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mercoledì 23 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.36: dal 326 al 374 e.v. (d.C.)

Aquila bicipite o a due teste, che
simboleggiavano le due parti,
Occidente e Oriente dell'impero,
emblema dell'impero romano adottato
da Costantino il Grande. Da: https:/
Nel 326 - Iniziano i lavori per la costruzione della nuova capitale Nova Roma (Nuova Roma) sul sito dell'antica città di Bisanzio, fornendola di un senato e di uffici pubblici simili a quelli di Roma. Il luogo venne scelto come capitale nel 324 per le sue qualità difensive e per la vicinanza ai minacciati confini orientali e danubiani. Inoltre, particolare non secondario, consentiva a Costantino di sottrarsi all'influenza invadente, arrogante ed irritante, degli aristocratici presenti nel senato romano. La città venne inaugurata nel 330 e prese presto il nome di Costantinopoli. Rispetto alla vecchia città, la nuova era quattro volte più vasta: dove c'era un'antica porta Costantino pose un foro circolare, inoltre spostò le sue mura più ad occidente di 15 stadi. La città (oggi Istanbul, nome che appare ufficialmente dal 1930 e che deriva dal greco “isten polis”, cioè "quella è la città") resterà poi fino al 1453 la capitale dell'Impero romano d'Oriente, chiamato dai latini impero bizantino.
L'aquila bicipite è, in araldica, l'aquila con due teste separate fin dal collo e rivolte una verso destra ed una verso sinistra. Generalmente la si pone nel capo d'oro, detto capo dell'Impero. Infatti l'aquila bicipite identifica l'unione di due imperi. L'aquila bicipite fu adottata come stemma imperiale per la prima volta dall'imperatore romano Costantino I, detto il Grande, e rimase poi come stemma nell'Impero romano d'oriente fino all'ultima dinastia di imperatori bizantini: quella dei Paleologi. Oggi, la Chiesa ortodossa greca usa l'aquila bicipite come eredità dei bizantini. Lo stesso stemma fu poi usato dagli Arsacidi, re d'Armenia, e più avanti dagli Asburgo, imperatori d'Austria, e dai Romanov, zar di tutte le Russie. Anche i re di Serbia, i principi di Montenegro, e l'eroe albanese della resistenza contro i turchi ottomani, Giorgio Castriota Scanderbeg, adottò l'aquila bicipite come emblema. L'aquila bicipite fu adottata anche in Oriente, per il regno di Mysore nell'India. Secondo alcuni autori una testa rappresenta l'Occidente e l'altra l'Oriente, in particolare le due metà dell'Impero bizantino, una in Europa e una in Asia.

- Il 326 è stato caratterizzato da una serie di uccisioni. Dopo quella del suo antico alleato e rivale Licinio, Costantino fa uccidere a Pola il suo figlio primogenito, Crispo, la cui madre era stata Minervina, la prima moglie di Costantino. Secondo alcune fonti, Fausta, sorella di Massenzio e moglie di Costantino, avrebbe accusato il figliastro Crispo di averla voluta sedurre o forse voleva assicurarsi l'eliminazione dei rivali dei propri figli come successori di Costantino. Poco dopo Costantino, convintosi dell'innocenza del figlio, l'avrebbe fatta morire affogandola in un bagno portato a una temperatura più alta del normale. Secondo una diversa versione la sua morte venne invece causata dal sospetto di adulterio fra i due. Fausta subì la damnatio memoriae, una locuzione che significa letteralmente "condanna della memoria", che nel diritto romano indicava una pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una persona, come se non fosse mai esistita. Da Fausta, Costantino aveva avuto tre figli, Costantino II, Costanzo II e Costante I, tutti succeduti al padre e due figlie, Costantina ed Elena. Nello stesso periodo venne ucciso inoltre  Liciniano, figlio della sorella di Costantino, Costanza, e di Licinio.

- Fausta Massima Flavia (Roma, 289 o 290 - Roma, 326), da Costantino ebbe tre figli, Costantino II, Costanzo II e Costante I, tutti succeduti al padre e due figlie, Costantina ed Elena. Nata e cresciuta a Roma, era la figlia più giovane di Massimiano ed Eutropia. Nel marzo 307 sposò Costantino I, probabilmente a Treviri: il marito era più vecchio di lei di almeno quindici anni. Voluto come legame tra Costantino e il tetrarca, per rafforzarne l'alleanza, il matrimonio di Fausta fu messo alla prova da due eventi tragici, avvenuti a seguito dei contrasti di Costantino con il padre e il fratello di Fausta. Nel 310, fu Fausta a svelare il complotto di Massimiano contro Costantino, che farà uccidere il suocero e nel 312, invece, all'indomani della vittoriosa Battaglia di Ponte Milvio, Costantino fece mettere la testa del cognato Massenzio su di una lancia e la fece girare per la città. Dopo quasi dieci anni di matrimonio senza figli, Fausta diede a Costantino tre maschi e due femmine. Come moglie di un imperatore, Fausta ricevette il titolo di nobilissima femina e dopo la vittoria di Costantino su Licinio ricevette anche il titolo di augusta (324 o 325). Nel 326 secondo alcune fonti avrebbe accusato il figliastro Crispo, figlio della prima moglie di Costantino, Minervina, di averla voluta sedurre e lo fece mettere a morte. Poco dopo Costantino, convintosi dell'innocenza del figlio, l'avrebbe fatta morire affogandola in un bagno portato a una temperatura più alta del normale. Secondo una diversa versione la sua morte venne invece causata dal sospetto di adulterio. Fausta subì la damnatio memoriae, una locuzione che significa letteralmente "condanna della memoria", che nel diritto romano indicava una pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una persona, come se non fosse mai esistita.


Nel 330 - "Nuova Roma", chiamata poi, col tempo, Costantinopoli (che significa città di Costantino), è la capitale dell'Impero Romano, e il suo vescovo inizia a pretendere prerogative primaziali. Costantino, adoratore del "Sole Invincibile", pare che si sia convertito al cristianesimo solo sul letto di morte, per potere perpetrare tutti quelli che dai cristiani sono visti come "peccati mortali", fra cui l'omicidio del co-imperatore Licinio, i Fausta, la sua seconda moglie, del suo figlio primogenito Crespo ecc., anche se Costantino è considerato santo e "simile agli apostoli" dalla Chiesa ortodossa, da alcune Chiese orientali antiche e in alcune località oggi romano-cattoliche di rito latino, come Sedilo in Sardegna.
Pianta dell'antica Costantinopoli.
La sua grande opera sarà quella di trasferire nella religione cristiana la continuità dell'impero romano: i vescovi, capi delle comunità cristiane, inizialmente non pagano tasse all'impero, per poi incassare le decime, il 10% sui redditi delle loro curie (termine che i Latini usavano per indicare i loro raggruppamenti). Inoltre i vescovi ebbero la facoltà di giudicare nei processi  di diritto ordinario. In alternativa all'opinione tradizionale, secondo cui Costantino si sarebbe convertito al cristianesimo poco prima della battaglia di Ponte Milvio, è stata, invece, asserita una sua costante adesione al culto solare, mettendo in dubbio perfino il battesimo in punto di morte. Secondo altri, poi, la religione sarebbe stata per Costantino un puro e semplice strumento per regnare. Lo storico svizzero Jacob Burckhardt, per esempio, afferma: «Nel caso di un uomo geniale, al quale l'ambizione e la sete di dominio non concedono un'ora di tregua, non si può parlare di cristianesimo o paganesimo, di religiosità o irreligiosità consapevoli: un uomo simile è essenzialmente areligioso, e lo sarebbe anche se egli immaginasse di far parte integrante di una comunità religiosa». Secondo altri ancora poi, occorre distinguere fra convinzioni private e comportamento pubblico, vincolato dalla necessità di conservare il consenso delle proprie truppe (se non dei propri sudditi), qualunque ne fosse l'orientamento religioso. Da questo punto di vista è utile distinguere fra il comportamento di Costantino antecedente e quello successivo alla battaglia di Crisopoli, grazie alla quale conseguì il dominio assoluto sull'impero. Che Costantino si sia progressivamente avvicinato al cristianesimo sono comunque d'accordo molti conoscitori di quell'epoca. Tra costoro il grande archeologo e storico Paul Veyne, di estrazione marxista, sostiene con sicurezza l'autenticità della conversione di Costantino, ricordando, con J.B. Bury, che la sua «rivoluzione [...] fu forse l'atto più audace mai compiuto da un autocrate in ispregio alla grande maggioranza dei suoi sudditi». E ciò in considerazione del fatto che la popolazione cristiana era circa il 10% del totale nel futuro Impero Romano d'Occidente. È comunque assolutamente fuori di dubbio la sincerità costantiniana nella ricerca dell'unità e concordia della Chiesa, la cui necessità derivava da un preciso disegno politico che considerava l'unità del mondo cristiano condizione indispensabile alla stabilità della potenza imperiale. Costantino infatti interpretava in senso cristiano l'antico tema, caro alla Roma imperale pagana, della pax deorum, nel senso che la forza dell'impero non derivava semplicemente dalle azioni di un principe illuminato, da una saggia amministrazione e dall'efficienza di un ben strutturato e disciplinato esercito, ma direttamente dalla benevolenza di Dio. Mentre però, nella religione romana, vi era un diretto rapporto tra il potere imperiale e le divinità, l'imperatore cristiano non poteva ignorare la Chiesa, un'istituzione che, tramite i suoi vescovi, era l'unica mediatrice della fonte divina del potere, e Costantino non poteva fare a meno di essere coinvolto nelle lotte teologiche della Chiesa. Su una tale base ideologica, questa ricerca dell'unità e della concordia dei cristiani comportava quindi anche interventi molto duri nei confronti di coloro che lo stesso imperatore considerava eretici, che erano trattati come, se non più duramente, dei pagani. I conflitti teologici si trovarono dunque ad avere una ricaduta politica, mentre d'altra parte le sorti interne dell'Impero erano sempre più dipendenti dai risultati delle lotte teologiche; gli stessi vescovi, infatti, sollecitavano continuamente l'intervento dell'imperatore per la corretta applicazione delle decisioni dei concili, per la convocazione dei sinodi e anche per la definizione di controversie teologiche: ogni successo di una fazione comportava la deposizione e l'esilio dei capi della fazione opposta, con i metodi tipici della lotta politica.

Nel 331 - Eusebio di Cesarea, nel libro “Sulla vita di Costantino”, afferma che nell’anno 331 d.C. Costantino gli chiese personalmente 50 copie della Bibbia cristiana per le chiese che stava facendo costruire a Costantinopoli, come dimostrano i manoscritti biblici risalenti proprio a quel periodo: il codice Sinaitico e il codice Vaticano. Questo fu uno dei fattori decisivi nell'intera storia del cristianesimo, e offrì un'occasione senza precedenti per l'affermazione dell'ortodossia cristiana, poiché nel 303, un quarto di secolo prima, l'imperatore pagano Diocleziano aveva ordinato di distruggere tutti gli scritti cristiani che era possibile trovare. Quindi i documenti cristiani, soprattutto a Roma, erano quasi spariti. Quando Costantino commissionò nuove versioni di questi documenti, permise ai custodi dell'ortodossia di revisionare, modificare e riscrivere il materiale come ritenevano più opportuno, secondo i loro obiettivi, più legati alla gestione del potere che ad una gestione dell'aldilà. Fu a questo punto che vennero apportate probabilmente quasi tutte le alterazioni decisive al Nuovo Testamento, e Gesù assunse la posizione eccezionale che ha avuto da allora. Non si deve sottovalutare l'importanza della commissione costantiniana: delle cinquemila versioni manoscritte più antiche del Nuovo Testamento, nessuna è anteriore al IV secolo. Il Nuovo Testamento nella sua forma attuale, è sostanzialmente il prodotto dei revisori e degli scrittori del IV secolo: custodi dell'ortodossia, con precisi interessi da difendere. C'è la possibilità, tuttavia, che ne vengano scoperti altri. Nel 1976 un cospicuo numero di antichi manoscritti fu scoperto nel monastero di Santa Caterina sul monte Sinai. Il ritrovamento venne tenuto segreto per circa due anni, prima che nel 1978 ne avesse notizia un giornale tedesco. Vi sono migliaia di frammenti, alcuni dei quali anteriori al 300 d.C., incluse otto pagine mancanti nel Codex Sinaiticus custodito nel British Museum. I monaci che conservano il materiale hanno accordato accesso soltanto a uno o due studiosi greci. Cfr. « International Herald Tribune » del 27 aprile 1978, oltre, naturalmente alle scoperte archeologiche delle grotte del Mar Morto, i Manoscritti di Qumran e il ritrovamento degli scritti di Nag Hammâdi.
Codice sinaitico.
Il Codice Sinaitico o Codex Sinaiticus (Londra, British Museum, Libr., Add. 43725) è un manoscritto in greco onciale (cioè maiuscolo) datato tra il 330 e il 350 d.C. Originariamente conteneva l'intero Antico Testamento nella versione greca della Settanta, l'intero Nuovo Testamento, e altri scritti cristiani (Lettera di Barnaba, Pastore di Erma). L'onciale è un'antica scrittura maiuscola usata dal III all'VIII secolo nei manoscritti dagli amanuensi latini e bizantini; in onciale sono scritti anche altri due codici biblici tra i più antichi: il Codex Vaticanus (IV secolo) ed il Codex Alexandrinus (V secolo).
Una pagina del codice sinaitico.
Nella sua forma attuale, il codice consta di 346½ fogli di pergamena, scritti su quattro colonne; di questi, 199 appartengono all'Antico Testamento, 147½ al Nuovo Testamento più la Lettera di Barnaba e il Pastore di Erma, due antichi scritti cristiani, presenti però in forma mutila. Circa l'Antico Testamento, il manoscritto ha subito varie mutilazioni, specialmente nei libri da Genesi ad Esdra. Ciò che rimane è costituito da frammenti di Genesi 23-24; Numeri 5-7; 1 Cronache 9, 27-19,17; Esdra 9,9-10,44; Lamentazioni 1,1-2,20. Integri sono invece i libri di Nehemia, Ester, Gioele, Abdia, Giona, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia, Isaia, Geremia. Il manoscritto contiene anche i testi deuterocanonici di Tobia, Giuditta, 1 Maccabei e l'apocrifo 4 Maccabei (mentre il codice non ha mai contenuto 2 e 3 Maccabei). L'ordine dei libri del Nuovo Testamento è vangeli, lettere paoline, Atti, lettere cattoliche, Apocalisse. Il testo del "Codice Sinaitico" in generale assomiglia molto a quello del "Codex Vaticanus". Nell'Antico Testamento il testo del Sinaitico è più simile a quello del "Codex Alexandrinus". Le origini del "Codex Sinaiticus" sono poco conosciute, si è ipotizzato che sia stato scritto in Egitto. Qualcuno lo ha associato alle 50 copie della Bibbia commissionate dall'imperatore romano Costantino I. Uno studio paleografico compiuto sul testo nel 1.938 al British Museum ha mostrato che il testo è stato oggetto di molte correzioni.
Correzioni aggiunte nel
codice sinaitico.
Le prime risalgono a un periodo immediatamente successivo alla sua stesura, nel IV secolo. Altre correzioni risalgono al VI-VII secolo, realizzate probabilmente a Cesarea, in Palestina. Secondo una nota presente alla fine dei libri di Esdra ed Ester, tali alterazioni sono state fatte sulla base di un altro antico manoscritto il quale fu corretto dalla mano del santo martire Panfilo (martirizzato nel 309). Il manoscritto manca della Pericope dell'adultera (Vangelo secondo Giovanni 8,1-11) e di Matteo 16,2b-3. Originariamente mancava anche dei versetti relativi all'agonia di Gesù al Getsemani (Vangelo secondo Luca 22:43-44), che fu poi successivamente introdotta da una seconda mano e nel vangelo di Marco non vi è traccia della resurrezione del Cristo. Il "Codex Sinaiticus" fu ritrovato da Konstantin von Tischendorf presso il Monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai tra 1844 e 1859.
Monastero di S. Caterina, nel Sinai.
Il Monastero di Santa Caterina è un monastero del VI secolo situato in Egitto, nella regione del Sinai, al centro di una valle desertica. Dedicato a santa Caterina d'Alessandria, è il più antico monastero cristiano ancora esistente e sorge alle pendici del monte Horeb dove, secondo la tradizione, Mosè avrebbe parlato con Dio nell'episodio biblico del roveto ardente (3,2-6) e dove egli ricevette i comandamenti. Nel 2002 è stato dichiarato Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO per la sua architettura bizantina, la sua preziosa collezione di icone e per la grande raccolta di antichissimi manoscritti che costituiscono la più vasta e meglio conservata biblioteca di testi antichi bizantini dopo quella della Città del Vaticano. Inoltre, il monastero è considerato un luogo sacro dalle tre maggiori religioni monoteiste: il Cristianesimo, l'Ebraismo e l'Islam.

