Roma, Città del Vaticano, basilica di San Pietro, centro della cristianità cattolica, da: https://livesicilia.it/2016 /09/10/lallarme-della-santa-sede- roma-abbandonata_782261/ |
Visto che i primi passi della setta giudaico-cristiana si sono svolti in seno a comunità in cui la posizione farisaica era dominante, vorrei chiarire gli aspetti distintivi delle varie correnti di pensiero all'interno dell'ebraismo, correnti che determinarono l'humus culturale durante la predicazione di Yeshuah Ben Yossef (Gesù figlio di Giuseppe), dalla cui vita pubblica è derivata la Chiesa apostolica, mentre nella sua vita privata, secondo i documenti del Priorato di Sion, ha generato con la moglie due stirpi importanti per la storia: una che è sfociata nei Franchi Merovingi e l'altra è stata quella dei "re pescatori" del Graal.
Stemma dell'Ordine di Nostra Signora di Sion, poi divenuto Priorato di Sion, da: http:// www.prieure-de-sion.com/1/ |
Migdal-Eder nei pressi di Betlemme. |
Preciso che le datazioni degli eventi descritti in seguito, non sono indicate in base al calendario ebraico ma all'era volgare (abbreviata in e.v., corrispondente a d.C.), comprendente prima dell'era volgare (abbreviata in p.e.v., corrispondente ad a.C.), che indica il posizionamento temporale di una data relativamente al calendario gregoriano usato in Occidente. Sono sottintesi come e.v. gli anni 1 e successivi, e indicati con p.e.v. gli anni precedenti.
Johannes Kepler (1610), da https://commons.wikimedia .org/wiki/File:Johannes_Ke pler_1610.jpg#/media/File: Johannes_Kepler_1610.jpg |
Nel 1010/933 p.e.v. - Sadoc (o Zadok), nipote di Aronne, è il sommo sacerdote al tempo dei re David e di suo figlio Salomone, durante il regno ebraico ancora unificato.
Ipotesi di come potrebbe essere apparso il Tempio di Salomone o Primo tempio. |
Cattività israelitiche. |
Nel
539 p.e.v. - I persiani conquistano Babilonia e nel 537 il loro
re, Ciro il Grande, permette agli ebrei di tornare in
Giudea, di ricostruire Gerusalemme, le sue fortificazioni e il
Tempio (il Secondo Tempio). Non consente tuttavia il ripristino della monarchia
giudea, fatto che rende i sacerdoti della Giudea l'autorità
dominante. Senza il potere vincolante della monarchia, l'autorità
del Tempio nella vita civile fu amplificato. Fu in questo periodo che
il partito dei Sadducei emerse come il partito dei sacerdoti e delle
élite consociate.
Nel 323 p.e.v. - Con la morte di Alessandro Magno, il potere effettivo passa nelle mani dei suoi generali, i diadochi, che si spartiscono il suo immenso impero suddividendolo in satrapìe.
La
Persia è suddivisa tra vari satrapi macedoni, tra i quali emerge
presto la figura di Seleuco, satrapo di Babilonia mentre la Giudea è
governata dai satrapi egiziano-ellenici Tolomei fino al 198 p.e.v.,
quando l'Impero Seleucida siriano-ellenico, con Antioco III, ne
assume il controllo.
Nel 323 p.e.v. - Con la morte di Alessandro Magno, il potere effettivo passa nelle mani dei suoi generali, i diadochi, che si spartiscono il suo immenso impero suddividendolo in satrapìe.
L'impero di Alessandro Magno diviso fra i suoi generali, i diadochi, di cui Seleuco ne ottiene la maggior parte. |
Nel
460 p.e.v. circa - Vedendo dilagare l'anarchia in Giudea, il
successore di Serse, Artaserse I di Persia, invia Esdra lo Scriba a ristabilire
l'ordine. Esdra, figlio o nipote di Seraiah, era un discendente diretto di Pincas, un figlio di Aronne. Condusse il ritorno del secondo
contingente di ebrei dall'esilio babilonese nel 459 p.e.v. e a lui
vengono attribuiti i vari Libri di Esdra (ritenuti diversamente
canonici o apocrifi dalle religioni bibliche) e i libri delle
Cronache della Bibbia. Ciò che si conosce della sua
storia è contenuto negli ultimi quattro capitoli del Libro a lui
attribuito, e in Neemia 8 e 12,26. Fu considerato come un secondo
Mosè, e degno anch’egli di ricevere la Torah. Egli introdusse la
scrittura quadrata ebraica per usarla nella redazione della Torah. Il
Tempio non fu più l'unica istituzione di vita religiosa ebraica. Nel
tempo di Esdra lo Scriba, le case di studio e di culto rimasero
importanti istituzioni secondarie della vita ebraica. Fra le pratiche
che egli introdusse insieme all'Assemblea dei Sapienti, che dirigeva,
vi fu la lettura trisettimanale della Torah: il lunedì, il giovedì,
e il sabato pomeriggio. Al di fuori della Giudea, la sinagoga era
spesso chiamata casa di preghiera e sebbene la maggior parte degli Ebrei non potessero frequentare regolarmente il servizio del Tempio,
si potevano però incontrare nella sinagoga per le preghiere di
mattina, pomeriggio e sera. Sebbene i sacerdoti controllassero i
rituali del Tempio, i Sapienti, scribi e saggi, successivamente
chiamati Rabbini (in ebraico "mio maestro"), dominavano lo
studio della Torah.
Questi saggi mantenevano una tradizione orale che
credevano si fosse originata sul Monte Sinai insieme alla Torah di
Mosè. I Farisei traevano le loro origini da questo nuovo
gruppo di autorità. Il termine Fariseo deriva dal latino
pharisæus -i attraverso il greco pharisaios,
dall'ebraico pārûsh e aramaico parush o parushi,
che significa "colui che si è separato o distintosi". La
corrente dei farisei costituisce, probabilmente, il gruppo religioso
più significativo all'interno dell'ebraismo nel periodo che va dalla
fine del II secolo p.e.v. all'anno 70 e.v. ed oltre. Essi, in vari
momenti, si identificavano come un partito politico, un movimento
sociale ed una scuola di pensiero, a cominciare dal periodo del
Secondo Tempio (515 p.e.v.) fino alla rivolta dei Maccabei contro il
regno seleucide. I conflitti tra Farisei e Sadducei hanno avuto luogo
nel contesto di conflitti sociali e religiosi tra ebrei da lunga
data, risalenti alla cattività babilonese e aggravatisi con la
conquista romana. Un conflitto era di classe, tra ricchi e poveri,
poiché i sadducei includevano principalmente le famiglie sacerdotali
e aristocratiche. Un altro conflitto era culturale, tra chi favoriva
l'ellenizzazione e coloro che la resistevano. Un terzo era
giuridico-religioso, tra chi enfatizzava l'importanza del Secondo
Tempio con i suoi riti e servizi cultuali, e coloro che
sottolineavano l'importanza di altre Leggi mosaiche. Un quarto punto
di conflitto, specificamente religioso, coinvolgeva diverse
interpretazioni della Torah e come applicarle alla vita ebraica, con
i sadducei che riconoscevano solo la Torah scritta e respingevano le
dottrine della Torah orale e della risurrezione dei morti. I Farisei
affermavano infatti che le Sacre Scritture non erano complete nei
loro termini e senza gli insegnamenti e commenti orali non potevano
essere comprese. I saggi del Talmud credevano che la legge orale
fosse stata rivelata a Mosè sul Sinai e che fosse stata integrata
dai dibattiti tra i saggi Rabbini. Così, si può concepire la "Torah
orale" non come un testo fisso, ma come un processo continuo di
analisi e discussione in cui Dio è coinvolto attivamente: questo fu
il processo continuativo rivelato al Sinai, e partecipando a tale
processo i rabbini ed i loro discepoli partecipano attivamente
all'atto dinamico della rivelazione divina. Il Talmud, che
significa insegnamento, studio, discussione è uno dei testi sacri
dell'Ebraismo ed è riconosciuto solo dall'Ebraismo che, assieme ai
Midrashim e ad altri testi Rabbinici o mistici noti del Canone
ebraico, lo considera come trasmissione e discussione orale della
Torah. La Torah orale fu rivelata sul monte Sinai a Mosè e fu
trasmessa a voce, di generazione in generazione, fino alla conquista
romana. Il Talmud fu fissato per iscritto solo quando, con la
distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme, gli Ebrei temettero
che le basi religiose di Israele potessero essere disperse e consiste
in una raccolta di discussioni avvenute tra i sapienti (Chakhamim) e
i maestri (Rabbanim) circa i significati e le applicazioni dei passi
della Torah scritta.
Rappresentazione di un Fariseo. |
La menorah scolpita nell'arco di Tito a Roma. |
Nel
167/161 p.e.v. - Rivolta dei Maccabei (o Asmonei)
contro l'impero ellenistico dei Seleucidi, condotta da Giuda
Maccabeo, conclusasi con la vittoria. Gerusalemme è liberata nel 165 p.e.v. e il Tempio
restaurato.
Regni di Israele e di Giuda (Giudea). |
Nel
II sec. p.e.v. - Da Sadoc deriverà non solo il gruppo
politico dei Sadducei ma anche un movimento religioso fondato
probabilmente da membri di famiglie sacerdotali, più tardi
conosciuto col nome di Esseni.
Nel
150 /70 e.v. - Vengono stilati i manoscritti del Mar
Morto (o Rotoli del Mar Morto), un insieme di manoscritti
rinvenuti nei pressi del Mar Morto. Di essi fanno parte varie
raccolte di testi, tra cui i manoscritti di Qumran, che ne
costituiscono una delle parti più importanti. I rotoli del Mar Morto
sono composti da circa 900 documenti, compresi testi della Bibbia
ebraica, scoperti tra il 1947 e il 1956 in undici grotte dentro e
intorno al Uadi di Qumran, vicino alle rovine dell'antico
insediamento di Khirbet Qumran, sulla riva nord-occidentale del Mar
Morto.
I
testi sono di grande significato religioso e storico, in quanto
comprendono alcune fra le più antiche copie superstiti note dei
libri biblici e dei loro commenti, e conservano la testimonianza
della fine del tardo giudaismo del Secondo Tempio. Sono scritti
in ebraico, aramaico e greco, perlopiù su pergamena, ma ve ne sono alcuni
scritti su papiro. I manoscritti, datati tra il 150 p.e.v. e il 70
e.v., sono comunemente associati all'antica setta ebraica degli
Esseni. I rotoli del Mar Morto sono tradizionalmente divisi in
tre gruppi: manoscritti "biblici" (copie di testi dalla
Bibbia ebraica), che costituiscono circa il 40% dei rotoli
identificati; manoscritti "apocrifi" o "pseudepigrafici"
(documenti noti del periodo del Secondo Tempio, come Enoch, Giubilei,
Tobia, Siracide, salmi non canonici, ecc. che non sono stati, in
ultima analisi, canonizzati nella Bibbia ebraica, ma in qualche caso
sono stati accettati dalla versione greca dei Settanta e/o utilizzati
dalla tradizione rabbinica), che costituiscono circa il 30% dei
rotoli identificati; e il terzo gruppo è quello dei manoscritti "settari" (documenti
precedentemente sconosciuti, che descrivono le norme e le credenze di
un particolare gruppo o gruppi all'interno della maggioranza ebraica)
come la Regola della Comunità, il Rotolo della guerra, commento (in
ebraico pesher) ad Abacuc e la Regola della Benedizione, che
costituiscono circa il 30% dei rotoli identificati.
Dal 130 p.e.v. - I Sadducei costituirono un'importante corrente spirituale del tardo giudaismo (fine del periodo del secondo Tempio), e anche una distinta fazione politica verso il 130 p.e.v. sotto la dinastia asmonea. Rappresentata eminentemente dall'aristocrazia delle antiche famiglie, nell'ambito delle quali venivano reclutati i sacerdoti dei ranghi più alti, nonché, in particolare, il Sommo sacerdote, la corrente dei Sadducei, si richiamava, nel proprio nome, all'antico e leggendario Zadok (o anche Sadoq o Zadoq), sommo sacerdote al tempo di Salomone. Cercavano di vivere un giudaismo illuminato e quindi di trovare un compromesso anche con il potere romano. Dei Sadducei e della loro spiritualità non conosciamo molto, perché la loro fazione, ritenuta colpevole di collaborazionismo nei confronti dei romani, fu letteralmente sterminata durante la rivolta giudaica del I secolo d.C. dagli insorti più esagitati e violenti, come narra lo storico Flavio Giuseppe, in quella prima guerra giudaica che, oltre ad essere una lotta di liberazione dalla dominazione straniera, fu anche una vera e propria cruenta e spietata guerra civile. Gli eventuali residui superstiti dei Sadducei o furono assimilati dalla società romano-ellenica nella quale si rifugiarono, oppure si convertirono al cristianesimo. In ogni caso, dopo la catastrofe nazionale giudaica del 70 d.C., culminata nella distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio, l'ebraismo riemerge coagulandosi attorno alla corrente spirituale dei Farisei, avversaria dei Sadducei e di questi ultimi non vi è alcuna traccia. Sui Sadducei cala, quindi, un velo che assomiglia molto ad una sorta di damnatio memoriae: i romani, che si erano appoggiati a loro per governare la Giudea, dovettero constatare il sostanziale fallimento della loro categoria in quanto amministratori e alleati, un po' come gli inglesi, nella prima metà del secolo XX dovettero prendere atto che i marajah, da loro sostenuti, non riuscivano più a controllare l'India; dai farisei, che già ne avevano avversato la dottrina, i Sadducei vennero parimenti ritenuti responsabili della catastrofe che aveva colpito la nazione ed il Tempio. Per i cristiani, infine, i Sadducei rimasero indelebilmente associati alle figure di Caifa ed Anna; il primo fu il sommo sacerdote che fece arrestare e condannare a morte Gesù. In buona sostanza, mancarono ai Sadducei "buoni avvocati" che ne perpetuassero la memoria storica con dovizia di particolari.
Mentre
al tempo dei re Saul, Davide e Salomone suo figlio, il re aveva
esclusivamente potere politico, in seguito la Giudea è stata
governata da re-sacerdoti di provenienza sadducea.
Il
popolo, che non voleva essere governato da un re ma dal clero
teocratico, fece appello in questo spirito, probabilmente
tramite i propri rappresentanti farisei, alle autorità romane:
ne seguì quindi una campagna romana di conquista e
annessione, guidata da Pompeo Magno, che occupò Gerusalemme
nel 63 p.e.v..
Gneo Pompeo Magno da https://it.wikipedia. org/wiki/Guerra_pira tica_di_Pompeo |
Nel
37 p.e.v. - Erode d'Idumea, non Ebreo ma Edomita, figlio di Erode Antipatro, conquista
Gerusalemme con l'aiuto di Roma e viene riconosciuto come re
dei Giudei fino alla morte (avvenuta nel 4 p.e.v.). Per
consolidare il potere, Erode fece uccidere buona parte del
Sinedrio (il Consiglio degli ebrei), il cognato Aristobulo, la
moglie Mariamne, la suocera Alessandra, i figli Alessandro,
Aristobulo e Antipatro. Attorno al 20/19 p.e.v. intraprese il
restauro e l'ampliamento del tempio di Gerusalemme. Fece costruire o
ricostruire diverse città e fortezze: Samaria, Cesarea Marittima,
l'Erodium, Macheronte, Masada, la Fortezza Antonia. Secondo Flavio
Giuseppe, l'opposizione sadducea contro Erode lo portò inizialmente
a trattare favorevolmente con i Farisei (Antichità giudaiche 14:9, § 4;
15:1, § 1; 10, § 4; 11, §§ 5-6), anche se col tempo, Erode
divenne impopolare poiché era percepito come un burattino in mano ai
romani e il trattamento della sua famiglia a favore degli ultimi
Asmonei erosero definitivamente la sua popolarità. Secondo Flavio
Giuseppe, i Farisei infine gli si opposero e quindi caddero vittime, nel
4 p.e.v., della sua sete di sangue (Antichità giudaiche 17:2, § 4;
6, §§ 2-4). La famiglia di Boeto, che Erode aveva designato al
sommo sacerdozio, rivitalizzò lo spirito dei Sadducei e da allora i Farisei li ebbero nuovamente come antagonisti (Antichità giudaiche
18:1, § 4). Questo portò anche gravi divergenze teologiche tra Sadducei e Farisei: l'idea che il sacro potesse esistere al di fuori
dal tempio - concetto centrale per gli Esseni - era condiviso ed
esaltato dai Farisei.
