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mercoledì 16 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.31: dal 161 al 193 e.v. (d.C.)

Marco Aurelio: Musei Capitolini
di Roma.
Nel 161 - Dopo la morte per un malore del settantacinquenne Antonino Pio, gli succede Marco Aurelio  (Roma, 26 aprile 121 - Sirmio, 17 marzo 180), il cui nome completo era, nelle iscrizioni: IMP(erator) • CAES(ar) • M(arcus) • AVREL(ius) • ANTONINVS • AVG(ustus), che è stato un imperatore, filosofo e scrittore romano. Su indicazione dell'imperatore Adriano, fu adottato nel 138 dal futuro suocero e zio acquisito Antonino Pio che lo nominò erede al trono imperiale. Nato come Marco Annio Catilio Severo, divenne Marco Annio Vero (Marcus Annius Verus), che era il nome di suo padre, al momento del matrimonio con sua cugina Faustina, figlia di Antonino, e assunse quindi il nome di Marco Aurelio Cesare, figlio dell'Augusto (Marcus Aurelius Caesar Augusti filius) durante l'impero di Antonino stesso. Marco Aurelio fu imperatore dal 161 sino alla morte, avvenuta per malattia nel 180 a Sirmio secondo il contemporaneo Tertulliano o presso Vindobona. Fino al 169 mantenne la coreggenza dell'impero assieme a Lucio Vero, suo fratello adottivo nonché suo genero, anch'egli adottato da Antonino Pio. Lucio Ceionio Commodo Vero (Roma, 15 dicembre 130 - presso Altino, gennaio 169) più noto semplicemente come Lucio Vero, fu un imperatore romano e governò insieme al fratello d'adozione Marco Aurelio dal 161 sino alla morte. Nell'investitura di Marco Aurelio quale nuovo imperatoreLucio Vero fu contestualmente scelto come co-imperatore, evento senza precedenti nell'Impero romano. Ufficialmente entrambi avevano lo stesso potere, ma in pratica Marco Aurelio esercitò la propria influenza sul collega. A Vero fu dato il controllo dell'esercito, a riprova della fiducia che correva fra i due. Per rafforzare tale alleanza, Marco Aurelio dette in moglie sua figlia Annia Aurelia Galeria Lucilla a Vero che da lei ebbe tre figli. Anche se non sembra mostrare affetto personale per Adriano nei Colloqui con se stesso, Marco lo rispettò molto e presumibilmente ritenne suo dovere metterne in atto i suoi piani di successione. E così, anche se il Senato voleva confermare solo lui, egli rifiutò di entrare in carica senza che Lucio ricevesse gli stessi onori. Alla fine il senato fu costretto ad accettare e nominò Augusto, Lucio Vero. Marco divenne, nella titolatura ufficiale, Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto, mentre Lucio, rinunciando al suo cognomen di Commodo, ma assumendo il nome di famiglia di Marco, Vero, divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio Vero Augusto. Questa era la prima volta che Roma veniva governata da due imperatori contemporaneamente. Fin dalla sua ascesa al principato, Marco ottenne dal Senato che Lucio Vero gli fosse associato su un piano di parità (diarchia), con gli stessi titoli, ad eccezione del pontificato massimo che non si poteva condividere. La formula era innovativa: per la prima volta alla testa dell'impero vi era una collegialità e una parità totale tra i due principes. In teoria i due fratelli, entrambi insigniti del titolo di Augustus, ebbero gli stessi poteri. In realtà Marco conservò una preminenza che Vero mai contestò. Le ragioni pratiche di questa collegialità, voluta da Adriano forse per onorare la memoria di Lucio Elio, adottandone il figlio, e allo stesso tempo lasciare l'impero a Marco Aurelio di cui aveva capito le grandi qualità, non sono completamente chiare. A dispetto della loro uguaglianza nominale però, Marco Aurelio ebbe maggior auctoritas (autorità) di Lucio Vero. Fu console una volta di più di Lucio, avendo condiviso l'amministrazione già con Antonino Pio, e solo Marco divenne Pontifex Maximus. E questo fu chiaro a tutti. L'imperatore più anziano deteneva un comando superiore al fratello più giovane: "Vero obbedì a Marco... come il tenente obbedisce a un proconsole o un governatore obbedisce all'imperatore".

- Dal 161 l'Impero romano, ormai in pace da lungo tempo subisce una serie di attacchi contemporanei lungo molti dei suoi fronti. I Pitti nella Scozia premevano contro il vallo di Antonino, la Spagna subiva le continue scorrerie dei pirati mauri, mentre in Germania, tra l’alto Danubio ed il Reno, i Catti e i Cauci penetravano oltre le frontiere e lungo le coste, invadendo la Gallia Belgica e gli Agri Decumates. Il nuovo sovrano partico Vologese III, divenuto re nel 148, occupava l’Armenia, ponendo sul suo trono il fratello Pacoro, per poi invadere la vicina provincia romana di Siria nel 161. Nell'Europa centro-orientale il mondo barbaro era scosso da forti agitazioni interne e da movimenti migratori tra le sue popolazioni che tendevano a modificare gli equilibri con il vicino mondo romano. VandaliBurgundiAlemanniLongobardiAngli,  SassoniJutiFranchi e altre tribù ancora attaccheranno i romani già nello stesso II sec..

Nel 166 - Durante il principato di Marco Aurelio imperatore (dal 161 al 180), si diffonde dal confine persiano, dove si combatte contro i Parti, un'epidemia di peste.

