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mercoledì 23 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.39: dal 415 al 452 e.v. (d.C.)

"Scuola di Atene" di Raffaello Sanzio. In quest'opera
 Raffaello rappresenta i grandi filosofi del passato:
 l'unica donna è Ipazia di Alessandria.
Nel 415 - Ad Alessandria d'Egitto,  il vescovo e patriarca d'Alessandria, Cirillo, poi fatto santo e "dottore e padre della chiesa universale" come Ambrogio di Milano, Giovanni Crisostomo e Agostino d'Ippona, dopo avere disposto la distruzione del tempio Serapeo, che ospitava la famosa  biblioteca contenente la memoria delle scoperte del pensiero scientifico ellenistico (si parla di 500.000 volumi), che fu data alle fiamme, ordina l'assassinio di Ipazia, astronoma, matematica e filosofa. Ipazia d'Alessandria era la geniale figlia del matematico Teone, sovrintendente della biblioteca, nata nel 370 ed erede della Scuola Alessandrina. Antesignana della scienza sperimentale, Ipazia concepì e realizzò l'astrolabio, l'idroscopio e l'aerometro. Cirillo invece aveva studiato per cinque anni, dal 394 al 399, nel monastero della montagna della Nitria, nel deserto di San Marco, e lì era stato ordinato Lettore (insegnante, autorizzato a tenere lezioni). In questo monastero aveva stretto vincoli di amicizia con gran parte dei monaci parabolani di cui si servì per sterminare Ebrei, cristiani Nestoriani e Novaziani oltre ai pagani; ed in particolar modo legò a se Pietro il Lettore, a cui sedici anni dopo ordinò di uccidere Ipazia, cosa che lui fece al grido di: "Questo dice Agostino d'Ippona! La donna è immondizia! E anche tu, Ipazia d'Alessandria, sei solo immondizia!". Nel seguente link c'è il racconto in cui sono ricostruite la figura e la fine di Ipazia: QUI. Ipazia fu poi rappresentata fra i grandi filosofi nella "Scuola di Atene" di Raffaello Sanzio.

- Fu nel 415, a Barcellona, che Galla Placidia diede alla luce il figlio di Ataulfo, Teodosio; la scelta di dare al bambino, morto poco dopo la nascita e seppellito in una chiesa di Barcellona, il nome del nonno materno e fondatore della dinastia regnante, indicava la volontà dei genitori di inserirlo nella linea di successione imperiale, ma forse fu questo gesto ad aumentare lo scontento dei «nazionalisti» visigoti, i quali ordirono una congiura che, nell'estate del 415, causò la morte di Ataulfo.
Alla morte del re dei Visigoti Ataulfo (nel 415), si scatena una cruenta lotta al potere tra le fazioni che intendevano continuare l'integrazione coi Romani (fra cui il fratello di Ataulfo che, in caso di vittoria della propria fazione, era designato a succedergli) e quelle contrarie che ebbero il sopravvento. Tra queste, per la successione al trono, si distinsero le fazioni di Sigerico (fratello dell'ex generale romano Saro) e quella di Walia. Uscitone vincente Sigerico (tarda estate del 415), mandò a massacrare tutti i figli che il re Ataulfo aveva avuto dal primo matrimonio ed alla sua vedova, la terza moglie, Galla Placidia, inflisse il più umiliante dei trattamenti: fu costretta a percorrere a piedi dodici miglia davanti al suo cavallo. Ma dopo una sola settimana di regno finì trucidato anche lui, sicuramente su istigazione del suo avversario nella lotta per il trono, Walia, che divenne il nuovo re dei Visigoti.
Secondo altre fonti invece, Ataulfo fu assassinato a Barcellona da un goto al suo servizio di nome Dubio, secondo il Fragmenta historicorum graecorum, Volume 4, mentre il Chronicon Albeldense riporta che fu ucciso dai suoi seguaci (a suis interfectus est in Barcinona) e ancora Giordane racconta che morì per una spada che lo sventrò (occubuit gladio ilia perforata Euervulfi); infine il vescovo Idazio riporta che morì, nel 416, per una questione interna ai Goti (per quemdam Gothum apud Barcinonam inter familiars fabulas). Ataulfo aveva commesso l'errore di prendere a servizio Sigericofratello di  Saro, intenzionato a vendicarne la morte. Sigerico portò a termine il suo compito di lì a poco, facendo pugnalare a morte Ataulfo nelle scuderie del suo palazzo a Barcellona. Il re morì in seguito alle ferite riportate pochi giorni dopo. Il successore di Ataulfo, Sigerico, umiliò Galla facendola marciare a piedi per venti chilometri davanti al suo cavallo, ma fu ucciso sette giorni dopo essere salito al trono: gli successe Vallia, che si dimostrò più moderato e restituì la dignità regale a Galla, cercando di negoziare con i Romani.

Dal 416 - I Visigoti tentarono di passare in Africa ma, impossibilitati, tornarono a nord dove, nel 416, incontrarono i messaggeri del generale Flavio Costanzo, capeggiati da Eupluzio: in cambio di un grosso quantitativo di grano, Vallia accettò di combattere, per conto dei Romani, i Vandali e gli Svevi, popolazioni barbare stanziatesi in Spagna, e di restituire Galla Placidia. Eupluzio portò Galla dal generale Flavio Costanzo e i due si imbarcarono insieme dalla Spagna diretti a Marsiglia e poi di qui in Italia e a Ravenna.


Nel 417 - Onorio premia il generale Flavio Costanzo per la liberazione di Galla Placidia da una prigionia durata sei anni con il consolato per il 417; portò poi con sé la sorella a Roma per celebrare il trionfo sui nemici dello stato (tra cui Attalo), per poi tornare insieme a lei a Ravenna. In ogni caso un matrimonio di Galla Placidia avrebbe rappresentato l'unica via per risolvere il problema della successione dinastica di Onorio, problema dovuto alla mancanza di figli dell'imperatore.

Nel 418 - Nella penisola iberica Walia, re dei Visigoti, si presenta così con un possente esercito per liberarla, a nome dell'imperatore romano, dai barbari: e attacca per primi i Vandali Silingi che, dopo diversi scontri, nel 418 sono annientati ed il loro re, Fredbal, è inviato prigioniero a Ravenna, presso l'imperatore; i pochi superstiti si uniranno ai Vandali Asdingi. Quindi furono presi di mira gli Alani e, sempre nel 418, Attaco, re degli Alani, morì in una sanguinosa battaglia contro i Visigoti, guidati da Walia. Gli Alani, gravemente sconfitti, rinunciarono ad eleggere un nuovo re e molti dei sopravvissuti chiesero protezione ed al contempo offrirono la corona degli Alani al re dei Vandali, Gunderico, che l'accettò, diventando da allora rex Vandalorum et Alanorum, re dei Vandali e degli Alani. Prima che Walia, alla fine del 418, si scatenasse contro Suebi e Vandali Asdingi, fu richiamato in Gallia dal generale romano Flavio Costanzo; consegnò ai Romani le province di Betica, Lusitania e Cartaginense da lui recuperate, ricevendo in cambio lo stanziamento per il suo popolo nella Valle della Garonna, in Aquitania. I Vandali, scampato il pericolo, si volsero contro i Suebi, che si ritirarono sui monti asturiani e cantabrici e si arroccarono sulla Cordigliera Cantabrica (nel 419); intervennero però le milizie romane in soccorso degli Svevi e nel 420 costrinsero i Vandali ad arretrare sino alla provincia dove in precedenza erano stanziati i Silingi, la Betica.


