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martedì 22 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.23: dal 301 al 146 p.e.v. (a.C.)

Da: https://www.slideshare.net/
luigiarmetta/let-ellenistica
Dal 301 a.C. - Inizia l'Età ellenistica, periodo che va dalla morte di Alessandro Magno fino alla riduzione della Grecia a provincia romana, nel 146 a.C., in cui trionfano la cultura e la civiltà greche diffuse nei territori di quello che era stato il suo impero. Si ebbero tre grandi dinastie fondate dai generali (diadochi) di Alessandro: i Tolomei in Egitto, i Seleucidi in Siria e Mesopotamia, gli Antigonidi in Macedonia. Le aristocrazie urbane euro-mediterranee utilizzano il greco come lingua e si fondano nuove città come Pergamo in Asia Minore, Alessandria in Egitto, Antiochia in Siria. Si sviluppa una grande fioritura culturale con scienziati come Euclide, Archimede, Apollonio di Perga, Aristarco di Samo, Eratostene, Ipparco, Erone di Alessandria; filosofi come Epicuro e Zenone; poeti come Callimaco, Apollonio Rodio e  Teocrito.

Zenone di Cizio.
Nel 300 a.C. - Ad Atene, Zenone di Cizio (335 - 263 a.C.) fonda la sua Scuola Stoica. Quella dello stoicismo è una corrente filosofica spirituale con un forte orientamento etico. Lo stoicismo prende il nome dalla Stoà Pecile (in greco ἡ ποικίλη στοά) o Portico dipinto, originariamente «Portico di Peisianatte», eretto nella prima metà del V secolo a.C. nell'agorà di Atene, dove Zenone di Cizio era solito esporre e discutere le proprie idee con i suoi discepoli. Lo stoicismo propone un percorso individuale da cui scaturisce la capacità del saggio di disfarsi delle idee e dei condizionamenti che la società in cui vive gli ha impresso. Lo stoico tuttavia non disprezza la compagnia degli altri uomini e l'aiuto ai più bisognosi è una pratica raccomandata. La fase originaria di tale scuola di pensiero è detta Stoicismo antico. Lo stoicismo fu abbracciato da numerosi filosofi e uomini di stato, sia greci che romani, fondendosi presso quest'ultimi con le tradizionali virtù romane di dignità e portamento. Il disprezzo per le ricchezze e la gloria mondana la resero una filosofia adottata sia da imperatori (come Marco Aurelio, autore dei Colloqui con se stesso) che da schiavi (come il liberto Epitteto). Cleante, Crisippo, Seneca, Catone, Anneo Cornuto e Persio furono importanti personalità della scuola stoica, alla quale si ispirò anche Cicerone. A partire dall'introduzione di questa dottrina a Roma da parte di Panezio di Rodi, ha inizio il periodo dello Stoicismo medio. Si differenzia dal precedente per il suo carattere eclettico, in quanto influenzato sia dal platonismo che dall'aristotelismo e dall'epicureismo. Infine, abbiamo il cosiddetto Stoicismo nuovo o romano, che abbandona la tendenza eclettica cercando di tornare alle origini. Il seguente schema mostra lo sviluppo cronologico delle varie fasi dello stoicismo e i personaggi più rappresentativi di ognuna di esse:
- Antico (III a.C.-II a.C.): Zenone di Cizio, Cleante, Crisippo.
- Medio (II secolo-I a.C.): Panezio, Posidonio, Cicerone (parzialmente).
- Nuovo o romano (I d.C.-III d.C.): Seneca, Epitteto, Marco Aurelio.
Gli stoici dividevano la filosofia in tre discipline: la logica, che si occupa del procedimento del conoscere; la fisica, che si occupa dell'oggetto del conoscere; l'etica, che si occupa della condotta conforme alla natura razionale dell'oggetto. Essi portavano un esempio: la logica è il recinto che delimita il terreno, la fisica l'albero e l'etica è il frutto.

