nobile appartenente alla tribù germanica dei Cherusci, suocero di Arminio, altro nobile dei Cherusci nonché capo militare che ne aveva sposato la figlia Thusnelda, nonostante il parere contrario dello stesso Segeste, che ad Arminio preferiva i romani e che cercava un modo per vendicarsi delle sue gesta. Nel 9 aveva avvertito il governatore romano Publio Quintilio Varo dell'imminente crescita dei suoi compatrioti e aveva consigliato Varo di imprigionare tutti i comandanti germanici, lui stesso compreso, per aver tempo di verificarne le reali intenzioni, ma non era stato creduto. Poi Varo e le sue tre legioni vennero sterminati nella battaglia della foresta di Teutoburgo, in cui numerosi alleati germanici, con a capo Arminio, tesero loro un'imboscata. In seguito Segeste si schierò apertamente contro Arminio quando Germanico invase la Germania settentrionale nel 15, nel tentativo di ristabilire il dominio romano sulla regione. Assediato nella sua fortezza dai compatrioti, Segeste chiese aiuto a Germanico, che lo soccorse. Segeste consegnò la figlia incinta, moglie di Arminio, a Germanico sotto forma di prigioniera. Thusnelda venne portata a Roma e, insieme al fratello Segimundo, venne esibita nella parata che Germanico organizzò il 26 maggio del 17, con il padre a fare da spettatore. Thusnelda non tornò mai a casa. Il solo figlio di Arminio, Tumelico, partorito durante la prigionia, venne addestrato come gladiatore a Ravenna e morì durante un combattimento prima di compiere i 20 anni. Il colpo finale ci fu nel 21, quando Segeste ed altri parenti uccisero Arminio. Segeste venne infine spostato da Germanico in qualche provincia romana ad ovest del Reno.

Nel 16 - Il legato imperiale Germanico, figlio di Druso maggiore, riesce a battere Arminio in due grandi battaglie: la prima nella piana di Idistaviso, la seconda di fronte al Vallo angrivariano, entrambe tra la riva destra del fiume Visurgi (l'attuale Weser), le colline circostanti, la grande foresta germanica e le paludi più a nord. La battaglia di Idistaviso del 16 è considerata la rivincita alla disfatta di Varo dell'Impero romano contro i Germani. Le due battaglie di Idistaviso si conclusero positivamente per l'esercito romano; le legioni di Varo distrutte a Teutoburgo furono vendicate e Germanico riuscì anche a recuperare due delle tre aquile perdute dai romani nella disfatta, ma in realtà la campagna di Germanico non ottenne risultati decisivi. A dispetto delle asserzioni di Tacito, grande accusatore di Tiberio ed estimatore di Germanico, non fu l'invidia dell'imperatore che vanificò l'esito della battaglia di Idistaviso. Germanico non era in grado di rimanere stabilmente, nonostante le vittorie, a est del Reno; inoltre la sua flotta aveva subito forti perdite a causa di una tempesta.

L'ultima campagna in Germania, nel 16, di 
Germanico. Immagine di Cristiano64-Opera
propria CC BY-SA 3.0 da https://commons.
wikimedia.org/w/index.php?curid=2749288
.

L'imperatore Tiberio considerava, prudentemente, che fosse inutile e dispendioso tentare di nuovo la conquista della Germania fino all'Elba e quindi richiamò Germanico, ritenendo inoltre che le discordie interne tra i popoli germanici avrebbero salvaguardato l'integrità dei confini imperiali sul Reno più di una lunga e costosa guerra di conquista, e in quei tempi tale politica poteva rivelarsi vincente. Al termine della campagna i Romani rinunciano a ogni ulteriore conquista nella Germania Magna e il Reno torna ad essere il confine nord-occidentale dell'Impero, anche se in seguito numerosi centri e territori sulla sponda destra del Reno saranno romanizzati, andando a congiungersi alla Vindelicia retica romana, che approssimativamente occupava il Bayern/Baviera meridionale, dove già sorgeva Augusta Vindelicorum/Augsburg e dove in seguito sorgerà Monaco/München di Baviera/Bayern.

Rimanevano comunque romane, da nord a sud: Aliso, identificabile con la moderna Haltern am See (in Renania Settentrionale/Vestfalia), Ara Ubiorum Colonia Claudia Agrippina (Köln/Colonia in Renania Settentrionale/Vestfalia ), Bonna (Bonn, in Renania Settentrionale/Vestfalia con un ponte sul Reno) e avvicinandosi a Mogontiacum (Mainz/Magonza, nella Renania-Palatinato) e ad Argentoratae (odierna Strasburgo) diversi centri sulla riva destra del Reno saranno romanizzati progressivamente.

Claudio, Museo
archeologico di
Napoli, da QUI.

Dal 41 - Claudio (Tiberius Claudius Caesar Augustus Germanicus; Lugdunum, 1º agosto 10 a.C. - Roma, 13 ottobre 54 d.C.) è imperatore di Roma dal 41 al 54 d.C. Quarto imperatore e membro della gens Claudia, è il primo tra i Principi a non essere adottato nella gens Iulia, poiché il suo predecessore, Caligola, aveva estinto la linea adottiva. Claudio era il terzo figlio di Nerone Claudio Druso (Druso maggiore) e Antonia minore, dopo Germanico e Livilla e l'imperatore Tiberio era stato dunque suo zio paterno. Claudio era considerato dai suoi contemporanei come un candidato improbabile al ruolo di imperatore, soprattutto in considerazione di una qualche infermità da cui era affetto, tanto che la sua famiglia lo tenne lontano dalla vita pubblica fino all'età di quarantasette anni, quando tenne il consolato assieme al nipote Caligola. Fu probabilmente questa infermità e la scarsa considerazione politica di cui godeva che gli permisero di sopravvivere alle purghe che colpirono molti esponenti della nobiltà romana durante i regni di Tiberio e Caligola: alla morte di quest'ultimo, Claudio divenne imperatore proprio in quanto unico maschio adulto della dinastia giulio-claudia. 

Claudio ottenne il Principato con la forza delle armi; fu quindi il primo il fra gli imperatori a comprarsi la fedeltà dei pretoriani e sarà il primo princeps a non essere eletto dal Senato.

Malgrado la mancanza di esperienza politica, Claudio dimostrò notevoli qualità: fu un abile amministratore, un grande patrono dell'edilizia pubblica, espansionista in politica estera (sotto il suo comando si ebbe la conquista della Britannia) e un instancabile legislatore, che presiedeva personalmente i tribunali. Nonostante gli sforzi perpetrati a suo tempo da Augusto, la volontà di conquistare la Germania a est del Reno era naufragata con l'annientamento delle legioni di Varo nella foresta di Teutoburgo nell'anno 9, ma rimaneva il problema della debolezza del limes retico fra il Rhein/Reno e il Donau/Danubio, dove non sussistevano ostacoli naturali. Quindi l'imperatore Claudio, mentre da una parte avanzava in Britannia, dall'altra dotava la frontiera retica fra il Rhein e il Donau di truppe stanziate permanentemente in forti e fortezze che ne garantissero il presidio.

Nel 49 - Agrippina minore, moglie dell'imperatore Claudio e figlia di Germanico, chiede che il villaggio gallico sul Reno in cui è nata (Ara o Oppidum Ubiorum) sia innalzato al rango di colonia, ed è allora istituita Colonia Claudia Ara Agrippinensium ("la colonia di Claudio e l'altare di Agrippina") o, più semplicemente, Colonia Agrippina, l'attuale Köln in Germania.

La progressiva romanizzazione degli
Agri Decumates dal 50, immagine di
Von BishkekRocks, Archäologisches
 Landesmuseum Baden-Württem
berg. Stuttgart: Theiss, 2005. S. 44
-53., CC BY-SA 3.0 da QUI.
Il primo re dei suebi Quadi conosciuto è stato Vannio (19-50 d.C.), che era anche re dei Marcomanni. Tacito racconta che Vannio fu cacciato dagli stessi Suebi, grazie anche all'aiuto dei Lugi e del re degli Ermunduri, un certo Vibilio. L'imperatore Claudio, preoccupato, pur rifiutando di intervenire direttamente in questa contesa, ordinò al governatore della Pannonia, un certo Sesto Palpellio Istro, "di disporre una legione con un corpo scelto di milizie ausiliarie sulla riva del Danubio" per proteggere la fazione perdente e per dissuadere i barbari vittoriosi dalla tentazione di invadere la provincia. Le forze di Vannio comprendevano truppe di cavalleria reclutate fra i Sàrmati Iazigi. I figli della sorella di Vannio, ovvero Vangio e Sidone, si spartirono il grande regno dei Suebi (Quadi e Marcomanni), mantenendo verso Roma assoluta lealtà, mentre Vannio con le sue genti furono sistemati in Pannonia.

Nel 58 - Lo storico Cornelio Tacito scrisse che, sul finire dell'anno 58, la nazione degli Ubi era stata colpita da un improvviso flagello: un terremoto di notevoli proporzioni, tanto che le "fiamme uscite dalla terra" s'appiccavano ai villaggi ed ai campi, avvicinandosi fino alle mura della capitale Colonia Claudia Ara Agrippinensium. Con la loro definitiva integrazione all'interno dei confini imperiali, il popolo degli Ubi aveva cominciato a fornire truppe ausiliarie all'esercito romano, come la cohors I Ubiorum equitata, posizionata all'epoca di Claudio nel Norico, sotto Domiziano e Nerva nella Mesia inferiore e spostata in seguito alle guerre di Traiano in Dacia, dove la troviamo ancora nel 179, con Marco Aurelio imperatore e Publio Elvio Pertinace come governatore.

Nerone, da QUI.

Nel 68 - Con la fine del regno di Nerone (imperatore dal 54 al 68 d.C.), nato con il nome di Lucio Domizio Enobarbo, quinto ed ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia, e la conseguente guerra civile scatenata per la sua successione, lungo il basso corso del Reno alcune unità ausiliarie germaniche di Batavi si ribellano e reclamano l'indipendenza. La rivolta è soffocata nel sangue dalle legioni stanziate nelle Gallie, precisamente nei territori delle future province di Germania inferiore e superiore. Durante il regno di Nerone c'era stata una serie di rivolte e ribellioni in tutto l'Impero: in Britannia, Armenia, Partia e Giudea. L'incapacità di Nerone di gestire le ribellioni e la sua sostanziale incompetenza al comando avevano scatenato gli eventi della sua caduta, quando perfino la guardia pretoriana imperiale lo aveva abbandonato e Nerone si era suicidato.

Nel 68 e.v. (d.C.) la frontiera (limes) a nord dell'impero di Roma, a est del Reno corre lungo il fiume Danubio/Donau fin da dove nasce, quando due piccoli fiumi della Foresta Nera del Baden-Württemberg, il Brigach e il Breg, si uniscono a Donaueschingen, per continuare lungo tutto il suo corso fino al Mar Nero. La frontiera con l'attuale Europa dell'est è in vece segnata dal corso del fiume Reno/Rhein, che dal Lago di Costanza /Bodensee scorre a ovest fino a Basilia/Basel (attualmente in CH) nella Rezia, per poi svoltare verso nord fino alla Frisia, sul Mare del Nord, delimitando i territori delle Gallie romanizzate a ovest della Germania Magna, rimasta indipendente dall'impero fin dall'agguato della foresta di Teutoburgo nel 9 d.C. Rimaneva però evidente il problema della debolezza del limes retico fra il Reno /Rhein e il Danubio/Donau, dove non sussistevano ostacoli naturali. Perciò l'imperatore Claudio aveva dotato la frontiera retica fra il Rhein e il Donau di truppe stanziate permanentemente in forti e fortezze che ne garantissero il presidio. L'avanzata verso nord di quella frontiera guadagnerà nel tempo i nuovi territori germanici degli Agri Decumates.

