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giovedì 14 marzo 2019

Storia dell'Europa n.56: dal 1.204 al 1.228 e.v. (d.C.)

"La presa di Costantinopoli da parte dei crociati" di Palma
il Giovane (1544-1620).
Nel 1.204 - Nell'ambito della Quarta Crociata, voluta da Innocenzo III, i crociati saccheggiano Costantinopoli e commettono innumerevoli stragi di cristiani. La quarta crociata fu indetta da papa Innocenzo III all'indomani della propria elezione al soglio pontificio nel 1.198; doveva essere diretta contro i musulmani in Terra santa, ma in realtà si risolse nel saccheggio di Costantinopoli da parte dell'esercito crociato, portando alla spartizione dell'Impero bizantino e alla costituzione da parte dei crociati dell'Impero Latino. L'impero latino di Costantinopoli (1.204-1.261), detto anche Impero latino d'Oriente, fu il risultato della quarta crociata, che i veneziani dirottarono verso il saccheggio e la presa di Costantinopoli. Per la città e per l'impero romano d'Oriente fu un periodo di grande decadenza, terminato solo con la riscossa dell'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo che riconquistò la capitale. L'impero Latino veniva percepito dagli occidentali come un Stato cattolico successore dell'impero romano d'Oriente. Baldovino IX, conte delle Fiandre, venne incoronato come primo Imperatore il 16 maggio 1.204; al rivale Bonifacio del Monferrato venne affidato il regno di Tessalonica. Nella prima enciclica di Innocenzo III dell'agosto 1.198, la liberazione di Gerusalemme era vista come necessaria, ma questo obiettivo non fu raggiunto e solo una piccola parte di crociati raggiunse la Terrasanta. La crociata inoltre stentò a partire a causa della morte di Riccardo Cuor di Leone e dell'interdetto lanciato dal pontefice sulla Francia, perché il re aveva ripudiato sua moglie Ingeburge di Danimarca. I nobili francesi scelsero come loro capo il conte Teobaldo di Champagne, che però morì nel marzo 1.201; fu Bonifacio I del Monferrato a prendere il suo posto. L'obiettivo era di prendere d'assalto l'Egitto, seguendo il progetto che Riccardo Cuor di Leone aveva prospettato al termine della sua spedizione in Terrasanta, durante la Terza Crociata. I crociati, memori di quanto successo nelle crociate precedenti, decisero di prendere la via del mare per raggiungere la loro meta. Scartate Marsiglia e Genova, non rimaneva che Venezia quale potenza marittima che potesse provvedere tempestivamente ai necessari navigli. Vennero iniziate le trattative con la Serenissima e ai primi di febbraio del 1.201 la delegazione crociata raggiunse Venezia e venne accolta dal doge Enrico Dandolo. Il doge ascoltò la richiesta dei crociati e rispose di dover consultare innanzitutto le diverse assemblee politiche della repubblica. Finalmente, nell'aprile, venne stipulato il contratto di trasporto e rifornimento. I Veneziani, da buoni mercanti, per i loro servizi fecero accettare ai crociati il pagamento dell'esorbitante cifra di 85.000 marche imperiali d'argento. Per quella somma i veneziani avrebbero approntato per la fine di giugno del 1.202 navigli bastanti per il trasporto di 4.500 cavalieri con i loro cavalli, 9.000 scudieri e 20.000 fanti. Il contratto prevedeva anche il rifornimento di viveri e foraggio bastanti per il viaggio; oltre a ciò Venezia s'impegnò ad armare 50 galere che avrebbero accompagnato la crociata in cambio del 50% di quanto conquistato. I crociati si riunirono a Venezia nel 1.202, la Serenissima aveva rispettato il contratto, le navi erano pronte ed i rifornimenti erano disponibili. Rispetto alle previsioni, il numero dei crociati che avevano risposto all'appello del Papa era molto ridotto e il denaro raccolto non bastava a coprire le spese: mancavano ancora 34.000 marche d'argento e Venezia si rifiutò di prendere il mare. Intanto i crociati portavano scompiglio nella città, molestavano le donne, rubacchiavano e compivano altri spiacevoli misfatti. A causa di ciò furono banditi “come appestati” al Lido dove s'erano accampati in attesa di quanto si doveva decidere. Ma anche per i veneziani la situazione era molto sfavorevole: avevano investito capitali che temevano di perdere, per soddisfare il contratto e dovevano continuamente rifornire viveri ai crociati accampati in attesa di partire. Mentre una parte dei pellegrini abbandonava l'impresa, oppure decideva di tentare la via di terra, il capo dei crociati, Bonifacio I del Monferrato negoziò un compromesso con il doge, Enrico Dandolo: i veneziani avrebbero partecipato all'impresa e il doge stesso avrebbe assunto il comando della spedizione. Lo storico e scrittore veneziano Alvise Zorzi afferma che la riconquista di Zara non fu pattuita già dall'inizio ma che era, per così dire, solo latente. Il proposito di riconquistare Zara prese concreta forma durante il viaggio. Il giorno 1º ottobre (secondo Zorzi) ovvero 8 novembre 1.202 (secondo lo storico Steven Runciman) la grande flotta si mise in rotta. Goffredo di Villehardouin tramanda che mai fu vista una flotta più bella partire da un porto di mare. Si fermò prima a Trieste e poi a Muggia dove i veneziani chiesero un atto di sottomissione.
Carta con il percorso di Bonifacio di Monferrato nella IV
Crociata in verde e di Giovanni di Brienne nella V Crociata
in fucsia, fino alla città di Damietta.
Arrivati a Zara (ormai sotto l'egida del Regno d'Ungheria) i crociati non vennero però accolti a braccia aperte, anzi la popolazione ostile fece resistenza. Dopo un assedio di cinque giorni avvenne l'assalto alla città che venne presa e saccheggiata. Ormai l'inverno era alle soglie e perciò venne deciso di svernare a Zara. Quando venne a conoscenza della presa di Zara e del sanguinoso saccheggio il papa inorridì: contro il suo ordine i crociati avevano osato aggredire una città cristiana. Per tale ragione decise di scomunicare la crociata. I diversi baroni dichiararono però di essere stati ricattati e costretti da Venezia alla sciagurata azione; il papa allora tolse loro la scomunica che andò completamente a carico dei veneziani. Il doge Dandolo non si curò molto della scomunica ma prese contatto con Filippo di Svevia (anche lui scomunicato) che doveva convincere il papa a far continuare l'impresa, anche a favore del proprio cognato, il principe bizantino Alessio IV Angelo, cosa che avrebbe portato notevoli vantaggi alla chiesa cattolica. Nel frattempo i crociati avevano ricevuto, a Zara, un'ambasciata proprio del principe bizantino Alessio IV Angelo, figlio dell'imperatore Isacco II Angelo, detronizzato, accecato e tenuto in prigione da suo fratello Alessio III. Alessio IV era riuscito a fuggire dalla prigionia nel 1202 e si era rifugiato presso sua sorella, la moglie di Filippo di Svevia, in Germania. In precedenza Alessio IV aveva già contattato Venezia da Verona. La proposta del principe bizantino era quella di ottenere la collaborazione dei crociati per riappropriarsi del trono in cambio di aiuti militari (10.000 soldati) oltre denaro e generi di consumo ai crociati, riunione delle due Chiese e favorevoli accordi mercantili con Venezia. A Venezia promise anche di pagare la somma che i crociati non avevano pagato e promise inoltre di voler sostenere le spese di 500 cavalieri che dovevano rimanere in Terra Santa. Il papa, allettato dalla prospettiva della riunione con la chiesa ortodossa si fece convincere, tolse la scomunica e dette il suo permesso per la continuazione dell'impresa e della detronizzazione dell'usurpatore Alessio III. Il doge Dandolo fu felicissimo di accontentare il papa e di assicurare a Venezia enormi vantaggi. Ad alcuni crociati però non piaceva la prospettiva di assalire un'altra città cristiana in luogo di combattere i musulmani, si separarono dal resto dei crociati e fecero vela in direzione della Siria. Il 25 aprile 1.203 Alessio IV arrivò a Zara ed alcuni giorni dopo la flotta spiegò le vele in direzione di Costantinopoli. Venne fatta una sosta a Durazzo, dove Alessio fu riconosciuto quale imperatore, ed un'ulteriore sosta venne fatta a Corfù. Finalmente il 24 giugno Costantinopoli venne avvistata. Dopo aver invano tentato di occupare Calcedonia e Crisopoli, i crociati sbarcarono a Galata, riuscirono a far saltare la catena in mare che difendeva il Corno d'Oro ed entrarono nel porto di Costantinopoli. Alessio IV aveva fatto capire ai crociati e ai veneziani che sarebbero stati accolti con gioia dalla popolazione, invece trovarono le porte sbarrate e le mura folte di difensori. Il 17 luglio, dopo alcuni giorni di aspra battaglia, i veneziani riuscirono ad aprire una breccia nelle mura ed entrare nella città. Alessio III, messo alle strette, aveva arraffato quanto poteva del tesoro imperiale e si era dato alla fuga in Grecia, portando con sé la figlia. Isacco II Angelo venne liberato dal carcere e si dichiarò pronto a confermare le promesse fatte ai crociati dal figlio che nominò correggente il 1º agosto 1.203, con appropriata cerimonia nella chiesa di Santa Sofia ed alla presenza di tutti i baroni della crociata: Alessio IV Angelo salì così al trono dei basileis (imperatori) insieme al padre Isacco II Angelo, grazie all'aiuto militare dei crociati. Ma rispettare gli impegni presi non era facile: le casse del regno erano vuote e l'unione delle due chiese era fortemente osteggiata sia dal clero sia dal popolo. I crociati rimanevano accampati fuori delle mura ed attendevano una decisione; Alessio IV cercava di tergiversare e di tacitare i comandanti dei crociati con dispendiosi regali, cosa che ne accentuò la cupidigia. In città le ivi residenti colonie dei mercanti genovesi e pisani venivano assalite dal popolo esacerbato. Alessio peggiorò le cose imponendo nuove e gravose tasse per racimolare fondi per acquietare i crociati che cominciavano a fare la voce forte. Si fece nemico anche il clero confiscando i candelabri d'argento delle chiese che fece fondere. La scontentezza degli abitanti cresceva nel vedere quei superbi cavalieri che scorrazzavano in città. La soldataglia latina aveva bisogno di viveri e faceva per conto suo scorribande. Cominciarono