- Fino al 300 a.C., a Roma solo i patrizi erano designati a far parte del Collegio dei Pontefici. Dopo un'aspra lotta politica che vide contrapposti i plebei, guidati da Publio Decio Mure, ai patrizi, guidati da Appio Claudio Cieco, con la legge Ogulnia del 300 vi ebbero accesso anche i plebei, cui furono riservati 4 pontefici del collegio sacerdotale, portato così da 5 a 9 membri. (Tito Livio, “Ab Urbe condita” libri, X, 6-9).  

Frammenti di papiri con elementi di
geometria di Euclide.
- Nello stesso 300 a.C. la scuola matematica di Alessandria  d'Egitto,  che ha in Euclide il suo massimo esponente, studia la leva, il sifone, la vite e la carrucola.  Euclide visse all'incirca dal 325 al 265 ad Alessandria. Il suo capolavoro sono i tredici libri degli "Elementi", il culmine della geometria classica, una delle opere più studiate della storia del pensiero. Ne sono state stampate più di 1000 edizioni. La quasi totalità della geometria che ancora oggi viene appresa nelle scuole superiori di tutto il mondo è di origine euclidea. Negli "Elementi" la geometria della sfera è poco trattata. L'opera propriamente astronomica lasciataci da Euclide ha per titolo Fenomeni. In essa, tramite diciotto teoremi, sono trattati gli aspetti fondamentali dell'astronomia.

Nel 298 a.C. - Terza guerra sannitica (298-290 a.C.). Nel 298 a.C. i Lucani, il cui territorio era fatto oggetto di saccheggi da parte dei Sanniti, inviarono ambasciatori a Roma, per chiederne la protezione. Roma accettò l'alleanza con i Lucani, e dichiarò guerra ai Sanniti. Il console Gneo (pronuncia Ghneo) Fulvio Massimo Centumalo cui era toccata la campagna contro i Sanniti, guidò i romani alla presa di Boviano e di Aufidena. Tornato a Roma, Gneo ottenne il trionfo. Nel 297 a.C., al comando dei consoli Quinto Fabio Massimo Rulliano e Publio Decio Mure, gli eserciti romani sconfissero un esercito di Apuli vicino a Maleventum, impedendo che questi si potessero unire agli alleati Sanniti, e uno Sannita nei pressi di Tifernum. L'anno seguente, il 296 a.C.,le operazioni si spostarono in Etruria, dove i Sanniti si erano recati per ottenere l'alleanza degli Etruschi; ma i romani sconfissero l'esercito Etrusco-Sannita. Nel 295 a.C. i Romani dovettero fronteggiare una coalizione nemica composta da 4 popoli: Sanniti, Etruschi, Galli ed Umbri, nella Battaglia di Sentino. Seppure nello scontro fu ucciso il console plebeo Publio Decio Mure, alla fine le schiere romane riportarono una completa vittoria. Sempre quell'anno Lucio Volumnio Flamma Violente, con poteri proconsolari, sconfisse i Sanniti nei pressi di Triferno, e successivamente, raggiunto dalle forze guidate dal proconsole Appio Claudio, sconfisse le forze sannite, fuggite dalla battaglia di Sentino, nei pressi di Caiazia. Nel 294 a.C., mentre l'esercito romano otteneva importanti vittorie sugli Etruschi, costringendoli a chiedere la pace, fu combattuta una sanguinosa ed incerta battaglia davanti alla città di Luceria, durata due giorni, alla fine dei quali i romani risultarono vincitori, ma la battaglia decisiva fu combattuta nel 293, quando i romani sconfissero i Sanniti nella battaglia di Aquilonia. Da Aquilonia, dove aveva combattuto la Legio Linteata, alcuni Sanniti superstiti si rifugiarono a Bovianum da dove riorganizzatisi condussero una resistenza disperata che durò fino al 290, con l'ultima, durissima campagna condotta dai consoli Manio Curio Dentato e Publio Cornelio Rufino. Con la vittoria sui Sanniti, i Romani conquistarono una posizione egemonica in tutto il centro sud, imponevano alle altre, ancora forti popolazioni italiche, le loro decisioni in politica estera, le riducevano a fornire contingenti di truppe e a finanziare campagne militari; Roma conquistava il potere che l'avrebbe condotta a scontrarsi nel giro di un secolo prima con Pirro e poi con Cartagine. Nell'ambito della terza guerra sannitica, i Galli Senoni dell'Italia settentrionale si allearono con gli Umbri, gli Etruschi e i Sanniti contro Roma. La coalizione, inizialmente vincitrice (con la presa di Arezzo), venne in seguito sconfitta dai Romani nella battaglia di Sentino. E ciò permise a Roma l'istituzione dell'Ager Gallicus e la fondazione della sua colonia a Sena Gallica, che ancora conserva, nel moderno toponimo di Senigallia, la duplice memoria dell'etnonimo e dell'origine di quel popolo celtico. Nel 283 a.C. si concludeva questa fase del conflitto celto-romano, dove Roma riusciva a occupare tutti i territori a sud degli Appennini, battendo ancora i Senoni nella battaglia del lago Vadimone, combattuta contro una coalizione celto-etrusca.

