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martedì 22 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.14: dal 1.150 all' 850 p.e.v. (a.C.)

Antica rappresentazione di Eingana.
Il ricordo degli Euganei si conserva
nelle leggende e nelle favole delle
eingane o anguane/angane/aivane...
Gli antichi Euganei abitavano palafitte
lungo laghi e fiumi e le Anguane sono
la loro mitica rappresentazione che ne
determina il nome nelle varianti
etnonimiche: in retico Anauni, in
ligure Ingauni. Clicca sull'immagine
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Dal 1.150 - Gli Euganei erano un popolo insediatosi originariamente nella regione compresa fra il Mare Adriatico e le Alpi Retiche. Successivamente essi furono scacciati dai popoli Veneti in un territorio compreso tra il fiume Adige ed il Lago di Como, dove prosperava la civiltà Golasecchiana, e lì rimasero fino alla prima età imperiale romana. Catone il Censore, nel libro perduto delle Origines, annoverava tra le maggiori tribù euganee i Triumplini della Val Trompia ed i Camuni della Val Camonica.
Si trattava probabilmente di un popolo preindoeuropeo di stirpe affine a quella dei Liguri Ingauni, come testimoniato dall'analogia dei nomi che avevano in comune. Appartengono alla stessa stirpe degli Euganei, secondo Plinio il Vecchio, anche gli Stoni in Trentino.
Carta con gli insediamenti degli Euganei, Carni, Veneti
(Venetici), Reti, Camuni e Celti Leponzi e Cenomani.
Quando i Veneti raggiunsero il loro territorio fra il XII e l'XI secolo avanti Cristo, provenienti da un'imprecisata regione dell'Europa orientale, in parte spostarono verso Ovest gli Euganei ed in parte li assorbirono fondendosi con loro.

Reitia, divinità dei Veneti
(e dei Reti) dell'Italia
nord-orientale.
- Il nome "Veneti" ricorre frequentemente nelle fonti classiche. Erodoto ricorda gli Eneti tra le tribù illiriche, probabilmente i nostri Veneti italici; nell'Europa centrale Tacito localizza i Veneti, o Venedi e Venedae, (gli Slavi Venedi-Sclavini) distinguendoli dai Sàrmati; Pomponio Mela cita il lago di Costanza come Venetus lacus; ci sono poi i Venetulani, un popolo laziale scomparso citato da Plinio. Vi sono inoltre i Veneti Celti, della Bretagna francese, battuti poi da Giulio Cesare. La frequenza di questo etnonimo in diverse aree europee non va però spiegata con ipotetici legami storici e linguistici tra i diversi popoli che ne hanno fatto uso, quanto piuttosto da un'uguale derivazione, più volte ripetuta in modo indipendente, dalla medesima radice indoeuropea “wen” (amare). I Veneti (wenetoi) sarebbero pertanto gli "amati", o forse gli "amabili", gli "amichevoli".
Agli antichi Veneti del nord-est italico ci si riferisce talvolta con "Paleoveneti", "Veneti adriatici" o "Venetici" per distinguere il popolo dell'antichità dagli attuali abitanti della regione italiana del Veneto. Nel periodo antico vi erano rapporti culturali fra i nostri Veneti e la Civiltà villanoviana, l'Egeo, l'Oriente e successivamente anche con gli Etruschi. Nelle pianure del Veneto meridionale fra il 1150 e il 900 a. C. sorse il grande centro pre-urbano di Frattesina, crocevia di traffici fra il Baltico, le Alpi Orientali e Cipro, con sistema socio-economico fortemente gerarchizzato; quindi si sviluppano Villamarzana, e poi Montagnana.

