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venerdì 29 marzo 2019

Storia dell'Europa n.58: dal 1.251 al 1.324 e.v. (d.C)

Miniatura raffigurante la
Crociata dei Pastori.
Nel 1.251 - Crociata dei Pastori è il nome di due insurrezioni popolari che fecero parte delle crociate popolari iniziate senza l'appoggio dei governanti e spesso rivolte proprio contro di loro. Queste crociate sono datate 1.251 e 1.320. Durante la Settima Crociata, Luigi IX di Francia (San Luigi) prese Al-Mansura, ma le sue armate, vittime di un'epidemia di peste o secondo le ultime ricerche di dissenteria, di tifo e di scorbuto, si trovò intrappolato. Re Luigi fu fatto prigioniero con due suoi fratelli nel 1.250. Quando questa notizia giunse in Occidente provocò incredulità e rivolte, poiché il re sembrava non godere più dell'appoggio divino. La risposa al crescente malcontento venne da predicatori popolari, in particolare un certo Job o Jacob o Jacques, carismatico monaco ungherese dell'ordine cistercense soprannominato Maestro d'Ungheria, che diceva di aver ricevuto dalla Vergine Maria una lettera in cui affermava che i governanti, ricchi e orgogliosi, non potevano riprendere Gerusalemme, ma che solo avrebbero avuto successo i poveri, gli umili e i pastori, i pastoureaux (pastorelli). L'orgoglio della cavalleria, diceva la lettera, era dispiaciuto a Dio. Da ciò il nome di "Crociata dei Pastori". L'appello solenne ebbe luogo a Pasqua 1.251, quando migliaia di pastori e contadini presero la croce, marciando verso Parigi, armati d'asce, coltelli e bastoni. Furono 30.000 ad Amiens, forse 50.000 a Parigi, dove Bianca di Castiglia, madre del re Luigi IX, li ricevette ed in un primo momento li sostenne. Il movimento era però troppo pericoloso sul piano sociale e religioso per essere accettato dai governanti: esso accusava abati e prelati di cupidigia ed orgoglioprendendosela anche con la Cavalleria, accusata di disprezzare i poveri e di trarre profitto dalle crociate. Vi furono diversi conflitti con il clero in diverse città (Rouen, Orléans, Tours). Molti aderenti al movimento erano criminali e quando le città ed i villaggi non vollero più sostentarli, iniziarono a saccheggiare e distruggere persino chiese e luoghi sacri. Così Papa Innocenzo IV li scomunicò e convinse la regina Bianca a mandare le truppe reali contro i crociati. In un primo momento riuscirono a scappare, arroccandosi a Bourges, dove continuarono le violenze, indirizzatesi ora verso gli ebrei, ma nei pressi di Villeneuve-sur-Cher vennero uccisi o fatti prigionieri, insieme al Maestro d'Ungheria stesso che perse la vita negli scontri. Altri sconti si ebbero in tutta la Francia, per esempio a Bordeaux, dove Simone V di Montfort represse la crociata. Il movimento si estese in Renania e nel nord Italia. Le repressioni furono delle più feroci e solo alcuni riuscirono a scappare sino a Marsiglia, dove si imbarcarono per Acri in cui si unirono poi ai Crociati.

Nel 1.255 - Con la morte di Batu, il khanato dell'Orda d'Oro viene ereditato dal figlio e diventa uno Stato indipendente, con capitale Saraj. Inoltre i khan succeduti a Bantu cominceranno ad utilizzare per sé stessi il titolo di gengis khan ("signore universale"), creando diversi problemi con gli altri discendenti di Temujin (il nome di Gengis Khan). L'Orda d'Oro perde molto rapidamente la sua identità mongola: la maggior parte della sua popolazione è di origine turca, uzbeca ed altri popoli altaici. Rapidamente il nomadismo cede il passo alla sedentarizzazione e Saraj diviene una grande e prospera metropoli. L'Orda, sempre a seguito dell'influenza dei popoli assoggettati adotta la religione islamica abbandonando le originali credenze animistiche dei Mongoli. Possiamo distinguere due periodi nella dominazione tataro-mongola della Russia:
- una fase di distruzione politica, economica, culturale, morale, (1223-1255),
- una fase di pacificazione, e in alcuni casi persino di collaborazione (1255-1380), fino alla conquista di Tamerlano. La politica nei confronti di principi e principati era abbastanza semplice: i Tataro-mongoli si limitavano alla riscossione delle imposte e alla leva militare, ma non si intromettevano nelle lotte fra principati. Per questo motivo, anche sotto i Tataro-mongoli i principi russi continuarono a lottare tra di loro per aumentare ciascuno il proprio dominio. Molti principi, soprattutto i più deboli, per non cadere sotto il dominio di un principe più potente, facevano atto di donazione delle loro terre all'Orda d'Oro. Questi principi mantenevano un titolo nobiliare, naturalmente non erano più knjaz', ma entravano a far parte del numero di quei boiari (il termine boiardo ma anche boardo o boiaro, tra il X e il XVII secolo, ma fino al XX secolo in Romania, indicava un membro dell'alta aristocrazia feudale russa e rumena che per potere e influenza era inferiore solo ai principi regnanti) che, insieme con i noyon mongoli, affiancavano il khan nell'amministrazione del territorio. Il khan poteva anche dividere il territorio di un principato in due o più parti e assegnarle al dominio di diversi principi russi. L'Orda d'Oro ingrandì così i propri domini non tanto per via di conquiste militari, ma per effetto di queste continue donazioni che finivano per creare una moltitudine di enclave nel territorio russo. Nelle corti dei principi russi erano stabiliti dei luogotenenti del khan, con delle truppe turco-tataro-mongole a loro disposizione per reprimere nel sangue ogni tentativo di rivolta. Alcuni funzionari erano incaricati di arruolare soldati slavi per l'esercito tataro-mongolo, soldati che andavano a costituire un corpo scelto nell'esercito del khan di Saraj e spesso anche in quello del gran khan di Karakorum. Alcuni commissari erano incaricati di studiare la vita, gli usi, i costumi e la lingua dei Russi.
Gli esattori (baskaki) raccoglievano tasse e tributi dapprima in natura, poi in moneta d'oro e d'argento. Chi non era in grado di pagare era deportato in schiavitù, come anche le persone che pure pagavano, se i commissari le giudicavano pericolose per il potere (i commissari davano ordine agli esattori di alzare le tasse finché essi non potevano più pagare). Non sempre gli esattori erano tatari, o mongoli: potevano essere ebrei, cinesi (nel senso più ampio del termine) e spesso anche russi. Il khan, infatti, metteva in vendita la carica di esattore; gli esattori, dal canto loro, prelevavano da ogni famiglia una quota ben superiore a quella che dovevano al khan, sia per ammortizzare la spesa per l'acquisto della carica, sia per accumulare ricchezze personali. Per quanto odiati da quasi tutti, saranno proprio loro a far rinascere il commercio in Russia e a prestare ai principi russi somme di denaro affinché questi possano ricostituire a poco a poco un loro esercito personale. In questo modo, molti esattori diventeranno persino dei nobili. I Tataro-mongoli avevano il diritto di requisire cavalli, carri, derrate alimentari, come pure di essere alloggiati gratuitamente quando erano in missione. La burocrazia tataro-mongola era molto complessa e molto corrotta. Oltre alle figure già citate, esisteva tutta una serie di funzionari intermedi che dovevano essere pagati per poter accedere al funzionario superiore. La politica dell'Orda verso la Rus' di Kiev (soprattutto nelle regioni dell'Europa orientale oggi note come Rutenia, abitate da popolazioni slave e di origine variaga) fu di costante cambiamento di alleanze, con il fine di mantenere il vecchio Stato feudale debole e frammentato. De iure, i principi russi non furono mai deposti; tuttavia questi principi, per regnare, dovunque essi fossero (anche i vecchi confini della Rus' furono mantenuti), dovevano rimettersi completamente alla volontà del khan, che quando voleva cambiava anche la casa regnante. Ogni principe che avesse voluto regnare, anzitutto doveva recarsi a Saraj e fare atto di sottomissione al khan e successivamente comprare la carica di principe. In questo modo otteneva dal khan una lettera patente, chiamata jarlyk, con la quale poteva regnare. Era vantaggioso per un principe affrontare questo viaggio, perché comunque anch'egli, sebbene in misura molto limitata, avrebbe potuto imporre delle tasse alla sua popolazione (normalmente, una metà di questa seconda tassazione era poi versata ancora agli esattori tatari). Un problema era dovuto al fatto che a volte anche alcuni boiari andavano a Saraj per comprare il titolo principesco e il khan concedeva lo jarlyk non automaticamente al principe regnante o al suo discendente, ma a chi offriva di più. Spesso, anzi, c'era questa stessa competizione anche all'interno della stessa famiglia (il principe contro un suo figlio o un suo fratello...). Molto spesso andavano a Saraj anche dei mercanti, che potevano ritornare nelle loro città addirittura come principi. Coloro che non erano riusciti a comprare il titolo venivano uccisi: era il modo dei Tataro-mongoli di tenere sotto controllo il territorio ed evitare le guerre civili. Spesso inoltre, i Tataro-mongoli non volevano che la stessa persona rimanesse principe molto a lungo: inizialmente, i principi dovevano recarsi a Saraj ogni anno per farsi rinnovare lo jarlyk, soprattutto dalla Russia meridionale. «Il principe russo era senza diritti nei confronti del khan tataro; il boiaro lo era di fronte al principe, il servo di fronte al boiaro. Insomma, ognuno si inchinava verso l'alto e opprimeva verso il basso» (Andrzej Poppe). Le uniche due città risparmiate dalla conquista tataro-mongola, grazie al clima, Novgorod e Pskov, continuarono i loro commerci con le città dell'Europa Settentrionale e anche con l'Impero bizantino (la piazza era libera dal monopolio di Kiev e delle città del sud). Commerciando con Costantinopoli, gli abitanti di Novgorod dovevano pagare un tributo ai Tataro-mongoli.
Con l'invasione tataro-mongola e il crollo del commercio kievano con Costantinopoli, avvenne una grande emigrazione dalla regione del Dnepr:
- verso ovest, in Polonia, Galizia, Podolia e Volinia, dove avvenne un grande aumento demografico (dall'incontro tra il russo medievale e l'antico polacco e galiziano, nascerà la lingua ucraina),
- verso nord-est, nel bacino del fiume Okà e dell'alta Volga.
- Un discreto numero di coloni si stabilì anche nella regione di Suzdal' (a nord di Mosca): un'area coperta di foreste e paludi.
- Un'altra regione che fu occupata fu quella di Vladimir, come pure quella di Tver'.
Conseguenza di queste imponenti migrazioni fu il fatto che la regione di Kiev rimase quasi disabitata.
I coloni trasferitisi nelle regioni di nord-est (fiumi Okà e Volga) fondarono delle città cui diedero i nomi delle città distrutte dai Tataro-mongoli. Inoltre, queste popolazioni portarono con sé quel poco del loro patrimonio culturale che si era salvato (più che documenti scritti, tradizioni orali che, successivamente, vennero messe per iscritto). Venendo a contatto con popolazioni finniche (ceppo linguistico uralico), la lingua russa medievale si trasforma: si introduce il dittongo /ij/ accanto alla semplice /i/ e il suono /h/ si trasforma sempre in /g/. In conseguenza dell'invasione, cessò il flusso di monaci greci verso Kiev: il XIII secolo, nella storia della letteratura russa, è un "secolo vuoto". L'unico genere letterario che continua è la traduzione (anche di opere provenienti da Paesi lontani, come la Persia, l'India, l'Arabia: spesso opere fantastiche, non impegnate). Dall'attività commerciale si tornò ad un'attività agricola, da uno Stato di città si tornò ad uno Stato di villaggi: in qualche modo, sembra che si sia tornati indietro nel tempo. Per il gran principe non era assolutamente conveniente restare nella cità di Kiev (la città era stata completamente distrutta, ma il titolo spettava a Kiev; anzi, il metropolita addirittura rimase fisicamente a Kiev, almeno per un certo periodo, fino al 1300). Il gran principato si stabilì così a Suzdal'. D'altra parte, nella Russkaja Pravda le città più a nord-est erano considerate periferiche e secondarie (alla morte del gran principe dovevano passare ai suoi figli minori). Con l'invasione tataro-mongola, al contrario, il centro dello Stato si trasla proprio verso nord-est. Le città che prima nessuno voleva, ora diventano molto appetibili, e i principi vogliono stabilirsi permanentemente in queste città. Questo legame forte di un principe con una determinata città e una particolare družina era in contrasto con lo spirito della Russkaja Pravda: si ritorna, anzi, al primissimo modo di gestire il potere ai tempi dei primi Rjurikidi. Quello che si vuole creare, è un legame sempre più stretto tra knjaz', družina, bojari e latifondisti non nobili (mercanti arricchiti che acquisteranno dal principe la terra, e poi anche il titolo nobiliare). Si viene così ad instaurare una concezione assolutistica del potere:
- il principe possiede tutto il territorio, e lo dà a chi vuole,
- il principe detiene il potere e dà titoli nobiliari a chi vuole,
- i cittadini obbediscono solo al principe: la veče non esiste più o è privata di ogni potere (diventa un'assemblea composta di soli bojari e latifondisti, naturalmente alla totale dipendenza dal principe).
La nascita, o almeno il consolidamento, dell'assolutismo in Russia sembra quindi collegata con l'invasione tataro-mongola. Nel XIV secolo la sollevazione della Lituania nel nord est dell'Europa sfida il controllo dei Tatari sulla Rutenia. In risposta a ciò il khan inizia ad appoggiare il Principato di Mosca nel ruolo di leader della Rutenia. A Ivan I fu riconosciuto il titolo di Gran Principe e l'incarico di raccogliere i tributi, dovuti all'Orda, tra gli altri principi della Rutenia. I Tataro-mongoli rimasero in Russia circa duecento anni (1223-1480), influendo sulla vita, sui costumi, sulla cultura e sulla lingua della popolazione. Si stabilirono soprattutto nel sud della Russia, dove l'ambiente offriva le condizioni migliori per continuare la loro forma di vita, basata su caccia, allevamento e commercio. Ricerche archeologiche hanno dimostrato che i contadini russi del nord, in questi secoli, si mescolarono soprattutto con popoli baltici (Lituani, Lettoni) e con popoli finnici (Estoni): poche furono le donne che sposarono dei Tatari, e comunque i loro figli furono cresciuti come russi.
Quando il dominio tataro-mongolo cominciò a decadere, molti Tatari si convertirono al cristianesimo, russificando anche i loro cognomi. Per quanto riguarda la lingua, dobbiamo tenere presente che molte parole sono passate dalle lingue turche e mongole alla lingua russa (per esempio továr, "merce, mercanzia", den'gi, "denaro", kat, "carnefice", karaul, "sentinella", bašmak, "calzatura", kaftan, "abito lungo", etc.).
La donna, nella società russa del tempo, cade in una condizione di semi-schiavitù. I matrimoni, per esempio, erano conclusi per volontà dei genitori. Si tenga presente che il mondo slavo, alle origini, era stato quasi matriarcale (in molte cronache monastiche si dice che le donne erano libere di scegliersi il marito). Il ruolo delle donne, dunque, si capovolge; se in passato c'erano state persino delle donne che dettavano l'agenda politica di vescovi e principi (come Eufrosina di Polack), ora il potere era tutto in mano degli uomini.
Nell'amministrazione della giustizia i Tataro-mongoli resero comuni alcune torture e forme di esecuzione capitale che prima erano irrogate soltanto agli schiavi. Pene più comuni erano il taglio delle mani, dei piedi, delle orecchie, della lingua, l'accecamento o lo squartamento. I Tataro-mongoli non miravano assolutamente a convertire i popoli sottomessi, né allo sciamanesimo (anche perché era praticamente impensabile "convertirsi" allo sciamanesimo), e neanche all'Islam dopo che, nel 1277, il khan Mengu Timur aderì pubblicamente alla fede musulmana. A loro, ogni culto andava bene: a Saraj vivevano gli uni a fianco degli altri cattolici latini, ortodossi, ebrei, musulmani, animisti, buddisti. Quando Guglielmo di Rubruck si era presentato al gran khan Munke con l'intento di convertirlo al cattolicesimo, si era sentito rispondere:
«Noi Tatari adoriamo già un solo Dio, che ci fa vivere e morire, e verso il quale dobbiamo avere un cuore sincero. Ma come Dio ha dato alla mano varie dita, così ha dato agli uomini diverse vie». 