Nel 419 -  I Visigoti ottengono il sud della Gallia, nucleo del futuro regno Visigoto o, visto che il regno si è fuso con le realtà locali, sarebbe meglio definirlo Visigotico. Tra il 407 ed il 409 i Vandali, alleati con gli Alani (popolazione sarmatica di origine iranica), avevano invaso la penisola iberica, così come i Suebi o Svevi. In risposta all'invasione dell'Hispania, l'imperatore romano d'Occidente Onorio aveva arruolato i Visigoti per cercare di riconquistare quei territori. Allora il re dei Visigoti, Wallia siglò un trattato con il generale romano Flavio Costanzo: in cambio di 600.000 misure di grano e del territorio della regione d'Aquitania, dai Pirenei alla Garonna, i Visigoti, in qualità di alleati ufficiali ovvero stato vassallo dell'impero (foederati), si impegnavano a combattere in nome dei romani i Vandali, gli Alani e i Suebi che nel 406 avevano attraversato il fiume Reno ed erano dilagati nella provincia d'Hispania. I Visigoti allora, già in larga parte romanizzati e cristiani ariani,  restituirono Galla Placidia all'imperatore.
Carta con la migrazione dei 
Visigoti nel corso dei secoli 
IV e V.
Nel 416 i Visigoti avevano invaso l'Hispania, dove tra il 416 ed il 418 avevano distrutto i Vandali silingi (il loro re Fredbal fu inviato a Ravenna, prigioniero) e sconfitto gli Alani così duramente, che questi rinunciarono ad eleggere il successore del defunto re Addac e si posero sotto il governo di Gunderico, re dei vandali asdingi, che da allora assunse il titolo di reges vandalorum et alanorum. Nel 418 i Visigoti si accingevano ad attaccare i Vandali asdingi ed i Suebi che si trovavano in Galizia, ma Costanzo li richiamò in Gallia, temendo che divenissero troppo potenti ed assegnò loro altre terre in Aquitania nel 419, la così detta Aquitania secunda, la zona di Tolosa. Questa donazione venne probabilmente fatta con il contratto di hospitalitas, l'obbligo di ospitare i soldati dell'esercito. Si formò così il nucleo del futuro regno visigoto che si sarebbe espanso fin oltre i Pirenei. Walia stabilì la propria corte a Tolosa, che divenne la capitale visigota per il resto del quinto secolo.
Carta del regno dei Visigoti
nella seconda metà del V secolo.
Ora, nel 66 d.C. la Palestina era insorta contro la dominazione romana e quattro anni dopo, nel 70 d.C., nell'ambito della prima guerra giudaica Gerusalemme fu rasa al suolo alle legioni dell'imperatore romano Vespasiano, comandate da suo figlio Tito. Il tempio fu saccheggiato e il suo contenuto venne portato a Roma. Come si può vedere nei bassorilievi dell'arco trionfale di Tito, il tesoro trafugato includeva la Menorah, il grande candeliere d'oro a sette braccia, sacro alla religione ebraica, e forse anche l'Arca dell'Alleanza. Tre secoli e mezzo più tardi, nel 410 d.C., Roma fu saccheggiata a sua volta dagli invasori Visigoti guidati da Alarico il Grande, che portarono via, in pratica, tutte le ricchezze della Città Eterna. Come narra lo storico Procopio, Alarico s'impadronì dei « tesori di Salomone, re degli Ebrei, mirabili a vedersi perché quasi tutti adorni di smeraldi, che anticamente erano stati presi a Gerusalemme dai Romani ». Perciò, è del tutto possibile che un tesoro avesse cambiato ripetutamente mano nel corso dei secoli, passando dal Tempio di Gerusalemme ai Romani, da questi ai Visigoti che lo avrebbero custodito nei territori di Tolosa, in Settimania, (chiamata poi anche Gothia, proprio per la presenza dei Goti) la diocesi delle Septem Provinciae istituita dall'imperatore Diocleziano, per poi passare ad altre mani.

Nel 420 - Dopo il definitivo insediamento dei Franchi Salii nella Gallia Belgica ad occidente del Reno, come federati dell'impero romano, si considera il 420 come la data di costituzione di un vero e proprio Regno dei Franchi entro i confini dell'impero stesso, come era stato ottenuto dai Suebi in Hispania un decennio prima. Il primo re di quel regno è stato Faramondo (370 circa - 427 circa), appartenente ai Franchi Salii. A Faramondo, che morì intorno al 427, successe il figlio Clodione, detto il Chiomato (Clodion dit le Chevelu; 390 circa - 448 circa). Tutti i capi delle tribù dei Franchi Sali, come sostiene Gregorio di Tours, venivano scelti tra le famiglie più nobili e, contrariamente ai loro sudditi, portavano i capelli lunghi (criniti reges). Gregorio di Tours menziona Clodione come il primo re che iniziò la conquista della Gallia prendendo Camaracum (l'odierna Cambrai) ed espandendo il confine fino al fiume Somme. 

