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martedì 22 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.13: dal 1.200 al 1.150 p.e.v. (a.C.)

Dal 1.200 a.C. - Si sviluppa in Europa un'Età del Ferro i cui maggiori centri sono Halstatt, Huttenberg e Cnosso.

- Mario Liverani in "Mutamenti climatici nell’antichità vicino-orientale e mediterranea", Torino 17-18 maggio 2012 scaricabile in formato pdf da http://www.accademia
dellescienze.it/media/986"I dati climatici (in particolare le sequenze dendrocronologiche e polliniche) mostrano un episodio di brusca aridità, breve ma intensa, intorno al 1200 a.C. seguita poi da una fase di prolungata instabilità e aridità fino alla metà del IX secolo. I dati archeologici mostrano una serie di distruzioni dei centri urbani e palatini in Grecia (è il collasso della civiltà micenea), in Anatolia e nel Levante siropalestinese all’inizio del XII secolo, e poi una prolungata fase di localismo, dimensione di villaggio e campi pastorali per tutta la prima età del Ferro, fino appunto alla metà del IX secolo. E i testi documentano bene sia la carestia alla fine del XIII secolo, sia la famosa invasione dei cosiddetti “Popoli del Mare” - genti di provenienza balcanica che si riversano dapprima nell’Egeo (è quella che le tradizioni classiche definivano l’invasione dorica) e poi in Anatolia e nel Levante - nel 1190 a.C., con il crollo dell’impero hittita e il restringimento di quello egiziano. Infine i testi documentano bene il successivo “effetto domino” anche nelle zone ad est dell’Eufrate (Assiria e Babilonia) ma con un décalage di un secolo buono rispetto all’invasione dei Popoli del Mare. In questo caso dunque le coincidenze sembrano già così ben documentate e circostanziate da renderci sicuri della spiegazione. Ovviamente la presentazione di questi casi andrebbe meglio articolata, e altri casi si potrebbero e dovrebbero aggiungere, sia per l’area circum-sahariana, sia per quella dell’Indo, sia per quella dell’Asia centrale. Ma l’esemplificazione mi pare già così sufficiente per chiarire come gli studi di proto-storia e di storia antica del mondo mediterraneo e vicino-orientale abbiano ormai ben superato il tabù della storiografia idealistica, si stiano attrezzando per metabolizzare le procedure (e comunque i risultati) di ambito scientifico, e stiano contribuendo alla costruzione di una storia delle società umane in cui il fattore ambientale e le variazioni climatiche occupano il posto che loro compete
Località di rilievo nelle civiltà dei metalli europee: dopo la civiltà del
Rame, la civiltà del Bronzo dal II millennio, civiltà del Ferro dal XII  
secolo a.C., i cui maggiori centri in Europa sono: Halstatt,
Huttenberg e Cnosso.
Resta escluso, almeno spero, ogni riduzionismo: i processi e gli eventi messi in moto dai fattori climatici hanno una loro complessità di concause, di meccanismi e di effetti di natura sociale e tecnologica, economica e politica, culturale e simbolica, nonché le loro peculiarità regionali e diacroniche, che costituiscono il valore della storia nel suo senso più pieno.".

- Il periodo che va  dal  1.200 a.C. al 1.000 a.C. è perciò abbastanza oscuro, ma ci si sta convincendo che la carestia del 1.200 p.e.v. (o a.C.) sia stato l'evento scatenante il riassetto del quadro politico mediterraneo e mediorientale: secondo la ricerca pubblicata sulla rivista on line Plos ONE da David Kaniewski, dell’Università di Paul Sabatier, a Tolosa, assieme a colleghi di altre istituzioni, i ricercatori sono giunti alla conclusione che la crisi della tarda età del bronzo, piuttosto che imputabile ad una serie di eventi non correlati, sia stata un complesso, unico evento che avrebbe avuto la principale causa scatenante nella siccità prodotta dal cambiamento radicale del clima, cui sarebbero seguite carestie, invasioni dal mare di popoli in cerca di fonti di sostentamento e inevitabili conflittualità politiche. Gli studiosi sottolineano anche che questo evento è in stretto rapporto con la sensibilità alle variazioni climatiche di queste società, basate essenzialmente sulle risorse agricole. Sensibilità e struttura economica, un binomio che, con il variare del clima, avrebbe portato inevitabilmente alla rovina. Tutto il Mediterraneo stava vivendo un periodo caratterizzato da catastrofi naturali con conseguenti migrazioni di popoli e da oriente giunse l'ultima ondata di tribù indoeuropee che, con lo sviluppo del fenomeno celtico, completò l'opera di mutamento culturale destinato a modificare per sempre il volto dell'Europa, in cui l'economia era ridotta a pastorizia e agricoltura.