Moldavia e Valacchia, da https://it.wi
kipedia.org/wiki/Romania_nel_Medio
evo_ed_Evo_Moderno#/media/
File:Romania_1600.png
Nel 332 - I goti Tervingi (poi chiamati Visigoti), stanziati tra la  Moldavia e la  Valacchiasfondano il limes ma sono sconfitti dall'imperatore Costantino che tuttavia, invece di farli rientrare nelle loro basi, li accoglie all'interno dell'Impero  romano a seguito di un accordo che li avrebbe impegnati, in cambio del territorio ottenuto, a rapporti di collaborazione basati sui sussidi (o tributi) offerti dai romani in cambio di contingenti di mercenari, difesa dei confini, stabilità nella regione e scambi commerciali. Da allora rimarranno in pace fino al 365 quando, condotti da Atanarico, entreranno in conflitto con l'Impero Romano appoggiando l'usurpazione di Procopio contro l'imperatore Valente, pianificando una rivolta.

Banato, da https://it.wikipedia.org/wi
ki/Regioni_storiche_della_penisola
_balcanica#/media/File:Hist-
balkans-it.svg
Nel 335 - I Vandali, che abitavano la regione compresa tra il fiume Marisus ed il Danubio (forse poco a nord-ovest del Banato), sotto la guida di Visimar, si scontrarono con i Goti di Geberico e furono sconfitti. I superstiti chiesero a Costantino I di essere ammessi nei territori dell'Impero romano, ottenendone il permesso e stabilendosi nella Pannonia, dove rimasero tranquilli per almeno quarant'anni "obbedendo alle leggi dell'Impero come gli altri abitanti della regione". Furono così inglobati come foederati dell'Impero, mantenendo la loro mansione di cuscinetto fra l'impero e le altre tribù barbare della pianura Sarmatica.

Nel 336 - In occasione della celebrazione dei tricennalia di Costantino, Costanzo II (il secondo dei figli sopravvissuti di Costantino, di cui il maggiore era Costantino II, essendo stato giustiziato il primogenito Crispo) sposa a Costantinopoli, prima delle sue tre mogli, la figlia di Giulio Costanzo (fratellastro di Costantino I) e di Galla, da cui non avrà figli. 

- Nello specifico, la stirpe Costantiniana derivava da Costanzo Cloro (Flavio Valerio Costanzo, meglio noto come Costanzo Cloro o Costanzo I; Dardania, 31 marzo 250 circa - Eboracum, 25 luglio 306), imperatore d'Occidente (nel 305-306) nato in Dardania da una famiglia di Illiri romanizzati. Secondo l'"Historia Augusta", Costanzo era figlio di Flavio Tito Eutropio, un nobile proveniente dalla Dardania settentrionale, nella provincia della Mesia Superiore, e di Flavia Claudia Crispina, figlia di Bruzia Crispina e abiatica (nipote di nonno) dei due fratelli e imperatori Claudio il Gotico e Quintillo. Molti storici moderni, tuttavia, dubitano che egli potesse essere realmente imparentato ai due augusti, e sospettano che tali genealogie nobiliari possano essere un'invenzione di suo figlio Costantino, e che la sua famiglia potesse essere di umili origini, ipotesi peraltro avvalorata dal fatto che nell'esercito aveva incominciato la propria carriera dai gradi inferiori. Nell'esercito romano aveva fatto carriera, ricoprendo le cariche di protector sotto gli imperatori Aureliano e Probo, tribunus e praeses Dalmatiarum (governatore della Dalmazia) sotto l'imperatore Caro. Ebbe un legame con Elena, che gli diede un figlio, Costantino, nato all'inizio degli anni 270. Nel 288 era prefetto del pretorio dell'imperatore Massimiano. All'inizio di quell'anno, Massimiano aveva incaricato Costanzo di condurre una campagna contro gli alleati Franchi di Carausio – un usurpatore che deteneva il potere sulla Britannia romana – che controllavano gli estuari del Reno, impedendo attacchi via mare contro Carausio. Costanzo si mosse verso nord attraverso il loro territorio, portando distruzione e diffondendo panico finché raggiunto il Mare del Nord, i Franchi chiesero la pace e con l'accordo conseguente, Massimiano rimise al potere il deposto re Franco Gennobaude. 
Costanzo Cloro ebbe sette figli:
1) Costantino I da Elena (Flavia Giulia Elena, Drepanum, 248 circa - Treviri, 329), concubina (o forse moglie) dell'imperatore Costanzo Cloro e madre dell'imperatore Costantino I. I cristiani la venerano come sant'Elena Imperatrice. I dati biografici di questo personaggio sono piuttosto scarsi. Sembra fosse stata una greca nativa di Drepanum, in Bitinia, nel golfo di Nicomedia, nell'odierna Turchia; suo figlio Costantino rinominò infatti la città in Helenopolis ("città di Elena") in suo onore, cosa che ha condotto successive interpretazioni ad indicare Drepanum come luogo di nascita di Elena. Elena diede alla luce Costantino nel 274. Nel 293 Costanzo dovette lasciare Elena per volere di Diocleziano e sposare la figliastra dell'imperatore Massimiano, Teodora, allo scopo di cementare con un matrimonio dinastico l'elevazione di Costanzo a cesare di Massimiano all'interno della tetrarchia. Elena non si risposò, e visse lontano dalle corti imperiali, sebbene fosse vicina a Costantino, che per lei aveva un affetto particolare. Costantino fu proclamato imperatore nel 306, dopo la morte di Costanzo. È probabile che in questo periodo Elena abbia seguito il figlio. Inizialmente Costanzo pose la sua capitale a Treviri: qui si trova il palazzo imperiale con un affresco in cui forse è raffigurata Elena; inoltre esiste una tradizione medioevale su Elena nella zona intorno all'antica capitale romana. Successivamente Costantino si stabilì a Roma: qui la presenza di Elena è legata al fundus Lauretus, nella zona sud-orientale della città antica, dove sorse il palatium Sessorianum, la chiesa dei Santi Marcellino e Pietro a lei riconducibile, con l'annesso mausoleo di Elena in cui fu poi sepolta. Elena godette dell'ascesa al potere del figlio, che nel 324 la onorò del titolo di augusta; in suo nome furono coniate pure molte monete, in cui Elena era la personificazione della Securitas ("sicurezza") dello stato. Esiste una tradizione medievale leggendaria, legata all'Actus Sylvestri, che la vuole simpatizzante per gli ebrei o ebrea, ma si tratta di una versione non condivisa dagli storici moderni. Dopo l'avvicinamento di Costantino al cristianesimo, anche Elena si convertì alla religione orientale: secondo Eusebio fu Costantino stesso a convertirla. È possibile che fosse vicina alle posizioni dell'arianesimo. Nel 327-328 Elena partì per un viaggio nelle province orientali dell'impero. Questo viaggio è descritto da Eusebio, il quale ne fa un pellegrinaggio in Terra Santa sui luoghi della passione di Gesù, con atti di pietà cristiana da parte dell'augusta e costruzione di chiese. È però possibile che vi fosse anche un significato politico, assieme a quello religioso, in quanto la conversione di Costantino al cristianesimo, le sue riforme religiose anti-pagane, la sostituzione di ufficiali pagani con altri cristiani, nonché, probabilmente, la morte del figlio Crispo e della moglie Fausta ordinate dall'imperatore, gli avevano fatto perdere il favore delle popolazioni orientali. Nel tardo 328 o nel 329 Elena morì, con Costantino al suo fianco, dunque verosimilmente a Treviri. Fu sepolta nel mausoleo di Elena, collegato alla chiesa dei Santi Marcellino e Pietro, al di fuori delle mura di Roma; il suo sarcofago in porfido è conservato ai Musei Vaticani e, per le tematiche militari che vi sono raffigurate, si ritiene fosse inizialmente stato preparato per il figlio Costantino.
Nel 293 Costanzo dovette lasciare Elena per volere di Diocleziano e sposare la figliastra dell'imperatore Massimiano, Teodora, allo scopo di cementare con un matrimonio dinastico l'elevazione di Costanzo a cesare di Massimiano all'interno della tetrarchia.
Da Flavia Massimiana Teodora, figliastra dell'imperatore romano Massimiano, in quanto figlia di sua moglie Eutropia da un precedente matrimonio con Afranio Annibaliano, console nel 292 e prefetto del pretorio sotto Massimiano, Costanzo Cloro ebbe altri sei figli:
2Flavio Dalmazio, noto anche come Dalmazio il censore ( ... - 337),  che passò la propria giovinezza a Tolosa ed è probabile che anche i suoi due figli, Dalmazio e Annibaliano, siano nati nella città gallica. A metà degli anni 320, Dalmazio tornò a Costantinopoli, alla corte di Costantino. Nel 333 venne nominato console e censore. Ad Antiochia Flavio ebbe la respononsabilità della sicurezza dei confini orientali dell'impero. Durante questo periodo esaminò il caso di Atanasio di Alessandria, oppositore dell'arianesimo, accusato dell'omicidio di Arsenio. Nel 334 Dalmazio soppresse la rivolta di Calocaerus, che si era proclamato imperatore a Cipro, mentre l'anno seguente mandò alcuni soldati al concilio di Tiro per salvare la vita di Atanasio. Dopo la morte di Costantino, la famiglia imperiale fu vittima di una purga che colpì anche Dalmazio e i suoi figli, che vennero giustiziati nella tarda estate del 337.
3) Giulio Costanzo ( ... – settembre 337) si sposò due volte ed ebbe Costanzo Gallo (nato intorno al 325, divenne cesare d'Oriente dal 351 ma a causa del suo governo giudicato fallimentare e odioso, l'imperatore Costanzo II, suo cugino e cognato, ne ordinerà l'arresto e l'esecuzione) e una figlia, che sposerà il cugino Costanzo II., da Galla (fl. 325 circa, sorella del console Nerazio Cereale e del prefetto del pretorio Vulcacio Rufino) e Giuliano (Flavio Claudio Giuliano; 6 novembre 331- Maranga, 26 giugno 363, futuro imperatore e filosofo romano, l'ultimo sovrano dichiaratamente pagano) da Basilina, oltre ad un altro figlio, più grande di Gallo e Giuliano, morto assieme al padre nelle purghe del luglio del 337. Giulio Costanzo era vissuto per qualche tempo in esilio a Tolosa e a Corinto poi, nel 330, era andato a vivere a Costantinopoli, dove Galla era morta.
4) Flavio Annibaliano (... – settembre 337), insieme al fratello Dalmazio fu educato a Tolosa dal retore Exuperio. Nel 335, Annibaliano sposò la figlia di Costantino, Costantina, e fu elevato al rango di nobilissimus. In occasione della preparazione della campagna militare di Costantino contro i Sasanidi (337), Annibaliano fu nominato Rex Regum et Ponticarum Gentium, "Re dei Re e delle Genti Pontiche". Tale titolo fa supporre che Costantino intendesse porre Annibaliano sul trono del Ponto, dopo la sconfitta dei Sasanidi. La campagna non ebbe luogo, in quanto Costantino morì nel maggio del 337. Annibaliano fu ucciso nella purga che colpì i membri maschili della famiglia imperiale e che tolse di mezzo molti pretendenti al trono.
5) Flavia Giulia Costanza (dopo il 293 - 330 circa). Nel 311 o 312, l'imperatore Costantino I, fratellastro di Costanza, la promise in moglie al proprio collega, Licinio: il matrimonio si celebrò nel febbraio 313, in occasione dell'incontro di Costantino e Licinio a Milano. Dall'unione nacque un figlio, Valerio Liciniano Licinio, nel 315. Quando Licinio e Costantino si dichiararono guerra nel 316, Costanza si schierò al fianco del marito, come fece pure in occasione della guerra del 324. Dopo la sconfitta di Licinio, Costanza intercesse presso Costantino in favore di Licinio. Costantino risparmiò la vita di Licinio, obbligandolo a risiedere a Tessalonica da cittadino privato; l'anno seguente, però, ordinò che venisse ucciso. Un secondo colpo per Costanza fu la morte, per ordine di Costantino, di suo figlio Liciniano.
6) Anastasia (fl. 314; ... – ...) rientrò anch'essa nei giochi politici del fratellastro Costantino I. Sposò Bassiano, un matrimonio con scopi dinastici visto che Costantino elevò nel 314 Bassiano al rango di cesare per l'Italia e inviò al suo collega orientale Licinio, il prefetto del pretorio Flavio Costanzo allo scopo di ottenere il riconoscimento della nomina del cognato. Licinio riuscì a convincere Bassiano a ribellarsi contro Costantino, consigliato dal proprio fratello Senecio; Costantino venne a sapere del complotto e mise a morte Bassiano. Quando però chiese a Licinio di consegnargli Senecio e ne ricevette un rifiuto, mise fine alla pace e attaccò il collega.
7) Eutropia (... - 350) sposò Virio Nepoziano, console per il 336, ed ebbero un figlio di nome Nepoziano. Madre e figlio sopravvissero alla purga della dinastia costantiniana che insanguinò la famiglia imperiale nel 337, alla morte di Costantino; è possibile che in quell'occasionesia stato ucciso Virio. Quando Magnenzio si ribellò nel 350, uccidendo l'imperatore Costante I (figlio di Costantino), Nepoziano conquistò Roma per 28 giorni, prima di essere sconfitto e ucciso dal comandante di Magnenzio, Marcellino: sembra che anche Eutropia sia stata mandata a morte in tale occasione.

- Dagli inizi del IV secolo d.C. gli eunuchi compaiono nell'amministrazione dell'Impero, (in seguitospecialmente in quello d'Oriente), con la funzione del praepositus sacri cubiculi (custode della sacra camera da letto) che oltre ai compiti di valletto-maggiordomo lavora come funzionario di alto grado civile, fiscale e militare. Si preferisce servirsi di questi particolari personaggi nella convinzione che la loro menomazione li rendesse docili e ben disposti all'obbedienza privi com'erano di quella "vis" naturale che appartiene agli uomini virili. L'eunuco poi non aveva problema familiari a cui attendere e poteva dedicarsi esclusivamente ai suoi compiti. La presenza di un praepositus con alti incarichi è attestata durante l'impero di Costantino (274-337 d.C.) che si avvale dell'eunuco Eusebio, passato poi a servire anche il figlio dell'imperatore Costanzo II (317-361 d.C.). Nelle corti degli imperatori d'Oriente vennero create delle vere e proprie gerarchie di cubicularii: nel grado più basso della scala gerarchica erano i comites sacrae vestis, addetti al vestiario imperiale, quindi vi erano i comites domorum che curavano gli introiti della sacra camera. Lo spatharius comandava la guardia del corpo mentre il sacellarius curava le finanze private dell'imperatore. Entrambi questi funzionari erano sottoposti al castrensis che aveva alle sue dipendenze contabili (tabularii) e segretari. Superiore al castrensis era il primicerius sacri cubiculi, l’eunuco anziano a sua volta subordinato al praepositus sacri cubiculi, posto al culmine della gerarchia, con il compito di vestire l'imperatore e di porgergli tutti gli oggetti a lui destinati. Il praepositus quindi faceva da intermediario tra l'imperatore e il mondo esterno decidendo anche chi poteva essere ricevuto in udienza. Era di solito nominato ambasciatore rappresentante con pieni poteri della volontà imperiale, interveniva nelle nomine dei più alti funzionari dell'Impero e nella confisca delle terre dei nemici del sovrano. In breve i cubicularii ebbero modo di arricchirsi e di tessere una rete di connivenze politiche che permise loro di essere arbitri del governo dell'Impero. Le loro imprese sono rimaste nella memoria di diversi storici laici e religiosi del IV-V sec. d.C. come Socrate Scolastico, Ammiano Marcellino, Filostorgio, Palladio di Galazia, Sozomeno, Atanasio di Alessandria che hanno tramandato come fosse mal riposta la fiducia nella docile fedeltà degli eunuchi a confronto della reale cattiva fama dei castrati come espressione di corruzione, avidità, arrivismo e amoralità: "La fabbrica degli intrighi di corte batteva giorno e notte sulla stessa incudine secondo la volontà degli eunuchi, che con la loro esile voce sempre infantile e accattivante, con una pesante odiosità, rovinavano, sussurrando alle orecchie troppo accoglienti dell'imperatore, la reputazione anche di un eroe." (Ammiano Marcellino, XVIII 4, 2-4).