Aquileia, Altino, Bologna, il Po e i suoi affluenti nella
 tavola Peutingeriana del IV secolo, da:
Nel 421 - Secondo il "Chronicon Altinate" (dell' XI secolo) il primo insediamento sul Rivo Alto (Rialto), l'attuale Venezia, risalirebbe al 25 marzo del 421 con la consacrazione di una (poi scomparsa) chiesa di San Giacometo, sulle rive dell'attuale Canal Grande, mentre il maggior centro urbanizzato del territorio limitrofo era Altino.
Il territorio di Altino era frequentato sin dall'VIII-V millennio a.C., tuttavia bisognerà aspettare l'Età del bronzo (XV-XIII secolo a.C.) per arrivare a una presenza umana stabile. Un vero e proprio centro abitato fu fondato dai Paleoveneti all'inizio del I millennio a.C.. Dalla fine del VI secolo a.C. Altino rappresentava ormai un porto di notevole importanza, tappa obbligata per i traffici mercantili che collegavano gli empori di Spina e Adria alle aree settentrionali. Probabilmente, Altino non aveva una fisionomia urbana unitaria e comprendeva più nuclei costituiti da capanne poggianti su dossi; come era consueto nelle città paleovenete, le necropoli si sviluppavano attorno all'abitato, quasi a circondarlo. Nel II secolo a.C., Altino seguì le sorti di tutta la Venetia e fu pacificamente assoggettata a Roma. Il processo di romanizzazione iniziò nel 131 a.C. con la costruzione della via Annia: da questo momento il centro cominciò ad acquisire l'ideologia urbana dei conquistatori e, a partire dall'89 a.C. subì un primo processo di urbanizzazione, conclusosi nel 49-42 a.C., quando ad Altino fu concesso il diritto romano (venne iscritta alla tribù Scaptia) e fu creata municipio. La costruzione di altre strade, come la Claudia Augusta e le vie che la collegavano direttamente a Treviso e a Oderzo, contribuì a trasformarla in un importante centro commerciale, nodo cruciale per le rotte tra il Mediterraneo e il Settentrione. Questa evoluzione poté dirsi conclusa sul finire del I secolo d.C.. Questo periodo di floridezza è confermato, oltre che dai reperti archeologici, da testimonianze scritte dell'epoca, seppur non molto numerose. Al museo provinciale di Torcello è conservata un architrave su cui si legge che Tiberio aveva donato alla città templi, portici e giardini. Gli Epigrammi di Marziale, la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio e il De re rustica di Columella accennano a una florida economia basata sulla produzione di lana, sulla coltivazione di canestrelli e sull'allevamento di vacche da latte. Ancora Marziale ricorda le splendide ville della città, affacciate al suo rinomato litorale. Più precisi sono i riferimenti alle importanti opere idrauliche  paragonate da Vitruvio e da Strabone a quelle di Ravenna e Aquileia. La città, infatti, pur essendo sorta in una zona paludosa, poteva contare in un efficiente sistema di fiumi e canali che garantivano il ricambio delle acque. Lo stesso centro abitato si innalzava su una rete di canali superati da ponti e traghetti, in modo del tutto simile alla futura Venezia. Nei pressi di Altino, nel gennaio 169, morì l'imperatore Lucio Vero, che stava rientrando in Italia insieme al fratello Marco Aurelio da una spedizione contro i barbari nel corso delle guerre marcomanniche. Così come tutte le altre città della Venetia, anche Altino cominciò a decadere dal II secolo d.C., come si riscontra nella diminuzione dei reperti archeologici dell'epoca. Per un periodo, tuttavia, il centro mantenne un ruolo di primo piano: la Tabula Peutingeriana della metà del IV secolo lo rappresenta ancora come una città murata con due torri. Si aggiunge un passo di Servio, che riferisce come ad Altino la caccia, l'uccellagione e persino l'agricoltura si svolgessero in barca: il sistema di canalizzazione, dunque, era ancora in buono stato. Nello stesso periodo, a conferma della sua importanza, la città fu elevata a sede vescovile. Dalla fine del IV secolo abbiamo accenni più precisi grazie all'epistolario tra Gerolamo ed Eliodoro, primo vescovo della città. Dalle lettere si ricava che la presenza cristiana ad Altino era ormai ben radicata, con la presenza di una cattedrale, chiese succursali e piccole cappelle per il culto dei martiri. Si ha pure una breve descrizione del duomo, intitolato probabilmente a Santa Maria, caratterizzato da un ingresso maggiore, porte minori ombreggiate da tendaggi, un solo altare, una sagrestia, pavimenti lucidi e pareti prive di incrostazioni. Manca tuttavia un riscontro archeologico, se si eccettua qualche oggetto decorato con croci. Alla vigilia della distruzione di Attila, Altino, sebbene ormai ristretta entro i confini dell'epoca augustea, manteneva una propria fisionomia urbana. Lo stesso Paolo Diacono nella sua Historia Romana la cita accanto Aquileia, Concordia e Padova, ponendola implicitamente sullo stesso livello. Gli storici attuali hanno messo in forte dubbio il topos tramandato dalle cronache secondo le quali la fondazione di Venezia fu in relazione con il saccheggio della città da parte degli Unni, avvenuto nel 452. L'abitato, infatti, superò la devastazione e continuò a sussistere per diversi secoli. Furono altre invasioni a determinarne la scomparsa (Longobardi e Ungari), ma soprattutto le mutate condizioni climatiche e ambientali legate all'innalzamento del livello del mare e all'abbandono del sistema di regolazione idraulica. In questo periodo si osserva anche il trasferimento delle principali istituzioni ecclesiastiche, in particolare la diocesi (spostata a Torcello) e il monastero di Santo Stefano (rifondato nell'isola di San Servolo). Per tutto il medioevo Altino continuò ad essere frequentata, anche se ormai si presentava come un modestissimo borgo rurale circondato dalle paludi. Sono pochissimi i documenti relativi alla zona, riferiti perlopiù alle varie istituzioni ecclesiastiche (monastero dei Santi Felice e Fortunato, monastero di San Giorgio Maggiore, vescovo di Torcello) o alle famiglie (Carbonara, Collalto, Marcello, Querini) che avevano possedimenti nella zona. Uno scritto del 1095 attesta l'esistenza di un Altino Maiore e di un Altino Pitulo, segno che forse il centro si era sdoppiato in due nuclei; dallo stesso si ricava che le chiese di Santa Maria (l'antica cattedrale), San Martino e Sant'Apollinare sussistevano ancora. Bisognerà aspettare il XV secolo per apprezzare un popolamento stabile presso l'attuale Quarto d'Altino, mentre la bonifica e la colonizzazione degli immediati dintorni di Altino avverranno solo a partire dall'Ottocento.

Nel 422 - Le orde vandale, guidate da Gunderico, riportarono una grande vittoria, grazie alla slealtà dei Visigoti nei confronti dei Romani, contro un esercito romano-gotico guidato da Castino: « Il generale Castino, con numerose truppe e i suoi alleati Goti, porta la guerra in Betica ai Vandali che assedia e affama; ma, proprio nel momento in cui si stavano per arrendere, si scontra precipitosamente con loro in battaglia, e tradito dai suoi alleati, è vinto e costretto al ritiro a Tarragona. » (Idazio, Cronaca, anno 422.). In seguito a queste vittorie, molti porti iberici furono conquistati, e le galee requisite dai vincitori. I Vandali diventarono così la prima popolazione teutonica a sviluppare una propria marina e a darsi alla pirateria, con la quale arrivarono poco dopo, nel 425, a sbarcare e razziare in Mauritania e sulle Baleari; in quegli stessi anni caddero anche gli ultimi due baluardi romani nel sud della penisola iberica: Cartagena e Siviglia. Dopo la morte di Gunderico, avvenuta intorno al 428 a Siviglia, venne eletto nuovo sovrano il figlio illegittimo di Godigisel, Genserico, che cresciuto all'ombra del fratellastro, Gunderico e versato nell'arte militare, iniziò subito ad accrescere il potere e la ricchezza del suo popolo in Betica, nel sud della penisola iberica. Dato che i Vandali avevano subito numerosi attacchi da parte dei Visigoti, Genserico, poco dopo essere salito al trono, decise di volgersi alla conquista dell'Africa romana, un luogo più lontano e sicuro da eventuali attacchi congiunti romano-visigoti. Infatti, sembra che avesse iniziato a costruire una flotta ancora prima di essere salito al potere.