Nel 290 a.C. - Terminano ufficialmente le guerre fra Roma e i Sanniti, che continueranno comunque ad appoggiare ogni forma di resistenza a Roma da parte di altre popolazioni. L'azione di Roma nel territorio aveva alleggerito la pressione delle popolazioni italiche sulle città greche del sud Italia, in particolare su Taranto mentre Siracusa era continuamente in guerra con Cartagine e dopo la morte di Agatocle, era squassata da guerre civili. Durante le guerre sannite, il costo sociale dell'esercito romano era stato molto dispendioso. La leva standard consisteva nell'arruolare da due a quattro legioni e le campagne militari avvenivano ogni anno. Ciò implicava che il 16% di tutti gli adulti maschi romani fossero coinvolti nelle operazioni militari annuali, arrivando fino al 25% durante i periodi di emergenza. 

Nel 283 a.C. - In Egitto muore il greco Tolomeo I Sotere. Sotto la guida e la protezione del sagace Tolomeo I e di suo figlio Tolomeo II, Alessandria d'Egitto era il centro  letterariomatematico e scientifico  dell’antico mondo occidentale e mediorientale, arrogandosi il ruolo in precedenza goduto da Atene. Ed in questo ruolo rimase per molte generazioni. Tolomeo I aveva abdicato a favore del figlio Tolomeo II nel 284 a.C. ed era morto pacificamente nel proprio letto, uno dei pochi sopravvissuti ad Alessandro ad esserci riuscito. Tra le opere tramandateci da Tolomeo I, si può ancora vedere il tempio di Kom Abu Billo, dedicato ad Hathor “Signora di Mefket”.