Dal 337 Costantino muore (pare per malattia) il 22 maggio 337 ad Achyrona, non molto lontano da Nicomedia, mentre preparava da lungo tempo una campagna militare contro i Sasanidi di Persia. L’ Impero Romano vverrà così nuovamente spartito fino al 350. Costantino, pur volendo apparire continuatore della suddivisione tetrarchica del potere, aveva nominato Cesari, suoi successori, i figli Costantino II, Costanzo II e Costante I, oltre ai due nipoti Dalmazio (Flavio Giulio Dalmazio, anche noto come Dalmazio Cesare) e Annibaliano, figli di Dalmazio il censore, instaurando quindi forzatamente una successione ereditaria ma astenendosi dal nominare un Augusto, inceppando così la legittimità delle nomine ai successori, titolo che a questo punto doveva essere conquistato sul campo per acclamazione delle truppe.
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Costantino finì per esser parte di una sequenza di tre dinastie, collegate fra loro da alleanze matrimoniali, che avrebbe governato ininterrottamente (a parte la brevissima eccezione di Gioviano) dal 285, con Massimiano, fino al 455 nell’Impero d’Occidente, e fino al 457 in quello d’Oriente: un totale di 172 anni, la più lunga sequenza dinastica della storia romana e una svolta radicale rispetto ai trenta Augusti e Cesari legittimi, più otto scissionisti, e ai trentatré usurpatori sorti tra il 235 e il varo della tetrarchia nel 293: Graziano sposò Costanza, la figlia di Costanzo II, imparentando così le dinastie dei Costanzi e dei Valentiniani, come fece anche il matrimonio di Valentiniano I con Giustina, nipote di Giulio Costanzo e Galla (si veda R.M. Frakes, The Dynasty, cit., pp. 97-98). La figlia di Valentiniano, Galla, sposò Teodosio I, costituendo un legame tra la dinastia dei Valentiniani e quella dei Teodosiani, mentre la loro figlia Galla Placidia fu la madre di Valentiniano III, assassinato nel 455, e la nonna di Placidia, che andò sposa a Olibrio, che fu brevemente imperatore nel 472. Il nipote di Teodosio, Teodosio II, morì nel 450; la nipote Pulcheria sposò Marciano, che morì nel 457. Costanzo II, nato poco dopo il fratello maggiore Costantino II, impegnato in Mesopotamia settentrionale a supervisionare la costruzione delle fortificazioni frontaliere, si affrettò a tornare a Costantinopoli dove organizzò e presenziò alle cerimonie funebri del padre, rafforzando i suoi diritti come successore e ottenendo il sostegno dell'esercito, componente fondamentale della politica di quei tempi.

- Durante l'estate del 337 si ebbero diversi eccidi, per mano dell'esercito, dei membri maschili della dinastia costantiniana e di altri esponenti di grande rilievo dello stato: solo i tre figli di Costantino e due suoi nipoti bambini (Gallo e Giuliano, figli di Giulio Costanzo, fratellastro di Costantino) furono risparmiati. Le motivazioni dietro questa strage non sono chiare: secondo Eutropio  Costanzo II non fu tra i suoi promotori ma non tentò certo di opporvisi e condonò gli assassini; Zosimo invece afferma che Costanzo II fu l'organizzatore dell'eccidio. Nel settembre dello stesso anno i tre cesari rimasti (Dalmazio e Annibaliano, figli di Dalmazio il censore, fratellastro di Costantino, erano stati vittime della purga) si riunirono a Sirmio in Pannonia, dove il 9 settembre furono acclamati imperatori dall'esercito e si spartirono l'Impero: Costanzo II si vide riconosciuta la sovranità sull'Oriente, Costante I sull'Illirico e Costantino II sulla parte più occidentale (Gallie, Hispania e Britannia). La divisione del potere tra i tre fratelli durerà poco.

- Costantino II (Flavius Claudius Constantinus; Arelate, febbraio 317 - Cervenianum, aprile 340), il fratello maggiore, mantenne il territorio che aveva governato in qualità di cesare da Treviri, mentre Costante e Costanzo si spartirono il territorio di Flavio Dalmazio, ucciso insieme al fratello Annibaliano. Oltre alla Gallia, alla Britannia, alla Spagna e a parte dell'Africa, Costantino ricevette anche la tutela sul fratello diciassettenne Costante I. Nel 338 affrontò con successo gli Alamanni, per cui si attribuì il titolo di Germanicus maximus. Costantino II si arrogò più potere di quanto gli era stato affidato, poiché promulgò alcune leggi per le province africane, che cadevano sotto la giurisdizione di Costante. Ben presto, insofferente delle ingerenze di Costantino II, Costante I venne in contrasto con il fratello maggiore per cui Costantino II, approfittando della lontananza di Costante, che si trovava a Naissus in Pannonia, mosse contro di lui scendendo in Italia (nel 340), ma fu ucciso durante una battaglia presso Aquileia e i suoi territori passarono quindi a Costante I che divenne unico dominatore della parte occidentale dell'impero.

- Flavio Giulio Costante, meglio conosciuto come Costante I (Flavius Iulius Constans; 320 - Oppidum Helena, 18 gennaio 350), riconosciuto augusto dal Senato il 9 settembre di quell'anno, aveva potere sulle province di Italia, Africa, Pannonia, Dacia, Macedonia e Acaia. Nel 338 Costante, dopo aver incontrato i fratelli a Viminacium, ottenne una vittoria contro i Sàrmati e accettò il titolo di Sarmaticus maximus. Nel 340 i territori di Costantino II passarono a Costante I, che divenne unico dominatore della parte occidentale dell'impero e accettò il titolo di Maximus Victor ac Triumphator. Nel 341-342 combatté contro i Franchi in Gallia, stipulando un trattato vantaggioso. Nel gennaio 343 si recò nella Britannia romana. L'attraversamento della Manica in pieno inverno significa che si dovesse intervenire con urgenza, e pare che Costante abbia rinforzato le fortificazioni frontaliere della provincia, forse per difendersi dagli attacchi delle tribù ostili dopo che Costantino II aveva distaccato molte truppe provinciali al fine di invadere l'Italia. Ad ogni modo, la visita di Costante in Britannia, che durò fino alla primavera, fu l'ultima di un imperatore romano nella provincia. Il 18 gennaio 350, in Gallia, l'usurpatore di Costante I, Magnenzio, è elevato  imperatore dalle sue truppe. 
Flavio Magno Magnenzio (Samarobriva, Amiens in Gallia 303 - Lugdunum, 10 agosto 353), militare di origine barbarica, con la sua rivolta spezzò il dominio ininterrotto dei Costantinidi sulla pars Occidentis dell'impero, riuscendo a coagulare le forze sociali ostili al governo di Costante. Inizialmente tentò di arrivare a patti con Costanzo II, fratello di Costante e Augusto in Oriente, ma fu poi costretto a muovergli guerra. Dopo aver nominato Cesare con la responsabilità della difesa del confine renano un suo parente, Decenzio, si mosse nell'Illirico, ma fu ripetutamente sconfitto da Costanzo, spingendolo infine a suicidarsi. Attento alle istanze dei territori che ne avevano sostenuto l'usurpazione, Magnenzio spostò sull'aristocrazia di Roma il carico fiscale che gravava sui provinciali, inimicandosela. Fu promotore di una politica religiosa tollerante, nel tentativo di non alienarsi il consenso dei pagani né quello dei cristiani, ma non riuscì ad ottenere l'appoggio delle classi dirigenti dell'Italia e dell'Illirico, che rimasero legate alla dinastia costantiniana e per questo affidò le cariche più importanti alla stretta cerchia di uomini con cui aveva pianificato la sua rivolta. Magnenzio era un laetus (pl. laeti, al singolare laetus, è una parola latina che nel tardo Impero romano stava ad indicare quei barbari che avevano ricevuto il permesso di insediarsi sul territorio imperiale, ricevendo la proprietà delle zone occupate, in cambio dell'impegno a fornire reclute per l'esercito romano. La parola ha una origine incerta: secondo l'opinione maggiormente diffusa deriverebbe da una parola germanica il cui significato sarebbe "servo" o "colono semi-libero", ma altri studiosi suggeriscono una origine latina, celtica o iraniana) originario della Gallia nato attorno al 303, che ricevette un'educazione latina, con cui affinò le sue innate capacità oratorie. Intrapresa la carriera militare: fu protector, poi comes rei militaris, e nel 350, al momento della sua usurpazione, comes delle legioni degli Herculiani e degli Ioviani, due unità che fungevano da guardia del corpo dell'imperatore Costante I, distinguendosi per le ottime doti di comando. È probabile che fosse pagano; molti elementi sembrano suffragare tale ipotesi: sua madre era definita μάντις ἀληθής («profetessa affidabile») ed egli stesso venerava divinità pagane. Revocò inoltre l'editto emanato da Costante I nel 341 che vietava l'esecuzione dei sacrifici notturni. Tuttavia, come d'altronde si evincerebbe dall'utilizzo della simbologia cristiana nella sua monetazione, non si può escludere che fosse un cristiano che cercava di trovare fra i pagani dei sostenitori per la sua rivolta. Negli ultimi anni del suo regno infatti, Costante finì per alienarsi il consenso di tutti i gruppi sociali: cercò di ristabilire la disciplina negli eserciti riuscendo però solo ad attirarsi l'antipatia dei soldati, aggravò il prelievo fiscale tra i provinciali, scelse i governatori tra uomini incapaci di ricoprire tale carica e infine, con la sua ferma adesione al cristianesimo, si fece nemica l'aristocrazia senatoria di Roma. La sua cattiva nomea fu poi gonfiata da alcuni comportamenti nell'ambito della sfera privata ritenuti disdicevoli per l'epoca, come l'abitudine di attorniarsi di attraenti soldati per soddisfare le sue voglie omosessuali o il dedicare troppo tempo allo svago della caccia, che gli avrebbe fatto progressivamente perdere il controllo sulla corte. Questa fu la situazione storico-politica di cui seppe approfittare Magnenzio, benché la cospirazione contro Costante si configurò inizialmente come una congiura di palazzo. Infatti Zosimo narra che Marcellino (Marcellino è stato un funzionario romano), comes rerum privatarum di Costante, presso Augustodunum (Autun) organizzò una festa in occasione del compleanno dei propri figli, alla quale invitò molti dei funzionari e degli ufficiali superiori presenti in città. Durante la festa Magnenzio, che vi partecipava, finse di interpretare una rappresentazione teatrale e si rivestì degli indumenti imperiali, facendosi chiamare Augusto (imperatore) dagli ufficiali presenti. Le truppe presenti, sentendo le acclamazioni dei propri ufficiali, credettero che i comandanti stessero organizzando un colpo di Stato contro Costante, e sostennero l'elevazione di Magnenzio a imperatore (18 gennaio 350). All'usurpatore si unirono l'esercito e gli abitanti di Augustodunum, nonché i cavalieri che Costante aveva fatto giungere in Gallia dall'Illirico come rinforzi. Come prima decisione, Magnenzio ordinò la morte di Costante, benché quest'ultimo, anni addietro, con un suo intervento personale avesse salvato la vita allo stesso Magnenzio a seguito di una ribellione dei soldati posti sotto il suo comando. Costante I fuggì allora verso la penisola Iberica, ma fu raggiunto e ucciso vicino ai Pirenei da un gruppetto di cavalieri guidati dal generale Gaisone.