Carta del 178-179 durante
le guerre Marcomanniche.
Dal 167 - Le guerre marcomanniche, o guerre marcomanne, come sono state definite nella "Historia Augusta", costituiscono un lungo periodo di conflitti militari combattuti dall'esercito romano contro le popolazioni germano-sarmatiche dell'Europa continentale (dal 167 al 189 circa). I Marcomanni (uomini della marca) erano Suebi che, valicato il Meno, avevano preso possesso del paese fra il Reno e il Danubio superiore, sgombrato dagli Elvezi, che divenne così una marca di confine sueba. Fra il 9 e il 2 a.C. essi, guidati dal re Maroboduo, passarono nella Boemia, sgombrata dai Galli Boi, e vi fondarono un potente regno che, dopo aver dominato su molte delle circostanti tribù germaniche, si sfasciò presto in seguito alle lotte coi Cherusci. La grande invasione del 166 d. C. li rese di nuovo famosi; una parte furono stanziati dai Romani in Pannonia, gli altri passarono, pare nel sec. VI, nella Baviera (che prese il nome da Baivarii, "abitanti di Baia, la Boemia"). Loro alleati contro i Romani erano i Quadi, d'origine suebica, che avevano strappato la Moravia ai Volcae Tectosages, stirpe gallica con la quale i Germani devono essere venuti a contatto molto per tempo, poiché ne estesero il nome (Welschen) a tutti i Galli e poi a tutti i popoli romanizzati. Ad est dei Quadi stavano tribù minori dei Bastarni (Sidones, Buri) e nella guerra marcomannica comparvero varie tribù vandaliche (Victovali, Asdingi, Lacringi). Le guerre marcomanniche rappresentano un evento storico di fondamentale importanza poiché rappresentarono il preludio alle grandi invasioni barbariche del III-IV-V secolo. All'interno e ai margini della massa germanica si erano verificati movimenti e mescolanze di popoli, tanto da portare a trasformazioni di natura politica, con l'avvento di un fenomeno nuovo tra i Germani: interi popoli (come Marcomanni, Quadi e Naristi, Vandali, Cotini, Iazigi, Buri ecc.), sotto la pressione dei Germani Orientali, su tutti i Goti, furono costretti a ristrutturarsi e ad organizzarsi in sistemi sociali più robusti e permanenti, ovvero si raggrupparono in coalizioni ("confederazioni") di natura più che altro militare, con la conseguenza che il limes renano-danubiano finì per essere sottoposto a una maggiore pressione. Tale trasformazione fu anche, se non soprattutto, indotta dalla vicinanza e dal confronto con la civiltà imperiale romana, le sue ricchezze, la sua lingua, le sue armi, la sua organizzazione. Fatto sta che alle tribù germaniche guerriere con capi eletti democraticamente tipiche dei secoli precedenti subentrarono coalizioni (come quella degli Alemanni, dei Franchi, etc.) rette da aristocrazie guerriere, prefigurazione della futura nobiltà feudale. Alla fine la pressione violenta di altri popoli migranti (Goti, Vandali, Sàrmati) finì per costringere queste confederazioni di popoli confinanti con l'Impero Romano, che di fronte a loro non disponevano di ampi spazi su cui trasferirsi, a decidere di dare l'assalto direttamente alle province renano-danubiane. I primi a muoversi, sul Danubio, furono i Marcomanni ed i Quadi, popolazioni di Suebi, o Svevi (Schwäbisch in lingua tedesca). La loro offensiva fu facilitata anche dal fatto che i Romani avevano dovuto sguarnire buona parte del settore di limes danubiano per il trasferimento in Oriente (per la guerra partica del 162-166) di una parte dei contingenti militari che difendevano il confine renano-danubiano. Fu così che, appena terminata la guerra partica, cominciava lungo la frontiera europea una nuova guerra contro le popolazioni germano-sarmatiche dell'Europa continentale, nota col nome di guerre marcomanniche. La "Historia Augusta" scrive che «mentre si combatteva ancora la guerra partica, scoppiò la guerra con i Marcomanni…». Le guarnigioni del Danubio erano state gravemente indebolite con lo spostamento di una parte dell'esercito legionario ed ausiliario in Oriente. Gli eserciti stremati dopo 4 lunghi anni di guerre nelle aride pianure della Mesopotamia, e la peste  ne avevano ridotto pesantemente gli effettivi. Nel 166-167 un gruppo di tribù della Germania settentrionale invadeva la Pannonia superiore. Si trattava di 6.000 armati tra Longobardi ed Osii, che grazie all'acquiescenza dei Quadi, avevano potuto attraversare le loro terre ed invadere i territori romani. I barbari erano, però, intercettati da alcune unità di fanteria e di cavalleria nella zona di Brigetio-Arrabona (l'attuale Gyor), battuti e ricacciati nelle loro terre. Gli invasori erano stati respinti ancor prima che potessero arrecare danni all'interno della provincia. In seguito a questi eventi ben 11 tribù (tra cui Marcomanni, Longobardi, Osii, Vandali Victuali, Quadi, Naristi, Cotini, ecc.) mandarono i loro messaggeri a Iallo Basso, governatore della Pannonia superiore, per chiedere la pace, scegliendo come loro portavoce il re dei Marcomanni, un certo Ballomar. Gli ambasciatori dei barbari riuscirono ad ottenere la pace con Roma e tornarono nelle loro terre. La situazione sembrava tornare alla calma. Anche se questa apparente pace poteva destare dei sospetti in Marco Aurelio, che regnava in quegli anni. Sempre nel corso del 167 i Sàrmati Iazigi sfondavano il limes dacico  (forse insieme ad alcune tribù di Vandali), e battevano l'esercito romano accorrente lungo la frontiera occidentale della provincia della Dacia superiore, causando la morte dell'allora governatore di provincia, un certo Calpurnio Proculo. Fu per questi motivi che la legio V Macedonica, appena tornata dalle campagne orientali, veniva trasferita dalla vicina Mesia inferiore (posizionata a Troesmis, attuale Iglita), in Dacia nei pressi di Potaissa (attuale Turda).
Prima spedizione germanica del 168 - La pace che era stata concordata l'anno prima con i barbari non lasciava però tranquillo Marco Aurelio che decise di recarsi di persona (insieme al fratello Lucio Vero) lungo il limes pannonico per controllare quali fossero le reali intenzioni dei barbari. I due imperatori attraversarono le Alpi e si fermarono a Carnuntum, base della Legio XIV Gemina e quartier generale del governatore della Pannonia superiore. Nel corso del 168 i Marcomanni ed i Vandali Victuali avevano provocato disordini ovunque lungo la frontiera settentrionale. La "Historia Augusta" racconta che la maggior parte dei re si ritirarono con i loro popoli, ed uccisero i promotori della ribellione, chiedendo perdono per aver rotto il trattato di pace. Gli stessi Quadi non avrebbero riconosciuto alcun re senza il beneplacito dei due imperatori. A Lucio Vero sembrava fosse più che sufficiente, egli non vedeva l'ora di far ritorno a Roma, del resto era stato assente dalla capitale per tanti anni, a causa delle guerre partiche appena concluse e di cui era stato il comandante in capo. Egli riuscì a convincere il fratello, Marco, ed a tornare ad Aquileia per l’inverno, ora che la situazione sembrava tornata sotto controllo. Nel corso di questi primi anni di guerra Marco potrebbe aver iniziato a scrivere i “Colloqui con se stesso”, unica opera pervenutaci dell'"imperatore filosofo". Opera che pur non raccontando in modo evidente le guerre di questi anni, comunica al lettore tutto il disagio di Marco Aurelio uomo, in relazione ad eventi tanto infausti.