Carta con le antiche Micene,Troia,
Sparta e l'isola di Chio.
Dal 1.190 al 1.180 a.C. - Si combatte la guerra di Troia (o Ilio) cantata da Omero nell'Iliade, che durerà nove o dieci anni, evento rappresentativo dell'esaurimento della civiltà  Micenea. La data della fine di questo conflitto è importante poiché è diventata un punto di riferimento per datare gli eventi, come lo è stata la data del 776 a.C., anno della prima olimpiade dei Greci.
Carta con l'antica Troade.
Fonti letterarie greche parlano di una distruzione di Troia, ad opera greca, da collocarsi nel XII secolo a.C.. Tucidide parla di Agamennone e della guerra di Troia nel "II libro delle Storie" (par.9), ma la datazione della fine del conflitto è ricavabile dal passo del libro V della sua "Guerra del Peloponneso", il cosiddetto "dialogo dei Meli", gli abitanti dell'isola di Milo. Nel dialogo con gli Ateniesi, i Meli sottolineano di essere di tradizione dorica, essendo stati colonizzati dagli Spartani, nel contesto dell'invasione dorica della Grecia, da settecento anni. Siccome l'avvenimento è del 416 a.C. e passano ottant'anni tra la fine della guerra di Troia e la colonizzazione dorica (definita il "ritorno degli Eraclidi"), si può calcolare la data della caduta di Troia sia il 1.196 a.C..
Carta con la Grecia antica e i
 territori occupati dai Dori,
fra cui è evidenziata l'isola di Milo.
Eratostene di Cirene è autore della datazione che, dal III secolo a.C., riscuoterà maggior successo, ma non essendoci giunte opere complete di questo autore, la sua datazione possiamo riscontrarla solo in Dionisio di Alicarnasso, nelle "Antichità romane", in un passo collegato all'arrivo di Enea in Italia e alla fondazione di Lavinio.
Hippos fenicia, da cui l'errata
traduzione di "cavallo di Troia"
Dionisio riporta la data esatta, in termini antichi, della caduta di Troia, che corrisponderebbe all'11 giugno 1.184 - 1.182 a.C. L'ultima conferma sembra venire dalla "Piccola Cosmologia" di Democrito di Abdera, filosofo del V secolo a.C. e contemporaneo di Erodoto. Egli dice di aver composto quest'opera 730 anni dopo la distruzione di Troia; essendo vissuto intorno al 450 a.C., la data in questione risulta essere il 1.180 a.C..
Genealogia degli dei dell'Olimpo
nei poemi omerici.
La mitica città di Troia ricevette il nome dall'altrettanto mitico re "Trōs" (in greco "Têukros"). La città e la guerra portata contro di essa da una coalizione di popoli greci nel XII secolo a.C., sono state immortalate da Omero nell'Iliade. La Troia della saga omerica sarebbe stata fondata da Dardano, figlio di Zeus ed Elettra, il quale, giunto nella Troade, ebbe dal re Teucro in dono il territorio su cui fece innalzare l'acropoli che chiamò Dardania. I suoi successori ottennero che le mura di Troia fossero costruite da Apollo e Poseidone.
Il viaggio di Odisseo (Ulisse) al ritorno dalla guerra
di Troia a Itaca immortalato nell'Odissea.
Laomedonte non volle pagare la ricompensa pattuita alle divinità, quindi Poseidone per punizione mandò nella città un mostro marino, che fu poi scacciato da Eracle. Ancora una volta Laomedonte rifiutò di pagare la giusta ricompensa ad Eracle. Quest'ultimo scatenò una guerra contro la città, che venne distrutta, la famiglia reale fu sterminata, tranne l'ultimogenito di Laomedonte, Priamo, che divenne re. Questi sposò prima Arisbe, da cui ebbe un figlio, poi Ecuba, con la quale generò diciannove figli tra maschi e femmine, e Laotoe, che gli dette due maschi; ebbe altri figli dalle varie concubine. Paride, figlio di Priamo e di Ecuba, rapì Elena, sposa di Menelao re di Sparta, provocando una nuova guerra contro Troia, terminata con la conquista e l'incendio della rocca dopo dieci anni di assedio.
Il viaggio di Enea da Troia al Lazio immortalato da
Virgilio nell'Eneide.
Dopo la caduta della città i superstiti fuggirono in Italia: parte con Enea, che giunse nel Lazio, (tema trattato nell'Eneide dell'etrusco Virgilio Marone) parte con Antenore, destinato a fondare Padova. Da altre fonti (fra cui Tucidide) pare che un altro gruppo di Troiani scampati su navi e alla caccia di Achei, sarebbero approdati nelle coste occidentali della Sicilia e stabilita la loro sede ai confini con i Sicani, sarebbero stati tutti compresi sotto il nome di Elimi, e le loro città sarebbero state chiamate Erice e Segesta.
Sicilia arcaica con Elimi, Sicani, Siculi.
Inoltre si sarebbero stanziati presso di loro anche un gruppo di greci originari della Focide, reduci anch'essi da Troia. Nell'Odissea, il secondo racconto della saga omerica, si descrive il decennale viaggio di Ulisse, ideatore del cavallo di Troia e re di Itaca, al ritorno del conflitto troiano.
Intorno al 1.190-1.180 a.C. quindi, gli Elladi-Micenei si aprirono la strada verso il Mar Nero con una spedizione militare contro la città di Troia, di cui non si è certi ne da che etnie fu abitata, ne che lingua si parlasse. Il processo della decadenza micenea parrebbe iniziare proprio con la guerra di Troia, l'invasione dorica del 1.100 a.C., quasi un secolo circa più tarda, invece, ne sarebbe stato il colpo di grazia.