Cartina dell'Europa e Mediterraneo nell'XI sec. p.e.v. (a.C.) con alcune delle
culture presenti in quei territori: Culture delle Tombe a fossa, Cultura
Germanica nord occidentale, Cultura Catalana dei campi d'urne,
Cultura Villanoviana, Cultura Adriatica, Cultura Laziale, Cultura di Hallstat,
Cultura Atestina o d'Este, Cultura di Golasecca e Cultura Apula.
Sono indicati i fiumi inerenti a tali civiltà. Clicca sull'immagine
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Dal 1.140 a.C. - Da: "Il Santo Graal" di Michael Baigent, Richard Leigh, Henri Lincoln - 1982 Arnoldo Mondadori Editore: "Tra le genealogie incluse nei Dossiers segreti, c'erano numerose annotazioni. Molte si riferivano specificatamente ad una delle dodici tribù di Israele, la tribù di Beniamino. Uno di questi riferimenti cita con notevole rilievo tre passi biblici: Deuteronomio 33, Giosué 18 e Giudici 20 e 21.
- Il capitolo 33 del Deuteronomio contiene le benedizioni impartite da Mosé ai patriarchi delle dodici tribù. Per Beniamino, Mosè dice: « II prediletto del Signore abita tranquillo presso di lui; e il Signore lo proteggerà per tutto il giorno, e dimorerà tra le sue spalle » (32:12). In altre parole, Beniamino e i suoi discendenti furono destinatari di una speciale, altissima benedizione. Questo, almeno, era chiaro. Naturalmente, ci sconcertava la promessa secondo la quale il Signore avrebbe dimorato « tra le spalle di Beniamino ». Dovevamo associarla alla leggendaria « voglia » distintiva dei Merovingi, la croce rossa tra le scapole? Il nesso ci sembrava piuttosto stiracchiato. D'altra parte, c'erano altre similarità, più chiare, tra Beniamino e l'oggetto della nostra indagine. Secondo Robert Graves, ad esempio, il giorno consacrato a Beniamino era il 23 dicembre, (1) la festa di San Dagoberto. Fra i tre clan che formavano la tribù di Beniamino, c'era il clan di Ahiram che in qualche modo oscuro potrebbe essere collegato a Hiram, costruttore del Tempio di Salomone e personaggio centrale della tradizione massonica. Inoltre, il discepolo più devoto di Hiram si chiamava Benoni; e Benoni, particolare piuttosto interessante, era il nome dato a Beniamino neonato dalla madre, Rachele, prima di morire.
- La seconda citazione biblica (Giosué 18) dei Dossiers segreti è più chiara. Parla dell'arrivo del popolo di Mosé nella Terra Promessa e dell'assegnazione dei territori a ognuna delle dodici tribù. Secondo tale divisione, il territorio della tribù di Beniamino include quella che divenne poi la città santa di Gerusalemme. In altre parole, Gerusalemme, prima ancora di diventare la capitale di Davide e di Salomone, era stata assegnata alla tribù di Beniamino. Secondo Giosué (18:28), la parte spettante ai Beniaminiti comprendeva « Zelah, Elef, Iebus, cioè Gerusalemme, Gabaa, Kiriat-Iearim; quattordici città e i loro villaggi. Questo fu il possesso dei figli di Beniamino, secondo le loro famiglie ».
- Il terzo passo biblico citato dai Dossiers, (Giudici 21:1-3. Il Libro dei Giudici è stato probabilmente scritto tra il 1.045 e il 1.000 a.C. e i versi 17-21, che sono un’appendice e che non si collegano ai capitoli precedenti, si riferiscono al tempo in cui “non c’era nessun re in Israele”, databile quindi prima del 1.027 a.C., data di inizio del regno di Saul, N.d.R.) riguarda una successione di eventi piuttosto complessa. Un Levita, mentre attraversa il territorio dei Beniaminiti, viene aggredito, e la sua concubina viene violentata da adoratori di Belial, una variante della Dea Madre dei Sumeri, chiamata Ishtar dai Babilonesi e Astarte dai Fenici. Il Levita convoca i rappresentanti delle dodici tribù e chiede vendetta; e nell'assemblea viene conferito ai Beniaminiti il compito di consegnare i malfattori alla giustizia. Ci si aspetterebbe che i Beniaminiti si affrettassero a obbedire. Ma per una ragione inspiegata, invece, prendono le armi per proteggere i « figli di Belial ». II risultato è una guerra accanita e cruenta fra i Beniaminiti e le altre undici tribù. Nel corso delle ostilità, queste undici tribù scagliano una maledizione contro chiunque darà una figlia in sposa a un Beniaminita. Quando la guerra finisce e i Beniaminiti sono stati virtualmente sterminati, tuttavia, gli Israeliti vittoriosi si pentono della maledizione che però non può essere revocata:
Gli Israeliti avevano giurato a Mizpa: « Nessuno di noi darà la figlia in moglie a un Beniaminita ». Il popolo venne a Betel, dove rimase fino alla sera davanti a Dio, alzò la voce prorompendo in pianto e disse: « Signore, Dio d'Israele, perché è avvenuto questo in Israele, che oggi in Israele sia venuta meno una delle sue tribù? » (Giudici 21:1-3).
Qualche versetto più avanti, il lamento si ripete: Gli Israeliti si pentivano di quello che avevano fatto a Beniamino loro fratello e dicevano: « Oggi è stata soppressa una tribù d'Israele. Come faremo per le donne dei superstiti, perché abbiamo giurato per il Signore di non dar loro in moglie nessuna delle nostre figlie? » (Giudici 21: 6-7).
E ancora: II popolo dunque si era pentito di quello che aveva fatto a Beniamino, perché il Signore aveva aperto una breccia nelle tribù d'Israele. Gli anziani della comunità dissero: « Come procureremo donne ai superstiti, poiché le donne beniaminite sono state distrutte? » Soggiunsero: « Le proprietà dei superstiti devono appartenere a Beniamino perché non sia soppressa una tribù in Israele. Ma noi non possiamo dar loro in moglie le nostre figlie, perché gli Israeliti hanno giurato: Maledetto chi darà una moglie a Beniamino! » (Giudici 21: 15-18).
Di fronte al pericolo d'estinzione che minaccia un'intera tribù, gli anziani si affrettano a trovare una soluzione. A Shiloh, in Betel, tra breve vi sarà una festa; e le donne di Shiloh, i cui uomini erano rimasti neutrali durante la guerra, devono essere considerate prede disponibili. Ai Beniaminiti superstiti viene detto di recarsi a Shiloh e di tendere un'imboscata nelle vigne. Quando le donne della città si raduneranno per danzare, i Beniaminiti dovranno rapirle e prenderle in moglie. Non è affatto chiaro perché i Dossiers segreti insistano nel richiamare l'attenzione su questo passo. Ma qualunque ne sia la ragione, i Beniaminiti, nella storia biblica, sono evidentemente molto importanti. Nonostante le devastazioni causate dalla guerra, recuperano in fretta almeno il prestigio, se non la consistenza numerica. Anzi, lo recuperano al punto da dare a Israele il suo primo re, Saul (vissuto nel periodo1047-1007 a.C. e re dal 1.027 a.C., n.d.r.).
Rembrandt: Re Saul e
David che suona l'arpa.
Nonostante la rinascita dei Beniaminiti, i Dossiers fanno capire che la guerra contro i seguaci di Belial segnò una svolta decisiva. Sembrerebbe che in seguito al conflitto molti Beniaminiti andassero in esilio. Nei Dossiers c'è una nota sensazionale, in lettere maiuscole:
Le 12 tribù d'Israele e la migrazione
in Arcadia di quella di Beniamino.
Da "Il Santo Graal" di Baigent,
Leigh e Lincoln. Vedi anche QUI 
UN GIORNO I DISCENDENTI DI BENIAMINO LASCIARONO LA LORO TERRA; CERTI RIMASERO, DUEMILA ANNI PIÙ TARDI GOFFREDO VI [DI BUGLIONE] DIVENNE RE DI GERUSALEMME E FONDÒ L'ORDINE DI SION.
A prima vista sembrava che non ci fosse un nesso tra i due fatti. Ma quando radunammo i riferimenti frammentari contenuti nei Dossiers segreti cominciò a emergere una storia coerente. Secondo questa storia, molti Beniaminiti andarono in esilio. A quanto pare si trasferirono in Grecia, nel Peloponneso centrale: in Arcadia, dove si sarebbero imparentati con la locale famiglia regnante. Verso l'inizio dell'era cristiana, avrebbero risalito il Danubio e il Reno, imparentandosi per matrimonio con certe tribù teutoniche e generando i Franchi Sicambri: gli antenati dei Merovingi.
Secondo i « documenti del Priorato », quindi, i Merovingi discendevano, attraverso l'Arcadia, dalla tribù di Beniamino. In altre parole i Merovingi e i loro discendenti, ad esempio le famiglie dei Plantard e dei Lorena, erano di origine semitica o israelita. E se Gerusalemme faceva parte dell'eredità dei Beniaminiti, Goffredo di Buglione marciando sulla Città Santa, avrebbe in pratica rivendicato la sua antica, legittima eredità. È significativo il fatto che Goffredo, unico tra i principi d'Occidente che intrapresero la Prima Crociata, cedesse tutte le sue proprietà prima della partenza, indicando così che non intendeva ritornare in Europa.
È superfluo aggiungere che non avevamo nessuna possibilità di accertare se i Merovingi fossero o no d'origine beniaminita. Le notizie dei « documenti del Priorato » si riferivano a un passato troppo oscuro e remoto, che non poteva trovare conferma documentale. Ma le affermazioni non erano né uniche né nuove. Al contrario, erano in circolazione da molto tempo, nella forma di vaghe dicerie e di tradizioni nebulose. Per citare un solo esempio, Proust vi attinge nella sua opera; e più recentemente il romanziere Jean d'Ormesson ipotizza che certe nobili famiglie francesi siano d'origine ebraica. E nel 1965 Roger Peyrefitte, che sembra divertirsi molto a scandalizzare i suoi compatrioti, ci riuscì benissimo in un romanzo affermando che tutta la nobiltà francese e gran parte della nobiltà europea erano ebree.
L'affermazione, anche se indimostrabile, non è del tutto implausibile, come non lo sono l'esilio e la migrazione attribuiti alla tribù di Beniamino dai « documenti del Priorato ». La tribù di Beniamino prese le armi in difesa dei seguaci di Belial, una forma della Dea Madre spesso associata alle immagini di un toro o di un vitello. C'è un motivo di credere che anche i Beniaminiti venerassero la stessa divinità.
Anzi è possibile che l'adorazione del Vitello d'Oro di cui parla l'Esodo - e che, cosa piuttosto significativa, è il tema di uno dei quadri più famosi di Nicolas Poussin (1594 - 1665), fosse un rito tipicamente beniaminita.
Dopo la guerra contro le altre undici tribù d'Israele, i Beniaminiti, andando in esilio, dovettero necessariamente dirigersi verso occidente, verso la costa fenicia. I Fenici avevano navi in grado di trasportare un gran numero di profughi. E sarebbero stati disposti ad aiutare i Beniaminiti fuggiaschi, poiché anche loro adoravano la Dea Madre sotto il nome di Astarte, Regina del Cielo.
Se vi fu veramente un esodo dei Beniaminiti dalla Palestina, si potrebbe sperare di trovarne qualche traccia. E la si incontra nel mito greco. C'è la leggenda del figlio di re Belo, Danao, che giunge in Grecia per nave, insieme alle figlie. Le figlie avrebbero introdotto il culto della Dea Madre, che divenne il principale culto degli Arcadi. Secondo Robert Graves, il mito di Danao ricorda l'arrivo nel Peloponneso di « coloni provenienti dalla Palestina ». Graves sostiene che re Belo è in realtà Baal o Bel, o forse Belial dell'Antico Testamento. È inoltre il caso di osservare che una delle famiglie della tribù di Beniamino era la famiglia di Bela.
In Arcadia, il culto della Dea Madre non soltanto prosperò, ma sopravvisse più a lungo che in ogni altra parte della Grecia. Fu associato al culto di Demetra, poi a quello di Artemide (la Diana dei Romani). Con il nome locale di Arduina, Artemide divenne la divinità tutelare delle Ardenne: e dalle Ardenne vennero i Franchi Sicambri per stabilirsi nell'attuale Francia. L'animale totemico di Artemide era l'orsa, Callisto, il cui figlio era Arcade, l'Orso, nume eponimo dell'Arcadia. E Callisto, collocata in ciclo da Artemide, divenne la costellazione dell'Orsa Maggiore. Quindi, potrebbe esservi qualcosa di più di una coincidenza nell'appellativo « Ursus », riferito ripetutamente alla stirpe Merovingia.
Vi sono comunque altri indizi, al di fuori della mitologia, che fanno pensare a una migrazione ebrea in Arcadia. Nei tempi classici, l'Arcadia era dominata dal potente Stato militarista di Sparta. Gli Spartani assimilarono in gran parte la più antica cultura degli Arcadi; anzi il leggendario arcade Liceo può essere identificato con Licurgo, il legislatore spartano. Quando diventavano adulti, gli Spartani, come i Merovingi, attribuivano uno speciale significato magico alle loro chiome, che erano egualmente lunghissime (così come quelle del biblico Sansone e degli altri nazirei, n.d.r.). Secondo un autore, « la lunghezza dei capelli denotava il loro vigore fisico ed era un simbolo sacro ». E c'è di più: i due libri dei Maccabei, nella Bibbia, sottolineano il legame tra gli Spartani e gli Ebrei. Maccabei 2 parla di certi Ebrei che « si erano recati presso Spartani, nella speranza di trovarvi protezione in nome della comunanza di stirpe ». E Maccabei 1 afferma esplicitamente: « Si è trovato in una scrittura, riguardante gli Spartani e i Giudei, che essi sono fratelli e che discendono dalla stirpe di Abramo ».".