Carta del limes germanico-dacico dell'Impero Romano nell'80.
 In rosa gli stanziamenti delle legioni romane. Da QUI.
Stanziamenti delle legioni
 romane, da QUI.












Nel 69 - Tacito narra della effettiva partecipazione di Sidone ed Italico (a capo dei suebi Quadi e Marcomanni) alla spedizione dell'anno dei 4 imperatori con cui Vespasiano conquistò il trono imperiale contro Vitellio, e loda la loro antica obbedienza verso Roma. Quale compenso per la loro alleanza, i re degli Suebi ricevettero da Vespasiano non solo il riconoscimento e l'appoggio politico-militare da parte di Roma, ma anche un aiuto in denaro ed armi.
Vespasiano: Ny Carlsberg
Glyptotek, Copenhagen,
foto di Carole Raddato
da QUI.

Nel 74 - Con Vespasiano imperatore si inizia la penetrazione nell'area germanica degli Agri Decumates o Decumates Agri, grazie alle campagne di Gneo Pinario Cornelio Clemente, il legato della Gallia Lugdunensis che governava i territori che costituiranno la futura provincia della Germania superiore. Con il termine di legatus Augusti pro praetore si designava un governatore di provincia imperiale di rango senatorio, munito di imperium delegato dal principe. Per le vittoriose imprese in Germania del 74, Gneo Pinario Cornelio Clemente riceverà le insegne trionfali mentre si edificano le prime fortificazioni sul nuovo limes germanico-retico, che parte da Argentoratae (Strasburgo) e si dirige a Offenburg, Waldmössingen, Rottweil fino a Hüfingen, nei pressi del Donau/Danubio, mentre all'interno della nuova area romanizzzata si trovano i centri fortificati di Schleitheim e Riegel am Kaiserstuhl. La costruzione di una nuova rete di strade nella zona, facilita inoltre la comunicazione tra le legioni migliorando la protezione contro eventuali tribù di invasori. Una pietra miliare trovata ad Offenburg attesta la costruzione di una via lungo il nuovo limes che da Argentoratae (Strasburgo) conduceva alla Rezia.

Le conquiste di Vespasiano e Domiziano negli Agri Decumati, da
https://it.wikipedia.org/wiki/Campagne_germaniche_di_Domizia
no#/media/File:Limes_germanico-retico_Domiziano.png
.

Domiziano: Musei
Capitolini, Roma,
da QUI.
I monti del Taunus e la valle del
Wetterau in Germania, immagine
di Eigene Bearbeitung nach Maps
-for-free-Vorlage - http://www.
maps-for-free.com/
 da https:
//commons.wikimedia.org/w/
index.php?curid=6317853
.
Nell' 83 - Con Domiziano, secondo figlio di Vespasiano e imperatore dall'81 fino al suo assassinio nel 96, sono acquisiti  nuovi  territori nella Germania Magna a seguito delle campagne condotte dai suoi generali negli anni 83-85, al termine delle quali sono costruiti una serie di forti e strade militari a sud dei monti del Taunus verso il Wetterau (la pianura attraversata dal fiume Wetter), con un nuovo limes che parte da Koblenz, sul Reno dove affluisce il Lahn, e che giunge a Bad Nauheim, con centri fortificati a Friedberg, Okarben, Frankfurt/Francoforte, Hof heim am Taunus e Kastel, di fronte a Mogontiatum (Mainz/Magonza), dove hanno sede le legionini, stabilendo così il primo tratto fortificato del limes che congiungeva il fiume Lahn al fiume Meno

Le conquiste di Domiziano negli Agri Decumati, da
https://it.wikipedia.org/wiki/Campagne_germaniche
_di_Domiziano#/media/File:Limes_germanico-
retico_Domiziano.png
.
Verso sud, parallelamente al corso del Reno, si procede all'occupazione dei territori di Nemeti e Triboci e si edificano forti e fortezze a Gross Gerau, Gernsheim, Ladenburg e Heidelberg-Neuenheim sul Nekar, dove il limes si dirige, passando da Baden, a Offenburg, sul precedente limes del 74. In quella parte meridionale della Germania, i Romani spostano la linea di confine verso settentrione con la costruzione di una serie di nuovi forti ausiliari a partire da Waldmössingen verso Sulz, Rottenburg, Geislingen, Burladingen, Gomadingen, Donnstetten, Urspring fino a Günzburg nella Vindelicia retica e apprestano una strada che congiunge la fortezza militare legionaria di Argentoratae (l'odierna Strasburgo) con la capitale della Rezia, Augusta Vindelicum/Augsburg, attualmente nel Bayern/Baviera. I più importanti insediamenti romani in quegli anni erano Sumelocenna (Rottenburg am Neckar), Civitas Aurelia Aquensis (Baden-Baden), Lopodunum (Ladenburg) e Arae Flaviae (Rottweil). È forse in seguito alle campagne negli Agri Decumati di Domiziano dell'83-85 d.C. che un ramo dei suebi Naristi migrano ad est, spingendosi lungo il Danubio fino all'attuale Bassa Austria, di fronte a Vindobona (l'odierna Vienna).
Le province romane in Germania, con
sovrapposti in rosso i confini attuali della
Germania. Immagine modificata da
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/
commons/2/23/Droysens_Hist_Hand
atlas_S17_Germanien.jpg
.

Nell' 85/90 - Si determina per Roma la necessità di creare due nuove province attorno agli Agri Decumates: la Germania inferiore (lungo il corso finale del Reno, sulla riva occidentale in corrispondenza degli attuali Paesi Bassi) e la Germania superiore (lungo il corso medio del Reno nei territori appartenuti in precedenza alla Gallia Lugdunensis). I territori delle due nuove province, pur essendo nelle Gallie, prendono il loro nome dai Germani che le abitano e andranno a costituire importanti aree militarizzate a difesa della frontiera lungo il Reno.

Ai tempi di Tacito, alla fine del I secolo, i Germani erano ormai diventati agricoltori stanziali e lo storico romano, come già Cesare prima di lui, si occupava esclusivamente degli Istevoni, i  Germani occidentali, i primi ad essere descritti dettagliatamente dalla storiografia. Tacito testimonia che inizialmente questi Germani non erano interessati ai territori romani. Ogni tanto, sommovimenti generati all'interno o indotti da pressioni esterne, convogliavano l'aggressività di queste tribù guerriere verso i confini dell'Impero romano, che suscitava in loro cupidigia ma anche paura e riverenza. All'epoca l'Impero era troppo forte e le tribù troppo deboli per potere consolidare quelle incursioni in vere e proprie campagne militari. Le incursioni erano piuttosto i Romani ad effettuarle nelle loro terre, con risultati terrorizzanti. Fu solo tra il II e il IV secolo che, spinti dalle tribù di nomadi delle steppe, superiori militarmente e che ne occuparono i pascoli e i territori, i Germani iniziarono a premere verso i confini dell'Impero.

 La Germania nell'antichità, immagine di una carta storica del 1886
disegnata da Johann Gustav Droysen, da https://upload.wikimedia
.org/wikipedia/commons/2/23/Droysens_Hist_Hand
atlas_S17_Germanien.jpg
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Nerva, imperatore dal 96
al 98: Museo Romano -
Germanico di Colonia,
foto di Carole Raddato
da QUI.
Nell'89 - Nell'ambito della guerra suebo-sarmatica dell'imperatore Domiziano, i Quadi sono aggrediti dallo stesso Domiziano, che non aveva gradito un loro mancato invio di truppe alleate contro i Daci di Decebalo. La guerra si protrae per circa 10 anni, dall'89 al 97 d.C., quando sarà Nerva il nuovo imperatore, il primo degli adottati nel ruolo senza diritti ereditari e i Quadi rientrano quindi nell'orbita delle alleanze con Roma. Il successo finale sul conflitto è ottenuto dal generale di Nerva e futuro imperatore Traiano, che per questo risultato ottiene il titolo di Germanicus, il trionfo e l'adozione imperiale da parte di Nerva.

Gli Agri Decumati nel 90, immagine da https://it.wikipedia.org/wiki/
Campagne_germaniche_di_Domiziano#/media/File:Limes_germa
nico-retico_Domiziano.png
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Heidenheim negli Agri Decumates,
immagine modificata da https://
commons.wikimedia.org/wiki/
File:Agri_decumates_Karte.png
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Dal 92 - Negli Agri Decumates 
Il limes del Taunus-Wetterau,
immagine modificata da https://co
mmons.wikimedia.org/wiki/File:
Agri_decumates_Karte.png
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germanici il limes del Taunus-Wetterau continua a rafforzarsi con la costruzione di nuovi forti, a Butzbach, Arnsburg, Echzell (un forte tra i più grandi, di ben 5,2 ettari). 

Il rafforzamento si verifica anche più a sud-est, a Heidenheim, dove risiedeva l'Ala II Flavia milliaria.

Altro rafforzamento si edifica ancora più a sud-ovest, a Degerfeld, sulle Alpi suebe, le Schwäbische Alb.
Degerfeld negli Agri Decumates,
immagine modificata da https://
upload.wikimedia.org/wikipedia
/commons/0/06/Limes2.png
.

Traiano: Museo
Archeologico di
Venezia, foto di
Carole Raddato
da QUI.
Nel 97 - Con  Nerva nuovo imperatore, il primo degli adottati nel ruolo senza diritti ereditari, i Quadi  rientrano quindi nell'orbita delle alleanze con Roma. Il successo finale sul conflitto è ottenuto dal generale di Nerva e futuro imperatore  Traiano, che per questo risultato ottiene il titolo di Germanicus, il trionfo e l'adozione imperiale da parte di Nerva.

Dal 98 - Probabilmente fra l’anno 98 d.C. e l’anno 100 d.C., l’Imperatore Traiano potenzia il tratto di frontiera che collega il limes del Taunus-Wetterau con quello retico 
Il limes di Odenwald nell'ovale
viola, immagine modificata da
https://upload.wikimedia.org/
wikipedia/commons/0/06/
Limes2.png
 
a Donnstetten, spostandolo quindi ancora più ad est, collegando il fiume Meno e il fiume Neckar con il cosiddetto limes di  Odenwald, che dal Meno presso Wörth raggiungeva il medio Neckar a Bad Wimpfen per poi continuare, a sud del Neckar, a est di Dettingen unter Teck.
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Il limes di Odenwald, immagine modificata da https://
upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/06/
Limes2.png 
 

Adriano: Museo delle
Terme, Roma. Foto di
Livioandronico2013
da QUI.
Dal 117 - Il successore di Traiano, Adriano (imperatore romano, della dinastia degli imperatori adottivi, dal 117 al 138), recatosi lungo la frontiera germano-retica degli Agri Decumates, contribuisce al prolungamento della linea Alb (a nord delle Alpi Sveve, le Schwäbische Alb), che già partiva da Rottweil verso Geislingen, Lautlingen, Burladingen, Gomadingen, Donnstetten, Ursprig e Heidenheim, avanzandola verso nord-est su Lauchheim, Oberdorf, Dambach, Theilenhofen, Ellingen, Ober-hochstatt e Pförring; dota inoltre tutta la linea di torri di guardia paragonabili a quelle del limes del Taunus-Wetterau-Odenwald, e di numerosi forti in pietra, oltre al consolidamento di quanto fatto dai suoi predecessori. Lo spostamento degli ausiliari (auxilia) sulla nuova linea di frontiera, porterà all'abbandono dei forti del retroterra del limes del Taunus-Wetterau, come Wiesbaden ed Heddernheim. 