Galilea, Samaria e Giudea nel 4 p.e.v. con Erode il Grande di Idumea come re. |
Immagine del Mandylion, quella che è considerata la prima icona, con il volto di Gesù, da http:// www.internetica.it/ Maestro.htm |
Il
Secondo Tempio rimaneva comunque il centro della vita rituale
ebraica. Secondo la Torah, gli ebrei erano tenuti a recarsi a
Gerusalemme e offrire sacrifici al Tempio tre volte l'anno: a Pesach
(Pasqua), Shavuot (la Festa delle Settimane) e Sukkot
(la Festa dei Tabernacoli). Sia i Farisei che i Sadducei, erano
politicamente quiescenti e studiavano, insegnavano e servivano a modo
loro, secondo le proprie tradizioni.
Le testimonianze più note sui
Farisei sono costituite dal Nuovo Testamento e dalle opere dello
storico Flavio Giuseppe (il cui nome ebraico era Joseph ben Matthias,
37 - ca. 100 e.v.), egli stesso dichiaratosi Fariseo. Giuseppe
stimava la popolazione totale dei Farisei prima della distruzione del
Secondo tempio a circa 6.000 persone e affermava inoltre che i Farisei ricevessero il supporto del popolino, contrariamente alla più
elitistica corrente dei Sadducei: « Per questi (insegnamenti) hanno
un reale ed estremamente autorevole influsso presso il popolo; e
tutte le preghiere e i sacri riti del culto divino sono eseguiti
conforme alle loro disposizioni. La pratica dei loro altissimi ideali
sia nel modo di vivere sia nei ragionamenti, è l'eminente tributo
che gli abitanti delle città pagano all'eccellenza dei Farisei. »
(Antichità giudaiche, 18:15).
Lo storico ebreo Joseph Ben Mattias, romanizzatosi in Giuseppe Flavio. |
Nel
6 e.v. - Sotto Ottaviano Augusto imperatore, da regno vassallo di
Roma, la Giudea diventa Provincia romana, unendo insieme Giudea,
Samaria e Idumea. In questo periodo gravi divergenze teologiche
emersero tra Sadducei e Farisei: l'idea che il sacro potesse esistere
al di fuori del Tempio - concetto centrale per gli Esseni - era
condiviso ed esaltato dai Farisei. Lo storico
ebreo-romanizzato Flavio Giuseppe elenca in una descrizione le
"quattro scuole di pensiero", o "quattro
sette," in cui si dividevano gli Ebrei nel I secolo:
-
i Farisei, che credevano che la persona avesse il libero
arbitrio, ma che Dio avesse anche prescienza del destino umano e, fra
tante altre questioni, si distinguevano dai Sadducei anche in quanto
credevano nella risurrezione dei morti. I farisei si attribuivano
autorità mosaica nelle loro interpretazioni delle Legge
ebraiche (Halakhah). Nella sua Lettera ai Filippesi, Paolo di Tarso
asserisce che dei cambiamenti si erano verificati nelle sette
liturgiche della diaspora, identificandosi tuttavia ancora come
"giudeo" o "ebreo", « circonciso l'ottavo
giorno, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da
Ebrei, fariseo quanto alla legge » (Filippesi 3:5), ed esistono
inoltre numerosi riferimenti nel Nuovo Testamento a Paolo di Tarso
come Fariseo prima della sua conversione al cristianesimo. La
relazione tra primo cristianesimo ed i farisei non è stata sempre
ostile: per esempio Gamaliele viene spesso citato quale leader
farisaico favorevole ai cristiani. Gli autori dei Vangeli presentano
Gesù come duro contestatore di alcuni Farisei e altri appaiono
coinvolti in conflitti con Giovanni Battista e con Gesù, nonché con
Nicodemo il Fariseo (Giovanni 3:1) che, insieme a Giuseppe
d'Arimatea, aiutò a deporre il corpo di Gesù nella tomba (19,39-42)
a grande rischio personale. Gamaliele, il rinomato rabbino e
difensore degli apostoli, era anch'egli un fariseo e, secondo alcune
tradizioni cristiane, si convertì segretamente al cristianesimo.
Il
Nuovo Testamento, particolarmente i Vangeli sinottici, presenta la
dirigenza dei farisei come ossessionata da regole artificiali (in
particolare in materia di purezza), mentre Gesù è più interessato
all'amore di Dio; i farisei disprezzano i peccatori mentre Gesù li
cerca. Il Vangelo di Giovanni, che è l'unico vangelo in cui è
menzionato Nicodemo, in particolare ritrae la setta come divisa e
disposta a discutere. A causa delle frequenti rappresentazioni nel
Nuovo Testamento dei farisei come attaccati alle regole e boriosi, la
parola "fariseo" (e suoi derivati) è entrata in uso quasi
comune a descrivere una persona ipocrita e arrogante, che pone la
lettera della legge prima dello spirito;
Immagine di Fariseo proposta nel Nuovo Testamento. |
-
gli Esseni ritenevano che tutta l'esistenza della persona
fosse predestinata. Erano generalmente apolitici e potrebbero essere
emersi come una setta di sacerdoti dissidenti che avevano rifiutato,
come illegittimi, i sommi sacerdoti nominati sia dai Seleucidi che
dagli Asmonei. Da Sadoc erano derivati non solo il gruppo politico
dei sadducei ma anche un movimento religioso fondato
probabilmente da membri di famiglie sacerdotali, più tardi
conosciuto col nome di esseni. Il concetto centrale, per gli esseni,
era l'idea che il sacro potesse esistere al di fuori del tempio e
conducevano quindi una vita appartata e solitaria. Si erano
organizzati, fuori dal contesto sociale, in comunità isolate di tipo
monastico e cenobitico (una forma comunitaria di monachesimo
praticata in monasteri, i cenobi, sotto la guida di un'autorità
spirituale che faceva osservare una disciplina fissata da una serie
di regole). Protetti da Erode il Grande, al tempo di Gesù erano
oltre 4.000 e vivevano dispersi in tutto il paese, circa 150 erano
quelli residenti a Qumran. Questo sito andò incontro a una fine
violenta nel 68 e.v. a opera dei romani a causa del loro
coinvolgimento nelle sommosse negli anni della prima rivolta
giudaica, che si concluse con la distruzione di Gerusalemme. Prima
della loro fine però, riuscirono a nascondere la loro biblioteca
nelle grotte vicine. Alcuni scampati, sembra, si unirono agli zeloti
di Masada e ne condivisero la sorte. Lo proverebbe il ritrovamento,
durante gli scavi del 1963 a Masada, di un frammento di pergamena dei
"Canti della santificazione del sabato", noto dai
ritrovamenti della grotta 4 di Qumran. Tra i reperti di Qumran si
ritrovano tracce che collegano la comunità essena ai rivoltosi
zeloti, come ad esempio il "Rotolo della guerra". «...
Sono divisi (gli esseni) fin dall'antichità e non seguono le
pratiche nella stessa maniera, essendo ripartiti in quattro
categorie. Alcuni spingono le regole fino all'estremo: si rifiutano
di prendere in mano una moneta (non ebraica) asserendo che non è
lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di
costoro osa perciò entrare in una città per tema di attraversare
una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le
statue. Altri udendo qualcuno discorrere di Dio e delle sue leggi, si
accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo
minacciano di morte se non si lascia circoncidere; qualora non
acconsenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è appunto da
questo che hanno preso il nome di zeloti, e da altri quello di
sicari. Altri ancora si rifiutano di dare il nome di padrone a
qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero
minacciati di maltrattamenti e di morte.» (Ippolito Romano,
Refutatio IX, 26). L'associazione tra gli zeloti e gli
esseni è evidente in particolare negli scritti di Giuseppe
Flavio, dai quali derivano in gran parte le notizie disponibili oggi
di quei tempi. Nell’opera di Giuseppe Flavio redatta da Benedictus
Niese, sette volumi in tedesco, monumentali e ineguagliabili, sono
leggibili a chiare lettere gli argomenti in base ai quali la nozione
di popolo eletto appare messa in crisi e criticata per il suo
tendere a comporre una casta chiusa e genealogicamente determinata,
dal movimento di riforma esseno, che vede il popolo eletto come
l'insieme dei giusti che osservano le leggi eterne della
"Torah": ed è qui che trovano il punto di unione l'Antico
ed il Nuovo Testamento e il Corano. Il padre della Chiesa, Epifanio,
(che scrisse intorno al IV secolo e.v.) sembra fare una distinzione
tra due gruppi principali all'interno degli esseni: "Coloro
che vennero prima di lui (Elxai, un profeta esseno), gli Ossaeni e i
Nazareni." (Panarion 1:19). Epifanio descrive ogni gruppo nel
modo seguente:
-
Esseni "Nazareni": "I Nazareni erano Ebrei per
provenienza, originariamente da Gileaditis, dove i primi seguaci di
Yeshua (Gesù) fuggirono dopo il martirio di Giacomo (un fratello di
Gesù), Bashaniti e Transgiordani. ...Essi riconoscevano Mosè e
credevano che avesse ricevuto delle leggi, ma non la nostra legge ma
altre. E così, essi erano Ebrei che rispettavano tutte le osservanze
ebraiche, ma non offrivano sacrifici e non mangiavano carne. Essi
consideravano un sacrilegio mangiare carne o fare sacrifici con essa.
Affermavano che i nostri Libri sono delle falsità, e che nessuno dei
costumi che essi affermano sono stati istituiti dai padri. Questa era
la differenza tra i Nazareni e gli altri..." (Panarion 1:18)
-
Esseni "Ossaeani": "Dopo la setta dei Nazareni viene
un'altra setta legata strettamente a essi, chiamata Ossaeani. Costoro
sono Giudei come i primi... originari della Nabataea, Ituraea,
Moabitis e Arielis, le terre oltre il bacino che le Sacre Scritture
chiamavano Mare di Sale... Sebbene siano diverse dalle altre sei
sette essa si è separata da loro solo perché proibiscono l'uso dei
libri di Mosè come fanno i Nazareni." (Panarion 1:19). Flavio
Giuseppe aggiunge: "Oltre a essi, esiste un'altra frangia di
Esseni che concordano per leggi e costumi ma differiscono nella
visione del matrimonio." (Guerra Giudaica 2.160). Infine gli
esseni scomparvero, forse perché i loro insegnamenti divergevano
notevolmente dalle problematiche di quei tempi o forse furono
dispersi dai romani.
Un
esperto moderno ritiene che i Rotoli del Mar Morto « offrono altri
motivi per credere che molti episodi [del Nuovo Testamento] siano
semplicemente proiezioni, nella storia di Gesù, dei fatti che ci si
attendeva dal Messia » (Allegro, Dead Sea Scrolls, p. 175). Gli Esseni si identificavano facilmente per le vesti bianche che,
nonostante quanto mostrano la pittura e il cinema, a quel tempo in
Terrasanta erano meno comuni di quanto in genere si creda;
-
i Sadducei credevano che la persona avesse un completo libero
arbitrio ed erano i principali antagonisti dei Farisei.
Rappresentavano l'autorità dei privilegi sacerdotali e delle
prerogative stabilite sin dai tempi di Salomone, quando Sadoc o
Zadok, loro avo, officiava come Sommo Sacerdote. I sacerdoti appartenevano alla tribù di Levi ed avevano in Aronne, fratello del costruttore del popolo ebraico, Mosè, il loro archetipo. I Sadducei non credevano alla resurrezione dei morti, ossia alla perpetuazione dell'individuo dopo la morte, in corpo e spirito e sembra che respingessero anche l'esistenza di un'anima immortale. Tuttavia è lecito dubitare che avessero, al riguardo, una posizione di netta preclusione, sia perché ciò non si concilierebbe con il contenuto della stessa Legge scritta, sia perché l'evidenza archeologica delle modalità di sepoltura seguite dai sadducei attesta, in ogni caso, una fede nell'esistenza di un mondo ultraterreno del quale il defunto, alla morte, entra a far parte. Pare che non accettassero nemmeno la dottrina degli angeli. Il calendario liturgico dei Sadducei differiva leggermente da quello adoperato dai farisei, la qual cosa spiega le lievi divergenze temporali relative ai racconti della Passione tra i Vangeli sinottici e quello di San Giovanni. Il rifiuto della tradizione orale fu, probabilmente, il fattore che consentì ai Sadducei di aprirsi alla cultura dell'ellenismo, pur conservando la fede nel giudaismo, facendone un'élite intellettuale ed imprenditoriale capace di esercitare notevole influenza persino nell'ambito della politica imperiale romana. La loro permeabilità agli influssi stranieri, connessa alla capacità di mantenere intatta la propria identità, è tipica dei ceti aristocratici di ogni tempo ed ogni nazione e l'opposizione ai sadducei da parte dei Farisei riecheggia motivi di orgoglio nazionale e di rivalsa anti-aristocratica che troviamo, nella Storia, replicati numerose volte in diversi contesti. I sadducei sono scomparsi dalla scena storica nel I secolo dell' e.v.;
-
la "quarta filosofia" di Giuda il Galileo o di Gamla, associata ai
gruppi rivoluzionari antiromani come i Sicarii e gli Zeloti.
Gli Zeloti (in ebraico: Ḳannaim) erano partigiani accaniti
dell'indipendenza politica del regno ebraico, nonché difensori
dell'ortodossia e dell'integralismo ebraici. Spesso venivano chiamati
anche Sicarii, dal momento che andavano in giro con i pugnali (sicæ)
nascosti sotto la cappa e che venivano utilizzati dagli Zeloti per
ferire o persino uccidere chiunque fosse colto a compiere sacrilegi,
atti offensivi o anche omissioni nei confronti della fede giudaica.
Considerati dai Romani alla stregua di terroristi e criminali comuni,
si ribellavano con le armi alla presenza romana in Palestina. Fondati
da Giuda il Galileo, ebbero stretti rapporti con la comunità
Essena di Qumran di cui furono il braccio armato. Svolsero
un ruolo importante nella grande rivolta del 66-70 e la maggior parte
di essi perì durante la presa di Gerusalemme da parte di Tito Flavio
Vespasiano nel 70. Tra i reperti di Qumran si ritrovano le
testimonianze che collegano gli Esseni ai rivoltosi Zeloti, come ad
esempio il rotolo della guerra (vedi sopra). Fonti
sull'origine del movimento zelota sono le testimonianze convergenti
di Giuseppe Flavio e dell'evangelista Luca: « In Gerusalemme nacque
una nuova forma di banditismo, quella dei così detti sicari
(Ekariots), che commettevano assassini in pieno giorno nel
mezzo della città. Era specialmente in occasione delle feste che
essi si mescolavano alla folla, nascondevano sotto le vesti dei
piccoli pugnali e con questo colpivano i loro avversari. Poi, quando
questi cadevano, gli assassini si univano a coloro che esprimevano il
loro orrore e recitavano così bene da essere creduti e quindi non
riconoscibili » (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica II - 12). La
testimonianza dello storico ebreo sulla dottrina degli zeloti è
interessante: « Giuda il Galileo introdusse una quarta setta i cui
membri sono in tutto d'accordo con i Farisei, eccetto un invincibile
amore per la libertà che fa loro accettare solo Dio come signore e
padrone. Essi disprezzano i diversi tipi di morte e i supplizi dei
loro parenti e non chiamano nessun uomo signore. » (Giuseppe Flavio,
Antichità Giudaiche, XVIII, 23).
C'erano
poi tante altre sette minori, come i Cristiani in Giudea e i
Terapeuti presso il lago Mareotide, nelle vicinanze di
Alessandria d'Egitto, ma centrale era l'insieme del popolo
ebraico. Il termine "popolo" usato da Flavio Giuseppe
indica chiaramente che la maggioranza degli ebrei erano
"semplicemente popolo ebraico", separandoli e rendendoli
indipendenti dai principali gruppi liturgici (da lui descritti
nel Libro XVIII). Il Nuovo Testamento inoltre fa spesso riferimento
alla gente comune, al popolo, indicando che l'identità ebraica era
indipendente e più forte di questi gruppi.