Tra il 1255 e il 1270 la Repubblica di Venezia si scontra duramente con Genova nella guerra di San Saba per riaffermare il proprio predominio nei mercati levantini, mentre la riconquista bizantina di Costantinopoli, modificando nuovamente l'assetto politico dell'Oriente, fornirà presto l'occasione per nuovi scontri tra le marinerie italiane.

Nel 1.260 - Presso gli arabi di Spagna vengono usati rudimentali cannoni.
Al fine di produrre la polvere da sparo, il primo processo completo di purificazione del nitrato di potassio è descritto nel 1270 dal chimico-ingegnere arabo Ḥasan al-Rammāḥ, un siriano, nel suo libro al-Furūsiyya wa al-Manāsib al-Harbiyya ("Il libro dell'arte equestre militare e degli ingegnosi apparecchi bellici"), dove si spiega per la prima volta l'uso del carbonato di potassio (nella forma di ceneri di legno) per togliere il carbonato di calcio e i sali di magnesio dal nitrato di potassio. Al-Rammāḥ riporta anche le più antiche formule conosciute per un effetto esplosivo con la polvere da sparo: alcune sono praticamente identiche alla composizione ideale impiegata in tempi recenti (75% salnitro, 10% zolfo, 15% carbonio), come nel "razzo" tayyār (75% salnitro, 8% zolfo, 15% carbonio) e nel "razzo illuminante", tayyār buruq (74% salnitro, 10% zolfo, 15% carbonio). Secondo al-Rammāḥ, quelle formule sarebbero state note a suo padre e a suo nonno, così facendole risalire quanto meno alla fine del XII secolo.
Piccola bombarda del XV secolo, da:
https://commons.wikimedia.org/
w/index.php?curid=1176762
Le più antiche applicazioni militari di queste composizioni esplosive con la polvere da sparo sono i "cannoni a mano" usati per la prima volta dagli egiziani per respingere i mongoli alla battaglia di ʿAyn Jālūt nel 1260 ed ancora nel 1304. C'erano quattro diverse composizioni di polvere da sparo usate nei cannoni in battaglia, e la più esplosiva (74% salnitro, 11% zolfo, 15% carbonio) era vicina alla composizione ideale. Composizioni di questo genere sarebbero rimaste ignote in Europa fino al XIV secolo. Ḥasan al-Rammāḥ descrive anche il primo siluro  (1270): è un sistema a razzo riempito di materiale esplodente e con tre punti di innesco. In seguito agli scambi culturali e soprattutto alla  migrazione delle popolazioni mongolichei cannoni fecero la loro comparsa nel mondo musulmano e da lì a poco in Europaverso il 1300, dove si riuscì ad ottenere la formula ancor oggi usata per la fabbricazione della polvere nera.
La prima comparsa del cannone in Europa, seppure in un modello arcaico, si ha nel 1262 quando i Turchi attaccano la città di Niebla, nella comunità autonoma dell'Andalusia a 29 km da Hueiva, capoluogo della sua provincia, sulle rive del rio Tinto (José Antonio Conde, Jean de Marlès “Storia della dominazione degli arabi e dei mori in Spagna e Portogallo”, Volume II. Pag.155), dove si ha la conferma che vennero usati dai musulmani dei cannoni arcaici per attaccare la città durante l'omonimo assedio, che durò 9 mesi e che vide vincitrici le forze del re di Castiglia, Alfonso X. Questi cannoni, piccoli e portatili, furono usati principalmente per dare fuoco di supporto ai balestrieri.  

- I Tataro-mongoli dell'Orda d'Oro si convertono all'Islam (tra il 1260 e il 1280), sotto i khan Berke e Mengu Timur, per un motivo squisitamente politico: allearsi con i Mamelucchi egiziani contro l'Ilkhanato di Persia. Sotto i Tataro-mongoli, se la popolazione era vessata e umiliata, gli ecclesiastici erano invece esentati da ogni imposta. Anche nei principati di Kiev e di Vladimir-Suzdal', i monasteri erano delle "isole" tranquille, e le terre da essi controllate erano soggette alla giurisdizione solo dell'igumeno o dell'archimandrita. Tutte le persone e i villaggi di questi territori sottoposti ai monasteri erano esenti dalle tasse. I Tataro-mongoli emisero anche delle norme ben precise perché nessuno infastidisse il clero (compresi diaconi e monaci), che aveva il compito di intercedere per il khan. Qualora un tataro, o anche un russo, avesse arrecato offesa a un prete (krylos), era soggetto alla pena capitale: in queste "offese" era compreso anche il furto in una chiesa o in un monastero. D'altra parte, questa era una prassi originale dei Mongoli fin da quando risiedevano in Asia centrale: se anche un nobile (noyon) avesse infastidito uno sciamano, la pena prevista era la morte. Si era dunque creata una spaccatura nella Rus' amministrata dai Tataro-mongoli: da una parte la popolazione normale, dall'altra il clero, i monaci, e i contadini che con il loro lavoro contribuivano alla vita del clero e dei monasteri. Favorendo questa contrapposizione sociale, d'altronde, i Tataro-mongoli non intendevano umiliare i Russi: semplicemente avevano trasferito in Russia la loro mentalità.

Nel 1.261 - Costantinopoli ridiventa capitale dell'impero bizantino con la sua riconquista da parte dei niceni (i greco-bizantini dell'impero di Nicea) e ha termine l'impero latino. Il vittorioso assedio di Costantinopoli del 1204 da parte dei crociati, partiti per liberare la Terrasanta ma convinti dalla Repubblica di Venezia a muovere guerra contro i bizantini, aveva provocato la frammentazione ed il caos nel vecchio Impero Romano d'Oriente. Tra gli staterelli nati da questa frammentazione emerse l'impero di Nicea, destinato a ripristinare la sovranità bizantina su Costantinopoli. Retto dalla famiglia dei Paleologi, l'impero niceno resistette agli attacchi dei turchi selgiuchidi del sultanato di Rûm in Asia Minore, poi sottomessi dai Mongoli nel 1243 ed affrontò i latini in Grecia.

I viaggi dei Polo, di Pipino da verona
comm - Opera propria, CC BY-SA 3.0
- Marco Polo (Venezia, 15 settembre 1254 - Venezia, 8 gennaio 1324) è stato un viaggiatore, scrittore, ambasciatore e mercante italiano.
Le 1000 lire del 1982 con Marco Polo.
La sua famiglia apparteneva al patriziato veneziano. Insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo viaggiò a lungo in Asia percorrendo la Via della seta e attraversando tutto il continente asiatico fino a raggiungere la Cina (Catai). Durante il suo viaggio, Marco Polo sarà nominato  ambasciatore del khan Kublai, figlio ed erede del khan Tolui, il più giovane figlio di Gengis Khan, che regnava sulle terre natie dei Mongoli, il Khanato Chagatai, nell'Asia Centrale. Le cronache del viaggio e della permanenza in Estremo Oriente furono trascritte in francese antico da Rustichello da Pisa durante la loro prigionia a Genova e raccolte col titolo di "Divisiment dou monde", divenute note in seguito come "Il Milione". Le sue descrizioni dell'Asia ispireranno Cristoforo Colombo.

Dante Alighieri.
Nel 1.265 - A Firenze nasce Dante Alighieri.
Il giorno della nascita del "Sommo Poeta", autore della "Divina Commedia", è incerto, ma si ipotizza che Dante Alighieri o Alighiero, battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri, noto anche con il solo nome di Dante, possa essere nato fra il 22 maggio e il 13 giugno. A seguito del suo schieramento con i Guelfi Bianchi fu condannato all'esilio, al rogo se fosse rientrato a Firenze e alla distruzione di tutto ciò che possedeva (in Firenze). La condanna fu emanata in contumacia, mentre Dante era a Roma e perciò non tornò mai più Firenze. In seguito fu ospitato in varie famiglie e corti romagnole finché trovò asilo a Ravenna, alla corte di Guido Novello da Polenta, signore della città. Qui morì il 13 settembre 1321, a 56 anni, dopo essere rientrato a Ravenna da un'ambasceria a Venezia e aver contratto la malaria passando dalle paludose Valli di Comacchio.

Ottava Crociata: i francesi
davanti alle mura di Tunisi.
Nel 1.270 - Inizia l'Ottava Crociata, diretta contro i domini musulmani in Africa settentrionale. Guidata da re Luigi IX, sotto pressione di papa Clemente IV, lo scopo dichiarato della spedizione sarebbe stata la conversione forzata dei regnanti di Tunisi per far sì che essi si alleassero con i Franchi nella guerra contro i Mamelucchi di Baybars, attaccandone i loro confini occidentali, confinanti coi domini hafsidi di Muhammad I al-Mustansir. La crociata partì da Aigues Mortes nel luglio del 1.270. Il re sbarcò a Tunisi assieme al fratello Carlo d'Angiò; ma l'assedio si prolungò molto e la peste e la dissenteria decimarono l'esercito, e uccisero lo stesso re. Carlo d'Angiò prima di tornare in Sicilia con i resti della sua spedizione, concluse un trattato con il Califfo musulmano di Tunisi, grazie al quale otteneva il possesso di Malta e di Pantelleria.

Carta della Nona Crociata con in
giallo i movimenti delle truppe
mamelucche di Baybar che
affrontarono sia i Franchi, in
verde, che i Mongoli, in rosso.
Nel 1.271 - Si combatte la Nona Crociata, solitamente considerata l'ultima Crociata medievale ad essere stata condotta contro i musulmani in Terra Santa. Per molti storici non si tratta di una crociata a sé stante, ma la continuazione della precedente, in cui Edoardo I d'Inghilterra giunse a Tunisi troppo tardi e non riuscì dunque a soccorrere Luigi IX di Francia. Così Edoardo, insieme al fratello di Luigi IX, Carlo d'Angiò re di Sicilia, proseguì verso Acri, capitale di quel che restava del Regno di Gerusalemme. I due giunsero a destinazione nel 1.271, proprio mentre il sultano mamelucco Baybars stava ponendo sotto assedio Tripoli del Libano, l'ultimo territorio rimasto della Contea di Tripoli. Tre anni prima, nel 1.268, Baybars aveva conquistato Antiochia, ultimo possedimento del Principato d'Antiochia e, dopo aver costruito la prima flotta mamelucca, proprio nel 1.271 era sbarcato a Cipro, mettendo sotto assedio Ugo III di Cipro (formalmente re di Gerusalemme).
La sua flotta venne tuttavia distrutta. Edoardo, in realtà, fece ben poco: si limitò infatti a negoziare una tregua di undici anni tra Ugo (appoggiato dai cavalieri della famiglia Ibelin di Cipro) e Baybars, sebbene questi avesse inizialmente tentato di assassinarlo inviandogli alcuni suoi uomini con la scusa di voler ricevere il battesimo cristiano. Viene, inoltre, negoziato il libero accesso dei pellegrini a Gerusalemme. Edoardo tornò in Inghilterra nell'anno seguente, il 1.272, per essere incoronato re dopo la morte del padre Enrico III. Durante la crociata, Edoardo fu accompagnato da Teobaldo Visconti, destinato a diventare papa nel 1.271 con il nome di Gregorio X. Lo stesso Gregorio proclamò una nuova crociata (sarebbe stata la decima) durante il Concilio di Lione nel 1.274, ma il suo appello rimase inascoltato. Carlo, tuttavia, tentò di approfittare della disputa tra Ugo III, i Cavalieri templari e i Veneziani nel tentativo di prendere il controllo di Acri. Dopo aver acquistato i diritti di Maria d'Antiochia al trono di Gerusalemme, attaccò Ugo III, nominalmente ancora re di Gerusalemme. Fu così che nel 1.277 Ugo da San Severino prese Acri per conto di Carlo. Successivamente, Venezia invocò una nuova crociata contro Costantinopoli (dopo quella del 1.203 - 1.204), dove Michele VIII Paleologo aveva da poco ristabilito l'autorità dell'impero bizantino.
Nel 1.281 il papa Martino IV diede la sua approvazione a tale impresa: i francesi di Carlo sbarcarono a Durazzo e da lì proseguirono per terra, mentre i Veneziani scelsero la strada del mare. Tuttavia, dopo i Vespri Siciliani del 31 marzo 1.282 istigati da Michele VIII, Carlo si vide costretto a rientrare. Questa, comunque, fu l'ultima spedizione intrapresa contro Bizantini o musulmani in Oriente. Nel 1.291, quando alcuni cristiani attaccarono una carovana siriana provocando la morte di 19 mercanti musulmani, il sultano mamelucco Khalīl (al-Malik al-Ashraf) richiese un risarcimento per questo incidente. Visto che le sue richieste rimasero inascoltate, il Sultano decise di porre sotto assedio Acri, ultimo avamposto crociato in Terra Santa, lo stesso anno. La città cadde dopo 43 giorni di resistenza. Dopo il massacro di 60.000 prigionieri, Khalīl continuò nella sua conquista della Palestina, cancellando qualsiasi traccia del dominio crociato.