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- Flavio Giulio Costanzo, meglio noto come Costanzo II (Flavius Iulius Constantius; Sirmio, 7 agosto 317 - Cilicia, 3 novembre 361) è stato imperatore per 24 anni, difendendo l'impero dai nemici esterni e il proprio potere dagli usurpatori e promuovendo il Cristianesimo. Nominato Cesare (imperatore subordinato ad un Augusto) dal padre, assieme ai fratelli, alla sua morte aveva mantenuto il potere come Augusto nella parte orientale dell'impero (province d'Asia e d'Oriente, compreso il Ponto e la Tracia, lasciando gli altri fratelli a spartirsi l'Occidente. Si impegnò nella difesa dei confini orientali dell'impero dalla minaccia dei Sasanidi, optando per una politica militare a bassa intensità diversa dalle consuetudini romane, che fu efficace, ma che causò una certa insoddisfazione nel mondo romano. Buon comandante e amministratore, ridusse il peso della burocrazia imperiale e del fisco; in campo militare dovette affrontare anche le incursioni dei popoli barbari attraverso i confini germanico e danubiano, mentre in politica interna fu a lungo impegnato dall'usurpatore Magnenzio, cui contese e strappò il potere in Occidente, come pure da altri usurpatori (Vetranione, Decenzio, Nepoziano e Claudio Silvano). L'usurpatore Magnenzio, elevato a imperatore il 18 gennaio 350, grazie anche al supporto di Fabio Tiziano, prefetto del pretorio delle Gallie e poi futuro praefectus urbi, consolidava il proprio potere nelle province della Britannia, della Gallia e della Spagna, anche in ragione della sua politica favorevole ai pagani, in quanto revocò la legislazione antipagana di Costante, permettendo invece la celebrazione di sacrifici notturni. Costanzo II, Augusto in Oriente e fratello di Costante, era all'epoca impegnato sulla frontiera persiana a respingere l'offensiva sasanide su Nisibis e non fu in grado di contrastare perentoriamente l'usurpatore. Magnenzio, di fatto, divenne l'unico signore della parte occidentale dell'impero, il primo in discontinuità con dinastia costantiniana dopo oltre mezzo secolo di regno. Magnenzio tentò di assicurarsi anche il controllo dell'Italia, ma a Roma Nepoziano, un membro della dinastia di Costantino, al comando di uno sparuto gruppo di avventurieri, si presentò sotto le mura della città e senza grandi sforzi la conquistò, sconfiggendo ed uccidendo Aniceto, il prefetto del pretorio di Italia, che si era opposto all'aggressore schierando un piccolo contingente di cittadini armati. Tuttavia poco tempo dopo lo stesso Nepoziano fu rovesciato e ucciso (1º luglio 350) da un esercito inviato da Magnenzio agli ordini di Marcellino, promosso per l'occasione magister officiorum. L'usurpatore cercò di imporre il suo potere anche sui territori dell'Illirico, che erano stati di Costante, muovendo verso il fiume Danubio, ma intanto il comandante delle truppe della Pannonia, Vetranione, era stato acclamato imperatore dai suoi uomini a Mursa (in Croazia), ottenendo l'appoggio di Costantina, figlia di Costantino I. Magnenzio tentò quindi di accordarsi sia con Vetranione che con Costanzo, ma riuscì a stipulare un patto di formale alleanza solo con il primo, mentre non ottenne alcun risultato col secondo. Costanzo, che aveva ricevuto la notizia della morte del fratello Costante sul finire del 350, dopo aver stipulato la pace con i Sasanidi, marciando verso ovest giunse ad Eraclea, dove incontrò un'altra ambasceria congiunta di Magnenzio e Vetranione, che gli proponeva la volontà dei due usurpatori di offrirgli una preminenza della collegialità imperiale in cambio del riconoscimento di entrambi come coreggenti. Costanzo però imprigionò come ribelli tutti gli ambasciatori meno uno, il prefetto del pretorio dell'Illirico Vulcacio Rufino e rifiutò la proposta di Magnenzio, mentre iniziò delle serie trattative con Vetranione che si conclusero con successo. Si diresse quindi a Serdica (la moderna Sofia, in Bulgaria) dove incontrò Vetranione e il suo esercito (il 25 dicembre 350). Vetranione giurò fedeltà a Costanzo, rinunciando alla porpora e ritirandosi a vita privata a Prusa, in Bitinia mentre Magnenzio invece sposava Giustina, una giovane aristocratica imparentata con l'imperatore Costantino I allo scopo di rafforzare la propria posizione legandosi alla dinastia costantiniana. La guerra tra Magnenzio e Costanzo II era ormai inevitabile. L'esercito di Magnenzio era formato perlopiù da contingenti gallici rafforzato da folti gruppi germanici, mentre quello di Costanzo era costituito dalle truppe dell'Illirico che erano state agli ordini di Vetranione, ma anche da Orientali, in particolare gli arcieri armeni e aveva il suo cardine nella cavalleria, il cui ruolo si rileverà decisivo per le sorti finali del conflitto. Magnenzio cominciò i preparativi necessari per lo scontro armato cautelandosi con la nomina a Cesare di un suo parente, Decenzio, a cui fu affidata la difesa delle frontiere galliche dagli assalti degli Alamanni, sollecitati dallo stesso Costanzo allo scopo di creargli delle serie difficoltà. Dopodiché mosse verso l'Illirico, essendo riuscito ad arruolare un considerevole numero di soldati, rinfoltito per ultimo da unità di Franchi e Sassoni. Costanzo, da parte sua, dopo aver nominato Cesare il cugino Gallo a Sirmio (15 marzo 351), a cui aveva concesso in sposa la sorella Costantina, affidandogli il governo delle provincie orientali, si era mosso con il suo esercito con l'intenzione di raggiungere l'Italia, ma arrivato ad Atrans (odierna Trojane, in Slovenia) cadde in un'imboscata ordita da Magnenzio, che causò diverse perdite ai suoi effettivi e lo costrinse a ritirarsi a Siscia. Magnenzio invece avanzò in Pannonia, giungendo fino a Petovio. Qui fu raggiunto da un inviato di Costanzo, il prefetto del pretorio d'Oriente Filippo, che gli portò una proposta di Costanzo: a Magnenzio avrebbe concesso il dominio della Gallia se egli avesse lasciato l'Italia e l'Africa. Il vero intento del prefetto di Costanzo era però quello di indagare lo stato delle truppe dell'usurpatore; nella stessa occasione Filippo ebbe la possibilità di arringare i soldati di Magnenzio, cui rinfacciò la loro ingratitudine verso la dinastia costantiniana. Magnenzio quindi accusò Filippo di aver abusato del suo ruolo di ambasciatore, e di tutta risposta, dopo aver respinto la proposta di Costanzo, inviò presso questi, che si era ritirato a Cibalae con il proprio esercito,[48] Fabio Tiziano, il quale, dopo aver inveito contro il figlio di Costantino per il suo malgoverno, lo intimò di abdicare in favore di Magnenzio se volesse salva la vita. Ma al seguito del diniego ricevuto da Costanzo, Magnenzio ruppe gli indugi e avanzò su Siscia, radendola al suolo. Inorgoglito da tale successo, l'usurpatore puntò poi verso Sirmio, confidando anche in questa occasione di poterla conquistare senza troppe difficoltà; tuttavia, giunto sotto le mura della città, Magnenzio fu respinto dagli abitanti e dai soldati rimasti a presidio della stessa e fu costretto a ripiegare a Mursa. Costanzo non prese da subito l'iniziativa, ma quando riuscì a far defezionare con tutta la sua cavalleria il tribunus scholae armaturarum Claudio Silvano, futuro usurpatore per 28 giorni in Gallia, mosse con tutti i suoi effettivi verso Mursa, che Magnenzio stava ancora assediando e nella quale aveva tentato di appiccare il fuoco alle porte. Lì, alla confluenza della Drava con il Danubio, il 28 settembre 351 ci fu lo scontro decisivo. In quella che passerà ai posteri come la battaglia di Mursa (28 settembre 351), Magnenzio schierò 36000 uomini, contro gli 80000 di Costanzo. La battaglia iniziò nel tardo pomeriggio e si protrasse fino a notte inoltrata. Costanzo, dopo aspri combattimenti, riuscì ad avere la meglio accerchiando con la sua cavalleria l'ala destra dell'esercito nemico. Magnenzio corse il pericolo di essere preso prigioniero e per salvarsi, fu costretto a fuggire travestito, lasciando a combattere al suo posto Romolo, forse il suo magister equitum, che poi cadde sul campo. Nonostante tale defezione, la battaglia comunque durò ancora a lungo, perché alcuni reparti dell'esercito di Magnenzio, seppur fiaccati dalle gravi perdite, continuarono a combattere con accanimento. Dopo un ultimo e decisivo assalto della cavalleria di Costanzo, che determinò la conquista dell'accampamento di Magnenzio e la morte o la resa dei suoi ufficiali, la battaglia terminò con la vittoria piena del figlio di Costantino, che accordò il perdono a chi si era arreso, eccetto coloro direttamente implicati nell'assassinio di Costante. A Mursa Magnenzio perse circa 24000 uomini, i due terzi del suo esercito, mentre Costanzo ne perse circa 30000. La tragicità di questa battaglia fu celebrata nel Constantini imperatoris bellum adversus Magnentium, un'opera perduta della poetessa Faltonia Betizia Proba, moglie di Clodio Celsino Adelfio, praefectus urbi di Roma sotto Magnenzio nel 351. La propaganda che voleva Costanzo combattere con il sostegno divino fu accresciuta dal fatto che l'imperatore lasciò lo scontro per andare a pregare dentro la basilica dei martiri situata fuori dalla città insieme al vescovo di Mursa, Valente, che in seguito annunciò a Costanzo come un angelo gli avesse rivelato la sua immediata vittoria contro Magnenzio. La storiografia favorevole all'imperatore, prendendo come spunto l'affinità onomastica tra Magnenzio e Massenzio, paragonerà la battaglia di Mursa a quella combattuta a Ponte Milvio il 28 ottobre del 312, con l'intento di assimilare l’immagine di Costanzo a quella del padre Costantino. Costanzo non si preoccupò o forse non seppe trarre vantaggi immediati dalla sua vittoria a Mursa: probabilmente, a prescindere dalle gravi perdite subite, non aveva intenzione di affrontare una campagna invernale e rinunciò a inseguire Magnenzio. Trascorse invece la stagione a Sirmio, ove preferì occuparsi di questioni religiose, presiedendo un sinodo che condannò le dottrine del vescovo locale Photeinos. Magnenzio ebbe quindi il tempo di rifugiarsi ad Aquileia, dove aveva una magnifica corte, e dedicò tutto l'inverno 351-352 a riorganizzare il suo esercito e a fortificare le Alpi Giulie. Allo stesso tempo tentò poi di concludere senza successo una tregua con Costanzo, probabilmente anche a causa delle preoccupanti notizie che ricevette da Decenzio circa la situazione in Gallia, ove, data la scarsità di soldati a sua disposizione, non riusciva a contenere le scorrerie degli Alamanni, tant'è che questi, dopo aver incendiato Castrum Rauracense, lo sconfissero in una battaglia campale tra Treviri e il Reno, insediandosi permanentemente in questa frazione di territorio. La situazione si aggravò quando un gran numero di Italici e soprattutto di senatori si imbarcò per la Dalmazia per raggiungere Costanzo, traendo vantaggio dall'amnistia che questi aveva proclamato. Costanzo infine nell'estate del 352 si convinse a superare le Alpi, aggirando le fortificazioni di Magnenzio, e riuscì ad avanzare fino ad Aquileia. L'usurpatore però aveva già abbandonato la città quando fu informato che Costanzo stava per avvicinarsi e, radunati i soldati che trovò lungo la strada procedendo verso ovest, riuscì a sbaragliare l'incauta avanguardia nemica che lo inseguiva. Nel frattempo però Costanzo, che fin dall'inizio aveva armato una grossa flotta, faceva bloccare dalle sue navi il litorale veneto e dopo che i suoi emissari riuscirono a far sollevare quasi tutta l'Italia contro Magnenzio, fece sbarcare un esercito alle foci del Po, impedendo in tal modo alle truppe dell'usurpatore stanziate a sud di ricongiungersi con lui. Così mentre le città del nord Italia gli si consegnavano spontaneamente, Costanzo procedeva con la sua strategia navale, riuscendo a sottrarre a Magnenzio il controllo della Sicilia prima e dell'Africa poi, alla quale inviò una flotta a Cartagine, fatta precedere da suoi emissari accorsi dall'Egitto. Intanto dalla Gallia, Decenzio non riuscva a inviare rinforzi a Magnenzio nella guerra contro Costanzo poiché impegnato dagli Alamanni lungo la frontiera del Reno. Perso il controllo dell'Italia, Magnenzio decise allora di rifugiarsi in Gallia e tentò di riorganizzare il suo esercito, ma Costanzo nel frattempo aveva fatto sbarcare una flotta a sud dei Pirenei per impedirgli di ricevere rinforzi dalla penisola iberica. Magnenzio tentò quindi di far assassinare Costanzo Gallo, Cesare d'Oriente dal 351, in modo da destabilizzare il governo dell'Oriente e far sì che Costanzo abbandonasse il suo intento di muovere verso le Gallia, ma il complotto fu scoperto e sventato. Costanzo da parte sua continuava ad avanzare velocemente verso ovest e il 3 novembre arrivò a Milano, ove pubblicò un editto che annullava alcune delle misure adottate da Magnenzio e dai suoi governatori e incontrò una delegazione del Senato di Roma capeggiata da Memmio Vitrasio Orfito, che poi sarà nominato praefectus urbi per due volte tra il 353 ed il 359, che si rallegrava della sua vittoria sull'usurpatore. Nell'estate del 353, Magnenzio provò ancora una volta ad opporsi a Costanzo, ma fu sconfitto nella battaglia di Mons Seleucus (La Bâtie-Montsaléon). Si rifugiò quindi a Lugdunum (Lione) e richiamò Decenzio dalla frontiera sul Reno, dove era ancora impegnato nella guerra contro gli Alamanni. Tuttavia, alla notizia della sconfitta patita a Mons Seleucus, la città di Treviri si ribellò scegliendo come proprio difensore un tal Pemenio, con i soldati che già meditavano di consegnare l'usurpatore a Costanzo per ottenere il perdono da quest'ultimo. Magnenzio si rese quindi conto di non poter più contare sull'appoggio incondizionato della popolazione gallica, che in precedenza aveva sostenuto convintamente i motivi della sua usurpazione. Il 10 agosto 353, Magnenzio uccise la propria madre e tutti i parenti e gli amici più stretti che erano a Lugdunum con lui, e poi si suicidò. La sua testa fece il giro delle città a dimostrare la sua sconfitta. Pochi giorni più tardi, il 18 agosto, Decenzio, venuto a sapere del suicidio di Magnenzio mentre si recava da lui per portargli aiuto, si impiccò a Agendicum, città ove si era rifugiato. Il 6 settembre Costanzo entrò a Lugdunum e promulgò un'amnistia assai clemente, che però non mise in atto ed anzi avviò una persecuzione spietata dei seguaci di Magnenzio. Molti dei soldati che avevano militato dalla parte dell'usurpatore furono integrati nelle truppe di Costanzo e redistribuiti, con fine punitivo, lungo il limes persiano e renano, mentre coloro che si erano rifiutati di passare dalla parte del vincitore si diedero alla macchia, vivendo di brigantaggio in Gallia, finché Giuliano (Flavio Claudio Giuliano, imperatore e filosofo romano, l'ultimo sovrano dichiaratamente pagano, che tentò, senza successo, di riformare e di restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte alla diffusione del cristianesimo) con una sua amnistia li integrò nel proprio esercito. L'impero era di nuovo riunito sotto un solo imperatore, mentre nei confronti di Magnenzio fu dichiarata la damnatio memoriae.
Non avendo figliCostanzo II associò al potere gli unici due parenti maschi rimastigli dopo le purghe seguite alla morte di Costantino, che avevano consentito a Costanzo di sbarazzarsi di possibili concorrenti al soglio imperiale: prima scelse il cugino Gallo (Flavio Claudio Giulio Costanzo Gallo; Massa Veternensis, 325/326 - Pola, 354), cui diede in sposa la propria sorella Costantina e che poi mise a morte a causa della sua disastrosa amministrazione dell'Oriente, poi il fratellastro di questi Giuliano, il quale, dopo aver dimostrato insospettate qualità militari e amministrative in Gallia, gli si rivoltò contro proclamandosi imperatore e succedendogli poi alla sua morte. Come il padre prima di lui, quale imperatore Costanzo assunse un ruolo attivo all'interno dei confronti dottrinali del cristianesimo, promuovendo l'arianesimo nell'ambito della diatriba sulla natura di Cristo; promosse anche diversi concili, rimuovendo e nominando molti vescovi. Con Costanzo il potere e i privilegi della gerarchia ecclesiastica si consolidarono e il cristianesimo divenne sempre più la religione principale dello Stato romano.

Nel 342 - La federazione dei Franchi è protagonista di un'incursione in territorio gallico, condotta a partire dalla loro area d'insediamento presso il Reno ma sono respinti da Costante I, imperatore dal 337.

- Nell'Europa orientale, le tribù di Slavi orientali ridussero fortemente i loro rapporti commerciali con Roma, preferendo quelli con le tribù sarmatiche o altre tribù slave e di parteciparono alle guerre anti-schiavistiche  contro Roma, unendo parte delle loro forze a quelle dei Marcomanni nella seconda metà del II secolo e a quelle gotiche nel III e IV secolo. Tuttavia i Goti, capeggiati da Ermanarico, ambivano a  sottomettere gli stessi Venedi (gli Slavi occidentali), senza peraltro riuscirvi. I movimenti migratori dei  Venedi nelle terre a sud-ovest dell'Elba e dell'Oder erano stati causati anche dalla pressione e dalle violente incursioni degli  Unni nell'Europa orientale e centrale, benché la maggior parte di loro non fosse stata interessata da quelle incursioni.

- Durante il IV secolo gli Unni, popolo guerriero nomade, probabilmente di ceppo turcico (o turco), provenienti dalla Siberia meridionale, giungono in Europa. Non si conosce quasi nulla della lingua unna, l'ipotesi più accettata è che si trattasse di una lingua altaica ma diverse altre teorie la vorrebbero vicina al moderno ungherese o addirittura alle lingue iraniche. Giordane (o Giordano o Jordanes, storico bizantino di lingua latina del VI secolo di probabile origine gotica o alana) scrisse che gli Unni "si procuravano ferite sulle guance come segno di lutto per i guerrieri più valorosi, piangendoli non con lacrime di donne ma con il sangue degli uomini". Inoltre gli Unni praticavano la deformazione cranica, allungandosi le teste probabilmente a imitazione dei nomadi sàrmati di origine indoiranica. La deformazione cranica fu una pratica molto comune nel corso della storia. Il procedimento veniva applicato sin dalla più tenera infanzia e consisteva nello stringere la testa del bambino con un bendaggio, approfittando del fatto che a quell'età il cranio era ancora molle e in crescita. Nel caso di alcuni popoli, questa pratica serviva a indicare che il ragazzo era destinato al sacerdozio, ma nel caso degli Unni se ne ignora il significato, anche se come suggerisce lo storico John Man, "gli uomini con la testa allungata costituivano un'élite".
Gli Unni in battaglia contro gli Alani
in un'illustrazione ottocentesca di
Johann Nepomuk Geiger, da https
://it.wikipedia.org/wiki/Unni
 
Gli Unni sono stati descritti come un popolo di uomini brutti e spaventosi e lo stesso si diceva dei loro cavalli, la loro vera  grande arma  vincente sui campi di battaglia. I cavalli unni erano diversi dai cavalli attuali e molto diversi da quelli adottati dalla cavalleria romana e dai popoli con cui si scontrarono. Esteticamente questi cavalli potevano sembrare poco attraenti, erano molto magri, decisamente più bassi dei cavalli adottati dagli eserciti imperiali ma erano forti, resistenti e veloci, in grado di percorrere anche 100 km senza aver bisogno di essere ferrati, di indole mansueta e in grado di trovare il foraggio anche sotto la neve: sopravvivevano dunque facilmente anche in condizioni ambientali poco favorevoli. L'unico territorio in cui questi cavalli si muovevano a disagio era quello montagnoso, ma nelle vaste praterie della steppa Europea, nelle pianure e nelle valli si dimostrarono molto più performanti di qualsiasi cavalleria contro cui si scontrarono. I cavalieri unni sembravano un tutt'uno in sella ai loro cavalli, i bambini imparavano a cavalcare nello stesso tempo in cui imparavano a camminare e al galoppo di quei veloci destrieri sapevano destreggiare le armi con una precisione che le altre cavallerie, più rigide, pesanti e diversamente equipaggiate, non possedevano. Grazie all'uso sia della sella che della staffa i loro attacchi erano sorprendentemente potenti, scanditi da repentini movimenti inaspettati. Si ritiene che un tipo di sella arcaica sia stata usata fin dal 700 a.C. circa dagli Sciti, un popolo nomade della steppa eurasiatica, ma è stato certamente l'arrivo in Europa di selle robuste come quelle cinesi a fare la differenza in battaglia. Lo scoprirono a loro spese i Romani, che combatterono gli Unni seduti su coperte appoggiate ai cavalli mentre la cavalleria dei loro nemici era già dotata di selle in legno con pomelli davanti e dietro, il cui vantaggio era una stabilità senza pari e la possibilità di tirare frecce senza fermarsi. Allo stato attuale e basandoci sui ritrovamenti effettuati in alcuni siti archeologici, è possibile oggi affermare che le prime staffe rinvenute in Europa sono attribuibili al quarto secolo dopo Cristo e provengono dalle tombe dei cavalieri Sàrmati situate nel bacino del fiume Kuban, a nord del Caucaso, mentre al quinto secolo dopo Cristo appartengono alcune staffe in ferro, con la fessura per il passaggio dello staffile e la forma consueta che ancora oggi gli viene data, rinvenute in tombe di Unni in Ungheria. Gli storici romani e cristiani che tanto disprezzarono gli Unni, descrivendoli come rozzi e incivili, narrarono di come si nutrissero della carne cruda che riponevano sotto la sella durante le cavalcate, appena scaldata e "cotta" dal continuo movimento del corpo sulla sella. In realtà quella carne proteggeva l'animale dall'attrito del contatto, rendendogli quindi la cavalcata più lieve, che poi quella carne venisse realmente mangiata non apparirebbe certo strano oggi, soprattutto alla luce del prezzo della carne di Kobe, pregiatissima perché "massaggiata" a mano. Il cavaliere unno non avevano solo un cavallo a disposizione, ma un'intera scuderia di cavalli al seguito, in modo da poter contare sempre su un cavallo riposato per un'azione scattante. Quando gli Unni avanzavano lo facevano così velocemente che si potevano vedere le sentinelle correre disperate per annunciare l'arrivo degli Unni quando già se ne sentiva lo scalpitio sul terreno e l'orizzonte si copriva della polvere sollevata dagli zoccoli dei loro cavalli. 