Dal 1.100 a.C. - Le culture kurganiche indoeuropee, che allevavano cavalli fin dal 4.000 a.C., sia per mangiarli che come animali da soma, verso il 2.100-2.000 a.C. avevano imparato ad usarli per trainare agili carri da caccia, corsa e guerra e a cavalcarli in maniera incontrollata (con nasiere e senza sella o sottopancia) e finalmente, dopo circa un millennio di tentativi e di selezioni del cavallo, riuscirono a montarlo in maniera utile per poterlo impiegare in battaglia, controllandolo quindi con una mano o con le gambe e contemporaneamente poter brandire un'arma. La scoperta della cavalcabilità del cavallo (tra il 1100 e il 1000 a.C.) sarà una rivoluzione che metterà in moto le steppe occidentali mentre forse ad est degli Altaj, con l'addomesticazione della renna, si era verificato un fenomeno analogo.

Cartina della Fenicia intorno al
1000 a.C. con Biblo, Sidone e Tiro.
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La stele di Nora,
vicino a Cagliari,
con antiche iscrizioni
in alfabeto fenicio
IX - VIII sec. a.C.
- Nell'XI secolo a.C. i Fenici colonizzano il Mar Mediterraneo, fondando basi  sulle coste mediterranee e della Sardegna. In seguito monopolizzeranno le navigazioni nel Mediterraneo Occidentale, sostituendosi ai proto-Liguri nei commerci atlantici, fino agli anni delle guerre Puniche contro Roma. I Fenici avevano il monopolio della produzione del rosso porpora, un pigmento ottenuto dalla lavorazione di molluschi marini (murex), molto apprezzato e richiesto nei mercati dell'antichità, oltre alla produzione del vetro, con tutti i manufatti connessi ad esso. Ancora oggi i produttori di vetro di Murano, a Venezia, sanno riprodurre quelle piccole sfere forate, usate come perline, che riconoscono come di derivazione fenicia (le chiamano "rosette"), e che hanno ispirato loro le murrine, barre di vetro di cui la sezione mantiene gli stessi disegni e colori per tutta la lunghezza.
Alfabeto Fenicio arcaico e gli alfabeti
derivati dal Fenicio: Greco orientale e
occidentale: dal Greco occidentale
deriveranno l'Etrusco e il Latino.
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I Fenici sono stati i primi ad adottare la scrittura con un alfabeto fonetico, anche se senza vocali. Da tale alfabeto deriveranno tutti gli alfabeti europei: Greco, Greco Occidentale da cui deriveranno gli alfabeti Etrusco e Latino, che designerà la grafica della scrittura che usiamo ancora oggi nella maggior parte del mondo.

Dal 1.080 - A seguito degli accordi fra le popolazioni italiche di origine indoeuropea (definiti Aborigeni dagli storici antichi), con gli Umbri in prima fila, e i Pelasgi, dopo le campagne vittoriose contro i Liguri (chiamati Siculi), avvenute orientativamente alla fine dell'età del bronzo, gli Italici avrebbero concesso ai Pelasgi il popolamento dell'Etruria, che era stata dei Liguri, dove si sarebbero insediati e da cui sarebbe scaturita la civiltà Etrusca. Complessivamente, si è attribuita ai Pelasgi una vocazione migratoria e, in particolare, marinara: Eusebio, nel "Chronicon", considerava quella dei Pelasgi una "talassocrazia" che potrebbe essere stata la protagonista dell'avvicendamento al governo della Tartesso iberica, appannaggio dei liguri arcaici, che passerà poi sotto il controllo dei Cartaginesi nell'VIII secolo a.C., e gli riconosceva il dominio del Mar Mediterraneo, in un periodo che sarebbe iniziato novantanove anni dopo la caduta di Troia (quindi intorno al 1080 a.C.) e sarebbe durato altri ottantacinque, quindi fino al 995 a.C. circa (secondo la cronologia di Eratostene di Cirene, tra il 1082 e il 997 a.C.). Non a caso l'alfabeto adottato a Tartesso ha ispirato i 5 alfabeti nord-italici del V secolo, che vennero invece attribuiti a nuove adozioni dell'alfabeto etrusco: se i Pelasgi, considerati "Tirreni", avevano sottomesso Tartesso intorno al 1200 a.C. e da loro erano derivati gli Etruschi italici, il cerchio si chiude. Per il post "Dal linguaggio ligure al celtico nell'Italia settentrionale antica, i 5 alfabeti usati e il runico germanico", clicca QUI.