Dal 1.272 - Inizia la casata dei Borboni. Il Borbonese (in francese Bourbonnais, in occitano Borbonés o Barbonés) è un'antica provincia della Francia, oggi corrispondente al dipartimento dell'Allier ed a parte dello Cher. Il suo primo signore noto fu Ademaro (o Aimaro), nel X secolo. Acquisì il castello di Bourbon (oggi Bourbon-l'Archambault) che dette il nome alla sua famiglia, la Casa di Borbone. La prima casa di Borbone si estinse alla fine del Duecento con la morte di Arcibaldo VIII, che lasciò una sola ereditiera, Mahaut di Borbone il cui marito, Guy II di Dampierre, aggiunse Montluçon ai possedimenti della famiglia, estesi verso le rive dello Cher nel corso dell'XI e XII secolo. La seconda casa di Borbone ebbe inizio nel 1218 con Arcibaldo IX, figlio di Guy II di Dampierre e Mahaut di Borbone, poi con Arcibaldo X, il loro nipote. Quest'ultimo morì a Cipro nel 1249, nel corso di una crociata, e il Borbonese passò così alla casata di Borgogna. Nel 1272, Beatrice di Borgogna (1258-1310), dama di Borbone, sposò Roberto di Francia (1256-1318), conte di Clermont, figlio del re San Luigi, dando inizio alla grande casata dei Borboni che guidò il Regno di Francia a partire da Enrico IV. I Borbone si erano alleati al potere reale, avevano messo le loro forze al servizio del re, data anche l'importanza della posizione geografica del Borbonese, situato tra i domini reali e i ducati di Alvernia e Aquitania. Tale alleanza, come il matrimonio tra Beatrice e Roberto di Francia, facilitarono la prosperità della regione, che nel 1327 fu eretto a ducato-parìa dal re Carlo il Bello. Nel 1531 il ducato del Borbonese fu unito alla Corona di Francia, dopo la defezione del conestabile di Borbone e trasformato in gouvernement, con capoluogo Moulins. Nel 1790, appena dopo la Rivoluzione francese, al pari delle altre province storiche francesi il Borbonese cessò di esistere come entità propria e confluì nel nuovo dipartimento dell'Allier (eccetto Saint-Amand-Montrond, che divenne parte dello Cher) assieme ad alcune enclavi dell'Alvernia (Cusset, Gannat, Saint-Pourçain-sur-Sioule).

Aquila bicipite, a due teste, da
Costantino il Grande emblema
dell'impero Romano, d'Oriente
e d'Occidente. "Byzantine eagle"
di Colossus - Colossus. Con licenza
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Nel 1.273 - Gli Asburgo ottengono la dignità imperiale. La Casa d'Asburgo (o Absburgo, italianizzazione dal tedesco Habsburg o Hapsburg), è una delle più importanti ed antiche case regnanti in Europa. Il nome deriva da Habichtsburg (il "Castello dell'Astore") in Argovia, (Aargau, in Svizzera) che fu sede della famiglia nel XII e XIII secolo. I suoi membri sono stati reggenti in Austria come duchi (1.282-1.453), arciduchi (1.453-1.804) e imperatori (1.804-1.919); re di Spagna (1.516-1.700); re di Portogallo (1.580-1.640); e per molti secoli imperatori del Sacro Romano Impero (dal 1.273 al 1.291 e dal 1.298 al 1.308 e infine, quasi ininterrottamente, dal 1.438 fino al 1.806). Il motto della dinastia è A.E.I.O.U., in genere interpretato come Austriae est imperare orbi universo ("spetta all'Austria regnare sul mondo"). L'aquila bicipite è, in araldica, l'aquila con due teste separate fin dal collo e rivolte una verso destra ed una verso sinistra. Generalmente la si pone nel capo d'oro, detto capo dell'Impero. Infatti l'aquila bicipite identifica l'unione di due imperi. L'aquila bicipite fu adottata come stemma imperiale per la prima volta dall'imperatore romano Costantino I, detto il Grande, e rimase poi come stemma nell'Impero romano d'oriente fino all'ultima dinastia di imperatori bizantini: quella dei Paleologi. Oggi, la Chiesa ortodossa greca usa l'aquila bicipite come eredità dei bizantini. Lo stesso stemma fu poi usato dagli Arsacidi, re d'Armenia, e più avanti dagli Asburgo, imperatori d'Austria, e dai Romanov, zar di tutte le Russie. Anche i re di Serbia, i principi di Montenegro, e l'eroe albanese della resistenza contro i turchi ottomani, Giorgio Castriota Scanderbeg, adottò l'aquila bicipite come emblema. L'aquila bicipite fu adottata anche in Oriente, per il regno di Mysore nell'India. Secondo alcuni autori una testa rappresenta l'Occidente e l'altra l'Oriente, in particolare le due metà dell'Impero bizantino, una in Europa e una in Asia. La questione delle origini della dinastia degli Asburgo è assai controversa poiché, data la sua antichità, si perde nella notte dei tempi e una sua sicura ricostruzione è difficoltosa. Purtuttavia, ponendo come ormai certo capostipite il Conte di Alsazia Guntram il Ricco, i suoi più sicuri antenati sono considerati gli Eticonidi, discendente da Eticone d'Alsazia. Con Werner II conte di Alsazia, figlio di Radbod e nipote di Guntram, apparve per la prima volta la denominazione della Casa d'Asburgo, da un castello fatto costruire in Argovia da Werner, chiamato Habichtsburg, da cui Hapsburg o Habsburg. Werner I acquisì il titolo di conte di Asburgo, dopo il 1.082. Nel 1.273, con Rodolfo I, gli Asburgo guadagnarono la dignità imperiale, ottenendo l'Austria, la Stiria e la Carniola; la nomina però non fu riconosciuta da Ottocaro II di Boemia che contestò la cessione delle regioni reclamate dall'Imperatore. Allora lo scontro fu inevitabile, ed ebbe la meglio Rodolfo I, che riuscì a strappare al rivale il possesso della Marca Orientalis. Dal sud-ovest della Germania, la famiglia estese poi la sua influenza ed i suoi possedimenti nei territori del Sacro Romano Impero verso est, nell'odierna Austria (1.278-1.382). In poche generazioni, la famiglia riuscì ad impossessarsi del trono imperiale, che tenne in distinti periodi (1.273-1.291 e 1.298-1.308, 1.438-1.740 e 1.745-1.806). Il figlio di Rodolfo I, Alberto I, divenuto nel 1.298 re dei romani, consolidò i propri domini; così in poche generazioni la famiglia riuscì ad impossessarsi del trono imperiale, che fino al 1740 tenne quasi ininterrottamente e che, dopo il breve interregno di Carlo VII di Wittelsbach, passò alla neonata dinastia degli Asburgo-Lorena. Al figlio di Alberto I, succedettero Alberto III dalla Treccia e Leopoldo III il Prode, con i quali la famiglia si divise in due linee ereditarie. La linea albertina si estinse con Ladislao il Postumo nel 1.457; mentre quella leopoldina perdurò negli anni. Federico I di Stiria, nipote di Leopoldo III e imperatore col nome di Federico III (1.452-1.493), riunì i vari possedimenti asburgici sotto un'unica bandiera ed elevò l'Austria ad Arciducato, grazie ai documenti passati alla storia con il nome di Privilegium maius. Il figlio Massimiliano I (imperatore dal 1.493 al 1.519) diede inizio alla serie di matrimoni che fecero degli Asburgo la più potente dinastia d'Europa (Tu, felix Austria, nube, frase attribuita a Mattia Corvino, re d'Ungheria); le nozze con Maria di Borgogna, erede dei possedimenti borgognoni, e quelle del figlio Filippo d'Asburgo detto il Bello con Giovanna la Pazza, erede di Castiglia e Aragona, permisero al primogenito, futuro Carlo V, di ereditare il più vasto impero della terra, un impero dove "non tramonta mai il sole". Il fratello di Carlo V, Ferdinando I, sposò nel 1.521 Anna Jagellona, erede di Boemia e Ungheria.

Francesco Hayez: "Vespri siciliani"
Nel 1.282 - Si combattono a Palermo i Vespri siciliani, un evento storico che darà avvio a una serie di guerre chiamate "guerre del Vespro" per la conquista della Sicilia, conclusesi con il trattato di Avignone del 1372. Dopo la morte di Corrado Hohenstaufen, la sconfitta di Manfredi a Benevento e la decapitazione a Napoli, il 29 ottobre 1.268, dell'ultimo e pericoloso pretendente svevo, Corradino  Hohenstaufen, il Regno di Sicilia era stato definitivamente  assoggettato al sovrano francese Carlo I d'Angiò. Papa Clemente IV, che il 6 gennaio 1.266 aveva già incoronato Carlo re di Sicilia e sperava così di poter estendere la propria influenza all'Italia meridionale senza dover subire i veti precedentemente imposti dagli svevi, dovette rendersi conto che gli angioini avrebbero perseguito una politica aggressivamente espansionistica: conquistato il meridione d'Italia, le mire di Carlo volgevano infatti già ad Oriente ed a quel che restava dell'impero bizantino. In Sicilia la situazione si era fatta particolarmente critica per una generalizzata riduzione delle libertà baronali e, soprattutto, per una opprimente politica fiscale. L'isola, da sempre fedelissima roccaforte sveva, che dopo la morte di Corradino aveva resistito ancora per alcuni anni, era ora il bersaglio della rappresaglia angioina. Gli Angiò si mostrarono insensibili a qualunque richiesta di ammorbidimento ed applicarono un esoso fiscalismo, praticando usurpazioni, soprusi e violenze. Va segnalato a tal proposito che Dante, che nel 1.282 aveva solo 17 anni, nell'VIII canto del Paradiso, indicherà come Mala Segnoria il regno angioino di Sicilia. I nobili siciliani e in particolare il diplomatico Giovanni da Procida riponevano le proprie speranze in Michele VIII Palaeologo, imperatore bizantino già in contrasto con Carlo I d'Angiò; in Papa Niccolò III, che si era dimostrato disponibile ad una mediazione, ed in Pietro III d'Aragona. Il re d'Aragona, in particolare, era guardato con favore perché sua moglie Costanza, in quanto figlia di Manfredi e nipote di Federico II, risultava l'unica pretendente legittima della casa di Svevia; tuttavia il sovrano aragonese era impegnato nella riconquista di quella parte della penisola iberica ancora in mano agli arabi. Alla fine del 1.280, in concomitanza con la morte di papa Niccolò III e con la guerra che impegnava il Paleologo contro una coalizione di cui facevano parte veneziani ed angioini, i baroni siciliani ruppero gli indugi organizzando una sollevazione popolare che desse un segno tangibile della loro determinazione, convincendo l'unico interlocutore rimasto, Pietro d'Aragona, ad accorrere finalmente in loro aiuto. In quel mentre avveniva l'elezione del papa di origini francesi Martino IV che, eletto proprio grazie al determinante sostegno degli Angiò, si mostrò fin dall'inizio insensibile alla causa dei siciliani. Nell'instabile panorama politico della fine del XIII secolo, la rivolta siciliana, intrecciando l'opposizione al potere temporale dei papi al contenimento dell'inarrestabile ascesa dei loro vassalli angioini, innescherà nel Mediterraneo un vero e proprio conflitto internazionale: da una parte Carlo I d'Angiò, sostenuto da Filippo III di Francia e dai guelfi fiorentini, oltreché dal papato; dall'altra Pietro III d'Aragona, appoggiato da Rodolfo d'Asburgo, da Edoardo I d'Inghilterra, dalla fazione ghibellina genovese, dal Conte Guido da Montefeltro e da Pietro I di Castiglia, oltreché, più tiepidamente, dalle Repubbliche marinare di Venezia e di Pisa. Tutto ebbe inizio in concomitanza con la funzione serale dei Vespri del 30 marzo 1.282, lunedì dell'Angelo, sul sagrato della Chiesa del Santo Spirito, a Palermo. A generare l'episodio fu - secondo la ricostruzione storica - la reazione al gesto di un soldato dell'esercito francese, tale Drouet, che si era rivolto in maniera irriguardosa a una giovane nobildonna accompagnata dal consorte, mettendole le mani addosso con il pretesto di doverla perquisire. A difesa di sua moglie, lo sposo riuscì a sottrarre la spada al soldato francese e a ucciderlo. Tale gesto costituì la scintilla che dette inizio alla rivolta. Nel corso della serata e della notte che ne seguì i palermitani - al grido di "Mora, mora!" - si abbandonarono a una vera e propria "caccia ai francesi" che dilagò in breve tempo in tutta l'isola, trasformandosi in una carneficina. I pochi francesi che sopravvissero al massacro vi riuscirono rifugiandosi nelle loro navi, attraccate lungo la costa. Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che si camuffavano fra i popolani, facessero ricorso a uno shibboleth (parola o espressione che, per le sue difficoltà di suono, è molto difficile da pronunciare per chi parla un'altra lingua o un altro dialetto), mostrando loro dei ceci («cìciri», nella lingua siciliana) e chiedendo di pronunziarne il nome; quelli che venivano traditi dalla loro pronuncia francese (sciscirì), venivano immediatamente uccisi. Dopo Palermo fu la volta di Corleone, Taormina, Messina, Siracusa, Augusta, Catania, Caltagirone e, via via, tutte le altre città. Successivamente, gli insorti richiesero il sostegno del Papa Martino IV, affinché appoggiasse l'indipendenza dell'isola e la patrocinasse; tuttavia, il pontefice era stato eletto al soglio papale grazie all'appoggio dei suoi connazionali francesi e pertanto non accolse le richieste degli isolani, bensì appoggiò l'azione repressiva degli angioini. Carlo I d'Angiò tentò invano di sedare la rivolta con la promessa di numerose riforme; alla fine decise di intervenire militarmente. Si susseguirono una serie di guerre. Infatti Carlo I nel maggio successivo inviò in Sicilia una flotta con 24.000 cavalieri e 90.000 fanti per sedare la rivolta dei siciliani. I nobili siciliani allora offrirono la corona di Sicilia a Pietro III d'Aragona, marito di Costanza, ultima degli Svevi, figlia del defunto Re Manfredi. Carlo fu sconfitto nel settembre 1.282 e, fece ritorno a Napoli, lasciando la Sicilia nelle mani di Pietro III. Ebbe inizio così un ventennale periodo di guerre tra gli angioini e gli aragonesi per il possesso dell'isola.

- Re Edoardo I d'Inghilterra, nipote di Giovanni d'Inghilterra, che aveva fra l'altro conservato anche le terre ed il titolo di duca di Aquitania, sconfigge Llywelyn ap Gruffudd e conquista il Galles nel 1282, mentre nel 1301 crea il titolo di Principe del Galles per il suo figlio maggiore, il futuro Edoardo II d'Inghilterra. Edoardo II lascierà il trono al figlio Edoardo III d'Inghilterra il quale avanzerà delle pretese sul trono di Francia che condurranno alla Guerra dei Cent'anni (1337-1453). L'esito della guerra sarà però sfavorevole agli inglesi, che verranno sconfitti e manterranno solo la sovranità sulla città di Calais.