Nel 282 a.C. - L'aiuto accordato da Roma a Thurii fu visto dai Tarantini come un atto compiuto in violazione agli accordi che Roma non dovesse scendere oltre capo Lacinio, presso Crotone, inoltre nell'autunno del 282 a.C. Roma inviò una piccola flotta duumvirale composta da dieci imbarcazioni da osservazione nel golfo di Taranto che provocò i tarantini, che stavano celebrando in un teatro affacciato sul mare delle feste in onore del dio Dioniso e in preda all'ebbrezza, scorte le navi romane, le attaccarono: ne affondarono quattro e una fu catturata, mentre cinque riuscirono a fuggire. Tra i Romani catturati, alcuni furono imprigionati e gli altri messi a morte, poi i Tarantini marciarono contro Thurii, che fu presa e saccheggiata e la guarnigione Romana scacciata insieme agli esponenti dell'aristocrazia locale. Roma decise di inviare a Taranto un'ambasceria guidata da Postumio, per chiedere la liberazione di coloro che erano stati fatti prigionieri, il rimpatrio dei cittadini aristocratici espulsi da Thurii, la restituzione dei beni a loro depredati e la consegna di coloro che erano stati responsabili dell'attacco alle navi romane. I diplomatici romani, giunti a Taranto, furono ricevuti ma il discorso di Postumio fu ascoltato con scarso interesse da parte dell'uditorio, più attento alla correttezza della lingua greca parlata dall'ambasciatore romano che alla sostanza del messaggio.Vittime di risate di scherno da parte dei Tarantini, che si prendevano gioco dell'eloquio scorretto e delle loro toghe dalle fasce purpuree, gli ambasciatori furono condotti fuori dal teatro e mentre ne stavano uscendo, tuttavia, un uomo chiamato Filonide, in preda all'ubriachezza, si sollevò la veste e orinò sulla toga degli ambasciatori con l'intento di oltraggiarli. A tale atto Postumio visto che tutti coloro che erano presenti sembravano aver apprezzato l'atto di Filonide, li apostrofò, secondo la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso, ammonendoli: "Ridete finché potete, Tarantini, ridete! In futuro dovrete a lungo versare lacrime!", poi gli ambasciatori rientrarono a Roma dove Postumio mostrò ai concittadini la toga sporcata da Filonide. Una parte dei politici romani e delle grandi famiglie, tra cui la gens Fabia, voleva l'espansione territoriale di Roma verso il sud Italia, per cui il nuovo console Lucio Emilio Barbula cominciò a devastare le campagne circostanti Taranto, tanto che i Tarantini, consci di non poter affrontare a lungo l'assedio romano, cercarono nuovi aiuti questa volta in Epiro, richiedendo l'intervento del re Pirro che accolse la richiesta di aiuto dei Tarantini poiché desideroso di ampliare il proprio regno ed incorporare nella propria sfera d'influenza la Magna Grecia, compresa la Sicilia (contesa fra i Cartaginesi e la città greca di Siracusa) fondando uno stato nell'Italia meridionale, e inviò Cinea per comunicare la sua decisione, poco prima che Taranto capitolasse. Pirro non avrebbe potuto respingere la richiesta di aiuto fatta da Taranto, che aveva dato un contributo importante per la conquista di Corfù e per la riconquista della Macedonia, persa nel 285 a.C..

Percorsi di Pirro nella penisola
italica, da QUI.
Dal 280 a.C. - Si combattono le Guerre pirriche fra la  Repubblica romana e l'esercito di Pirro, re dell'Epiro, a capo di una coalizione greco-italica, che avranno luogo nell'Italia meridionale e coinvolgeranno anche le popolazioni italiche del posto, la Sicilia greca e Cartagine. Pirro (dal greco antico Pýrrhos, "il colore del fuoco, rosso biondo"; 318 a.C. - Argo, 272 a.C.) è stato re dell'Epiro tra il 306 e il 300 a.C. e di nuovo nel periodo 298-272 a.C. Appartenente alla casa degli Eacidi (che dichiarava di discendere da Neottolemo, figlio di Achille) e imparentata agli Argeadi e quindi ad Alessandro Magno, dal 306 a.C. fu re della sua gente, i Molossi, tribù preponderante dell'antico Epiro nei periodi 288-285 a.C. e 273-272 a.C.. Nel 280 a.C. Pirro aveva 39 anni. Mandato come ostaggio nell'Egitto dei Tolomei da Cassandro di Macedonia, era stato insediato sul trono dell'Epiro nel 297 a.C. da Tolomeo I Sotere, che era stato generale e diadoco (successore) in Egitto di Alessandro Magno. Dopo due anni Pirro aveva sposato la figlia di re Agatocle di Siracusa, Lanassa, che come dote gli aveva portato le isole ioniche di Leucade e Corcira (Corfù). Chiamato in Italia dai tarantini, che stavano soccombendo all'attacco delle legioni di Roma, Pirro arrivò con un esercito di 25.000 uomini e 20 elefanti presentandosi come campione dell'Ellade contro l'avanzata dei barbari italici. Alcuni pensarono addirittura, in modo ottimistico, che egli avrebbe creato in Occidente un impero simile a quello che Alessandro aveva fondato in Oriente. L'attacco di Pirro a Roma fu, inizialmente, coronato da successo: la battaglia di Heraclea in Lucania contro le legioni guidate da Publio Valerio Levino fu vinta grazie agli elefanti, che i Romani non conoscevano ancora. Le perdite però furono elevate per entrambi i contendenti, tanto che Pirro inviò un ambasciatore a proporre la cessazione delle ostilità, ma la guerra continuò per l'azione di Appio Claudio Cieco e l'arrivo di una flotta cartaginese di 120 navi nel porto romano di Ostia, che ricordò ai Romani le clausole dei precedenti trattati di alleanza con la città punica. Scullard e Brizzi sostengono che Cartagine di fatto, offriva a Roma un aiuto militare (una flotta per bloccare Pirro) ed economico per continuare la guerra. Warmington aggiunge che la grande flotta, la maggiore che i Romani avessero mai visto prima d'ora, rafforzò il partito di coloro che non volevano cedere ad una pace con Pirro. Altro argomento assai persuasivo fu la consegna da parte dell'ammiraglio cartaginese, Magone, di un ricco dono in verghe d'argento, con il quale i Romani poterono pagare i rinforzi ricevuti dai loro alleati. Nel 279 a.C. una seconda grande battaglia ad Ausculum, sulle rive dell'Aufidus (battaglia di Ascoli di Puglia), vide la vittoria del re epirota sulle forze dei consoli Publio Sulpicio e Publio Decio Mure. Anche questa battaglia portò gravi perdite (3.500 soldati contro i 6.000 dei Romani), tanto da far diventare famose le "vittorie di Pirro", termine omologo a quello di Vittoria cadmea, in cui le perdite erano state così alte da essere in ultima analisi incolmabili, condannando l'esercito vincitore a perdere la guerra. Siracusa, in guerra permanente contro Cartagine, offrì al re dell'Epiro la corona di Sicilia per il figlio a patto che se l'andasse a conquistare, cacciando i Cartaginesi dall'isola. Pirro accettò di diventare campione della Grecia, dopo aver cercato di sbarazzarsi dei suoi impegni nell'Italia meridionale, stipulando forse un accordo con il console romano Fabrizio e pretendendo probabilmente per Taranto la sola immunità. Pirro partì quindi per l'avventura siciliana, riuscendo a cacciare i Cartaginesi fino al Lilibeo. L'alleanza tra Siracusa e Pirro costringerà Cartagine a rinnovare quella con Roma.