Carta delle Popolazioni italiche nel 1000 a.C.
Nel 1.050 a.C. - Nella penisola italica, la Civiltà Villanoviana è al culmine. Fra il X e l'VIII secolo a.C., l'età del ferro trova la sua massima espressione nella civiltà Villanoviana (preceduta nel bronzo recente dalla cultura protovillanoviana), che ha preso il nome da Villanova (una frazione di Castenaso, in provincia di Bologna), un insediamento di grande interesse archeologico, dove sono state trovate lance, spade, pettini e gioielli di ogni tipo. Questa è una dimostrazione dei progressi che erano stati fatti nell'estrazione e nella lavorazione dei metalli, di cui era particolarmente ricco il sottosuolo della regione.

- Tra il 1038 a.C. e il 753 a.C. il governo di Atene è affidato a nove arconti, che furono prima dei magistrati eletti a vita per poi trasformarsi in una carica decennale fino al 682 a.C. quando diventerà annuale. I tre arconti più in vista, oltre ai sei tesmoteti, erano: l'arconte eponimo, l'arconte re (capo religioso) e l'arconte polemarco (capo militare); gli altri arconti (i tesmoteti) tramandavano le leggi a voce cercando di conquistare sempre più potere.
Atene, Aeropago visto dall'Acropoli.
L'Areopago è una delle colline di Atene situata tra l'agorà e l'acropoli e nel periodo monarchico vi si riuniva il collegio delle supreme magistrature dello Stato (governo dei 9 arconti) presiedute dal re. Secondo le leggi arcaiche dell'arcontato, i membri che ne facevano parte erano eletti a vita, senza possibilità di rinnovo del consiglio. La principale funzione di tale assemblea era quella di occuparsi della custodia delle leggi contro ogni violazione e della giurisdizione sui delitti di sangue. Il suo orientamento era del tutto conservatore e la sua composizione, formata da membri provenienti dall'aristocrazia eletti per anzianità o per principi ereditari, accentuava il suo indirizzo moderato e sanciva il suo ruolo decisivo nella custodia delle leggi, della pubblica moralità e dei culti cittadini. Al re rimaneva da svolgere le funzioni religiose e di presiedere all'areopago, perché il comando militare supremo passò in mano ad un arconte, mentre gli incarichi civili e giudiziari furono presieduti dall'arconte affiancato dai tesmoteti.

Area degli insediamenti degli
Sciti dal 1.000 a.C.
Dal 1.000 a.C. - Provenienti dalla Siberia meridionale, nell'area compresa tra il Mar Caspio e i Monti Altai, gli Sciti si insediarono nella vasta area compresa tra il Don e il Danubio nel X secolo a.C.
Vinti e assoggettati i Cimmeri, gli Sciti dilagarono, nel corso del VI secolo a.C., verso l'area balcanica e la Pannonia, nel bacino settentrionale del Mar Nero, per poi toccare la Germania orientale e con i Traci l'Italia settentrionale.

Area in cui erano stanziate le tribù
germaniche durante il
I millennio a.C.
- Nei primi secoli del I millennio a C., i Germani si diffusero fino a occupare un'ampia area dell'Europa centro-settentrionale, dalla Scandinavia all'alto corso del Danubio e dal Reno alla Vistola.

Territori della Cultura celtica
di Golasecca.
- Come si desume dai ritrovamenti archeologici, a partire dal X secolo a.C., fra le genti che formavano quella che noi chiamiamo Cultura di Golasecca, viene a crearsi la necessità di avere una élite guerriera  ben  equipaggiata, come testimoniato dall’armamentario ritrovato all’interno delle tombe della necropoli di Morta in provincia di Como.
Tale necessità è motivata dalla ricchezza che si viene a produrre in queste zone, ricchezza dovuta all’ubicazione geografica che consentì il controllo delle vie commerciali tra il versante nord e sud delle Alpi. Tutto ciò consentì lo sviluppo, in una zona omogenea, di una società diversificata rispetto ai vicini, nonché la nascita di una delle più antiche città europee al di fuori della zona mediterranea. Al periodo di benessere appena descritto segue per tutto il IX sec. e metà del l’VIII sec. un calo, probabilmente dovuto a mutazioni climatiche che portarono un periodo di forte piovosità, come dimostrato dai livelli dei laghi svizzeri sulle cui sponde, da secoli, sorgevano abitazioni abbandonate in seguito all’innalzamento del livello dell’acqua. E’ presumibile che tali innalzamenti dovuti alle copiose precipitazioni abbiano influenzato anche la vita ed i commerci in pianura padana, rendendo difficile l’utilizzo delle vie d’acqua. La situazione migliorò verso la fine dell’ VIII secolo.

La situla Benvenuti della
cultura d'Este, o Atestina.
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La civiltà o cultura Atestina o d'Este è una testimonianza dell'antica popolazione dei Venetici (Veneti) nell'Italia protostorica, diffusa nell'attuale territorio del Veneto e sviluppatasi tra la fine dell'età del bronzo (X-IX secolo a.C.) e l'età romana (I secolo a.C.) e derivata dalla precedente e più estesa cultura protovillanoviana.
Alfabeto
Venetico
d'Este.
Prende il suo nome da Este in provincia di Padova, che ne fu il centro principale, ed è detta anche "civiltà delle situle", dal nome degli oggetti tipici della sua produzione, o civiltà paleo-veneta. L'economia era fondata sull'agricoltura, l'allevamento delle pecore, la pesca in acqua dolce. Si praticavano scambi con la regione villanoviana e l'Etruria, la Slovenia, il Tirolo e la regione hallstattiana. La situla Benvenuti è uno dei migliori esempi della produzione di questa cultura, con ornamenti animali (reali o fantastici), vegetali e geometrici, che dimostrano un'influenza orientale. Vi sono raffigurate anche scene con personaggi, dove si scorgono i primi intenti narrativi, con temi tipicamente locali come scene di commercio, di lotta, di vita rurale e di guerra. Le situle sono diffuse su un ampio raggio, forse a opera di artigiani itineranti in contatto con civiltà orientali più progredite, probabilmente tramite la mediazione dell'Etruria o delle colonie adriatiche della Magna Grecia o della penisola balcanica.

- Fin da circa il 1.000 a.C. la regione corrispondente all'attuale Portogallo è abitata dalla popolazione iberica dei Lusitani.