Nel 428 - Il monaco Nestorio diventa patriarca di Costantinopoli, fino al 431. A lui ci si riferisce a proposito del Nestorianesimo, dove si sosteneva che Cristo fosse formato da due  nature perfettamente distinteumana e divina, congiunte l'una con l'altra tramite un'unione puramente morale, in cui Maria poteva essere chiamata soltanto "madre di Cristo" e non "madre di Dio", poiché non è possibile che il Verbo divino possa essersi effettivamente incarnato e possa essere morto sulla Croce. Nestorio (Germanicia, 381 - El Kargha,  451) è stato un vescovo siriano, patriarca di Costantinopoli dal 428 al 431. Durante le dispute cristologiche del V secolo, i suoi avversari gli attribuirono erroneamente la dottrina che da lui prese nome di Nestorianesimo, ossia un difisismo, dal greco antico dys (due) physis (natura) estremo, per cui alle due nature, divina e umana, di Cristo corrisponderebbero anche due persone; dottrina condannata come eretica dal Concilio di Efeso del 431, anche se Nestorio mai la sostenne. I nestoriani si rifugiarono in Persia, fondando la Chiesa nestoriana, e svolsero una grande attività missionaria in India ed in Cina finché su di loro non si abbatterono le persecuzioni dei principi mongoli musulmani, che ridussero i nestoriani a poche migliaia di fedeli. Nel Novecento, la scoperta di un suo scritto, il Liber Heraclidis (Libro di Eraclide), e nuovi studi intrapresi sul conflitto che lo oppose al vescovo Cirillo d'Alessandria, colui che ordinò l'esecuzione di Ipazia, hanno riconosciuto che la condanna di Nestorio fu ingiusta e che la sua teoria cristologica è conforme alla dottrina ortodossa stabilita nel successivo Concilio di Calcedonia del 451, per la quale nell'unica persona di Cristo sussistono due nature.

Nel 429 - Genserico guida il suo popolo di 80.000 persone circa, di cui 15.000 in armi, (i Vandali erano valutati in circa 50.000) in Africa, richiamatovi dalla situazione di caos venutasi a creare per la rivolta dei Mauri, che l'autorità imperiale non riusciva a controllare e forse chiamato dal generale romano Bonifacio, caduto in sospetto presso la corte romana e vicino alla resa dei conti con il generale Felice e l'imperatore Valentiniano III. E mentre la popolazione si radunava al porto di imbarco di Julia Traducta, sulla punta più meridionale della penisola iberica, Genserico si volse contro i Suebi che, approfittando della partenza dei rivali, avevano invaso la Lusitania, e li sbaragliò. Portata a termine la traversata (di circa 15 km) i Vandali si riversarono in Mauretania (l'odierno Marocco e l'attuale Algeria nordoccidentale), dove conquistarono Caesarea (l'attuale Cherchel, vicino ad Algeri) e l'attraversarono tutta. Giunti in Numidia Cirtensis o Cirtana (l'odierna Algeria orientale), sconfissero i Romani, e la conquistarono, nel 430. I Romani si erano però asserragliati nelle città, in particolare a Cirta ed Ippona; il generale romano Bonifacio si era chiuso in Ippona, cui i Vandali posero l'assedio (durante l'assedio, il 28 agosto 430, morì sant'Agostino), ma, mancando di tecniche e di macchinari per l'assedio, non riuscirono in un primo momento a prenderla; nel frattempo, inviato dall'imperatore d'Oriente, Teodosio II, era giunto, guidato da Aspar, un contingente militare che unitosi alle truppe di Bonifacio attaccò i Vandali, che però nel 431 li sconfissero, costringendo Bonifacio a rinchiudersi nuovamente a Ippona, che finalmente cadde e fu conquistata dai Vandali di Genserico. Bonifacio fu richiamato a corte nel 432. Aspar, invece, risulta sia rimasto in Africa a continuare le operazioni militari contro i Vandali in quanto il 1º gennaio 434 assunse il consolato a Cartagine. La diocesi d'Africa, ad eccezione delle grandi città, era perduta. Dato che Bonifacio era stato richiamato in Italia (432), Genserico invase la Numidia proconsolare (le province di Zeugitana e di Byzacena). La guerra cominciava a pesare perché i Vandali avevano subito molte perdite e, a parte Ippona, non avevano conquistato le città ed infine si profilava una nuova spedizione imperiale guidata da Aspar, per cui furono intavolate trattative con l'imperatore Valentiniano III; il trattato di pace fu firmato ad Ippona l'11 febbraio 435 che riconobbe i Vandali al servizio dell'impero romano, come foederati, per il proconsolato di Numidia Cirtana, con capitale Ippona, senza la cessione formale di alcun territorio. Genserico cominciò a comportarsi come un sovrano autonomo, destituendo sacerdoti ortodossi che si opponevano all'arianesimo dei Vandali, che dal 437 cominciarono ad esercitare la pirateria; pirati vandali, unitisi ai pirati berberi, in quell'anno, razziarono le coste siciliane. Il 19 ottobre 439 conquistarono Cartagine, senza colpo ferire; ci fu saccheggio con atti di violenza, ma, stando alle cronache dell'epoca, nessun edificio fu deliberatamente distrutto o danneggiato; il clero cattolico e la nobiltà vissero il dramma della schiavitù o dell'esilio e tutte le proprietà ecclesiastiche vennero trasferite al clero ariano. Essendosi impadroniti di una parte della flotta navale romana d'Occidente, ormeggiata nel porto di Cartagine, nel 440 organizzarono incursioni in tutto il Mar Mediterraneo, soprattutto in Sicilia e Sardegnai due granai dell'Impero d'OccidenteCorsica e le isole Baleari. Nel 441, essendo la flotta romana d'Occidente incapace di difendersi dagli attacchi dei Vandali, arrivò nelle acque siciliane una flotta orientale, inviata da Teodosio II; i suoi navarchi però indugiarono senza agire, e quando i Persiani e gli Unni, sembra entrambi pagati da Genserico, attaccarono l'Impero d'Oriente, la flotta rientrò a Costantinopoli.

Ubicazione di Camaracum
 (Cambrai) e della Somme.
Nel 430/431 - Gregorio di Tours menziona Clodione come il primo re dei Franchi che iniziò la conquista della Gallia prendendo Camaracum (l'odierna Cambrai) ed espandendo il confine fino al fiume Somme.
Intorno al 430, Clodione iniziò l'espansione del regno invadendo l'Artois e conquistando progressivamente territori e città, finché non fu sconfitto dal generale romano Ezio e dal futuro imperatore Maggiorano. Sidonio Apollinare scriveva che i Franchi furono sorpresi da Flavio Ezio, ministro e generale dell'imperatore Valentiniano III e sospinti indietro intorno al 431.