Le
cause delle tre rivolte giudaiche (o guerre
giudaico-romane) che seguirono alla presa del potere da parte di
Roma, vanno ricercate nell'epoca precedente alla dominazione romana,
dove vennero sviluppate le teorie apocalittiche e
premessianiche che trovarono ampio spazio nella letteratura di
quei tempi, in special modo nel Libro di Daniele, idee che
successivamente, in epoca romana, avrebbero permesso
l'identificazione dell'Impero Romano come quarto impero
premessianico, che avrebbe preceduto la comparsa del Messìa, il
quale avrebbe guidato la guerra finale fra il bene e il male. In
quegli anni era diventata spasmodica l'attesa di un nuovo Messia
(Christos in greco col significato di unto, consacrato) e si
stava verificando una grande diffusione del messianismo o
messianesimo, una visione del mondo incentrata sull'attesa di un
Messia. In senso più lato, il messianismo denota un'attesa di
rinnovamento e trasformazione radicale della società da parte di un
popolo. I termini che indicavano i combattenti messianisti
(chrestianoi in greco) sono:
-
in ebraico: Qanana (Cananei) e Bariona,
-
in greco: Zelotes e Lestes,
-
in latino: Sicarii, Latrones e Galilaei (Sicari, Ladroni e Galilei).
Giotto: "L'arresto di Gesù" con il bacio di Giuda e Pietro che taglia un orecchio a Malco, il servo del sommo sacerdote. Padova, Cappella degli Scrovegni. |
-
Giuda detto Iscariota, nel caso fosse vera l'equivalenza tra
Iscariota e Sicario,
-
Simone detto Pietro nel caso fosse correttamente attributo il
soprannome di Bariona,
-
Simone il Cananeo chiamato sempre Simone lo Zelota nel Vangelo di
Luca, per distinguerlo da Simone Pietro, universalmente riconosciuto
come zelota da ambienti ecclesiastici e accademici
Un
passo del vangelo di Luca nel quale Giacomo di Zebedeo e suo fratello
Giovanni chiedono a Gesù il permesso di incendiare un villaggio di
samaritani dal quale il Cristo e i suoi seguaci erano stati respinti,
lascia intendere che quella fosse quella la norma di comportamento,
atteggiamento che si discosta dalla visione odierna di Cristo e dei
suoi Apostoli.
Negli
Atti degli Apostoli, il fariseo Gamaliele, accomuna la situazione
degli apostoli appena arrestati alla storia di due capi zeloti, Giuda
il Galileo e Teuda: Atti 5,33-39.
Secondo
gli studi di Eisemann sembrerebbe, ma non è certo, che l'elemento
zelota nell'originale gruppo di apostoli sia stato mascherato e
sovrascritto per dar modo alla Chiesa cristiana di Paolo di Tarso di
assimilarsi all'elemento romano e di far proseliti tra i gentili.
Il
termine "chiesa" deriva dal latino ecclesĭa,
a sua volta dal greco classico ekklēsía. In greco, per
ecclesia si intendeva un'assemblea politica, militare o civile. A
monte sta il verbo ekkaléo, che significa "io chiamo",
"mando a chiamare", "faccio appello a".
L'espressione è ripresa nelle parti più recenti della Septuaginta
(la versione in greco della Bibbia) come omologo dei termini ebraici
qāhāl e ‛ēdāh, con il senso di "adunanza"
del popolo ebraico, adunanza religiosa e politica allo stesso tempo.
È dunque nella Septuaginta che il termine ekklēsía inizia
ad assumere in greco un significato specificamente "cultuale e
giuridico". Gli scrittori del Nuovo Testamento hanno ricavato
questo termine dalla Septuaginta.
Dall'etimologia
deriva la regola di ortografia per cui "chiesa" (con
lettera iniziale minuscola) si usa per indicare un edificio di culto
mentre "Chiesa" (con lettera iniziale maiuscola), intesa
partendo dalla storia della parola Ecclesia per fermarsi su quello di
Ecumene, si usa per indicare la comunità.
L'apostolo
Barnaba è stato il primo a fondare una Chiesa
cristiana fuori da Gerusalemme, a Cipro. Nato con il nome di
Giuseppe, era giudeo di famiglia levitica emigrata a Cipro. Per
questa sua discendenza levitica era probabile la sua frequente
presenza in Gerusalemme. Secondo gli Atti degli Apostoli, non molto
dopo l'episodio della Pentecoste, vendette tutti i suoi averi e
consegnò il ricavato alla Chiesa cristiana appena nata; dopo il
battesimo fu rinominato Barnaba, che significa "figlio della
consolazione" o "figlio dell'esortazione". Fu lui,
divenuto un membro autorevole della prima comunità cristiana, a
farsi garante di Saulo di Tarso, ex-persecutore dei cristiani
recentemente convertitosi a Damasco, che verrà chiamato Paolo.
Quando ad Antiochia iniziò la conversione dei primi cristiani non
ebrei, Barnaba vi fu inviato insieme a Paolo per il loro primo
viaggio missionario (46-48 d.C.).
Dal
44 - Dopo il 44, secondo lo storico ebreo Giuseppe Flavio, vi
furono altre cause di scontento nella popolazione: il malgoverno dei
prefetti romani, come Lucceio Albino e Gessio Floro, e la crescente
avversione dei Giudei all'aristocrazia, sia laica che sacerdotale,
sempre più corrotte, avrebbero accresciuto la certezza di
essere nel periodo di tribolazione premessianica, come
preannunciato nel Libro di Daniele, in special modo, con il
manifestarsi di numerosi profeti ritenuti mendaci.
Barnaba, da http://www. podlasie24.pl/wiadomosci /z-kraju/swiety-barnaba- apostol-6e35.html |
Nel 49 - Paolo e Barnaba si ritrovano insieme intorno al 49 a Gerusalemme, per la disputa sulla circoncisione o meno dei pagani convertiti. Il "concilio degli apostoli" diede loro ragione sulla non necessità dell'osservanza della legge mosaica per i neo-convertiti. A questo punto i due apostoli si separarono: Barnaba volle portare con sé Marco, in un nuovo viaggio di evangelizzazione, che Paolo - memore della precedente separazione - non gradiva.
Nel 50 - Primo concilio dei cristiani a Gerusalemme. Il cristianesimo delle origini si presenta con il duplice aspetto di Giudeo-cristianesimo ed etno-cristianesimo (o cristianesimo dei gentili, i non ebrei), come si desume dai racconti degli Atti di Luca e da alcune lettere di Paolo (come la Lettera ai Galati e le lettere ai Corinzi).
Paolo e Pietro, in realtà antagonisti nel primo Concilio di Gerusalemme. |
Nel
concilio di Gerusalemme del 50, fra la Chiesa di Gerusalemme e Paolo
di Tarso si giunse all'accordo ufficiale sulla ripartizione delle
missioni:
-
i gerosolimitani (i seguaci di Giacomo il Minore, definito dalle scritture "fratello del
Signore") e Pietro per i giudeo-cristiani circoncisi e
-
Paolo per i gentili (non ebrei) provenienti dal paganesimo.
Il
Concilio viene presieduto da Giacomo il Minore e da Pietro,
quest'ultimo solo dopo un'accesa disputa tra le diverse fazioni:
-
una che avrebbe voluto imporre la legge mosaica ai pagani convertiti
e
-
l'altra che considerava questa proposta iniqua e richiamò così
tutto il collegio a rispettare la volontà di Dio, chiaramente
manifestatasi in occasione della sua visita a Cornelio, dove lo
Spirito Santo era disceso anche sui pagani non facendo «alcuna
distinzione di persone».
Dopo
Pietro intervennero Paolo e Barnaba, i più attivi evangelizzatori
dei gentili. Infine prese la parola anche Giacomo il Minore, capo
della chiesa di Gerusalemme (probabilmente, in un primo tempo, il
leader di quanti volevano imporre la legge mosaica, come traspare
anche nella lettera di S. Paolo ai Galati) che, richiamandosi a
Pietro, aggiunse la proposta di una soluzione di compromesso che
prevedeva la prescrizione ai pagani convertiti di pochi divieti tra
cui l'astensione dal nutrirsi di cibi immondi e dalla fornicazione.
Gli
Atti degli Apostoli e la Lettera ai Galati presentano, da due punti
di vista diversi, il primo problema dottrinale del cristianesimo
nascente, che in sintesi può essere così espresso:
- il cristianesimo è solo una filiazione, un ramo del giudaismo?
Oppure è qualcosa di diverso, di discontinuo con la tradizione
giudaica? (e dunque è qualcosa di nuovo);
- di conseguenza, il cristianesimo è riservato a chi è divenuto un
proselita del giudaismo? Oppure è possibile essere seguaci di Cristo
senza osservare i rituali e le tradizioni della fede giudaica? Cioè
per essere cristiani bisogna prima essere ebrei, oppure possono
diventare cristiani anche i non ebrei?
È
evidente che dalla risposta ai quesiti dipende l'universalità del
messaggio di Cristo. E ancora:
-
se un cristiano doveva essere circonciso, allora il sacrificio di
Cristo perdeva di valore e la redenzione veniva drasticamente ridotta
di significato e subordinata all'osservanza della Legge. Non si
trattava più di Grazia ma del risultato delle opere legalistiche
dell'uomo. Non si trattava del mettere in atto l'etica cristiana, ma
del concetto che portava a ritenere opere meritorie quelle che
attenevano ai rituali ed ai cerimoniali dell'ebraismo.
Quando
Pietro ritornò da Ioppe a Gerusalemme, venne contestato dai
Cristiani “circoncisi” (Atti 11:1-3) per il fatto di essere
entrato in casa di pagani incirconcisi, e questo dimostra il
persistere della diffidenza nei confronti degli esterni al mondo
giudaico; pur tuttavia questi si rallegrarono quando egli spiegò
loro che quelli avevano ricevuto la stessa Grazia e la stessa
benedizione.
Paolo
di Tarso riferisce (Lettera ai Galati, 2) di un episodio avvenuto ad
Antiochia nel corso di una visita di Pietro che, mentre prima
manifestava comunione con i credenti gentili, appena arrivarono da
Gerusalemme quelli provenienti da Giacomo, si intimorì e se ne
stette in disparte provocando infine la dura reazione di Paolo. Nello
stesso capitolo Paolo definisce Pietro apostolo dei circoncisi e se
stesso quello degli incirconcisi, intendendo con ciò una vocazione
più etnica che religiosa. Questo «scontro» tra Pietro e Paolo
manifesta una dialettica interna alla Chiesa nascente, che andava
necessariamente chiarita.
Il
concilio di Gerusalemme evidenzia chiaramente che tutta la
problematica non nasceva da posizioni preconcette degli apostoli (che
pur c'erano), ma era frutto del massiccio ingresso di farisei
convertiti nella comunità paleocristiana di Gerusalemme (Atti 15:5).
Lo
svolgimento del dibattito, pur nella sintetica relazione lucana,
(Luca evangelista, Antiochia di Siria, 10 circa - Tebe?, 93 circa,
venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che ne ammettono il
culto, è autore del Vangelo secondo Luca e degli Atti degli
Apostoli, il terzo ed il quinto libro del Nuovo Testamento) evidenzia
tutto questo e dimostra inoltre come la comunità di Gerusalemme
avesse una conduzione collegiale. E Pietro, pur sempre
pronto a parlare per primo, non fosse comunque colui che tirava le
somme o le conclusioni, cosa che invece faceva Giacomo. La formula di
concordia del concilio di Gerusalemme di Atti 15 dimostra, comunque,
che il problema venne superato solo in parte, perché di fatto una
divisione rimase e ne troviamo traccia nella maggior parte delle
Lettere di San Paolo, nelle quali risalta la sua continua lotta
contro le problematiche create nelle Chiese dai cristiani ebrei che
volevano salvaguardare la legge ebraica.
Nel
53 - Negli Atti degli Apostoli è scritto che Paolo partì per
l'Asia con Sila mentre Barnaba e Marco andarono a Cipro, tra il 50 e
il 53. Negli Atti non si menziona più Barnaba, che da qui inizierà
il suo viaggio in Italia. Secondo quanto attestano alcuni cataloghi
bizantini sui discepoli del Signore (VII-VIII sec.), Barnaba si recò
prima a Roma, insieme a Pietro, poi si spostò velocemente verso il
nord d'Italia, per fondare la Chiesa in Milano. Una leggenda
devozionale milanese lo vede arrivare a Milano il 13 marzo del 53: al
suo passaggio la neve intorno a lui sarebbe scomparsa e sarebbero
sbocciati i primi fiori. Nei pressi di Sant'Eustorgio convertì e
battezzò e Milano diventò diocesi: il vescovo fu Anatalone, suo
compagno di viaggio. Secondo la leggenda Barnaba continuò a
viaggiare e predicare fino a Salamina, dove fu lapidato da alcuni
giudei nell'anno 61; sembra che al momento del martirio avesse in
mano una copia del Vangelo di Matteo.
Nel
63 - A Roma, con Nerone imperatore (54-68) avvengono le
prime persecuzioni contro i cristiani. Nell’Apocalisse di S.
Giovanni (paragrafo 13, verso 18) si legge: «Chi ha intendimento
conti il numero della bestia, poiché è numero d’uomo: e il suo
numero è 666». La bestia sarebbe Satana, o l’Anticristo.
Poiché in ebraico le cifre si indicano con le lettere, i primi
cristiani credettero di vedere in quel numero una combinazione delle
lettere-cifre che formavano il nome di “Nerone Cesare”,
l’imperatore che diede inizio alla loro persecuzione. Le
persecuzioni contro i Cristiani non avevano un fondamento giuridico
specifico, l'unico appiglio legale che l'autorità imperiale poteva
impugnare era la lesa maestà dei "mores", i costumi
dei cristiani che non riconoscevano l'autorità divina
all'imperatore, rifiutandosi di offrire incenso all'immagine
della sua persona, e per questo accusati poi di ateismo. Nella
cultura antica, così come lo scritto era sacro, anche l'immagine
evocava la presenza fisica del rappresentato. Nei tribunali le
immagini dell'imperatore garantivano la sua presenza e per tali
motivi nell'ebraismo erano proibite le raffigurazioni di immagini e
idoli: l'Islam stesso adotterà tali provvedimenti e nel 730,
l'imperatore romano orientale Leone III Isaurico scatenerà
nell'impero bizantino l'iconoclaustia, che provocherà la distruzione
delle immagini sacre.
La
comunità cristiana era ordinata, coesa, con propri vescovi e con
liturgie comunitarie, ma il rapporto con il divino non era mediato da
altri che se stessi. I primi cristiani erano spinti a
ricercare un rapporto individuale con una divinità
individualizzata a sua volta. Il carattere di divinità per gruppi o
popolazioni, comunemente usato nell'antichità (Atena per la città
di Atene, Venere per la corporazione dei mercanti Italici del Sannio,
ecc.) lascia il posto alla ricerca individuale di una divinità che
salvi l'individuo nell'aldilà. E' una tensione molto forte, che
troviamo anche nel Mitraismo, che ha somiglianze con il
cristianesimo, e nell'adorazione del "Sol Invictus"
apollineo, la cui festività era il 25 dicembre.
E' di questi tempi la raffigurazione di "Gesù Sol Invictus" che vede un giovane Gesù, raggiato, come il sole, alla guida del cocchio solare con 4 cavalli (Helios), oppure l'Iside che allatta Horus identica a quella che poi verrà chiamata Nostra Signora Madre di Gesù. Sono tempi che vengono avvertiti come gli ultimi prima di un evento che sovvertirà il mondo. In questo contesto il martirio è considerato il metodo più sicuro per salvare la propria anima nell'aldilà. Ma questa presa di coscienza individuale, di una divinità che si è incarnata e che con un martirio individuale permette la salvezza a tutti gli individui, non deve far pensare che non fosse presente un senso di società cristiana.
Gesù Sol Invictus. |
E' di questi tempi la raffigurazione di "Gesù Sol Invictus" che vede un giovane Gesù, raggiato, come il sole, alla guida del cocchio solare con 4 cavalli (Helios), oppure l'Iside che allatta Horus identica a quella che poi verrà chiamata Nostra Signora Madre di Gesù. Sono tempi che vengono avvertiti come gli ultimi prima di un evento che sovvertirà il mondo. In questo contesto il martirio è considerato il metodo più sicuro per salvare la propria anima nell'aldilà. Ma questa presa di coscienza individuale, di una divinità che si è incarnata e che con un martirio individuale permette la salvezza a tutti gli individui, non deve far pensare che non fosse presente un senso di società cristiana.
-
il Titulus crucis INRI, un acronimo ottenuto dalla frase latina
Iesous Nazarenus Rex Iudaeorum, che significa: Gesù di Nazaret, re
dei giudei.
Il Chi Rho o Chrismon. |
Cristogramma per Ichthys. |
-
ICXC è un acronimo ottenuto dalla prima ed ultima lettera delle due
parole Gesù e Cristo, scritte secondo l'alfabeto greco (ΙΗΣΟΥΣ
ΧΡΙΣΤΟΣ - si noti che la lettera finale sigma viene scritta
nella forma lunata che ricorda la lettera latina C).