Nel 169 - Agli inizi dell'anno, il co-imperatore Lucio Vero è colpito da infarto e muore a soli due giorni di viaggio da Aquileia, lungo la strada che conduceva da Concordia Sagittaria ad Altino. I due imperatori avevano deciso di far ritorno a Roma, dietro le insistenti pressioni del fratello Lucio, che moriva tre giorni dopo. Marco Aurelio era così costretto a tornare a Roma per le esequie del fratello. Il grosso dell'esercito, anche in mancanza dei due imperatori, potrebbe essersi andato a concentrare lungo i confini della piana del Tisza. Marco voleva punire i Sàrmati per aver compiuto, l'anno precedente, un'incursione nella provincia della Dacia, ora che aveva concluso trattati di pace con le popolazioni suebe (Quadi, Marcomanni e Naristi) che gravitavano lungo i confini del medio Danubio.
Il conflitto sarmatico si rivelò molto difficile per i Romani, costretti a lasciare sul campo di battaglia altri due governatori delle tre Dacie: Calpurnio Agricola e Claudio Frontone, mentre solo con la fine dell'anno, Marco fu in grado di raggiungere il fronte in questione, accompagnato dal nuovo genero Claudio Pompeiano (nominato primo consigliere militare), che aveva sposato di recente la figlia Lucilla, vedova di Lucio Vero.
Grande invasione germanica del 170 - All'inizio dell'anno era annunciata la profectio dell'Imperatore, un cerimoniale religioso che celebrava la partenza dell'Imperatore romano in vista di una nuova campagna militare e mentre Marco Aurelio giungeva lungo il limes pannonicus  e lanciava una nuova e massiccia offensiva romana al di là del Danubio contro i Sàrmati  Iazigi (chiamata expeditio sarmatica), una grossa coalizione di tribù germaniche, capeggiata da Ballomar, re dei Marcomanni, sfondava il limes pannonico e batteva un esercito di 20.000 armati lungo la cosiddetta via dell'Ambra, forse nei pressi di Carnuntum (in Austria). L'ondata barbara si riversava sia nel vicino Norico compiendo incursioni fino ad Ovilava, mentre il ramo più numeroso discendeva, appunto, la "via dell'ambra"; percorreva la Pannonia e, passando per Savaria, Poetovio ed Emona, giungeva nell'Italia settentrionale, arrivando ad assediare Aquileia e distruggendo Opitergium. L'invasione delle popolazioni suebe costrinse Marco Aurelio a far ritorno in tutta fretta in Italia, poiché gli invasori erano riusciti a penetrare nel cuore dell'Impero, mentre il grosso delle forze romane era impegnato in un altro settore del limes. Le popolazioni germaniche erano state abili nello scegliere il momento opportuno per sferrare l'attacco. Ancora una volta Marco Aurelio scelse come suoi principali collaboratori Tiberio Claudio Pompeiano, a cui fu affidato il compito di bloccare l'invasione dell'Italia e ripulirne i territori circostanti, e Pertinace (il futuro imperatore), il migliore tra i suoi principali assistenti. Aquileia fu liberata dopo uno scontro sul suolo italico, dove i Romani ottennero una determinante vittoria sui Germani. Sempre nel corso del 170, nuove forze barbare piombavano nei Balcani, e dopo aver portato devastazione nelle province di Mesia inferiore, Tracia e Macedonia, raggiungevano l'Acaia fino al santuario di Eleusi (20 km ad ovest di Atene), dove distruggevano il tempio dei Misteri. Si trattava dei Costoboci, un popolo di origine incerta che viveva a nord-est della Dacia. Ma il raid dei Costoboci si dimostrava meno importante rispetto all'invasione dell'Italia. Si racconta che nel 170-171 alcune bande di questo popolo furono intercettate ed annientate nei pressi di Scupi dalla Cohors II Aureliae Dardanorum, di nuova costituzione. E ancora il legato della legione di Mogontiacum (Magonza), Didio Giuliano (futuro imperatore), respingeva una nuova incursione di Catti (forse alleati con gli Ermunduri), mentre i Cauci portavano devastazione lungo il litorale della Gallia Belgica. Costretto a contrastare i barbari invasori in più zone del Limes, Marco Aurelio fu costretto a creare ex novo un grande distretto militare ai confini nord-orientali dell'Italia: la cosiddetta praetentura Italiae et Alpium, al fine di prevenire nuove possibili invasioni di genti germaniche sul suolo italico. Essa comprendeva le Alpi Giulie, ampie zone delle province di Raetia, Pannonia e Noricum. Il comando del distretto fu affidato a Q. Antistius Adventus, militare di carriera di origine africana, consul suffectus nel 166-167, che ricoprì la carica di legatus Augusti ad praetenturam Italiae et Alpium expeditione Germanica. Marco sapeva che i Suebi (o Svevi) Marcomanni e Quadi ormai costituivano il principale avversario da combattere. I Sàrmati Iazigi della piana ungherese potevano aspettare. Sembra che questo primo inverno lo trascorse in Pannonia, probabilmente già a Carnuntum, da dove riorganizzò l'intero limes danubiano e le alleanze con le popolazioni barbare, come racconta Cassio Dione Cocceiano in "Storia romana", LXXII, 12.