L'antica Grecia con le invasioni
 di Ioni e Achei dal 2000 a.C.
e dei Dori dal 1200 a.C. I monti:
 Olimpo, Parnaso, Elicona
e Taigeto.
- Nel XII secolo a.C. due nuove ondate migratorie, una dal nord, i cosiddetti Popoli del Mare e una dai Balcani, i Dori, una
popolazione indoeuropea, pongono fine all'egemonia Elladico-Micenea, causando un periodo di decadenza.

- La scomparsa della civiltà micenea determina ad Atene la nascita di un nuovo ordine sociale di tipo oligarchico e l'avvento nelle magistrature dei rappresentanti delle quattro tribù emergenti in Attica (la regione di Atene) a loro volta suddivise in fratrie (unione di più clan), che divennero un'importante espressione della vita sociale e religiosa ateniese.

- La civiltà Elladica-Micenea, probabilmente già avviata verso il declinio, fu travolta dall'invasione della popolazione dei Dori.
La migrazione del nuovo popolo guerriero, i Dori, provvisti di armi e armature in ferro, destabilizzò l'ordine politico e militare Elladico-Miceneo nella penisola greca, che era rimasto nell'Età del Bronzo, o verosimilmente era già avviato verso la decadenza.
Le genti doriche, che fecero del loro dio eponimo Doro (il quarto figlio di Elleno), il capostipite degli Elleni, abitavano originariamente la regione danubiana per poi passare nella valle del Vardar.
La Grecia dei primordi, con gli stanziamenti di
Ioni, Eoli e Dori. I Dori del Nord sono distinti
dagli altri Dori. Sono distinti gli Arcadi,
probabilmente discendenti dei Pelasgi.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Penetrarono in Grecia parte attraverso l'Epiro e l'Illiria e parte attraverso la Macedonia Occidentale e la Tessaglia. Raggiunsero il Peloponneso mescolandosi agli abitanti di Micene e Tirinto e le conquistarono gradualmente.
Nella tradizione antica questa migrazione è rappresentata dalla leggenda del ritorno degli Eraclidi, i discendenti dell'eroe semi-dio Heracle, o Eracle, l'Ercole dei Latini, e alcuni studiosi hanno individuato in questo episodio mitologico una prova della cosiddetta "invasione dorica", ultima responsabile della decadenza della civiltà micenea. 
Gli Eraclidi, nella mitologia greca, sono sia i figli di Eracle, in particolare di Eracle e Deianira, sia i loro discendenti, e vengono definiti Eraclidi anche i 50 figli che Eracle ebbe dalle figlie di Tespio, chiamati poi Tespiadi, mentre soggiornava presso di lui. Secondo la testimonianza di Erodoto e Tucidide i Dori, discendenti di Eracle, si sarebbero spinti nel Peloponneso, in Laconia, dal nome di Lacedemone che vi aveva fondato Sparta, il nome di sua moglie, e nella Messenia. Sotto la spinta dell'invasione dorica, le popolazioni che erano stanziate nell'area Elladica diedero luogo alla prima migrazione  colonizzatrice dei greci, soprattutto verso est, sud-est e sud.
L'antica Grecia con l'invasione
 dei Dori del 1200 a. C. e i
conseguenti spostamenti
 a est di Ioni ed Eoli.
Comunità di Ioni, i fondatori di Atene, migrarono dal continente verso le coste dell'Asia minore, in quella che fu poi chiamata Ionia, dove più tardi diedero vita ad una confederazione religiosa di dodici città, incentrata sul santuario di Poseidone a Panionion, presso Mycale. Comunità di Eoli migrarono verso oriente, stabilendosi nell'isola di Lesbo e poi sulle coste anatoliche in Eolide, che da loro prese il nome. Secondo la tradizione tale migrazione fu capeggiata da Oreste e sarebbe avvenuta sotto la spinta dei Dori, che soggiogarono la civiltà micenea ormai decaduta.
Con il declino della civiltà Micenea ha inizio un periodo di decadenza, denominato dagli storici con il nome di "medioevo greco" che durerà tre secoli, a partire dal XII secolo a.C.
Il Medioevo ellenico sarà caratterizzato da una commistione dei tratti peculiari della precedente cultura micenea e delle innovazioni doriche, quali l'introduzione dell'uso del ferro, dell'incinerazione dei morti e della costruzione dei primi templi.