atti di aperta ostilità contro i crociati che venivano anche aggrediti per le strade. Alcuni di essi, che avevano saccheggiato una moschea, vennero aggrediti dai “greci” e per difendersi appiccarono il fuoco ad alcune case. L'incendio si propagò e per giorni una parte di Costantinopoli fu preda delle fiamme; venne fatto anche un tentativo di incendiare le navi veneziane che però non ebbe successo alcuno. Nella capitale bizantina iniziò così a tirare aria di cospirazione e di questa situazione approfittò il protovestiario Alessio V Ducas, un potente nobile bizantino proveniente dalla famiglia imperiale dei Ducas e cugino di Alessio IV Angelo. Alessio V Ducas, detto "Murzuflo", si adoperò per ottenere l'appoggio della nobiltà bizantina nella salita al trono, poi l'8 febbraio 1.204 irruppe nel palazzo imperiale avvisando Alessio IV del divampare di una rivolta. Questi si fece convincere ad uscire dal palazzo dove i sicari lo aspettavano per assassinarlo. Anche Isacco II, il co-imperatore, morì durante la notte per cause misteriose, probabilmente assassinato, ma non si esclude che sia morto, per ironia della sorte, di morte naturale. Alessio Murzuflo raggiunse quindi la Basilica di Santa Sofia e si fece incoronare, dal patriarca Giovanni X Camatero, imperatore bizantino col nome di Alessio V Ducas. Alessio V sparse la voce che il predecessore fosse morto soffocato nella notte, lo fece seppellire con tutti gli onori destinati a un basileus, fingendo addirittura di piangerlo. Il lutto del nuovo regnante non convinse però i principali sostenitori dei precedenti imperatori, ovvero le armate della quarta crociata e la flotta della Repubblica di Venezia, che si trovavano a Costantinopoli su richiesta dei due Angelo, dopo aver permesso ad Alessio IV di conquistare il potere scacciando suo zio Alessio III. La popolazione di Costantinopoli non appoggiò subito il nuovo sovrano, infatti venne acclamato imperatore Nicola Canabo, a minaccia della sua stessa vita, se si fosse rifiutato di accettare la carica; ma per togliere di mezzo l'usurpatore, Alessio V non esitò a inviare le sue guardie variaghe (russo-vichinghe) e a gettarlo in prigione. I latini, dal canto loro, sospettando a ragione che Alessio V fosse il responsabile della morte di Alessio IV, lo accusavano di avere usurpato il trono. In risposta, Alessio V chiuse i negoziati con i crociati e con Venezia, rifiutandosi di rispettare le promesse di aiuti e finanziamenti alla spedizione che il suo predecessore aveva fatto ai capi della crociata per ottenerne l'appoggio e conquistare il trono. Anzi, il nuovo sovrano fece rinforzare le mura e alzare la guardia sulle mura Teodosiane. Queste misure, insieme alle posizioni assunte nei confronti dei latini da Alessio V, che era inoltre contrario alla riunificazione tra la chiesa ortodossa e quella cattolica promessa nei precedenti accordi e considerava i crociati nemici dell'Impero, gli fecero in breve guadagnare credito tra i suoi sudditi. Dopo questi avvenimenti, i capi latini, tra cui si distinse per determinazione soprattutto l'anziano doge di Venezia, Enrico Dandolo, pianificarono la conquista della città e la spartizione dell'impero. Scoppiò la guerra: lo scontro più importante fu quello tra Enrico di Fiandra e Alessio V. Enrico aveva armato un esercito per razziare Filea, sul Mar Nero; mentre i crociati tornavano all'accampamento, lungo la strada furono attaccati in un'imboscata da Alessio V: la retroguardia comandata direttamente da Enrico fu presa di sorpresa. Fu una battaglia aspra il cui esito fu tuttavia una sconfitta per i bizantini, che oltre a essere battuti persero anche il vessillo imperiale ed un'icona d'oro della Vergine portata sempre in battaglia come protezione; l'icona, che era arricchita da pietre preziose incastonate, fu portata a Citeaux. Al ritorno, Alessio annunciò ai suoi sudditi la vittoria, e a coloro i quali gli domandavano dove fosse l'icona e il vessillo, rispose che erano stati messi al sicuro. Quando queste voci giunsero al campo dei crociati, questi caricarono il vessillo e l'icona su una nave veneziana, issandoli in modo che gli abitanti di Costantinopoli potessero vederli e sapere della menzogna del loro imperatore. Il primo attacco dei crociati venne sferrato il 9 aprile 1.204 ma fu respinto e procurò solo forti perdite. Il 12 aprile venne compiuto un nuovo tentativo e questa volta i veneziani ricorsero ad uno stratagemma. Avevano costruito piattaforme sulle cime degli alberi delle navi, poi avevano inclinato le imbarcazioni fino a che le piattaforme andarono a toccare le mura. Il veneziano Piero Alberti fu il primo a saltare sulle mura di una torre nemica, ma fu subito ucciso. Fu seguito da un francese, André Dureboise, che riuscì a resistere all'attacco dei difensori permettendo ad altri veneziani e crociati di occupare le mura. Poco tempo dopo le porte della città vennero aperte dagli attaccanti penetrati all'interno e per Costantinopoli non ci fu più scampo. Alessio V s'era rifugiato con alcune truppe nel suo palazzo imperiale. Nella notte, forse perché temevano un attacco di sorpresa, alcuni crociati tedeschi appiccarono il fuoco a delle case e nuovamente l'incendio divampò in città. Vista l'impossibile situazione, Alessio V si dette alla fuga. Durante quella notte dove regnava il caos a Costantinopoli, visto che l'imperatore era scappato, fu eletto imperatore Costantino XI Lascaris, che ordinò una sortita, guidata suo fratello, il generale bizantino Teodoro Lascaris (futuro imperatore di Nicea) contro i crociati, che non ottenne alcun successo. Il giorno dopo ebbe inizio il grande saccheggio che, come tramandano i cronisti, non ne aveva avuto uno simile in tutta la storia dell'umanità. Mentre Bonifacio di Monsarrat occupava il palazzo imperiale che, secondo Roberto di Chiari, aveva ben 500 stanze tutte riccamente addobbate e ben trenta cappelle, gli scatenati crociati entravano nelle case ed asportavano qualsiasi cosa di valore trovassero. Tutte le chiese vennero spogliate dei vasi sacri, delle immagini, dei candelabri e quanto non si poteva asportare veniva semplicemente distrutto. Anche la basilica di S. Sofia venne completamente saccheggiata, l'altare venne spezzato, gli arazzi fatti a pezzi. Un cronista dell'epoca, testimone oculare, tramanda che una prostituta, seduta sul trono del patriarca, cantava strofe oscene in lingua francese. Mentre i veneziani si concentravano sulle cose che avevano un grande valore, i francesi arraffavano tutto quello che luccicava e si fermavano solo per ammazzare e violentare. Le cantine vennero depredate e la città era piena di soldataglia avvinazzata che trucidava chiunque trovasse lungo il cammino. Cittadini venivano torturati perché rivelassero dove avevano nascosto i loro valori. I conventi vennero presi d'assalto, le monache stuprate. Vecchi, donne e bambini giacevano in pozze di sangue per le strade, già morti o morenti. L'inferno durò per quattordici giorni. Infine i comandanti degli assalitori intervennero, dettero ordine di cessare il saccheggio (tanto ben poco era rimasto da depredare) ed ordinarono che qualsiasi bottino doveva essere portato in tre chiese e sorvegliato da fidati crociati e veneziani. Questo perché il contratto prevedeva la spartizione dei beni saccheggiati: tre ottavi ai veneziani, tre ottavi ai crociati; il restante quarto era destinato al futuro imperatore. Fra l'altro i veneziani portarono a casa i quattro cavalli di bronzo che ornano (attualmente in copia) la Basilica di San Marco, l'icona della Madonna Nicopeia e molte preziose reliquie che ancora sono serbate nel tesoro di San Marco. Così ebbe fine la quarta crociata che, istituita con l'intenzione di combattere i saraceni, aggredì e saccheggiò unicamente paesi cristiani. Terminata la strage ed il saccheggio si venne alla spartizione del bottino che alcuni storici calcolano di circa 900.000 marche imperiali d'argento, oggi equivalente a molte centinaia di milioni di Euro. Il calcolo è però difficile perché molti degli oggetti artistici depredati hanno un valore incalcolabile. Poi si passò all'elezione dell'imperatore latino. Bonifacio del Monferrato sperava sempre di essere eletto ma trovò la forte opposizione dei veneziani. Infine crociati e veneziani furono d'accordo nell'eleggere il conte Baldovino IX di Fiandra che prese possesso del trono di Costantinopoli. Parte del regno però andò a Venezia, secondo quanto previsto dal contratto. Per ampliare la propria potenza marittima Venezia reclamò ed ottenne la costa occidentale della Grecia, tutto il Peloponneso (Morea), Nasso, Andros, Negroponte (oggi Eubea), Gallipoli (in Turchia), Adrianopoli e i porti della Tracia sul Mar di Marmara. Da allora il Doge assunse il titolo di “Dominus quartae partis et dimidiae totius Imperii Romaniae”, cioè "Signore di un quarto e mezzo dell'Impero Romano d'Oriente". I veneziani pretesero anche tre ottavi della città di Costantinopoli ed occuparono il quartiere dove è oggi ubicata l'Agia Sofia, ex Cattedrale di Santa Sofia. A ricoprire la carica di patriarca venne nominato il nobile veneziano Tommaso Morosini. Baldovino fu incoronato in pompa magna il 16 maggio 1.204 nella Cattedrale di Santa Sofia. Alla notizia degli orrori compiuti e della barbarie dimostrata dai crociati Innocenzo III rimase esterrefatto. Inorridito scrisse lettere a Costantinopoli deplorando e condannando che, senza il suo sapere, stato e chiesa erano stati divisi; ma ciò non cambiò la situazione. Il suo dispiacere crebbe ancora quando venne a sapere che il suo legato, Pietro di San Marcello, aveva svincolato i crociati dalla promessa di liberare Gerusalemme. La crociata da lui predicata ed indetta si era tramutata in guerra contro stati cristiani. Le atrocità commesse dai crociati durante il saccheggio di Costantinopoli non contribuirono certamente a migliorare i rapporti fra la chiesa ortodossa e quella cattolica di Roma. Le due chiese rimasero separate dal 1.054 fino al giorno d'oggi, sebbene recentemente il papa abbia condannato quanto commesso durante la quarta crociata.