Le Alpi Sveve (Schwäbische Alb o Schwäbischer Jura)
 ad est della Foresta Nera (Schwarzwald), immagine da
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/78/Schw
arzwald_-_Deutsche_Mittelgebirge%2C_Serie_A-de.png
.

La posizione del limes degli Agri Decumates con Adriano imperatore,
 immagine modificata da https://upload.wikimedia.org/wikipedia
/commons/0/06/Limes2.png
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Nel 135 - Le popolazioni suebe di Quadi e Marcomanni, si risvegliano dall'antica alleanza con Roma intorno al 135, tanto da costringere il nuovo imperatore Adriano ad inviare lungo il fronte pannonico il suo erede designato, Elio Cesare, per combatterle con le due campagne degli anni 136 e 137, nelle quali sappiamo dalla "Historia Augusta" che ottenne buoni successi, come dimostrerebbe la monetazione di quel periodo, costringendo quindi Quadi e Marcomanni a tornare all'antico stato di popolazioni "clienti". Lucio Elio Cesare, o Lucio Elio Vero, era il figlio adottivo e successore designato dell'imperatore romano Adriano, ma non divenne mai imperatore in quanto morì poco prima di Adriano. Era il padre di Lucio Vero, futuro co-imperatore di Marco Aurelio.

L' imperatore Antonino Pio pone sul trono del vicino popolo "cliente" dei Quadi, a nord della Pannonia superiore ed inferiore, un nuovo re filo-romano, dopo una nuova serie di campagne militari condotte da Tito Aterio Nepote, che per questi nuovi successi ottiene gli ornamenta triumphalia, tanto che attorno al 142 sarà emessa una nuova moneta con l'iscrizione "Rex Quadi datus".

Busto di Antonino Pio
conservato a Monaco
di Baviera.

Dal 145/146 - Durante il principato di Antonino Pio (imperatore romano romano della dinastia degli imperatori adottivi dal 138 al 161), negli Agri Decumates molte delle torri e dei forti costruiti in precedenza in legno sono ricostruiti interamente in pietra e a volte in siti differenti, più avanzati rispetto al limes precedente. Si ha infatti la definitiva avanzata del limes tra Germania superiore e Rezia, dalla precedente linea dell'Odenwald-Neckar ad una posizione più avanzata di 30 km con una linea statica di uomini nelle fortificazioni, detti appunto limitanei dal termine latino limes. Non sappiamo se l'avanzata abbia comportato operazioni di guerra nell’area; sappiamo invece che con l’Imperatore Antonino Pio, il limes germano-retico ebbe la sua ultima evoluzione.

L'ultimo limes germanico-retico partiva così dal Reno a Rheinbrohl, a sud di Bonna/Bonn e passava dalla fortificazione di Niederbieber e proseguiva attraverso varie fortificazioni verso Kemel - Arnsburg - Inheiden fino a Grosskotzenburg, quando era il fiume Main/Meno, la cui riva sinistra era fortificata, a segnare il limes fino a Miltenberg, da cui il limes fortificato proseguiva a sud-sudest fino a Lorch, poi a est-nordest fino a Gunzenhausen e a est-sudest fino a Pförring, sul Donau/Danubio, a pochi chilometri dal grosso centro di Castra Regina/Regensburg, dove il Regen affluisce nel Donau, che da lì segnerà il limes nord-orientale.

Le varie fasi temporali dell'avanzamento del limes germanico-
retico a nord. Immagine https://upload.wikimedia.org/wikipedia
/commons/0/06/Limes2.png
 modificata, presa da https://www.
wikiwand.com/it/Limes_germanico-retico
.

Le varie fasi temporali dell'avanzamento del limes germanico-
retico a sud-est. Immagine https://upload.wikimedia.org/wikipedia
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Dal 161 - L'Impero romano, ormai in pace da lungo tempo, subisce una serie di attacchi contemporanei lungo molti dei suoi fronti. I Pitti nella Scozia premevano contro il vallo di Antonino, l'Hispania subiva le continue scorrerie dei pirati mauri mentre in Germania, tra l’alto Danubio ed il Reno, i Catti e i Cauci penetravano oltre le frontiere e lungo le coste, invadendo la Gallia Belgica e gli Agri Decumates. Inoltre il nuovo sovrano partico Vologese III, divenuto re nel 148, occupava l’Armenia, ponendo sul suo trono il fratello Pacoro, per poi invadere la vicina provincia romana di Siria nel 161. Nell'Europa centro-orientale il mondo barbaro era scosso da forti agitazioni interne e da movimenti migratori tra le sue popolazioni che tendevano a modificare gli equilibri con il vicino mondo romano. Vandali, Burgundi, Alemanni, Langobardi, Angli, Sassoni, Juti, Franchi e altre tribù ancora, attaccheranno i romani già nello stesso II sec.

Dal 167 - Le guerre marcomanniche, o guerre marcomanne, come sono state definite nella "Historia Augusta", costituiscono un lungo periodo di conflitti militari combattuti dall'esercito romano contro le popolazioni germano-sarmatiche dell'Europa continentale (dal 167 al 189 circa). I Marcomanni (da "uomini della marca") erano i più famosi e potenti delle popolazioni suebiche. Forse i Marcomanni parteciparono alla prima invasione germanica della Repubblica di Roma con Cimbri Teutoni ed Ambroni all'epoca di Gaio Mario. Sono menzionati per la prima volta da Gaio Giulio Cesare come facenti parte dell'esercito di Ariovisto, che a capo di una coalizione di popoli germanici invase la Gallia nel I secolo a.C. e che Giulio Cesare stesso sconfisse nel 58 a.C., ai piedi dei Vosgi. Fino al 9 a.C. erano stanziati tra il Reno, il Meno ed il Danubio superiore (zona precedentemente occupata dagli Elvezi). Con le campagne di Druso, nel 9 a.C., con alla testa il loro sovrano Maroboduo, i Marcomanni decisero di emigrare in Boemia, unica regione non interessata dall'occupazione romana e anche i suebi Quadi emigrarono, insieme ai "cugini" Marcomanni, in Moravia, strappandola Volcae Tectosages di stirpe celto-gallica, presso il fiume Morava. Quadi e Marcomanni erano alleati contro i Romani durante le guerre marcomanniche, che rappresentano il preludio alle grandi invasioni barbariche del III-IV-V secolo. All'interno e ai margini della massa germanica si erano verificati movimenti e mescolanze di popoli, tanto da portare a trasformazioni di natura politica, con l'avvento di un fenomeno nuovo tra i Germani: interi popoli (come Marcomanni, Quadi e Naristi, Vandali, Cotini, Iazigi, Buri ecc.), sotto la pressione dei Germani orientali, su tutti i Goti, furono costretti a ristrutturarsi e ad organizzarsi in sistemi sociali più robusti e permanenti, ovvero si raggrupparono in coalizioni ("confederazioni") di natura più che altro militare, con la conseguenza che il limes renano-danubiano finì per essere sottoposto a una maggiore pressione. Tale trasformazione fu anche, se non soprattutto, indotta dalla vicinanza e dal confronto con la civiltà imperiale romana, le sue ricchezze, la sua lingua, le sue armi, la sua organizzazione. Fatto sta che alle tribù germaniche guerriere con capi eletti democraticamente tipiche dei secoli precedenti subentrarono coalizioni (come quella degli Alemanni, dei Franchi, ecc.) rette da aristocrazie guerriere, prefigurazione della futura nobiltà feudale. Alla fine la pressione violenta di altri popoli migranti (Goti, Vandali, Sàrmati) finì per costringere queste confederazioni di popoli confinanti con l'Impero Romano, che di fronte a loro non disponevano di ampi spazi su cui trasferirsi, a decidere di dare l'assalto direttamente alle province renano-danubiane. 

Marco Aurelio: Musei Capitolini
di Roma.

Nel 168 - L'imperatore Marco Aurelio, ultimo degli imperatori adottati, non essendo tranquillo sulla pace concordata l'anno prima con i barbari, decide di recarsi di persona (insieme al fratello e co-imperatore Lucio Vero) lungo il limes pannonico per controllare quali fossero le reali intenzioni dei barbari. Nel corso di questi primi anni di guerra Marco potrebbe aver iniziato a scrivere i “Colloqui con se stesso”, unica opera pervenutaci dell'"imperatore filosofo", opera che pur non raccontando in modo evidente le guerre di quegli anni, comunica al lettore tutto il disagio di Marco Aurelio uomo, in relazione a quegli eventi infausti.

Nel 169 - Agli inizi dell'anno, il co-imperatore e fratello di Marco Aurelio, Lucio Vero è colpito da infarto e muore a soli due giorni di viaggio da Aquileia, lungo la strada che conduceva da Concordia Sagittaria ad Altino mentre i due imperatori avevano deciso di far ritorno a Roma, dietro le insistenti pressioni di Lucio. Marco Aurelio torna così a Roma per le esequie del fratello. Il grosso dell'esercito, anche in mancanza dei due imperatori, potrebbe essersi andato a concentrare lungo i confini della piana del Tisza, visto che Marco avrebbe voluto punire i Sàrmati per aver compiuto, l'anno precedente, un'incursione nella provincia della Dacia, ora che aveva concluso dei trattati di pace con le popolazioni suebe (Quadi, Marcomanni e Naristi) che gravitavano lungo i confini del medio Danubio. Ma il conflitto con i Sàrmati si rivelerà molto difficile per i Romani. All'inizio del 170 era officiata la profectio dell'Imperatore, cerimoniale religioso che celebrava la partenza dell'Imperatore romano in vista di una nuova campagna militare e mentre Marco Aurelio giungeva lungo il limes pannonicus e lanciava una nuova e massiccia offensiva al di là del Danubio contro i Sàrmati Iazigi (chiamata expeditio sarmatica), una grossa coalizione di tribù germaniche, capeggiata da Ballomar, re dei Marcomanni, sfondava il limes pannonico e batteva un esercito di 20.000 armati lungo la cosiddetta via dell'Ambra, forse nei pressi di Carnuntum (Carnunto, centro di origine celtica e dal 50 importante fortezza legionaria dell'Impero romano, sede della Flotta Pannonica e del governatore della Pannonia, in seguito della Pannonia superior; si trova in Austria, nel comune di Petronell-Carnuntum, nell'est-sudest di Vindobona/Vienna). I Romani ottennero comunque determinanti vittorie, sia sui Sàrmati che sui Germani, ma capirono che i Suebi (o Svevi) Marcomanni e Quadi ormai costituivano il principale avversario da tenere sotto controllo.

Nel 170 - Sul finire del II secolo d.C. i Quadi sono tra i maggiori protagonisti delle invasioni, effettuate insieme ai Marcomanni e numerosi altri popoli, ai danni dell'Impero romano, durante il periodo chiamato delle "Guerre marcomanniche", tanto da giungere ad assediare Aquileia e distruggere Opitergium (Oderzo nella provincia di Treviso, in Veneto) nel 170 d.C., sotto Marco Aurelio.