Nel 343 - Al Concilio di Serdica (o Sardica, l'attuale Sofia in Bulgaria) convocato nel 343/344 dagli imperatori Costante I e Costanzo II, parteciparono 180 vescovi di cui molti semiariani i quali, non riconoscendo come vescovi Atanasio di Alessandria, Marcellino di Ancira e Asclepiade di Gaza, costituirono un altro concilio che scomunicò il papa Giulio I. Nella sua maggioranza però, il concilio restò fedele a Roma e confermò la dottrina atanasiana e il simbolo di Nicea e promulgò inoltre canoni riguardanti il diritto episcopale, fra cui il diritto della Sede romana di ricevere i ricorsi di chierici o vescovi condannati in provincia.

Nel 344 - Nasce Giovanni Crisostomo, o Giovanni d'Antiochia (Antiochia, 344/354 - Comana Pontica, 14 settembre 407), arcivescovo cattolico, santo e teologo bizantino, il secondo Patriarca di Costantinopoli, commemorato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa, venerato dalla Chiesa copta; è uno dei 33 Dottori della Chiesa. La sua eloquenza è all'origine del suo epiteto Crisostomo (in greco antico χρυσόστομος / khrysóstomos, letteralmente «Bocca d'oro»). Il suo zelo e il suo rigore furono causa di forti opposizioni alla sua persona. Fra l'altro scrisse delle omelie antigiudaiche, utilizzate nei secoli successivi come pretesto per discriminazioni e persecuzioni contro gli ebrei. In età avanzata dovette subire un esilio e  morì durante un trasferimento.

- A partire dal IV secolo (dopo l'Editto di Milano) la Diocesi di Roma diventa proprietaria di immobili e terreni, frutto delle donazioni dei fedeli. Il patrimonio terriero del vescovo di Roma era denominato  Patrimonium Sancti Petri poiché le donazioni erano devolute a san Pietro, l'apostolo fondatore della Chiesa romana. Nel VI secolo il patrimonio petrino assumerà un'estensione di rilievo.

Nel 350 Ulfila traduce il Nuovo Testamento in lingua gota favorendo la conversione dei Goti al cristianesimo ariano. Ulfila o Wulfila (in gotico "Lupacchiotto"; 311 - Costantinopoli, giugno 388) era nato da genitori romani di una comunità originaria della Cappadocia, ridotta poi in cattività dai Goti sul finire del III secolo, di religione cristiana ariana e di lingua e cultura elleniche. Fu forse grazie a prigionieri come lui che il Cristianesimo si diffuse tra i Goti, allora stanziati nella Bessarabia storica.
In color mattone,
la Bessarabia.
Si sa che nel 311 i genitori di Ulfila vivevano a nord del Danubio, in territorio visigoto. Oltre al goto, Ulfila sapeva il latino e il greco e fu inviato più volte come ambasciatore a Costantinopoli, dove prese contatti con l'ala moderata degli ariani. Nel 348 il vescovo di Costantinopoli, Eusebio di Nicomedia, lo nominò vescovo presso i goti. All'inizio la sua missione di evangelizzatore fallì: re Atanarico scatenò una persecuzione contro i goti cristiani, che per questo migrarono con Ulfila nell'area oggi al confine tra Romania e Bulgaria, con il benestare dell'imperatore romano Costanzo II. Lo storico Iordanes, nel suo De origine actibusque Getarum del 551, scrisse (libro LI, 267): «Ci furono anche altri Goti, detti minori, un popolo immenso il cui vescovo e capo fu Wulfila, che si dice li avesse istruiti nelle lettere». Grazie alla sua predicazione, Ulfila convertì molti goti al cristianesimo ariano. Tradusse, anche se con difficoltà, la Bibbia dal greco al gotico antico, di cui creò l'alfabeto (detto appunto gotico). La sua opera precede quindi di alcuni decenni la Vulgata (la Bibbia tradotta in latino da san Girolamo). Ma, a differenza di quest'ultima, la Bibbia di Ulfila non ebbe diffusione. Dal 325, infatti, l'arianesimo era considerato eretico e Ulfila, che era ariano, dovette difendersi dall'accusa di eresia. Morì a Costantinopoli nel 388, quando la maggioranza dei goti era ormai cristianizzata. Neppure in punto di morte Ulfila rinnegò la sua versione del cristianesimo. Il vescovo ariano Massimino, nella sua Dissertazione contro Ambrogio (Contra Ambrosium, 56, 59-60, 63), ne riporta il testamento spirituale pronunciato prima di morire. Eccone un passo: «Io, Ulfila, vescovo e confessore, ho sempre creduto in questo modo, e in questa fede unica e veritiera passo al mio Signore: credo che Dio Padre sia unico, ingenerato ed invisibile, e credo nel suo Figlio unigenito, Signore e Dio nostro creatore, ed artefice di ogni creatura, che non ha nessuno simile a sé: quindi uno è il Dio padre di tutti, che è anche Dio del Dio nostro; e credo che uno sia lo Spirito Santo, virtù illuminante e santificante […] né Dio, né Signore, ma ministro fedele di Cristo, non uguale, ma suddito ed obbediente in tutto al Dio padre».

Carta dell'Occitania (di cui solo
Provenza e Languedoc, Aquitania
esclusa) provincia Romana.
- Nel crogiuolo occitanico, composto da iberi, liguri, baschi, celto-liguri, greci e romani, diventati tutti cittadini romani nel 121 a.C., con la proclamazione della Provincia della Gallia Narbonensis (da cui il termine Provenza), si mescolano successivamente popoli germanici (goti e franchi) e semito-camitici (ebrei e arabo-berberi) che si convertono spontaneamente alla lingua ed alle culture latine. La lingua d'Oc è una delle lingue neolatine che si formano sul substrato degli antichi dialetti regionali e della lingua ufficiale e colta della Roma conquistatrice e padrona, fin dalla fine dell'Impero. Se in quella parte di continente che denominiamo Francia settentrionale (e che allora era lungi dall'essere un'entità definita e definibile) si andava affermando la Langue d'Oil, in una zona compresa tra le Valli alpine del Piemonte e la Catalogna  prendeva forma la lingua d'Oc (anche se in realtà non dovette esserci per il volgo, il popolo non colto, un significativo distacco dal dialetto parlato in precedenza). Per "Occitani: storia e cultura": http://storianet.blogspot
.it/2015/01/occitani-storia-e-cultura.html

Nel 352 - Da QUI: I destini di Eusebia e di Giustina s'incrociarono per breve tempo alla metà del IV secolo, quando entrambe si unirono in matrimonio a due imperatori rivali. Nel dicembre del 352, a Milano, Eusebia sposa il più maturo e già vedovo imperatore Costanzo II. Di Eusebia non sappiamo la data di nascita ma solo che proveniva da una famiglia di Salonicco, di recente elevazione senatoria. Il padre Flavio Eusebio era stato magister equitum et peditum prima del 347 e console subito dopo tale data ed aveva almeno altri due figli di cui si conoscono i nomi: Flavius Hypotius e Flavius Eusebius. Quest'ultimo, omonimo del padre, diverrà governatore dell'Ellesponto nel 355, governatore della Bitinia nel 355/356 e console nel 359. Gli storici all'unanimità attribuiscono ad Eusebia bellezza e intelligenza, ma questi erano forse gli attributi comuni a tutte le auguste. Giustina, definita bella e intelligente, aveva solo dodici anni quando il padre Giusto, governatore del Piceno, la consegnò in quello stesso anno al cinquantenne Magno Magnenzio, già vedovo di sua sorella maggiore e con una figlia sua coetanea. Giustina era verosimilmente appartenente alla dinastia costantiniana, probabilmente tramite sua madre, che potrebbe essere stata o figlia di Crispo, il figlio primogenito di Costantino I (anche se identità e destino del figlio di Crispo ed Elena non sono noti; è stato proposto comunque che fosse una femmina e che fosse la madre dell'imperatrice Giustina, da Harlow e altri) o di Giulio Costanzo (fratellastro di Costantino). Magno Magnenzio era stato acclamato imperatore nel 350 dopo una rivolta nelle Gallie conclusasi con la morte di Costante, fratello di Costanzo. In un primo tempo questo generale franco aveva tentato di farsi accettare dal Senato romano e dall'imperatore come collega, offrendo in moglie a Costanzo la propria figlia e chiedendo per sé Costantina, la sorella vedova dell'imperatore. Ma la sua origine germanica escludeva che potesse in qualche modo raccogliere legittimamente l'eredità del grande Costantino, imparentandosi coi suoi figli.


- Costanzo II, poco prima della vittoria decisiva sull'usurpatore Magnenzio, sposa Eusebia (... – Tessalonica, 360), sua seconda moglie, figlia del suo magister militum Eusebio (comandante in capo dell'esercito), che l'imperatore stimava tanto da concedergli di condividere il consolato del 347. In onore di Eusebia, descritta dalle fonti come molto bella, Costanzo creò una nuova diocesi, costituita dalla Bitinia e da parti della Pontica, cui diede il nome di Pietas ("pietà", "senso del dovere", "rispetto"), traduzione in latino della parola greca eusebia. Eusebia usò la propria influenza sul marito per aiutare le persone a lei vicine; i suoi due fratelli divennero consoli nel 359 e dal punto di vista religioso fu una sostenitrice dell'Arianesimo, influenzata dall'eunuco Eusebio, il potente praepositus sacri cubiculi ("addetto agli appartamenti imperiali") di Costanzo. Eusebia e Costanzo non ebbero figli e sebbene fosse stata forse lei a convincere il marito a elevare il cugino Giuliano al rango di cesare, si tramanda che Giuliano stesso le abbia causato ripetuti aborti allo scopo di non avere pretendenti al trono di sangue imperiale. Probabilmente Costanzo era sterile e quelle voci infamanti erano messe in giro da cristiani ostili al filosofo Giuliano.

Nel 353 - Da QUICostanzo II scende in campo e sconfigge il rivale Magno Magnenzio. Per l'occasione riapre la zecca a Milano con l'emissione di una moneta commemorativa, in cui veniva effigiato quale debellator orbis. Magnenzio si suicidò il 10 agosto a Lione; la sua testa venne spiccata e portata in giro per le province; chiunque l'avesse sostenuto, anche solo con un gesto di compassione umana, venne torturato, condannato a morte o all'esilio e i suoi beni confiscati (Amm. Marc., XIV 5, 1-9). Questa sorte toccò al padre di Giustina e a Graziano il Vecchio, il cui figlio Valentiniano diventerà imperatore e secondo marito di Giustina. Ammiano Marcellino ha così tratteggiato il carattere fisico e psicologico di Costanzo II: bruno, con uno sguardo luminoso e penetrante, morbidi capelli, guance sempre ben rasate, brevilineo. Sobrio e parco, moderato nel cibo e nelle bevande, dormiva pochissimo. La sua massima abilità era nel cavalcare, nel lanciare giavellotti e nel saettare con precisione. Era così compreso della sua ieratica maestà che, in presenza del pubblico, rimaneva immobile come una statua, senza pulirsi nemmeno il naso. Poiché era scarso d’ingegno, era prudente fino alla paranoia, che lo spinse a commettere parecchi omicidi anche di consanguinei, ma soprattutto di persone che temeva. Per questo motivo non presenziò mai a processi. L’unica persona della quale si fidò ciecamente fu la moglie Eusebia, che gli fece da filtro alle voci sottili degli eunuchi e a quelle insinuanti dei cortigiani.

Da QUICostanzo II ed Eusebia pongono la loro sede a Milano, nel palatium presso S. Giorgio al Carrobio di Porta Ticinese, adattato per un fastoso soggiorno. Il clima che si respirava a corte era tutt'altro che sereno: adulazione cortigiana, lusinghe artificiose, trame di calunnie tessute instancabilmente dagli avidi eunuchi di palazzo, segreti sussurri che materializzavano cavalletti di tortura, catene, pianti di supplici inascoltati. "La fabbrica degli intrighi di corte batteva giorno e notte sulla stessa incudine secondo la volontà degli eunuchi, che con la loro esile voce sempre infantile e accattivante, con una pesante odiosità, rovinavano, sussurrando alle orecchie troppo accoglienti dell'imperatore, la reputazione anche di un eroe." (Ammiano Marcellino, XVIII 4, 2-4). Tutta la letteratura nera che siamo abituati ad associare a Bisanzio si potrebbe benissimo trasferire alla corte milanese. Ammiano Marcellino ci consegna due impareggiabili ritratti di cortigiani: Paolo, spagnolo, cameriere della sala da pranzo "soprannominato Catena perché era invincibile nell'intrecciare complicate calunnie" e Mercurio, persiano, detto "conte dei sogni", perché "insinuandosi spesso in molti banchetti e riunioni, come un cane nascostamente pronto a mordere, che dissimula l'intera crudeltà scodinzolando umilmente, se qualcuno narrava ad un amico un sogno, lo riferiva con velenosi artifici, deformandolo, alle orecchie avide dell'imperatore". Ad alimentare questo inferno di turpitudini c'era Costanzo, spietato assassino dei suoi consanguinei nel 337 e timoroso di ricevere lo stesso trattamento. 

Nel 354 - Da QUI: Dopo aver eliminato suo cugino Gallo, che aveva fatto sposare con sua sorella Costantina, Costanzo II assapora il delirio del potere e comincia a definire se stesso "la mia Eternità" e a firmarsi "Signore di tutto il mondo". Restava però in vita un ultimo rivale, che aveva tutte le carte in regola per contestargli il dominio assoluto: suo cugino Giuliano, fratellastro di Gallo. E su di lui si concentrerà la fabbrica degli intrighi.

Nel 355 - Gli Alamanni (o Alemanni) passano la frontiera in Alsazia con l'idea di stabilirsi in massa e definitivamente nel territorio dell'impero, ma l'imperatore romano Giuliano li sconfiggerà a Strasburgo nel 358.

Confederazioni dei Franchi
e degli Alemanni.
Delle antiche tribù germaniche, nell'Europa centrale erano rimaste soltanto due confederazioni di tribù: i popoli stanziati nei territori del Danubio, gli Alamanni e quelli stanziati intorno al Reno, i Franchi.

Da QUIGiuliano, detto l'Apostata Giuliano, nato a Costantinopoli nel 331 e scampato alla strage del 337, era vissuto in rigoroso e forzato isolamento a Macellum in Cappadocia, in quella che lui chiamava "la torre del silenzio", ossia l'edificio funebre dove i persiani esponevano i cadaveri al pasto degli uccelli. Nel 355 venne prelevato e condotto nei pressi di Milano, dove attese in angosciosa incertezza sei lunghi mesi prima che Costanzo II trovasse il coraggio di guardarlo negli occhi. La regìa dell'incontro spettò a Eusebia. Secondo Ammiano Marcellino sarebbe stato schiacciato dalla nefanda cospirazione dei cortigiani se non lo avesse appoggiato per ispirazione divina l'imperatrice  Eusebia, che gli procurò l'autorizzazione a trasferirsi all'università di Atene. E' difficile cogliere le reali intenzioni di Eusebia: Giuliano le dimostrò, almeno nei suoi scritti, una sincera gratitudine per averlo mandato nella sua amata Atene; ma il bel gesto dell'imperatrice sembra una manovra diversiva in attesa di sferrare l'attacco decisivo. Pochi mesi dopo Giuliano fu richiamato a Milano perché il 6 novembre si celebrava la sua elezione a cesare e contemporaneamente gli si offriva in moglie Elena, la sorella minore di Costanzo. Tutta l'operazione fu architettata da Eusebia. La corte di Milano era propensa ad abolire la carica di cesare e a mantenere tutto l'impero sotto un solo augusto, ma "a questi sforzi si opponeva ostinatamente solo l'imperatrice, non si sa bene se perché temesse un trasferimento in regioni remote (le Gallie), o per provvedere al bene pubblico secondo la sua naturale saggezza." (Amm. Marc. XV 8,2). Il trasferimento nelle Gallie, regione oltremodo turbolenta e palcoscenico degli assassinii di quasi tutti i prossimi imperatori, equivaleva in realtà alla condanna a morte. Quando Giuliano arrivò a Milano, l'imperatore convocò l'esercito, prese posto su una tribuna eretta su un rialzo di terra, circondato da aquile e insegne e, tenendo la mano destra di Giuliano, lo associò come cesare al comando, rivestendolo della porpora imperiale. Con questo gesto l’imperatore si costituiva quale garante (auctor) del candidato. Tutti i soldati, battendo gli scudi contro le ginocchia con spaventoso fragore, mostrarono la loro approvazione. Giuliano era cosciente del significato dell'elezione, perché mentre sedeva sul cocchio imperiale per entrare alla reggia mormorò, citando l'adorato Omero: "La purpurea morte e un possente destino mi hanno afferrato". Il neo-cesare ricordava ancora, dopo tanti anni, il massacro dei suoi parenti ordinato proprio da chi ora gli sedeva al fianco; come lui stesso scrisse nelle sue memorie, sentiva ancora il sapore del fumo denso nella sua gola e l'odore dolciastro del sangue di cui era imbrattato prima che una mano pietosa lo sottraesse alla carneficina. Aveva meno di sei anni quando questa tragedia segnò per sempre la sua breve esistenza. Dopo aver celebrato il matrimonio con Elena, nubile e vicina ai trent'anni, il 1° dicembre la coppia fu spedita in fretta e furia nelle Gallie. C'è troppa insistenza da parte di tutti gli storici e in Giuliano stesso nel definire Eusebia "donna estremamente intelligente" e Costanzo succube delle sue decisioni per non riconoscerla come la principale stratega di questa operazione. Giuliano era l'ultimo discendente dei figli che il capostipite Costanzo Cloro ebbe da Teodora, mentre dei figli avuti da Elena rimanevano Costanzo II ed Elena, tutti senza figli: in attesa di rimanere incinta, Eusebia doveva eliminare i due diretti rivali. L'imperatrice, colpita dalla temibile sterilità, contava sulla professione di castità fatta da Giuliano e sulla precaria salute della cognata Elena. Purtroppo per lei le cose presero una piega completamente diversa. Eusebia non aveva calcolato che per un filosofo come Giuliano era ammesso il sacrificio di se stessi in nome dello Stato: Elena rimase incinta poco dopo il matrimonio. Ammiano Marcellino, che pure loda la bontà, la cultura e la bellezza di Eusebia, non tralascia di riportare i sospetti che caddero sull'imperatrice allorché Elena perse il primo figlio a Lutetia (Parigi) per un taglio eccessivo del cordone ombelicale. 