Dal 170 - La tribù germanica dei Vandali (Wandili), dopo una prima migrazione dalla Scandinavia nei territori dell'attuale Polonia (tra i bacini dell'Oder e della Vistola) intorno al 400 a.C., sotto la pressione di altre tribù germaniche si spostano più a sud, dove combattono e sottomettono la popolazione celtica dei Boi (stanziati in quella regione che da loro ha preso il nome di Boemia) circa nel 170. Il termine "Vandali" potrebbe essere un'erronea citazione dei "Victohali", visto che secondo Eutropio (che aveva 40 anni nel 363/387) la Dacia era in quel periodo abitata da Taifali, Victohali e dai Goti Tervingi. Le popolazioni vandaliche di Asdingi, Silingi e Lacringi, al tempo della guerre marcomanniche (anni 171-175) si stabilirono a sud dell'arco carpatico. Nel II secolo d.C., all'interno e ai margini della massa germanica si erano verificati movimenti e mescolanze di popoli, tanto da portare a trasformazioni di natura politica: intere popolazioni (come Marcomanni, Quadi, Naristi, Cotini, Iazigi, Buri ecc.), sotto la pressione dei Germani orientali (su tutti i Goti), furono costrette a riorganizzarsi in sistemi sociali più evoluti e permanenti, ovvero si raggrupparono in coalizioni  ("confederazioni") di natura soprattutto militare, con la conseguenza che il limes renano-danubiano finì per essere sottoposto ad una costante e maggiore pressione. Tale trasformazione fu anche indotta dalla vicinanza e dal confronto con la civiltà imperiale romana, le sue ricchezze, la sua lingua, le sue armi, la sua organizzazione. Alla fine la violenta pressione di altri popoli migranti (Goti, Vandali e Sarmati) finì per costringere queste confederazioni di popoli confinanti con l'Impero Romano, che di fronte a loro non disponevano di ampi spazi su cui trasferirsi, a decidere di dare l'assalto direttamente alle province renano-danubiane. E fu così che anche gli stessi Vandali, parteciparono a questa iniziale fase di sfondamento delle frontiere romane. La popolazione vandala era, a sua volta, divisa fra tre principali etnie: Asdingi (dal nome della casata principale), Silingi e Lacringi. La prima testimonianza storica di un loro scontro con l'Impero romano avvenne, quindi, secondo quanto ci raccontano Cassio Dione Cocceiano e la "Historia Augusta", durante il periodo delle cosiddette guerre marcomanniche (dal 166/167 al 188/189), al tempo degli imperatori Marco Aurelio, Lucio Vero e Commodo. Sappiamo, infatti, che il "ramo" dei Vandali Asdingi mosse verso sud-est, guidato dai loro re Raus e Raptus e che alla fine stipularono un trattato di alleanza con i Romani, stanziandosi a nord-est della Dacia, nel bacino dei Carpazi. « Gli Asdingi, guidati dai loro capi Raus e Raptus, entrarono in Dacia con le loro intere famiglie, con la speranza di assicurarsi sia denaro, sia territori, in cambio della loro alleanza [con i Romani]. Ma in mancanza di territori, lasciarono le loro mogli e i loro figli sotto la protezione di Clemente [governatore romano], fino a quando non avessero acquisito i territori dei Costoboci (posizionati a nord-est della Dacia), ma una volta sconfitta questa popolazione, cominciarono a perseguitare la vicina provincia romana dacica, non meno di quanto prima [avevano fatto i Costoboci]. I [Vandali] Lacringi, temendo che Clemente potesse attaccarli nei loro territori dove erano giunti, attaccarono [gli Asdingi] ottenendo una vittoria decisiva. Come risultato, gli Astingi smisero di commettere nuovi atti di ostilità contro i Romani, ma in risposta alle suppliche indirizzate a Marco Aurelio, ricevettero dallo stesso denaro ed il privilegio di ottenere territori nel caso in cui lo avessero aiutato a combattere contro i suoi nemici. » (Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXXII, 12.). La sconfitta segnò una svolta nella storia dei Vandali che dovettero così fornire armati  all'Impero Romano in qualità di alleati, anche dopo la morte di Marco Aurelio nel 180. A partire dagli anni 213-214, si verificheranno nuove incursioni in Dacia e in Pannonia inferiore, lungo il tratto danubiano attorno ad Aquincum, da parte dei Vandali. L'Imperatore Caracalla, costretto ad intervenire di persona, riuscirà a chiedere aiuto agli alleati Marcomanni, opponendoli ai vicini Vandali che si stavano dimostrando da qualche tempo particolarmente ostili.