- Atene riesce in qualche modo a sfuggire alle invasioni doriche e durante il cosiddetto medioevo ellenico inizia a svilupparsi.

Il Tempio dorico di Era (o Hera),
 detto anche Tempio di
Poseidon o Tempio di Nettuno,
 eretto a Paestum,
l'antica Poseidonia, intorno
 alla metà del V secolo a.C.
Alcune città doriche, Corinto e Megara in particolare, ma anche Sparta e altre, presero parte poi al grande movimento colonizzatore che a partire dall'VIII secolo a.C. si sviluppò in tutto il bacino del Mediterraneo. Colonie doriche furono fondate in Asia Minore, a Cipro, in Africa settentrionale ed in Italia (Magna Grecia). A partire dal XII secolo, l'insieme dei popoli della Grecia continentale, della costa ionica dell'Asia Minore e delle isole acquisisce progressivamente un'unica identità culturale per lingua (anche se i dialetti rimasero i linguaggi locali), religione, costumi, e si ha anche l'unica denominazione di Elleni. Le genti che abitano e hanno abitato la Grecia sono state chiamate, lungo il corso dei secoli, in diversi modi. Essi stessi si definiscono Elleni, dal nome dell'eroe Elleno, ritenuto il capostipite delle popolazioni greche degli Ioni, Eoli, Achei e Dori che, dal II millennio a.C., invasero la Grecia sottomettendo le popolazioni ivi residenti, fra cui i Pelasgi, stanziativisi prima di loro.
Cartina delle regioni, isole, città e dialetti dell'antica Grecia
o Ellade. I dialetti sono: Nord occidentale, Acheo, Arcado
cipriota, Dorico, Ionico, Eolico, Attico. Clicca sull'immagine
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I Macedoni hanno esportato la cultura ellenica, e la parola Hellenes (Έλληνες) è stata conosciuta in tutto il mondo, mentre i Romani hanno utilizzato la parola Greci, per riferirsi a queste genti, poiché i colonizzatori di Cuma in Campania, la più antica colonia greca della penisola italica e della Sicilia, fondata nel 750 a.C. dai Calcidesi e dagli abitanti di Cuma, piccolo centro dell'isola Eubea, si autodefinivano Graikòi, nome distintivo di alcune genti marittime della Beozia e della limitrofa costa dell'Eubea, nome che i Romani erroneamente recepirono come appellativo di tutte le genti elleniche, trasmettendolo fino a noi come Graeci. Le lingue europee, quindi, usano tale appellativo; in Oriente invece si usano nomi derivati da Ioni.
Conseguentemente all'invasione dorica compariranno gradualmente le póleis, le città-Stato. La conformazione del territorio, principalmente montuosa, contribuirà in modo determinante ad ostacolare l'unificazione dei villaggi e a favorire la nascita di piccole città-Stato indipendenti. Le città-Stato passarono inizialmente da regimi monarchici a tirannidi. Ciascuna città aveva divinità protettrici e leggi proprie (ogni città era strenuamente attaccata alle proprie tradizioni: arrivavano al punto da avere ciascuna un proprio calendario). Tuttavia, frequenti erano le anfizionie, alleanze tra città limitrofe, non necessariamente di carattere militare. L'Arcadia, nel Peloponneso, in cui si parlava il dialetto arcado-cipriota, rimase un territorio abitato dai discendenti dei Pelasgi, i primi a stabilirsi in Grecia. Alcuni studiosi Albanesi sostengono che dai Pelasgi sono derivati Tirreni ed Etruschi oltre a Illiri e Albanesi, e che i linguaggi di questi popoli sono quindi affini. Seguono alcuni elementi su cui basano le loro ipotesi. Pausania (Arcadia, Libro VIII, 1,4,6) scrive: “Gli Arcadi dicono che Pelago fu il primo a nascere nella terra dell’Arcadia. Dato che Pelago divenne re, il paese si chiamò Pelasgia in suo onore”. Pindaro (Carminia, Fragmenta Selecta, I, 240) scrive: “Portando un bel dono, la Terra fece nascere per primo l’essere umano nell’Arcadia, il Divino Pelasgo, molto prima della luna”.