Nel 356 - Da QUINasce il primo figlio di Flavio Giuliano ed Elena, sorella minore di Costanzo, che è un maschio, ma la levatrice taglia il cordone ombelicale in modo da procurare un'emorragia al neonato. Secondo la normale procedura, il cordone ombelicale veniva reciso quattro dita sopra l'ombelico solo quando la levatrice si era accertata dell'integrità fisica del neonato, altrimenti, con l'approvazione del medico, sopprimeva l'infelice creaturina. In caso di errata valutazione, i due sanitari rispondevano con la propria vita. Le accuse contro la levatrice dovettero essere avanzate dai nemici di Eusebia, ma nessuno storico ci informa di misure punitive contro la levatrice e il medico e neppure Giuliano ne accenna nei suoi scritti.

Nel 357 - La federazione di tribù dei  Franchi  Salii, così chiamati perché abitavano la regione prossima al fiume Sala, l'odierno Ijssel, il più orientale dei tre rami principali in cui si divide il Reno prima di sfociare in mare, erano giunti, attraversando il Reno e la Mosa, ai territori delle valli della Mosa stessa e dello Schelda, la cui parte terminale aveva una notevole importanza strategico-commerciale essendo sulle rotte dirette in Britannia. Inizialmente i Franchi Salii avevano interferito con atti pirateschi sulle rotte di rifornimento dei romani finché nel 357 l'imperatore Giuliano, trovando le rotte del Reno sotto il loro controllo, ebbe degli scontri con loro, al termine dei quali li pacificò. Roma garantì ai Franchi una fetta considerevole della Gallia Belgica e divennero foederati dell'Impero romano, incaricati di difendere la frontiera del Reno contro Alani, Suebi e Vandali. La regione che i Franchi Salii ottennero corrisponde all'incirca alle odierne Fiandre e ai Paesi Bassi a sud del Reno e rimane ancora oggi una regione di lingua germanica (attualmente predomina l'olandese ed il fiammingo). I Franchi Salii divennero quindi, il primo popolo germanico a stabilirsi permanentemente all'interno del territorio romano, con il ruolo di foederati. Da quel territorio i Franchi conquistarono gradualmente gran parte della Gallia Romana a nord della Valle della Loira e ad est dell'Aquitania visigota. I Franchi Ripuarii si consolidarono sulla riva destra renana, da Colonia fino all'odierna Francoforte. A queste federazioni franche apparteneva probabilmente anche i Brutteri e i Sicambri (o Sigambri), che già avevano combattuto contro i Romani ai tempi di Giulio Cesare e Augusto e che avevano poi assegnato loro dei contingenti, come ausiliari, nell'esercito romano. Dal 26 gli storici romani non ne avevano più scritto, ma Fredegario, uno scrivano borgognone del VII/VIII sec., narra nella sua "Cronaca", che la storia dei Franchi Sicambri era iniziata dai tempi remoti degli antichi Patriarchi ebrei, citando numerose fonti d'informazione e di rimando, fra cui gli scritti di San Girolamo, l'arcivescovo Isidoro di Siviglia ed il vescovo Gregorio di Tours anch'egli autore di una "Storia dei Franchi". Per raggiungere tale precisione, Fredegario, che godeva di molta considerazione alla corte borgognona, approfittò della sua possibilità di accedere a svariati archivi ecclesiastici ed annali statali. Egli, dunque, racconta come i Franchi Sicambri, da cui prese nome la Francia, erano stati a loro volta chiamati così per via del loro capo  Francio  Francione, morto nel II secolo a.C.. La tribù, che era passata nella Scozia, affondava le sue radici nell'antica città di Troia. Tracce di questa discendenza si potrebbero trovare in alcuni nomi come quello della città di Troyes e perfino di Parigi che porterebbe il nome del principe Paride, figlio del re Priamo di Troia. Quella dei Merovingi, quindi, sarebbe stata una dinastia discendente in linea maschile dai "Re pescatori" che corrispondevano anche ad una linea di successione femminile sicambrica. I Sicambri, prendevano il loro nome da Cambra, una regina tribale vissuta intorno al 380 a.C., originaria della Scozia ed erano chiamati anche i "nuovi parenti". Potrebbe darsi che da tale Cambra avesse preso nome la città di  Cambrai. Lo storico Ammiano Marcellino riporta nelle sue cronache che la tribù dei Salii era composta da uomini forti e coraggiosi che si erano spinti sino alle fortificazioni sulla strada romana di Colonia e affermava inoltre che sia i Salii che i Ripuari avessero un proprio re. C'è chi ipotizza che i Romani li chiamassero Franchi nel senso di "i liberi", ovvero gli "affrancati", (dal latino francus = libero?) e il nuovo territorio Franconia, da cui deriveranno Francia e Germania.

- Da QUI: In occasione di una seconda gravidanza di Elena, sorella minore di Costanzo II, si mormorò che Eusebia avesse propinato alla cognata una pozione abortiva durante il viaggio ufficiale a Roma nell'aprile 357 per la celebrazione del ventennale di governo di Costanzo II. Giuliano non nominò quasi mai sua moglie, non le dedicò il minimo pensiero affettuoso e non ebbe mai parole di dolore per i figli che morivano. Elena, relegata a Lutetia, semplicemente non esisteva. Difficile farsi un ritratto di questa donna, che ha subìto una sorta di censura anche presso i contemporanei. Elena visse come un'invisibile. Già il fatto che a trent'anni fosse nubile costituisce un'eccezione anche nel panorama del primo cristianesimo. Non si era ancora fatta strada la possibilità per una donna di stirpe imperiale di consacrarsi alla Chiesa in piena castità, scelta ammessa invece per le patrizie. Tutto lascia intendere che soffrisse di disturbi che consigliavano per lei una vita ritirata. Non bisogna dimenticare che sua madre Fausta era stata giustiziata da suo padre Costantino, nel dubbio ingiustificato di un adulterio consumato con Crispo, figlio maggiore dell'imperatore e anche lui eliminato. Elena non aveva che un anno quando la tragedia si compì e fu condannata a vivere senza madre, col solo conforto della sorella Costantina di dieci anni maggiore. Eusebia era astuta: quando Elena seguì il fratello con la sua corte a Milano dovette conquistare la sua fiducia con affettuosa premura. Le insinuò gradualmente l'idea del matrimonio col cugino cercando di non urtare la sua suscettibilità. Ma è difficile credere in un affetto sincero e disinteressato quando uno storico contemporaneo si permette di riportare voci che lasciano trapelare, se non intenti omicidi, una palese rivalità. Un secondo aborto si verificò in occasione del viaggio da Parigi a Roma; Elena era rimasta subito nuovamente incinta e le sue precarie condizioni di salute avrebbero dovuto sconsigliare un viaggio così impegnativo. La conseguenza fu ovviamente catastrofica e nuovamente si puntò l'indice accusatore contro Eusebia. L'ultima gravidanza fu fatale a Elena, che morì senza che venisse registrato neppure il giorno esatto del decesso, fissato tra la fine del 360 e l'inizio del 361. Anche questa volta si favoleggiò di un intervento criminoso di Eusebia, che moriva negli stessi giorni

- Da QUI: La bella Eusebia era stata colpita dalla più terribile delle malattie per un'imperatrice, la sterilità. Per curarsi doveva utilizzare potenti e pericolose pozioni, preparate sotto stretto controllo medico, che avevano effetti emorragici. Fu così che morì. Il fatto che disponesse di tali filtri indusse i suoi detrattori ad accusarla di averli fatti assumere anche alla cognata Elena, che non ne aveva certo bisogno. Mai Giuliano darà segno di raccogliere queste accuse. Il montaggio delle trame contro Eusebia potrebbe essere opera del partito cattolico. L'imperatrice e suo marito Costanzo II erano cristiani ariani, mentre Elena era cattolica e Giuliano notoriamente pagano. Elena si prestava ad assumere le caratteristiche di una novella martire e la sua storia utilizzata nella propaganda contro gli ariani. L'imperatrice venne tumulata in un sarcofago di porfido, il marmo rosso degli imperatori, nel mausoleo vicino a S. Agnese sulla Nomentana. Il mosaico che una volta ricopriva le pareti della cupoletta sopra il sarcofago raffigurava la Gerusalemme celeste con due figurette, che ritraevano Elena e sua sorella Costantina. Eusebia si era indelebilmente macchiata di fronte ai cattolici dopo il grandioso concilio svoltosi da gennaio a maggio 355 nella basilica ecclesìa nova (S. Tecla), fatta appositamente costruire dall'imperatore. L'esito del concilio fu drammatico: il vescovo cattolico Dionigi fu esiliato e al suo posto la corte impose il cappadocio Aussenzio, di lingua greca e credo ariano. La sua ignoranza del latino suscitò l'ostilità dei milanesi e il suo insediamento dovette avvenire sotto scorta armata. Le gerarchie cattoliche lo definirono lapidariamente "faccendiere" per i suoi stretti rapporti con la corte e addossarono la colpa dell'esilio di Dionigi alla perfida Eusebia. Perché non attribuirle anche gli attentati contro Elena?

Nel 360 - Sapore (re dei Sasanidi; l'Impero sasanide, noto anche come secondo impero persiano per distinguerlo dal primo impero persiano, l'Impero achemenide, è stato l'ultimo impero persiano preislamico, governato dalla dinastia sasanide dal 224 d.C. al 651 d.C.. Ha rappresentato una delle potenze maggiori in Asia Occidentale insieme all'Impero romano/bizantino, nella tarda antichità. Nel corso del tempo, l'Impero giunse a comprendere interamente gli odierni Iran, Iraq, Afghanistan, Siria orientale, nel Caucaso Armenia, Georgia, Azerbaijan, e Dagestan, parte dell'Asia Centrale sudoccidentale, parte della Turchia oltre ad alcune regioni costiere della penisola arabica, la regione del golfo persico e alcune regioni del Pakistan occidentale. Il nome nativo dell'Impero sasanide in Persiano Medio è Eran Shahr che significa Impero ariano, dal sanscrito ariyà, cioè "signore". È noto che intrattenne rapporti pacifici con la dinastia Tang in Cina e con l’impero indiano, inoltre giocò un ruolo fondamentale nella formazione dell'arte medievale sia europea sia asiatica) prese le fortezze orientali di Singara e Bezabde; Costanzo II, obbligato a riprendere le ostilità con i Sasanidi, richiese al cesare Giuliano alcune sue truppe, anche allo scopo di assicurarsi che non potesse progettare l'usurpazione, ma le truppe galliche si ribellarono all'idea di essere mandate in oriente e proclamarono augusto Giuliano, figlio di Giulio Costanzo, che aveva dato valide prove di capacità militari difendendo la Gallia da vari tentativi d'invasione: fu l'inizio di una nuova guerra civile. Costanzo decise che la guerra contro i Sasanidi avesse la precedenza sulla ribellione di Giuliano, e nella primavera del 360 iniziò la propria campagna orientale, occupando Edessa e cercando di riprendere Bezabde; l'attacco però fallì e Costanzo decise di ritirarsi a svernare ad Antiochia di Siria.


- Nel 360 nell'ambito del cristianesimo, l'arianesimo stava soppiantando quasi del tutto il cattolicesimo  niceno di Paolo di Tarso. Sembra infatti che la la dinastia imperiale dei  Costanzi fosse di fede ariana, escludendo Giuliano. La stesura della Bibbia in gotico dell'ariano Ulfila, aveva fatto sì che una parte di Visigoti e Ostrogoti si convertisse a quella fede, abbandonando il paganesimo germanico. Longobardi, Alani, Vandali e Burgundi erano già tutti ariani. Nell'impero d'Occidente, sotto gli auspici dei Visigoti, l'arianesimo diverrà la forma di cristianesimo predominante in Spagna, nei Pirenei e in Occitania.

Nel 361 - Da QUICostanzo II aveva subìto il fascino e il potere di Eusebia, ma questo non gli impedì di risposarsi subito per garantirsi la discendenza, e la prescelta fu Faustina. Era il terzo matrimonio e fu celebrato ad Antiochia. A Costanzo non fu però concesso di conoscere chi lo avrebbe rappresentato fra i posteri, perché morì prima che la moglie desse alla luce, all'inizio del 362,  Flavia Costanza, detta quindi Postuma

- Ad Antiochia, all'inizio dell'anno 361, Costanzo II sposa la quattordicenne Faustina, sua terza moglie, quindi Eusebia doveva essere già morta nel 360, forse per una malattia all'utero o a causa di una medicina datale per curarne l'infertilità. Faustina (347 - dopo il 365) darà all'imperatore il tanto sospirato erede, Flavia Massima Faustina Costanza (futura moglie dell'imperatore Graziano), che però nacque dopo la morte del padre. Quando l'usurpatore  Procopio si rivolterà a Graziano nel 365, penserà di garantirsi la lealtà delle truppe tenendo in ostaggio Faustina e la figlia, che presenzieranno sia all'elevazione al trono di Procopio che agli inizi delle sue battaglie; probabilmente pensando di testimoniare così la sua appartenenza alla stirpe costantiniana. Nel 361 l'imperatore Costanzo II riprese inizialmente la campagna sasanide, muovendo su Edessa e da qui su Ierapoli, ma poi riprese la strada per Antiochia, muovendo contro a Giuliano, che col suo esercito stava procedendo verso oriente. Lo scontro fratricida tra gli ultimi due membri della dinastia costantiniana però non avvenne; partito da Tarso in autunno, il 3 novembre, Costanzo II morì per una  febbre mentre si trovava ancora in Asia, a Mopsucrenae. Il senato di Roma, con un atto di consecratio, lo divinizzò. Costanzo aveva 44 anni e ne regnava da 24.

- L'eunuco Eusebio, praepositus di Costantino I nel 337 e nello stesso anno passato al servizio del figlio Costanzo II, difese l'arianesimo di cui era appassionato seguace con ogni mezzo riuscendo a far convertire molti dei suoi dipendenti cubicularii e persino l'imperatrice Eusebia. Inviato da Costanzo come ambasciatore per trattare la riconciliazione con papa Liberio fu poi presente all'incontro tra l'imperatore e il papa. Entrato in contrasto con Costanzo Gallo, (325–354 d.C.) cesare d'Oriente e cugino di Costanzo, riuscì a influenzare il giudizio dell'imperatore fino a farlo condannare a morte come traditore, riuscendo così ad incamerare tutti i suoi beni confiscati divenendo così ricchissimo e sempre più influente nel governo sino a quando Giuliano, cesare d’Occidente e fratellastro di Costanzo Gallo, nel 360 d.C. fu acclamato "augusto" dall'esercito. L’imperatore Costanzo si mosse contro Giuliano, ma morì l’anno dopo così che divenne imperatore Giuliano detto l'Apostata (331-363 d.C.) che istituì uno speciale tribunale per giudicare i funzionari corrotti ed Eusebio riconosciuto autore delle false accuse contro Gallo fu condannato a morte nel 361 d.C..