Un ramo degli suebi Naristi migra ad est, spingendosi lungo il Danubio fino all'attuale Bassa Austria, di fronte a Vindobona (Vienna). Partecipano, insieme ad una coalizione di ben 11 popoli germanico-celtici, alla grande invasione del 170 d.C. (guerre marcomanniche). L'imperatore Marco Aurelio riuscirà a batterli ed a sottometterli negli anni successivi. Rimane celebre l'episodio, ricordato in un'iscrizione funeraria e probabilmente anche sulla Colonna di Marco Aurelio, in cui il generale Valerio Massimiano uccise il capo dei Naristi, un certo Valao (172-173 d.C.). Alcuni contingenti di cavalleria (gli equites) dei Naristi furono poi inviati in Oriente in seguito alla rivolta di Avidio Cassio, sotto il comando di Valerio Massimiano (praepositus), come testimoniato dal testo di un'iscrizione (praeposito equitibus gentium Marcomannorum Naristarum Quadorum ad vindictam Orientalis motus pergentium).

Dal 170 - La tribù germanica dei Vandali (Wandili), dopo una prima migrazione dalla Scandinavia nei territori dell'attuale Polonia (tra i bacini dell'Oder e della Vistola) intorno al 400 a.C., sotto la pressione di altre tribù germaniche si spostano più a sud, dove combattono e sottomettono la popolazione celtica dei Boi (stanziati in Boemia, regione che da loro aveva preso il nome e in cui erano emigrati i suebi Marcomanni nel 9 a.C.) circa nel 170. Il termine "Vandali" potrebbe essere un'erronea citazione dei "Victohali", visto che secondo Eutropio (che "fioriva", aveva cioè presumibilmente 40 anni, nel 363/387) la Dacia era in quel periodo abitata da Taifali, Victohali e dai Goti Tervingi. Le popolazioni vandaliche di Asdingi, Silingi e Lacringi, al tempo della guerre marcomanniche (anni 171-175) si stabilirono a sud dell'arco carpatico. Nel II secolo d.C., all'interno e ai margini della massa germanica si erano verificati movimenti e mescolanze di popoli, tanto da portare a trasformazioni di natura politica: intere popolazioni (come Marcomanni, Quadi, Naristi, Cotini, Iazigi, Buri ecc.), sotto la pressione dei Germani orientali (su tutti i Goti), furono costrette a riorganizzarsi in sistemi sociali più evoluti e permanenti, ovvero si raggrupparono in coalizioni (confederazioni) di natura soprattutto militare, con la conseguenza che il limes renano-danubiano finì per essere sottoposto ad una costante e maggiore pressione. Tale trasformazione fu anche indotta dalla vicinanza e dal confronto con la civiltà imperiale romana, le sue ricchezze, la sua lingua, le sue armi, la sua organizzazione. Alla fine la violenta pressione di altri popoli migranti (Goti, Vandali e Sàrmati) finì per costringere queste confederazioni di popoli confinanti con l'Impero Romano, che non disponevano di ampi spazi su cui trasferirsi, a decidere di dare l'assalto direttamente alle province renano-danubiane. E fu così che anche gli stessi Vandali, parteciparono a questa iniziale fase di sfondamento delle frontiere romane. La popolazione vandala era, a sua volta, divisa fra tre principali etnie: Asdingi (dal nome della casata principale), Silingi e Lacringi. La prima testimonianza storica di un loro scontro con l'Impero romano avvenne, quindi, secondo quanto riferiscono Cassio Dione Cocceiano e la "Historia Augusta", durante il periodo delle cosiddette guerre marcomanniche (dal 166/167 al 188/189), al tempo degli imperatori Marco Aurelio, Lucio Vero e Commodo. Sappiamo infatti da Cassio Dione in "Storia romana", LXXII, 12, che il "ramo" dei Vandali Asdingi mosse verso sud-est, guidato dai loro re Raus e Raptus e che alla fine stipularono un trattato di alleanza con i Romani, stanziandosi a nord-est della Dacia, nel bacino dei Carpazi. La sconfitta segnò una svolta nella storia dei Vandali che dovettero così fornire armati all'Impero Romano in qualità di alleati, anche dopo la morte di Marco Aurelio nel 180.

Carta del 178-179 durante le
guerre Marcomanniche.

Nel 173 - Nel corso delle Guerre marcomanniche il re dei Quadi , un certo Furtius, favorevole a Roma poiché scelto per regnare sui Quadi dallo stesso imperatore Marco Aurelio pochi anni prima, è sostituito con l'ostile Ariogeso nel 173 d.C. circa. L'imperatore non può tollerare un gesto del genere ed è costretto a condurre una nuova campagna contro i Quadi. Ariogeso sarà catturato dai Romani ma non condannato a morte, grazie alla clemenza di Marco Aurelio che lo manderà in esilio ad Alessandria d'Egitto l'anno seguente.

Negli anni successivi la regione degli Agri Decumates fiorisce, nonostante alcuni periodi di caos come quello intorno al 185/186, quando scoppia una rivolta ad Argentoratum (la moderna Strasburgo) contro la presenza di militari Romani.

Commodo rappresentato
con gli attributi di

Dal 193 - Con la scomparsa di Commodo, ucciso da una congiura, si apre un periodo di instabilità politica caratterizzata da una guerra civile durata cinque anni, dal 193 al 197, con scontri tra legioni acquartierate in diverse regioni dell'Impero, ciascuna delle quali sostiene il proprio generale come nuovo imperatore. 

Settimio Severo.

Ha la meglio Settimio Severo, originario della Tripolitania, in Africa, governatore della Pannonia. Fondamentalmente il militare Settimio Severo era diventato generale romano ma proveniva da una famiglia di re-sacerdoti di Emesa, città santa e capitale del culto del Dio solare "El-Gabal", il "Sol invictus" dei Romani e sentiva molto la sua "sacra missione". Il culto del Dio adorato dall'Imperatore e dai suoi soldati ebbe modo così di diffondersi nei ranghi dell'esercito, al comando del quale venivano scelti adoratori del Dio Solare, il cui vicario e sacerdote era l'Imperatore stesso. L'ascesa di Settimio Severo costituisce uno spartiacque nella storia romana, essendo infatti considerato l'iniziatore del "dominato", gestione del potere in cui l'imperatore non agisce per conto del Senato, come durante il principato, ma è unico e vero dominus, che trae forza dall'investitura militare delle legioni (anche se anticipazioni di questa tendenza si erano avute sia durante la guerra civile seguita alla morte di Nerone che con Traiano). Settimio Severo introduce un nuovo culto che si incentra sulla figura dell'imperatore, ponendo le basi per una sorta di "monarchia sacra" mutuata dall'Egitto e dall'oriente ellenistico di Alessandro Magno e adotta il titolo di Dominus ac Deus, (Signore e Dio) al posto di quello di princeps (Augusto definiva il princeps come il primo degli uguali, cioè i senatori), e regola i meccanismi di successione assegnandosi il titolo di Augustus ed usando quello di Caesar per il suo successore designato. Sua moglie Giulia Domna, di origine siriaca, promosse attivamente l'arrivo a Roma di culti monoteistici solari, che sottolineavano l'analogia tra ordine imperiale e ordine cosmico. Settimio Severo pose le basi per il successivo sistema autocratico fondato sugli imperatori militari, creando la prima forma di autocrazia militare, togliendo potere al Senato. Si racconta infatti che, poiché aveva preso il potere con l'aiuto dei militari, ricambiò l'ostilità senatoria ordinando l'esecuzione di 29 senatori, accusati di corruzione e cospirazione contro di lui e sostituendoli con suoi favoriti, soprattutto africani e siriani. Inoltre attribuì e ampliò i poteri degli ufficiali dell'esercito investendoli anche di cariche pubbliche che erano solitamente appannaggio del senato. Appena giunto a Roma avviò l'epurazione della guardia pretoriana, che dopo essere stata per due secoli reclutata in Italia e in piccola parte nelle province più romanizzate, fu smantellata e riorganizzata con quadri e organici a lui fedeli, tratti dal contingente danubiano. Da allora in poi l'accesso alla Guardia Pretoriana, un tempo avente un prerequisito geografico e culturale, sarebbe stata appannaggio dei soldati più battaglieri, come quelli dell'Illirico durante il III secolo. Settimio Severo dovette trovare delle resistenze a Roma e sia per prevenirle che per consolidare il proprio potere, fece risiedere la II Legio Parthica nei Castra Albana, sui Colli Albani, ad Albano Laziale, a dispetto della tradizione che voleva l'Italia libera dagli eserciti, come riserva strategica di soldati ben addestrati (detti comitatenses) pronti ad intervenire nel minor tempo possibile ovunque, sia nella capitale che alle frontiere. Settimio Severo diede inoltre impulso agli studi di diritto e nominò il più importante giurista del tempo, Papiniano, Praefectus urbi, con poteri di polizia e repressione criminale su Roma. Il nuovo ordine promosso da Settimio Severo si scontrò presto con i problemi derivanti dallo scoppio di nuove guerre, infatti suo figlio Caracalla (imperatore dal 211 al 217), dovendo guerreggiare contro i Parti a oriente e i Marcomanni lungo il confine renano-danubiano, graverà sulle finanze statali a causa dell'arruolamento sempre più massiccio di mercenari germani nell'esercito, mentre la diminuzione del metallo prezioso nelle monete causava inflazione.

Ecco quindi che con la progressiva germanizzazione dell'esercito romano e il maggior potere dei militari, si giungerà ad avere generali romani germanici che avrebbero avuto a che fare con invasori germanici (come Stilicone con i Visigoti).

Franchi Salii, Franchi Ripuari
e confederazione degli Suebi
Alemmani, da http://www.lions
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Droysens-20c.jpg
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Sul Reno inferiore appare, dall'inizio del III secolo, la possente  federazione dei Franchi (nome che alcuni pensano derivi da "arditi"), continuazione degli antichi Chiauci, frutto dell'unione di tribù germaniche stanziate lungo la sponda destra del corso inferiore del Reno, fra le quali vi furono probabilmente anche i Brutteri e i Sicambri (o Sigambri). Questa sorta di federazione si formò attraverso una serie di imprese militari che via via aggiunsero ad un nucleo originario i territori di popolazioni confinanti, senza soffocarne tuttavia l'influenza e l'autonomia. E' consuetudine suddividere i Franchi in due grandi gruppi. 1) I Franchi Salii, così chiamati perché abitavano la regione, negli attuali Paesi Bassi, prossima al fiume Sala, l'odierno Ijssel, nome caratterizzato dal digramma IJ che in olandese è una lettera dell'alfabeto che si scrive in maiuscolo, il più orientale dei tre rami principali in cui si divide il Reno prima di sfociare in mare; gli altri due sono il Nederrijn e il Waal. Anticamente l'Ijssel era chiamato dai Romani con il nome Isala (o Sala), nome che si pensa derivasse dal germanico "i sala", col significato di "acqua scura". Oggigiorno si getta, attraverso il Ketelmeer, nell'IJsselmeer, un lago artificiale che deve il suo nome all'IJssel stesso, che ne è tributario. 2) I Franchi Ripuari, (probabilmente da “ripa”, la riva del Reno), stanziati più a sud lungo la sponda destra del corso inferiore del Reno, in un'area oggi facente parte della Germania, nei territori di Colonia, Treviri, Francoforte). Nel corso del III secolo d.C. i Franchi sono ricordati per i loro tentativi, spesso con gli Alemanni (dal germanico "tutti gli uomini", federazione di tribù germaniche suebiche stanziate al sud dei Franchi, fino al Danubio) di sfondare i confini dell'Impero Romano. Nel 254 Gallieno, che allora aveva la carica di Cesare, fermò uno di questi tentativi di invasione. Ancora Gallieno nel 257 intervenne contro i Franchi nei pressi di Colonia mentre Aureliano (che sarebbe divenuto imperatore nel 270) comandava una legione che li affrontò e sconfisse presso Mogontiacum (Mainz/Magonza). Altre imprese dei Franchi verso le Gallie e la Penisola Iberica si svolsero negli anni successivi e furono fermate dagli interventi di Postumo e di Aureliano. Fu negli anni successivi alla morte di Aureliano (nel 275) che i Franchi, ancora con gli Alemanni, riuscirono ad invadere la Gallia, portando ovunque la devastazione dei saccheggi finché non furono fermati da Probo e, nel 288, da Massimiano. Diventeranno infine federati di Roma, permettendo il prolungamento del potere nominale di Roma nei loro territori dopo la deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore dell'impero romano d'Occidente, nel 476, per mano di Odoacre, re degli Eruli.