Statua di Ruggero Bacone nel museo
dell'Università di Oxford (GB). Da CC
Nel 1.286 - L'inglese Ruggero Bacone costruisce i primi occhiali. Ruggero Bacone, in inglese Roger Bacon e ampiamente noto con l'appellativo latino di Doctor Mirabilis (Ilchester, 1214 circa - Oxford, 1294), è stato un filosofo, scienziato, teologo ed alchimista inglese: «Arriveremo a costruire macchine capaci di spingere grandi navi a velocità più forti che un'intera schiera di rematori e bisognose soltanto di un pilota che le diriga. Arriveremo a imprimere ai carri incredibili velocità senza l'aiuto di alcun animale. Arriveremo a costruire macchine alate, capaci di sollevarsi nell'aria come gli uccelli» (Ruggero Bacone, De secretis operibus artis et naturae IV). 

La Valacchia in Romania, da: http://
www.terraeasfalto.it/romania-transilva
nia-maramures-e-tutto-quello
-che-verra/
Nel 1.290 - Alla fine del XIII secolo, dalla confusione lasciata nei Balcani quando l’Impero Romano d’Oriente lentamente si sbriciolava, emergeva la Valacchia (attualmente nella Romania) come nuovo soggetto politico. Una leggenda dice che Negru-Vodă, un principe rumeno di stirpe turco-cumana, venne dal sud della Transilvania (da Făgăraș) e fondò il nuovo principato di Valacchia (Vlahia o Țara Româneascǎ), che diventerà uno stato di fatto indipendente nel 1330 sotto Basarab I (1310 - 1352). C'è chi suppone come Negru-Vodă e Basarab I fossero in realtà la stessa persona.

Monumento a Guglielmo
Tell ad Altdorf, da: https://
Nel 1.291 - Nasce la Confederazione Elvetica. Con Vecchia Confederazione si indicano le varie forme assunte dalla Confederazione Elvetica tra il 1291 (anno dell'alleanza tra Uri, Svitto e Untervaldo) e il 1798 (anno dell'invasione delle truppe napoleoniche e creazione della Repubblica Elvetica). Il testo del primo accordo del 1291, tuttavia, afferma di rinnovare «con il presente accordo l'antico patto pure conchiuso sotto giuramento» e che fosse «opera onorevole ed utile confermare, nelle debite forme, i patti della sicurezza e della pace», patti dei quali si è però persa ogni traccia. Da ciò si presume che l'effettiva nascita dell'antica confederazione sia d'epoca ancora precedente a quella convenzionale. Secondo la leggenda, Guglielmo Tell nacque e visse a Bürglen nel Canton Uri, a ridosso del massiccio del San Gottardo. Tell, padre di famiglia, cacciatore abile nell'uso della balestra, il 18 novembre 1307 si recò nel capoluogo regionale, Altdorf. Mentre passava sulla pubblica piazza, ignorò il cappello imperiale fatto fissare in cima ad un'asta, alcuni mesi prima, dal balivo (Balivo, dal latino baiulivus, forma aggettivale di baiulus, "portatore", è il nome di un funzionario, investito di vari tipi di autorità o giurisdizione, presente soprattutto nei secoli passati in numerosi paesi occidentali, principalmente europei) Albrecht Gessler, l'amministratore locale degli Asburgo. Il cappello, simbolo dell'autorità imperiale, doveva assolutamente essere riverito da chiunque passasse. Chi non s'inchinava rischiava la confisca dei beni o addirittura la morte. Siccome Tell non aveva riverito il cappello, si ritrovò nei guai. Il giorno dopo venne citato in piazza; davanti a tutti dovette giustificare il suo agire. In cambio della vita, il balivo Gessler gli impose la prova della mela che, posta sulla testa del figlioletto Gualtierino, avrebbe dovuto essere centrata dalla freccia della sua balestra. La prova riuscì a Tell ma, nel caso qualcosa fosse andato storto, Guglielmo aveva nascosto una seconda freccia sotto la giacca, pronta per il tiranno. Questo costò a Tell la libertà: egli venne arrestato e portato in barca verso la prigione di Küssnacht. Improvvisamente sul lago si scatenò una tempesta e i suoi carcerieri liberarono Tell, abile timoniere, per farsi aiutare. Arrivati vicino alla riva, a metà strada tra Altdorf e Brunnen, Tell con un balzo saltò dalla barca sulla riva e, con una possente spinta, rimandò l'imbarcazione verso il largo. Il terzo giorno, presso Küssnacht, nascosto dietro ad un albero ai lati della «Via cava» che dal Gottardo conduce a Zurigo, Tell si vendicò uccidendo Gessler. Secondo la tradizione, il 1º agosto del 1308 avvenne così la liberazione della Svizzera originaria. Il popolo, venuto a conoscenza delle gesta di Tell, insorse assediando i castelli e cacciando per sempre i balivi dalle loro terre. Inoltre l'arciere avrebbe partecipato alla battaglia di Morgarten a fianco dei Confederati (Uri, Svitto e Untervaldo), conclusasi con la vittoria di questi ultimi contro gli Asburgo nel 1315. Guglielmo Tell visse nel rispetto e nell'ammirazione delle genti fino all'estate del 1354, quando, a causa di una tempesta, l'eroe elvetico sacrificò la sua vita per aiutare un bambino trascinato dal torrente Schächen in piena. Il primo riferimento all'eroe leggendario appare in un manoscritto del 1470, il Libro bianco di Sarnen, compilato dal dotto cavaliere provinciale Hans Schriber per raccogliere cronache e dati storici sulla Confederazione Elvetica. Un'altra fonte per le sue imprese è la Canzone della fondazione della Confederazione, composta da un poeta anonimo e pubblicata per la prima volta nel 1545, la quale racconta la nascita della Confederazione elvetica e cita l'impresa di Guglielmo Tell che, secondo questa fonte, sarebbe stato annegato nel lago di Lucerna dal malvagio Gessler. Ma l'opera più completa che presenta la storia di Tell è la Chronicon helveticum del 1550, opera dello storico Aegidius Tschudi. Lo storico precisa che Tell sarebbe morto annegato nel 1354, ma non perché uccise il balivo, bensì per salvare un bambino caduto nelle fredde acque del fiume Schächen. L'episodio è anche raffigurato in un affresco del 1582 conservato nella cappella di Bürglen, il villaggio nel cantone dal quale era originario Tell.

- Il sultano turco
 mamelucco d'Egitto al-Ashraf Khalil, nel 1291 conquista San Giovanni d'Acri, ultima roccaforte cristiana in Oriente.

- Dal 1.291 Serbia e Bulgaria mantengono relazioni amichevoli con matrimoni fra le rispettive case regnanti. Nel 1296 l'imperatore bulgaro Smilets dà in sposa la figlia Teodora al futuro zar serbo Stefan Uroš III Dečanski. La sorella di Dečanski, Anna Neda era sposata a sua volta con l'imperatore bulgaro Michele III Shishman. Tuttavia, la crescita del regno serbo alla fine del tredicesimo e primo quattordicesimo secolo destò serie preoccupazioni nelle corti reali di Tărnovo (capitale bulgara) e Costantinopoli, infatti mentre entrambi gli imperi avevano numerosi problemi esterni e interni, i serbi si espandevano nel nord della Macedonia.

Giulio C. Bedeschini:
"Celestino V", museo
de l'Aquila, da: https
Nel 1.294 - Il 29 agosto, Celestino V, nato Pietro Angelerio (o secondo alcuni Angeleri), detto Pietro da Morrone e venerato come Pietro Celestino (1209/1215 - 19 maggio 1296), è papa, il 192º della Chiesa cattolica, in carica dal 29 agosto al 13 dicembre 1294. È stato il primo papa ad esercitare il proprio ministero al di fuori dei confini dello Stato Pontificio e il sesto, dopo Clemente I, Ponziano, Silverio, Benedetto IX e Gregorio VI a rinunciare al ministero petrino. Da giovane, per un breve periodo, aveva soggiornato presso il monastero benedettino di Santa Maria in Faifoli, chiesa abbaziale della diocesi di Benevento, dove aveva dimostrato una straordinaria predisposizione all'ascetismo e alla solitudine, ritirandosi nel 1239 in una caverna isolata sul Monte Morrone, sopra Sulmona, da cui il suo nome. Nel 1240 si era trasferito a Roma dove aveva studiato fino a prendere gli ordini sacerdotali. Lasciata Roma nel 1241, era tornato sul monte Morrone, in un'altra grotta, presso la piccola chiesa di Santa Maria di Segezzano. Cinque anni dopo aveva abbandonato anche questa grotta per rifugiarsi in un luogo ancora più inaccessibile sui monti della Maiella, in Abruzzo, dove viveva nella maniera più semplice che gli fosse possibile. Si era allontanato temporaneamente dal suo eremitaggio del Morrone nel 1244 per costituire una Congregazione ecclesiastica riconosciuta da papa Gregorio X come ramo dei benedettini, denominata "dei frati di Pietro da Morrone", che ebbe la sua povera culla nell'Eremo di Sant'Onofrio al Morrone, il rifugio preferito di Pietro e che soltanto in seguito avrebbe preso il nome di Celestini. Nell'inverno del 1273 si era recato a piedi in Francia, a Lione, ove stavano per iniziare i lavori del Concilio di Lione II voluto da Gregorio X, per impedire che l'ordine monastico da lui stesso fondato fosse soppresso. La missione ebbe successo poiché grande era la fama di santità che accompagnava il monaco eremita, tanto che il Papa gli chiese di celebrare una messa davanti a tutti i Padri Conciliari dicendogli che « ... nessuno ne era più degno». Nei successivi vent'anni si affermava la radicalizzazione della sua vocazione ascetica e il suo distacco dal mondo esterno. Ma il 4 aprile 1292 moriva papa Niccolò IV e nello stesso mese si riunì il conclave per eleggere il nuovo papa, che in quel momento era composto da soli dodici porporati: Latino Malabranca Orsini (o Frangipani Malabranca), Matteo d'Acquasparta, Gerardo Bianchi, Giovanni Boccamazza (o Boccamiti), Hughes Seguin de Billon (o Aycelin), Jean Cholet, Benedetto Caetani (il futuro Bonifacio VIII), Pietro Peregrossi (detto Milanese), Giacomo Colonna, Matteo Rubeo Orsini, Napoleone Orsini, Pietro Colonna. Numerose furono le riunioni dei padri cardinali nell'Urbe, ma il sacro collegio non riusciva a far convergere i voti necessari su nessun candidato. Sopravvenne inoltre un'epidemia di peste che indusse allo scioglimento del conclave e nel corso dell'epidemia il cardinale francese Cholet fu colpito dal morbo e morì, per cui il Collegio cardinalizio si ridusse ad 11 componenti. Passò più di un anno prima che il conclave potesse nuovamente riunirsi, perché un profondo disaccordo si era creato circa la sede in cui convocarlo (Roma o Rieti). Finalmente il 18 ottobre 1293 si riuscì a trovare una soluzione sufficientemente condivisa, stabilendo la nuova sede nella città di Perugia. I porporati però non riuscivano ad eleggere il nuovo papa, per la frattura che si era creata tra i sostenitori dei Colonna e gli altri cardinali e il permanere della sede vacante aumentava il malcontento popolare che si manifestava attraverso disordini e proteste, anche negli stessi ambienti ecclesiastici. Si giunse così alla fine del mese di marzo del 1294, quando i cardinali dovettero registrare un evento che stimolò la conclusione dei lavori del conclave. Erano in corso, in quei giorni, le trattative tra Carlo II d'Angiò, re di Napoli e Giacomo II, re di Aragona, per sistemare le vicende legate all'occupazione aragonese della Sicilia, avvenuta all'indomani dei cosiddetti vespri siciliani, del 31 marzo 1282. Poiché si stava per giungere alla stipula di un trattato, Carlo d'Angiò aveva necessità dell'avallo pontificio, la qual cosa era impossibile, stante la situazione di stallo dei lavori del Conclave. Spinto da questa esigenza, il re di Napoli si recò, insieme al figlio Carlo Martello, a Perugia dove era riunito il Conclave, con lo scopo di sollecitare l'elezione del nuovo Pontefice. Il suo ingresso nella sala dove era riunito il Sacro Collegio provocò ovviamente la riprovazione di tutti i cardinali e il re fu cacciato fuori, soprattutto per l'intervento del cardinale Benedetto Caetani. Questa vicenda, con molta probabilità, indusse i cardinali a prendere coscienza del fatto che si rendeva necessario chiudere al più presto la sede vacante. Nel frattempo, Pietro da Morrone aveva predetto "gravi castighi" alla Chiesa se questa non avesse provveduto a scegliere subito il proprio pastore. La profezia fu inviata al cardinale decano Latino Malabranca, il quale la presentò all'attenzione degli altri cardinali, proponendo il monaco eremita come Pontefice; la sua figura ascetica, mistica e religiosissima, era nota a tutti i regnanti d'Europa e tutti parlavano di lui con molto rispetto. Il cardinale decano però, dovette adoperarsi molto per rimuovere le numerose resistenze che il sacro collegio aveva sulla persona di un non porporato. Alla fine, dopo ben 27 mesi, emerse dal conclave, all'unanimità, il nome di Pietro Angelerio del Morrone; era il 5 luglio 1294. L'elezione unanime da parte del Sacro Collegio di un semplice monaco eremita, completamente privo di esperienza di governo e totalmente estraneo alle problematiche della Santa Sede, può forse essere spiegata dal proposito attendista di tacitare l'opinione pubblica e le monarchie più potenti d'Europa, vista l'impossibilità di eleggere un porporato su cui tutti fossero d'accordo. È possibile che i cardinali fossero pervenuti a questa soluzione pensando anche di poter gestire, ciascuno a modo suo, la totale inesperienza del vecchio monaco eremita, guidandolo in quel mondo curiale e burocratico a cui egli era totalmente estraneo, sia per reggere meglio la Chiesa in quel difficile momento, sia per vantaggi personali. La notizia dell'elezione gli fu recata da tre ecclesiastici che, nelle settimane successive, poco prima dell'agosto 1294, salirono sul monte Morrone per annunciare l'elezione a Pietro Angelerio. Uno dei messi, Iacopo Stefaneschi, futuro cardinale, narra così la vicenda nel suo Opus Metricum: apparve « [...] un uomo vecchio, attonito ed esitante per così grande novità» con indosso « [...] una rozza tonaca». Alla notizia dell'elezione, gli occhi gli si velarono di pianto. Lo stesso Stefaneschi narra che quando i messi si inginocchiarono al suo cospetto, lo stesso Pietro da Morrone si prostrò umilmente davanti a loro. Tra la sorpresa e lo sconcerto per l'annuncio che gli recarono, fra' Pietro si volse verso il crocifisso appeso a una parete della sua cella e pregò a lungo. Poi, con grande apprensione e sofferenza, dichiarò di accettare l'elezione. Appena diffusa la notizia dell'elezione del nuovo Pontefice, Carlo II d'Angiò si mosse immediatamente da Napoli e fu il primo a raggiungere il religioso. In sella a un asino tenuto per le briglie dallo stesso re e scortato dal corteo reale, Pietro si recò nella città di Aquila (oggi L'Aquila), dove aveva convocato tutto il sacro collegio. Qui, nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio, fu incoronato il 29 agosto 1294 con il nome di Celestino V. Uno dei primi atti ufficiali fu l'emissione della cosiddetta Bolla del Perdono, bolla che elargisce l'indulgenza plenaria a tutti coloro che confessati e pentiti dei propri peccati si rechino nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio, nella città dell'Aquila, dai vespri del 28 agosto al tramonto del 29. Fu così istituita la Perdonanza, celebrazione religiosa che anticipò di sei anni il primo Giubileo del 1300, ancora oggi tenuta nel capoluogo abruzzese. In pratica, Celestino V istituì a Collemaggio un prototipo del Giubileo, e forse sia lui sia Bonifacio si ispirarono alla leggenda della "Indulgenza dei Cent'Anni" di cui si avevano testimonianze risalenti a Innocenzo III. Il nuovo Pontefice si affidò, incondizionatamente, nelle mani di Carlo d'Angiò, nominandolo "maresciallo" del futuro conclave. Ratificò immediatamente il trattato tra Carlo d'Angiò e Giacomo d'Aragona, mediante il quale fu stabilito che, alla morte di quest'ultimo, la Sicilia sarebbe ritornata agli angioini. Dietro consiglio di Carlo d'Angiò, trasferì la sede della curia da L'Aquila a Napoli fissando la sua residenza in Castel Nuovo, dove fu allestita una piccola stanza, arredata in modo molto semplice e dove egli si ritirava spesso a pregare e a meditare. Di fatto il Papa era così protetto da Carlo, ma anche suo ostaggio, in quanto molte delle decisioni pontificie erano direttamente influenzate dal re angioino. Probabilmente, nel corso delle sue frequenti meditazioni, dovette pervenire, poco a poco, alla decisione di abbandonare il suo incarico. In ciò fu sostenuto anche dal parere del cardinal Benedetto Caetani (il futuro Bonifacio VIII) esperto di diritto canonico, il quale riteneva pienamente legittima una rinuncia al pontificato. In effetti Pietro da Morrone dimostrò una notevole ingenuità nella gestione amministrativa della Chiesa, ingenuità che, unitamente ad una considerevole ignoranza (nei concistori si parlava in volgare, non conoscendo egli a sufficienza la lingua latina) fece precipitare l'amministrazione in uno stato di gran confusione, giungendo persino ad assegnare il medesimo beneficio a più di un richiedente. Circa quattro mesi dopo la sua incoronazione, nonostante i numerosi tentativi per dissuaderlo avanzati da Carlo d'Angiò, il 13 dicembre 1294 Celestino V, nel corso di un concistoro, diede lettura della rinuncia all'ufficio di romano pontefice. Celestino V, bolla pontificia, Napoli, 13 dicembre 1294: «Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della Plebe [di questa città], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all'onere e all'onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale.». Gli storici hanno poi dimostrato che tale formula era già stata utilizzata nelle "Decretali" da Innocenzo III per le rinunce episcopali, mentre altri hanno ipotizzato che una bolla pontificia, contenente tutte le giustificazioni per un'abdicazione del Papa, fosse stata compilata ad hoc proprio dal cardinal Caetani, il quale, vista l'impossibilità di controllare il Papa come aveva auspicato e impedito in questo da Carlo d'Angiò, intravedeva in questa vicenda la possibilità di ascendere egli stesso al soglio pontificio con notevole anticipo sui tempi che egli aveva preventivato al momento in cui aveva aderito all'elezione di Pietro da Morrone. Di fatto l'unica fonte storicamente certa del sommario contenuto della bolla celestiniana rimane ad oggi la decretale Quoniam aliqui inserita nel Liber Sextus per volontà del suo successore Bonifacio VIII. Undici giorni dopo le sue dimissioni, infatti, il Conclave, riunito a Napoli in Castel Nuovo, elesse il nuovo papa nella persona del cardinal Benedetto Caetani, laziale di Anagni. Aveva 64 anni circa e assunse il nome di Bonifacio VIII. Caetani, che aveva aiutato Celestino V nel suo intento di dimettersi, temendo uno scisma da parte dei cardinali filo-francesi a lui contrari, mediante la rimessa in trono dell'eremita, diede disposizioni affinché l'anziano monaco fosse messo sotto controllo, per evitare un rapimento da parte dei suoi nemici filo-francesi. Celestino, venuto a conoscenza della decisione del nuovo papa grazie ad alcuni tra i suoi fedeli cardinali da lui precedentemente nominati, tentò una fuga verso oriente fuggendo da San Germano per raggiungere la sua cella sul Morrone e poi Vieste sul Gargano, per tentare l'imbarco per la Grecia, ma il 16 maggio 1295 fu catturato presso Santa Maria di Merino da Guglielmo Stendardo II, connestabile del regno di Napoli, figlio del celebre Guglielmo Stendardo, detto "Uomo di Sangue". Celestino tentò invano ancora una volta di farsi ascoltare dal Caetani chiedendo di lasciarlo partire, ma il Caetani restò fermo sulle sue decisioni al riguardo. Alcuni storici narrano che Celestino si sia reso conto dell'inutilità delle sue richieste e, mentre veniva portato via, abbia sussurrato una frase, presumibilmente rivolta al Caetani, che poteva quasi essere un presagio: «Otterrai il Papato come una volpe, regnerai come un leone, morirai come un cane», anche se la mitezza d'animo e l'innata bontà di Celestino non sembrano in linea con queste espressioni. Raggiunto dai soldati, questi lo rinchiusero nella rocca di Fumone, in Campagna e Marittima (attualmente nella Provincia di Frosinone), castello nei territori dei Caetani e di diretta proprietà del nuovo Papa. Qui il vecchio Pietro morì il 19 maggio 1296, fortemente debilitato dalla deportazione e dalla successiva prigionia: la versione ufficiale sostiene che l'ottantasettenne sia morto dopo aver celebrato, stanchissimo, l'ultima messa. Fu inizialmente sepolto nei pressi di Ferentino, prima nella chiesa di Sant'Agata e successivamente nella chiesa di Sant'Antonio sita nell'abbazia celestina che dipendeva dalla casa madre di Santo Spirito del Morrone. A proposito della morte si sparsero subito voci e accuse. Sebbene la teoria secondo la quale Bonifacio ne avrebbe ordinato l'assassinio fosse priva di fondamento, di fatto il successore ne ordinò la segregazione che, in qualche modo, lo portò a morte. Bonifacio portò il lutto per la morte del predecessore, caso unico tra i papi, celebrò una messa pubblica in suffragio per la sua anima e diede inizio, poco dopo, al processo di canonizzazione.