-
il trigramma di Bernardino da Siena, IHS o Nome di Gesù. È formato
da tre lettere del nome greco di Gesù (ΙΗΣΟΥΣ) . Ne esiste
anche la variante IHC, sorta per la somiglianza fra la lettera latina
“C” e la diffusa forma lunata della lettera greca sigma.
Roma, arco di Tito, rappresentazione del tesoro del secondo tempio trafugato dai romani. |
Masada. |
Alcuni
biblisti credono che quei passi del Nuovo Testamento che appaiono più
ostili ai farisei, siano stati scritti dopo la distruzione del Tempio
di Erode nel 70 e.v.. Solo il cristianesimo e il
farisaismo sopravvissero alla distruzione del Tempio e
i due rivaleggiarono per un breve periodo di tempo, fino a quando i
farisei emersero come la forma dominante dell'ebraismo.
Quando i Cristiani videro che molti Ebrei non si convertivano,
cercarono nuovi convertiti tra i pagani o gentili, non circoncisi. I
Cristiani dovevano spiegare perché i convertiti dovessero ascoltare
loro piuttosto che gli ebrei non messianici in merito alla Bibbia
ebraica, e si dovevano inoltre dissociare dagli ebrei ribelli, che
tanto spesso respingevano l'autorità romana e l'autorità in
generale, venendo così percepiti come se avessero presentato
una storia di Gesù più in sintonia coi romani che con
gli ebrei.
Nel I/II
sec. - Vengono stilati i codici di Nag Hammâdi, un
insieme di testi gnostici cristiani e pagani, rinvenuti nei
pressi di Nag Hammâdi (in Egitto), nel dicembre 1945. Si tratta di
13 papiri che furono ritrovati in una giara di terracotta da un
abitante del villaggio di al-Qasr, presso un monastero cenobita
pacomiano nell'isola di Nag Hammâdi, detta anche isola elefantina. I
cenobiti (dal latino cenòbium, a sua volta dal greco koivòs
"comune" e bios "vita") sono monaci
cristiani le cui prime comunità risalgono al IV secolo. La zona del
ritrovamento dei codici di Nag Hammâdi è situata accanto alla
parete rocciosa di Jabal-al Tarif, circa 450 km a sud del Cairo, in
Egitto. I papiri rimasero nascosti per lungo tempo dopo il
ritrovamento e in seguito ad una complessa vicenda, dopo essere stati
dispersi, furono recuperati e messi a disposizione degli studiosi. I
testi contenuti nei codici sono, per la maggior parte, scritti
gnostici, ma includono anche tre opere appartenenti al Corpus
Hermeticum ed una parziale traduzione della Repubblica di
Platone. Si ipotizza che tali codici appartenessero alla biblioteca
di un monastero della zona, e che i monaci li abbiano nascosti per
salvarli dalla distruzione quando si cominciò a considerare lo
gnosticismo come eresia. I testi sono scritti in egiziano copto,
benché la maggior parte di essi (o forse tutti) siano stati tradotti
dal greco. L'opera più importante presente in essi è il Vangelo
di Tommaso, l'unico testo completo noto dell'opera. Grazie a
questa scoperta gli studiosi riscontrarono la presenza di frammenti
di questo testo nei manoscritti di Ossirinco, scoperti nel 1898, e ne
ritrovarono tracce nelle citazioni presenti negli scritti dei Padri
della Chiesa. La datazione dei manoscritti risale al III e IV secolo,
mentre per i testi greci originali, benché ancora controversa, è
generalmente accettata una datazione del I e II secolo. Lo
gnosticismo è stato un movimento filosofico-religioso, molto
articolato, la cui massima diffusione si ebbe tra il II e il IV
secolo dell'era cristiana. Il termine gnosticismo deriva dalla
parola greca gnósis cioè "conoscenza". Sebbene
parrebbe collocarsi principalmente in un contesto cristiano, in
passato alcuni studiosi ritennero che lo gnosticismo precedesse il
cristianesimo e inclusero credenze religiose pre-cristiane e pratiche
spirituali comuni alle origini del cristianesimo, al neoplatonismo,
al giudaismo del Secondo Tempio, alle religioni misteriche e allo
zoroastrismo (specialmente per ciò che riguarda lo zervanismo). La
discussione sullo gnosticismo è cambiata radicalmente con la
scoperta dei Codici di Nag Hammadi, i quali condussero gli studiosi
ad una revisione delle precedenti ipotesi. Le origini dello
gnosticismo risalgono all'epoca precristiana, mentre in
passato lo gnosticismo veniva considerato soprattutto come una delle
eresie del cristianesimo. Pare che le prime tracce di sistemi
gnostici possano essere trovate già alcuni secoli prima dell'era
cristiana. Al quinto Congresso degli Orientalisti (a Berlino nel 1882)
Kessler fece notare il collegamento tra gnosis e religione
babilonese, non la religione originale di Babilonia, ma la
religione sincretistica che si sviluppò dopo la conquista
della regione da parte di Ciro il Grande. Lo gnosticismo, a
prima vista, può apparire un mero sincretismo di tutti i sistemi
religiosi dell'antichità (religioni misteriche, astrologia magica
persiana, zoroastrismo, ermetismo, kabbalah, filosofie ellenistiche,
giudaismo alessandrino, cristianesimo dei primi secoli) ma, in
realtà, ha una radice profonda, che ha assimilato in ogni substrato
culturale ciò di cui aveva bisogno per la sua vita e per la sua
crescita: il motivo portante di questa corrente di pensiero è il
pessimismo filosofico e religioso. Gli gnostici, ad onor del
vero, presero in prestito quasi completamente la loro terminologia
dalle religioni esistenti, ma la usarono solamente per illustrare la
loro grande idea del male insito nell'esistenza ed
il dovere di fuggirlo con l'aiuto di incantesimi e di un
Salvatore sovrumano. Qualunque cosa abbiano preso in prestito
dalle altre religioni, sicuramente non fu il pessimismo. Benché la
rilevanza del pensiero gnostico cominci a declinare a partire dal IV
secolo, esistono tuttavia tracce della persistenza di tali concezioni
nella storia del pensiero religioso e filosofico occidentale fino ai
giorni nostri. Quando Ciro il Grande entrò a Babilonia nel 539
p.e.v. (a.C.), s'incontrarono due grandi scuole di pensiero e iniziò
il sincretismo religioso. Il pensiero persiano cominciò a mescolarsi
con l'antica civiltà babilonese. L'idea della lotta titanica tra
bene e male, che pervade l'universo in eterno, è l'idea da cui
deriva il mazdeismo, o dualismo persiano. Questo, e
l'immaginata esistenza di innumerevoli spiriti intermedi, angeli
e demoni, fu la spinta che fece superare le idee del
Semitismo. D'altra parte la fiducia incrollabile
nell'astrologia e la convinzione che il sistema planetario avesse
un'influenza totale sugli affari di questo mondo si sviluppò proprio
tra i caldei. La grandezza dei Sette (la Luna, Mercurio, Venere,
Marte, il Sole, Giove, e Saturno), il sacro Hebdomad, simboleggiato
per millenni dalle torri di Babilonia, non fu sminuito. In verità,
essi cessarono di essere adorati come divinità, ma rimasero come
arconti e dynameis, regole e poteri, la cui quasi
irresistibile forza contrastava l'uomo. Furono trasformati da dei a
devas, spiriti cattivi. La religione degli invasori e quella degli
invasi si fusero in un compromesso: ogni anima, nella sua
ascesa verso il buon Dio e la luce infinita dell'Ogdoade, doveva
combattere contro l'avversa influenza del dio o degli dei
dell'Hebdomad. Questa ascesa dell'anima attraverso le sfere
planetarie fino al paradiso cominciò ad essere concepita come una
lotta contro poteri avversi e divenne la prima e predominante
linea dello gnosticismo. La seconda grande linea
del pensiero gnostico fu la magia, il potere ex opere
operato di nomi, suoni, gesti ed azioni. Queste formule magiche, che
provocavano risate e disgusto ai non iniziati, non sono corruzioni
più tarde della filosofia gnostica, ma una parte essenziale dello
gnosticismo e furono osservate in tutte le forme di gnosticismo
cristiano. Nessuna gnosis era completa senza la conoscenza
delle formule che, una volta pronunciate, permettevano l'annullamento
dei poteri ostili. Lo gnosticismo entrò in contatto col giudaismo
abbastanza presto. Considerando le forti, ben organizzate ed
estremamente colte colonie ebree nella valle dell'Eufrate, questo
primo contatto col giudaismo è perfettamente naturale. Forse l'idea
gnostica di un Redentore deriva proprio dalle speranze
messianiche ebree. Ma, fin dall'inizio, la concezione gnostica
del Salvatore è più sovrumana di quella del giudaismo; il loro
Manda d'Haye, o Soter, è una manifestazione immediata della
Divinità, un Re della Luce, un Æon (Eone). Una definizione
piuttosto parziale del movimento, basata sull'etimologia della
parola, può essere: "dottrina della salvezza tramite la
conoscenza". Mentre il cristianesimo tradizionale (così
come definito dai concili ecumenici) sostiene che l'anima raggiunge
la salvezza dalla dannazione eterna per grazia di Dio principalmente
mediante la fede, per lo gnosticismo invece la salvezza dell'anima
dipende da una forma di conoscenza superiore e illuminata
(gnosi) dell'uomo, del mondo e dell'universo, frutto del vissuto
personale e di un percorso di ricerca della Verità. Gli gnostici
dunque erano "persone che sapevano", e la loro conoscenza
li costituiva in una classe di esseri superiori, il cui status
presente e futuro era sostanzialmente diverso da quello di coloro
che, per qualsiasi ragione, non sapevano. Per quanto insoddisfacente
possa sembrare questa definizione, l'oscurità, la molteplicità e la
confusione dei sistemi gnostici permettono difficilmente di
formularne un'altra. Lo gnosticismo descrive un insieme di antiche
religioni il cui principio base era l'insegnamento attraverso il
quale si può fuggire dal mondo materiale, creato dal Demiurgo, per
abbracciare il mondo spirituale. Gli ideali gnostici furono
influenzati da molte delle antiche religioni che predicavano tale
gnosi (variamente interpretata come conoscenza, illuminazione,
salvezza, emancipazione o unicità con Dio), che, a seconda del culto
in questione, poteva essere raggiunta praticando la filantropia, tale
da raggiungere la povertà personale, l'astinenza sessuale (per
quanto possibile per gli ascoltatori, completamente per iniziati) e
una diligente ricerca della saggezza aiutando gli altri. Nello
gnosticismo il mondo del Demiurgo è rappresentato dal mondo
inferiore, che è associato con la materia, la carne, il tempo e più
particolarmente con un mondo imperfetto, effimero. Il mondo di Dio è
rappresentato dal mondo superiore ed è associato all'anima e alla
perfezione. Il mondo di Dio è eterno e non rientra nei limiti della
fisica. È impalpabile, e il tempo non esiste. Per arrivare a Dio, lo
gnostico deve raggiungere la conoscenza, che mescola filosofia,
metafisica, curiosità, cultura, saperi e i segreti della storia e
dell'universo. In generale gli gnostici tendevano ad identificare
il Dio dell'Antico Testamento con la potenza inferiore del
malvagio Demiurgo, creatore di tutto il mondo materiale, mentre
il Dio del Nuovo Testamento con l'Eone perfetto ed eterno, il
generatore degli eoni Cristo e Sophia, incarnati sulla Terra
rispettivamente come Gesù e Maria Maddalena. Dalla
concezione docetista insita in gran parte delle religioni gnostiche,
deriverebbe poi il rifiuto della resurrezione del corpo di Gesù,
poiché dopo la sua morte, egli sarebbe tornato sulla Terra solo
nella sua forma divina, liberato dal corpo materiale. Inoltre, nel
periodo tra la Resurrezione e l'Ascensione, periodo considerato dagli
gnostici ben più esteso dei canonici quaranta giorni, avrebbe
impartito solo a pochi dei suoi discepoli una sorta di insegnamento
segreto (di tale insegnamento tratta l'apocrifo Pistis Sophia).
Tale insegnamento, parallelamente alla dottrina della Chiesa, fondata
sulla predicazione pubblica del Cristo, venne tramandato per via
occulta a beneficio di pochi eletti, escludendo, così, la
gerarchia della Chiesa. Inoltre, aspetto fondamentale, la salvezza
doveva giungere attraverso esperienze personali e non
attraverso lo studio dei testi canonici. Tutte queste convinzioni
contrastavano fortemente con l'ortodossia del cattolicesimo che
andava formandosi in quei primi secoli. La visione gnostica della
creazione teorizzava che da Dio Primo Eone fossero state generate più
coppie di eoni composte sempre da un eone maschile e uno femminile.
Dio e gli eoni nel loro complesso formavano il Pleroma. Gli eoni, in
molti sistemi gnostici, rappresentano le varie emanazioni del Dio
primo, noto anche come l'Uno, la Monade, Aion Teleos (l'Eone
Perfetto), Bythos (greco per Profondità), Proarkhe (greco per Prima
dell'Inizio), Arkhe (greco per Inizio). Questo primo essere è
anch'esso un eone e contiene in sé un altro essere noto come Ennoia
(greco per Pensiero), o Charis (greco per Grazia), o Sige (greco per
Silenzio). L'essere perfetto, in seguito, concepisce il secondo ed il
terzo eone: il maschio Caen (greco per Potere) e la femmina Akhana
(Verità, Amore). Quando un eone chiamato Sophia emanò senza il suo
eone partner, il risultato fu il Demiurgo, o mezzo-creatore (nei
testi gnostici a volte chiamato Yalda Baoth, Hysteraa, Saklas (= il
folle) o Rex Mundi per i Catari), una creatura che non sarebbe mai
dovuta esistere e che creò il mondo materiale. Questa creatura non
apparteneva al pleroma, e l'Uno emanò due eoni, Cristo e Sophia,
ovvero lo Spirito Santo, per salvare l'umanità dal Demiurgo. Cristo
prese poi la forma della creatura umana Gesù in modo da poter
insegnare all'umanità la via per raggiungere la gnosi: il ritorno al
pleroma. Anche il Vangelo di Giuda, recentemente scoperto,
tradotto e poi acquistato dalla National Geographic Society menziona
gli eoni e parla degli insegnamenti di Gesù al loro riguardo. In un
passo di tale Vangelo, Gesù deride i discepoli che pregano l'entità
che loro credono essere il vero Dio, ma che è in realtà il malvagio
Demiurgo. Gli gnostici ofiti, o naaseni, veneravano il serpente,
perché, come narrato nella Genesi (3,1), era stato mandato da Sophia
(o era lei stessa nelle sue sembianze) per indurre gli uomini a
nutrirsi del frutto della conoscenza, al fine di infondere in loro la
gnosis di cui avevano bisogno per svegliarsi dagli inganni del
malvagio Demiurgo ed evolversi a Dio. Secondo gli Ofiti, il Padre di
Tutti, o Primo Uomo, emanò il Figlio (il Pensiero), o Secondo Uomo.