- Con la quarta crociata, Venezia può raggiungere, con i suoi traffici, il Mar Nero. Dopo la conquista di Costantinopoli, a Venezia toccano le coste e le isole Ionie, il Peloponneso, le Cicladi, gli insediamenti sugli stretti, Creta e un ampio quartiere a Costantinopoli.  

Impero Latino con relativi Principato e Ducati, i tre stati
greco-bizantini Dispotia dell'Epiro, Impero di Nicea e
Impero di Trebisonda, Sultanato selgiuchide di Rûm o di
Iconio e Bulgaria nel 1204. Da: https://it.wikipedia.
- Dal 1.204, dopo che i crociati, durante la quarta crociata, conquistarono e saccheggiarono Costantinopoli, tre famiglie bizantine di rango reale formarono altrettanti tre stati, che raccolsero i greco-bizantini a loro fedeli. Uno dei tre stati bizantini fondati dopo la caduta di Costantinopoli era il Despotato d'Epiro, che ebbe inizio sotto il primo despota, Michele I Ducas, appartenente alla famiglia imperiale bizantina dei Ducas e che quindi era parente dell'imperatore Alessio V Ducas. Qui si rifugiarono i bizantini che si trovavano nei Balcani, radunandosi tra l'attuale Albania e Grecia, ossia sull'Epiro, con capitale Arta. Gli altri due stati erano l'Impero di Nicea, che si trovava in Asia Minore con capitale Nicea, al comando della famiglia Lascaris e l'altro stato era l'Impero di Trebisonda, che si trovava in Anatolia, con capitale Trebisonda, al comando della famiglia dei Comneni. Questi tre stati rivendicavano la corona imperiale bizantina, tentando in tutti i modi di riconquistare Costantinopoli, e di togliere più territori possibili ai crociati, dell'impero latino. Ma l'impero di Trebisonda era tagliato fuori da questa lotta, visto che non confinava coi latini, mentre tra gli epiriani e niceani fu lotta aperta. In un primo momento sembrava scontata la vittoria epiriota, visto che avevano riconquistato la seconda città più grande dell'impero bizantino, Tessalonica, sotto il Teodoro Comneno Ducas e che nel 1227 si era nominato basileus dei romei. Aveva composto un enorme esercito e si era messo in marcia su Costantinopoli, riconquistando molti territori bizantini a scapito dei bulgari, ma quest'ultimi si riorganizzarono e sconfissero l'imponente esercito epiriota nel 1230 e così distrussero il sogno epiriota, condannando l'Epiro alla mercé di Nicea, e poi dei latini. La fine avvanne, per tutti e tre, nel 1479 con la conquista totale da parte degli ottomani.

- Il regno d'Inghilterra ed il ducato di Normandia erano fino ad allora rimasti sotto il governo della stessa persona, il re d'Inghilterra che era anche duca della Normandia, della corona francese. Nel 1204 Giovanni d'Inghilterra, discendente di quarta generazione da Guglielmo I il bastardo/il conquistatore, perde la sovranità sulla parte continentale del ducato a favore di Filippo II di Francia. Il resto del ducato, noto come le Isole del Canale, rimarrà a Giovanni ed ai suoi discendenti. Giovanni sarà poi protagonista, nel 1215, della concessione della Magna Charta che rappresenterà la prima forma di costituzione scritta concessa da un monarca nella storia.