Nel 431 - Concilio di Efeso. Il primo concilio di Efeso si tenne nel 431 a Efeso, in Asia Minore, sotto il regno dell'imperatore d'Oriente Teodosio II (408-450) e vi parteciparono approssimativamente 200 vescovi. Si occupò principalmente del nestorianesimo. L'unità della Chiesa era minacciata da un aspro dibattito che riguardava la persona e la divinità di Gesù Cristo. Si confrontavano due scuole: quella antiochena, capeggiata da Nestorio (Patriarca di Costantinopoli) e quella alessandrina, che vedeva alla testa il principale oppositore delle tesi di Nestorio, Cirillo di Alessandria, colui che ordinò l'esecuzione di Ipazia. Connessa alla disputa su Gesù Cristo, vi era quella legata all'appellativo Theotokos relativo alla Madonna: i nestoriani affermavano infatti che Maria era solamente Christokos, Madre di Gesù-persona e non Madre di Dio. Furono invitati tutti i metropoliti risiedenti all'interno dei confini dell'impero romano; fra gli altri, anche papa Celestino I (422-432), che inviò come suoi legati due vescovi e il presbitero Filippo, e Agostino d'Ippona. Quest'ultimo però in realtà non partecipò perché morì prima dell'inizio del concilio. A causa delle difficoltà del viaggio, i legati romani arrivarono a dibattito già avviato. Ma anche il patriarca Giovanni di Antiochia e i vescovi siriani, cioè i maggiori sostenitori delle tesi di Nestorio, arrivarono in ritardo. Il Concilio si aprì dunque senza di loro. "Vi si sarebbero dovute confrontare e discutere le due tesi in contrapposizione, di Nestorio e di Cirillo, in realtà non ci fu nessuna discussione e non furono rispettate le più elementari garanzie di equità e collegialità. Cirillo presiedette e pilotò il Concilio con grande abilità e non senza intimidazioni e corruzioni. Alle porte della chiesa grande, intitolata a Maria, dove si svolgevano i lavori conciliari, e nella città stazionavano i parabolani, i quali ufficialmente erano infermieri al servizio dei poveri negli ospizi ecclesiastici, ma di fatto costituivano la guardia del vescovo alessandrino ed esercitavano una minaccia costante contro i suoi oppositori. Estromesso il legato imperiale e constatato che Nestorio si rifiutava di presentarsi, il giorno successivo all'apertura, il 22 giugno del 431, Cirillo lesse le proprie tesi e chiamò i vescovi, per appello nominale, a dichiararle consone al Credo di Nicea; lesse le lettere sinodali concordate con Celestino per mostrare che Roma ed Alessandria erano solidali nell'azione contro Nestorio. Di quest'ultimo fu letta la seconda e più polemica tra le risposte a Cirillo e alcuni estratti. Alla fine della giornata Nestorio fu condannato e deposto, con un atto sottoscritto da 197 vescovi, per "aver profferito blasfemia contro il Signor nostro Gesù Cristo". Il giorno dopo gli fu recapitata una notifica nella quale veniva apostrofato 'nuovo Giuda'."(Salvatore Pricoco: "Da Costantino a Gregorio Magno", in Storia del cristianesimo. Vol.I a cura di Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi. Bari, Laterza, 2008, pag. 346-7. ISBN 978-88-420-6558-6)
Al Concilio si confrontarono essenzialmente due posizioni: quella ortodossa (condivisa dalla maggioranza) quella nestoriana. Gli storici hanno definito i confronti tra i sostenitori di una e dell'altra posizione "controversie cristologiche". La problematica che impegnò i partecipanti era la comprensione dell'unità di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Più precisamente si trattava di scegliere tra due distinte interpretazioni di scuola: quella "unitaria" (alessandrina di Cirillo), e quella "divisiva" (antiochena di Nestorio). Nestorio, patriarca di Costantinopoli, enfatizzava la natura umana di Gesù, a spese di quella divina. La Vergine Maria aveva dato vita ad un uomo Gesù, non a Dio, quindi non al Logos ("Il Verbo", Figlio di Dio). Il Logos risiedeva in Cristo, era custodito nella sua persona come in un tempio. Cristo quindi era solo Theophoros, termine greco che significa "portatore di Dio". Di conseguenza Maria doveva essere chiamata Christotokos, "Madre di Cristo" e non Theotokos, "Madre di Dio". Si veda anche Vangelo di Luca 1, 43. Nella prima giornata, il 22 giugno 431, a causa dell'assenza di una delle due parti, mancò il contraddittorio, per cui le tesi di Cirillo vennero approvate all'unanimità. Il Concilio fece propria la tesi contenuta nella Seconda lettera di Cirillo a Nestorio, in cui il patriarca alessandrino affermava che Maria è “genitrice di Dio”, Theotokos, perché ha dato alla luce non un uomo, ma Dio come uomo. Accogliendo la dottrina di Cirillo, il Concilio condannò gli insegnamenti del nestorianesimo e stabilì che Gesù è una persona sola, non due persone distinte, completamente Dio e completamente uomo, con un'anima e un corpo razionali. L'unione di due nature in Cristo si è compiuta in modo perfetto nel seno di Maria, con la precisazione che la divinità del Verbo non ha avuto inizio nel corpo di Maria, ma ha preso da Lei quella natura umana completa che in Lei ha unita a sé. Il concilio dichiarò inoltre come completo il testo del Credo Niceno del 325 e vietò qualsiasi ulteriore cambiamento (aggiunta o cancellazione) ad esso. Il concilio condannò inoltre il pelagianismo. La reazione dei nestoriani fu immediata. Quattro giorni dopo il patriarca di Antiochia, Giovanni, convocò una riunione di vescovi siriani per affermare l'irregolarità delle decisioni del concilio deponendo Cirillo e il suo alleato Memnone vescovo di Efeso, i quali risposero scomunicando Giovanni di Antiochia e gli altri vescovi suoi seguaci. Tutto ciò generò confusione e sommosse popolari con la partecipazione di gruppi di monaci e l'intervento di funzionari imperiali spesso corrotti dai contendenti . Solo nel mese di ottobre la questione venne chiarita quando Teodosio chiuse il concilio approvando la deposizione di Nestorio, Cirillo e Memnone. Ma mentre Nestorio era già stato sostituito, Cirillo fu accolto ad Alessandria come un trionfatore mentre Memnone continuò ugualmente a guidare la sua diocesi fino alla morte. La disputa dottrinale tra le parti fu invece superata solo nel 433 quando, grazie all'intervento del vescovo Acacio di Berea e dell'eremita Simeone lo Stilita, Giovanni di Antiochia e Cirillo di Alessandria raggiunsero un accordo detto della "Formula di unione". Giovanni accettò l'attribuzione alla Vergine del titolo di Theotòkos, "Madre di Dio", Cirillo rinunciò agli anatemi contro Nestorio.