Dal 1.296 - A Firenze, i guelfi si suddividono fra bianchi e neri. Firenze, ormai stabilmente guelfa, si divise fra Bianchi, riuniti intorno alla famiglia dei Cerchi, fautori di una moderata politica filo papale, che riuscirono a governare dal 1300 al 1301 e i Neri, il gruppo dell'aristocrazia finanziaria e commerciale più strettamente legato agli interessi della chiesa, capeggiato dai Donati, che salirono al potere con l'aiuto di Carlo di Valois, inviato dal papa Bonifacio VIII. « Queste due parti, Neri e Bianchi, nacquono d'una famiglia che si chiamava Cancellieri, che si divise: per che alcuni congiunti si chiamarono Bianchi, gli altri Neri; e così fu divisa tutta la città » (Dino Compagni, "Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi", Libro I, 25). Le fazioni presero il nome dai due partiti in cui si divideva la città di Pistoia. Dino Compagni e Giovanni Villani raccontano come nella seconda metà del Duecento, all'interno della famiglia fosse nata una lite tra cugini a causa dell'alcol. Non senza sottolineare la proverbiale litigiosità dei Pistoiesi, i due storici fiorentini raccontano come da questione privata si arrivò a una scissione familiare in due rami e due partiti, ai quali si aggregarono gradualmente (tramite il sistema delle consorterie) altre famiglie fino ad avere la città schierata in due partiti che si facevano una strenue lotta: i Bianchi e i Neri. L'etimologia dei nomi è incerta e si pensa che prenda origine da una certa fanciulla chiamata Bianca. Quando le cariche di governo venivano ormai elette a metà tra un partito e l'altro, fu sancita la definitiva esistenza degli schieramenti. La situazione pistoiese era ben nota ai fiorentini, che vi inviavano da tempo un potestà a guidare la città, e che spesso cercavano di avvantaggiarsi da questa situazione di debolezza, intascando denari tramite magistrati poco scrupolosi, che con leggerezza assegnavano multe per le frequenti discordie, sulle cui ammende pecuniarie per legge avevano diritto ad una percentuale. A capo della fazione dei Neri c'era Simone da Pantano, amico di Corso Donati, mentre a capo dei Bianchi c'era Schiatta Amati, imparentato con i Cerchi di Firenze. Entrambi erano esponenti della famiglia Cancellieri. I contendenti o i litigiosi della famiglia che avevano creato disordini in città tra il 1294 e il 1296 vennero esiliati nella vicina città di Firenze dove gli uni, i bianchi, troveranno l'appoggio della famiglia dei Cerchi e gli altri, i neri, della famiglia dei Donati. Successivamente questa divisione si combinò con i dissapori già esistenti tra le due famiglie fiorentine e diede il nome anche alle analoghe fazioni di Firenze. Politicamente la scissione verteva su chi, pur difendendo il Pontefice, non precludeva il ritorno o la necessità dell'imperatore (cioè i guelfi Bianchi) e chi invece trovava indispensabile che il governo dovesse essere affidato al Papa poiché "misso domenici" (mandato dal signore). Nella pratica poi erano gli interessi commerciali e gli odi personali a dettare i veri andamenti di quella che divenne una vera e propria guerra civile. Anche il Machiavelli citò l'episodio nelle sue "Istorie fiorentine". Le principali famiglie di Firenze si schierarono tutte con l'una o l'altra fazione finché giunse il cardinale Matteo d'Acquasparta, legato pontificio, per risolvere la crisi; ma poiché i Bianchi rifiutarono di dimettersi dai loro incarichi, il cardinale legato lasciò la città lanciando l'interdizione su Firenze. Si crearono quindi dei disordini alla fine dei quali il Comune esiliò i principali esponenti delle due fazioni: i Neri, con messer Corso Donati, furono confinati a Castel della Pieve e i Bianchi, fra cui Dante Alighieri, a Sarzana.

Cartina dell'Europa con le aree demografiche nel 1300, le
vie commerciali Veneziane, Anseatiche e Genovesi,
e in nero le città Anseatiche.  
Nel 1.297 - Per risolvere la crisi politica e diplomatica sorta tra la Corona d'Aragona e il ducato d'Angiò a seguito della Guerra del Vespro per il controllo della Sicilia, fu creato il Regno di Sardegna. L'atto di infeudazione, datato 5 aprile 1.297 affermava che il regno apparteneva alla Chiesa e veniva dato in perpetuo ai re della Corona di Aragona in cambio di un giuramento di vassallaggio e del pagamento di un censo annuo. Il Regno di Sardegna, in latino Regnum Sardiniae, Regnum Sardiniae et Corsicae fino al 1.460, fu istituito nel 1.297 (secondo altre fonti nel 1.299) da papa Bonifacio VIII in ottemperanza al Trattato di Anagni del 24 giugno 1.295. Fu conquistato territorialmente a partire dal 1.324 con la guerra mossa dai sovrani Aragonesi contro i Pisani, in alleanza col Regno giudicale di Arborea. Ebbe termine il 17 marzo 1861 con la Proclamazione del Regno d'Italia. La lunga durata della sua storia istituzionale e le varie fasi storiche attraversate fanno sì che comunemente in storiografia si distinguano tre diversi periodi in funzione dell'entità politica dominante: un periodo catalano-aragonese (1.324-1.479), uno spagnolo-imperiale (1.479-1.713) e uno sabaudo (1.720-1.861).

- A Venezia, dal 1.297, a partire dalla Serrata del Maggior Consiglio del 1297, è precluso l'accesso al governo a nuove famiglie. Essendo sopravvissuto lo Stato alla grave minaccia rappresentata dalla congiura del Tiepolo del 1310, Venezia si dà la definitiva forma di repubblica oligarchica, governata da un Patriziato mercantile. La repubblica di Venezia si espanderà nei secoli XIV, XV e XVI in molte isole e territori dell'Adriatico e del Mar Mediterraneo, venendo a comprendere per secoli quasi tutte le coste orientali dell'Adriatico (interamente noto come "Golfo di Venezia"), ma anche le grandi isole di Creta ("Candia" per i veneti dell'epoca) e Cipro, gran parte delle isole greche e del Peloponneso ("Morea" per i veneti dell'epoca). Le sue propaggini arrivano a più riprese fino al Bosforo. Il complesso di questi vasti domini insulari e costieri venne a costituire quello che i veneziani chiamavano lo stato da mar (lett. lo "stato marittimo", contrapposto ai "Domini di Terraferma" e al "Dogado").

- L'inizio del XIV secolo coincide il periodo noto come Seconda Età dell'Oro della cultura bulgara in cui gli artisti e gli architetti bulgari hanno sviluppano un loro stile distintivo, fioriscono letteratura, arte e architettura . La capitale Tărnovo, considerata all'epoca una " Nuova Costantinopoli ", diventa il principale centro culturale del paese e il centro del mondo ortodosso orientale.  