Dal 1.205 - L' imperatore bulgaro Kaloyan sconfigge il nuovo impero latino nella battaglia di Adrianopoli . Suo nipote Ivan Asen II sconfiggerà il Despotato di Epiros e farà di nuovo della Bulgaria un potere regionale. Durante il suo regno, la Bulgaria si estende dall'Adriatico al Mar Nero e l'economia prospera. Sotto Ivan Asen II, nella prima metà del 13° secolo, il secondo impero bulgaro gradualmente recupera gran parte del suo potere precedente, anche se ciò non durerà a lungo a causa di problemi interni e invasioni straniere.

- Nel 1205, con la bolla "Etsi Iudaeos", Innocenzo III elaborò giuridicamente la teoria della "perpetua servitù" degli Ebrei (riaffermata da papa Gregorio IX nel 1.234) con queste parole: «Furono condannati dal Signore, alla morte del quale contribuirono, come servi; almeno si riconoscano servi di coloro che la morte di Cristo fece liberi, rendendo loro servi». Secondo il papa gli ebrei erano come Caino il fratricida e contro di loro gridava il sangue di Gesù Cristo; non dovevano essere uccisi ma condannati a errare sulla terra come infelici vagabondi, finché non si fossero ravveduti e avessero cercato il Salvatore. Gli ebrei furono inoltre esclusi dall’agricoltura e dalle corporazioni e non restò loro che dedicarsi al commercio e all'artigianato.

Cartina delle città Càtare in Occitania (regione Languedoc).


Nel 1.209 - Ha luogo la Crociata contro gli Albigesi o Càtari. Papa Innocenzo III fu uno strenuo avversario delle idee ritenute eretiche che si stavano diffondendo in Europa: i càtari (o albigesi) nel sud della Francia avevano fatto presa su gran parte della popolazione, dagli aristocratici ai ceti più umili, a causa della corruzione del clero locale, come ammise lo stesso pontefice. Organizzò quindi una crociata contro di loro. La crociata durò più a lungo del previsto, dal 1.209 al 1.244 (con la caduta dell'ultima piazzaforte sui Pirenei, il castello di Montségur), ma ebbe un risultato di annientamento quasi totale dei catari, se si eccettuano alcuni focolai clandestini superstiti in Lombardia e in Toscana. Il prezzo pagato era però l'essersi assunti, da parte della Chiesa, la responsabilità di massacri di ferocia inaudita, fra cui spicca il massacro di Béziers del 22 luglio 1.209, allorquando i crociati massacrarono non meno di 20.000 abitanti fra uomini, donne e bambini. Le uccisioni e le devastazioni crearono il risentimento di intere popolazioni: Innocenzo, già deluso dall'esito della quarta crociata, ebbe una nuova preoccupazione. Solo gli esiti positivi della Riconquista in Spagna sembravano non aver tradito la parola "crociata". Il contrasto stridente era però visibile a tutti: l'eroe spagnolo contro i musulmani, il trionfatore della Battaglia di Las Navas de Tolosa del 1.212, Pietro II d'Aragona, fu ucciso infatti nella battaglia di Muret, mentre cercava di difendere la città di Montpellier dalla furia dei crociati. I Càtari, che divennero presto una forte minoranza, si erano diffusi in tutta l’Occitania occidentale (in quella orientale, l’eresia più diffusa era invece quella valdese). La loro fede era, nella sua versione più radicale, rigidamente manichea: il Bene e il Male erano principi eterni, coesistenti e antagonisti. Il regno del Male era il mondo, la materia, la carne (il non essere), creati da un Dio “straniero”, il Rex Mundi. Il regno del Bene (del Dio “legittimo”) era invece lo spirito (l’essere). L’anima dell’uomo era il campo di lotta tra il Bene e il Male. Soltanto sublimando i propri rapporti col mondo l’uomo poteva salvare la propria anima liberandola dalla catena delle reincarnazioni che la teneva legata al mondo. Naturalmente, i Càtari avevano un programma massimo e uno minimo. All’interno della loro chiesa erano sicuri di salvarsi soltanto i “perfetti”, i quali praticavano un rigido ascetismo che culminava talvolta nell’endura, il suicidio sacro ottenuto mediante il rifiuto del cibo. I Càtari, chiamati anche Albigesi perché assai numerosi nel territorio di Albi, costituivano col loro fervore e la loro estrema coerenza, un esempio e un pericolo per la chiesa ufficiale, sufficientemente corrotta. Il popolo era colpito, certo favorevolmente, da questo esempio di forsennata virtù. L’alta nobiltà e la ricca borghesia cittadina erano, da un lato, conquistate dalla vertiginosa teologia catara, dall’altro alquanto desiderose di mettere le mani sul patrimonio ecclesiastico. I Càtari si ritenevano, del resto, i veri cristiani della loro epoca e si denominavano, infatti, crestiani (càtari, cioè “puri”, dal greco katharoi). Condizione preliminare della salvezza dell’uomo era, infatti, anche per loro, la missione di Gesù che, grazie alla Passione, e qui la loro fede li distingueva dalla chiesa ufficiale, aveva meritato di divenire figlio di Dio (del Dio “legittimo”) “per adozione”.I Càtari aderivano alla loro chiesa mediante una sorta di professione di fede: il sacramento del consolamentum, un battesimo spirituale cui si sottoponevano in età adulta (astenendosi dai peccati della carne) e al quale si mantenevano, in genere, scrupolosamente fedeli.
Cartina con le regioni dell' Occitania, assoggettata da secoli
dalla Francia. I territori Occitani hanno i nomi in Occitano.
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La sempre più evidente ostilità palesata dalla popolazione occitana nei confronti dei rappresentanti del potere cattolico e la concomitante diffusione di pratiche religiose alternative (il settarismo càtaro), indispettirono ben presto sia il papato che la corona francese, entrambe preoccupati di avere a che fare con un pericoloso crogiuolo di eresie religiose, politiche e anche culturali. Infatti, a gettare un ombra demoniaca sull’esistenza e sulle tradizioni occitane contribuì senz’altro lo strenuo orgoglio dei trovatori locali che, in quanto cantori di un amore libero, profondamente impregnato di umana e quasi pagana passione, respinsero con fermezza qualsiasi indottrinamento culturale, allontanandosi sempre più dai modelli narrativi e lirici di matrice cattolica. Stereotipi, questi ultimi, di un cantico d’amore squisitamente spirituale e casto: retaggio della tradizione cattolica alto-medioevale. E fu proprio in questo clima che andò caratterizzandosi l’autonoma e originale esistenza dei feudi meridionali francesi che aderirono all’eresia càtara (movimento religioso di origine bulgara, libertario e rigoroso al tempo stesso, naturalista, quasi pagano nella sua strana ritualità; ostile alla tradizione cattolica romana).
Sigillo di Raimondo VI
Conte di Tolosa (1156-1222).
Sullo scudo appare la croce
d'Oc e, sulla destra, la stella.
Il fenomeno càtaro intersecandosi con il principio di autonomia culturale sostenuto dall’intellighenzia occitana innescò un violento ed inevitabile scontro con la Chiesa che, dopo avere tentato di riportare alla ragione i prìncipi e gli esponenti dell’eresia del Midi, decise di passare alla forza, appoggiandosi alla nobiltà francese fedele al credo romano. Tra il 1.208 e il 1.242, le armate al comando dei prìncipi francesi fedeli al papato organizzarono una vera e propria Crociata contro i Càtari (o Albigesi) per  estirpare al più presto quello che venne definito il “cuore ribelle di Francia”. Per tutto l’anno 1.208, gli emissari del Papa predicarono in Francia la crociata contro gli “eretici” (cioè l’invasione dell’Occitania). I francesi, guidati da Simone di Montfort, si trovarono così di fronte solo le scarse forze di Raimondo Trencavel, visconte di Albi, Béziers e Carcassona, e di Raimondo Ruggero, conte di Foix, che aderivano alla chiesa catara. Nel 1.209, all'inizio della nuova crociata, i “crociati” (di stirpe franca) prendono Béziers. Gli abitanti, riuniti nella cattedrale, vengono bruciati vivi, senza distinzione di fede, di sesso o di età. Il genocidio spirituale del popolo d’oc comincia così con un imponente genocidio fisico. Raimondo VI di Tolosa, che era nominalmente il signore di Trencavel, entra allora in guerra contro il Montfort che però consolida e amplia la propria conquista rinnovando i massacri.
L'Occitania nel 1209 con in verde i possedimenti della contea
di Tolosa e in verde chiaro i territori suoi vassalli, oltre ai
domini della corona d'Aragona con i territori dei propri
vassalli. I casati di Tolosa e d'Aragona avevano comunque
forti parentele. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Il legato pontificio, sempre al suo fianco, lo sprona a non andare troppo per il sottile, a non distinguere tra Cattolici e Càtari: “Uccideteli tutti, poi Dio sceglierà i suoi…”. Montfort non si fa pregare e scaglia di persona contro le rocce un buon numero di neonati, rei soltanto di essere occitani. Nel 1.213 si compie intanto la breve unificazione occitanica. Il conte di Tolosa e i suoi feudatari, in segreto, giurano obbedienza al potente conte-re catalano Pietro II d’Aragona.
Sembra che il nome Catalogna, confermato anche da recenti studi, derivi da "Gotia", esattamente dal latino Gothia Launia, cioè "terra dei goti" (https://it.wikipedia.org/wiki/Gotia).
Pietro entra subito in guerra contro i francesi.
I catalano-occitani si battono, il 12 settembre 1.213, a Muret, contro i crociati. La battaglia sarà, inopinatamente, vinta dai crociati e lo stesso Pietro II cadrà sul campo. L’unità occitana è fatta e disfatta nel giro di pochi mesi.
Carta con i domini della corona
d'Aragona in Occitania nel
1112-1213.
I catalani tornano in patria. Le due nazioni saranno divise per sempre. Nel 1.216 gli occitani si sollevano in tutto il territorio. Raimondo VII varca il Rodano e riconquista Tolosa. Gli occitani si battono contro i francesi al grido di “Tolosa e Provença!”. Il vecchio conte Raimondo VI è richiamato dall’esilio aragonese. Simone di Montfort riorganizza le sue forze e attacca Tolosa, sotto le cui mura viene però sconfitto e ucciso nel 1.219. “Lo lop es mòrt, visca Tolosa ciutat radiosa!” (Il lupo è morto, viva Tolosa città radiosa!) grida il popolo esultante. Luigi VIII invade con un nuovo, poderoso esercito l’Occitania, conquistando Avignone, rifugio di catari e valdesi. Nel 1.242, Raimondo VII rialza però la testa. Fa giustiziare gli inquisitori reali di Avignone e riprende, a Narbona, il proprio titolo. Si allea col re d’Inghilterra (sovrano dell’Aquitania), con l’imperatore germanico (sovrano formale della Provenza) e col re di Aragona.
La bandiera Occitana.
Dopo una prima sconfitta nel Poitou, la lega si sfalda però come neve al sole. I francesi continuano la caccia agli eretici sul territorio conquistato. Nel 1.244 cade, sembra con l’aiuto di montanari baschi, il castello di Montsegur, dove si erano ritirati 200 “perfetti” col seguito. Verranno tutti arsi vivi in una radura vicina, chiamata ancora “lo prat dels cremants” (il prato dei bruciati). La caduta di Montsegur segna, per gli storici, la fine della Crociata degli Albigesi. Si sa tuttavia che l’ultimo ridotto cataro a cadere fu Queribus, nel maggio 1.255. Si calcola che gli occitani morti in conseguenza della crociata siano stati almeno 400.000 (quasi un sesto della popolazione). Per "Occitani: storia e cultura" clicca QUI.