- Durante il IV secolo gli Unni, popolo guerriero nomade, probabilmente di ceppo turcico (o turco), provenienti dalla Siberia meridionale, erano giunti in Europa. Non si conosce quasi nulla della lingua unna, l'ipotesi più accettata è che si trattasse di una lingua altaica ma diverse altre teorie la vorrebbero vicina al moderno ungherese o addirittura alle lingue iraniche. Giordane (o Giordano o Jordanes, storico bizantino di lingua latina del VI secolo di probabile origine gotica o alana) scrisse che gli Unni "si procuravano ferite sulle guance come segno di lutto per i guerrieri più valorosi, piangendoli non con lacrime di donne ma con il sangue degli uomini". Inoltre gli Unni praticavano la deformazione cranica, allungandosi le teste probabilmente a imitazione dei nomadi sàrmati di origine indoiranica. La deformazione cranica fu una pratica molto comune nel corso della storia. Il procedimento veniva applicato sin dalla più tenera infanzia e consisteva nello stringere la testa del bambino con un bendaggio, approfittando del fatto che a quell'età il cranio era ancora molle e in crescita. Nel caso di alcuni popoli, questa pratica serviva a indicare che il ragazzo era destinato al sacerdozio, ma nel caso degli Unni se ne ignora il significato, anche se come suggerisce lo storico John Man, "gli uomini con la testa allungata costituivano un'élite".
Gli Unni in battaglia contro gli Alani
in un'illustrazione ottocentesca di
Johann Nepomuk Geiger, da https
://it.wikipedia.org/wiki/Unni
 
Gli Unni sono stati descritti come un popolo di uomini brutti e spaventosi e lo stesso si diceva dei loro cavalli, la loro vera  grande arma  vincente sui campi di battaglia. I cavalli unni erano diversi dai cavalli attuali e molto diversi da quelli adottati dalla cavalleria romana e dai popoli con cui si scontrarono. Esteticamente questi cavalli potevano sembrare poco attraenti, erano molto magri, decisamente più bassi dei cavalli adottati dagli eserciti imperiali ma erano forti, resistenti e veloci, in grado di percorrere anche 100 km senza aver bisogno di essere ferrati, di indole mansueta e in grado di trovare il foraggio anche sotto la neve: sopravvivevano dunque facilmente anche in condizioni ambientali poco favorevoli. L'unico territorio in cui questi cavalli si muovevano a disagio era quello montagnoso, ma nelle vaste praterie della steppa Europea, nelle pianure e nelle valli si dimostrarono molto più performanti di qualsiasi cavalleria contro cui si scontrarono. I cavalieri unni sembravano un tutt'uno in sella ai loro cavalli, i bambini imparavano a cavalcare nello stesso tempo in cui imparavano a camminare e al galoppo di quei veloci destrieri sapevano destreggiare le armi con una precisione che le altre cavallerie, più rigide, pesanti e diversamente equipaggiate, non possedevano. Grazie all'uso sia della sella che della staffa i loro attacchi erano sorprendentemente potenti, scanditi da repentini movimenti inaspettati. Si ritiene che un tipo di sella arcaica sia stata usata fin dal 700 a.C. circa dagli Sciti, un popolo nomade della steppa eurasiatica, ma è stato certamente l'arrivo in Europa di selle robuste come quelle cinesi a fare la differenza in battaglia. Lo scoprirono a loro spese i Romani, che combatterono gli Unni seduti su coperte appoggiate ai cavalli mentre la cavalleria dei loro nemici era già dotata di selle in legno con pomelli davanti e dietro, il cui vantaggio era una stabilità senza pari e la possibilità di tirare frecce senza fermarsi. Allo stato attuale e basandoci sui ritrovamenti effettuati in alcuni siti archeologici, è possibile oggi affermare che le prime staffe rinvenute in Europa sono attribuibili al quarto secolo dopo Cristo e provengono dalle tombe dei cavalieri Sàrmati situate nel bacino del fiume Kuban, a nord del Caucaso, mentre al quinto secolo dopo Cristo appartengono alcune staffe in ferro, con la fessura per il passaggio dello staffile e la forma consueta che ancora oggi gli viene data, rinvenute in tombe di Unni in Ungheria. Gli storici romani e cristiani che tanto disprezzarono gli Unni, descrivendoli come rozzi e incivili, narrarono di come si nutrissero della carne cruda che riponevano sotto la sella durante le cavalcate, appena scaldata e "cotta" dal continuo movimento del corpo sulla sella. In realtà quella carne proteggeva l'animale dall'attrito del contatto, rendendogli quindi la cavalcata più lieve, che poi quella carne venisse realmente mangiata non apparirebbe certo strano oggi, soprattutto alla luce del prezzo della carne di Kobe, pregiatissima perché "massaggiata" a mano. Il cavaliere unno non avevano solo un cavallo a disposizione, ma un'intera scuderia di cavalli al seguito, in modo da poter contare sempre su un cavallo riposato per un'azione scattante. Quando gli Unni avanzavano lo facevano così velocemente che si potevano vedere le sentinelle correre disperate per annunciare l'arrivo degli Unni quando già se ne sentiva lo scalpitio sul terreno e l'orizzonte si copriva della polvere sollevata dagli zoccoli dei loro cavalli. 

L'impero di Attila nel 450 e altri 
territori barbarici da: QUI.
Nel 432 - Attila (dal gotico "piccolo padre") diventa re degli Unni, che avevano un tale potere che il precedente re Rua, zio di Attila, riceveva un consistente tributo dall'impero romano. Gli Unni ottennero la supremazia sui loro rivali, molti dei quali altamente civilizzati, grazie alla loro abilità militare, mobilità e ad armi come l'arco unno. Negli anni 430 erano stati impiegati come mercenari dal magister militum Ezio per le sue campagne in Gallia, ottenendo, in cambio del loro appoggio, parte della Pannonia (l'attuale  Ungheria); grazie al sostegno degli Unni, Ezio riuscì a vincere nel 436 i Burgundi, massacrati dall'esercito romano-unno di Ezio, ridotti all'obbedienza e insediati come foederati intorno al lago di Ginevra; gli Unni risultarono poi decisivi anche nella repressione della rivolta dei bagaudi in Armorica e nelle vittorie contro i Visigoti ad Arelate, e a Narbona, grazie alle quali nel 439 i Visigoti accettarono la pace alle stesse condizioni del 418.
La scelta di Ezio di impiegare gli Unni trovò però l'opposizione di taluni, come il vescovo di Marsiglia Salviano, autore del De gubernatione dei ("Il governo di Dio"), secondo cui l'impiego dei pagani Unni contro i cristiani (seppur ariani) Visigoti non avrebbe fatto altro che provocare la perdita della protezione di Dio, perché i Romani «avevano avuto la presunzione di riporre la loro speranza negli Unni, invece che in Dio». Si narra che nel 439 Litorio, generale romano, arrivato ormai alle porte della capitale visigota Tolosa, che intendeva conquistare annientando completamente i Visigoti, permettesse agli Unni di compiere sacrifici alle loro divinità e di predire il futuro attraverso la scapulomanzia, suscitando lo sdegno e la condanna di scrittori cristiani come Prospero Tirone e Salviano, che si lamentarono inoltre per i saccheggi che gli Unni avevano inferto agli stessi cittadini  che avrebbero dovuto invece difendere. Litorio poi perse la battaglia decisiva contro i Visigoti e fu giustiziato. Secondo Salviano, la sconfitta degli arroganti Romani e dei pagani Unni, contro i pazienti Goti, timorati di Dio, oltre a costituire una giusta punizione per Litorio, confermava il passo del Nuovo Testamento, secondo cui «chiunque si esalta sarà umiliato, e chiunque si umilia sarà esaltato».
Intanto iniziavano le grandi campagne degli Slavi contro Roma, pressati a est dalle grandi invasioni degli Unni, che li costringevano a cercare nuovi territori.