Aristarco di Samo in un dipinto del
- Nel 280 a.C. Aristarco di Samo (310 - 230 a.C. circa) elabora l'ipotesi di un sistema solare eliocentrico. Aristarco di Samo, isola greca dell'Egeo orientale, ubicata tra l'isola di Chio e le isole del Dodecaneso, è stato l'astronomo e fisico noto soprattutto per avere per primo introdotto una teoria astronomica nella quale il Sole e le stelle fisse sono immobili mentre la Terra ruota attorno al Sole, percorrendo una circonferenza. Della sua opera "Delle dimensioni e distanze di Sole e Luna" ci rimangono solo pochi frammenti ma sappiamo che Aristarco concordava con Eraclide Pontico nell'attribuire alla terra anche un moto di rotazione diurna attorno ad un asse inclinato rispetto al piano dell'orbita intorno al Sole, ipotesi che giustificava l'alternarsi delle stagioni. La migliore testimonianza dell’attribuzione ad Aristarco dell'ipotesi eliocentrica ci viene dall'"Arenario" di Archimede, dove narra che Aristarco riteneva che la Terra si muovesse intorno al Sole in un cerchio. L'obiezione che gli mossero i suoi contemporanei fu per quale motivo le stelle fisse non modificassero la propria posizione reciproca nel corso dell'anno, come avrebbero dovuto fare se la Terra fosse stata in movimento. Archimede riporta che Aristarco superò l'obiezione ipotizzando che la distanza tra la Terra e le stelle fisse fosse infinitamente maggiore del raggio dell'orbita annuale terrestre, così come in effetti è. Secondo Vitruvio, Aristarco ha inventato un tipo di orologio solare, la scafa. La teoria eliocentrica era stata rifiutata con forza un secolo prima da Platone e dal suo allievo Aristotele e fu respinta quattro secoli dopo Aristarco anche da Claudio Tolomeo, le cui concezioni dominarono incontrastate la tarda antichità e il medioevo. Plutarco scrisse che il filosofo stoico Cleante di Asso si auspicasse che Aristarco fosse condannato per empietà. Si suppone invece che la teoria di Aristarco fosse stata accettata nei primi secoli successivi alla sua esistenza, dato che Plinio il Vecchio e Seneca si riferiscono al moto retrogrado dei pianeti come a un fenomeno ottico e non reale, concezione più in linea con l'eliocentrismo che con il geocentrismo.