Dal 1.210 - "Parzival" è uno dei maggiori poemi epici medievali attribuito al poeta tedesco Wolfram von Eschenbach, che lo compose intorno al 1.210 e scrisse inoltre un'opera su Guglielmo di Gellone, o San Guglielmo d'Aquitania: "Willehalm". "Parzifal" è il primo Bildungsroman (romanzo di formazione), che narra le avventure di Parzival alla ricerca di una umanità interiore migliore, superiore in qualità agli ideali di vita cortese che i cavalieri dell'epoca seguivano. Nel suo romanzo epico, Wolfram cita i Templari come i cavalieri che custodiscono il Santo Graal, il castello del Graal e la famiglia del Graal. La fonte primaria del poema è l'incompiuto "Le Roman de Perceval ou le conte du Graal" di Chrétien de Troyes, di 12.000 versi, suddiviso in 16 canti; il "Parzival" è composto da 16 libri, a loro volta suddivisi in una trentina di stanze di distici in rima. Nella narrazione Parzival, un giovane pieno di ardore e assetato di avventure, giunge alla corte di Re Artù, e dopo alcune esperienze con i cavalieri, saranno gli insegnamenti di Trevrizent, suo zio eremita, ad indicargli la via della saggezza nell'andare in soccorso al re Amfortas che gli consegna il regno del Graal. Altro personaggio centrale del romanzo è Gawain, (Galvano, in italiano: la spada nella roccia esiste ed è in Italia, in Toscana, nell'Abbazia di San Galgano, edificata nell'ordine cistercense e situata tra i paesi di Monticiano e Chiusdino, 30 Km. a ovest di Siena) cavaliere di re Artù anch'egli, con tutta una serie di amori e avventure che si intrecciano.

Le fasi della Reconquista di Spagna e Portogallo all'Islam,
con evidenziata la battaglia a Las Navas de Tolosa.   
Nel 1.212 - Nell'ambito della Reconquista,  sconfitta araba in Spagna a Las Navas de Tolosa.

In quello stesso anno avviene la Crociata dei Fanciulli o dei Bambini, nome dato ad una serie di eventi, reali o leggendari, avvenuti nel 1.212 dei quali esistono diversi resoconti spesso contraddittori e che sono tuttora materia di dibattito fra gli storici. La versione tradizionale afferma che nel maggio del 1.212 un pastorello dodicenne di nome Stefano proveniente dalla cittadina di Cloyes-sur-le-Loir, nei pressi del villaggio di Châteaudun nell'Orléans, si presentò alla corte di Re Filippo II di Francia affermando che Cristo in persona gli era apparso mentre conduceva le pecore al pascolo e gli aveva ordinato di raccogliere fedeli per la crociata, consegnandogli anche una lettera. Filippo II ordinò al fanciullo di tornare a casa, ma questi non si lasciò scoraggiare e iniziò a predicare in pubblico sulla porta dell'abbazia di Saint-Denis. Prometteva a quelli che si sarebbero uniti a lui che i mari si sarebbero aperti davanti a loro, come aveva fatto il Mar Rosso con Mosè e che sarebbero così arrivati a piedi fino alla Terra Santa. Il ragazzo iniziò a viaggiare per la Francia raccogliendo proseliti e facendosi aiutare nella predicazione dai suoi convertiti. Alla fine la Crociata partì verso Marsiglia. I piccoli crociati si precipitarono al porto per vedere il mare aprirsi ma, poiché il miracolo non avveniva, alcuni si rivoltarono contro Stefano accusandolo di averli ingannati, e presero la via del ritorno. Molti rimasero in riva al mare, ad aspettare il miracolo ancora per alcuni giorni, finché due mercanti marsigliesi (secondo la tradizione si chiamavano Ugo il Ferro e Guglielmo il Porco) offrirono ai fanciulli un "passaggio gratis". Stefano accettò di buon grado e così partirono sette navi con a bordo l'intero contingente di bambini. Due delle sette navi affondarono per una tempesta a largo dell'isola dei Ratti, vicino all'Isola di San Pietro (in Sardegna) e tutti i loro occupanti morirono affogati. I fanciulli superstiti furono consegnati dai mercanti di Marsiglia ad alcuni musulmani che li vendettero come schiavi. Secondo ricerche più recenti, nel 1.212 vi furono in realtà due movimenti di persone, uno in Francia e uno in Germania. La similitudine fra i due movimenti fece sì che nelle cronache successive le due storie si fondessero nella versione sopra descritta. Secondo alcuni l'espressione "crociata dei fanciulli" deriverebbe dal fatto che nei documenti si usa il termine latino puer (fanciullo) intendendo in realtà povero (pauper); il fatto che poi si sia parlato di "fanciulli" deriverebbe da un'interpretazione errata. A quanto pare i documenti dell'epoca insistono sulla miseria dei pellegrini e non sulla loro età. Il primo movimento fu avviato da un pastore tedesco di nome Nikolaus che guidò un gruppo di persone attraverso le Alpi nella primavera del 1.212. Circa 7.000 arrivarono a Genova verso la fine di agosto. Molti di loro tornarono in Germania, altri procedettero verso Roma, altri ancora si recarono a Marsiglia, dove probabilmente furono catturati dai mercanti di schiavi. Nessuno di loro raggiunse la Terra Santa. Il secondo movimento fu guidato da un pastore francese di nome Stefano di Cloyes che affermava di aver ricevuto da Cristo una lettera per il re di Francia. Attrasse una folla di circa 30.000 persone e si recò a Saint-Denis dove la leggenda racconta che fu visto compiere alcuni miracoli. Filippo II ordinò alla folla di tornare a casa e la maggior parte di loro seguì l'ordine. Non vi è menzione che questi volessero recarsi in Terra Santa. Le cronache successive "abbellirono" e fusero queste due vicende.