- Nel 1.000 a.C. circa, il linguaggio delle popolazioni celtiche si distingue in quattro sub-famiglie. Le lingue celtiche sono idiomi che derivano dal proto-celtico o celtico comune, una branca della grande famiglia linguistica indoeuropea. Durante il I millennio a.C., queste venivano parlate in tutta l'Europa, dal Golfo di Guascogna al Mar del Nord, lungo il Reno ed il Danubio fino al Mar Nero e al centro della penisola anatolica (Galazia). Oggi le lingue celtiche sono limitate a poche zone ristrette in Gran Bretagna, nell'Isola di Man, in Irlanda, in Bretagna (in Francia) e persistono nei dialetti dell'Italia settentrionale, Venezie escluse. Il proto-celtico si divide apparentemente in quattro sub-famiglie: il gallico ed i suoi parenti più stretti, il lepontico, il norico ed il galato. Queste lingue venivano parlate in un vasto spazio che andava dalla Francia fino alla Turchia, dal Belgio fino all'Italia settentrionale, dove sopravvive nei dialetti di LombardiaEmilia-RomagnaPiemonte e Liguria; il celtiberico, anticamente parlato nella penisola iberica: nell'area del Portogallo centro-meridionale e in Spagna nella Galizia, nelle Asturie, in Cantabria, in Aragona e nel León; il goidelico, che include l'irlandese, il gaelico scozzese, il mannese; il brittonico che include il gallese, il bretone, il cornico, il cumbrico, l'ipotetico ivernico e forse il pittico. Alcuni studiosi distinguono un celtico continentale da un celtico insulare, argomentando che le differenze tra le lingue goideliche e quelle brittoniche si sono originate dopo la separazione fra lingue continentali e insulari. Le lingue celtiche continentali sono quelle lingue celtiche che non sono né goideliche né brittoniche (celtico insulare). Sebbene sia verosimile che i Celti abbiano parlato dozzine di lingue e dialetti diversi attraverso l'Europa in tempi pre-romani, solo quattro di queste lingue sono realmente attestate e sopravvivono nei dialetti locali: Lingua leponzia (dal VII al III secolo a.C.) generalmente considerata una variante del Gallico; Lingua gallica (dal III secolo a.C. al II secolo d. C.); Lingua galata (dal III secolo a.C. al IV secolo d. C.) generalmente considerata una variante del Gallico; Lingua celtiberica (intorno al I secolo a.C.). Molti ricercatori concordano sul fatto che il celtico insulare sia un ramo distinto del celtico, avendo subìto innovazioni linguistiche. Le lingue celtiche insulari sono le lingue celtiche parlate ancora oggi in Gran Bretagna, Irlanda, Isola di Man, Bretagna e sulla costa atlantica della Francia, che si contrappongono alle lingue celtiche continentali. Complessivamente si stima che le lingue celtiche insulari siano parlate da circa 900.000 persone. La più diffusa è la lingua gallese, con 526.000 locutori censiti nel Regno Unito nel 2011. Segue la lingua bretone, che contava 206.000 locutori nel 2007. La lingua gaelica irlandese, o semplicemente lingua irlandese, è parlata da 106.210 persone, di cui 72.000 censite nel 2006 nella Repubblica d'Irlanda. Per la lingua gaelica scozzese si stimano 63.130 locutori. La lingua cornica e la lingua mannese, un tempo considerate estinte, al censimento del Regno Unito del 2011 risultavano essere la lingua principale, rispettivamente, di 557 e 33 persone. La lingua gaelica iberno-scozzese era diffusa in Irlanda e Scozia, ma è ritenuta estinta dal XVIII secolo. Secondo Ethnologue, la classificazione delle lingue celtiche insulari è la seguente: Lingue brittoniche: lingua bretone [codice ISO 639-3 bre], lingua cornica [cor], lingua gallese [cym]. Lingue goideliche o gaeliche: lingua gaelica iberno-scozzese [ghc], lingua gaelica irlandese [gle], lingua gaelica scozzese [gla], lingua mannese [glv]. Altri studiosi distinguono invece un celtico-Q da un celtico-P, a seconda dello sviluppo della consonante indoeuropea . La lingua bretone è brittonica, non gallica. Quando gli anglo-sassoni si trasferirono in Gran Bretagna, alcuni dei nativi gallesi (welsh, dalla parola germanica Welschen che designa gli "stranieri", parola che deriva dal nome della tribù celtica dei Volci Tectosagi che erano appunto confinanti e talvolta in guerra con tribù germaniche e pertanto stranieri per questi ultimi) attraversarono la Manica e si stabilirono in Bretagna, portandosi la loro lingua madre che diventò in seguito il bretone, che rimane ancora oggi parzialmente intelligibile con il gallese moderno ed il cornico. Per tutte, il sistema di scrittura è l'alfabeto latino.