Offensiva romana e sottomissione della Marcomannia (171/174) - Gli invasori germani, finalmente, furono presi in trappola mentre stavano cercando di attraversare il Danubio carichi di bottino, per far ritorno nelle loro terre. Rezia, Norico e Pannonia erano state liberate definitivamente dopo duri e ripetuti scontri nel corso di oltre un anno di guerra. La data dell'11 giugno potrebbe testimoniarne la sua conclusione, forse perché questo stesso giorno di ogni anno per molti decenni successivi, sia a Carnuntum (sede del governatore della Pannonia superiore) sia ad Aquincum (sede del governatore della Pannonia inferiore), venivano fatte offerte a Giove in segno di ringraziamento. Nel corso di questi anni di guerra i Romani, grazie anche all'imponente Classis Pannonica che permetteva il trasporto e l'approvvigionamento delle armate di terra, risalirono i fiumi della futura provincia di Marcomannia: Morava (o March), Thaya, Dyje e Jihlava, a nord della fortezza legionaria di Carnuntum; Nitra, Waag (o Vah) a nord della fortezza legionaria di Brigetio e Hron (dal latino "Granua") a nord del forte di Solva. Essi riuscirono, quindi, ad occupare buona parte dei territori a nord del Danubio, sottomettendo totalmente le popolazioni abitanti l'odierna Moravia e Bassa Austria (Naristi, Marcomanni e Cotini), confinanti con la provincia romana della Pannonia superiore. I Quadi, al contrario, che occupavano l'attuale Slovacchia si dimostrarono i più ostili da assoggettare, poiché tentarono più volte di sottrarsi al giogo romano. Alla fine anche loro furono costretti a capitolare, ed il loro re Ariogeso, fu mandato da Marco Aurelio in esilio ad Alessandria d'Egitto. Marco Aurelio riceveva per questi successi il titolo di “Germanicus” nel 172. Fu acclamato Imperator due volte: nel 171 e nel 174, mentre le monete del 172 riportavano la legenda Germania subacta ("Germania soggiogata"). Cassio Dione riferiva che «Marco Aurelio riuscì a sottomettere i Marcomanni… dopo molti e duri scontri…». È da attribuirsi a questi anni il famoso episodio della “pioggia miracolosa” rappresentato nella scena numero 16 della Colonna di Marco Aurelio. Cassio Dione ricorda che i Romani, ormai accerchiati dai Quadi, logorati dal caldo e dalla sete, erano stati salvati dalla pioggia e dalle preghiere dei soldati cristiani. E secondo la storiografia dell'epoca, la legione coinvolta in questo episodio era la Legio XII Fulminata proveniente da Melitene in Cappadocia. Attorno al 173 fu la volta della popolazione dei Naristi a chiedere di essere accolta all'interno dei confini imperiali: « Ora [fu la volta] dei Naristi, che avevano avuto difficoltà e che decisero di disertare in 3.000 e ricevettero terre nei nostri territori [imperiali]. » (Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXXII, 21.). Con Marcomanni, Quadi e le altre popolazioni limitrofe, come i Naristi, vennero siglati trattati di pace che imponevano loro severe restrizioni come la consegna di ostaggi, l'obbligo di lasciar libera la sponda a nord del Danubio per 10 miglia romane, il fornire truppe alleate ai Romani ed il dover subire un "controllo a distanza" dei propri territori (come ad esempio nella zona di Mušov, nell'attuale Repubblica Ceca).
Ripresa della guerra contro i Sàrmati Iazigi (174-175) - Marco Aurelio voleva ora battere i Sàrmati Iazigi della piana del Tibisco e vendicare l'onta dell'invasione del 168. La guerra contro le tribù germaniche degli anni precedenti ne aveva solo ritardato i piani. Dopo una serie di combattimenti favorevoli ai Romani, una parte degli Iazigi chiese la pace. La guerra continuò per un altro anno fino a quando anche il secondo re sàrmata fu costretto ad implorare la resa. Le condizioni di pace sono riportate da Cassio Dione, il quale racconta che agli Iazigi fu imposto: « ... di abitare due volte più lontano dal Danubio rispetto a Quadi e Marcomanni… dovevano restituire 100.000 prigionieri di guerra ancora nelle loro mani… e dovevano fornire 8.000 cavalieri, di cui 5.500 furono subito inviati in Britannia. » (Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXXII, 16). Una nuova campagna contro le popolazioni della piana del Tibisco doveva essere iniziata da poco nel 175, quando a Marco giunse la triste notizia che Avidio Cassio, governatore di Siria, si era ribellato e autoproclamato imperatore in buona parte delle province orientali. Marco Aurelio fu costretto ad abbandonare la guerra contro gli Iazigi e le popolazioni della piana della Tibisco e recarsi in Oriente per affrontare Avidio Cassio e metter fine alle sue pretese al trono. La rivolta di Avidio Cassio sospendeva per la seconda volta la guerra contro le popolazioni sarmatiche e suebe. La "Historia Augusta" ricorda, infatti, che Marco avrebbe desiderato fare della Marcomannia e della Sarmatia due nuove province, e ci sarebbe riuscito se Avidio Cassio non si fosse ribellato. Ma forse sarebbero stati necessari più anni di guerra. La fortuna volle che pochi mesi dopo Avidio Cassio venisse ucciso da un centurione romano, rimasto fedele a Marco Aurelio, scongiurando così una probabile nuova guerra civile.
Breve tregua e trionfo (176-177) - L'imperatore romano, Marco Aurelio, celebrò nel dicembre del 176 il trionfo per aver sottomesso Marcomanni, Quadi e Iazigi, ricevendo i cognomina ex virtute di Germanicus (nel 172) e Sarmaticus (nel 175). Marco Aurelio, che aveva battuto tutti i popoli a nord del medio corso del Danubio, ottenne per decreto del Senato romano il meritato trionfo nel dicembre del 176, sulle genti barbare a nord del medio corso del Danubio (insieme al figlio Commodo, da poco nominato Augusto); in suo onore venne eretta all'imperatore una statua equestre (oggi in Campidoglio a Roma) ed un arco trionfale. L'esistenza di un arco è ipotizzata sulla base di un ciclo di dodici rilievi (otto reimpiegati sull'arco di Costantino, tre conservati nel Palazzo dei Conservatori dei Musei Capitolini e un ultimo, scomparso, di cui resta un frammento oggi a Copenaghen). L'arco potrebbe essere sorto nei pressi della colonna di Marco Aurelio quale entrata monumentale al porticato circostante il monumento "colchide" e ad un tempio dedicato allo stesso imperatore ed alla moglie Faustina minore.
Seconda spedizione in Marcomannia (178-179) - I combattimenti ripresero già nella prima parte dell'anno 177. I Quadi, che da sempre si erano dimostrati i più restii ad accettare l'occupazione romana, potrebbero essere stati i primi a ribellarsi nuovamente, obbligando entrambi i governatori di Pannonia, superiore ed inferiore, a rimettere mano alle armi. Marco Aurelio fu costretto a recarsi di persona lungo il fronte danubiano, alla fine dell'estate del 178, per cercare di portare a termine una guerra che si protraeva ormai da troppi anni; iniziò così la secunda expeditio germanica. Marco deve aver raggiunto Carnuntum nella tarda estate del 178. Era intenzionato ad organizzare le terre a nord del tratto danubiano, da Vindobona ad Aquincum, nella nuova provincia di Marcomannia. Per prima cosa procedette a sedare le rivolte tra Marcomanni e Naristi (178), l'anno successivo operò nel territorio dei Quadi, forse risalendo il fiume Granua (l'attuale Hron), e gli altri affluenti del Danubio, vie di comunicazione naturali per l'interno dei territori dei barbari. A questa spedizione risale l'iscrizione romana tuttora presente sulla roccia dove sorge il castello dell'odierna Trenčín (Slovacchia). L'iscrizione celebra la vittoria di Marco Aurelio e degli 855 soldati della legione II Adiutrix nella località chiamata Leugaricio, che rappresenta la prova della presenza militare romana più a settentrione nell'Europa centrale. Sempre nel corso di questa secunda expeditio germanica il prefetto del pretorio, Tarutieno Paterno, impegnò il nemico per un'intera giornata (tanto era numeroso), riportando alla fine una vittoria risolutiva ai fini della guerra. Marco per questi successi veniva acclamato Imperator per la decima volta, meritandosi anche il titolo di Germanicus maximus. La nuova provincia di Marcomannia era forse al principio di un'occupazione romana e forse in fase di nuova costituzione. Ora era necessario battere ancora una volta i Sàrmati della vicina piana del Tisza, costringendoli una volta per tutte a deporre le armi e chiedere la pace. Ciò avrebbe permesso al limes del medio corso del Danubio di tornare a respirare aria di pace. Marco trasferiva, così, il proprio quartier generale lungo il fronte sarmatico per l'inverno del 179-180 (in Pannonia inferiore).