Regioni nella Francia con
Guienna e Aquitania inglesi
da: https://it.wikipedia.org/wi
ki/Guienna#/media/File:Trait%
C3%A9_de_Bretigny.svg
 
Nel 1.214 - I rapporti tra Francia ed Inghilterra nei secoli precedenti erano stati variegati e spesso conflittuali, sin da quando Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia e quindi vassallo del re di Francia, era asceso al trono inglese. Il matrimonio tra Enrico II d'Inghilterra ed Eleonora d'Aquitania nel 1152 aveva poi portato alla Corona inglese l'Aquitania e la Guienna, mettendo così in mano ai sovrani d'oltremanica, in qualità di feudatari, vasta parte del territorio francese. Lo stridente legame tra i vassalli inglesi e i re francesi sfociò in aperto conflitto quando Giovanni Senza Terra si schierò col nipote Ottone IV per la successione ad Enrico VI di Svevia mentre Filippo Augusto, impegnato nell'unificazione monarchica del territorio francese, appoggiava Federico II: con la vittoriosa battaglia di Bouvines  (27 luglio 1214) ed il successivo trattato di Chinon (18 settembre del 1214) la Francia si riannetteva i possedimenti a nord della Loira (Berry, Turenna Maine e Angiò) mentre l'Inghilterra conservava in Francia solo l'Aquitania e il Ponthieu.

Una copia della "Magna Charta".
Nel 1.215 - Giovanni Senza Terra, re d'Inghil­terra, concede la "Magna Charta". Dopo il Trattato di Costanza fra i Comuni italiani uniti nella Lega Lombarda e l'imperatore Federico Barbarossa, il secondo ordinamento giuridico-politico che limita i poteri del sovrano. La Magna Carta (Magna Charta Libertatum) è un documento, scritto in latino, che il re d'Inghilterra Giovanni Senzaterra fu costretto a concedere ai baroni del Regno, propri feudatari diretti, presso Runnymede, il 15 giugno 1.215. Venne chiamata magna per tenerla distinta da un provvedimento minore, una charta rilasciata proprio in quegli anni per regolamentare i diritti di caccia. Quando Enrico II d'Inghilterra morì il 7 luglio 1.189, gli succedette il quarto dei suoi figli, Riccardo Cuor di Leone. Durante l'assenza di re Riccardo a causa della III crociata salì al trono il fratello minore Giovanni Senzaterra (John Lackland), chiamato così perché perse i suoi possedimenti in Francia, o forse perché essendo il quintogenito maschio, il padre Enrico non gli lasciò in eredità alcun possedimento territoriale. Giovanni, per difendere e poi riconquistare i possedimenti dei Plantageneti in Francia, dovette ingaggiare una guerra con il regno di Francia, finanziata tramite una forte tassazione dei suoi baroni, che ne denunciarono pubblicamente l'arbitrarietà, segnalando in particolare gravi abusi nell'applicazione dello scutagium. A causa dell'esito negativo della spedizione francese (le truppe inglesi, alleate a quelle dell'imperatore tedesco Ottone IV, vennero sconfitte a Bouvines nel 1.214) e della successiva rivolta dei baroni, che il 5 maggio 1.215 rifiutarono la fedeltà al re, Giovanni Senzaterra, durante l'incontro con i ribelli avvenuto il 15 giugno nella brughiera di Runnymede, si vide costretto, in cambio della rinnovata obbedienza, a una serie di concessioni che costituiscono il contenuto principale della Magna Charta. La Magna Charta Libertatum è stata interpretata a posteriori come il primo documento fondamentale per il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini, sebbene essa vada inscritta nel quadro di una giurisprudenza feudale in cui, durante il XII e XIII secolo, la concessione di privilegi (libertates) da parte di sovrani a comunità o sudditi, offre altri esempi di natura analoga (Federico Barbarossa alla Lega Lombarda nel 1.183, il re Andrea II d'Ungheria ai loro vassalli nel 1.222). In sostanza la Magna Charta conferma i privilegi del clero e dei feudatari, eliminando o diminuendo l'influenza del re.
Tra i suoi articoli ricordiamo:
- il divieto per il sovrano di imporre nuove tasse ai suoi vassalli diretti senza il previo consenso del "commune consilium regni" (consiglio comune del regno, formato da arcivescovi, abati, conti e i maggiori tra i baroni, da convocarsi con un preavviso di almeno quaranta giorni e deliberante a maggioranza dei presenti (articoli 12 e 14)
- la garanzia, valida per tutti gli uomini di condizione libera, di non poter essere imprigionati senza prima aver sostenuto un regolare processo, da parte di una corte di pari, se la norma era incerta o il tribunale non competente, o secondo la "legge del regno" (articolo 39, in cui si ribadisce il principio del " habeas corpus integrum")
- la proporzionalità della pena rispetto al reato (articolo 20)
- l'istituzione di una commissione di venticinque baroni, che, nel caso in cui il re avesse infranto i suoi solenni impegni, doveva fargli guerra, chiedendo la partecipazione di tutti i sudditi (articolo 61, in cui si manifesta il futuro principio della legittima resistenza all'oppressione di un governo ingiusto)
- l'integrità e libertà della Chiesa inglese (articolo 1), precedentemente messa in discussione sia dalla disputa tra Enrico II, padre di Giovanni, e l'arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket sulla giurisdizione regia nelle cause criminali contro gli ecclesiastici, sia dall'iniziale mancato riconoscimento (compiuto solo dopo la scomunica da parte del papa Innocenzo III) dell'arcivescovo Stephen Langton (tra i maggiori ispiratori della Charta) da parte del re Giovanni. La Magna Charta regolamentava inoltre l'importante legge consuetudinaria detta "della foresta", abolendo i demani regi (in latino foreste) creati sotto il regno di Giovanni e le relative multe comminate ai trasgressori (articoli 47 e 48). In materia economica, la Charta faceva salve le "antiquas libertates" della città di Londra, dei borghi, delle ville e dei porti (articolo 13) e concedeva a tutti i mercanti, esclusi quelli provenienti da paesi in guerra con il re, il diritto gratuito di ingresso e di uscita dal paese (articolo 41); infine per agevolare il commercio, imponeva che in tutto il regno fossero adottate identiche misure per vino, birra e grano ed inoltre che le stoffe fossero confezionate in misure standardizzate (articolo 35). Benché la Magna Charta nel corso dei secoli sia stata ripetutamente modificata da leggi ordinarie emanate dal parlamento, conserva tuttora lo status di Carta fondamentale della monarchia britannica. Una copia ben conservata si trova nella cattedrale di Salisbury. Il documento, nella sua forma definitiva, fu redatto, dopo la morte di Giovanni, dal legato pontificio, Guala Bicchieri, dal Gran Giustiziere, Uberto di Burgh, e dal reggente di Enrico III d'Inghilterra, Guglielmo il Maresciallo.