Nel 362 - Da QUI: Nasce Flavia Costanza, figlia di Faustina e del defunto Costanzo II, detta quindi  Postuma. La sorte di questa piccina pare essere segnata sin dall'infanzia. Orfana di tanto padre, venne strumentalizzata dall'usurpatore Procopio nel 365 per garantirsi il favore dei soldati fedeli alla memoria di Costanzo. Procopio era parente di Basilina, moglie di Giulio Costanzo e madre di Giuliano, e questa parentela con la famiglia regnante lo autorizzava a proclamarsi difensore della discendente imperiale: portava in giro per gli accampamenti su una lettiga la vedova Faustina e la piccina come degli ostaggi. Procopio venne ucciso dall'imperatore Valente, fratello di Valentiniano I, e di Faustina non abbiamo altre notizie; la figlia Costanza  venne giocata come pedina dinastica per sancire la continuità tra la discendenza di Costantino e quella del nuovo imperatore Valentiniano I, che nel 374 le imporrà il suo mite figlio Graziano che era stanziato a Treviri, nel nord delle Gallie, l'attuale Trier; nel Land tedesco Renania Palatinato, sul fiume Mosella a circa 15 km dal confine con il Lussemburgo. Ma il viaggio per raggiungere lo sposo a Treviri non fu senza incidenti: “mentre pranzava in una pubblica villa chiamata Pristensis, poco mancò che fosse fatta prigioniera dai Quadi, se per la protezione di una divinità propizia non si fosse trovato sul luogo il governatore della provincia pannonica Messalla, che la fece salire su una carrozza del servizio postale e la ricondusse di gran carriera a Sirmio, lontana da lì ventisei miglia. Così per questo caso fortunato fu sottratta al rischio di una miseranda schiavitù la regale fanciulla, la cui cattura, se non se ne fosse ottenuto il riscatto, avrebbe inferto una grave iattura allo stato romano”. La vita risparmiatale in questa occasione non fu peraltro né lunga né felice. Dopo aver messo al mondo nel 379 un maschietto, del quale si ignora persino il nome, Costanza morì nel 383 e il 12 settembre dello stesso anno la sua salma fu trasferita nel mausoleo imperiale di Costantinopoli.

- Costanza era la figlia che l'imperatore della dinastia costantiniana Costanzo II aveva avuto dalla terza moglie Faustina, nata dopo la propria morte e fu l'unica sua discendente. Faustina era stata introdotta a corte dall'eunuco Eutropio in un momento di grave difficoltà per Costanzo II, allora privo di figli e probabilmente sterile, considerati i suoi precedenti matrimoni. Non è da escludersi che la determinazione degli eunuchi di vederlo padre, per assicurare a lui, non meno che a se stessi, la continuità dell'imperio, li avesse spinti a dei sotterfugi per rendere gravida Faustina. In seguito Giuliano, ribellatosi a Costanzo e a questi succeduto, permise che moglie e figlia del defunto imperatore rimanessero indisturbate a corte negli anni successivi. Da quando l'usurpatore Procopio si era ribellato nel 365 all'imperatore Graziano, utilizzava Costanza e la madre Faustina per convincere delle truppe di passaggio a disertare in suo favore; la sua strategia era quella di contrapporre al legittimo imperatore Valente le proprie pretese dinastiche, in quanto membro della dinastia costantiniana (sua madre era sorella di Basilina, madre dell'imperatore Giuliano), e il supporto della moglie di Costanzo gli fu prezioso. Si racconta che nel corso di una invasione di Quadi e Iazigi nel 374, poco mancò che Costanza fosse catturata dai barbari inferociti, riuscendo invece a rifugiarsi a Sirmio. E sempre intorno al 374, Costanza sposò l'imperatore  Graziano, collegando così la dinastia di Costantino I a quella di Valentiniano I. Si avrà notizia dell'arrivo delle sue spoglie a Costantinopoli nell'agosto del 383


La campagne di Persia del 363
dell'imperatore Giuliano.
Nel 363 - L'imperatore Giuliano (Flavio Claudio Giuliano; 6 novembre 331- Maranga, 26 giugno 363), succeduto a Costanzo II e ricordato come l'apostata, poiché da filosofo quale era, aveva rinnegato il cristianesimo (era stato battezzato da bambino e non per volontà sua), inizia la campagna contro la Persia, in cui troverà la morte. Flavio Claudio Giuliano, figlio di Giulio Costanzo (fratello, da parte del padre Costanzo Cloro, di Costantino I) e della sua seconda moglie Basilina (che apparteneva a una nobile famiglia di latifondisti della Bitinia; morì qualche mese dopo la sua nascita), è stato l'ultimo imperatore dichiaratamente pagano. Tentò, senza successo, di riformare e di restaurare la religione romana vista la sua decadenza di fronte alla diffusione del cristianesimo. 
Moneta in bronzo con l'effige
di Giuliano, di Classical
Numismatic Group, Inc. QUI,
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Membro della dinastia costantiniana (che si affermava fosse discesa da Claudio il Gotico e dai Flavi), fu Cesare in Gallia dal 355 e un pronunciamento militare nel 361 seguito dalla morte del cugino Costanzo II, lo resero imperatore fino alla morte, avvenuta nel 363 durante la campagna militare in Persia. Per distinguerlo da Didio Giuliano o da Giuliano di Pannonia, usurpatore dell'imperatore romano Carino nel 283-285 o di Massimiano nel 286, fu chiamato anche Giuliano II, Giuliano Augusto, Giuliano il Filosofo o Giuliano l'Apostata dai cristiani, che lo presentarono come un persecutore ma, per quanto personalmente avverso al cristianesimo, non ci furono comunque mai persecuzioni anticristiane (anche se vennero emanate dall'imperatore politiche discriminatorie contro i cristiani). Giuliano manifestò tolleranza nei confronti delle altre religioni, compreso l'ebraismo, al punto da ordinare la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme secondo un programma di ripristino e rafforzamento dei culti religiosi locali; il tentativo di ricostruzione però venne abbandonato. In campo fiscale e amministrativo Giuliano aveva proseguito la politica che aveva tenuto quando governava la Gallia. Ridusse il carico fiscale, combatté la corruzione burocratica attraverso una più attenta selezione e cercò di ridare un ruolo all'amministrazione delle città. Con la morte di Giuliano si estinse la dinastia degli imperatori costantiniani e si concluse l'ultimo tentativo di espansione imperiale in Oriente. Giuliano scrisse numerose opere di carattere filosofico, religioso, polemico e celebrativo, in molte delle quali criticò il cristianesimo. La sua ispirazione filosofica era in gran parte neoplatonica.

- Flavio Claudio Gioviano (Singidunum, 331 - Dadastana, 17 febbraio 364) è imperatore romano dal giugno 363 alla sua morte, avvenuta dopo otto mesi. Figlio del comes domesticorum Varroniano, Gioviano divenne comandante dei protectores domestici (primicerius) dell'esercito di Giuliano, dopo le dimissioni del padre. Il 26 giugno 363, l'imperatore Giuliano era rimasto ucciso in seguito alle ferite riportate in una battaglia contro i Sasanidi e Gioviano, che "godeva di una modesta fama per i meriti paterni", venne eletto (avventatamente a parere di Ammiano Marcellino) imperatore da un consiglio di comandanti dell'esercito e delle legioni, dopo che la scelta su Salustio, prefetto del pretorio d'Oriente, di maggiore esperienza, era stata rifiutata dallo stesso che adduceva motivi di salute e vecchiaia. Una volta ottenuto il potere, Gioviano, consapevole della sua inesperienza militare, concluse con l'impero persiano una pace svantaggiosa per Roma, abbandonando i territori che Galerio aveva conquistato in Mesopotamia nel 297, comprese le fortezze di Singara e Nisibi (più altri 15 castelli), e lasciando di fatto l'Armenia sotto il controllo dell'Impero persiano, che poté così insediarvi un sovrano vassallo. Tale scelta fu aspramente criticata dallo storico del tempo Ammiano Marcellino che definì tale accordo "vergognosissimo" e "ignobile", a cui sarebbe stato preferibile "affrontare dieci battaglie". «Tu, Fortuna del mondo romano, sei giustamente accusata a questo proposito, poiché fra l'imperversare delle catastrofi che annientavano a raffiche lo stato, ne hai consegnato le redini, strappate di mano ad una guida esperta [Giuliano] ad un giovane immaturo, che noto per non essersi mai distinto nella sua vita precedente in quest'ambito, non è giusto né biasimare né lodare.» (Ammiano Marcellino, Rerum gestarum libri, XXV, 9, 7). Gioviano abrogò inoltre i decreti del suo predecessore contrari alla chiesa cristiana (era egli stesso un cristiano), pur mantenendo una politica di tolleranza verso tutte le religioni, attirandosi l'odio e il sospetto dello stesso Ammiano (pagano, noto per l'appoggio dato a Giuliano), che questi definisce un debole, succube del Cristianesimo e incapace politicamente (a motivo della sua età giovane e della mancanza di esperienza). Gioviano morì il 17 febbraio 364, dopo soli otto mesi di regno, probabilmente avvelenato casualmente dalle esalazioni di un braciere che teneva nella sua stanza a Dadastana in Bitinia, mentre tornava con l'esercito dalla disastrosa spedizione militare contro l'Impero persiano; tra l'altro Ammiano Marcellino riporta che l'opinione prevalente era che l'imperatore fosse morto per indigestione.

- Da QUI: Alla morte di Costanzo II, l'impero era passato al cugino Giuliano, trafitto a morte nel 363 da una lancia, che non si seppe mai da quale esercito fosse stata scagliata. Gioviano, il protector domesticus (ufficiale delle guardie palatine) che aveva accompagnato la salma di Costanzo II a Costantinopoli, assunse le redini dello Stato. Suo suocero Lucilliano, ritiratosi dalla carriera militare a Sirmio, venne inviato a Milano come magister equitum et peditum (comandante supremo della cavalleria e fanteria) per porre rimedio alla situazione incerta creatasi dopo la morte di Giuliano. Lucilliano doveva portare con sé persone fidate e la scelta cadde su Seniauco e Valentiniano. La reazione milanese alla notizia della morte di Giuliano fu talmente violenta che solo Valentiniano scampò all'eccidio che ne era seguito. Poi, per un improvviso colpo di fortuna, colui che poco prima aveva temuto per la vita si vide innalzare al comando dello Stato quando Gioviano morì il 17 febbraio 364. Valentiniano I aveva allora quarantatré anni, con un fisico atletico, splendido colore di capelli, occhi azzurri dallo sguardo obliquo e inquietante, statura elevata e tratti armoniosi. Era originario della Pannonia, pagano appena convertito al cristianesimo (indifferente alla distinzione fra cattolici e ariani); Ammiano lo descrive come scrittore dignitoso, di eloquio vivace ed incisivo, pittore e scultore piacevole, inventore di nuove armi, amante dell'eleganza; per controparte aveva un pessimo carattere: autoritario fino alla crudeltà per esigere disciplina e obbedienza, con eccessi di collera incomprensibili per l'educazione classica romana, implacabile e sommario nell'emettere sentenze e affrettare giudizi. Come sede della sua corte aveva inizialmente scelto Milano, dove soggiornò dal novembre  364 alla fine del 365, poi si spostò a Lutetia per dirigere le campagne contro gli Alamanni. I frequenti e micidiali attacchi di febbre cui andava soggetto gli consigliarono di associare alla guida dell'impero, già dal 367, il figlio Graziano di soli otto anni, onde garantire la continuità dinastica  in caso di peggioramento delle sue condizioni. Nel discorso che Valentiniano pronuncia nella cerimonia c'è già il ritratto del futuro sfortunato imperatore: "Non è stato educato come noi sin dalla culla a un'inflessibile disciplina, né è maturato nel sostenere le difficoltà... (ma) poiché è stato educato negli studi letterari e nelle discipline che allenano l'intelligenza, esaminerà con retto giudizio il valore delle azioni buone e malvagie; farà in modo che gli onesti sappiano di essere compresi..." (Am. Mar. XXVII 6, 8-9). Poi la corte di spostò a Treviri, e qui entrò in scena Giustina


Solidus di Valentiniano I (Cibalae,
Vinkovci in Croazia, 3/07/321 -
Brigetio, 17/11/375). Cristiano,
abbandonò il paganesimo di
Giuliano l'Apostata. Di Siren-Com
-Opera propria, CC BY-SA 3.0: QUI.
Nel 364 - Dopo la morte di Gioviano, dopo soli otto mesi di regno, il 23 febbraio l'esercito e la corte eleggono imperatore Flavius Valentinianus o Valentiniano I, figlio di Graziano il Vecchio, un prominente ufficiale di origine pannonica dell'esercito romano con gli imperatori Costantino I e Costante I. Poco dopo la sua elezione, Valentiniano I affida le province orientali al fratello minore Valente e poco dopo associa al potere della parte occidentale anche il figlio avuto dalla sua prima moglie, Graziano. Valentiniano, Valente e Graziano erano cristiani, quindi abbandonarono la politica di Giuliano in campo religioso, mentre sul piano militare, amministrativo e fiscale, i Valentiniani seguirono invece la linea del predecessore. Grazie a una nuova politica monetaria, che favoriva lo scambio fra monete d'oro, d'argento e di bronzo, riuscirono a frenare l'inflazione galoppante ma dovettero affrontare l'emergenza dei barbari che premevano sui confini della Germania con la costruzione di un poderoso limes che andava dal Mare del Nord, in corrispondenza della foce del Reno, alle Alpi Retiche. Valentiniano, come e ancor più dei suoi predecessori, fece frequente ricorso al reclutamento di mercenari nell'esercito, con il conseguente accesso alle magistrature civili e militari di molti Germani e la graduale "barbarizzazione" dei quadri dell'amministrazione, della burocrazia e dell'esercito.

Solidus di Flavio Giulio Valente
 (Cibalae, Vinkovci città della Croazia,
 328 - Adrianopoli, 9 agosto 378),
imperatore d'Oriente, da: QUI.
- I Tervingi (dal 395 chiamati Visigoti) condotti da Atanarico, pur essendone alleati, entrano in conflitto con l'Impero Romano per appoggiare l'usurpazione di Procopio contro l'imperatore d'Oriente Valente, pianificando una rivolta. Definito "l'ultimo vero  romano", Valente non riuscì a ben governare, tanto da pensare di abdicare e poi suicidarsi a causa di Procopio, che gli si era ribellato autonominandosi imperatore.

Nel 365 - A Costantinopoli, l'usurpatore Procopio è incoronato imperatore. Procopio (Cilicia, 326 - 27 maggio 366), membro della dinastia costantiniana è stato usurpatore dell'imperatore romano Valente dal 365 alla propria morte. Nativo della Cilicia, sua madre era sorella di Basilina, madre dell'imperatore Giuliano, di cui era quindi cugino. Nel 358 Procopio aveva fatto parte dell'ambasciata condotta da Lucilliano per volere di Costanzo II presso i Sasanidi e in quel periodo era tribunus e notarius. Aveva preso parte alla campagna contro i Sasanidi del cugino nel 363: giunto a Carre, Giuliano aveva affidato parte dell'esercito a Procopio e Sebastiano con il compito di guidarli verso l'Armenia, unirsi al re Arsace e ricongiungersi con lui in Assiria. In tale occasione, l'imperatore aveva concesso al cugino di vestire la veste imperiale, per ragioni rimaste oscure. Giuliano era morto prima del suo ritorno e quando Procopio arrivò a Tilsafata, tra Nisibi e Singara, l'esercito aveva già scelto Gioviano come nuovo augusto. Secondo Zosimo, Procopio si spogliò della veste imperiale e gli chiese di congedarsi dall'esercito per potersi dedicare all'agricoltura e all'amministrazione dei propri beni e si recò quindi con tutta la famiglia (moglie e figli) a Cesarea di Cappadocia, dove aveva una proprietà. Secondo Ammiano Marcellino, Procopio si nascose nelle campagne di Calcedonia per timore di Gioviano e da questa città si recava nella vicina Costantinopoli in segreto; altre versioni lo vogliono a supervisionare il trasporto del corpo di Giuliano a Tarso e il conseguente funerale, per poi nascondersi a Cesarea e riemergere a Calcedonia, di fronte alla casa del senatore Strategio, affamato e ignorante degli eventi intercorsi. In ogni caso, Procopio era considerato da molti il legittimo successore al trono di Giuliano, vista la sua appartenenza alla dinastia costantiniana. Quando Valente lasciò Costantinopoli (nell'inverno del 365/366) con l'aiuto dell'eunuco Eugenio, Procopio corruppe due legioni, armò schiavi e volontari e prese la capitale, senza spargimento di sangue, tra la sorpresa degli abitanti, che lo sostennero in odio al patricius Petronio, suocero dell'imperatore Valente e probabilmente grazie ad una cospirazione di corte. Il 28 settembre 365Procopio fu incoronato imperatore dal senato di Costantinopoli e penserà di garantirsi la lealtà delle truppe esponendo Faustina (terza moglie di Costante II) e la figlia Costanza, che presenzieranno sia alla sua all'elevazione che agli inizi delle sue battaglie; probabilmente Procopio  pensava così di testimoniare la sua appartenenza alla stirpe costantiniana. Valente rispose muovendosi verso la Galazia mentre suo fratello Valentiniano I, impegnato in una campagna contro i Germani, non poté aiutarlo. Procopio mise dei propri uomini ai posti di comando e per rafforzarsi ulteriormente, inviò un messaggio al re dei Goti, forse Atanarico, ricordandogli l'impegno preso con la famiglia di Costanzo. Avendo come ostaggi la moglie e la figlia di Costanzo II, Faustina e Costanza, riuscì a convincere alcune truppe di passaggio per Costantinopoli e dirette in Tracia ad unirsi a lui. Gli andò invece male il tentativo di portare dalla sua parte le truppe dell'Illiria, nonostante la distribuzione di monete recanti la sua effigie. Dopo un felice primo scontro contro le truppe di Valente a Mygdos, le forze di Procopio resistettero a quelle di Valente a Nicea, Calcedonia ed Elenopoli (Drepano, in Asia Minore) fino ad abbandonare la Bitinia per fuggire ad Ancyra, da dove Valente coordinò le azioni militari che gli permisero di mantenere la posizione. Procopio, nell'inverno del 365/366 raccolse denaro e truppe progettando una campagna per la primavera seguente. Nel frattempo però, perdeva l'appoggio di un ex generale di Costanzo, Flavio Arbizione, che passando dalla parte di Valente gli diede una ragione da far valere presso i soldati per ribadire i suoi diritti dinastici. Alcune truppe di Procopio lo abbandonarono prima dello scontro principale fra i due rivali che mossisi incontro si mancarono, con l'esercito di Procopio arrivato in Frigia e quello di Valente in Lidia: fu questi a tornare indietro e a ingaggiare la decisiva Battaglia di Tiatira. L'esercito di Procopio fu sconfitto e decisivo fu il tradimento del suo generale Gomoario. Una successiva sconfitta fu causata dal tradimento del generale Agilone. Senza più speranze, Procopio fuggì accompagnato da due collaboratori ma fu tradito anche da costoro e consegnato alle truppe di Valente, che lo uccisero il 27 maggio 366. Alcune fonti lo danno decapitato all'istante, insieme ai traditori che lo accompagnavano, altre affermano che Valente lo fece legare a degli alberi legati fra loro che, rilasciati, lo squartarono.