Nel 275 a.C. - Dopo la sconfitta di Maleventum (a cui verrà cambiato il nome in Beneventum), Pirro ritornò definitivamente in Epiro lasciando Roma padrona dell'intera penisola italica a sud dell'Appennino  tosco-emiliano. Quasi avesse intuito quello che di lì ad una decina d'anni sarebbe accaduto alle due potenze del Mediterraneo occidentale, esclamò: «Amici, lasciamo questa palestra a Cartaginesi e Romani.» (Plutarco, Pirro, 23.). Roma è egemone sull'intera Magna Grecia, prossima al controllo della tecnica  di costruzione  gestione delle navi e conscia della potenza delle proprie legioni, che non temevano più nemmeno gli elefanti. Non a caso la vittoria su Pirro diede a Roma un grande prestigio di fronte, non solo ai Tolomei d'Egitto che chiesero l'amicizia con il popolo romano, ma anche nei confronti dei re d'Oriente.


Cartina della penisola italica nel 272
a.C. con l'estensione dei territori della
Repubblica di Roma in rosso, e il limite
settentrionale fissato dai fiumi Magra
e Rubicone. In blu sono segnalati i
territori controllati da Cartagine.
Nel 272 a.C. - Roma, avendo completato la  conquista dell'Italia centrale e meridionale, mentre a nord, nella Gallia Cisalpina, sono stanziati Liguri, Celti e Veneti, fissa i propri confini settentrionali nei fiumi Magra e Rubicone. La politica romana del periodo repubblicano è stata quella dell'integrazione; pur gestendo le risorse nei territori conquistati necessitava di contingenti militari alleati.
Carta geografica della Gallia Cisalpina.
Popolazioni Liguri, Etrusche, Celtoliguri
(Celto-Ligi) e Celtiche nel Centro-Nord
italico attorno al 300 a.C..
Le colonie degli italici e dei greci italioti (i Socii, "alleati") avevano dei patti con Roma: in cambio dell'autonomia locale, fornivano contingenti militari a Roma. Si verificava così che nelle legioni romane, gli ausiliari (perlopiù italici, poiché gli alleati greci fornivano navi e marinai) erano in maggior numero che i  romani. Inoltre la frequentazione delle legioni imponeva la conoscenza del latino, anche scritto (alcuni ordini erano trasmessi per iscritto). Addirittura negli accampamenti fortificati delle legioni, il console, che era il comandante supremo, era vicino agli alloggi degli alleati, e quindi protetto dalle eventuali trame o tradimenti che i romani avrebbero potuto intentare. Nei territori di confine i romani fondavano colonie che presidiavano il territorio, conferendo agli abitanti la cittadinanza romana. Le colonie latine formate da cittadini romani invece, perdevano la cittadinanza romana, per assumere lo status di alleati. 