Nel 180 - In  marzo, quando la nuova stagione di guerra stava per cominciare, Marco Aurelio cade gravemente  ammalato muore non lontano da Sirmio (il 17 marzo 180), come ci informa il contemporaneo Tertulliano nel suo "Apologeticum". Poco prima di morire, la "Historia Augusta" riferisce che chiese al figlio Commodo di «non trascurare il compimento delle ultime operazioni di guerra». Commodo, figlio di Marco Aurelio, gli succede alla guida dell'impero: viene così ripristinata la successione ereditaria. Cesare Lucio Marco Aurelio Commodo Antonino Augusto, nato Lucio Elio Aurelio Commodo (Lanuvium, 31 agosto 161 - Roma, 31 dicembre 192), è stato un imperatore romano, membro della dinastia degli Antonini; regnò dal 180 al 192. Così come Caligola e Nerone, è descritto dagli storici come stravagante e depravato.
Commodo rappresentato
con gli attributi di
Figlio dell'imperatore filosofo Marco Aurelio, Commodo fu associato al trono nel 177, succedendo al padre nel 180. Avverso al Senato e da questi odiato, governò in maniera autoritaria, esibendosi anche come gladiatore e in prove di forza, facendosi soprannominare l'"Ercole romano". Amato dal popolo e appoggiato dall'esercito, al quale aveva elargito consistenti somme di denaro, riuscì a mantenere il potere tra numerose congiure fino a quando venne assassinato nel 192. 
Commodo contro gli Iazigi (180-182/3) - L'offensiva da parte di Commodo in terra sàrmata continuò. Neppure la morte dell'imperatore ritardò la progettata spedizione nella piana del Tisza. I Sàrmati Iazigi (nuova expeditio sarmatica), i suebi Buri ("expeditio Burica"), i germani Vandali ed i Daci liberi, furono battuti più volte negli anni successivi. Commodo, che aveva deciso di abbandonare il teatro delle operazioni militari nell'ottobre del 180, contro il parere del cognato Claudio Pompeiano, lasciò che fossero i suoi generali (come Pescennio Nigro, Clodio Albino, il figlio di Tigidio Perenne e Valerio Massimiano per citarne alcuni) a portare a termine le operazioni di guerra. E così nel 180 al termine della prima campagna militare, dopo la scomparsa del padre  Marco Aurelio: « Commodo concesse la pace ai Buri, una volta che inviarono i loro emissari. In precedenza si era rifiutato di farlo, a dispetto delle loro frequenti richieste, perché erano [ancora troppo] forti, e perché non era la pace che volevano, ma la garanzia di una tregua per consentire loro di fare ulteriori preparativi [di guerra], ma ora che erano esausti, decise di fare la pace con loro, ricevendo ostaggi e la restituzione di numerosi prigionieri dagli stessi Buri e 15.000 dagli altri [popoli vicini], costringendoli poi a giurare che non avrebbero mai più abitato o utilizzato per il pascolo la striscia di territorio distante fino a cinque miglia dalla vicina Dacia. Contemporaneamente il governatore Sabiniano dissuase 12.000 Daci dal loro scopo [di attaccare la provincia] che, cacciati dai loro territori erano sul punto di aiutare gli altri [popoli], promettendo che avrebbe dato loro alcuni territori nella provincia della Dacia. » (Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXXIII, 3). Commodo dispose infine, prima di rientrare a Roma, di abbandonare i territori della Marcomannia, certamente per meglio fronteggiare i vicini Iazigi, poiché le economie di forze degli eserciti romani messi in campo, non permettevano nuovi arruolamenti ed ulteriori dispiegamenti di truppe. Del resto potrebbe essersi reso conto che mantenere territori a nord del Danubio, avrebbe certamente causato dei danni economici all'economia dell'impero, come se n'era accorto in passato lo stesso Augusto, quando decise di abbandonare definitivamente i territori della Germania Magna dopo la disfatta di Teutoburgo del 9 d.C.. Commodo aveva intuito che si trattasse di territori ricoperti da foreste ed acquitrini, ragione più che valida per abbandonare quei territori di Marcomanni e Quadi. Ciò non significava che Marcomanni e Quadi fossero liberi di agire senza il consenso di Roma. In realtà queste popolazioni, insieme a Naristi e Cotini, costituivano una forma di "catena clientelare" posta a protezione dei confini danubiani. L'obbiettivo strategico finale di sottomettere al volere di Roma tutti i territori a nord del Danubio, rimase incompiuto, anche se molte di queste popolazioni mantennero fede ai patti di amicizia ed alleanza con il popolo romano per un trentennio, fino all'invasione degli Alemanni del 213. Per queste vittorie Commodo ricevette una quarta ed una quinta acclamazione imperiale oltre al titolo onorifico di Germanicus et Sarmaticus Maximus e, probabilmente, decise l'inizio dei lavori della famosa Colonna di piazza Colonna a Roma per onorare il padre appena scomparso. Ed i lavori terminarono dopo una decina d'anni, poco prima della sua morte.
Tertia expeditio germanica (189?) - La "Historia Augusta" riferisce, infine, di una terza spedizione germanica (189?) a cui però Commodo non prese parte, come sembra dimostrare la monetazione del periodo. Quadi e Marcomanni potrebbero essersi ribellati nuovamente, ma il pronto intervento dei governatori provinciali delle due Pannonie riuscì a sedare ogni possibile focolaio di rivolta. E Commodo, rimasto a Roma a godersi i giochi gladiatorii, potrebbe essersi accontentato della ottava acclamazione ad Imperator.

La Germania nel II - III secolo.
- I Sàrmati, come altre popolazioni definite barbariche, a partire dal II-III secolo ottennero di stabilirsi nel territorio dell'Impero ed in cambio dovettero fornire soldati all'esercito. Già Marco Aurelio aveva impiegato un contingente di questi ottimi cavalieri in Britannia. I Sàrmati, popolo iranico, si pensa che fosse suddiviso in quattro tribù: IazigiRoxolani (o Rossolani), Aorsi e Alani. In origine abitavano le steppe lungo il Volga, le regioni pedemontane degli Urali meridionali e la steppa del Kazakistan occidentale

- Le tribù Slave orientali ridussero fortemente i loro rapporti commerciali con Roma, preferendo quelli con le tribù sarmatiche o altre tribù slave e partecipano alle guerre anti-schiavistiche contro Roma, unendo parte delle loro forze a quelle dei Marcomanni, nella seconda metà del II secolo.

- Alla fine del II sec.d.C. le terre degli Slavi occidentali (Venedi-Sclavini) furono attraversate dalle tribù dei Goti, con cui in parte si fusero.