Nel 438 - L'origine dei giochi gladiatori è oggetto di discussione. Alcuni, fondandosi soprattutto su fonti letterarie, ritengono che essi discendano dal costume etrusco di offrire sacrifici umani per celebrare la morte di un nobile, allo scopo di pacificare lo spirito del defunto. Lo storico romano Livio, al contrario, e molti studiosi di oggi, affermano che i giochi si originarono in Campania (ove in effetti vi sono molti dipinti funerari che raffigurano scene di duelli e corse di carri). Altri ancora invece ritengono che i giochi siano originari del Sannio, poiché i primi gladiatori usavano le tradizionali armi sannite. E' accertato che all'inizio i giochi gladiatori  erano collegati alla religione e alla magia. La prima testimonianza di un combattimento tra gladiatori risale al 264 a.C., quando i figli di Bruto Pera offrono questo spettacolo per onorare la memoria del padre. L'ultimo combattimento nel Colosseo è registrato nel 438 d.C., anno in cui i giochi sono aboliti dall'imperatore Valentiniano III.

Nel 440 - L'esercito imperiale si scontra, vincendo, contro alcuni Franchi presso Vicus Helena (vicino all'odierna Arras), che ebbe come conseguenza la formazione di un'enclave di Franchi Salii attorno a Tournai, mentre altri piccoli regni si andavano creando attorno a Treviri (i Franchi Ripuari).

Nel 442 - L'imperatore d'occidente Valentiniano III, nel 442, venne a patti con Genserico riconoscendo ai Vandali l'indipendenza e la sovranità sulle terre e sui popoli da loro conquistati, cioè la Numidia Cirtensis, la Zeugitana e la Byzacena (l'insieme delle tre costituisce l'Algeria orientale e la Tunisia attuali). In cambio i Romani ottenevano la restituzione delle Mauritanie e della parte di Numidia occupata dai Vandali nel 435. In questo modo fu raggiunta la pace. Questo trattato segnò la fine delle migrazioni del popolo vandalo, che si stabilì nelle ricche terre della Zeugitana, costringendo i precedenti proprietari o a trasferirsi in altre località o a lavorare per i nuovi padroni in posizione subordinata. La stessa sorte toccò anche ai sacerdoti ortodossi che risiedevano nelle zone della cosiddetta "assegnazione vandalica". Cartagine divenne la capitale del regno vandalo e Genserico approvò una nuova datazione che partiva dal 19 ottobre 439, data della presa di Cartagine. Per i successivi trent'annii Vandali compirono scorrerie nel Mediterraneo. Ciò nonostante le relazioni tra Genserico e l'impero si mantennero buone sino al 455.

Nel 445 - In luglio, l'imperatore Valentiniano III emana un editto che contribuisce in maniera determinante all'affermazione dell'autorità e del primato della sede vescovile di Roma in Occidente. L'editto, che non era valido nella parte orientale dell'impero, affermava che "Nulla deve essere fatto contro o senza l'autorità della Chiesa romana".

Nel 448 - Sul trono del regno franco, a Clodione succede Meroveo (415 circa - 457 circa), fondatore della dinastia Merovingia. Durante il suo regno, i Franchi Salii collaborarono con i Romani per respingere l'invasione degli Unni e parteciparono alla battaglia dei Campi Catalaunici come alleati di Ezio contro Attila.

Nel 449 Secondo Concilio di Efeso (Efeso II), che conferma l'ortodossia della teoria di Eutiche, definita “monofisismo”, cioè una natura, quella divina. Le due massime chiese d'oriente erano quelle di Antiochia, in Siria, e di Alessandria d'Egitto, entrambe sede di patriarcato. I teologi di Antiochia, di scuola aristotelica, mettevano in risalto l'umanità di Cristo e l'unione delle sue due nature, rimaste integre in una sola persona. L'autonomia della natura umana veniva accentuata fino a farla diventare un secondo soggetto accanto al Logos. Diversamente da loro, ad Alessandria, di scuola platonica, si dava l'assoluta precedenza alla divinità di Cristo. Sia la chiesa di Antiochia sia quella di Alessandria accettarono le decisioni del Concilio di Nicea I (del 325), che aveva affermato la consustanzialità, cioè la stessa natura, del Padre e del Figlio. Nel concilio successivo, a Costantinopoli (381), cui presero parte solo esponenti della Chiesa dell'Impero romano d'Oriente, venne ribadita l'uguaglianza tra le divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nella prima metà del V secolo fu patriarca di Alessandria Cirillo (370-444). Durante la sua epoca si sviluppò l'eresia nestoriana, teoria cristologica di matrice antiochena. Cirillo fu il primo vescovo a denunciare gli errori del nestorianesimo; fu l'estensore della lista delle 12 rinunce (“anatemi”) che il papa di Roma Celestino I sottopose a Nestorio. Fu la figura centrale del concilio di Efeso I del 431, che condannò definitivamente il nestorianesimo come eresia. Il concilio di Efeso però, aveva lasciato irrisolta una questione fondamentale: che tipo di rapporto sussiste tra la natura umana e quella di Cristo dopo l'incarnazione: sono tra loro subordinate, o sono fuse, ovvero separate? Uno dei discepoli di Cirillo, il monaco Eutiche, provò a dare una risposta. Eutiche viveva a Costantinopoli come rappresentante diplomatico della chiesa di Alessandria. Nella capitale bizantina era anche padre superiore di un importante convento di monaci. Nella sua prova di risposta, Eutiche affermò che in Cristo, dopo l'incarnazione la natura umana è stata assorbita completamente da quella divina. La divinità avrebbe accolto l'umanità "come il mare accoglie una goccia d'acqua". Contro Eutiche si pronunciarono i patriarchi di Costantinopoli e di Antiochia e il papa di Roma. A suo favore si schierò invece Cirillo, che però morì pochi anni dopo. Per dirimere la questione, fu comunque convocato il concilio di Efeso II che si tenne nel 449; gli alessandrini, rappresentati dal loro papa (il titolo del loro vescovo) Dioscoro I, uscirono vincitori: il sinodo confermò l'ortodossia della teoria di Eutiche, definita “monofisismo”, cioè una natura, quella divina. Seguirà poi il Concilio di Calcedonia del 451, in cui le posizioni monofisiste saranno avversate.

Carta delle migrazioni in
Britannia di Angli, Sassoni
e Juti nel V sec.
Dal 450 - Con la migrazione di Angli, Sassoni e Iuti in Britannia,  prende corpo la nuova nazione inglese. L'isola era stata, fino ad allora, abitata da Britanni di lingua celtica oltre ai conquistatori romani. Con l'abbandono dell'impero con le sue leggi ed infrastrutture, la società romanizzata britannica era regredita e stentava ad assumere una fisionomia soddisfacente. Alle tre stirpi germaniche ricordate dalla storia (Angli, Sassoni, Iuti) corrispondono i principali dialetti attestati nei più antichi documenti inglesi: anglo (distinto in northumbrio a settentrione e mercio nel centro), sassone (a mezzogiorno) e kentio (nel territorio degli Juti, all'estremo sud-est). La prima fioritura letteraria si ebbe presso gli Angli, e perciò da loro prese il nome la lingua dell'intera nazione (nell'antico inglese englisc, nel moderno english) e lo mantenne ancorché il primato nella cultura passasse ben presto ai Sassoni e in dialetto sassone si svolgesse la successiva letteratura. Molti studiosi moderni chiamano anglo-sassone l'inglese antico (fino al sec. XI). Anche le invasioni danese e norvegese lasciarono tracce nella lingua inglese; la conquista normanna, nel sec. XI, ebbe un'importanza decisiva per il suo ulteriore sviluppo.