Nel 212 - Era dai tempi di Marco Aurelio, durante le Guerre marcomanniche (166/167-188), che le tribù germaniche non esercitavano una pressione così forte lungo i confini settentrionali dell'Impero romano. Le invasioni barbariche del III secolo (212/213-305), secondo tradizione, ebbero inizio con la prima incursione condotta della confederazione dei suebi Alemanni (o Alamanni) nel 212/13, con Caracalla imperatore, inaugurando un periodo ininterrotto di scorrerie all'interno dei confini dell'impero romano, per fini di saccheggio e bottino, da parte delle popolazioni che gravitavano lungo le frontiere settentrionali. Gli Alemanniconosciuti anche come Allemanni o Alamanni, erano originariamente un'alleanza di tribù germaniche perlopiù suebiche, di cui il nucleo originario era costituito dai suebi Semnoni, stanziati intorno alla parte superiore del fiume Meno, a cui si erano unite le tribù suebiche di Catti, Naristi, ErmunduriVandali  Iutungi. Dopo circa quarant'anni, i germani suebi Catti, ora nella confederazione degli Alemanni, tornavano a sfondare il limes romano nella regione del Wetterau (in Assia). Pitti e Caledoni sconfinavano in Britannia e dai fiumi Reno e Danubio, fino al Mar Nero, premevano le tribù germaniche di Frisi, Sassoni, Franchi, Alemanni, Burgundi, Marcomanni, Quadi, Lugi, Vandali Iutungi, Eruli e Goti (in particolare Tervingi, Grutungi e Gepidi),  oltre alle tribù daciche dei Carpi e a quelle sarmatiche di Iazigi, Roxolani ed Alani; ed inoltre i Bastarni (o Peucini, insieme di popolazioni di stirpe germanica e sarmata), gli Sciti e i Borani, antico popolo che abitava la penisola di Crimea, forse di ceppo sarmatico o germanico, come i Goti e gli Eruli, ai quali si univano nelle loro scorrerie.

Caracalla.

Dal 213 - In seguito alle prime invasioni negli Agri Decumates da parte di tribù suebiche appartenenti alla confederazione tribale degli Alemanni, con Caracalla, imperatore dal 211 al 217 (il figlio di Settimio Severo succedutogli),  potrebbero essere stati aggiunti ulteriori sbarramenti, fossati, palizzate e terrapieni al limes germanico-retico. Gli Alemanni comunque, continueranno a guerreggiare con i successori di Caracalla, da Alessandro Severo a Massimino Trace, fino a Gallieno, che nel 260 deciderà il definitivo abbandono ed evacuazione di tutti i territori ad est del Reno e a nord del Danubio, poiché sottoposti alle continue invasioni degli Alemanni stessi.

Gli Alemanni, anche conosciuti come Allemanni o Alamanni, erano originariamente un'alleanza di tribù germaniche (tra le quali Catti, Naristi, Ermunduri, Iutungi e parte dei Semnoni) stanziate attorno alla parte superiore del fiume Meno, in una regione che oggi è posizionata nel sud-ovest della Germania. Una delle prime testimonianze dell'esistenza di questo insieme di popoli è il cognomen Alamannicus assunto dall'imperatore Caracalla (che regnò dal 211 al 217), assunto per celebrare la loro sconfitta per sua mano. Il primo documento in cui gli Alemanni vennero menzionati fu la descrizione della campagna di Caracalla del 213, compilata dallo storico Cassio Dione Cocceiano: al tempo gli Alemanni occupavano il bacino del Meno a sud del territorio popolato dalla tribù dei Catti. Dione ritrae gli Alemanni come vittime del suo sanguinario imperatore: secondo lo storico, Caracalla, chiamato in aiuto dagli stessi Alemanni, approfittò della loro debolezza per colonizzare il loro territorio, cambiare il nome dei loro insediamenti e uccidere i loro guerrieri più valorosi. Quando l'imperatore cadde ammalato, gli Alamanni rivendicarono di aver lanciato su di lui una maledizione: Caracalla si dice, contrastò questa influenza malvagia chiamando in aiuto gli spiriti dei suoi antenati. In risposta al loro maleficio l'imperatore inviò loro contro la Legio II Traiana Fortis, che li sconfisse e che fu per questo chiamata Germanica. Gli scrittori romani, come appunto Cassio Dione nel III secolo o Aurelio Vittore nel IV secolo, non ebbero comunque una conoscenza precisa delle origini degli Alamanni, non comparve nulla che lasciasse presagire che, presso quei popoli, vi fosse l'esistenza di particolari leggende o antiche genealogie sulle loro origini che facciano dedurre una comune identità originaria. L'alleanza Alemanna era comunque di tipo aggressivo, essendosi susseguiti numerosi attacchi alle province della Germania Superior. Si ritiene che gli Alemanni abbiano assunto come modello del loro agire i Franchi, la prima alleanza di tribù germaniche, che aveva fermato la penetrazione romana sul basso Reno prima di invadere la provincia della Germania inferiore. Come indicato dallo storico romano del terzo secolo Asinio Quadrato, il loro nome significa "tutti gli uomini" (in effetti in tedesco tutto/tutti = alles e uomo/uomini = mann/männer) e sta a indicare il loro eterogeneo conglomerato tribale: questo fu il nome utilizzato per descriverli da Edward Gibbon nella sua opera "Decline and Fall of the Roman Empire", capitolo 10 e che si è consolidato nella storiografia nel corso dei secoli. Tuttavia, come ci è stato tramandato dal monaco dell'abbazia di San Gallo, Valafrido Strabone, che scrisse nel nono secolo, le popolazioni del nord della Svizzera e delle regioni confinanti, che gli stranieri chiamavano Alemanni, chiamavano se stessi Suebi o SveviSchwäbisch nella loro lingua. Dal I secolo il Reno era diventato il confine naturale che separava la Gallia romana dalle regioni germaniche: tribù germaniche, celti e tribù miste di queste due componenti etniche, si erano stabilite in quelle zone. I Romani divisero quei territori in due distretti: Germania superiore e Germania inferiore, situate rispettivamente lungo l'alto e il basso Reno: la Germania Superior includeva le regioni che si trovavano tra l'alto corso del Reno e l'alto corso del Danubio, di cui la sponda destra segnava la frontiera della Rezia romana e i romani chiamavano quei territori anche Agri Decumates, il cui confine fortificato con i territori della Germania Magna, fu chiamato Limes Germanicus (superior), per noi limes germanico-retico. Le bande di Alemanni superarono frequentemente questo confine, penetrando la Germania Superior e gli Agri Decumates e occupando l'Alsazia, la Svizzera settentrionale e parti della Baviera e dell'Austria, regioni precedentemente occupate da tribù celtiche che si erano sottomesse alla giurisdizione romana. Furono popolazioni sempre ostiche al potere imperiale tanto che la fama di Proculo, usurpatore del trono imperiale nel 280, derivò dai suoi successi contro queste tribù. La tribù dei Semnoni e parte degli Herminones, costituì il nucleo originario della federazione di tribù nota come Alemanni (o Alamanni), nominati per la prima volta nel 213. Gli Alemanni inizialmente vennero arruolati nell'esercito romano come ausiliari, ottenendo a fronte del graduale spopolamento il diritto di insediarsi in alcune zone dell'impero e diventando così, da pastori e cacciatori nomadi o seminomadi, agricoltori sedentari. Il popolo si stanziò nella valle del Neckar. La federazione degli Alemanni venne a conflitto con i Romani per la prima volta lungo il Limes germanico-retico, dove fu sconfitta da Caracalla nel 213. Alla sconfitta fece seguito un periodo di relativa tranquillità, ma nel 235-236 il conflitto con Roma si riaccese; questa volta a opporsi agli Alemanni fu Massimino Trace, che non solo ne respinse le incursioni, ma penetrò anche profondamente all'interno del loro territorio, al di là del Limes. Nel 254 un nuovo tentativo di sfondamento del Limes fu arginato da Gallieno, ma nel 260 gli Alemanni riuscirono a penetrare, attraverso il passo del Brennero, in Italia, da dove solo a fatica l'imperatore riuscì a ricacciarli, in una battaglia combattuta presso Milano. La pressione alemannica indusse comunque Gallieno a rettificare il confine settentrionale dell'Impero, abbandonando gli Agri decumates, che così poterono essere occupati dagli stessi Alemanni. Negli anni successivi, gli Alemanni ripeterono più volte il medesimo schema, penetrando in Italia ttraverso i passi alpini (nel 268 e nel 270); ogni volta furono respinti, ma soltanto a fatica e dopo che il primo obiettivo delle loro incursioni (il saccheggio) era stato comunque stato raggiunto. Nel 298 tornarono ad aggredire il Limes renano, impegnando Costanzo Cloro. Nel 354 una nuova incursione alemanna contro l'Impero romano, mossa partendo sempre dal loro territorio d'insediamento nell'odierna Germania meridionale, sfociò in un ampio conflitto contro l'imperatore Costanzo II. Guidata dai fratelli Gundomado e Vadomario, la confederazione penetrò in Gallia attraverso il Limes renano, saccheggiò numerose città e vinse nella Battaglia di Reims (356) il cesare d'Occidente, Giuliano, che tuttavia ebbe la sua rivincita già l'anno seguente, nella Battaglia di Strasburgo (357). Poco più tardi gli Alemanni si accordarono con lo stesso imperatore per scendere in campo contro Giuliano (359), che tuttavia costrinse Vadomario a negoziare una pace (360). Roma, dilaniata dalle rivalità tra i diversi cesari e augusti, cercò di inserire gli Alemanni all'interno dei propri giochi politici; nonostante un attacco a tradimento contro Giuliano nel 361, Vadomario e i suoi guerrieri furono impiegati come truppe mercenarie in Asia (365-366) e in Armenia (371). Il nucleo della confederazione proseguiva intanto nelle sue scorrerie: nel 368 travolsero Magonza e costrinsero l'imperatore Valentiniano I ad accorrere e a ricacciare i Germani con la Battaglia di Solicinium; nel 378 a sconfiggerli fu Graziano, nella Battaglia di Argentovaria. Nel V secolo vi fu ancora una distinzione tra gli Alemanni e i Suebi, con la sconfitta di questi popoli da parte di Clodoveo I, una prima volta nel 476/477, e una seconda volta nel 506 con l'uccisione del rex Alamannorum. Da questo momento persero alcuni territori con le relative popolazioni che appunto andarono a formare il nucleo della Svevia. Pur non costituendo più, da questo momento, una entità politica, la loro importanza etnografica all'interno delle politiche dei Franchi e degli Ostrogoti rimase importante. Dopo l'uccisione del loro re tentarono un'alleanza con gli Ostrogoti. Si insediarono, sotto la protezione dei Goti, una parte nel nord Italia e un'altra parte nella regione tra il Lago di Costanza e il tratto alpino del Reno, nell'attuale Svizzera. Gli stati germanici formatisi dalla confederazione alemannica ricevettero così, durante il lento processo di disgregazione dell'Impero Romano il nome di Alemannia. Questa regione, dopo la caduta di Roma verrà occupata dai Franchi. Nel 537 il re Vitige cedette ai Franchi l'Alemannia gotica, che da quel momento fece stabilmente parte del regno dei Franchi e che in seguito si espanse in buona parte dell'altopiano svizzero e in varie regioni dell'arco alpino. Al VI secolo risale la conversione degli Alemanni al cristianesimo, ad opera principalmente dell'abate irlandese San Colombano e all'opera missionaria evangelizzatrice iniziata dall'Abbazia di Luxeuil e proseguita con le sue fondazioni monastiche nel territorio e attorno al Lago di Costanza (Bregenz e San Gallo) da parte di altri monaci benedettini bianchi di San Colombano, detti anche colombaniani, fra cui spiccarono San Gallo (monaco e compagno di Colombano) e San Magno