Territori bizantini e belicati turchi in Anatolia nel 1300, da:
https://it.wikipedia.org/wiki/Beilicati_turchi_d%27
Anatolia#/media/File:Anatolia1300.png
- Il Sultanato di Rûm o Sultanato di Nicea o Sultanato di Iconio (dal nome delle due capitali succedutesi nel tempo: Nicea e Iconio, oggi İznik e Konya), è stato il primo impero turco d'Anatolia, creato dalla dinastia dei turchi Selgiuchidi.
Originariamente vassallo dell'Impero selgiuchide (collassato nel 1157) dell'Iran, il sultanato gli sopravvisse, rimanendo quale entità autonoma fino all'invasione mongola e fu attivo dal 1077 al 1307. Siccome la corte del Sultanato era molto mobile, città come Kayseri e Sivas furono a loro volta per certi periodi capitali. Al suo apogeo, il Sultanato si estendeva nell'Anatolia centrale dalla costa di Antalya-Alanya sul Mar Mediterraneo al territorio di Sinope sul Mar Nero. A est, il sultanato assorbì altri Staterelli turchi e raggiunse il Lago di Van. Il suo limite occidentale giungeva a Denizli, fin quasi il bacino del Mar Egeo.
Il termine "Rūm" deriva dalla parola araba usata per Impero Romano. I Selgiuchidi chiamarono le terre del loro sultanato Rūm perché fu stabilito su terre a lungo considerate "romane" (romee), o bizantine.
Il sultanato prosperò, particolarmente tra il tardo XI e il XII secolo quando prese ai bizantini porti strategici sulle coste del Mar Mediterraneo e del Mar Nero. Nell'Anatolia i Selgiuchidi favorirono il commercio con un programma di costruzione di caravanserragli, che facilitarono l'afflusso di beni dall'Iran e dall'Asia Centrale ai porti. Nacquero commerci molto intensi, specialmente con i genovesi in questo periodo. L'accresciuto benessere permise al sultanato di assorbire altri stati turchi stabilitisi in Anatolia dopo la battaglia di Manzicerta: i Danishmendidi, i Saltukidi (Saltuklu) e gli Artuqidi. I sultani selgiuchidi riuscirono con successo a respingere le Crociate, ma nel 1243 dovettero soccombere all'avanzata dei Mongoli. I Selgiuchidi divennero vassalli dei Mongoli, e nonostante gli sforzi di scaltri amministratori per preservare l'integrità dello Stato, il potere del sultanato si disintegrò nella seconda metà del XIII secolo, e scomparve completamente nel primo decennio del XIV (1300-1310). Nei suoi ultimi decenni, il territorio del Sultanato selgiuchide di Rum vide emergere un gran numero di piccoli principati, o beylik, tra i quali c'era l'Osmanoğlu, conosciuto più tardi come Ottomano, che prese il sopravvento.

- Alla fine del Sultanato selgiuchide di Rūm (1300 circa), l'Anatolia fu divisa in una moltitudine di Stati indipendenti, i beilicati turchi d'Anatolia. A quell'epoca l'Impero bizantino, indebolito, aveva perso molte delle province anatoliche a vantaggio dei Beilicati. Uno di essi si trovava nella zona di Eskişehir, nell'Anatolia occidentale, ed era governato dal bey Osman I (da cui deriva la parola "ottomano"), figlio di Ertuğrul. Nel mito della fondazione conosciuto dalla cultura ottomana come "Sogno di Osman", il giovane Osman è ispirato dal sogno premonitore di un grande impero, rappresentato da un imponente albero le cui radici si espandono in tre continenti e i cui rami coprono il cielo; dalle radici si diramano quattro fiumi: il Tigri, l'Eufrate, il Nilo e il Danubio, e l'albero fa ombra a quattro catene montuose: il Caucaso, il Tauro, l'Atlante e i Monti dei Balcani. Una vera e propria allucinazione di Osman I, che durante il suo sultanato, estese in effetti le frontiere del proprio impero fino ai margini di quello bizantino. In questo periodo fu creato un formale governo, le cui istituzioni sarebbero cambiate molto nel corso della vita dell'impero. Il governo utilizzò il sistema dei Millet, per il quale le minoranze religiose ed etniche avevano il permesso di gestire i propri affari con margini di sostanziale autonomia.

I domini della Corona d'Aragona nel 1385.
Nel 1.302 - La pace di Caltabellotta fu il primo accordo ufficiale di pace firmato il 31 agosto 1.302 nel castello della cittadina siciliana fra Carlo di Valois, come capitano generale di Carlo II d'Angiò, e Federico III d'Aragona; tale trattato concluse quella che viene indicata come la prima fase dei Vespri. I Vespri rappresentano una fondamentale tappa della storia siciliana: il lungo legame tra Sicilia e Aragona, che poi diverrà inclusione dell'isola nel regno unificato di fine XV secolo, nasce in questo contesto. Tale legame realizzò l'inserimento della Sicilia nel teatro mediterraneo, in cui la Corona d'Aragona rappresentava l'avversario degli Angioini e del Papa. L'isola divenne inoltre fulcro di interessi commerciali, contesi tra le potenze marittime di quel tempo (Barcellona, Genova, Firenze, Pisa, Venezia). Infine, moltissime famiglie nobili si trasferirono in Sicilia dalla penisola iberica, integrandosi con la nobiltà siciliana e finendo per costituire una componente importante della nobiltà isolana nei secoli successivi. Un altro elemento degno di considerazione è la natura particolare del regno così nato. I ceti siciliani dominanti, attraverso il governo provvisorio, avendo richiesto a Pietro di assumere la corona, si rapportarono agli Aragonesi sempre come interlocutori piuttosto che come sudditi, nel segno di una monarchia "pattista", che avrebbe dovuto tutelare e conservare le tradizioni del Regno e quindi anche la sua origine. Sotto questo aspetto, la monarchia sorta nel 1.282 differisce profondamente da quelle costituite precedentemente sull'isola dai Normanni e dagli Svevi.

Domenico Michelino: "Dante e il suo
Poema" (1465) a S. Maria del fiore,
Firenze.
Dal 1.304 - Dante compone la "Divina Commedia", secondo gli studiosi, fra il 1.304 e il 1.321. Una prima edizione completa di quella che Dante intitolò, probabilmente, "Comedìa", potrebbe essere stata allestita da Iacopo, uno dei suoi figli, nel 1.322, dopo la morte del "Sommo Poeta". 

Nel 1.307 - Il re di Francia, Filippo il bello, ordina l'arresto di tutti i Cavalieri Templari e la confisca dei loro beni. Dopo la caduta di San Giovanni d'Acri nel 1.291, trecento baroni crociati, francesi e germanici, alla guida di Giovanni di Montfort (Maestro dei Templari) sbarcarono a Cipro e qui vissero come monaci eremiti (distribuiti in vari eremi), onorati e tenuti per santi dalla popolazione locale. L'Ordine, comunque, dopo la definitiva perdita degli Stati Latini in Terra Santa, si avviò al tramonto: la ragione fondamentale per la quale era nato, due secoli prima, era ormai venuta meno. Il suo scioglimento, tuttavia, non fu mosso per via ordinaria dalla Santa Chiesa, ma attraverso una serie di accuse infamanti esposte dal re di Francia Filippo IV il Bello, desideroso di azzerare i propri debiti e impossessarsi del patrimonio templare, riducendo nel contempo il potere della Chiesa. Il 14 settembre 1.307 il re inviò messaggi sigillati a tutti i balivi, siniscalchi e soldati del Regno ordinando l'arresto dei templari e la confisca dei loro beni, che vennero eseguite il venerdì 13 ottobre 13.07. La mossa riuscì in quanto fu astutamente avviata in contemporanea contro tutte le sedi templari di Francia; i cavalieri, convocati con la scusa di accertamenti fiscali, vennero tutti arrestati. Le accuse che investirono il Tempio erano infamanti: sodomia, eresia, idolatria. Vennero in particolare accusati di adorare una misteriosa divinità pagana, il Bafometto (o Banfometto, forse la storpiatura in lingua occitana di Maometto). Nelle carceri del re gli arrestati furono torturati finché non iniziarono ad ammettere l'eresia. Il 22 novembre 1.307 il papa Clemente V, di fronte alle confessioni, con la bolla Pastoralis præminentiæ ordinò a sua volta l'arresto dei templari in tutta la cristianità.

Nel 1.308 - Il 12 agosto 1.308 con la bolla Faciens misericordam furono definite le accuse portate contro il Tempio. Il re fece avviare dal 1.308 sino al 1.312, grazie anche alla debolezza di papa Clemente V, diversi processi tesi a dimostrare le colpe dei cavalieri rosso-crociati di Parigi, Brindisi, Penne, Chieti e Cipro. Nel generale clima di condanna ci fu l'eccezione rappresentata da Rinaldo da Concorezzo, arcivescovo di Ravenna e responsabile del processo per l'Italia settentrionale: egli assolse i cavalieri e condannò l'uso della tortura per estorcere confessioni (concilio provinciale di Ravenna, 1.311).

Avignone, il palazzo dei papi.
Nel 1.309 - II papato viene trasferito ad Avignone sotto il «controllo» dei re di Francia. Dal 309 al 377 si verificherà la "cattività avignonese" dei papi, l'autoesilio ad Avignone. In precedenza papa Bonifacio VIII (1.294-1.303) aveva perseguito una decisa riaffermazione dei privilegi e del potere pontificio, sia all'interno degli Stati della Chiesa che in ambito europeo, politica che lo aveva messo in contrasto da un lato con le potenti famiglie feudatarie romane (in particolare i Colonna), dall’altro con i monarchi europei e principalmente con il re di Francia, Filippo IV il Bello. Lo scontro fu durissimo su entrambi i fronti. In ambito interno si vide il temporaneo successo del Papa, culminato con la distruzione di Palestrina, feudo dei Colonna, a cui Sciarra Colonna reagì fermamente sino al punto di oltraggiare il Pontefice con l'episodio noto come schiaffo di Anagni. Lo schiaffo di Anagni, talvolta citato anche come l'oltraggio di Anagni, è avvenuto l'8 settembre 1303 ai danni di papa Bonifacio VIII. Si tratta in realtà non tanto di uno schiaffo materialmente dato, quanto piuttosto di un oltraggio morale, anche se la leggenda attribuisce a Sciarra Colonna l'atto di schiaffeggiare Bonifacio VIII. Secondo il Rendina nel suo "I Papi - storia e segreti" fu Nogaret a schiaffeggiare Bonifacio VIII con il suo guanto di ferro. Tale vicenda è uno degli atti conclusivi del grave dissidio che era sorto da anni tra il Papa ed il re di Francia Filippo IV, detto "il Bello", per definire l'eventuale supremazia del potere spirituale su quello temporale, come auspicato dal Papa stesso. Nel 1303 Guglielmo di Nogaret, membro del Consiglio di Stato di Francia, si trovava in Italia in missione diplomatica per conto di Filippo IV, pare che dovesse notificare al Papa la convocazione di un concilio dei vescovi francesi al Louvre, dove il Papa sarebbe stato sottoposto a un processo. Avuta notizia il 2 settembre 1303 che ad Anagni il Papa avrebbe pubblicato la bolla papale Super Petri solio, con lo scopo di scomunicare il re di Francia Filippo IV, Nogaret si diresse verso la città, unendosi alle forze di Giacomo Colonna, detto "Sciarra". Nogaret e Sciarra, a capo del loro esercito si introdussero ad Anagni poco prima dell'alba del 7 settembre, trovando le porte della città aperte verosimilmente grazie alla complicità di alcuni abitanti della città. Il tradimento da parte degli anagnini sembrerebbe confermato anche dall'appoggio dato dalle autorità e dall'intera cittadinanza alle truppe di Nogaret e Sciarra; il popolo infatti si riunì nella piazza principale per eleggere il proprio capitano, Adinolfo di Mattia, a sostegno degli oppositori del Papa. Nel frattempo i soldati guidati da Sciarra saccheggiarono il quartiere Caetani e assediarono il palazzo in cui si trovava il papa e quello del nipote Pietro II Caetani. Il Pontefice fu trattenuto nell'episcopio annesso alla Cattedrale e sottoposto a varie angherie e privazioni. Sembra, a questo punto, che Guglielmo di Nogaret e il Colonna cercassero di costringere il Papa, oltreché a ritirare la bolla, anche ad abdicare oppure a seguirli a Parigi; i due avrebbero però avuto dubbi ed esitazioni. Accadde così che, dopo due giorni di prigionia, Bonifacio VIII venisse liberato dagli anagnini, che presero le difese del pontefice loro concittadino, ribellandosi ai congiurati. Una volta liberato, il Papa, dopo aver benedetto e ringraziato gli anagnini, rientrò rapidamente a Roma. In ogni caso la morte di Bonifacio, un solo mese dopo questo evento, darà poco tempo dopo il via libera al controllo della Francia sul papato e quindi al trasferimento della sede papale ad Avignone. L'oltraggio riempì di sdegno anche molti avversari della politica di papa Bonifacio VIII, come Dante Alighieri, che, nella Divina Commedia, considerò l'offesa come rivolta a Cristo stesso (Purgatorio, Canto XX, vv. 85-90). Trentaquattro giorni dopo tale episodio (11 ottobre 1.303), Bonifacio VIII morì, per calcolosi renale. Il suo successore Benedetto XI (1.303-1.304) si trovò in una situazione difficile: Filippo il Bello era infatti in aperta ribellione all’autorità pontificia e minacciava sia di convocare un concilio del clero francese in cui proclamare l’autonomia della chiesa francese da Roma sia di istituire un processo post-mortem in cui far dichiarare pubblicamente Bonifacio VIII eretico, simoniaco, occultista e servitore del diavolo. I nobili romani intanto avevano iniziato di nuovo a dilaniarsi in guerre intestine che rendevano malsicura la Città eterna nonché l'incolumità del Pontefice. Benedetto XI non ebbe modo di intervenire, morendo improvvisamente a Perugia dopo solo otto mesi di pontificato. L'insicurezza di Roma suggerì al Sacro Collegio di tenere il conclave a Perugia, che durò ben undici mesi, lunghezza dovuta all'incertezza dei cardinali sulla linea che la Chiesa avrebbe dovuto seguire e di conseguenza quale candidato eleggere: alcuni cardinali propendevano per un ritorno alla politica di forza di Bonifacio VIII, altri per una via più conciliante che, rassicurando il re di Francia, scongiurasse lo scisma gallicano ma soprattutto il processo a Bonifacio VIII. Lasciare che il clero francese giudicasse un Papa e lo dichiarasse eretico, avrebbe costituito un pericoloso precedente. Alla fine prevalse la linea accomodante e fu eletto il francese Bertrand de Got, che prese il nome di Clemente V (1.305-1.314), che non era presente al conclave; si trovava infatti a Bordeaux, città di cui era arcivescovo. Il nuovo Papa chiese ai cardinali di raggiungerlo a Lione per l'incoronazione, come già Callisto II era stato incoronato nella vicina Vienne.
Filippo IV il Bello, dal Museo
storico di Versailles. https:
I cardinali acconsentirono e dopo la cerimonia, Clemente V fece ritorno a Bordeaux. Come previsto dai cardinali, Filippo il Bello si mostrò  accomodante col Pontefice e nel 1.307 gli propose di barattare il processo  a Bonifacio VIII con la distruzione dell'Ordine templare, i cui beni e i crediti che vantavano nei suoi confronti, suscitavano l'interesse del monarca. Clemente accettò, ma si rese conto che in un simile frangente era necessario sia riaffermare l'indipendenza della  Santa Sede che tenere i contatti col sovrano francese e nel 1.309 dunque, si spostò da Bordeaux (che era sotto il dominio del re di Inghilterra) ad Avignone, che era proprietà dei d'Angiò, sovrani di Napoli (da cui ottenne il permesso ad insediarsi dopo aver pagato loro la somma di 80.000 fiorini) e che si trovava assai vicino al Contado Venassino, feudo pontificio. Il Papa qui poteva sentirsi a casa propria ed allo stesso tempo era vicino ai luoghi ed ai personaggi intorno a cui si giocavano i destini della Chiesa. Oltre a queste considerazioni, le relazioni provenienti da Roma circa l'ordine pubblico sconsigliavano il ritorno del Pontefice nella sua sede storica. Se da un lato non è possibile conoscere le intenzioni di Clemente V circa il ritorno a Roma, dall'altro i molti interventi sulla Città eterna e l'Italia in generale lasciano pensare che i Pontefici considerassero transitoria la sede di Avignone.