Damaso, mosaico
in S. Paolo fuori le
mura, a Roma.
Nel 366 - Dopo furiosi scontri costati 137 morti fra due fazioni cristiane,  Damaso I è l'unico vescovo (quindi papa) di Roma. Damaso I (Roma o Guimarães, 305 ca. - Roma, 11 dicembre 384) fu il 37º papa della Chiesa cattolica, che lo venera come santo. Fu papa dal 1º ottobre 366 alla sua morte. Figlio dell'iberico Antonio (prete aggregato alla chiesa di San Lorenzo) e di una certa Laurentia, si è ritenuto per molto tempo che fosse nato nell'attuale Portogallo, ma ricerche storiche più recenti sembrano indicare che egli possa essere nato a Roma; di certo crebbe a Roma al servizio della chiesa di San Lorenzo martire. Morto papa Liberio il 24 settembre 366, il clero romano si divise in due fazioni: una, favorevole alla politica del defunto antipapa Felice II, del tutto contraria ad ogni accordo con i sostenitori delle teorie ariane (nonostante Felice II fosse ariano), e l'altra, maggioritaria, più conciliante e favorevole ad accordi e compromessi. In due distinte e contemporanee elezioni, i primi, riuniti nella basilica di Santa Maria in Trastevere, elessero e consacrarono frettolosamente papa il diacono Ursino, mentre i secondi, nella basilica di San Lorenzo in Lucina, scelsero Damaso, che fu consacrato nella basilica di San Giovanni in Laterano il 1º ottobre 366. Molti dettagli degli avvenimenti che seguirono a questa elezione vennero narrati nel Libellus Precum, una petizione all'autorità civile da parte di Faustino e Marcellino, due presbiteri della fazione di Ursino, e dallo storico pagano Ammiano Marcellino che così narrava: « L'ardore di Damaso e Ursino per occupare la sede vescovile superava qualsiasi ambizione umana. Finirono per affrontarsi come due partiti politici, arrivando allo scontro armato, con morti e feriti; il prefetto, non essendo in grado di impedire i disordini, preferì non intervenire. Ebbe la meglio Damaso, dopo molti scontri; nella basilica di Sicinnio, dove i cristiani erano riuniti, si contarono 137 morti e dovette passare molto tempo prima che si calmassero gli animi. Non c'è da stupirsi, se si considera lo splendore della città di Roma, che un premio tanto ambito accendesse l'ambizione di uomini maliziosi, determinando lotte feroci e ostinate. Infatti, una volta raggiunto quel posto, si gode in santa pace una fortuna garantita dalle donazioni delle matrone, si va in giro su di un cocchio elegantemente vestiti e si partecipa a banchetti con un lusso superiore a quello imperiale. ». Il prefetto di Roma, di cui parlava Ammiano Marcellino, era un tale Vivenzio Scisciano che attese che si concludessero i disordini per prendere posizione nella contesa: una volta accertata la vittoria del partito di Damaso, esiliò da Roma Ursino. Ma i suoi seguaci non vollero accettare la sconfitta e si rifugiarono nella basilica di Santa Maria Maggiore che i damasiani il 26 ottobre assalirono: si accese una vera e propria battaglia, con le conseguenze citate da Ammiano Marcellino. Riammesso l'anno seguente a Roma, Ursino cercò nuovamente di prendere il posto di Damaso, dando vita ad altri disordini e ricavandone un nuovo esilio per decreto dell'imperatore Valentiniano I. Dalla Gallia prima e da Milano successivamente, tramite un ebreo di nome Isacco, nel 370 fece accusare Damaso di gravi delitti. Fu celebrato un processo che nel 372 assolse il vescovo di Roma, e Ursino, per decreto del nuovo imperatore Graziano, fu definitivamente esiliato a Colonia. Questi contrasti si rifletterono non solo sulla reputazione di Damaso ma anche su quella della Chiesa romana. Molti, sia nella società pagana che in quella cristiana, videro in Damaso un uomo le cui ambizioni terrene erano superiori alle preoccupazioni pastorali. Damaso amava infatti il fasto e gli spettacoli. e non esitava a commissionare grandi opere. Sotto il suo pontificato la residenza papale assunse un aspetto principesco. In un periodo in cui le grandi famiglie di senatori e di benestanti coprivano di doni gli ecclesiastici, la Chiesa iniziò ad accumulare ricchezze e non pochi accusarono i sacerdoti di essere mossi solo da ragioni economiche. In tal senso, un decreto imperiale del 370 proibì agli ecclesiastici di far visita a vedove ed ereditiere per evitare che le inducessero a fare donazioni alla Chiesa. Nel 378, alla corte imperiale sarà mossa contro Damaso anche un'accusa di adulterio, dalla quale sarà scagionato prima dall'Imperatore Graziano e poco dopo da un sinodo romano di quarantaquattro vescovi, che scomunicherà per giunta i suoi accusatori.

Nel 367 - L'imperatore romano Valente attacca i goti Tervingi a nord del Danubio ma non riuscirà a combattere direttamente contro di loro, apparentemente a causa del fatto che i Goti si erano ritirati sui Montes Serrorum (probabilmente i Carpazi). Secondo Ammiano Marcellino, Valente non trovò nessuno con cui combattere (nullum inveniret quem superare poterat vel terrere) e questo proverebbe che fuggirono terrorizzati sulle montagne (omnes formidine perciti... montes petivere Serrorum). Nell'anno seguente l'inondazione del Danubio impedì ai romani di attraversarlo. Nel 369 Valente penetrò profondamente in territorio gotico, vincendo una serie di schermaglie con i Grutungi (e forse anche con i Tervingi). Il tutto si concluse però con un trattato di pace.


Nel 368 - Gli Alemanni travolgono Mogontiacum (Magonza, l'attuale Mainz) e costringono l'imperatore Valentiniano I ad accorrere, insieme al figlio ed augusto Graziano. I due imperatori passano il Reno e si spingono fino al fiume Neckar, dove ottengono un'importante vittoria sulle genti germaniche nei pressi di Solcinium. A Treviri però, a Valentiniano giunge notizia che la Britannia è stata devastata da PittiAttacotti e Scoti, i quali avevano ucciso i generali Nettarido e Fullofaude. Valentiniano invia quindi in Britannia delle truppe al comando prima di Severo, poi di Giovino e Protervuide ma, di fronte agli insuccessi subiti, decide di inviare nell'isola il valoroso comes (Conte) Flavio Teodosio (il Vecchio, padre di Teodosio I) che, sbarcato in Britannia,  riuscìrà a porre fine alle incursioni annientando gli invasori e ripristinando la pace. Vinti gli incursori, ripristinata la pace, Teodosio riuscì persino a recuperare alcuni territori persi in precedenza, costituendo una nuova provincia romana che prese il nome di Valentia in onore di Valentiniano I. Il futuro usurpatore Magno Massimo combattè con Teodosio il Vecchio nella campagna in Britannia, distinguendosi per le sue qualità militari contro i Pitti.

Dobrugia, da https://it.wikipedia.
org/wiki/Regioni_storiche_del
la_penisola_balcanica#/media/
File:Hist-balkans-it.svg
Nel 369 - Mentre i suoi generali si spingevano nei territori dei Goti a nord, l'imperatore romano d'oriente Valente, per  domare la rivolta degli ex alleati goti Tervingi (poi chiamati  Visigoti), di cui era re Atanarico, decide di passare il Danubio in Dobrugia (regione situata tra il Danubio e il Mar Nero), nei pressi di Noviodunum, avendone ragione. Atanarico, pur essendo stato sconfitto, riuscì a negoziare una pace favorevole grazie al fatto che si era ritirato sui Carpazi, fuori dall'impero e furono così solamente sospesi i precedenti accordi conclusi con Costantino nel 332, basati sui sussidi (o tributi) offerti dai Romani in cambio di contingenti mercenari, stabilità nella regione e scambi commerciali. I goti Tervingi (poi chiamati  Visigoti) che erano pagani della tradizione mitologica scandinava, che erano la maggioranza, riconoscevano come loro capo Atanarico, mentre la parte che si era convertita al Cristianesimo di credo ariano, promosso da Ulfila, faceva capo a Fritigerno, per cui i goti Tervingi (poi chiamati Visigoti) facevano capo ai due condottieri in base al loro culto. Lo stesso vescovo Ulfila aveva intrapreso la messa per iscritto della Bibbia, che divenne così il primo testo in lingua gotica e la più estesa testimonianza delle lingue germaniche antiche. Valente decise infine di fermarsi nella Dobrugia, per migliorare le fortificazioni lungo il tratto del basso corso danubiano.

Da QUI: La cristiana di fede ariana Giustina, che aveva solo dodici anni quando il padre Giusto, governatore del Piceno, l'aveva consegnata nel 352 al cinquantenne usurpatore Magno Magnenzio,  ricompare come signora dei palazzi imperiali di Treviri nel 369, quando diventa la legittima consorte  dell'imperatore Valentiniano I. E' la seconda volta che assurge al vertice del potere sposando un generale, lei che era verosimilmente appartenente alla dinastia costantiniana, probabilmente tramite sua madre che  potrebbe essere stata o figlia di Crispo, il primogenito di Costantino I (anche se identità e destino del figlio di Crispo ed Elena non sono noti; è stato proposto comunque che fosse una femmina e che fosse la madre dell'imperatrice Giustina da Harlow e altri) o di Giulio Costanzo (fratellastro di Costantino). È noto che Giustina avesse due fratelli, Costanziano e Cereale, entrambi ufficiali sotto Valentiniano I. L'unione aveva fatto scandalo, perché Valentiniano era ancora sposato con Marina Severa, che ripudiò in favore di questa avvenente ventenne, tradizionalmente legata al suo stesso partito politico. La storia della Chiesa non ha potuto accettare che il padre del mite e cattolico Graziano fosse stato bigamo ed ha quindi elaborato la leggenda che Giustina, essendo rimasta orfana e vedova a tredici anni, avesse fatto l'ancella di Marina Severa. L'imperatrice, colpita dalla perfezione del suo corpo, ne avrebbe parlato in maniera entusiasta al marito, che avrebbe promulgato una legge per ammettere il concubinato per gli imperatori (Paredi, p. 147). Secondo alcune fonti Giustina divenne la concubina di Valentiniano I nel 363 e ne suggestionò le decisioni a favore del vescovo ariano Aussenzio nel 364. Secondo altri l'unione ebbe luogo nel 369 a Treviri. Giustina (probabilmente 340 - 388) è stata un'imperatrice romana, seconda moglie dell'imperatore romano Valentiniano I e la madre del futuro imperatore Valentiniano II, oltre che di Galla, Grata e Giusta. Era la figlia di Giusto, governatore di Picenum sotto Costanzo II, che l'imperatore aveva fatto uccidere in quanto, come racconta Socrate Scolastico, il governatore fece un sogno che l'imperatore interpretò come un presagio di rivolta. 

Nel 371 - Nasce Valentiniano II, uno dei figli che l'imperatore Valentiniano I aveva avuto dalla sua seconda moglie, la cristiana ariana Giustina, insieme alle sorelle Galla, Grata e Giusta. Era il secondo figlio maschio di Valentiniano, che aveva già avuto Graziano da un precedente matrimonio.

Nel 374 - Sappiamo che avvenne l'uccisione a tradimento, dopo un banchetto, del capo dei suebi Quadi, Gabinio, da parte del prefetto del pretorio delle Gallie, Massimino, che rese furiosi non solo i Quadi, ma molte altre popolazioni a loro vicine (come gli Iazigi ed i Vandali), che insieme inviarono squadre di saccheggiatori a sud del Danubio in territorio romano. Furono così senza alcun preavviso assaliti i contadini impegnati nel raccolto delle messi, molti dei quali furono sterminati mentre altri furono fatti prigionieri e condotti con molti animali di ogni tipo nei loro territori. Poco mancò che anche la stessa figlia dell'imperatore Costanzo II, Flavia Massima Faustina Costanza, venisse catturata dai barbari inferociti, riuscendo invece a rifugiarsi a Sirmio.

Ambrogio di Milano.
- Il 7 dicembre 374 Ambrogio è nominato vescovo di Milano. Aurelio Ambrogio, meglio conosciuto come sant'Ambrogio (Treviri, 339/340 - Milano, 397) è stato un vescovo, scrittore e santo romano, una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo. È venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, la Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa d'Occidente, insieme a san Girolamo, sant'Agostino e san Gregorio I papa. Conosciuto anche come Ambrogio di Treviri, città in cui era nato e in cui il padre esercitava la carica di prefetto del pretorio delle Gallie, intorno al 339 circa, proveniva da un'illustre famiglia romana di rango senatoriale, la gens Aurelia, cui la famiglia materna apparteneva inoltre al ramo dei Simmaci. La famiglia di Ambrogio, a cui apparteneva Santa Sotere, martire cristiana, Marcellina e Satiro di Milano, risultava convertita al cristianesimo già da alcune generazioni. Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua prematura morte frequentò le migliori scuole di Roma, dove compì i tradizionali studi del trivium e del quadrivium (imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica), partecipando poi attivamente alla vita pubblica dell'Urbe. Dopo cinque anni di avvocatura esercitati presso Sirmio (l'odierna Sremska Mitrovica, in Serbia), nella Pannonia Inferiore, nel 370 fu incaricato quale governatore dell'Italia Annonaria per la provincia romana Aemilia et Liguria, con sede a Milano, dove divenne una figura di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I. La sua abilità di funzionario nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra ariani e cattolici gli era valso un largo apprezzamento da parte dei cattolici e tutta la sua opera finì per far primeggiare il cattolicesimo sull'arianesimo, grazie alla sua influenza sugli imperatori, in particolare Graziano e Teodosio. Nel 374, alla morte del vescovo ariano Aussenzio di Milano, il delicato equilibrio tra le due fazioni sembrò precipitare. Il biografo Paolino racconta che Ambrogio, preoccupato di sedare il popolo in rivolta per la designazione del nuovo vescovo, si recò in chiesa, dove all'improvviso si sarebbe sentita la voce di un bambino urlare «Ambrogio vescovo!», a cui si unì quella unanime della folla radunata nella chiesa. I milanesi volevano un cattolico come nuovo vescovo. Ambrogio però rifiutò decisamente l'incarico, sentendosi impreparato: come era in uso presso alcune famiglie cristiane all'epoca, egli non aveva ancora ricevuto il battesimo, né aveva affrontato studi di teologia. Ma alla fine accettò l'incarico, considerando che fosse questa la volontà di Dio nei suoi confronti e decise di farsi battezzare: nel giro di sette giorni ricevette il battesimo nel battistero di Santo Stefano alle Fonti a Milano e venne ordinato vescovo. Conosciuto comunemente come Ambrogio di Milano, la città di cui assieme a san Carlo Borromeo e san Galdino è patrono e della quale è stato vescovo dal 374 fino alla morte, le sue spoglie sono conservate a Milano, nella basilica a lui dedicata. 


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