Tabella della distribuzione,
in azzurro, dei dialetti svevo-
alemannici. Tradotta da
Alemannic-Dialects-Map-
English.svg:*Alemannic-
Dialects-Map-German.svg:
 *Alemannic_language_
 location_map_in_1950-de.
svg: *derivative work:
Pyrokrat (talk) Alemannic
_language_location_map_
in_1950-fr.svg: Sémhurderi
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 (talk)- Alemannic-Dialects-
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-SA 3.0, https://commons.
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https://it.
wikipedia.org/wiki/Alemann
i#/media/File:Alemannic-
Dialects-Map-English.png
.
La regione dell'Alemannia comprendeva un numero di distretti differenti, che riflettevano la loro diversa composizione etnica: la diocesi di Strasburgo, il territorio di Augusta, la diocesi di Magonza e Basilea. Oggi i discendenti degli Alemanni sono divisi in parti di quattro differenti nazioni: Francia (Alsazia), Germania (Svevia e parte della Baviera), Svizzera e Austria, regioni caratterizzate da dialetti, derivati dal tedesco alemanno che ben si contraddistinguono dal tedesco parlato altrove e che ancora oggi riesce a indicare l'area che questo popolo riuscì a occupare nel corso dei secoli.

Carta della distribuzione, in azzurro, dei dialetti svevo-alemannici
nei XIX e XX secoli. Di Alemannic-Dialects-Map-English.svg:
*Alemannic-Dialects-Map-German.svg: *Alemannic_language
_ location_map_in_1950-de.svg: *derivative work: Pyrokrat
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CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.
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https://it.wikipedia.org/wiki/Alemanni
#/media/File:Alemannic-Dialects-Map-English.png
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Nel 214 - L'imperatore Caracalla fa giustiziare Gabiomarus, re dei suebi Quadi, forse perché si era ribellato ai Romani o più semplicemente perché non aveva inviato sufficienti armati ausiliari all'impero. L'obbiettivo dell'imperatore era quello di mantenere invariati gli equilibri con le clientele lungo il Danubio.

I Goti nel 230.
Nel 230 - I Goti arrivano a contatto con il mondo romano nella zona che va dalla foce del Danubio al Regno del Bosforo Cimmerio, regno ellenistico situato nelle penisole di Crimea e di Taman'. I Goti (in latino Gothones) erano una federazione di tribù germaniche orientali, secondo le loro stesse tradizioni originari dell'isola di Gotland e della regione di Götaland in Svezia, che a ondate erano sbarcati sulle coste del Mar Baltico e da lì si erano spinti a sud sottomettendo le popolazioni che avevano trovato sul loro percorso. Due tribù strettamente apparentate, i Gutar e i Götar, che rimasero in Scandinavia, sono annoverate fra i Goti con i nomi di Gotlandi e Geati. Sappiamo che la prima suddivisione interna della federazione gotica, fu tra le maggiori tribù (si pensa che in totale le tribù fossero non meno di dodici), i Tervingi a occidente e i Greutungi a oriente, che successivamente, dal III/IV secolo, saranno denominati Visigoti (Goti dell'ovest) e Ostrogoti (Goti dell'est), mentre i Gepidi erano il ramo gotico settentrionale. Gli Eruli, che erano una popolazione germanica di incerta origine (per alcuni erano dell'Halland in Svezia, mentre secondo altri della vicina isola danese di Selandia, se non dello Jutland stesso), si erano spostati, contemporaneamente ai Goti, nella regione compresa tra il fiume Dnepr e il mar d'Azov. I Sàrmati, di origine scito-iranica invece, a causa dell'arrivo degli Eruli e dei Goti nei loro territori, si erano divisi alla destra e alla sinistra dei nuovi arrivati.

Carta del III secolo con Sarmazia,
Illiria e Anatolia, con le direttrici
delle incursioni delle popolazioni
germaniche e sarmatiche.

Nel 235 - Non tutte le legioni si erano convertite al nuovo culto del Dio Solare introdotto dall'imperatore Settimio Severo e la discriminazione nella scelta dei comandi, volta a escludere i non devoti alla divinità orientale, dovette alienare le simpatie di quest'ultimi al giovane e ultimo discendente di Settimio Severo, Severo Alessandro, assassinato dal suo successore Massimino il Trace nel 235 d.C., anno in cui inizia l'anarchia militare, la ribellione al culto solare.

Gaio Giulio Vero
Massimino, noto
come Massimino il
Trace, il primo
imperatore barbaro,
da: QUI.

A seguito dell'assassinio dell'ultimo imperatore della dinastia dei Severi, a Moguntiacum (l'odierna Mainz/Magonza), capitale della provincia della Germania Inferior, Massimino Trace è acclamato imperatore, malgrado la forte opposizione del Senato e l'ostilità della popolazione. L'omicidio avvenne nel limes settentrionale, al ritorno dal fronte orientale, dopo tre anni di campagne contro i Sasanidi della Persia. Massimino il Trace, nato senza la cittadinanza romana e senza aver percorso alcun corsus honorem, è stato il primo barbaro a raggiungere la porpora imperiale grazie al solo consenso delle legioni a lui fedeli, stanziate nei confini occidentali, sul Reno e sul Danubio, che non osservavano il culto solare, mentre era già presente fra loro una forte componente barbarica, in gran parte germanici, che preferiva una politica tollerante, esente da carichi religiosi e affine all'agnosticismo degli imperatori del secolo precedente, con successioni al Principato non ereditarie. Dopo aver preso il potere, Massimino lanciò l'ultima grande offensiva romana in Germania con effettivi in gran parte germanici, contro la confederazione sueba degli Alemanni, che da allora rimasero tranquilli per vent'anni, ma perse la guerra e la vita contro i futuri Imperatori Gordiano I e Gordiano II, che avevano i comandi e l'appoggio dell'Africa romana, regione di provenienza di Settimio Severo, dove il culto del Dio solare era invece diffuso e indiscusso. Con il loro discendente Gordiano III, la pressione dei barbari sui confini era aumentata e necessitavano quindi eserciti fedeli e coesi. Sia l'Imperatore Filippo l'Arabo che il suo successore Decio, erano stati generali dell'esercito di Gordiano III, fedeli al dio solare, che pur non pretendendo esclusiva devozione e quindi non configurandosi come un monoteismo, prendeva senz'altro il primo posto nel Pantheon dell'Impero Romano. È significativo che proprio sotto Decio cominciarono le persecuzioni contro i cristiani. La pressione dei barbari lungo le frontiere settentrionali e quella, contemporanea, dei Sasanidi in Oriente, si erano non solo intensificate, ma avevano diffuso la sensazione che l'impero fosse totalmente accerchiato dai nemici. Si rivelavano ormai inefficaci gli strumenti della diplomazia tradizionale, usati fin dai tempi di Augusto e basati sulla minaccia dell'uso della forza e sulla fomentazione di dissidi interni alle diverse tribù ostili (la politica del “dividi e impera”) per tenerle impegnate le une contro le altre. Si rendeva necessario reagire in tempi brevi con la forza, schierando armate tatticamente superiori e capaci di intercettare il più rapidamente possibile ogni possibile via di invasione dei barbari, strategia resa difficoltosa dal dover presidiare immensi tratti di frontiera con contingenti militari per lo più scarsi.

Con l'esaurimento dei proventi ottenuti dalle conquiste, il peso economico e l'energia politica delle legioni finirono per pesare all'interno dell'Impero, con il risultato che l'esercito, che era stato il fattore principale della potenza economica romana, finì per diventare un peso sempre più schiacciante, mentre la sua prepotenza politica non poteva essere arginata da alcuna istituzione. Molti degli imperatori che vennero via via proclamati dalle legioni successivamente, non riuscirono neppure a metter piede a Roma, né tanto meno, durante i loro brevissimi regni, a intraprendere riforme interne, poiché permanentemente occupati a difendere il trono imperiale dagli altri pretendenti e il territorio dai nemici esterni. In mancanza di nuove conquiste, di nuovi schiavi e di bottini di guerra, le spese dello Stato, sempre più impellenti per rispondere militarmente alle pressioni delle popolazioni esterne dell'impero, furono coperte con un progressivo aumento delle tassazioni, proprio quando la diminuzione del numero di schiavi minava le possibilità economiche dei cittadini. Gradualmente la ricchezza, l'importanza politica, sociale, istituzionale e culturale si era livellata tra il centro e le province dell'Impero romano, sebbene con disparità ancora evidenti (in genere le province orientali erano economicamente più sviluppate di quelle occidentali). La pressione fiscale divenne insostenibile per molti piccoli proprietari, costretti a indebitarsi e quindi a vendere le proprie terre, per andare a lavorare in condizioni di semischiavitù sotto i grandi proprietari (colonato). Per questo fenomeno e per il calo demografico determinato dalle perdite umane nei numerosi conflitti, molte terre furono abbandonate e cessarono di essere produttive (fenomeno degli agri deserti). Le difficoltà di comunicazione in seguito ai numerosi conflitti avevano in diversi casi reso indispensabile la riscossione diretta delle tasse da parte dell'esercito stesso, causando abusi e trasformandosi a volte in un vero e proprio diritto al saccheggio. Lo spopolamento di intere regioni fu inoltre causato anche da elementi climatici e sociali: i contadini, infatti, non conoscevano la rotazione delle colture e via via che la terra diventava improduttiva si dovevano spostare verso altre aree. Si diffusero così i latifondi scarsamente produttivi e il ceto dei contadini liberi si assottigliò, sostituito prima dagli schiavi e successivamente, dai coloni affittuari. La scarsa capacità di acquisto delle classi subalterne, impediva una qualsiasi crescita del mercato economico. Fin dalla riforma di Settimio Severo, i soldati romani costituivano una casta (ereditaria) di privilegiati mentre gli altri, soprattutto gli agricoltori, si trovavano oberati dalle tasse e di conseguenza in molti cercarono di abbandonare la terra per trasferirsi in città. Le aree spopolate vennero in seguito concesse ad alcune popolazioni barbariche che si stabilirono nell'Impero come foederati. A tutto ciò si aggiungeva un costante reclutamento forzato di militari, a danno della manovalanza impiegata nelle campagne agricole, con conseguente abbandono di numerose fattorie e vaste aree di campi da coltivare mentre i coloni rimasti diventarono cittadini semi-liberi, legati alla terra e con le successive riforme imperiali, la loro posizione divenne ereditaria, il modello per la servitù della gleba, la base della società feudale medievale.