Poi comparve l'Agape (Spirito Santo), o Prima Donna. Questa terna
generò Cristo (presso alcune culture identificate nell'Adam Kadmon)
e sua sorella Sophia (la Saggezza). Anche Sophia ebbe dei figli, uno
dei quali, il Demiurgo Ialdabaoth, si ribellò all'autorità e creò
il mondo materiale e l'uomo. Costui, identificato col dio
veterotestamentario, rinchiuse i primi uomini, Adamo ed Eva
nell'Eden, in maniera da essere venerato da loro. Però Sophia mandò
il serpente a spingerli a mangiare il frutto proibito e così
risvegliare la loro conoscenza, i cui livelli erano superiori a
quelli di Ialdabaoth. Infatti, Sophia aveva instillato negli uomini,
all'insaputa del loro creatore, una scintilla divina che, per le
manovre del Demiurgo, restava sopita. Gesù, a volte identificato col
serpente, quindi discese dal cielo per accendere questa scintilla e
liberare gli uomini dalla tirannia di Ialdabaoth. Per questo motivo
gli ofiti veneravano il serpente e tutti i personaggi del Vecchio
Testamento che si erano in qualche modo opposti a Yahweh, cioè il
Demiurgo. Agostino d'Ippona riferiva che allevavano serpenti in carne
ed ossa e li addestravano a sfiorare il loro pane che poi,
santificato in questo modo, usavano come eucarestia. Le loro opere
principali, conosciute, erano la Predica dei Naasseni e il Diagramma
degli ofiti. Quest'ultimo, composto prima del 150, descriveva la
cosmogonia ofita. Nonostante sia andato perduto, però, è stato
descritto minuziosamente sia dal filosofo pagano Celso che
dall'eresiologo Origene Adamantio. Ogni
setta predicava una propria variante del credo gnostico e quindi
praticava un proprio culto. Alcune sette respingevano completamente i
sacramenti, mentre altre accettavano quali strumenti di conoscenza
solo il battesimo e l'Eucaristia, affiancandoli ad altri riti, per
mezzo di inni e formule magiche, o pratiche, come l'astinenza
sessuale o la povertà, che dovevano propiziare l'ascesa al regno
spirituale del principio divino imprigionato nel corpo materiale. Da
un punto di vista etico, lo gnosticismo oscillava fra il rigore ed il
lassismo: se, infatti, la valutazione negativa della materia e del
corpo spingeva alcuni gruppi ad astenersi anche dal matrimonio e
dalla procreazione, fino ad arrivare all'ascetismo più rigoroso
(Saturnino, encratiti), la convinzione che l'anima fosse
assolutamente estranea al mondo materiale portava altre correnti a
giudicare in termini relativistici ogni atto connesso con il corpo
(Basilide, Carpocrate, barbelognostici, fibioniti, cainiti). Il
Vangelo di Maria o Vangelo di Maria Maddalena è un vangelo
gnostico, scritto in lingua copta verso la metà del II secolo a
partire da un proto-testo greco. Esalta il ruolo della discepola
Maria Maddalena. Perduto e noto solo attraverso citazioni
patristiche, in epoca moderna ne sono stati ritrovati frammenti in
greco e copto non contenenti il testo nella sua integrità. Il
Vangelo di Maria, al pari di molti altri vangeli gnostici, è andato
perduto con l'estinguersi dello Gnosticismo. Per secoli ne rimasero
disponibili solo brevi citazioni indirette ad opera di alcuni Padri
della Chiesa. Il
testo si conserva attraverso tre testimoni: il papiro Rylands 463, un
frammento in greco datato III secolo, pubblicato nel 1938; il papiro
Oxyrhynchus 3525, un frammento in greco datato III secolo, pubblicato
nel 1983; il papiro Berolinensis 8502, conservato dal 1896 presso il
dipartimento di egittologia di Berlino. Fu acquistato al Cairo da
Carl Reinhardt e sembra probabile la sua provenienza da Achmin, in
Egitto. Tuttavia a causa di complesse vicende il manoscritto fu
pubblicato soltanto nel 1955. Il papiro è datato al V secolo.
Contiene anche altri testi apocrifi, come l'Apocrifo di Giovanni.
Nessuno dei tre testimoni riporta il testo integrale; il
Berolinensis, più recente, è più ampio degli altri due frammenti
greci. Il personaggio cui il titolo si riferisce - Vangelo di Maria -
è Maria Maddalena, cui il testo attribuisce molto rilievo, al punto
da lasciare intendere che Gesù l'anteponesse ai suoi stessi
apostoli. Il frammento si compone di due parti: nella prima Gesù
risorto risponde alle domande degli apostoli e affida loro la
missione della predicazione del Vangelo, mentre la seconda si apre
con l'intervento di Pietro affinché Maria Maddalena riveli le parole
dette a lei da Gesù. Successivamente al racconto di Maria, Andrea e
Pietro manifestano la loro incredulità riguardo al fatto che il
Salvatore possa aver rivelato ad una donna ciò che non aveva
rivelato ai suoi discepoli. Infine Levi, biasimando i due discepoli,
li esorta a seguire gli insegnamenti che il Cristo ha loro impartito.
Nel testo frammentato, i discepoli fanno domande al Signore risorto e
ricevono risposta. «Ma essi rimasero tristi e piangevano forte.
Dissero: "Come possiamo andare dai gentili e predicare loro il
vangelo del regno del figlio dell'uomo? Là non è mai stato
dispensato, dobbiamo dispensarlo (proprio) noi?» «E Maria
Maddalena: "Non piangete, fratelli, non siate malinconici, e
neppure indecisi. La sua grazia sarà con voi tutti e vi proteggerà.
Lodiamo piuttosto la sua grandezza, avendoci egli preparati e mandati
agli uomini.» Allora racconta - alla richiesta di Pietro - di aver
avuto una visione del Salvatore nella quale si descrive il viaggio
dell'anima attraverso i cieli durante il quale apprende come fuggire
alle potenze malvagie[1], e riporta il suo discorso con lui, che
mostra influenze gnostiche. La sua visione non fu creduta: «Ma
Andrea replicò e disse ai fratelli: "Che cosa pensate di quanto
lei ha detto? Io, almeno, non credo che il Salvatore abbia detto
questo. Queste dottrine, infatti, sono sicuramente delle opinioni
diverse.» «Riguardo a queste stesse cose, anche Pietro replicò
interrogandoli a proposito del Salvatore: "Ha forse egli parlato
in segreto a una donna prima che a noi e non invece apertamente? Ci
dobbiamo ricredere tutti e ascoltare lei? Forse egli l'ha anteposta a
noi?» Karen King ha osservato che «Il confronto di Maria con
Pietro, uno scenario trovato anche nel Vangelo apocrifo di Tommaso,
Pistis Sophia, e nel Vangelo apocrifo degli Egiziani, riflette alcune
delle tensioni nella Cristianità del II secolo. Pietro e Andrea
rappresentano posizioni ortodosse che negano la validità della
rivelazione esoterica e rigettano l'autorità delle donne a
insegnare». Una traduzione commentata del Vangelo di Maria Myriam di
Magdala, basata sul papiro di Berlino, è stata realizzata da
Jean-Yves Leloup, teologo e scrittore francese, e pubblicata in
Italia da Servitium (2007 e 2011). Una delle conclusioni che si
ricavano da Sant'Ireneo di Lione, dove per la prima volta appare il
termine "gnostico", è che esistono tanti tipi di
gnosticismo quante le persone che lo proclamano con una certa
autorità. Più tardi ripresero il modello gnostico l'alchimia
e l'astrologia rinascimentale, scienze esoteriche che si
nutrivano delle pubblicazioni di letterati come Marsilio Ficino
(1433 - 1499), che nel 1463 tradusse il Corpus Hermeticum, una
raccolta di scritti sapienziali di epoca ellenistica, attribuiti a
Ermes Trismegisto. Esiste anche una setta di gnostici che,
isolandosi geograficamente, è giunta fino a noi in forma molto pura:
i mandei dell'Iraq meridionale, i cui caratteri gnostici sono molto
evidenti. La scoperta, nel 1945 dei Codici di Nag Hammadi ha dato
nuova forza a molti di questi movimenti, con diversi filoni di
pensiero. Ad esempio, Carl Gustav Jung studiò a lungo il pensiero
gnostico, affiancando ad esso le sue conoscenze di psicologia. È
possibile riscontrare tracce delle dottrine gnostiche in opere
letterarie contemporanee.
Il
Cristianesimo, avviatosi come setta giudaica, sviluppa
propri testi e ideologie e soprattutto non impone la
Legge Ebraica (come l'obbligo della circoncisione, segno
tangibile del patto con Dio), allontanandosi progressivamente
dal Giudaismo per diventare poi una religione distinta
nella seconda metà del II secolo e.v.. Dopo la prima guerra
giudaico-romana, i rivoluzionari come gli zeloti erano stati
schiacciati dai romani e avevano poca credibilità (gli ultimi zeloti
morirono a Masada nel 73). Allo stesso modo, i sadducei, i cui
insegnamenti erano stati così strettamente connessi al Tempio,
scomparvero con la distruzione del Secondo Tempio del 70. Anche gli
esseni scomparvero, forse perché i loro insegnamenti divergevano
notevolmente dalle problematiche di quei tempi o forse perché erano
stati dispersi dai Romani a Qumran. Di tutte le principali sette
del Secondo Tempio solo i farisei rimasero, presentando
insegnamenti diretti a tutti gli ebrei, che potevano sostituirli al
culto nel Tempio, insegnamenti che si estesero anche oltre le pratiche
rituali.
Arianesimo
è il nome con cui è conosciuta la dottrina cristologica elaborata
dal presbitero, monaco e teologo cristiano Ario (256-336), che
sosteneva come la natura divina del Figlio fosse sostanzialmente
inferiore a quella di Dio e che, pertanto, vi fu un tempo in cui il
Verbo (l'agente in Terra) di Dio non era esistito e che fosse stato
creato soltanto in seguito. Ario fu, all'epoca in cui prendeva forma
definitiva la dottrina della Trinità, il massimo rappresentante di
una delle interpretazioni di maggior seguito della relazione tra
le persone della Trinità, in particolar modo di quella tra il Padre
e il Figlio. Non negava la Trinità, ma subordinava il Figlio al
Padre (subordinazionismo), negandone la consustanzialità che sarà
poi formulata nel concilio di Nicea (nel 325) nel credo
niceno-costantinopolitano. Alla base della sua tesi, permeata della
cultura neoplatonica tanto in voga nell'ambiente ellenistico
egiziano, vi era la convinzione che Dio, principio unico,
indivisibile, eterno e quindi ingenerato, non potesse condividere con
altri la propria ousìa, cioè la propria essenza divina. Di
conseguenza il Figlio, in quanto “generato” e non eterno, non può
partecipare della sua sostanza (negazione della consustanzialità), e
quindi non può essere considerato Dio allo stesso modo del Padre (il
quale è ingenerato, cioè aghènnetos archè), ma può al
massimo esserne una creatura: certamente una creatura superiore,
divina, ma finita (avente cioè un principio) e per questo diversa
dal Padre, che è invece infinito. Padre e Figlio non possono dunque
essere identici e il Cristo può essere detto "Figlio di Dio"
soltanto in considerazione della sua natura creata e non di quella
increata, posta allo stesso livello di quella del Padre. Così
facendo, Ario non negava di per sé la Trinità, ma la considerava
costituita da tre diverse persone (treis hypostaseis)
caratterizzate da nature diverse.
Giulio Romano della scuola di Raffaello: "In hoc signo vinces", musei vaticani. |
Costantino I il Grande, musei capitolini de Roma. |
- Il Nestorianesimo, oggetto di vari scismi, di cui si discuterà a lungo. Nestorio, patriarca di Costantinopoli, enfatizzava la natura umana di Gesù, a spese di quella divina. La Vergine Maria aveva dato vita ad un uomo Gesù, non a Dio, quindi non al Logos ("Il Verbo", Figlio di Dio). Il Logos risiedeva in Cristo, era custodito nella sua persona come in un tempio. Cristo quindi era solo Theophoros, termine greco che significa "portatore di Dio". Di conseguenza Maria doveva essere chiamata Christotokos, "Madre di Cristo" e non Theotokos, "Madre di Dio". Si veda anche Vangelo di Luca 1, 43.
- L'Arianesimo, il movimento teologico più rilevante del IV secolo. Secondo Ario, sacerdote di Alessandria d'Egitto (256-336), la figura del Padre deve collocarsi in posizione preminente all'interno della Trinità, subordinando così il Figlio al Padre e riducendo la figura di Gesù alla dimensione umana, soltanto in rapporto di somiglianza con quella divina.
- Il Donatismo prende il nome da Donato di Case Nere (nel 315 vescovo di Cartagine). Questo movimento nasce e si sviluppa in Africa nel IV secolo e prende le mosse dalla critica nei confronti di quei vescovi che non avevano resistito alle persecuzioni di Diocleziano ed avevano consegnato ai magistrati romani i libri sacri. Secondo i donatisti i sacramenti amministrati da questi sacerdoti non sarebbero validi. Ciò porterebbe a considerare i Sacramenti non efficaci di per sé, ma dipendenti dalla dignità di chi li amministra.
- Lo Gnosticismo è un movimento filosofico-religioso, molto articolato, la cui massima diffusione si ebbe tra il II e il IV secolo dell'era cristiana. Il termine gnosticismo deriva dalla parola greca gnósis (γνῶσις), «conoscenza». Una definizione piuttosto parziale del movimento basata sull'etimologia della parola può essere: "dottrina della salvezza tramite la conoscenza". Mentre il giudaismo sostiene che l'anima raggiunge la salvezza attraverso l'osservanza delle 613 mitzvòt e il cristianesimo sostiene che l'anima raggiunge la salvezza dalla dannazione eterna per Grazia mediante la Fede (Efesini 2,8), per lo gnosticismo invece la salvezza dell'anima dipende da una forma di conoscenza superiore e illuminata (gnosi) dell'uomo, del mondo e dell'universo, frutto del vissuto personale e di un percorso di ricerca della Verità.
- Il Manicheismo è la religione fondata in Persia da Mani (215-277), predicatore e teologo nato nel regno dei Parti e vissuto nell'Impero sasanide, nel tentativo di fondare una religione universale che fondesse caratteristiche dello Zoroastrismo con il Cristianesimo (probabilmente con influenze di seguaci di Marcione e Bardesane) e del Buddismo che egli aveva conosciuto durante un viaggio in India. Il Manicheismo è una religione radicalmente dualista: due princìpi, la Luce e le Tenebre, coevi, indipendenti e contrapposti che influiscono in ogni aspetto dell'esistenza e della condotta umana.
- Il Marcionismo. Fu Marcione (85-160), vescovo nato a Sinope sul Mar Nero, il fondatore di questa dottrina; alcuni Padri della Chiesa (Epifanio di Salamina ad esempio) indicano in Cerinto un suo maestro.
Patriarcati delle Chiese cristiane. |
Antica Costantinopoli. |
Papa Damaso I in un mosaico della basilica di S. Paolo fuori le mura a Roma. |
Nello stesso tempo l'altra fazione,
maggioritaria, più conciliante e favorevole ad accordi e
compromessi, nella basilica di San Lorenzo in Lucina, scelse Damaso,
che fu consacrato nella basilica di San Giovanni in Laterano il 1º
ottobre 366. Molti dettagli degli avvenimenti inerenti a queste
elezioni vennero narrati nel Libellus Precum, una petizione
all'autorità civile da parte di Faustino e Marcellino, due
presbiteri della fazione di Ursino e dallo storico pagano Ammiano
Marcellino, che così narrava: « L'ardore di Damaso e Ursino per
occupare la sede vescovile superava qualsiasi ambizione umana.
Finirono per affrontarsi come due partiti politici, arrivando allo
scontro armato, con morti e feriti; il prefetto, non essendo in grado
di impedire i disordini, preferì non intervenire. Ebbe la meglio
Damaso, dopo molti scontri; nella basilica di Sicinnio, dove i
cristiani erano riuniti, si contarono 137 morti e dovette passare
molto tempo prima che si calmassero gli animi. Non c'è da stupirsi,
se si considera lo splendore della città di Roma, che un premio
tanto ambito accendesse l'ambizione di uomini maliziosi, determinando
lotte feroci e ostinate. Infatti, una volta raggiunto quel posto, si
gode in santa pace una fortuna garantita dalle donazioni delle
matrone, si va in giro su di un cocchio elegantemente vestiti e si
partecipa a banchetti con un lusso superiore a quello imperiale. ».
Il prefetto di Roma, di cui parlava Ammiano Marcellino, era un tal
Vivenzio Scisciano, che attese che si concludessero i disordini per
prendere posizione nella contesa. Una volta accertata la vittoria del
partito di Damaso, esiliò da Roma Ursino, ma i seguaci di Ursino non
vollero accettare la sconfitta e si rifugiarono nella basilica di
Santa Maria Maggiore, che i damasiani il 26 ottobre assalirono: si
accese una vera e propria battaglia, con le conseguenze citate da
Ammiano Marcellino. Riammesso l'anno seguente a Roma, Ursino cercò
nuovamente di prendere il posto di Damaso, dando vita ad altri
disordini e ricavandone un nuovo esilio per decreto dell'imperatore
Valentiniano I. Dalla Gallia prima e da Milano successivamente,
tramite un ebreo di nome Isacco, nel 370 Ursino fece accusare Damaso
di gravi delitti. Fu celebrato un processo che nel 372 assolse il
vescovo di Roma e Ursino, per decreto del nuovo imperatore Graziano,
fu definitivamente esiliato a Colonia. Questi contrasti si
rifletterono non solo sulla reputazione di Damaso ma anche in quella
della Chiesa romana. Molti, sia nella società pagana che in quella
cristiana, videro in Damaso un uomo le cui ambizioni terrene erano
superiori alle preoccupazioni pastorali. Damaso amava infatti il
fasto e gli spettacoli e non esitava a commissionare grandi opere
visto che in quel periodo le grandi famiglie di senatori e benestanti
coprivano di doni gli ecclesiastici. Sotto il suo pontificato la
residenza papale assunse un aspetto principesco e la Chiesa iniziò
ad accumulare grandi ricchezze, tanto che non pochi accusarono i
sacerdoti di essere mossi solo da ragioni economiche. In tal senso,
un decreto imperiale del 370 proibì agli ecclesiastici di far visita
a vedove ed ereditiere per evitare che le inducessero a fare
donazioni alla Chiesa. Nel 378, alla corte imperiale, fu mossa contro
Damaso anche un'accusa di adulterio, dalla quale fu scagionato prima
dall'Imperatore Graziano e poco dopo, da un sinodo romano di
quarantaquattro vescovi, che scomunicò gli accusatori di Damaso.