Nel novembre del 1.215, papa Innocenzo III convoca il IV concilio lateranense (il dodicesimo concilio ecumenico), che emanerà settanta decreti di riforma. Tra questi viene definitivamente dichiarata la superiorità della Chiesa rispetto a qualunque altro potere secolare, quale unica depositaria della Grazia e esclusiva mediatrice tra Dio e gli uomini. Se da un lato si istituisce il tribunale dell'Inquisizione contro le eresie, dall'altro si incoraggiano le predicazioni popolari, legittimando gli Ordini mendicanti nella loro attività apostolica (come faceva San Francesco). Si decide inoltre una crociata generale in Terra Santa (la quinta crociata), poiché Gerusalemme era nelle mani dei musulmani.

Nel 1.217 - Inizia la Quinta Crociata. Durante il papato di Innocenzo III, il Concilio Lateranense IV aveva deciso l'indizione di una nuova crociata. Federico II, in occasione della sua incoronazione a Rex romanorum, nel 1.215, giurò solennemente di prendervi parte, ma poi rimandò più volte, il che provocò tensioni con il papa. Papa Onorio III stabilì infine che la crociata dovesse aver inizio il 1º giugno 1.217. Oliviero da Courson iniziò a predicare la crociata in Francia, ma con scarso successo; al contrario Oliviero da Paderborn destò l'entusiasmo popolare nelle regioni al di là del Reno, che fino a quel momento avevano fornito pochi soldati, in primo luogo l'Austria e l'Ungheria, i cui sovrani Andrea II d'Ungheria e il duca Leopoldo VI d'Asburgo furono riconosciuti capi della crociata. Gli eserciti ungherese ed austriaco proprio il 1º giugno 1.217 salparono per Acri. I crociati, in gran parte, vennero trasportati via mare dai veneziani. I primi crociati giunti in Terrasanta iniziarono ad attaccare i musulmani, ma senza ottenere alcun risultato positivo, perché il nemico rimase asserragliato nelle sue fortezze, evitando scontri diretti. Molti crociati decisero di tornare in patria, seguendo l'esempio del re d'Ungheria; quelli rimasti decisero di attendere rinforzi per attaccare in seguito e nel frattempo fortificarono la città di Cesarea ed iniziarono la costruzione della fortezza di Castelpellegrino. Dopo l'arrivo di nuove milizie provenienti da tutto l'Occidente, Giovanni di Brienne convinse i crociati che sconfiggendo il sultanato degli Ayyubidi in Egitto si sarebbe aperta la strada per la riconquista di Gerusalemme. I crociati, infatti, avevano stretto un'alleanza con il sultano dei Selgiuchidi, che all'epoca dominavano l'Anatolia: mentre i crociati si sarebbero diretti a sud, in Egitto, i Selgiuchidi avrebbero mosso le loro truppe verso la Siria, attaccando su due fronti il sultanato degli Ayyubidi. Il 29 maggio 1.218 la flotta crociata raggiunse la città di Damietta, porto egiziano sul Mediterraneo, e la cinse d'assedio. Fin dall'inizio delle operazioni militari nacque il dissidio tra Giovanni di Brienne e Pelagio, il legato pontificio, aggregatosi da poco alla crociata. Quest'ultimo volle essere il comandante supremo ed inoltre si oppose all'annessione al regno di Gerusalemme delle terre egiziane eventualmente conquistate. Nel 1.219 San Francesco d'Assisi va Medio Oriente per condurre una precisa azione missionaria, in contrasto alla strategia delle milizie crociate.
Carta con i percorsi di Bonifacio di Monferrato nella IV
crociata in verde e di Giovanni di Brienne nella V crociata
in fucsia, fino alla città di Damietta.
Dopo aver chiesto il permesso al legato pontificio di avventurarsi nei territori musulmani, si recò dal Sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil per dare testimonianza della fede cristiana. Ricevuto con grande cortesia dal Sultano ebbero un lungo colloquio, al termine del quale dovette tornare nel campo crociato. Il 5 novembre 1.219 la città di Damietta fu conquistata dai crociati e nell'anno successivo si provvide a rafforzarne le difese. Il 27 agosto 1.221 però, i crociati che si accingevano a penetrare nel delta del Nilo vennero sconfitti ad al-Mansūra da truppe fresche provenienti dalla Siria e dalla sagace strategia del sultano e di suo fratello al-Ashraf di Damasco, che minacciarono di rompere le dighe impantanando di fatto il pesante esercito cristiano. Visti i crescenti problemi logistici, Damietta fu sgomberata in settembre, e i crociati si ritirarono senza aver raggiunto alcun risultatoFederico II, per via della sua mancata partecipazione, si vide addossare la responsabilità del fallimento dell'impresa. Con il trattato di San Germano del 1.225, si impegnò ad intraprendere una nuova crociata, al più tardi entro il 1.227, la cosiddetta sesta crociata.

Nel 1.219 - In Serbia, Sava (Rastko, il figlio minore di Stefan Nemanja, più noto con il nome di Sava), riconosciuto come metropolita della Chiesa serba diventata indipendente, incorona il fratello Stefan come Stefan II; di fatto si tratta di una seconda incoronazione, dal momento che il papa Onorio III aveva già inviato, nel 1217, una corona reale a Stefan II, sperando invano di riunire la Chiesa serba a quella di Roma.  

Nel 1.220 - Federico II Hohenstaufen è incoronato imperatore del Sacro Romano Impero.

Nel 1.223 - Grande invasione della Russia da parte dalle armate mongole comandate da Subotai e Jebe, esperti ufficiali di Gengis Khan. Fu essenzialmente un raid esplorativo che sfociò nella battaglia del fiume Kalka, nell'attuale Ucraina Sud-orientale, fra le truppe di Gengis Khan e l'alleanza fra i principi russi con i loro alleati Polovzi Qipchaq. Con lo sterminio della nobiltà russa e dei loro migliori guerrieri, la vittoria dei mongoli fu quasi totale. Inoltre, prima della battaglia, lungo le sponde del mar d'Azov, i mongoli conobbero alcuni mercanti veneziani che lì gestivano un avamposto mercantile e si resero conto che da loro avrebbero potuto ottenere tutte le informazioni che avessero desiderato su territori e popolazioni europee. Da parte loro i veneziani si assicurarono l'esclusiva dei commerci con l'estremo oriente e chiesero di escludere categoricamente, da questi commerci, i loro rivali genovesi.

Nel 1.227 - Muore Temujin, chiamato Genghis Khan.
La suddivisione dell'impero di
Gengis Khan fra i suoi quattro
figli da: https://mtwitalia.free
forumzone.com/discussione.
aspx?idd=7144859
Per un paio di anni rimane reggente dell'impero mongolo (o tartaro come era chiamato dagli europei al tempo delle invasioni mongole), ad interim (provvisorio), Tolui, il suo figlio più giovane di Gengis Khan e della moglie Börte, in attesa del Kuriltai, il concilio politico militare dell'aristocrazia mongola, del 1229, che eleggerà Ögödei come secondo Gran Khan. I territori dell'impero andavano dalla Siberia all'Oceano Pacifico. Gengis Khan aveva avuto da varie mogli e concubine numerosi figli e figlie, a ciascuno dei quali vennero assegnati titoli e guerrieri, ma per i quattro figli maschi avuti dalla prima e principale moglie Börte furono riconosciuti i più alti onori ed il diritto di successione per le cariche più rilevanti, ed erano:
- Djuci, il maggiore, morto prima del padre nello stesso anno, la cui paternità sul figlio Batu veniva messa in dubbio, così che gli saranno assegnate le terre più lontane tra quelle conquistate, il Khanato dell'Orda d'Oro (conosciuto anche come Khanato Kipchak), a sud della Rutenia.
- Chagatai (secondo in linea di discendenza), considerato una "testa calda", che ottenne l'Asia centrale ed il nord dell'Iran, l'Ilkhanato di Persia.
- Ögödei ottenne la Cina con la Dinastia Yuan (1271-1368) ed il titolo del padre, divenendo così Gran Khan.
- Tolui, il più giovane, ricevette le terre natie dei Mongoli, il Khanato Chagatai nell'Asia Centrale, e suo figlio sarà Kublai Khan, di cui Marco Polo diventerà ambasciatore.