Carta del 700 a.C. con gl'insediamenti e limiti dell'influenza di
Tartesso segnalati in verde brillante, le colonie greche in blu,
le colonie fenicie in verde-oliva. Si vedono il Lago Ligustico,
Asta Regia (Jerez de la Frontera) e Gadir (Cadiz).
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Intorno al XII secolo a.C., Tirreni, o Tirseni, Tyrseni, Raseni, Turuscha, forse uno dei Popoli del Mare o discendenti dei Pelasgi e sicuramente gli antenati degli Etruschi italici, che chiamavano se stessi "Rasenna", giunsero dall'Asia Minore e fondarono una colonia nei territori della mitica Tartesso, nell'attuale Spagna, su un'isola tra la foce del Guadalquivir (l'antico Betis) e l'oceano. Da Tartesso inizia l'invasione dei Tirreni e la sottomissione della zona, gestita fino ad allora da Liguri, Iberici e coloni orientali, ma presumibilmente era Ligure (come indica il toponimo Lago Ligur, il Lagus Ligustinus per i Romani) il substrato predominante nella zonaGli invasori approntarono una fiorente oligarchia commerciale e militare la cui capitale fu Tartesso stessa. Nel regno furono stabiliti due principali centri: presso la foce del Guadalquivir, Tartesso stessa e l'antica Olba, (nei pressi dell'attuale Huelva, sul fiume Tinto, nel nord ovest del territorio di Tartesso, vicino all'attuale frontiera col Portogallo), che doveva fungere da deposito di Tartesso dei minerali di rame provenienti dalle miniere del Rio Tinto, Aznacòllar e Linares.
Dal Blog "Sanremo Mediterranea":
per il post "Tartesso: l'Economia", clicca QUI,
per il post "Tartesso: prima i Liguri, poi Fenici e Greci", clicca QUI,
per il post "Ercole e altri miti a Tartesso", clicca QUI,
per il post "Il Lago Ligure nella mitica Tartesso", clicca QUI.