Dal 368 - Nei due sinodi romani del 368 e 369/370, papa Damaso I condanna fermamente l'apollinarismo e il macedonianismo.
Nel 380 - Papa Damaso I sostiene l'appello dei senatori cristiani all'Imperatore Graziano per la rimozione dell'altare della Vittoria dal Senato, fatto lì ricollocare dall'imperatore Giuliano e sotto il suo pontificato è emanato il famoso "Editto di Tessalonica" di Teodosio I, (27 febbraio 380), che definisce il credo niceno (e quindi il Cristianesimo nella formulazione romana) come religione di stato. Oltre all'affermazione della formula nicena, che dunque toglieva di mezzo le dottrine ariane, l’editto definiva per la prima volta i Cristiani seguaci del vescovo di Roma “cattolici”, bollando tutti gli altri come eretici e come tali soggetti a pene e punizioni. Nel 380, il 27 febbraio, viene emesso dagli imperatori Graziano, Teodosio I e Valentiniano II (quest'ultimo all'epoca aveva solo nove anni) l'editto di Tessalonica, conosciuto anche come "Cunctos populos". Il decreto dichiara il cristianesimo secondo i canoni del credo niceno la religione ufficiale dell'impero, proibisce in primo luogo l'arianesimo e secondariamente anche i culti pagani. Per combattere l'eresia si esige da tutti i cristiani la confessione di fede conforme alle deliberazioni del concilio di Nicea. La nuova legge riconosceva alle due sedi episcopali di Roma e Alessandria d'Egitto il primato in materia di teologia. « GLI IMPERATORI GRAZIANO, VALENTINIANO E TEODOSIO AUGUSTI. EDITTO AL POPOLO DELLA CITTÀ DI COSTANTINOPOLI. Vogliamo che tutti i popoli che ci degniamo di tenere sotto il nostro dominio seguano la religione che san Pietro apostolo ha insegnato ai Romani, oggi professata dal Pontefice Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, uomo di santità apostolica; cioè che, conformemente all'insegnamento apostolico e alla dottrina evangelica, si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno considerati stolti eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa. Costoro saranno condannati anzitutto dal castigo divino, poi dalla nostra autorità, che ci viene dal Giudice Celeste. DATO IN TESSALONICA NEL TERZO GIORNO DALLE CALENDE DI MARZO, NEL CONSOLATO QUINTO DI GRAZIANO AUGUSTO E PRIMO DI TEODOSIO AUGUSTO » Codice Teodosiano, xvi.1.2). Ad Alessandria d'Egitto, viene chiuso una prima volta il Serapeo, tempio della tradizione religiosa ellenistica, che contiene la biblioteca con la memoria del pensiero ellenistico. La popolazione alessandrina decide di desistere dall'occupazione del tempio solo quando i messi imperiali leggono l'ordine dell'imperatore: per gli antichi, lo scritto è sacro, e maggiormente è sacro lo scritto dell'imperatore, rappresentante in terra dell'ordine divino. L'editto, pur proclamando il Cristianesimo religione di Stato dell'impero romano, non stabiliva alcuna direttiva specifica a proposito. Bisognerà attendere i cosiddetti decreti teodosiani, promulgati dallo stesso Teodosio I, che tra il 391-392 normarono l'attuazione pratica dell'editto di Tessalonica. L'editto di Tessalonica è ritenuto importante dagli storici in quanto diede inizio a un processo in base al quale «per la prima volta una verità dottrinale veniva imposta come legge dello Stato e, di conseguenza, la dissidenza religiosa si trasformava giuridicamente in crimen publicum: ora gli eretici potevano e dovevano essere perseguitati come pericolo pubblico e nemici dello Stato». Nello stesso anno Graziano inviò alcuni generali per liberare l'Illiria dai Goti, consentendo a Teodosio di entrare finalmente a Costantinopoli il 24 novembre del 380, al termine di una campagna militare durata due anni. Durante il regno di Teodosio le regioni orientali rimasero relativamente tranquille, anche se i Goti e i loro alleati, insediatisi stabilmente nei Balcani, erano motivo di continuo allarme. La tensione crebbe a poco a poco, tanto che, a un certo punto, l'imperatore associato Graziano rinunciò a mantenere il controllo delle province illiriche e si ritirò a Treviri, allora compresa nel territorio della Gallia. La manovra aveva lo scopo di consentire a Teodosio di portare avanti senza intralci le successive operazioni militari. Un motivo di grave debolezza degli eserciti romani del tempo era legato alla pratica di arruolare contingenti fra le popolazioni barbare e farli combattere contro altri barbari, spesso etnicamente affini. Per tentare di limitare gli effetti negativi che ne derivavano, Teodosio inviò ripetutamente le nuove reclute in Oriente, nelle province più lontane dai confini danubiani (soprattutto in Egitto), con la necessaria e costosa conseguenza di doverle rimpiazzare con leve romane più affidabili in altre aree dell'impero. Tale politica non fu esente da inconvenienti: oltre a improvvise defezioni si registrarono anche incomprensioni e persino scontri armati fra romani e federati barbari. A Filadelfia, in Lidia, i federati goti diretti in Egitto incontrarono sul proprio cammino un'armata romana proveniente da questa stessa provincia e ingaggiarono contro di essa una assurda e sanguinosa battaglia.
- Apollinare di Laodicea (310 circa -
390) è stato un vescovo greco antico. Studiò ad Alessandria e ad
Antiochia e divenne vescovo di Laodicea nel 360. Teologo erudito,
amico di Atanasio di Alessandria e difensore del credo niceno,
polemizzò contro pagani, manichei, contro Origene e contro Ario.
Nella sua lotta anti-ariana, a partire dal 352, enfatizzò la natura
divina di Cristo a scapito di quella umana, cadendo in una posizione
cristologica eterodossa, detta da lui apollinarismo. Condannato dai
sinodi di Roma del 374 e 377, di Alessandria del 378, di Antiochia
del 379 e dal concilio ecumenico di Costantinopoli del 381,
Apollinare costituì ad Antiochia una comunità con una propria
gerarchia ecclesiastica ma l'imperatore Teodosio I (379-395), con una
ordinanza imperiale del 388, lo condannò all'esilio. Alla sua morte,
alcuni seguaci tornarono nell'ortodossia, altri abbracciarono il
monofisismo di Eutiche.
- La pneumatomachia è una corrente di
pensiero teologica del primo Cristianesimo d'Oriente risalente al IV
secolo, dichiarata eretica durante il Primo Concilio di
Costantinopoli che trattava del mistero della Trinità, in particolar
modo della subordinazione dello Spirito Santo rispetto al Padre ed al
Figlio. Il nome deriva dal greco, e vuol dire letteralmente “la
lotta dello spirito”. Il concetto di pneuma, e cioè soffio,
respiro, mutò infatti, nel suo profondo significato descrittivo
filosofico, da significato di semplice anima-soffio individuale o
respiro/soffio divino-pneuma, a vero e proprio pneumata, e cioè ad
indicare una precisa entità metafisica indipendente ed ultraterrena
(ad esempio come gli angeli e i demoni). La pneumatomachia non è da
confondersi con la pneumatologia, scienza filosofica che invece
tratta in generale delle cose spirituali, ed in particolar modo
ripresa dal Cristianesimo, come una branca teologica che studia lo
Spirito Santo. La pneumatomachia riteneva che lo Spirito Santo non
fosse la terza persona della Santissima Trinità, quindi non di pari
dignità e divinità del Padre e del Figlio. Per gli pneumatomachi,
lo Spirito Santo era una creatura di Dio, superiore sì agli angeli,
ma non consustanziale a Dio, quindi subordinato al Padre e al Figlio.
Venne indicata anche con il nome di macedonianismo, in quanto
Macedonio di Costantinopoli, vescovo morto attorno al 360, ne fu uno
dei primi divulgatori, pur provenendo da un pensiero cristologico
ariano. La pneumatomachia fu ritenuta eretica sia dai cristiani
d'Oriente, sia dai cristiani d'Occidente, a partire dal Primo
Concilio di Costantinopoli del 381, che approvarono l'ancora oggi
valido credo o simbolo niceno-costantinopolitano. Poco o nulla è
rimasto scritto su questa teoria. Quello che si conosce è dedotto
dagli scritti di confutazione di tale idea. In particolare gli
scritti di Atanasio di Alessandria, con le sue lettere a Serapione di
Thmuis e dei documenti del Sinodo di Alessandria del 362. Morto
Atanasio, furono in particolare i presbiteri Didimo il Cieco e
Basilio il Grande a proseguire il dibattito attorno a questo tema.
Nel secondo dei due sinodi, Damaso
scomunicò Aussenzio, il vescovo ariano di Milano (che comunque
mantenne la sede fino alla morte, nel 374, quando fu sostituito da
Ambrogio). Il sinodo di Antiochia del 378 stabilì la legittimità di
un vescovo solo se riconosciuto tale da quello di Roma, e forte di
questo diritto (e spalleggiato dal vescovo Ambrogio di Milano che
coniò, per l'occasione, la formula "Dove è Pietro, là è la
Chiesa") depose immediatamente tutti i vescovi ariani.
Da papa Damaso I in poi si nota un
marcato aumento del volume e dell'importanza delle pretese di
autorità e di primato da parte dei vescovi romani. Questo sviluppo
dell'ufficio papale, specialmente ad Occidente portò un grande
aumento dello sfarzo. Tale splendore secolare riguardò molti membri
del clero romano, i cui scopi mondani ed i cui costumi furono
duramente redarguiti da san Girolamo, provocando, il 29 luglio 370,
un editto dell'imperatore Valentiniano I indirizzato al papa, che
vietava ad ecclesiastici e monaci (più tardi anche vescovi e
monache) di perseguire vedove ed orfani nella speranza di ottenere da
loro regali e lasciti. Il papa impose che la legge fosse strettamente
osservata.
Nel 375 - L’Imperatore
Graziano, di religione cristiana, rinuncia alla carica
di Pontefice Massimo, che con Augusto era stata assorbita
dalla figura dell’Imperatore, per donarla al Vescovo di Roma e di
lì in poi diventerà sinonimo di Papa. Graziano così opera
una netta distinzione fra potere politico e autorità
religiosa decretando
comunque un primato di
Roma nell'ambito del
Cristianesimo, in cui Costantino I aveva trasfuso l'istituzionalità
dell'Impero Romano.
Nel 379 - L'Illiria si stacca
dall'Impero romano d'Occidente, per cui Damaso I si affretta a salvaguardare
l'autorità della Chiesa di Roma nominando un vicario apostolico
nella persona di Ascolio, vescovo di Tessalonica. Questa fu l'origine
dell'importante vicariato papale legato a quella sede. Damaso invocò
il "testo petrino" (Matteo 16,18), e fu il primo papa a
definire la chiesa romana "sede apostolica" (sedes
apostolica), definizione utilizzata per tutto il millennio successivo
e che rivendicava alla chiesa romana una posizione monopolistica con
sovranità e primato su tutte le altre chiese.
Teodosio I. |
Nel
381 - Concilio ecumenico di Costantinopoli, cui
presero parte solo esponenti della Chiesa dell'Impero romano
d'Oriente, in cui venne ribadita l'uguaglianza tra le divinità
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e
nello specifico è accettato il dogma che lo Spirito Santo procede
dal Padre attraverso il Figlio (in latino: ex Patre procedit).
Successivamente, la sola Chiesa di Roma celebrerà un suo Concilio a
Toledo, nell'anno 589 (sotto Papa Pelagio II), nel quale modificherà
questo dogma e stabilirà che lo Spirito Santo promana dal Padre e
dal Figlio (in latino: ex Patre Filioque procedit). Questa
variazione non sarà accettata dagli altri patriarcati, soprattutto
da quello di Costantinopoli, che intravvederà in questo cambiamento
una sorta di negazione del monoteismo, e si arriverà, nel 1.054 ad
uno scisma della chiesa cristiana fra "cattolica" cioè
universale, quella romana e "ortodossa", fedele al dogma
di Nicea del 325, quella costantinopolitana. Inoltre Graziano, imperatore romano dell'Occidente, sposta la sua
capitale da Treviri a Milano. Nello stesso 381, durante la lotta contro l'arianesimo, che fu sensibilmente ridotto
anche per la favorevole politica degli imperatori Graziano in
Occidente e Teodosio I in Oriente, papa Damaso I si avvalse anche del
grande aiuto di San Girolamo, ardente predicatore dell'ortodossia. Il
momento era favorevole al dogmatismo cattolico, come è dimostrato
dalla convocazione del Concilio di Costantinopoli (381), dove Damaso
inviò i suoi legati e nel quale, oltre alla ferma condanna di tutte
le eresie, venne affermata la divinità dello Spirito Santo e
ribadito, in una formulazione più precisa, il "simbolo niceno"
già affermato nel concilio di Nicea del 325. Damaso sollecitò san
Girolamo (che fu anche suo segretario privato per qualche tempo) ad
intraprendere la revisione delle antiche versioni latine della
Bibbia, nota come "Vulgata". Grazie al suo impegno, la
Chiesa orientale, nella persona di Basilio di Cesarea (nei confronti
del quale Damaso nutrì però sempre dei sospetti), ne implorò
l'aiuto e l'incoraggiamento contro l'arianesimo che laggiù era
trionfante. Sulla questione dello scisma meleziano ad Antiochia di
Siria, Damaso, con Atanasio di Alessandria prima e poi Pietro II di
Alessandria (che ospitò a Roma durante l'esilio) parteggiò per la
fazione di Paolino, considerato più rappresentativo dell'ortodossia
di Nicea; alla morte di Melezio, Damaso cercò di assicurare la
successione a Paolino nella sede episcopale di Licopoli.
Nel 382
- Si tiene il Concilio di Roma in cui papa Damaso I sancisce il
primato di Roma in qualità di sede apostolica. In un periodo
piuttosto burrascoso per il cristianesimo e nonostante le accuse a
proprio carico, grazie alla sua forte personalità, Damaso si batté
per il riconoscimento della supremazia della sede episcopale di Roma
e difese con vigore l'ortodossia cattolica contro tutte le eresie. In
contrapposizione con i decreti del Concilio di Costantinopoli I, il
Concilio di Roma del 382 decretò che la chiesa romana non era stata
creata da un decreto sinodale, ma era stata fondata da due apostoli,
san Pietro e san Paolo. Altra affermazione del Concilio romano fu
quella secondo cui la Chiesa romana era stata fondata per volontà
divina. Il risultato ideologico conseguito da questo Concilio fu che
la giustificazione storica e politica del primato della chiesa romana
fu sostituita dall'affermazione di una legge divina che aveva fatto
degli apostoli i suoi fondatori. La formula utilizzata nel Concilio
per la prima volta "primato della chiesa romana" ebbe
effetti decisivi nella storia papale successiva. Damaso morì l'11
dicembre 384, ma dal 382 il vescovo di Roma, che aveva assunto il
titolo di «papa», come d'altra parte il patriarca di Alessandria,
rivendicherà il primato del suo patriarcato come continuità del
primato dell'apostolo Pietro (sancito da Gesù in Matteo 16:18), che
era stato il primo vescovo di Roma.
Nel 388 -
In ottobre, Teodosio I si stabilisce a Milano, dove aveva
fissato la propria residenza anche Valentiniano II, facendone la sua
capitale e dimorandovi, salvo brevi interruzioni, per oltre
due anni, fino all'aprile del 391. Intensa fu in questo periodo
l'attività legislativa dell'imperatore ispanico, tesa a combattere
gli abusi: gratificazioni non dovute che i funzionari esigevano,
produzione di monete false, violenze compiute da schiavi talvolta
istigati dai loro stessi padroni, vendita di bambini da parte di
genitori ridotti in miseria, campi saccheggiati di notte dai militari
che oltretutto si dedicavano a tendere anche imboscate sulle strade.
Fece anche una legge che dichiarava nulli i codicilli e le clausole
mediante i quali venivano attribuiti lasciti all'imperatore o a
membri della sua famiglia, che fu particolarmente lodata da Quinto
Aurelio Simmaco.