Nel 1.312 - L'Ordine dei Cavalieri Templari è ufficialmente soppresso con la bolla Vox in excelso del 3 aprile 1.312 ed i suoi beni trasferiti ai Cavalieri Ospitalieri il 2 maggio seguente (bolla Ad providam). Jacques de Molay, l'ultimo gran maestro dell'Ordine, il quale in un primo momento aveva confermato le accuse, le ritrattò spinto da un'ultima fiammata di orgoglio e dignità, venendo arso sul rogo assieme a Geoffrey de Charnay il 18 marzo 1.314 davanti alla cattedrale di Parigi, sull'isola della Senna detta "dei giudei".

- Dopo la vittoria di Rozhanovce del 15 giugno 1312, Carlo I Martello d'Angiò riesce ad assumere il controllo del Regno d'Ungheria imponendosene Signore e padrone. Nato a Napoli l'8 settembre del 1271 e mortovi il 12 agosto del 1295, primogenito di Carlo II e di Maria Arpad d'Ungheria, Re d'Ungheria, Carlo I Martello era destinato al trono magiaro per diritto: sua madre era figlia di Stefano V e sorella di Ladislao V, ultimo rappresentante della dinastia arpade, deceduto senza prole. Formalmente eletto Re ed incoronato ad Aix nel 1292, non occupò mai realmente il trono, cui sedette Andrea III, di un ramo minore della stessa famiglia. Il titolo di Carlo, comunque, passò al figlio Caroberto, ma i venti di guerra che scossero l'Ungheria avevano preso a spirare già nella stagione degli Arpadi, quando il Regno si era esteso a Sud e ad Est dei Carpazi favorendo la nascita degli Stati cuscinetto di Tartaria, Serbia e Secondo Impero bulgaro. Per effetto della crisi dinastica, tuttavia, i Banati di Valacchia, Oltenia, Moldavia e Bosnia si erano emancipati trasformandosi in Despotati autonomi e furono in seguito gli Angioini ad avviare le campagne politiche e militari a rilancio dell'egemonia della corona: il 14 gennaio del 1301, morto Andrea III, Carlo Roberto I cinse la tiara: benché sostenuto da Bonifacio VIII che, in appoggio alla sua consacrazione, inviò il Cardinale Niccolò Boccasini e benché fosse discendente di Stefano V, egli rinunciò alla corona per le pressioni esercitate da Venceslao II di Boemia. Ancorchè non annoverato nella successione ufficiale, costui la mantenne fino al 1305, anno in cui cedette i propri diritti ad Ottone III di Baviera. Un'insurrezione popolare consentì a Carlo di far valere le proprie ragioni a Buda, il 15 giugno del 1309, ma l'incoronazione fu considerata illegittima fino al 20 agosto del 1310 quando, secondo tradizione, fu consacrato a Székesfehérvàr dal Primate di Esztergom. Nel triennio successivo, tuttavia, contro il suo insediamento si aprirono vari fronti di rivolta e solo dopo la vittoria di Rozhanovce del 15 giugno del 1312, riuscì ad assumere il controllo del Regno imponendosene Signore e padrone.

Rappresentazione dell'esecuzione
di Jacques de Molay.
Nel 1.314 - L'ultimo Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Jacques de Molay muore sul rogo, a Parigi, per ordine del re Filippo IV (Filippo il Bello) di Francia. 
Da http://cedocsv.blogspot.it/2010/04/la-maledizione-dei-templari.html di Guido Araldo: "La leggenda affascinante dei templari narra anche di una terribile maledizione lanciata dall'ultimo Gran Maestro, Jacques de Molay, mentre bruciava sul rogo, la maledizione dei Templari: Dopo il tremendo colpo sferrato a sorpresa nel 1.307 dal re di Francia, lenta fu l’agonia della “Militia Templi” che nel 1.311 era praticamente finita. In Inghilterra era convinzione comune che i Templari fossero stati così denigrati e coperti d’infamia da non potersi più riscattare. A quei tempi non spettava all’accusa dimostrare la colpevolezza, ma la difesa produrre le prove dell’innocenza. A questo punto lo scioglimento dell’Ordine era inevitabile! Il 18 marzo 1.314, Jacques Molay e Goffredo di Charney, precettore di Normandia e custode della Sacra Sindone, salirono sul rogo approntato su un'isoletta della Senna a Parigi, dove ora sorge Notre Dame, con altri due alti funzionari del Tempio. Abbandonarono per sempre i loro bianchi mantelli, frettolosamente arrotolati, e furono legati a un palo, come gli eretici peggiori. Secondo una leggenda che non tramonterà mai, sul rogo il sovrano maestro dei Templari lanciò una maledizione: avrebbe chiamato Clemente V e Filippo il Bello dinanzi al Tribunale di Dio: il papa entro 40 giorni, il re entro 40 settimane. E così accadde. Clemente V morì il 20 aprile, meno di un mese dopo, il 12 aprile, a Roquemare. Una morte senza gloria: per un’infezione intestinale. Quel giorno, a piangerlo, furono soltanto i suoi parenti che aveva coperto d’oro, impunemente. Il suo pontificato fu indubbiamente il trionfo della simonia e del commercio delle cariche ecclesiastiche. Filippo “il Bello” lo avrebbe seguito il 29 novembre, otto mesi dopo: un’agonia straziante dopo una caduta da cavallo a Fontainebleau. Da quel momento cominciò a prendere piede la leggenda della maledizione templare. Si diffuse la voce che la notte successiva al rogo del De Molay un piccolo gruppo di sette “liberi muratori”, guidati da un templare, avesse raggiunto il luogo del supplizio. Un convegno misterioso. Pare che quel manipolo di audaci scagliò pugni di polvere in direzione del palazzo del re, pronunciando la terribile maledizione del Machenach: la stessa mormorata dalle labbra dei carpentieri quando fu ucciso Chiram Abiff, architetto del re Hiram di Tiro, il maestro costruttore che progettò il tempio di Salomone. Un legame misterioso legava i Cavalieri dai bianchi mantelli ai liberi muratori, che avevano per maestro il biblico architetto conoscitore dei segreti delle piramidi: un legame che aveva reso possibile, in Europa, il trionfo delle cattedrali gotiche. Un segreto custodito ermeticamente all’ombra di un’acacia sempreverde. Ad ogni modo sembrò davvero che una maledizione perseguitasse i discendenti di Filippo il Bello. Ai suoi tre figli il destino riservò una sorte infausta: morirono giovani, uno dopo l’altro. Più nessuno di loro regnava in Francia pochi anni dopo, nel 1.328. Dapprima toccò a Luigi X “l’Attaccabrighe”; poi a Filippo V “il Lungo” e infine a Carlo IV, che raggiunse suo padre nella tomba all’età di 34 anni, dopo cinque anni di regno. Con la morte di Carlo IV il trono di Francia si trovò senza eredi maschi, sebbene i tre figli di Filippo il Bello avessero giaciuto con sei mogli. A corte, a succedere ai genitori, c’erano soltanto bambine. In questo modo si estinse la secolare casata dei Capetingi. Il trono, a questo punto, spettava a Giovanna: figlia maggiore di Luigi X “l’Attaccabrighe”, ma fu prontamente esautorata dallo zio Filippo di Valois, fratello di Filippo IV “il Bello”, che si fece incoronare re con il nome di Filippo V, come se il figlio di suo fratello, “il Lungo”, che aveva preso quel nome regale prima di lui, non fosse mai esistito. Subito dopo la cerimonia dell’incoronazione il nuovo re si preoccupò di convocare un'assemblea di notabili e professori dell'Università di Parigi, i quali sancirono il suo diritto al trono in base a una legge istituita per l'occasione: la “legge salica”. Secondo questa legge una donna non poteva regnare in Francia. Un ostacolo insormontabile, per le generazioni future, alla successione femminile sul trono di Francia e, in seguito, anche su quello d'Italia. Tutto sembrava a posto, invece il sedicenne Edoardo III d'Inghilterra, figlio d’Isabella e nipote di Filippo “il Bello”, non accettò quella che definì “l’usurpazione dello zio” e fece udire la sua voce rivendicando per sé l’ambito trono di Francia. Affascinante la prospettiva! Un regno esteso dai Pirinei e dal Mediterraneo al Vallo Caledonico e all’Irlanda. Un regno potentissimo che, se attuato, avrebbe sconvolto l’Europa. E con questa rivendicazione cominciò la “Guerra dei Cent’anni”: il più lungo conflitto che la storia ricordi. Devastò la dolce Francia per un secolo, in compagnia del flagello della peste. Restò nel vento l’esoterismo dei templari. A volte basta una frase misteriosa a destare un’intensa curiosità. Ad esempio, che c'entra con i Templari “Sator arepo tenet opera rotas”? Una frase che si può leggere in tutti i sensi: da destra e da sinistra, anche a ritroso, con le parole disposte a formare un quadrato magico.
Una composizione molto antica, probabilmente magica. La più remota rappresentazione nota risale al 260 a.C., nel mosaico di una villa a Duoro-Europos, in Asia, sull’Eufrate, nell’estremo confine orientale dell’Impero Romano. Un altro suo ritrovamento importante è a Pompei, in una palestra; ma è documentata anche su una parete del duomo di Siena e, soprattutto, in molti castelli templari, come quello di Gisors. Fin dove spinse l’esoterismo templare molte volte raffigurato con immagini dualistiche, come due cavalieri su un unico cavallo? Veramente i cavalieri dai bianchi mantelli teorizzarono l’esistenza di due Messia: Gesù e Giuda? Come pure troviamo ricorrenti i due Giovanni: il Battista, quello dell’equinozio d’estate, e l’Evangelista, quello dell’equinozio d’inverno. E vero che rinnegavano san Pietro e san Paolo, definiti eresiarchi della peggiore specie? E poi, per quale motivo la croce era vilipesa nei loro riti? Quali verità i Templari avevano scoperto a Gerusalemme? Avevano davvero elaborato una nuova teologia dualistica, neoplatonica, addirittura pagana? Domande destinate a restare senza risposte! Di certo papa Clemente V cambiò improvvisamente opinione sul loro conto: se prima esternava la sua convinzione che i cavalieri dai bianchi mantelli fossero innocenti dalle accuse ascritte, improvvisamente volle cancellare quell’ordine cavalleresco, e addirittura autorizzò le peggiori torture durante gli interrogatari, come la bruciatura dei piedi finché le ossa fossero state scoperte! Cos’era emerso di tanto pericoloso? Al di là di molte e suggestive ipotesi pare legittima l’ipotesi di una comunanza gnostica tra Albigesi, Templari e Assassini. Di certo furono sicuramente in contatto tra loro. La setta degli Ismaeliti, l’albero portante degli Assassini, conosceva sette gradi di perfezione ed era caratterizzata da una palese opposizione all’autorità dogmatica dell’Islam. Pare che anche i Templari avessero sette gradi al loro interno e avessero sviluppato un’indubbia sofferenza verso i dogmi ecclesiastici. Presso gli “onesti Companions” ai tre gradi di Apprendista, Compagno d’Arte e Maestri andavano aggiunti i quattro gradi di “purificazione”: della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuoco. I sodalizi Templari, impregnati dalla gnosi della “Gaia Scienza d’Amore”, adottarono la segretezza dei misteri antichi e svilupparono per primi, in Occidente, le tecniche iniziatiche obliate con l’avvento del Cristianesimo, un tempo remoto in uso in Egitto, presso l’Antica Grecia e nelle scuole pitagoriche. Ad ogni modo, accantonando esoterismo e comunanza gnostica, la cancellazione dell’Ordine del Tempio avvantaggiò incommensurabilmente i banchieri toscani. Era giunto il loro turno per gestire la riscossione di tasse e decime pontificie in tutta l’Europa e, anche, di amministrare le tesoriere di molti re, soprattutto a Parigi e Londra: il loro agente in Francia, Noffo Dei, aveva svolto un ottimo “lavoro”. Squin de Florian e Noffo Dei, poi gran maestro degli Ospitalieri, oggi cavalieri di Malta, furono additati come i Templari traditori che tramarono per affossare l'ordine del Tempio.