- Gli Umbri furono un popolo giunto dal nord in Italia nel XII secolo a.C., che si sovrappose e si sostituì a quelli presenti (in Umbria la presenza dell'uomo è attestata sin dal primo Paleolitico). Parlavano una lingua indoeuropea del gruppo osco-umbro, l'umbro, scritta con alfabeto proprio di derivazione greco-occidentale, non molto dissimile dagli altri alfabeti italici.
I dialetti Italici parlati nel
centro-sud nel 400 a.C.
Occuparono un'area che in epoca classica si estendeva dall'alta e media valle del Tevere fino al mar Adriatico, comprendendo anche l'odierna Romagna: delimitata dal Tevere ad ovest e dall'Adriatico ad est. Inizialmente gli Umbri avevano occupato anche i territori dell'odierna Toscana e della Valle Padana, solo successivamente conquistati da Etruschi e Galli (questo territorio viene chiamato "Grande Umbria"). L'espansione di Celti ed Etruschi li confinò quindi nella zona ad est del medio corso del Tevere, mentre ad ovest del fiume fioriva la potenza etrusca. Non è noto se gli Umbri indicassero se stessi con un endoetnonimo, né quale forma avesse. Il termine "Umbri" è l'etnonimo con il quale il popolo era indicato dai vicini Latini e dai Greci (greco Ὄμβροι o Ὀμβρικόι). L'ingresso dei popoli osco-umbri in Italia, provenienti dall'Europa centro-orientale dove si cristallizzarono come gruppo linguistico autonomo all'interno della famiglia indoeuropea, è generalmente collocato intorno al XII secolo a.C. L'arrivo degli Osco-umbri in Italia è stato posto da alcuni studiosi in correlazione allo sviluppo della cultura protovillanoviana, cronologicamente compatibile; tale ipotesi è rafforzata dal fatto che gli insediamenti storici degli Umbri, soprattutto nella fase della "Grande Umbria", coincidono sostanzialmente con l'area villanoviana. Descrivendone l'origine, Plinio il Vecchio afferma: « La popolazione umbra è ritenuta la più antica d'Italia, si crede infatti che gli Umbri fossero stati chiamati Ombrici dai Greci perché sarebbero sopravvissuti alle piogge quando la terra ne fu inondata. È attestato che gli Etruschi sottomisero trecento città umbre » (Plinio il Vecchio, "Naturalis historia", III, 112-113). Questa descrizione, è oggi considerata con attenzione. Sebbene sia certo che la zona fosse abitata già da millenni prima dell'arrivo degli Indoeuropei, ai tempi di Plinio gli Umbri erano oramai la popolazione "più antica d'Italia" tra quelle allora esistenti nella penisola italica, cioè Italici ed Etruschi. Le conoscenze che si hanno fino ad ora sul popolo umbro, emergono attraverso i dati combinati delle fonti storiche (Scilace, Erodoto, Dionisio di Alicarnasso, Strabone, Plinio il Vecchio, etc.) dei rinvenimenti epigrafici e delle evidenze archeologiche. Plinio il Vecchio, parlando della sesta regione Umbra con l'Agro Gallico scrive che: ”I Siculi e i Liburni ne occuparono molti territori; li cacciarono gli Umbri, che furono cacciati dagli Etruschi e questi dai Galli". Per quanto riguarda la sistemazione geografica prendiamo da Strabone alcuni passi della sua Geografia: « [Nella terza parte dell'Italia] scorre dagli Appennini il Tevere che si arricchisce di molti fiumi in parte attraversando la stessa Etruria, per il resto separandone prima l'Umbria, quindi i Sabini ed i Latini, che vanno dai pressi di Roma fino al mare. Questi popoli confinano pertanto con il fiume e con gli Etruschi in larghezza e reciprocamente in profondità: dagli Appennini, nel punto in cui si avvicinano all'Adriatico, si estendono per primo gli Umbri, dopo questi i Sabini, ultimi gli abitanti del Lazio, tutti dipartendosi dal fiume [...] Gli Umbri poi, che stanno nel mezzo, fra Sabina ed Etruria, superando le montagne si spingono però fino ad Ariminum e Ravenna. [...] con l'Etruria confina, nella parte orientale, l'Umbria che ha inizio dagli Appennini, ed anche oltre, fino all'Adriatico. » (Strabone, Geografia, V, 2,1.)