La Rus' di Kiev o Rutenia, da: https:
//commons.wikimedia.org/wiki
/File:Kievan_Rus_en.jpg
- Nel febbraio del 1.227, il primogenito di Gengis Khan, Djuci, che avrebbe ereditato la parte più occidentale dell'impero mongolo, il Khanato Kipchak chiamato in seguito l'Orda d'Oro (la riunificazione di Orda Blu e Orda Bianca, rispettivamente i khanati imperiali dei territori occidentali l'uno e orientali l'altro, unificati ai territori centroasiatici nativi dei Mongoli), muore prima del padre e la sua eredità sarà assunta dal figlio Batu.
Questi farà propri i progetti di espansione ad ovest decretati dal nonno Temujin, il gran khan.
La struttura di base dei mongoli, almeno fino a Gengis Khan, era l'ordu, l'accampamento, il nucleo della tribù, conservatosi nella denominazione, anche dopo la costituzione dello sterminato impero. Le popolazioni mongole occidentali erano conosciute in Europa come tatari o, storpiando il nome, tartari.
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Federico II di Svevia.
Dal 1.228 - La Sesta Crociata ebbe luogo tra il 1.228 e il 1.229 ed ebbe come assoluto protagonista Federico II di Svevia, re di Sicilia e di Germania, imperatore del Sacro Romano Impero. Fu l'unica crociata pacifica, risolta per vie diplomatiche, evitando lo scontro militare. A dispetto di ciò, fu anche quella che ottenne le maggiori conquiste territoriali per lo schieramento crociato. Dopo il fallimento della quinta crociata, l'imperatore Federico II fu esortato da Onorio III a guidare una crociata in Terrasanta (come promesso al pontefice dopo la sua incoronazione nel 1.220) ma per motivi politici ne aveva più volte ritardato l'inizio. Nel 1.223 Federico rinnova il voto fatto, ma rimanda la partenza per problemi sorti nei suoi territori siciliani. Il papa è sempre convinto che per poter vincere gli islamici e riconquistare Gerusalemme è fondamentale che a capo della spedizione vi sia l'imperatore. Per convincere ed esortare Federico all'impresa, il papa nel novembre del 1.225 riesce a combinare il matrimonio dell'imperatore con Isabella, figlia di Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme. Ma quando nel 1.227, a causa di una malattia, fu costretto a rimandare la crociata ancora una volta, venne scomunicato da papa Gregorio IX. Ciononostante, l'anno successivo, Federico si recò a Gerusalemme, mentre il Papa lo definiva “Anticristo”. La crociata fu preceduta da un'accorta fase preparatoria, su un terreno squisitamente diplomatico: nell'estate 1.227, Federico II aveva inviato Berardo di Castagna, arcivescovo di Palermo a lui fedelissimo, in missione diplomatica in Egitto, insieme a Tommaso I d'Aquino, conte di Acerra recando con loro ricchissimi doni, tra cui pietre preziose e un cavallo sellato d'oro. Berardo aveva il delicato compito di saggiare le interessanti prospettive di intesa appena apertesi con il sultano ayyubide, il curdo al-Malik al-Kāmil. Federico era cresciuto nella Palermo normanna di Ruggero II, in un ambiente “multiculturale” impregnato di influssi arabi. Parlava fluentemente l'arabo, e a stento il tedesco. Giunse in Terrasanta accompagnato dalle sue guardie del corpo musulmane, in uno sfarzo di tipo orientale, distinguendosi così da tutti i crociati che lo avevano preceduto. L'imperatore si era messo in viaggio con un esercito relativamente ridotto, ed era giunto ad Acri nel settembre 1.228. L'11 febbraio 1.229 concluse un accordo con al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino e Sultano ayyubide, che con Federico aveva dei buoni rapporti di amicizia diplomatica (vista anche la vicinanza tra Sicilia e costa africana): i cristiani avrebbero riavuto Betlemme, Nazaret, Lidda, Sidone e Toron (oggi Tibnin), oltre a Gerusalemme, ad eccezione della spianata del Tempio e della moschea al-Aqsà. Ai musulmani era però permesso di accedervi (pace di Giaffa) in quanto considerato luogo santo anche da essi. Gerusalemme inoltre veniva ceduta smantellata e indifendibile. Il 18 marzo 1.229 Federico II ricevette la corona di re di Gerusalemme grazie al precedente matrimonio con Isabella II di Brienne (che ormai era già defunta), nonostante l'opposizione del clero locale e di quasi tutti i grandi feudatari; lo stesso patriarca non riconobbe l'incoronazione e lanciò l'interdetto su Gerusalemme. Sul piano formale non si trattava di un'autentica incoronazione, in quanto Federico era colpito da una scomunica che non gli permetteva di partecipare a cerimonie religiose né di ricevere benedizioni. Il trattato di pace fu una dimostrazione dell'apertura e della tolleranza di Federico II verso gli Arabi e l'Islam. Il sultano al-Malik al-Kāmil aveva anche motivi politici per intavolare trattative con i cristiani, perché stava preparando una campagna contro suo fratello al-Mu'azzam di Damasco e non voleva essere disturbato da eventuali iniziative dei crociati. Il trattato è di rilevanza mondiale e unico ancor oggi per il compromesso tra gli interessi dell'Oriente e quelli dell'Occidente. Tra le sue conseguenze vi fu un aumento enorme degli scambi culturali e commerciali tra Levante e Europa. Esso, però, poté reggere solamente fintanto al-Malik al-Kāmil rimase in vita e Federico II riuscì ad esercitare la propria influenza sul regno di Gerusalemme. I loro discendenti non fecero nulla affinché il contrasto tra mondo cristiano e mondo islamico non si acuisse nuovamente. Federico rimase per alcuni mesi in Terra Santa, cercando senza successo di mettere ordine nella devastata situazione del regno. Probabilmente all'inizio c'era la volontà di governare il suo impero dalla nuova sede di Gerusalemme ma dopo alcuni mesi, visto che il suo clamoroso successo gli aveva attirato solo critiche, visto che continuava ad essere scomunicato e che le rivolte continuavano in tutto l'impero, decise di lasciare la Terrasanta il 1º maggio 1.229. Il rapporto con il papato, però non migliorò granché: il papa era deluso dalla vittoria effimera e dall'essere in balìa dei musulmani di una Gerusalemme smilitarizzata, senza mura e indifendibile. Inoltre il papa non vedeva di buon occhio la soluzione diplomatica, che non era nei suoi piani; anche l'incoronazione di Federico da scomunicato non gli fu gradita. Ma la ragione forse più importante era il risentimento del papa per il nuovo successo di quell'imperatore ormai molto scomodo che originariamente doveva, nelle intenzioni papali, mettersi in difficoltà con la crociata, magari sparire dalla scena come era accaduto al nonno di Federico, il Barbarossa. Il risultato fu la paradossale crociata proprio contro Federico II. Solo nel 1.230, con il Trattato di San Germano, fu revocata la scomunica a Federico II. Questa crociata viene talvolta contata come quinta: in questi computi non si considera infatti la fallita crociata del 1.217-1.221.

- Nel 1.228 la Serbia completa la propria riorganizzazione attorno alla Raška, che diventa il centro di maggiore importanza durante il regno dei figli di Stefan II: Radoslav (1227-1233), Vladislav (1233-1243) e Uroš I (1243-1276). La dinastia dei Nemanjic riesce a tenere la Serbia distante dalle crisi che all'epoca devastano i Balcani ed a mantenere il Principato indipendente. Durante il regno di Stefan VI Uroš II (1282-1321) e di Stefano VII Uroš III (1321-1331), la Serbia estenderà il suo potere in Macedonia e in Bulgaria.


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