Particolare del sarcofago degli Sposi
opera etrusca del VI sec. a.C.
Nel 950 a.C. - L'Italia era divisa al tempo essenzialmente tra: Liguri (nel nord-ovest), Celto-Liguri (a nord), Veneti (nel nord-est), Villanoviani e, prima di essi, Proto-villanoviani (nel centro-nord), la propaggine dei Pelasgi a Spina e Adria con numerose città conquistate ai Liguri nel centro italico in alleanza con gli Umbri, che li avevano chiamati in soccorso e più a sud Oschi, Latini, Sanniti, Campani e Dauni, Iapigi, Messapi, Lucani e Bruzi (centro e centro-sud), Siculi, Sicani ed Elimi (in Sicilia), Sardi e Corsi (in Sardegna e Corsica). Tra essi i Villanoviani erano senza dubbio i popoli più evoluti per quanto riguardava le tecniche agricole e si contendevano con la cultura di Golasecca il primato per quelle legate alla lavorazione dei metalli (bronzo e ferro). La presenza già nel II millennio a.C. di empori fenici e in generale di mercanti micenei e mediorientali, aveva portato a un certo affinamento della sensibilità artistica e delle conoscenze tecniche dei popoli italici e il progresso tecnico e artistico era stato stimolato dall'Oriente e dalla Grecia, dove ebbero luogo i primi insediamenti urbani e le prime formazioni statali. I popoli stranieri insediati nella penisola italiana furono principalmente i Fenici, i Greci e gli Etruschi, oltre ai Celti che si fusero con la cultura ligure nell'estremo nord, (fra cui la cultura di Golasecca) tutti peraltro provenienti da oriente. I primi due si insediarono principalmente nelle isole e nel sud Italia, dove fondarono sia empori commerciali sia (alle volte) vere e proprie colonie di popolamento, rimanendo tutto sommato ai margini rispetto alle popolazioni autoctone, sulle quali ebbero inizialmente un'influenza abbastanza contenuta.
Carta dei territori abitati dagli Etruschi dall' 800 a.C.
al 500 a.C. e delle loro espansioni, colorate in ocra,
con indicate le città Etrusche. Sono inoltre indicate
le popolazioni italiche nell'Italia preromana: Liguri,
Reti, Veneti, Celti, Piceni, Umbri, Sabini, Latini,
Volsci, Sanniti, Lucani e Sardi.
Gli Etruschi invece, la cui civiltà ha iniziato a farsi strada a partire dal IX secolo a.C. nelle aree più centrali della penisola italiana (Emilia e Toscana), seppero mescolarsi molto di più con le popolazioni italiche originarie, influenzandole più direttamente e determinandone un notevole progresso sia culturale e tecnico che sociale, stimolando tra l'altro la nascita delle prime città-stato italiche. Si deve inoltre sottolineare come la civiltà etrusca, pur essendo considerata di matrice orientale, abbia rivelato aspetti tipici di una civiltà autoctona sul suolo italico. Fra i "Popoli del Mare" annoverati nella "Grande iscrizione di Karnak", che invasero l'Egitto nel 1208 a.C., vi sono i  Tereš Turša o Twrs (Twrshna, o Tursha), e possono essere identificati con con le genti chiamate dai greci Turs-anòi (in dorico), Tyrs-enòi (in ionico), Tyrrh-enoi (in attico), cioè Tirreni, da cui prende appunto il nome il Mar Tirreno, mentre dagli italici erano chiamati Tus-ci (da Turs-ci) ed E-trus-ci dai Romani. Nelle lingue antiche la "c" e la "g" erano dure, come in cane e gallo, per cui Tusci si pronuncia "tuschi" ed Etrusci si pronuncia "etruschi". Gli Etruschi sono stati chiamati con diversi nomi derivanti dalla radice "Turs". Le terre abitate da questi popoli furono quindi chiamate Tyrrhenia, Tuscia (che prevalse nei tempi imperiali e a cui si ricollega il nome moderno della Toscana) ed Etruria (largamente usato prima del nome Tuscia). Va detto comunque che gli Etruschi chiamavano se stessi Rasenna. I Tirreni (l'appellativo greco per Etruschi) secondo Erodoto (Storie, I, 94, 5 - 7) erano una colonia dei Lidi condotta in Italia nel XII sec. a.C., poco dopo la guerra di Troia, mentre Dionisio o Dionigi d'Alicarnasso, storico e insegnante di retorica, che visse nel periodo augusteo (60 a. C. - 7 d.C.) sosteneva che gli Etruschi fossero autoctoni. Recenti studi sul DNA mitocondriale (il mitocondrio è un corpuscolo intracito-plasmatico della cellula che rimane pertanto immutato di generazione in generazione, non entrando nella combinazione del DNA maschile e femminile) sembrerebbero confermare tale ipotesi e smentire la versione erodotea ma nonostante ciò va detto che il DNA mitocondriale del 2% dei Toscani sarebbe diverso da quello delle altre popolazioni italiane ed europee ed in parte simile a quello delle popolazioni dell'Asia Minore e dell'isola di Lemno. La teoria che appare più lineare è quella proposta da quegli studiosi che sono convinti della discendenza degli Etruschi (o Tirreni) dalla prima popolazione indoeuropea che, venuta da oriente, si era stanziata in Grecia: i Pelasgi. Nel 1885 fu trovata, nell'isola greca di Lemnos, in località Kaminia, la stele di Lemnos, una doppia iscrizione incorporata nella colonna di una chiesa. Tale iscrizione sembra testimoniare una lingua pre-ellenica in tutto simile a quella degli Etruschi (per l'iscrizione di Lemnos vedi nel 530 a.C., N.d.R.). Secondo il massimo storico greco Tucidide, l'isola di Lemnos sarebbe stata abitata da gruppi di Τυρσηνοί ("Tirreni", il nome greco degli Etruschi), e il ritrovamento ha fornito la prova sicura che in quell'isola del Mare Egeo, ancora nel VI secolo a.C., era parlata una lingua strettamente affine all'etrusco, per cui si rafforza l'ipotesi che gli Etruschi (i Tirreni) fossero discendessero dai Pelasgi, il popolo di guerrieri che aveva annesso e colonizzato tutte le regioni della Grecia, da Dodona a Creta alla Troade fino in Italia, dove i loro insediamenti erano ben riconoscibili ancora nel tempo degli Elleni. Ma non solo, gli avvenimenti intorno ai secoli XIII/XIV  a.C. in centro Italia possono svelare un movente convincente di questa ipotesi.
Nel XIV e XIII sec. a.C. una frazione di Liguri denominati Siculi, si era stabilita nel Lazio, proprio nell'area dove verrà poi fondata  Roma. Presumibilmente tribù di Liguri avevano avuto il controllo, oltre che del settentrione italico, della Toscana, Umbria e delle Marche, in cui avevano fondato Numana e Ancona. Questi Liguri denominati  Siculi potrebbero essere stati i  Šekeleš, uno dei popoli del Mare. Dionigi di Alicarnasso nella sua storia delle antichità romane parla dei Siculi come della prima popolazione che avesse abitato la zona di Albalonga, nei cui pressi sorse Roma. Siculo (o Sikelòs o Siculos), è il presunto re che avrebbe dato il nome al popolo dei Siculi e alla Sicilia (Sikelia) ma dei Siculi si fa menzione a proposito dell'arrivo dei Pelasgi in Italia. Così tramanda Dionigi di Alicarnasso a proposito di un oracolo a Dodona rivolto ai Pelasgi: “Affrettatevi a raggiungere la Saturnia terra dei Siculi, Cotila, città degli Aborigeni, là dove ondeggia un'isola; fondetevi con quei popoli, ed inviate a Febo la decima e le teste al Cronide, ed al padre inviate un uomo.”. I Pelasgi accolto l'ordine di navigare alla volta dell'Italia, e di raggiungere Cotila nel Lazio vetus, allestirono numerose navi e si diressero come prima tappa verso le coste meridionali dell'Italia, che erano le più prossime. Lo schema narrativo seguito da Dionigi è identico a quello che Varrone aveva prodotto prima di lui, per cui ci si aspetterebbe che i Pelasgi, obbedendo all'oracolo che ingiungeva loro di recarsi a Cotila, andassero a sbarcare sulle coste del mar Tirreno dove lo stesso Varrone li aveva fatti approdare. “Ma”, dice Dionigi, “per il vento di Mezzogiorno, e per la imperizia dei luoghi, andarono a finire in una delle bocche del fiume Po, chiamata Spina. Qui lasciarono le navi, fondarono la città di Spina, si diressero verso l'interno e, superati gli Appennini, vennero a trovarsi sul versante occidentale della penisola italica nella regione dove a quel tempo abitavano gli Umbri.”. Ai Siculi, dice poi Dionigi, i Pelasgi tolsero Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio ed altre città che nel tempo saranno degli Etruschi, probabili discendenti dei Pelasgi stessi. In Dionigi di Alicarnasso leggiamo che i primi aggressori dei Siculi (o Liguri-Siculi), quando essi ancora si trovavano in Italia peninsulare furono i cosiddetti Aborigini che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lesbio in Dionigi, infine, stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia. Secondo Dionigi di Alicarnasso la città di Roma avrebbe avuto come primi abitatori indigeni dei barbari siculi successivamente espulsi dagli Aborigeni con l'aiuto dei Pelasgi. I Siculi, respinti, si sarebbero rifugiati in Sicilia e gli Aborigeni si sarebbero estesi sino al fiume Liris assumendo il nome di Latini, dal re che li avrebbe domati al tempo della guerra troiana. Tracce di nomi Etruschi appaiono in alcuni nomi di località dell'Egeo, di Creta e dell'Asia Minore: uno dei molti esempi è Μύρινα (affine al nome gentilizio etrusco Murina di Tarquinia e Chiusi) nome di città a Creta, nella stessa Lemno, in Misia. Questi dati vengono interpretati da alcuni studiosi come indizio dell'origine orientale degli Etruschi, passati alla fine età del bronzo, dal Mediterraneo occidentale a quello  orientale.