- La Borgogna deve il suo nome all'antica popolazione germanica dei burgundi, che nel V secolo fondano un reame nella Gallia romana centro meridionale.

Nel 451 - Il 21 giugno, si combatte la battaglia dei Campi Catalaunici (o Catalauni, o anche Maurici), detta anche battaglia di Chalons, in una pianura della Gallia nei pressi dell'odierna Châlons-en-Champagne, fra le truppe del generale romano Ezio, reclutate soprattutto tra i barbari e affiancate dagli alleati Visigoti di Teodorico I e gli Unni di Attila, che vengono sconfitti. Ezio aveva chiamato a raccolta i suoi alleati germanici sul suolo romano per aiutarlo a respingere l'invasione degli Unni. I Franchi Salii risposero alla chiamata e anche i Ripuari, che lottarono su entrambi i lati, in quanto alcuni di essi vivevano al di fuori dell'impero. Il reparto dei Salii era guidato da re Meroveo, figlio e successore di  Clodione. Costui, in un primo tempo, si era dimostrato insofferente ai Romani. Infatti, il generale Ezio, prima che il capo barbaro gli diventasse amico ed alleato, aveva requisito a Clodione, in una battaglia, dei carri, aveva fatto dei prigionieri e gli aveva preso in ostaggio perfino la moglie incinta. La leggenda narra che costei, durante la prigionia, mentre nuotava nel mare, fu posseduta, già incinta del figlio di re Clodione, da un mostro marino ("bestea Neptuni Quinotauri similis") dalla cui unione nacque poi un figlio di due padriMeroveo.
Quinotauro, di Andrea Farronato.
Lo storico Prisco, che conobbe personalmente Clodione, narra di suo figlio Meroveo, che si era recato a Roma (nel 448 d.C.), per conferire con Ezio e chiedergli aiuto: "Io lo vidi qui, ed era ancora molto giovane. Aveva bellissimi capelli biondi, folti, lunghissimi che gli scendevano sulle spalle". Meroveo  introdusse nel suo governo le cosiddette "Leggi Saliche", sorta di codice in cui erano elencate le disposizioni civili e penali elaborate da un popolo che attingeva queste leggi da una lontana tradizione arcaica, tutte tramandate oralmente e patrimonio memorialistico dei vecchi saggi dei vari clan. Inoltre i Merovingi dettero origine ad una lingua che sostituì quella latino-germanica: il fiammingo. I fiamminghi (in olandese Vlamingen), sono un gruppo etnico storicamente legato alla regione delle Fiandre, nell'attuale Belgio settentrionale, discendenti delle antiche tribù germaniche, soprattutto Franchi, in seguito mescolatesi alle tribù gallo-celtiche di lingua gallica, lingua celtica parlata nelle antiche Gallie (odierne Francia ed Italia settentrionale), prima del latino volgare del tardo Impero Romano, che ci è nota attraverso i dialetti, diverse centinaia di iscrizioni su pietra, su vasi di ceramica e altri manufatti, su monete e talvolta su metallo.

Gli scismi nella cristianità dovuti ai concili di Efeso del 431 e Calcedonia.
Nell'ottobre del 451 si tiene il Concilio di Calcedonia, che ebbe luogo nella città omonima. Venne convocato dall'imperatore romano d'Oriente Marciano (450-457) e da sua moglie, l'imperatrice Pulcheria. Le sedute cominciarono l'8 ottobre 451 e contarono fra i cinquecento e i seicento vescovi. In continuità con i concili precedenti, vennero trattati argomenti cristologici e inoltre, in chiara opposizione con il secondo concilio di Efeso del 449, vi fu condannato il monofisismo di Eutiche e di Dioscoro. Eutiche affermava che in Cristo, dopo l'incarnazione la natura umana è stata assorbita completamente da quella divina. La divinità avrebbe accolto l'umanità "come il mare accoglie una goccia d'acqua". Contro Eutiche si erano pronunciati i patriarchi di Costantinopoli e di Antiochia e il papa di Roma. Inoltre papa Leone rifiutò di accettare il ventottesimo canone del concilio, che sanciva la preminenza del patriarcato di Costantinopoli su quelli di Antiochia e di Alessandria e la sua uguaglianza alla sede apostolica di Roma in base all'argomento che Costantinopoli era la nuova sede dell'Impero, la nuova Roma. Pulcheria era molto devota ma le stava altrettanto a cuore la preservazione dell'unità dell'impero, già messa sufficientemente a dura prova dai popoli barbari, come la minaccia di Attila  sventata da Ezio ai Campi Catalaunici pochi mesi prima.
L'impero di Attila nel 450 e altri
territori barbarici, da: https://it.wiki
L'anno dopo gli Unni invasero l'Italia. Certamente al successo del Concilio contribuirono le pressioni del cugino di Pulcheria, Valentiniano III (425-455), imperatore d'Occidente, il quale agì in accordo con papa Leone I, che nel 450, aveva inviato una missione, capeggiata dal vescovo di Como Abbondio, originario di Tessalonica: egli ottenne che Anatolio (Patriarca di Costantinopoli dal 449 al 458) accettasse una lettera che Leone aveva indirizzato nel 449 al suo predecessore Flaviano (martirizzato dai sostenitori del monofisismo di Eutiche). La lettera è tuttora ricordata col nome "Tomus ad Flavianum". La prima conseguenza del concilio fu la separazione delle chiese orientali antiche.

Principali centri della
laguna veneziana nel V
Nel 452 - Nell'ambito dell'invasione dell'Europa, nella penisola  italiana  entrano gli Unni, popolazione che giunge dalle steppe asiatiche e che da anni spinge a ovest tutte le genti minacciate dalla loro ferocia. Secondo la tradizione, il loro re Attila (in realtà si pronuncia Attìla, ed è il titolo dato dagli Unni al loro sovrano), definito "Flagello di Dio", verrà miracolosamente fermato al Mincio, da una ambasceria di cui fa parte papa Leone I, il vescovo di Roma.
In Veneto, gli Unni saccheggiano anche Altino e gli abitanti della terraferma di quella fascia costiera cercano rifugio nelle lagune, fenomeno che si ripeterà nel 568 con l'invasione dei Longobardi. L'attuale città di Venezia (allora indicata come Rivo Alto, da cui Rialto) si presentava allora come un insieme di piccoli insediamenti ancora molto eterogeneo, mentre maggiore importanza assumevano alcuni centri limitrofi come Torcello, Ammiana, Metamauco.






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