In questa fase storica si assiste dunque ad una massiccia germanizzazione dell'esercito romano che necessitava di sempre maggiori soldati da schierare lungo i limites, sia come legionari che ausiliari o federati.

I goti Greutungi assunsero il nome di Ostrogoti (Goti dell'est) quando riconobbero l’autorità degli Amali, la loro dinastia reale, considerati come i più valorosi tra i loro guerrieri. Stando ad una loro leggenda, gli Amali discendevano da un antico eroe le cui gesta gli erano valse il titolo di Amala (ossia "potente"). La stirpe degli Amali fornì i seguenti re Ostrogoti: Ostrogota, (principe e condottiero vissuto all'epoca degli imperatori Gordiano III, imperatore romano dal 238 al 244 e Filippo l'Arabo, imperatore romano dal 244 al 249), Winitario (circa 380), Hunimundo (circa 390), Torismondo (circa 400), Valamiro circa (447 - 465), Widemero o Vidimero (circa 473), Teodemiro (468 - 474), Teodorico il Grande (474 - 526), Atalarico (526 - 534), Teodato (534 - 536). Inoltre tra gli Amali si annovereranno anche le regine Amalasunta e Matasunta. Alla morte di Teodato, avvenuta nel 536, gli Amali si estinsero definitivamente.

Carta dell'impero romano con in verde i territori, perduti nel III sec.,
degli Agri Decumates e della Dacia. Sono indicate, sempre in verde,
le direttrici delle migrazioni dei Sassoni, dei Franchi, dei suebi
Alemanni, Iutungi, Marcomanni e Quadi, degli Iazigi di origine
sarmatica, dei Carpi di stirpe dacica, dei Goti Tervingi e dei Borani,
di stirpe incerta. Da https://it.wikipedia.org/wiki/File:Barbarian
_invasions_from_3rd_century.png
.

Dal 248 - Durante una nuova incursione di Goti, ai quali era stato rifiutato il contributo annuale promesso da Gordiano III, si associarono anche i Vandali, portando devastazione nella provincia di Mesia inferiore: « Sotto l'impero di quel Filippo […] i Goti malcontenti che non si pagasse più loro il tributo, si trasformarono in nemici da amici che erano. […] Ostrogota, re dei Goti, marciò contro i Romani alla testa di trentamila armati a cui si aggiunsero anche guerrieri taifali, asdingi e tremila Carpi, quest'ultimo popolo assai bellicoso e spesso funesto per i Romani. » (Giordane, De origine actibusque Getarum, XVI, 1-3.). L'invasione alla fine fu fermata dal futuro imperatore di origine illirica e allora generale dell'Imperatore Filippo l'Arabo, Decio Traiano, presso la città di Marcianopoli, rimasta sotto assedio dei barbari per lungo tempo. La resa dei barbari fu motivata sia dall'ignoranza dei Germani in fatto di macchine d'assedio che, come suggerisce Giordane, «dalla somma versata loro dagli abitanti». Nel III secolo inizia anche l'espansione di alcune tribù slave nella Boemia (nome che deriva da "territorio dei Boi"), a danno dei Celti.

Dal 250 - Dopo il primo assalto avvenuto durante l'epoca di Marco Aurelio, un'altra pesantissima e ancor più devastante epidemia di peste colpisce i territori dell'Impero nel ventennio 250-270. Si è calcolato che il morbo abbia mietuto milioni di vittime e che alla fine la popolazione dell'Impero fosse ridotta del 30 per cento, da 70 a 50 milioni di abitanti. Il prezzo da pagare per la sopravvivenza dell'Impero fu molto alto anche in termini territoriali: a partire dal 260, gli Imperatori che si susseguirono dovettero abbandonare definitivamente, gli Agri decumates oltre il Reno (sotto Gallieno) e la provincia delle Tre Dacie (sotto Aureliano, nel 271 circa).

Nel 251 - Insieme al figlio Erennio Etrusco, muore Gaio Messio Quinto Traiano Decio (201 - 1º luglio 251), imperatore romano dal 249, durante la battaglia di Abrittus. Decio regnò così per soli due anni. Furono avvenimenti torbidi quelli che seguirono la morte di Decio, che aveva dovuto sostenere dure lotte coi Goti giunti sino a Filippopoli. Gli eserciti romani lasciarono le frontiere per marciare verso l'interno e i barbari passarono dovunque i confini. I Goti, oltre a spingersi via terra a sud del Danubio, arrivavano anche per mare in Asia Minore. Alemanni e Franchi si rovesciarono sulla Gallia, attaccata per mare dai Sassoni, confederazione di popoli germanici occidentali, formatasi probabilmente nel III secolo e consolidatasi nel IV secolo, grazie all'unione delle tribù germaniche che si affacciavano sul Mare del Nord, come i Cauci, gli Angrivari, oltre ai Cherusci.

In quei tempi l'esercito imperiale era per buona parte formato da Germani, d'aspetto e organizzazione divenuti sempre più barbarizzati e si era persa quella superiorità che gli veniva dall'armamento e dalla disciplina romana.

Valeriano su sesterzo. Di
Classical Numismatic Group,
Inc. QUI, da QUI.

Nel 253 - Il nuovo imperatore Valeriano (imperatore dal 253 al 260), spartisce il potere con il figlio Gallieno (imperatore dal 253 al 268), affidandogli la parte occidentale dell'impero e riservando per sé quella orientale, come in passato era già avvenuto con Marco Aurelio e Lucio Vero (dal 161 al 169). Intorno al 253 gli Eruli si erano uniti ai Goti nell'attacco a Pessinunte ed Efeso, che distrussero. In seguito presero parte, insieme ai Gepidi (i Goti settentrionali) e ad altre tribù, all'imponente coalizione guidata dai Goti che saccheggiò le province romane della regione balcanico-anatolica. Da queste basi, Goti ed Eruli partirono per compiere varie incursioni e spedizioni di pirateria lungo le coste prima del mar Nero e poi dell'Asia minore.

Nel 257 e nel 258, Valeriano emanò due editti, che prevedevano la confisca dei terreni religiosi e la condanna dei seguaci del Cristianesimo; a differenza dei suoi predecessori diresse il proprio attacco alla gerarchia ecclesiastica piuttosto che ai semplici fedeli. Tra le vittime di questa persecuzione vi furono infatti papa Stefano I, papa Sisto II, il vescovo di Cartagine Cipriano (messo a morte nel settembre del 258 e con la fine della sua corrispondenza manca un'importante fonte storica di quel periodo), Dionisio di Alessandria e san Lorenzo martire. Il momento più cupo del suo principato fu raggiunto nel 260, quando Valeriano stesso fu sconfitto in battaglia e preso prigioniero dai Sasanidi, morendo in prigionia senza che fosse possibile intraprendere una spedizione militare per liberarlo.

L'imperatore Gallieno.

Se da un lato l'impero romano sembra abbia attraversato, sotto Gallieno, uno dei periodi più "bui" della sua storia, questo imperatore rappresentò il punto di svolta nel tragico periodo della crisi del III secolo, che era seguito alla dinastia dei Severi. Non è un caso che proprio Gallieno sia stato il primo a regnare per quindici anni (sette con il padre ed otto da solo), cosa assai rara se si considera il primo periodo dell'anarchia militare (dal 235 al 253). Era, infatti, dai tempi di Settimio Severo (193-211) che un Imperatore romano non regnava tanto a lungo. Gallieno riformò l'esercito: resosi conto dell'impossibilità di proteggere contemporaneamente tutte le province dell'impero con una statica linea di uomini posizionati a ridosso della frontiera, Gallieno sviluppò una pratica che era iniziata verso la fine del II secolo sotto Settimio Severo (con il posizionamento di una legione, la legio II Parthica, a pochi chilometri da Roma, ovvero posizionando una riserva strategica di soldati ben addestrati pronti ad intervenire, dove serviva nel minor tempo possibile (contingenti di cavalleria a Mediolanum, Sirmio, Poetovio e Lychnidos). In accordo con queste considerazioni, Gallieno attorno agli anni 264-268, o forse poco prima, costituì questa riserva strategica centrale (che sarà alla base della futura riforma dell'esercito di Diocleziano), formata prevalentemente da unità di cavalleria pesante dotate di armatura (i cosiddetti promoti, tra cui spiccavano gli equites Dalmatae, gli equites Mauri et Osroeni), poiché queste percorrevano distanze maggiori in minor tempo della fanteria legionaria o ausiliaria. Ed ogni volta che i barbari sfondavano il limes romano e s'inoltravano nelle province interne, la "riserva strategica" poteva così intervenire con forza dirompente. La base principale scelta da Gallieno per la nuova armata fu posta a Milano, punto strategico equidistante da Roma e dalle vicine frontiere settentrionali della Rezia e del Norico. Si trattava di un'iniziativa resasi necessaria anche a causa della perdita degli Agri decumates tra il Reno ed il Danubio, che aveva portato i vicini Germani a trovarsi più vicini alla penisola italica, centro del potere imperiale. La predisposizione per la cavalleria riguardava non solo le forze ausiliarie ed i numeri, ma anche le legioni stesse, dove il numero di cavalieri passò da 120 a 726 per legione. Sembra infatti che Gallieno abbia aumentato il contingente di cavalleria interno alla legione stessa, dove la prima coorte era composta da 132 cavalieri, mentre le altre nove di 66 ciascuna. Questo incremento fu dovuto proprio alla necessità di avere un esercito sempre più "mobile". La riforma di Gallieno, inoltre, toglieva ai senatori ogni carica militare; se in passato i comandanti delle legioni (legatus legionis) provenivano dal Senato a parte quelli che comandavano le legioni egiziane, ora provenivano dalla classe equestre (praefectus legionis). Con le riforme apportate da Gallieno infatti, mutava sia l'estrazione sociale dei comandanti militari e dei loro diretti subalterni, già monopolio aristocratico, che quella degli ufficiali intermedi, un tempo privilegio dell'ordine equestre: dopo il 260 il comando delle legioni e la carica di tribuno militare fu assegnata a ufficiali di carriera spesso di bassa origine sociale. Era ora possibile, anche per un semplice legionario che si distinguesse per abilità e disciplina, scalare i diversi gradi dell'esercito: centurione, protector, dux, fino a ottenere incarichi amministrativi prestigiosi, quale quello di praefectus, comandante militare. La riforma eliminava inoltre, in modo definitivo ogni legame tra le legioni e l'Italia, poiché i nuovi comandanti, che erano spesso militari di carriera partiti dai gradi più bassi e arrivati a quelli più alti, erano interessati più al proprio tornaconto o al massimo agli interessi della provincia d'origine (in particolare a quelle Illiriche, visti quanti imperatori saranno illirici), ma non a Roma. I generali che comandavano questa forza, quindi, avevano nelle loro mani un potere incredibile e non è un caso che futuri augusti come Claudio II il Gotico o Aureliano ricoprissero questo incarico prima di diventare imperatori. Il periodo in cui Gallieno regnò da solo (260-268) fu caratterizzato anche da un rifiorire delle arti e della cultura, con la creazione di un ponte tra la cultura classica dell'epoca degli Antonini e quella post-classica della Tetrarchia. Tale periodo vide un cambiamento nella visione dei rapporti tra uomo e divino e tra uomini, un movimento che consciamente tentò di far rinascere la cultura classica ed ellenica, come si può osservare dalla monetazione e dalla ritrattistica imperiale. « In verità Gallieno si segnalava, non lo si può negare, nell'oratoria, nella poesia ed in tutte le arti. Suo è il celebre epitalamio che risultò il migliore tra cento poeti. [...] si racconta che abbia recitato: "Allora andate ragazzi, datevi da fare con il profondo del cuore tra voi. Non le colombe i vostri sussurri, né l'edera i vostri abbracci, né vincano le conchiglie i vostri baci". » (Historia Augusta, Gallieni duo, 11.6-8.) . Fu questo periodo che vide fiorire il Neoplatonismo, il cui maggior rappresentante, Plotino, fu amico personale di Gallieno e Salonina, mentre il Cristianesimo si consolidava.