Ubicazione dell'isola di Lemnos e luoghi in cui sorgevano
i principali santuari della Grecia antica, con indicata la
divinità specifica che vi si venerava. Clicca
sull'immagine per ingrandirla
L'iscrizione di Lemnos è stata reperita su una pietra tombale sulla quale è scolpito un guerriero, corre intorno alla testa e lungo un lato della figura del guerriero, ed è redatta in un alfabeto greco epicorico del VI secolo a.C. Fra le parole chiaramente leggibili ve ne sono due: aviš e sialchveiš, che vengono giustamente confrontate con le parole etrusche avil "anno" e sealch, il numerale "40". L'iscrizione di Lemno fu pubblicata da E. Nachmanson (Athen. Mitteil. 33 1908, pp. 47. ss.). Tracce degli Etruschi appaiono in alcuni nomi di località dell'Egeo, di Creta e dell'Asia Minore: uno dei molti esempi è Μύρινα (affine al nome gentilizio etrusco Murina di Tarquinia e Chiusi) nome di città a Creta, nella stessa Lemno, in Misia. Alcuni hanno rintracciato affinità non sicure fra nomi etrusco-latini e nomi di persona presenti nelle tavolette in Lineare B di Cnosso: ad es. ki-ke-ro. Questi dati vengono interpretati da alcuni studiosi come indizio dell'origine orientale degli Etruschi; sono considerati un segno di rapporti di fine età del bronzo fra Mediterraneo occidentale e orientale, da altri studiosi, che integrano la testimonianza dell'iscrizione di Lemno con quella dei geroglifici egizi di Medinet Habu, che parlano dei Popoli del Mare, ed elencano fra gli invasori anche i Twrs, nome che è stato confrontato con il greco Turs-anòi (dorico) e Tyrs-enòi (ionico) e Tyrrh-enoi (attico) e con il latino Tus-ci (da Turs-ci) ed E-trus-ci. Queste scoperte hanno convinto Nermin Vlora Falaski, studioso albanese, sulla derivazione degli Etruschi dai Pelasgi, le prime popolazioni indoeuropeee a raggiungere il Mediterraneo e l'Europa, anche se le iscrizioni in geroglifico del tempio funerario del faraone Ramses III (1193-1155 a.C.) di Medinet Habu, potrebbero contenere un chiaro riferimento, forse l'unicoarcheologicamente documentato, dell'esistenza reale del popolo dei Pelasgi. L’iscrizione descrive un attacco effettuato nell’8º anno di regno del faraone (il 1186 a.C.) da un’alleanza di cinque popoli stretta dopo aver distrutto la città di Ugarit (in Siria): tra costoro compaiono i Peleset (i Pelasgi), oltre agli Šekeleš (i Siculi), i Tjeker, gli Wešeš e i Denyen, con al seguito donne, bambini e masserizie. I popoli vengono complessivamente denominati "Popoli del mare, del nord e delle isole". Nermin Vlora Falaski, nel suo libro "Patrimonio linguistico e genetico" (scritto anche in lingua italiana), ha decifrato iscrizioni Etrusche e Pelasgiche con la lingua odierna Albanese. Questo proverebbe che gli Albanesi (discendenti degli Illiri) siano gli odierni discendenti dei Pelasgi, una delle più antiche stirpi che popolò l’Europa. Qui di seguito proponiamo alcune traduzioni di Falaski tratte da http://www.thelosttruth.altervista.org/SitoItalian/Caso
Pelasgico.html: "Dunque, in Italia esiste la località dei TOSCHI (la Toscana), così come i Toschi abitano nella “Toskeria”, nell’Albania meridionale. (Molti autori sostengono che la parola Tosk, oppure Tok, sia il sinonimo di DHE, tanto che oggi in albanese si usa indifferentemente la parola DHE che quella TOK per dire “terra”). In Toscana si trova un’antichissima città, verosimilmente fondata dai Pelasgi, che si chiama Cortona, (nota: in Albanese: COR= raccolti, TONA= nostri, cioè “i nostri raccolti”). Dalla vasta e fertile pianura della Val di Chiana si accede a una ripida collina, in cima alla quale si trova un bellissimo castello, trasformato in museo archeologico. In mezzo ad un grosso patrimonio epigrafico, vi è anche una iscrizione particolarmente bella e interessante, su un sarcofago con addobbi floreali. Su questo sarcofago appare la seguente scritta:
Scritta Etrusca tradotta con la lingua albanese, che
testimonia la derivazione comune delle lingue Etrusca
e Illirico-Albanese. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
La voce verbale â o âsht (in Italiano è) si usa ancora nel dialetto dell’Albania settentrionale e nel Kossovo, mentre nel sud e nella lingua ufficiale, che è quella dei Toschi, si impiega la voce ësht. Le varie fonti ci informano che i Greci impararono dai Pelasgi non solo l’arte della lavorazione dei metalli, della costruzione delle mura, ma appresero, perfezionandolo, il loro modo di scrivere e fecero proprie le loro divinità, come per esempio DE-MITRA (Dhe = terra, Mitra = utero, cioè la DEA MADRE TERRA), la greca Demetra, nonché AFER-DITA (Afer = vicino, Dita = Giorno), la greca Afrodite, più tardi chiamata Venus dai Romani, oggi Venere). I Pelasgi, che furono chiamati anche “Popoli del Mare”, poiché erano abili e liberi navigatori, chiamarono ILIRIA (ILLYRIA per i Romani) la loro patria: LIRI (LIR=libero), che voleva dire: “Il Paese del popolo libero”, paese che si estendeva dal Mediterraneo fino al Danubio. Di parole con la radice Lir ne troviamo, con lo stesso significato nelle seguenti lingue: Pelasgo-illirico(liri), Etrusco(liri), Albanese odierno(liri), Italiano(libertà), Francese(libertè), Latino(libertas), Inglese(liberty), Spagnolo(libertad), Romeno(libertade), Portoghese(liberdade). In italia, e precisamente nel Lazio, esiste il monte Liri, nonché il fiume Liri, e Fontana Liri. Questo nome è stato conservato durante i secoli nei vari paesi Europei Mediterranei, molto probabilmente attraverso la “irradiazione” delle varie tribù illiriche, come gli Etruschi, i Messapi, i Dauni, i Veneti, i Piceni, ecc. Ognuno di questi nomi ha un significato nella lingua Albanese: E TRURIA (E= di, TRURIA= cervello, paese di gente con cervello), MESSAPI (MES=ambiente, centro, HAPI= aperto, paese di gente aperta), DAUNI (dauni, separati, separatevi), VENETI (nome derivante dalla dea VEND, patria, luogo per eccellenza), PICENI (PI=bere, KENI=avete, luogo con acqua abbondante)...
Cartina dell'espansione degli Etruschi dal 750 a.C. al 500 a.C.
con i nomi delle loro città appartenenti alla Lega (dodecapoli)
e altri insediamenti. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
L'Etruria era una regione antica dell'Italia centrale che comprendeva i territori attualmente spezzini a sud del fiume Magra, la Toscana, parte dell'Umbria occidentale fino al fiume Tevere e parte del Lazio settentrionale. La civiltà Etrusca fu il frutto dell’innesto di elementi stranieri (attorno ai quali non si hanno notizie certe) sulla preesistente cultura villanoviana, nell’area compresa tra l’Arno e il Tevere. Essenzialmente urbana, si organizzò in città-stato (Volterra, Fiesole, Arezzo, Cortona, Perugia, Chiusi, Todi, Orvieto, Veio, Tarquinia, ecc.) che, a scopi religiosi ed economici, diedero vita a una Lega formata da dodici città (dodecapoli). Ogni città era retta da re (detti lucumoni) e magistrati eletti tra i membri della casta aristocratica. Una fonte storica greca assai autorevole, Strabone, ricorda come gli Etruschi estendessero il loro dominio anche in Campania sino all'Agro Picentino, nel Salernitano, e vi fondassero ben dodici città, replicando il modello della dodecapoli già conosciuto nell'Etruria propriamente detta. Fra tutte (Nola, Nocera, Ercolano, Pompei, Sorrento, Marcina, Velcha, Velsu, Irnthi, Uri, Hyria) Capua avrebbe rivestito un ruolo di particolare rilievo. La nascita di Capua antica (in neoetrusco Capua e forse, in origine, Velthurna) come fondazione etrusca nella seconda metà del IX secolo a.C. trova riscontro proprio nei corredi funerari dalle sue necropoli di orizzonte villanoviano.