Milano era anche la sede episcopale di Ambrogio,
sicché il vescovo poteva mantenere contatti regolari col supremo
potere secolare. In occasione degli scontri che ebbero
inevitabilmente a verificarsi, Ambrogio difese con tanta fermezza lo
«ius (il diritto) sacerdotale» che possiamo riconoscere in lui il
primo campione della Chiesa che sia riuscito a tracciare,
in sede teorica e pratica, una netta linea di demarcazione tra
le giurisdizioni secolare e spirituale. Gli ariani
avevano fatto molti proseliti a Milano fino al regno di Teodosio I
che, con l'editto del 380, aveva inflitto loro un colpo mortale in
tutto il mondo romano. Durante il periodo di maggiore influenza
ariana, il governo imperiale, cedendo alle pressioni degli
scismatici, aveva ordinato ad Ambrogio di ceder loro la sua basilica
episcopale. Egli rifiutò motivando il rifiuto con la teoria che «i
palazzi, e non le chiese, son sotto la giurisdizione dell'autorità
secolare», e che «le cose divine sono al di sopra del potere
imperiale». Ebbe partita vinta e si tenne la basilica.
S. Ambrogio di Milano. |
Nel 390 -
In giugno, la popolazione di Tessalonica (l'odierna Salonicco)
si ribella e impicca il magister militum dell'Illirico
e governatore della città Buterico, reo di aver arrestato un famoso
auriga e di non aver permesso i giochi annuali. Teodosio ordina una
rappresaglia, per cui viene organizzata una gara di bighe nel grande
circo della città a pochi giorni dai fatti e, chiusi gli accessi,
vengono trucidate circa 7.000 persone. Un misfatto
simile di proporzioni anche maggiori sarà fatto molto tempo dopo da
Giustiniano, a Costantinopoli. Quando giunse la notizia in Occidente,
l'opinione pubblica ne fu profondamente commossa. Ambrogio,
vescovo di Milano ne valutò tutta la gravità e mosso dal principio
che «anche l'imperatore è nella Chiesa, non al disopra della
Chiesa», scrisse a Teodosio una lettera sdegnata, imponendogli di
espiare l'ingiusto massacro con mesi di penitenza e una richiesta
pubblica di perdono. Grande fu la meraviglia dell'imperatore
all'inaudita pretesa del prelato, ma infine, minacciato di
scomunica, si arrese e deposte le insegne imperiali, si sottopose
pubblicamente al rito espiatorio nella basilica milanese. Nel Natale
del 390, l'imperatore poté tornare a comunicarsi. Tutto ciò
accadeva nel IV secolo, solo pochi decenni da quando la Chiesa era
uscita dalle catacombe alla luce della legalità. Fu un'altra
vittoria, ancor più clamorosa, di Ambrogio; secondo molti storici
l'inasprimento della politica religiosa di Teodosio nei confronti del
paganesimo fu in gran parte dovuta all'influenza che Ambrogio ebbe su
di lui e sicuramente, dopo questi fatti, la politica religiosa
dell'imperatore si irrigidì notevolmente.
Dalla strage di
Tessalonica, Teodosio vieta i Giochi Olimpici, ponendo
fine a una storia durata più di 1000 anni. Interpretando i
Giochi olimpici come una festa pagana, Teodosio ne decise la
chiusura, influenzato da Ambrogio. A determinare tale decisione
contribuì anche l'ormai intollerabile livello di corruzione tra gli
atleti, che falsava le competizioni.
Croce gemmata nell'abside della basilica paleocristiana di Santa Pudenziana a Roma. |
Rappresentazione della vestale Emilia che spegne il fuoco sacro. |
Nel 391/392
- Tra il 391 e il 392 furono emanati una serie di decreti (noti come
decreti teodosiani) che attuavano in pieno l'editto
di Tessalonica: venne interdetto l'accesso ai templi pagani e
ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto che non
fosse il cristianesimo di fede nicea, compresa
l'adorazione delle statue. Furono inoltre inasprite le pene
amministrative per i cristiani che si fossero riconvertiti al
paganesimo e, nel decreto emanato nel 392 da Costantinopoli,
l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione
delle viscere erano equiparati al delitto di (lesa) maestà, punibile
con la condanna a morte. I templi pagani furono oggetto di
sistematica distruzione violenta da parte di fanatici
cristiani e monaci appoggiati dai vescovi locali (in molti casi con
l'appoggio dell'esercito e delle locali autorità imperiali) che si
ritennero autorizzati dalle nuove leggi: si veda, per esempio, la
distruzione del tempio di Giove ad Apamea, a cui collaborò il
prefetto del pretorio per l'oriente, Materno Cinegio. L'inasprimento
della legislazione con i "decreti teodosiani" provocò
delle resistenze presso i pagani. Ad Alessandria d'Egitto il vescovo
Teofilo ottenne il permesso imperiale di trasformare in chiesa un
tempio di Dioniso, provocando una ribellione dei pagani, che si
asserragliarono nel Serapeo (che conteneva la famosa bibblioteca) e
compiendo violenze contro i cristiani. Quando la rivolta fu domata,
per rappresaglia il tempio di Dioniso fu distrutto. Teodosio durante
il suo regno fece coniare monete in cui era raffigurato nell'atto di
portare un labaro recante il Chrismon.
Da allora,
nell'Impero Romano non ci sarebbe più stata libertà di
pensiero e di culto al di fuori dell'ortodossia cristiana.
Per i successivi secoli, (e fino al presente) la Chiesa di Roma
manovrerà principi, re, imperatori e la totalità delle menti per
tenere a freno i suoi più acerrimi nemici: la verità, il sapere, la
conoscenza, la scienza e più in generale la cultura. La Chiesa di
Roma ostacolerà l'autodeterminazione personale e collettiva, il
diritto alle pari opportunità, cosa che d'altra parte hanno fatto e
fanno la maggioranza delle religioni, ma soprattutto le tre
monoteiste.
Divisione dell'impero romano in Occidentale e Orientale. |
Rappresentazione di Ipazia d'Alessandria, da http://www.latina cittaaperta.info/2018/07/27/ ipazia-di-alessandria/ |
Nel 445 -
In luglio, l'imperatore Valentiniano III emana un editto
che contribuisce in maniera determinante all'affermazione
dell'autorità e del primato della sede vescovile di Roma
in Occidente. Questo editto, che non era valido nella parte orientale
dell'Impero, riconosceva pienamente il primato giurisdizionale del
papato, perché «Nulla deve essere fatto contro o senza l'autorità
della Chiesa romana». In molti casi, la politica degli imperatori
successivi si basò sul presupposto che l'unità dell'impero
richiedesse anche un'unità religiosa. Così Giustiniano impose
pesanti restrizioni a tutte le religioni non cristiane.
Nel 484 - Dopo
l'emanazione, da parte dell'imperatore romano d'Oriente Zenone,
dell'"Henotikon", avviene uno scisma, detto
"acaciano", fra le chiese cristiane, d'oriente e
d'occidente. Prese il nome da Acacio, all'epoca patriarca di
Costantinopoli, che aveva ispirato l'"Henotikon" stesso, in
cui Gesù Cristo era descritto come «l'unigenito Figlio di Dio [...]
uno e non due» e non c'era un riferimento esplicito alle due nature,
come invece stabilito dal Concilio di Calcedonia del 451, dove era
stata condannata la posizione miafisita (solo una natura divina), ma
i miafisiti erano ancora forti, specie nelle province orientali
dell'impero. Il vescovo di Roma, papa Felice III, si rifiutò
di accettare il documento e scomunicò Acacio, provocando lo
scisma di Costantinopoli, che si ricomporrà nel 519, con
Giustino I imperatore d'Oriente. Può
essere considerato il primo scisma fra chiese cristiane,
orientale ed occidentale. A metà del V secolo, mentre l'impero
romano d'Occidente si stava dissolvendo nella barbarizzazione
germanica, per l'agiato clero cristiano d'Oriente, divenne
improcrastinabile risolvere le dispute teologiche sulla natura di
Cristo. Da tempo i teologi discutevano se Gesù possedesse
entrambe le nature, umana e divina, oppure solamente quella divina
e si interrogavano se le due nature fossero compresenti o distinte.
Nelle chiese d'oriente, influenzate dalle speculazioni filosofiche di
stampo ellenistico, la questione sollevava da tempo un profondo e
articolato dibattito. Le due massime chiese d'oriente erano quelle di
Antiochia, in Siria, e di Alessandria d'Egitto, entrambe sede di
patriarcato. I teologi di Antiochia, di scuola aristotelica,
mettevano in risalto l'umanità di Cristo e l'unione delle sue due
nature, rimaste integre in una sola persona. L'autonomia della natura
umana veniva accentuata fino a farla diventare un secondo soggetto
accanto al Logos. Diversamente da loro, ad Alessandria, di
scuola platonica, si dava l'assoluta precedenza alla divinità di
Cristo. Il Logos divino sarebbe stato l'unico vero centro di
azione in Cristo. I teologi di Alessandria non si riferivano mai a un
soggetto umano o a un distinto principio operativo. In Cristo vi era
la perfetta unità del Verbo nella carne: l‘uomo è il Verbo, ma il
Verbo in quanto unito a un corpo. I massimi esponenti della scuola
teologica alessandrina (Didaskaleion) furono Clemente, Origene
e Atanasio. Sia la chiesa di Antiochia sia quella di Alessandria
accettarono le decisioni del Concilio di Nicea I (del 325), che aveva
affermato la consustanzialità, cioè la stessa natura, del Padre e
del Figlio. Nel concilio successivo, a Costantinopoli (381), cui
presero parte solo esponenti della Chiesa dell'Impero romano
d'Oriente, venne ribadita l'uguaglianza tra le divinità del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo. Nella prima metà del V secolo fu
patriarca di Alessandria, Cirillo (370-444), colui che ordinò il
femminicidio di Ipazia d'Alessandria. Durante la sua epoca si
sviluppò l'eresia nestoriana, teoria cristologica di matrice
antiochena. Cirillo fu il primo vescovo a denunciare gli errori del
nestorianesimo; fu l'estensore della lista delle 12 rinunce
(“anatemi”) che il papa di Roma Celestino I sottopose a Nestorio.
Fu la figura centrale del concilio di Efeso I del 431, che condannò
definitivamente il nestorianesimo come eresia. Il concilio di Efeso
però, aveva lasciato irrisolta una questione fondamentale: che tipo
di rapporto sussiste tra la natura umana e quella di Cristo dopo
l'incarnazione: sono tra loro subordinate, o sono fuse, ovvero
separate? Uno dei discepoli di Cirillo, il monaco Eutiche, provò a
dare una risposta. Eutiche viveva a Costantinopoli come
rappresentante diplomatico della chiesa di Alessandria. Nella
capitale bizantina era anche padre superiore di un importante
convento di monaci. Nella sua prova di risposta, Eutiche affermò che
in Cristo, dopo l'incarnazione la natura umana è stata assorbita
completamente da quella divina. La divinità avrebbe accolto
l'umanità "come il mare accoglie una goccia d'acqua".
Contro Eutiche si pronunciarono i patriarchi di Costantinopoli e di
Antiochia e il papa di Roma. A suo favore si schierò invece Cirillo,
che però morì pochi anni dopo. Per dirimere la questione, fu
comunque convocato il concilio di Efeso II che si tenne nel 449; gli
alessandrini, rappresentati dal loro papa (il titolo del loro
patriarca) Dioscoro I, uscirono vincitori: il sinodo confermò
l'ortodossia della teoria di Eutiche, definita “monofisismo”,
cioè una natura, quella divina.
I quattro regni merovingi alla morte di Clovis I, da "Il Santo Graal", 1982 ed. Mondadori. |
Nel 527 -
Tutti gli eretici e i pagani persero le cariche
statali, i titoli onorifici, l'abilitazione all'insegnamento
e gli stipendi pubblici.
Raffaello Sanzio: "La scuola di Atene. |
Mosaico con Giustiniano nella chiesa di S. Vitale a Ravenna. |
- la persona e
tutti gli scritti del teologo antiocheno Teodoro di Mopsuestia (morto
intorno al 428),
- gli scritti di
Teodoreto di Cirro (morto nel 457) contro il patriarca di Alessandria
Cirillo,
- una lettera di
Iba di Edessa (morto nel 457) a difesa dello stesso Teodoro. Questi
scritti, raccolti appunto in tre "capitoli", venivano
considerati di tendenza nestoriana poiché negavano valore
all'attribuzione Theotokos (Madre di Dio) a Maria e
sembravano eccessivi nella difesa della duplice natura del Cristo.
Teodoro, inoltre, era considerato il maestro di Nestorio e nei suoi
scritti tendeva a giustapporre le due nature, senza riuscire a
spiegare, in maniera soddisfacente, come potessero coesistere nella
stessa persona. Teodoreto e Iba avevano già, col tempo, anatemizzato
Nestorio, per cui Giustiniano evitò di condannarli in toto. Da
notare che erano tutti e tre esponenti della scuola teologica di
Antiochia, ed erano morti da tempo. La confutazione dei "Tre
Capitoli" era stata preparata da Teodoro Askida, vescovo di
Cesarea. Il vescovo africano Facondo di Ermiane, contrario alla
condanna, pubblicò la Difesa dei Tre Capitoli esponendo in modo
circostanziato i motivi della sua contrarietà. Giustiniano convocò
anche un concilio ecumenico, il secondo Costantinopolitano, aperto il
5 maggio 553, in modo che l'assemblea dei vescovi recepisse l'editto
e desse alla condanna dei tre teologi un valore ancora maggiore. Gran
parte dei patriarchi e vescovi orientali accettò la cosa senza
grandi reazioni. Più difficile era ottenere l'assenso
del papa romano, Vigilio, che venne trasferito a forza
a Costantinopoli, fu imprigionato, e dopo vari tentennamenti firmò
la condanna dei Tre Capitoli (8 dicembre 553). Molti vescovi
dell'Italia Settentrionale, della Gallia e del Norico, non
accettarono l'imposizione del concilio voluto da Giustiniano, anche
perché già durante il concilio di Calcedonia, nel 451, i teologi
antiocheni erano stati riammessi nelle loro sedi e la vicenda doveva
essere chiusa. Pertanto, questi vescovi non si considerarono più in
comunione con gli altri vescovi che avevano accettato supinamente la
cosa. Tra questi "ribelli" all'autorità imperiale e
conciliare c’erano i vescovi delle province ecclesiastiche di
Milano, Ansano e di Aquileia, Macedonio. Il loro dissenso si acuì
ulteriormente ai tempi del successore di papa Vigilio, papa Pelagio I
(556 - 561), il quale, dopo tentativi di chiarimento e persuasione,
invitò Narsete a ridurre lo scisma con la forza. Narsete non volle
però obbedire alla richiesta del papa. Frattanto la Chiesa di
Aquileia si era resa gerarchicamente indipendente ed il suo vescovo
Paolino I (557 -569) fu nominato Patriarca dai suoi suffraganei (568:
patriarcato autonomo) per sottolineare la propria autonomia. Nel 568
i Longobardi iniziano l'invasione del Nord Italia. Il patriarca
Paolino trasferì la sua sede e le reliquie alla città di Grado
(Aquileia Nova), rimasta bizantina finché nel 606 il Patriarcato di
Aquileia si divise in due sedi: Aquileia e Grado. Il territorio
ecclesiastico era suddiviso in diocesi, governate da un vescovo
(episcopus) e corrispondenti grosso modo ai municipia amministrativi
romani. Più diocesi erano "suffraganee" (dipendenti) di
una sede "metropolitica". Le “metropoli” nel nord
Italia furono inizialmente Milano ed Aquileia, cui si aggiunse
Ravenna nel V secolo, in quanto sede imperiale in tale periodo. I
metropoliti vennero chiamati “arcivescovi” (“archiepiscopi”)
e le sedi metropolitiche “arcidiocesi”; alcuni metropoliti, nelle
sedi più importanti, presero il titolo di “Patriarchi” (ad
Alessandria, Antiochia, Costantinopoli, Aquileia), mentre quello di
Roma, ma non solo lui, ad un certo punto iniziò a chiamarsi “Papa”.