Dal 256 - Nuove minacce per l'Impero romano da parte di Germani e Sàrmati, causate principalmente da un cambiamento nelle strutture tribali delle loro società rispetto ai precedenti secoli: la popolazione, sottoposta all'urto di altri popoli barbarici provenienti dalla Scandinavia e dalle pianure dell'Europa orientale, necessitava di una struttura organizzativa più forte, pena l'estinzione delle tribù più deboli. Da qui la necessità di aggregarsi in federazioni etniche di grandi dimensioni, come quelle di Alemanni, Franchi e Goti, per difendersi da altre bellicose popolazioni barbariche o per meglio aggredire il vicino Impero romano, la cui ricchezza faceva gola. I Germani occidentali presentano nuovi raggruppamenti etnici che, sotto l'influsso della civiltà romana, costituiscono più salde formazioni politiche. Dai Suebi avevano avuto origine gli Alemanni ("uomini di molte stirpi"), che comparvero fra il Meno e il Danubio e, forzato dopo lunghe lotte il limes, varcarono il Reno occupando l'Alsazia e il Palatinato. I Sassoni dall'Elba inferiore si estesero sino al centro della Germania e poi verso ovest e sud, incorporando molte tribù in uno stato potente. Non si trattava comunque allora, di spostamenti di massa di intere popolazioni come quelli che si sarebbero verificati nei secoli successivi, quando l'irruzione degli Unni nello scacchiere europeo avrebbe indotto molte tribù germaniche a cercare nuove sedi d'insediamento all'interno dell'Impero romano. Lo sfondamento del limes renano-danubiano era favorito dalla grave crisi interna che travagliava l'Impero romano, fra cui l'epidemia di peste. Roma, infatti, attraversava un periodo di grande instabilità interna, causata dal continuo alternarsi di imperatori ed usurpatori (nell'anarchia militare). Le guerre interne consumavano importanti risorse negli scontri tra i vari contendenti, richiedevano continui arruolamenti di non-romani e sguarnivano le frontiere, facilitando lo sfondamento da parte delle popolazioni barbariche che si trovavano lungo il limes. Daci, Alani, Carpi e soprattutto Goti attaccarono l'impero romano, mentre le tribù Slave orientali (dell'Europa orientale), ridussero fortemente i loro rapporti commerciali con Roma, preferendo quelli con le tribù sarmatiche o altre tribù slave orientali e parteciparono alle guerre anti-schiaviste contro Roma, unendo parte delle loro forze a quelle gotiche nel III e IV secolo. Le basi geopolitiche fondamentali per le offensive dei cosiddetti "barbari" contro l'impero romano, nel III secolo, furono le regioni fra il Danubio, il Reno, l'Elba e la costa settentrionale del mar Nero. Indispensabile, per la riuscita di queste campagne militari, fu l'alleanza tra i ceti nobiliari germanici e slavi e le grandi masse popolari, schiavili e semischiavili, che consideravano i "barbari" come loro liberatori.

La Dacia, persa dai Romani
nel 257, da https://it.wikipedia.
org/wiki/Invasioni_barbariche_
del_III_secolo#/media/File:
Barbarian_invasions_from_
3rd_century.png
.

Dal 257 - La popolazione germanica dei Goti conquista la Dacia, territorio dell'impero romano.

Nel 260 - Con Gallieno imperatore si abbandonano definitivamente gli Agri decumates alla confederazione degli Alemanni, che giungono fino alle porte di Mediolanum (Milano) nella primavera del 260 e che le legioni romane riescono a respingere nella battaglia di Milano. Sembra che l'imperatore d'Occidente Gallieno non fosse intervenuto prima lungo il fronte germanico-retico a causa della contemporanea crisi orientale, in cui il proprio padre, l'imperatore d'Oriente Valeriano, era stato catturato dai Sasanidi di Sapore I e poco tempo dopo era morto prigioniero. Gallieno si rende così conto dell'impossibilità di difendere contemporaneamente tutte le frontiere dell'impero con una linea statica di uomini posizionati a ridosso della frontiera (detti appunto limitanei dal termine latino limes) ora che il fronte è stato sfondato definitivamente, perciò formalizza e migliora la pratica che si era già diffusa dalla fine del II secolo sotto Settimio Severo che, a dispetto della tradizione che voleva l'Italia libera dagli eserciti, aveva fatto acquartierare la Legio II Parthica, a pochi chilometri da Roma come riserva strategica di soldati ben addestrati (detti comitatenses), pronti ad intervenire nel minor tempo possibile ovunque, sia nella capitale che alle frontiere. Gallieno costituì questa riserva strategica centrale (che sarà alla base della futura riforma dell'esercito di Diocleziano) formata prevalentemente da unità di cavalleria pesante, ovvero composte da cavalieri dotati di armatura pesante (i cosiddetti promoti, tra cui spiccavano gli equites Dalmatae e gli equites Mauri et Osroeni), poiché questi percorrevano distanze maggiori in minor tempo della fanteria legionaria o ausiliarie. Ogni volta che i barbari sfondavano il limes e s'inoltravano nelle province interne, interveniva la "riserva strategica". La base principale scelta da Gallieno per la nuova armata fu proprio Milano, punto strategico equidistante da Roma e dalle vicine frontiere settentrionali di Rezia e Norico. Si trattava di un'iniziativa resasi necessaria dalla perdita degli Agri Decumates tra il Reno ed il Danubio, che aveva portato i vicini Germani a trovarsi più vicini alla penisola italica, centro del potere imperiale. Visto il nuovo ruolo strategico della città che diverrà in seguito capitale della parte occidentale dell'impero, per l'occasione Gallieno apre nell'antica Mediolanum una nuova zecca.

L'Europa centrale nel 258-260 con i percorsi delle migrazioni delle
confederazioni dei Franchi, degli Suebi Alemanni, Marcomanni
 e Quadi, dei Sàrmati Iazigi. Immagine da https://it.wikipedia.
org/wiki/Battaglia_di_Milano_(260)#/media/
File:Invasioni_occidente_258-260_png.png
.  

Inoltre con la riforma dell'esercito operata da Gallieno (imperatore dal 260 al 268), il Senato di Roma finisce per essere escluso non solo sostanzialmente, ma anche ufficialmente dal comando militare, in quanto l'imperatore decreta che le legioni possano essere guidate anche da praefecti di rango equestre, la classe sociale intermedia fra Patrizi e Plebei istituita da Gaio Sempronio Gracco nel 123 a.C., mentre in precedenza il comando delle legioni era monopolio di legati patrizi, di classe senatoria.

L'Impero Romano nel 260, quando erano imperatori Valeriano e
suo figlio Gallieno. Il Regno di Palmira e l'Impero delle Gallie
effettuarono una secessione che fu poi risolta da Aureliano
nel 271-274. 

Dopo l'abbandono degli Agri decumates da parte dei Romani, la confederazione suebica degli Alemanni vi si stanzia e in particolare i suebi Semnoni si stanziano lungo la valle del Neckar. Al 260 sembra infatti che appartengano i numerosi segni di distruzione lungo il Limes a Kempten, Bregenz, Grenoble e Losanna con la riapertura della fortezza legionaria di Vindonissa (nel Baden svizzero) e dei forti ausiliari di Augusta Raurica e Castrum Rauracense nei pressi di Basilia, la moderna Basilea. Non a caso l'iscrizione rinvenuta ad Augusta Vindelicorum (Augsburg) ricorda una vittoria contro le genti germaniche di Semnoni e Iutungi, nell'anno in cui Postumo era già Augusto dell'impero delle Gallie e console insieme ad un certo Honoratiano.

Dallo stesso 260 (fino al 274 circa), l'imperatore Gallieno è costretto ad assistere alla successiva secessione di due parti dell'impero, una nell'occidente britannico-gallico-hispanico usurpata da Postumo, ex governatore delle Germanie superiore ed inferiore, e poco dopo una nel vicino oriente in seguito all'assassinio del governatore di Palmira, Settimio Odenato, la cui moglie Zenobia aveva preso il potere in nome del figlio minorenne Vaballato per poi staccarsi da Roma. Sembra che l'imperatore non avesse potuto intervenire lungo il fronte germanico-retico a causa della contemporanea crisi orientale del 260, in cui il proprio padre Valeriano, era stato catturato dai Persiani Sasanidi durante la battaglia di Edessa, in Mesopotamia, dal re Shapour I (Sapore I), per poi morire prigioniero qualche tempo dopo. Va precisato comunque che grazie alla divisione provvisoria dello Stato romano in tre parti (a occidente l'impero delle Gallie, al centro Italia, Illirico e province africane e a oriente il Regno di Palmira), l'Impero riuscì a salvarsi dal tracollo. Ne scriveva in merito Eutropio: « Avendo così Gallieno abbandonato lo Stato, l'Impero romano fu salvato in Occidente da Postumo ed in Oriente da Odenato. » (Eutropio, Breviarium ab urbe condita, 9, 11.). In Oriente Settimio Odenato aveva respinto i Sasanidi e si era ritagliato un dominio personale, nominalmente controllato da Roma, noto come "Regno di Palmira", la sua capitale (l'attuale Tadmor in Siria) e che sua moglie Zenobia staccherà da Roma dopo il suo omicidio, mentre in Occidente il comandante delle truppe renane, Postumo, si era rivoltato uccidendo Salonino, il figlio di Gallieno di cui era tutore, proclamandosi augusto e creando l'"Impero delle Gallie", un vero e proprio stato con senato, consoli e magistrature simili a quelle dell'impero "centrale". Postumo era riuscito a costituire un impero incentrato sulle provincie della Germania inferiore e della Gallia Belgica alle quali si erano unite poco dopo le altre province galliche, quelle della Germania superiore, della Britannia, dell'Hispania e, per un breve periodo, anche quella di Rezia.


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