Carta con l'ubicazione della cultura proto-celtica di
Canegrate e quella celtica lepontica di Golasecca, nel
nordovest italico. Sono indicate le varie tribù di
Luguri, Celto-Liguri e Celti insediati o che
si insediarono in quei territori.
- Nel XII secolo a.C., nel territorio compreso fra  lo spartiacque alpino a nord, il Po a sud, il Serio ad est e il Sesia ad ovest, si sviluppa la cosiddetta Cultura di Golasecca. Tale civiltà prende il nome dalla località di Golasecca (provincia di Varese, sulle rive del fiume Ticino), dove, all'inizio del XIX secolo, l'abate Giovanni Battista Giani effettuò i primi ritrovamenti che ritenne testimonianze della battaglia avvenuta, durante la seconda guerra punica, tra Annibale e Scipione, tesi già sostenuta precedentemente da Carlo Amoretti, erudito viaggiatore settecentesco. È, però, nel 1865 che Gabriel De Mortillet attribuisce tali reperti ad una civiltà autonoma preromana. I Celti, a cui probabilmente si deve l'origine di tale cultura, erano popolazioni di ceppo indoeuropeo che giunsero in Europa in varie ondate, provenienti dall'Asia centrale, fra il 3500 e il 1500 a.C., attraverso il Caucaso e il Medio Oriente. Le zone europee in cui si svilupparono i primi segni della cultura celtica furono, appunto, l’area di Golasecca nel XII-X secolo a.C., l’area mineraria di Hallstatt (in Alta Austria) dove diedero vita a una cultura particolare sviluppatasi intorno all’VIII secolo a.C. e, infine, il sito di La Tène (nei pressi dell'attuale Neuchatel, in Svizzera), dove raggiunsero la massima espressione artistica, sociale e spirituale nel VI-V secolo a.C. Si diffusero, inoltre, nell’intero territorio austriaco e svizzero, nella Germania sud-orientale, in Francia, Belgio, Italia settentrionale, in parte dell’Europa centro-orientale, Spagna settentrionale, Balcani, Isole Britanniche, Irlanda e nell’area centrale della penisola  Anatolica. Per quanto riguarda l'area Golasecchiana, si può presumere che la struttura sociale adottata fosse articolata gerarchicamente e che la popolazione fosse divisa in villaggi situati nei pressi delle necropoli ritrovate. Il territorio su cui si estendeva la popolazione golasecchiana era molto ampio, anche se non uniforme, comprendente le pianure tra i fiumi Sesia ed Oglio ed estendendosi a su fino al Po e a nord fino ai contrafforti alpini dei passi che conducono verso le vallate del Rodano e del Reno. Gli insediamenti golasecchiani erano quindi di grande importanza strategica, dato che si trovavano lungo itinerari che collegavano, tramite i valichi del San Bernardino, San Gottardo e Sempione, la penisola  italica e il centro Europa. Era praticata l'agricoltura, la tessitura e l'allevamento che permetteva di produrre carne e formaggio. L’ampia circolazione di manufatti golasecchiani a nord delle Alpi è in stretto rapporto con l’espandersi e l’aumentare del volume dei commerci nell’Etruria Padana, e non solo: dal ritrovamento di vari suppellettili si deduce che i Golasecchiani commerciavano non solo con i Liguri, ma anche con Etruschi, Greci, con i popoli dell'Italia Centro Meridionale ed insulare, fungendo anche da intermediari con i Celti del nord (culture di Hallstatt e di La Tène). La rete di scambi comprendeva la Cornovaglia, la Bretagna e la Galizia, regioni da cui proveniva lo stagno necessario alla produzione del bronzo; dalle regioni baltiche proveniva, invece, l'ambra. Il popolo detto della cultura di Golasecca risalente all’età del ferro era quindi inequivocabilmente di origine celtica, ben antecedente alla storica invasione del IV secolo a.C. Le sue origini risalgono addirittura alla seconda metà del II millennio all’interno della cultura locale dell’età del bronzo, detta di Canegrate; infatti sono molti gli studiosi che vedono un continuo evolutivo tra le facies di Canegrate del XIII secolo a.C. e quelle successive di Golasecca del VII secolo a.C. Un fattore importante da tenere in considerazione è che alcuni reperti risalenti a Canegrate sono diversi da quelli comuni nell’ambito locale, ma ben conosciuti nella regione a sud della Germania dove si sviluppò la cultura dei campi d’urne, unanimemente considerata antenata dei Celti dell’età del ferro. Tali reperti sono manufatti in bronzo ampiamente diffusi e ceramiche a scanalatura, utilizzati nei riti inceneritori, il che fece supporre ad un’espansione delle popolazioni protoceltiche dei campi di urne. Non esistono però prove tali da confermare questa tesi anzi, al contrario l’area mediterranea in questo periodo vive una forte instabilità dovuta a continui spostamenti di popoli e conseguenti guerre, mentre in Europa continentale vi è un periodo di calma il che farebbe pensare che i ritrovamenti della cultura di campi di urne al di qua delle Alpi sia dovuta più ad una moda che ad un’espansione di tale popolo. Diversi studiosi quindi ritengono che si possa parlare anche della cultura di Canegrate come di popolazioni protoceltiche, infatti la fine dell’età del bronzo è stata la base su cui si formarono successivamente le culture dell’età del ferro, per questo motivo la cultura di Canegrate prende il nome di cultura protogolasecchiana. Che la popolazione golasecchiana fosse celtica e conseguentemente quella di Canegrate protoceltica, si evince anche dai ritrovamenti nella necropoli di Ascona e del ripostiglio dei bronzi di Malpensa, reperti che comprendono gambiere in lamina di bronzo decorate a sbalzo, decorazioni a ruote solari associate ad uccelli acquatici stilizzati; reperti trovati non solo in Italia settentrionale ma anche in gran parte dell’Europa, dalla conca carpatica fino ai dintorni di Parigi, il che indica una piena integrazione dell’area golasecchiana con il resto dell’Europa. Dal Blog "Sanremo Mediterranea": per il post "Dal Ligure al Celtico, dagli antichi alfabeti dell'Italia Settentrionale al Runico" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: dai Primordi ai Megaliti" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: Alleanza e fusione con i Celti", clicca QUI. Vedi anche http://culturaprogress.blogspot.it/2014/12/la-cultura-di-golasecca.html.