Da Milano dipendevano non soltanto l’Italia nord occidentale, ma
anche terre transalpine, come ad esempio, la diocesi di Coira
(l'antica Curia e attuale Chur, capitale del Canton Grigioni
svizzero) e la provincia ecclesiastica di Aquileia, che oltre a
comprendere l’Italia del nord Est, si spingeva addirittura nella
Raetia secunda (Baviera), nel Norico (Austria) e nei Balcani,
fino alla Pannonia (Ungheria). Così, sia per la sua vastità che per
la sua importanza, divenne un patriarcato. Ad Aquileia venne
nominato il patriarca Giovanni, tricapitolino, con il sostegno dei
Longobardi (come il duca del Friuli, Gisulfo II); a Grado, alla cui
sede venne riservata la giurisdizione sui territori di dominazione
bizantina, fu nominato il patriarca Candidiano, cattolico, sostenuto
dall'esarca bizantino Smaragdo). La Chiesa scismatica tricapitolina,
come aveva ribadito un sinodo convocato a Grado nel 579 dal patriarca
Elia, rimaneva rigorosamente calcedoniana: manteneva il credo
niceno-costantinopolitano, non professava alcuna eresia cristologica
(anzi era decisamente anti-monofisita e anti-monotelita, come
prevedibile) e venerava Maria "madre di Dio" a differenza
dei Nestoriani. La Chiesa scismatica di Aquileia non riconobbe più
l'autorità del papa perché contestò vigorosamente, fino alla
rottura, l'atteggiamento che riteneva ondivago del papato nella
questione dei tre teologi condannati, in quanto, secondo essa, non
contrastava adeguatamente l'ingerenza del potere dell'imperatore
bizantino nelle questioni dottrinarie e, inoltre, i tricapitolini non
ritenevano necessaria tale condanna perché i teologi antiocheni
avevano accettato la cristologia espressa dal concilio di Calcedonia.
L'arcidiocesi di Milano, che inizialmente faceva parte del gruppo che
aveva rifiutato con sdegno la condanna dei tre teologi antiocheni,
tornò però presto in comunione con l'ortodossia romana e
greco-orientale: l'arcivescovo Onorato, incalzato dall'invasione
longobarda intorno all'anno 570, si trasferì con il clero maggiore a
Genova (ancora città bizantina) e rientrò in piena comunione con
Roma e con Bisanzio. Il clero minore milanese, rimasto sul territorio
diocesano, che dal 568 era sotto la dominazione longobarda, rimase
prevalentemente tricapitolino ancora per diversi anni. Le altre
diocesi dipendenti dal metropolita di Aquileia (dei due, quello che
aveva la sua sede proprio ad Aquileia longobarda) rimasero
scismatiche. In particolare la diocesi di Como, il cui vescovo
sant'Abbondio aveva avuto un ruolo diplomatico importante proprio
durante la preparazione del concilio di Calcedonia, recise il
rapporto di dipendenza dall'arcidiocesi di Milano e Como divenne
suffraganea di Aquileia. La diocesi comense venera ancora oggi, con
il titolo di santo, un vescovo, Agrippino (vescovo dal 607 al 617),
che si mantenne in modo intransigente su posizioni scismatiche in
opposizione anche alla sede romana. I fatti che condussero alla
conclusione dello scisma furono determinati dalle lotte di
potere tra i clan longobardi. Nella definitiva battaglia di
Coronate (oggi Cornate d'Adda), avvenuta nel 689, il re longobardo
Cuniperto, cattolico, sbaragliò il duca Alachis, ariano, che
capeggiava un fronte d'insorti dell'Austria longobarda (l'Italia
nord-orientale), tra i quali c'erano anche molti aderenti allo scisma
tricapitolino. Con la vittoria di Coronate, l'elemento
"cattolico" si impose definitivamente non
solo sui Longobardi, che si professavano ariani, ma anche sui
dissidenti, che ancora restavano fedeli allo scisma dei Tre Capitoli.
Il consolidamento anche nell'Italia settentrionale, dopo che nel
resto dell'Europa, di un cattolicesimo saldamente unito alla sede
romana fu propiziato dall'opera missionaria dell'abate irlandese
san Colombano, fondatore nel 614 dell'abbazia di San Colombano
a Bobbio, territorio donatogli dai sovrani longobardi Agilulfo
e Teodolinda; Colombano riprese il simbolo del trifoglio, già
utilizzato anche da san Patrizio, per descrivere la Trinità, ma
anche per contribuire al dialogo fra i territori extra-bizantini ed
il papato di Gregorio I e successori. Nel 698 Cuniperto convocò un
sinodo a Pavia in cui i vescovi cattolici e tricapitolini, tra cui
Pietro I, Patriarca di Aquileia, ricomposero "nello spirito di
Calcedonia" la loro comunione dottrinaria e gerarchica. In molti
casi, la politica degli imperatori romano-orientali si basò sul
presupposto che l'unità dell'impero richiedesse anche
un'unità religiosa. Così Giustiniano impose pesanti
restrizioni a tutte le religioni non cristiane.
Papa Gregorio I Magno, da https://it.wikipedia.org/ wiki/Papa_Gregorio_I#/ media/File:Pope_Grego ry_I.jpg |
Nel 625 -
Nell'Impero romano d'Oriente, l'imperatore Eraclio I
sostituisce il latino, lingua ufficiale dell'impero, col
greco.
Dal 726 -
Leone III Isaurico proibisce il culto delle immagini
sacre. Leone III Isaurico (675 circa - 18 giugno 741) è stato
Basileus dei Romei (Imperatore d'Oriente) dal 25 marzo 717 sino alla
sua morte del 741. Durante il periodo di regno introdusse numerose
riforme fiscali, trasformò i servi della gleba in una classe di
piccoli proprietari terrieri e introdusse nuove norme di diritto
della navigazione e di famiglia, non senza sollevare molte critiche
da parte dei nobili e dell'alto clero. Proibì il culto delle
immagini sacre, con due editti distinti nel 726 e 730, e nel 726
promulgò un codice di leggi, l'Ecloga, una selezione delle più
importanti norme di diritto privato e penale vigenti. L'Ecloga, pur
rifacendosi al diritto romano e in particolare al Codice di
Giustiniano, apportò alcune modifiche sostanziali quali un
ampliamento dei diritti delle donne e dei bambini, la
disincentivazione del divorzio, la proibizione dell'aborto e
l'introduzione di mutilazioni corporali (taglio del naso, delle mani
ecc.) come pene. Queste riforme aggiornavano il diritto bizantino
alla situazione dell'epoca, che era cambiata rispetto a quella di
Giustiniano e rendevano le leggi più accessibili dato che i libri di
Giustiniano erano troppo vasti e difficilmente consultabili. Poi
Leone III iniziò a chiedersi se le calamità che affliggevano
l'Impero non fossero dovute alla collera divina e cercò di
conseguenza di ingraziarsi il Signore, imponendo il battesimo a Ebrei
e a Montanisti (nel 722). Constatando che queste prime leggi non
erano bastate a far finire le calamità (tra cui un'eruzione nel mar
Egeo), l'Imperatore iniziò a credere che il Signore fosse in collera
con i romano-orientali perché adoravano le icone religiose, cosa
contraria alle leggi di Mosé. L'opposizione alle immagini religiose
era già diventata piuttosto diffusa nelle regioni orientali,
influenzate dalla vicinanza con i musulmani, che vietavano
l'adorazione delle icone. Secondo Teofane l'Imperatore fu convinto ad
adottare la sua politica iconoclastica (distruzione delle
icone) da un tal Bezér, un cristiano che, fatto schiavo dai
musulmani, rinnegò la fede cristiana per passare a quella dei suoi
padroni e che, una volta liberato e trasferitosi a Costantinopoli,
riuscì a indurre nell'eresia l'Imperatore. Nel 726, su pressione dei
vescovi iconoclasti dell'Asia Minore e in seguito a un maremoto che
lo convinse ancora di più della correttezza della sua teoria
dell'ira divina, Leone III iniziò a battersi contro le immagini
religiose. Inizialmente tentò di predicare alla gente la necessità
di distruggere le immagini, successivamente decise di distruggere
un'icona religiosa raffigurante Cristo dalla porta del palazzo,
scatenando una rivolta sia nella capitale che nel tema Ellade.
L'esercito dell'Ellade mandò una flotta a Costantinopoli per deporre
Leone e porre sul trono l'usurpatore da loro scelto, un tal Cosma,
tuttavia durante una battaglia con la flotta imperiale (avvenuta il
18 aprile 727), la flotta ribelle venne distrutta dal fuoco greco e
l'usurpatore, catturato, venne condannato alla decapitazione. Nel
frattempo in Asia Minore gli Arabi assediarono Nicea ma non
riuscirono ad espugnarla, a dire di Teofane, per intercessione del
Signore. Gli Arabi si ritirarono quindi con ricco bottino.
L'Imperatore allora cercò di convincere il Patriarca di
Costantinopoli e il Papa ad accettare l'iconoclastia, ma tali
tentativi non ebbero effetto: entrambi infatti si mostrarono contrari
e quando, forse nel 727, Papa Gregorio II ricevette l'ordine di
vietare le icone religiose, (l'imperatore infatti, come Pontefice
Massimo esercitava sia il potere temporale che religioso) si oppose
strenuamente, ottenendo l'appoggio di buona parte delle truppe
bizantine nell'Esarcato, che si rivoltarono all'autorità imperiale.
Gli abitanti dell'Italia bizantina considerarono anche la possibilità
di nominare un usurpatore e mandare una flotta a Costantinopoli per
deporre l'Imperatore a loro dire eretico ma il Papa si oppose, un po'
perché sperava che l'Imperatore si ravvedesse, un po' perché
contava sull'aiuto dell'Imperatore per respingere i Longobardi. Le
truppe bizantine fedeli all'Imperatore tentarono di deporre il Papa e
di assassinarlo, ma tutti i loro tentativi non ebbero effetto a causa
dell'opposizione delle truppe romane che appoggiavano il Papa.
Scoppiò una rivolta anche a Ravenna, nel corso della quale venne
ucciso l'esarca Paolo: nel tentativo di vendicare l'esarca, fu
mandata dai Bizantini una flotta a Ravenna, che però non riuscì
nell'intento, subendo anzi una completa disfatta. Venne nominato
esarca Eutichio, il quale però a causa del mancato appoggio
dell'esercito, non poté instaurare l'iconoclastia in Italia e fallì
anche nel tentativo di assassinare il Papa. Cercando di approfittare
del caos in cui si trovava l'esarcato a causa della politica
iconoclastica dell'Imperatore, i Longobardi condotti dal loro re
Liutprando, invasero il territorio bizantino conquistando molte città
dell'esarcato e della pentapoli. Quindi, con l'editto del 730, Leone
ordinò la distruzione di tutte le icone religiose e
contemporaneamente convocò un silentium (un'assemblea) a cui
impose la promulgazione dell'editto. Di fronte all'insubordinazione
del patriarca Germano, contrario all'iconoclastia e che si rifiutava
di promulgare l'editto se non veniva convocato prima un concilio
ecumenico, Leone lo destituì e pose al suo posto un patriarca a lui
fedele, tal Anastasio. Il decreto venne ancora una volta respinto
dalla Chiesa di Roma e il nuovo Papa Gregorio III, nel novembre 731,
riunì un sinodo apposito per condannarne il comportamento. Al
Concilio, a cui parteciparono 93 vescovi, si stabilì la scomunica
per chi avesse osato distruggere le icone. Il Papa tentò di
persuadere l'Imperatore ad abbandonare la sua politica iconoclastica
ma i suoi vari messi non riuscirono nemmeno a raggiungere
Costantinopoli poiché arrestati prima di raggiungerla. Come
contromossa l'imperatore bizantino decise prima di inviare una flotta
in Italia per reprimere ogni resistenza nella penisola, ma questa
affondò e quindi, successivamente, confiscò le proprietà terriere
della Chiesa Romana in Sicilia e Calabria, danneggiandola
economicamente e decise inoltre di portare la Grecia ed il sud
dell'Italia sotto l'egida del Patriarca di Costantinopoli. Tali
misure non ebbero un grande effetto e l'esarca non poté comunque
applicare il decreto iconoclasta in Italia, anzi cercò di perseguire
una politica conciliante con il Pontefice. L'Italia bizantina si
trovava sempre più in difficoltà. Forse nel 732, Ravenna cadde
temporaneamente in mano longobarda e solo con l'aiuto di Venezia
l'esarca poté rientrare nella capitale dell'esarcato. Poi nel
739/740, Liutprando invase il ducato romano e si impadronì del
corridoio umbro che collegava Roma con Ravenna e fu solo per
l'autorità del Pontefice che rinunciò a queste sue conquiste.
Nelle fonti
papali del VI-VII-VIII secolo l'Impero romano d'oriente era
definito "Sancta Res Publica" o "Res Publica
Romanorum": solo con la rottura dei rapporti tra Papa e
Imperatore d'Oriente in seguito all'Iconoclastia (a metà dell'VIII
secolo) coloro che venivano fino a poco tempo prima definiti "Romani"
divennero per la Chiesa di Roma "Greci" e la "Res
Publica Romanorum" si trasformò in "Imperium
Graecorum". Il papa, patriarca latino di Roma,
definendo l'impero romano d'oriente "impero dei greci", si
impadronisce della "romanità imperiale" e del potere di
poterla dispensare. Il patriarcato romano, secondario nella storia
della cristianità, si pone invece come centro della chiesa
"universale" o "cattolica" ed erede
dell'impero romano.
La Corona Ferrea dei Re d'Italia. |
Nel 1.054 -
Scisma d'Oriente: la Chiesa cristiana si scinde in "cattolica"
a Roma e "ortodossa" a Costantinopoli. Nel 1.054 la
tradizionale estraneità tra la Chiesa occidentale che faceva
riferimento al Papa di Roma e la Chiesa orientale che faceva
riferimento al Patriarca di Costantinopoli era sfociata in uno
scisma. La figura di papa Leone IX resta legata al grande scisma. Nel
Concilio ecumenico di Costantinopoli dell'anno 381, sotto papa Damaso
I (che nel Concilio di Roma del 382 sancì il primato di Roma in
qualità di sede apostolica) era stato accettato il dogma che lo
Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio (in latino: ex
Patre procedit). Successivamente, la sola Chiesa di Roma aveva
celebrato un suo Concilio a Toledo, nell'anno 589 (sotto Papa Pelagio
II), nel quale questo dogma era stato modificato e si era stabilito
che lo Spirito Santo promana dal Padre e dal Figlio (in latino: ex
Patre Filioque procedit). Questa variazione non era stata
accettata dagli altri patriarcati, soprattutto da quello di
Costantinopoli, che intravvedeva in questo cambiamento una sorta di
negazione del monoteismo, mettendo sullo stesso piano il Padre e il
Figlio. Era iniziata, così, una disputa dottrinale all'interno del
mondo cristiano destinata a durare per molti secoli. Nel tempo,
sorsero diverse interpretazioni sul “filioque” deciso da Roma,
volte ad aumentarne l'autorevolezza. Alla metà del secolo XI, mentre
a Roma regnava Leone IX, a Costantinopoli era stato nominato
Patriarca Michele Cerulario. Va ricordato che, mentre il Papa di Roma
veniva eletto con il concorso di tante componenti (anche laiche, ma
con la preminenza di quelle ecclesiastiche), il Patriarca di
Costantinopoli veniva nominato direttamente dall'imperatore a cui
doveva rendere conto, la qual cosa poneva il capo della Chiesa
d'Oriente in subordine rispetto all'imperatore, così come era
stato l'intento di Costantino I, l'architetto della chiesa
cristiana. Michele Cerulario, sulla scorta della mai accolta
variazione del dogma sullo Spirito Santo, cominciò a contestare
tutte le innovazioni che Leone IX stava introducendo nelle regole
della Chiesa. Per contrastare la Chiesa di Roma in ogni modo, Michele
cominciò prima a contestare il celibato ecclesiastico, poi la
tonsura della barba, quindi la celebrazione dell'eucarestia con pane
azzimo. Leone IX inviò, allora, a Costantinopoli alcuni legati con
l'incarico di convincere i cristiani d'oriente a rimuovere le
contestazioni e ad accettare le nuove direttive che egli, in qualità
di Primate dei cinque patriarcati cristiani, riteneva suo diritto
impartire a tutti i cristiani, pena la scomunica del Patriarca
contenuta in una bolla già in possesso dei legati. Michele Cerulario
rifiutò l'invito del Papa e subì la scomunica, a seguito della
quale emanò, a sua volta, una scomunica verso i cristiani
d'occidente. Nel frattempo, Leone IX morì. Queste scomuniche
incrociate determinarono, dopo la sua morte, lo scisma tra le due
Chiese, tuttora in essere. Da allora in poi, la Chiesa cristiana
di Roma si definì "cattolica", cioè universale; quella di
Costantinopoli si definì "ortodossa", cioè fedele al
dogma del concilio di Nicea del 325.
Papa Innocenzo III. |
Papa Innocenzo IV. |
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