- Da “Il Santo Graal” di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, 1982 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, da pg.68: "Tuttavia, l'Ordine non cessò di esistere. Anzi, sarebbe stato sorprendente se questo fosse accaduto, dato il grande numero dei cavalieri che erano rimasti all'estero o che erano stati assolti. Filippo aveva cercato di influenzare gli altri sovrani, nella speranza di far sì che in tutta la cristianità non rimanesse un solo Templare. Anzi, lo zelo dimostrato dal re in questa occasione è quasi sospetto. Si può capire che aspirasse a liberare i suoi domìni dalla presenza dell'Ordine; ma perché teneva tanto a sterminare anche i Templari insediati altrove? Filippo non era certamente un modello di virtù; ed è difficile immaginare che un monarca responsabile della morte di due papi fosse molto turbato da eventuali violazioni della fede. Filippo aveva semplicemente paura di essere vittima di una vendetta se l'Ordine fosse rimasto indenne fuori dalla Francia? Oppure c'era qualche altra ragione? Comunque, il suo tentativo di eliminare i Templari anche all'estero non riuscì come sperava. Il genero di Filippo, Edoardo II d'Inghilterra, ad esempio, all'inizio si levò in difesa dell'Ordine. Alla fine, sottoposto a pressioni da parte del papa e del suocero, accolse le loro richieste, ma solo in parte e senza molto impegno. Pur avendo quasi tutti i Templari in Inghilterra il tempo di fuggire, parecchi furono arrestati. Tuttavia, quasi tutti subirono lievi condanne; spesso si trattava di pochi anni di penitenza in abbazie e monasteri, dove vivevano piuttosto comodamente. Le loro terre furono assegnate ai Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni; ma personalmente non subirono le feroci persecuzioni che avevano colpito i loro confratelli in Francia. Altrove, l'eliminazione dei Templari incontrò difficoltà ancora più grandi. La Scozia, ad esempio, a quei tempi era in guerra con gli Inglesi, e la situazione caotica lasciava poche possibilità di mettere in pratica certi adempimenti legali. Perciò le Bolle papali che scioglievano l'Ordine non furono mai rese pubbliche in Scozia, e di conseguenza in Scozia l'Ordine non fu mai sciolto. Molti Templari inglesi e, sembra, anche francesi trovarono rifugio in Scozia, e si sa che un loro contingente combattè a fianco di Robert Bruce nella battaglia di Bannockburn nel 1314. Secondo una leggenda - suffragata da diverse prove - l'Ordine sopravvisse in Scozia ancora per quattro secoli. Con gli scontri del 1688-91, Giacomo II d'Inghilterra fu deposto da Guglielmo d'Orange. In Scozia, i sostenitori del sovrano Stuart insorsero e, nella battaglia di Killiekranke, combattuta nel 1689, John Claverhouse, visconte di Dundee, morì sul campo. Quando fu ritrovato il suo cadavere, si scoprì che portava la Gran croce dell'Ordine del Tempio: un'insegna che non era recente, anzi risaliva a prima del 1307 (Waite, New Encyclopaedia of Freemasonry, vol.2 pg. 223). Nella Lorena, che a quei tempi faceva parte della Germania e non della Francia, i Templari ebbero l'appoggio del duca. Alcuni furono processati ma assolti. Moltissimi, sembra, obbedirono al loro precettore, che ordinò loro di tagliarsi la barba, indossare abiti secolari e mimetizzarsi tra la popolazione.
Nella Germania vera e propria, i Templari sfidarono apertamente i loro giudici, minacciando di prendere le armi. Intimiditi, i giudici li proclamarono innocenti; e quando l'Ordine fu sciolto ufficialmente, molti Templari tedeschi entrarono negli Ospitalieri di San Giovanni o nei Cavalieri Teutonici. Anche in Spagna i Templari resistettero ai persecutori e trovarono rifugio in altri ordini.
In Portogallo, l'Ordine fu scagionato da un'inchiesta e si limitò a modificare il proprio nome, assumendo quello di Cavalieri di Cristo. Sotto questa nuova etichetta, continuò a esistere fino al XVI secolo, dedicandosi ad attività marinare. Vasco da Gama era un Cavaliere di Cristo, e il principe Enrico il Navigatore era Gran maestro dell'Ordine. Le navi dei Cavalieri di Cristo portavano il simbolo tradizionale della croce patente rossa. E sotto la stessa insegna le tre caravelle di Cristoforo Colombo attraversarono l'Atlantico e raggiunsero il Nuovo Mondo. In quanto a Colombo, aveva sposato la figlia di un ex Cavaliere di Cristo e aveva avuto modo di consultare le carte e i diari dello suocero.
Quindi, in molti modi diversi, i Templari sopravvissero all'attacco sferrato il 13 ottobre 1307. E nel 1522 i Cavalieri Teutonici, progenie prussiana dei Templari, ritornarono alla stato laicale, ripudiarono la sottomissione a Roma e si schierarono a sostegno di un eretico ribelle che si chiamava Martin Luterò. Due secoli dopo lo scioglimento del loro Ordine, i Templari, sia pure indirettamente, si vendicarono così della Chiesa che li aveva traditi."

Nel 1.320 - Crociata dei Pastori è il nome di due insurrezioni popolari che fecero parte delle crociate popolari iniziate senza l'appoggio dei governanti e spesso rivolte proprio contro di loro. Queste crociate sono datate 1.251 e 1.320. Dopo un pellegrinaggio a Mont-Saint-Michel, gruppi di giovani contadini di Normandia furono aizzati dalle prediche infiammate di un benedettino apostata e di un prete cattolico interdetto per la sua condotta, che li convinsero della necessità di un "Viaggio Santo" per andare a combattere gli infedeli. A bande, questi pastoureaux conversero verso Parigi, dove entrarono il 3 maggio 1.320. Cinque giorni più tardi, avvertito di questo movimento incontrollato e sovversivo, Papa Giovanni XXII lanciò la scomunica contro tutti quelli che si erano investiti della croce senza autorizzazione papale. Dopo qualche pogrom (eccidi di ebrei), si fecero convincere a lasciare Parigi, reclutando al loro passaggio nuovi adepti. All'inizio di Giugno i pastoureaux attraversarono la regione di Saintonge e il Périgord, che devastarono e saccheggiarono. Sempre più numerosi entrarono in Guienna ed arrivati in Agenais si divisero in due gruppiIl primo attraversò i Pirenei seguendo il Cammino di Santiago di Compostela per continuare i loro massacri in Spagna, mentre il secondo risalì la valle della Garonna, massacrando cagots ed ebrei.
Rappresentazione
di un Cagot.
Cagots costituivano, nei territori a cavallo del confine franco-spagnolo, una parte della popolazione segregata per motivi ancor oggi abbastanza misteriosi. Nel corso dei secoli sono stati vittime di una sorta di razzismo popolare, fortemente radicato a livello locale, in genere condannato sia da parte del clero, perché i cagots erano cristiani, sia da parte dell'aristocrazia che aveva un suo buon motivo per condannare gli eccessi dei paesani su cui gravavano corvè e imposte da cui i cagots erano esentati, essendo dei paria messi al bando della società. La loro sorte infatti può essere paragonata solo con quella degli intoccabili dell'India. Il fenomeno dei Cagots riguarda soprattutto il sud-ovest della Francia (Guascogna, Paesi Baschi, valli pirenaiche) e il nord della Spagna (Navarra, Aragona). A seconda dei luoghi e dell'epoca i Cagots furono chiamati anche Chrestians o Crestias (prima del XVI secolo), Gézitans (a partire dal XVI secolo), Gahets (Bordeaux, Agenais, Landes de Gascogne), Agots (Paesi Baschi), Capots (Armagnac). «Crestias», «Chrestia» o «Christianus» è sinonimo, in bearnese, di «lebbroso», che compare nei testi verso l'anno 1.300. Nel Medioevo la lebbra indica svariate malattie: la lebbra rossa, quasi sempre mortale; la lebbra bianca o lebbra tubercolare che presenta sintomi simili ma può essere stabilizzata. Tutte queste malattie ispirano la paura del contagio e sono tenute isolate fuori dei villaggi. Il termine “Chrestians” indicava i cristiani ariani, di religione ariana, religione adottata dai Longobardi, dai Visigoti e dagli Ostrogoti. Nei testi antichi, christianus è indissociabile da lebbroso e spesso utilizzato al suo posto. Il nome presenta anche una analogia con la parola greca « cacos » che significa « cattivo », simile alla parola bretone « caqueux » dello stesso significato, ma verosimilmente e più semplicemente dal tardo latino « cagare ». L'etimologia resta dunque molto incerta. Le cronache li indicano spesso anche con le denominazioni di Caqueux, Cacous, Capos, Gaffos, termini dispregiativi che significavano lebbrosi e li si definiva anche Canard (Oche), perché dovevano portare sui loro abiti il segno di una zampa d'oca per farsi riconoscere. Si deve notare che in alcuni testi del XVI secolo, il termine cagot e i suoi equivalenti sono utilizzati come sinonimi di lebbroso. Fino alla metà del XX secolo, cagot, impiegato come un insulto, significava anche idiota del villaggio, bigotto o gozzuto. Tornando alla Crociata dei Pastori, messo al corrente della carneficina di cagots ed ebrei, Pierre Raymond de Comminge, che Papa Giovanni XXII aveva nominato arcivescovo di Tolosa, scrisse al Papa per chiedere aiuto e consiglio. Il Papa accusò il re di Francia Filippo V d'irresponsabilità e si stupì col suo legato Gaucelme de Jean «che la lungimiranza reale abbia trascurato di reprimere gli eccessi e il pernicioso esempio dei Pastoureaux, che dovremmo piuttosto chiamare lupi, rapaci e omicidi, la cui condotta offende gravemente la maestà divina, disonora il potere reale e rappresentano, per tutto il reame dei pericoli inesprimibili se non vengono fermati». Ciò non impedisce ai pastoureaux di prendere degli ebrei di Albi e di Tolosa. Quattro giorni dopo sono alle porte di Carcassonne, dove l'armata reale li attende sotto il comando di Aimeric de Cros, siniscalco di Linguadoca, con il supporto delle truppe del giovane Gastone II di Foix-Béarn, allora dodicenne. 
I pastoureaux furono schiacciati. I superstiti fuggirono nella regione di Narbonne. I consolati cittadini, avvertiti dal siniscalco, misero le loro città in stato difensivo. Il papa scrisse all'arcivescovo Bernard de Fargues perché facesse lo stesso. Le strade e i passaggi si chiusero e si catturarono sistematicamente vagabondi, fuggitivi e tutto ciò che sembrasse anche lontanamente un pastoureau. A breve non ne restò più uno solo in Linguadoca nell'autunno del 1.320.

Piccola bombarda in bronzo del XV
secolo, da: https://commons.wikime
dia.org/w/index.php?curid=1176762
Dal 1.322 - Appaiono in Europa le prime armi da fuoco: i cannoni. Alcune delle prime attestazioni dell'uso delle armi da fuoco in Occidente sono italiane, provenienti da registri contabili e non da cronache più tarde, come a Mantova, dove era conservato un piccolo cannone in bronzo datato 1322, a Firenze, dove documenti del primo ventennio del XIV secolo menzionano cannoni in bronzo che sparano palle di ferro nel 1326 (tanto da essere definiti comuni e familiari dal Petrarca nel De remediis 1, 99), a Gassino Torinese nel 1327 e nel 1331 a Cividale del Friuli, seguiti dalle prime armi portatili come ad esempio lo schioppo, nel 1364. La lega per cui si ottiene il bronzo è una semplice miscela dei due metalli fondamentali, rame e stagno, cui si aggiungono altri metalli, come il piombo, lo zinco, il ferro, ma in quantità insignificanti. Con bronzo (nome che forse deriva dal latino brundisium = di Brindisi) si definiscono tutte le leghe in cui entrano come componenti essenziali il rame, in proporzione sempre superiore al 70%, e lo stagno; leghe conosciute fin dalla più remota antichità e che prima della scoperta del ferro servirono a fabbricare attrezzi, armi, corazze e strumenti più resistenti e leggeri di quelli in pietra o in rame; ai metalli componenti veniva aggiunto, per lo più come impurità, anche arsenico, che contribuiva a rendere la lega ancora più dura. Il bronzo che contiene da 90 a 92% di rame e il rimanente di stagno è stato adoperato nel medioevo per cannoni e conserva il nome di bronzo da cannoni poiché possiede un'elevata resistenza alla pressione sviluppata dall'esplosione della carica, insieme con una sufficiente durezza ed una moderata fragilità. Le leghe contenenti una percentuale dal 20 al 25%, di stagno, possiedono oltre a una grande durezza anche la sonorità e servono per le campane; in esse la purezza del suono è data dalla purezza del metallo, che non deve contenere né ossidi né scorie di alcun genere. Dall'inizio del XX secoloè stato introdotto il silicio come principale legante del rame, e oggi la maggior parte del bronzo per usi industriali e artistici è in realtà una lega rame-silicio. Lo storico spagnolo Juan de Mariana (1536-1623) riporta l'uso di polvere da sparo e cannoni, da parte dei musulmani, nella presa di Algeciras del 1344. Nel 1340 il re di Castiglia, Alfonso XI, dopo aver concordato l'alleanza col re del Portogallo Alfonso IV ed aver ottenuto l'appoggio della flotta aragonese, aveva organizzato la spedizione per liberare Tarifa dall'assedio dalla coalizione musulmana, Merinidi-Nasrid. Poi si fece aiutare da tutte le flotte cristiane, soprattutto da quelle di Pisa e Genova e con l'aiuto dei cavalieri di tutti i regni d'Europa, aveva posto l'assedio ad Algeciras e dopo circa due anni, nel 1344, era riuscito a conquistare la città portuale, che aveva un grande valore strategico. Alfonso XI, infine cercò di riconquistare Gibilterra, a cui pose l'assedio e dove, nel 1350, morì di peste. William H. Prescott, nel suo libro “Ferdinando ed Isabella” pone in risalto il fatto che gli spagnoli avevano acquisito la loro conoscenza della polvere da sparo dagli arabi di Granada. De Mariana riferisce che all'assedio di  Algeciras  avrebbero partecipato i conti inglesi di Derby e di Salisbury, di conseguenza Richard Watson ritiene probabile che tramite loro, le conoscenze su polvere da sparo e cannoni, fossero giunte agli inglesi, che ne fecero applicazione per la prima volta nella battaglia di Crécy del 26 agosto 1346, la prima battaglia della guerra dei cent'anni.

I giudicati sardi nel 1300.
Domini della corona d'Aragona
nel 1385.
Nel 1.324 - Per risolvere la crisi politica e diplomatica sorta tra la Corona d'Aragona e il ducato d'Angiò a seguito della Guerra del Vespro per il controllo della Sicilia, fu creato il Regno di Sardegna. L'atto di infeudazione, datato 5 aprile 1.297 affermava che il regno apparteneva alla Chiesa e veniva dato in perpetuo ai re della Corona di Aragona in cambio di un giuramento di vassallaggio e del pagamento di un censo annuo.
Fu conquistato territorialmente a partire dal 1.324 con la guerra mossa dai sovrani Aragonesi  contro i Pisani, in alleanza col Regno giudicale di Arborea.
L'Angiò (Anjou), da: https://en.wiki
La conquista fu a lungo contrastata dalla resistenza sull'isola dello stesso Giudicato di Arborea e poté considerarsi parzialmente conclusa solo nel 1.420, con l'acquisto dei rimanenti territori dall'ultimo Giudice per 100.000 fiorini d'oro, nel 1.448 con la conquista della città di Castelsardo (allora Castel Doria). Il Regno di Sardegna fece parte della Corona di Aragona fino al 1.713, anche dopo il matrimonio di Ferdinando II con Isabella di Castiglia, allorquando l'Aragona si legò sotto il profilo dinastico (ma non politico-amministrativo) prima alla Castiglia, poi - in epoca già asburgica (a partire dal 1.516) - anche alle altre entità statuali governate da tale Casa (Contea di Fiandra, Ducato di Milano, ecc.).

- Dal 1.324, nel secolo successivo alla morte di Osman I, il dominio ottomano comincia ad estendersi sul Mediterraneo orientale e sui Balcani. Il figlio di Osman, Orhan I, conquistò la città di Bursa nel 1324 e la rese nuova capitale dello Stato ottomano. La caduta di Bursa implicò la perdita del controllo bizantino sull'Anatolia nordoccidentale. E dopo Bursa, nel 1337 fu conquistata Nicomedia. Poi, nel 1354 gli Ottomani superarono lo stretto dei Dardanelli e si espansero nella ''Rumelia'', conquistando Adrianopoli (1361), Sofia (1386) e Salonicco ai veneziani nel 1387. La vittoria ottomana in Kosovo nella battaglia della Piana dei Merli segnò il declino dell'Impero serbo e la fine del suo controllo sulla regione, aprendo la strada all'espansione ottomana in Europa. A essa seguì la conquista del regno di Bulgaria nel 1393, grazie alla quale gli Ottomani arrivarono a minacciare l'Ungheria.


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