Antica rappresentazione di Eingana.
Il ricordo degli Euganei si conserva
nelle leggende e nelle favole delle
eingane o anguane/angane/aivane...
Gli antichi Euganei abitavano palafitte
lungo laghi e fiumi e le Anguane sono
la loro mitica rappresentazione che ne
determina il nome nelle varianti
etnonimiche: in retico Anauni, in
ligure Ingauni
Dal 1.150 - Gli Euganei erano un popolo insediatosi originariamente nella regione compresa fra il Mare Adriatico e le Alpi Retiche. Successivamente essi furono scacciati dai popoli Veneti in un territorio compreso tra il fiume Adige ed il Lago di Como, dove prosperava la civiltà Golasecchiana, e lì rimasero fino alla prima età imperiale romana. Catone il Censore, nel libro perduto delle Origines, annoverava tra le maggiori tribù euganee i Triumplini della Val Trompia ed i Camuni della Val Camonica.
Carta con gli insediamenti degli Euganei, Carni, Veneti
(Venetici), Reti, Camuni e Celti Leponzi e Cenomani.
Si trattava probabilmente di un popolo preindoeuropeo di stirpe affine a quella dei Liguri Ingauni, come testimoniato dall'analogia dei nomi che avevano in comune. Appartengono alla stessa stirpe degli Euganei, secondo Plinio il Vecchio, anche gli Stoni in Trentino. Quando i Veneti raggiunsero il loro territorio fra il XII e l'XI secolo avanti Cristo, provenienti da un'imprecisata regione dell'Europa orientale, in parte spostarono verso Ovest gli Euganei ed in parte li assorbirono fondendosi con loro.

Reitia, divinità dei Veneti
(e dei Reti) dell'Italia
nord-orientale.
- Il nome "Veneti" ricorre frequentemente nelle fonti classiche. Erodoto ricorda gli Eneti tra le tribù illiriche, probabilmente i nostri Veneti italici; nell'Europa centrale Tacito localizza i Veneti, o Venedi e Venedae, (gli Slavi Venedi-Sclavini) distinguendoli dai Sàrmati; Pomponio Mela cita il lago di Costanza come Venetus lacus; ci sono poi i Venetulani, un popolo laziale scomparso citato da Plinio. Vi sono inoltre i Veneti Celti, della Bretagna francese, battuti poi da Giulio Cesare. La frequenza di questo etnonimo in diverse aree europee non va però spiegata con ipotetici legami storici e linguistici tra i diversi popoli che ne hanno fatto uso, quanto piuttosto da un'uguale derivazione, più volte ripetuta in modo indipendente, dalla medesima radice indoeuropea “wen” (amare). I Veneti (wenetoi) sarebbero pertanto gli "amati", o forse gli "amabili", gli "amichevoli".
Agli antichi Veneti del nord-est italico ci si riferisce talvolta con "Paleoveneti", "Veneti adriatici" o "Venetici" per distinguere il popolo dell'antichità dagli attuali abitanti della regione italiana del Veneto. Nel periodo antico vi erano rapporti culturali fra i nostri Veneti e la Civiltà villanoviana, l'Egeo, l'Oriente e successivamente anche con gli Etruschi. Nelle pianure del Veneto meridionale fra il 1150 e il 900 a. C. sorse il grande centro pre-urbano di Frattesina, crocevia di traffici fra il Baltico, le Alpi Orientali e Cipro, con sistema socio-economico fortemente gerarchizzato; quindi si sviluppano Villamarzana, e poi Montagnana.

Cartina dell'Europa e Mediterraneo nell'XI sec. p.e.v. (a.C.) con alcune
delle culture presenti in quei territori: Culture delle Tombe a fossa,
Cultura Germanica nord occidentale, Cultura Catalana dei campi
d'urne, Cultura Villanoviana, Cultura Adriatica, Cultura Laziale,
Cultura di Hallstat, Cultura Atestina o d'Este, Cultura di Golasecca
e Cultura Apula. Sono indicati i fiumi inerenti a tali civiltà.
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