Nel 192 - L'imperatore Commodo è assassinato. Amato dal popolo e appoggiato dall'esercito, al quale aveva elargito consistenti somme di denaro, riuscì a mantenere il potere tra numerose congiure fino a quando venne assassinato in un complotto ad opera di alcuni senatori, pretoriani e della sua amante Marcia, finendo strangolato dal suo maestro di lotta, l'ex gladiatore Narcisso, cospirazione che portò al potere Pertinace. Sottoposto a damnatio memoriae dal senato, venne riabilitato e divinizzato dall'imperatore Settimio Severo, che voleva ricollegarsi alla dinastia antoniniana cercando il favore dei membri superstiti della famiglia di Commodo e Marco Aurelio. Con la fine della dinastia degli Antonini, nell'Impero romano si conclude un periodo universalmente riconosciuto come prospero e ricco. Nei primi due secoli dell'Impero la contrapposizione tra autorità politica e potere militare si era mantenuta, anche se pericolosamente (al prezzo di guerre civili), all'interno di un certo equilibrio, garantito anche dalle enormi ricchezze che affluivano allo Stato e ai privati tramite le campagne di conquista. L'economia dell'impero romano nei primi due secoli si era basata sulla conquista militare di nuovi territori e sullo sfruttamento delle campagne da parte di schiavi, perlopiù prigionieri di guerra. L'acquisto di enormi quantità di prodotti di lusso provenienti dalle regioni asiatiche era stato regolato con monete, soprattutto d'argento (monete romane sono state trovate anche in regioni molto lontane), tanto che la continua fuoriuscita di metallo prezioso (non bilanciata dalla produzione delle miniere, visto che i giacimenti erano ormai in esaurimento dopo secoli di sfruttamento) finì per determinare nel Tardo Impero una rarefazione dell'oro e dell'argento all'interno dei confini imperiali. Ecco come lo storico Henry Moss descrive la situazione dei trasporti e della rete commerciale dell'Impero prima della crisi del III secolo: « Attraverso queste strade passava un traffico sempre crescente, non soltanto di truppe e funzionari, ma di commercianti, mercanzie e perfino di turisti. Lo scambio di merci fra le varie province si era sviluppato rapidamente, e presto raggiunse una scala senza precedenti nella storia, che non si ripeté fino a pochi secoli fa. I metalli estratti nelle regioni montagnose dell'Europa occidentale, pelli, panni e bestiame dai distretti pastorali della Britannia, Spagna e dai mercati del Mar Nero, vino ed olio dalla Provenza e dall'Aquitania, legname, pece e cera dalla Russia meridionale e dal nord dell'Anatolia, frutta secca dalla Siria, marmo dai litorali egei e - il più importante di tutti - grano dai distretti dell'Africa del nord, dell'Egitto e della valle del Danubio per i bisogni delle grandi città; tutti questi prodotti, sotto l'influenza di un sistema altamente organizzato di trasporto e vendita, si muovevano liberamente da un angolo all'altro dell'Impero. » (H. St. L. B. Moss, The Birth of the Middle Ages p 1.). La suddivisione della società nelle tre classi tradizionalisenatoricavalieri (grandi proprietari terrieri e militari, che disponevano della proprietà terriera e di riserve di monete d'oro; classe o ordine costituita da Gaio Sempronio Gracco che poteva accedere alla magistratura di giudice) e dei plebei, cambierà il proprio assetto con la crisi del III secolo, che seminerà i germi del Medioevo. Durante il secolo d'oro del Principato adottivo, il mondo romano aveva abbracciato le idee principali della filosofia greca, non seguendo una particolare corrente, ma secondo l'eclettismo, ovvero raccogliendo all'interno di essa alcune idee principali. Il disprezzo per le ricchezze e la gloria mondana resero lo stoicismo una filosofia adottata sia da imperatori (come Marco Aurelio, autore dei "Colloqui con se stesso") che da schiavi, come il liberto Epitteto. Cleante, Crisippo, Seneca, Catone, Anneo Cornuto e Persio furono importanti personalità della scuola stoica, alla quale si ispirò anche Cicerone. A partire dall'introduzione dello stoicismo a Roma da parte di Panezio di Rodi (185 a.C. - 109 a.C.), ha avuto inizio il periodo dello Stoicismo medio, che si differenzia dal precedente per il suo carattere eclettico, in quanto influenzato sia dal platonismo che dall'aristotelismo e dall'epicureismo. Queste concezioni eclettiche vedevano l'uomo al centro    dell'universo secondo l'ideale della humanitas classica e secondo l'idea romana dell'homo faber, per cui ognuno è l'artefice del proprio destino e non ci sono dèi o fato che possano intervenire. Conseguentemente ci si interrogava sul ruolo degli Dèi negli affari umani e si metteva in dubbio la loro stessa esistenza.

- La crisi della religione romana, intesa come politeismo greco-romano, aveva intensificato i suoi effetti nell'età imperiale, anche se questo politeismo non pretendeva che gli abitanti dell'Impero fossero obbligati a venerare esclusivamente il pantheon degli dèi romani. Fin dai tempi di Giulio Cesare e dei suoi rapporti coi culti druidici dei Galli, al tempo della Conquista della Gallia, l'amministrazione romana era solitamente tollerante in campo religioso, per cui accoglieva culti provinciali e anche stranieri. Unica condizione era che non mettessero in pericolo l'unità imperiale. Fu così che, soprattutto da Oriente, si riversarono sull'Occidente romano e quindi sull'Italia e Roma una notevole quantità di culti misterici, quali quelli di Cibele (la "Grande Madre" dalla Frigia), Baal (da Emesa, a cui fu devoto lo stesso imperatore Eliogabalo), Iside e Osiride (dall'Egitto), Mitra (dalla Persia), quest'ultimo che raccolse numerosi seguaci negli accampamenti militari e nel quale si ravvisava l'invitto dio della luce, il Sol invictus, che ebbe tra i propri devoti gli imperatori Aureliano, Diocleziano e lo stesso Costantino I.

Dal 193 - Con la scomparsa di Commodo, ucciso da una congiura, si aprì un periodo di instabilità politica che causò una guerra civile durata cinque anni, dal 193 al 197, con scontri tra legioni acquartierate in diverse regioni dell'Impero, ciascuna delle quali sosteneva il proprio generale come nuovo imperatore
Settimio Severo.
Ebbe la meglio Settimio Severo, governatore della Pannonia e originario della Tripolitania, in Africa. L'ascesa di Settimio Severo costituisce uno spartiacque nella storia romana; è considerato infatti l'iniziatore della nozione di "dominato" in cui l'imperatore non è più un privato gestore dell'impero per conto del Senato, come durante il principato, ma è unico e vero dominus, che trae forza dall'investitura militare delle legioni (anche se anticipazioni di questa tendenza si erano avute durante la guerra civile seguita alla morte di Nerone e con Traiano).

- Quando Augusto divenne il primo Imperatore romano, considerava il titolo di dominus («signore») come un grave insulto e sempre lo respinse con vergogna. Svetonio racconta che un giorno, durante una rappresentazione teatrale alla quale assisteva, un mimo esclamò: O dominum aequum et bonum! («O signore giusto e buono!»). Tutti gli spettatori approvarono esultanti, quasi che l'espressione fosse rivolta ad Augusto, ma egli, non solo pose fine a queste adulazioni con un gesto e lo sguardo, il giorno seguente, emise anche un severo proclama che ne vietasse ulteriori piaggerie. Egli, infine, non permise che lo chiamassero dominus né i figli o i nipoti, che fosse per gioco o in tono serio. L'ambizione di Augusto era quella di essere fondatore di un optimus status, facendo rivivere le più antiche tradizioni romane e nel contempo tenendo conto delle problematiche dei tempi. Il mantenimento formale delle forme repubblicane, nelle quali si inseriva il nuovo concetto della personale auctoritas del princeps (primo fra pari), permise di risolvere i conflitti per il potere vissuti nell'ultimo secolo della Repubblica. Egli non schiacciò affatto l'antica aristocrazia, ma le affiancò, in una più vasta cerchia del privilegio, il ceto degli uomini d'affari e dei funzionari, organizzati nell'ordine equestre, i cui membri furono spesso utilizzati dall'imperatore per controllare l'attività degli organi repubblicani e per il governo delle province imperiali. La transizione dal "Principato" al "Dominato" è avviata con Settimio Severo (sotto il quale compare la dicitura dominus in chiave ufficiale e propagandistica) e poi "amplificata" dal 235 con l'ascesa di Massimino Trace e perdurata per tutto il periodo dell'anarchia militare, finché può dirsi completata nel 285 d.C., con l'inizio del regno di Diocleziano e della Tetrarchia. Il dominato fu l'ultima forma assunta dal potere imperiale sino alla fine dell'Impero d'Occidente.