Alfabeto fenicio arcaico da cui deriveranno gli alfabeti greci. Dall'alfabeto
greco di Calcide portato a Cuma dai coloni greci, gli Etruschi trarranno
i loro alfabeti, e da loro i Latini deriveranno il loro alfabeto.

Particolare nella Tomba dei
Leopardi a Tarquinia.
Una prima fase espansiva (sec. VIII-VI a.C.) portò gli etruschi a contendere a greci e cartaginesi il controllo delle rotte tirreniche e adriatiche e a estendere il proprio dominio dalla pianura padana alla Campania, fondando centri come Fèlsina (Bologna), Misa (Marzabotto, in provincia di Bologna), Mantova, Piacenza, Pesaro, Rimini, Ravenna, arrivando fino a Roma, che la tradizione vuole governata da re etruschi dal 616 al 509 a.C.
Tomba Etrusca dei Leopardi del 480
a.C. che sorge, insieme ad altre, nei
pressi di Tarquinia. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Oltre alle preesistenti popolazioni locali, nell'occupazione della Campania gli Etruschi si affiancavano ai Greci, i quali si erano precedentemente stanziati sull'isola di Ischia e in seguito sulla terraferma a Cuma intorno alla metà dell'VIII secolo a.C.
Tomba dei Tori del 530 a.C., nella
necropoli di Monterozzi, a Tarquinia.
In epoca orientalizzante e arcaica (VII-VI secolo a.C.), proprio allorquando Capua doveva rappresentare la più importante città della dodecapoli etrusca, la sua fioritura toccò una fase apogeica sul piano culturale ed economico, anche grazie ai precoci contatti con il mondo greco, irraggiando la propria influenza anche sui centri vicini.
Gli Etruschi scrivevano con un loro alfabeto, derivato dall'alfabeto greco definito poi "greco occidentale", adottato dagli Eubei di Calcide e introdotto in Italia centrale nell'VIII secolo a.C dai coloni greci di Cuma.
Particolare della Tomba dei Tori: il
toro a destra invece, attacca due
praticanti un rapporto omosessuale,
in cui quello dietro è stranamente
voltato indietro e guarda altrove,
non rendendosi conto della
minaccia del toro.
Particolare della Tomba dei Tori:
il toro in alto a sinistra, durante uno
strano rapporto etero-sessuale a tre,
guarda altrove, disinteressato.
Nelle iscrizioni più antiche la scrittura etrusca è bustrofedica, non ha cioè una direzione "fissa" da sinistra a destra o da destra a sinistra, ma procede in un senso fino al margine scrittorio e prosegue poi a ritroso nel senso opposto, secondo un procedimento "a nastro", senza "andate a capo" ma con un andamento che ricorda quello dei solchi tracciati dall'aratro in un campo. L'etimologia della parola "bustofedica" ricorda infatti l'andamento di un bue durante l'aratura, mentre le scritture classiche hanno l'andamento da destra verso sinistra, come nel punico. Poche iscrizioni seguono l'andamento da sinistra a destra, e in tal caso i caratteri etruschi sono riflessi; per separare le parole poi, si scriveva un puntino. 
Tarquinia: particolare dell'immagine
che dà il nome alla Tomba della
Fustigazione, del 490 a.C.
L’autonomia di Roma e quindi la crescita della sua potenza si intrecciarono con la decadenza etrusca, acceleratasi dopo la sconfitta patita a Cuma nel 474 a.C. a opera dei greci di Siracusa. La Campania fu persa di lì a poco per opera dei sanniti e contemporaneamente i Galli dilagarono nella pianura padana.
A partire dalla distruzione di Veio (395 a.C.), entro il sec. III a.C. Roma si impossessò di tutta l’Etruria.
Particolare della Tomba dei Tori: sfere con croci. Da
"Penso, prima di tutto, che i simboli della sfera sormontati
con una croce non siano certamente motivi ornamentali ne
simboli della fertilità ne il cosiddetto segno di Venere, ma
rappresentino il simbolo dell'Omphalos, la pietra Ovale o
quasi sferica con incisa sulla punta , a volte, una croce,
come nel Museo di Marzabotto."
La scarsità di notizie precise attorno agli etruschi deriva dal fatto che non hanno lasciato una letteratura, ma solo testi brevissimi, perlopiù iscrizioni sepolcrali, e la loro lingua non è stata completamente decifrata.
La centralità del culto dei  morti presso gli Etruschi è attestata dalle numerose necropoli e tombe  isolate disseminate in Toscana e nel Lazio; convinti che il defunto conservasse l’individualità congiunta alle proprie spoglie mortali, concepirono il sepolcro come un’abitazione sotterranea, arredata con letti, tavoli, utensili e affrescata da vivaci pitture.
La società etrusca era formata da nobili, discendenti dei primi dominatori, e servi, discendenti delle popolazioni preesistenti all'occupazione etrusca. Vi erano schiavi adibiti ai lavori più pesanti, ma anche schiavi semiliberi che, per i loro meriti, potevano condurre vita migliore e anche elevarsi socialmente.
Velia Velcha, dalla Tomba
dell'Orco di Tarquinia.  
E' nota in tutto il mondo come la Fanciulla Velca. Il suo squisito ritratto è considerato uno dei capolavori dell’arte antica ed è il frammento più “classico” di tutta la pittura funeraria etrusca. Si chiamava Velia, Velia Spurinna. Era nipote di Velthur il Grande, che aveva comandato due eserciti etruschi all’assedio di Siracusa e di Ravnthu Thefrinai: era sorella di Avle, l’eroe Tarquiniese che affrontò Roma in campo aperto e la vinse. Sposò Arnth Velcha, appartenente ad un’aristocratica famiglia di magistrati di rango così alto che avevano il diritto di essere scortati dai littori con i fasci di verghe e l’ascia bipenne che, prima a Tarquinia e poi a Roma, furono il simbolo del massimo potere. Dei Velcha conosciamo anche l’aspetto perché molti di essi furono dipinti nelle pareti della loro grande Tomba degli Scudi, che prende il nome dalle armi raffigurate in uno dei suoi affreschi. Qui tra gli altri, appaiono anche i genitori di Arnth che, adagiati sul letto conviviale davanti ad una tavola imbandita, si scambiano l’uovo dell’eterna fertilità mentre una giovane ancella muove per loro un ventaglio di foglie e di piume. Arnth e suo fratello Vel, avvolti in caldi mantelli, stanno invece in piedi vicino ad una porta. Velia, sposando, assunse dai Velcha il nome con il quale è nota in tutto il mondo. Eppure portava in sè così impresse la grazia e la dignità degli Spurinna che questi, straziati dalla sua morte forse precoce, la vollero dipinta nella loro Tomba dell’Orco.

Dal IX al VII sec. a.C. si verificarono importanti migrazioni di alcune tribù Slave dalla regione dell'alta Vistola verso l'alto Bug, la Volinia.

Ricostruzione di Septimontium.
Dall' 850 a.C. - Da Andrea Carandini in https://www.youtube.com/watch?v=mfxvEHr842Q: "Lo storico antiquario Marco Terenzio Varrone (116 a.C. - 27 a.C.) tramanda la conoscenza di un grande centro protourbano non centralizzato chiamato Septimontium, poco più piccolo di quella che sarebbe stata Roma almeno un secolo prima della sua fondazione. Con i suoi 290 ettari, la prima Roma era più estesa di Veio, la maggiore città etrusca, e proprio gli etruschi furono fra i primi fondatori di città, a cui si rivolse Romolo per conoscere i riti e le liturgie augurali delle fondazioni.".


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