- Settimio Severo fu inoltre iniziatore di un nuovo culto che si incentrava sulla figura dell'imperatore, ponendo le basi per una sorta di "monarchia sacra" mutuata dall'Egitto e dall'oriente ellenistico di Alessandro Magno. Fu così che Settimio Severo adottò il titolo di Dominus ac Deus, (Signore e Dio) al posto di quello di princeps (Augusto definiva il princeps come il primo degli uguali, cioè i senatori), e regolò i meccanismi di successione assegnandosi il titolo di Augustus ed usando quello di Caesar per il suo successore designato. Sua moglie Giulia Domna, di origine siriaca, promosse attivamente l'arrivo a Roma di culti monoteistici solari, che sottolineavano l'analogia tra ordine imperiale e ordine cosmico. Settimio Severo pose le basi per il successivo sistema autocratico fondato sugli imperatori militari, creando la prima forma di autocrazia militare, togliendo potere al Senato dopo aver messo a morte numerosi membri dello stesso. Si racconta infatti che, poiché aveva preso il potere con l'aiuto dei militari, ricambiò l'ostilità senatoria subito dopo la vittoria su Clodio Albino, ordinando l'esecuzione di 29 senatori, accusati di corruzione e cospirazione contro di lui e sostituendoli con suoi favoriti, soprattutto africani e siriani. Inoltre attribuì e ampliò i poteri degli ufficiali dell'esercito investendoli anche di cariche pubbliche che erano solitamente appannaggio del senato. Appena giunto a Roma avviò l'epurazione della guardia pretoriana, che dopo due secoli di dominio dell'influenza italica (allora reclutata per lo più in Italia e in piccola parte nelle province più romanizzate), fu smantellata e riorganizzata con quadri e organici a lui fedeli, tratti dal contingente danubiano. Da allora in poi l'accesso alla Guardia Pretoriana, un tempo avente un prerequisito geografico e culturale, sarebbe stata appannaggio dei soldati più battaglieri, quelli dell'Illirico nel III secolo. Insediò una legione ad Albano Laziale, a dispetto della tradizione che voleva l'Italia libera dagli eserciti e utilizzò i proventi della vendita delle terre confiscate agli avversari politici per creare una cassa imperiale privata, il fiscus. Il fiscus era distinto dall'aerarium che era la cassa dello Stato e che doveva coprire i costi della complessa e articolata macchina burocratica e amministrativa dell'Impero. Diede impulso agli studi di diritto e nominò il più importante giurista del tempo, Papiniano, Praefectus urbi, con poteri di polizia e repressione criminale su Roma. Il nuovo ordine promosso da Settimio Severo si scontrò presto con i problemi derivati dallo scoppio di nuove guerre. Già l'imperatore Caracalla dovette guerreggiare contro i Parti, a oriente, e i Marcomanni, lungo il confine renano-danubiano, peggiorando notevolmente le finanze statali. Per risolvere le difficoltà si fecero delle scelte che alla lunga si rivelarono dannose: l'arruolamento sempre più massiccio degli stessi germani nell'esercito e, dalla fine del II secolo, la diminuzione del metallo prezioso nelle monete, che causò inflazione. Le campagne militari contro i Parti combattute dagli Imperatori erano dettate da esigenze strategiche di controllo dell'area e anche da esigenze politiche, per perpetuare l'affermazione del potere imperiale romano. Ma erano anche l'inseguimento della scia di Alessandro Magno, che quasi la totalità degli Imperatori ebbero a modello. Il sovrano macedone, proprio combattendo contro i Persiani era diventato un mito quasi al pari di Ercole e gli Imperatori Romani intendevano emularlo. Alessandro Magno aveva sempre unito le funzioni militari a quelle religiose e sacerdotali officiando personalmente i riti. Ben lontani dall'idea del sovrano macedone di una fusione di popoli, gl'imperatori romani inseguivano nell'area una politica di potenza, molto dispendiosa e infruttuosa, come manifestarono le Guerre romano-partiche. Vittorioso contro i Parti, risultò essere l'Imperatore Settimio Severo, che era diventato generale romano ma proveniva da una famiglia di re-sacerdoti che risiedevano a Emesa, città santa e capitale del culto del Dio solare "El-Gabal", che divenne poi il "Sol invictus" dei romani. Saccheggiata Ctesifonte, capitale dei Parti, Settimio Severo tornò a Roma, portando con sé la Legio II Parthica, la seconda delle tre legioni che aveva formato in Siria ovvero: Legio I Parthica, Legio II Parthica e Legio III Parthica, fedeli a lui e al dio solare El-Gabal.
Carta dell'Impero Romano e delle
 sue province nel 210 e.v. (d.C.)
L'Italia è suddivisa in regioni dal 6 e.v.
La dinastia dei Severi portò questo culto dall'Oriente fino a Roma e anche se si trattava dell'Imperatore che aveva vinto una guerra civile e sconfitto i Persiani emulando Alessandro Magno, dovettero esservi delle resistenze. Prevedendole, o comunque per consolidare il proprio potere, Settimio Severo portò con sé a Roma la II Legio Parthica, facendola risiedere nei Castra Albana, sui Colli Albani. Da Roma il culto del Dio adorato dall'Imperatore e dai suoi soldati ebbe modo di diffondersi, specialmente nei ranghi dell'esercito, al comando del quale venivano scelti adoratori del Dio Solare che dal nome siriaco "El-Gabal" prese ben presto quello romanizzato di "Sol Invictus", il Sole invicibile, il cui primo adoratore, vicario e sacerdote era l'Imperatore stesso. Non tutte le legioni si convertirono al nuovo culto, e la discriminazione nella scelta dei comandi volta a escludere questi ultimi dovette alienare le simpatie di tutti costoro al giovane e ultimo discendente di Settimio Severo, Severo Alessandro. Questi venne assassinato dal suo successore, Massimino il Trace nel 235 d.C. Questo è l'anno in cui viene fatta iniziare di solito l'anarchia militare. Secondo questa interpretazione storica essa non fu altro che il ribellarsi di quella parte di società romana che non voleva soggiacere al culto solare orientale dopo trenta anni di dominio di questa.


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