Carta della prima e seconda guerra punica, le battaglie
navali della prima e quelle terrestri della seconda, le
espansioni di Roma e Cartagine e i percorsi di
Annibale e di Scipione nella seconda guerra punica.
Nel 264 a.C. - Inizia la prima guerra punica fra Roma e Cartagine ed è dalla Sicilia che giunge il casus belli. Nel 288 a.C. i Mamertini ("figli di Mamerte" o Mamers), un gruppo di mercenari italici della Campania originariamente al servizio di Agatocle, tiranno di Siracusa, rimasti senza un signore alla morte di quest'ultimo avvenuta l'anno prima, avevano occupato la città di Messana (la moderna Messina) uccidendo tutti gli uomini e prendendone le donne. Nel 280 a.C., la vittoria di Pirro sui romani nella battaglia di Eraclea aveva portato le popolazioni italiche a ritenere possibile la sconfitta di Roma e in alcuni casi a ribellarsi ad essa. La guarnigione romana di Rhegium (l'attuale Reggio Calabria) costituita da soldati campani, pensò di prevenire una sollevazione della popolazione e senza aver ricevuto disposizioni in tal senso, fece strage degli uomini, impossessandosi anche in questo caso dei beni e delle donne. Sconfitto Pirro nella battaglia di Maleventum del 275 a.C., i romani nel 270 a.C. decisero di riprendere Rhegium alla loro guarnigione ribelle. Il console Gneo Cornelio Blasione pose l'assedio alla città, aiutato dalla flotta siracusana e quando la guarnigione si arrese dopo una strenua difesa, deportò a Roma i sopravvissuti tra i 4000 che dieci anni prima avevano preso la città che furono fustigati e decapitati. Intanto in Sicilia i Mamertini saccheggiavano il territorio circostante Messana scontrandosi col regno siceliota indipendente di Siracusa, che controllava ormai solo l'estrema propaggine sud-orientale della Sicilia, limitato ad ovest dal fiume Salso e a nord dal Fiume Alcantara e dai Monti Nebrodi. Gerone II di Siracusa, divenuto tiranno e Basileus di Sicilia quello stesso anno (270 a.C.), si scontrò con i Mamertini vicino a Mylae, l'odierna Milazzo, sconfiggendoli nella battaglia presso il fiume che lo storico Polibio nelle sue "Storie" chiama "Longanus", nei "Campi Milesi" e alla sconfitta seguì la presa di Milazzo. I Mamertini dopo il rovescio  si rivolsero a Roma e Cartagine per ottenere assistenza militare. La prima a rispondere alla richiesta fu Cartagine, che contattò il rivale Gerone per ottenere la cessazione di ulteriori azioni e nello stesso tempo convinse i Mamertini ad accettare una guarnigione cartaginese a Messana. Forse non contenti della prospettiva di dover accogliere truppe cartaginesi in città o forse convinti che la recente alleanza tra Roma e Cartagine contro Pirro confermasse l'esistenza di relazioni cordiali tra le due potenze, i Mamertini chiesero di allearsi anche con Roma per avere una protezione più affidabile. Roma, impegnata nella pacificazione dei territori conquistati e all'inizio dell'espansione nella Pianura Padana, in Gallia Cisalpina, era riluttante a impegnarsi in Sicilia. Secondo lo storico Polibio, vi fu un vasto dibattito a Roma per decidere se accettare la richiesta dei Mamertini, andando contro al trattato del 306 a.C. che vietava gli interventi di Roma in Sicilia o andare in aiuto di soldati che ingiustamente avevano rubato una città ai legittimi proprietari, cosa recentemente punita nel caso di Rhegium. Probabilmente vedere Cartagine a poche miglia dalle coste del Bruttium appena conquistato, dovette creare qualche apprensione nel Senato romano e la questione venne rimessa all'assemblea popolare in cui maggior voce in capitolo aveva la parte mercantile e popolare di Roma, che era interessata al possibile controllo delle ricchezze e delle scorte di grano in Sicilia (isola già nota per le sue risorse), nonché alla possibilità di fondare colonie per aprire nuovi mercati e allentare la pressione sociale e demografica nella capitale. Così in assemblea fu deciso di accettare la richiesta dei Mamertini. Venne posto il console Appio Claudio Caudice a capo di una spedizione militare con l'ordine di attraversare lo stretto di Messina, cosa che avvenne nel 264 a.C., andando contro al trattato del 306 a.C. che vietava gli interventi di Roma in Sicilia. Cartagine allora dichiarò guerra a Roma, alleandosi con la sua nemica storica, Siracusa. La maggior parte della prima guerra punica, comprese le battaglie più decisive, fu combattuta in mare, un ambito ben noto alle flotte cartaginesi ed entrambi i contendenti dovettero investire pesantemente nell'allestimento delle flotte e questo diede fondo alle finanze pubbliche di Cartagine. All'inizio della guerra Roma non aveva nessuna esperienza di guerra navale. Le sue legioni erano vittoriose da secoli nelle terre italiche ma non esisteva una Marina (la prima grande flotta fu costruita dopo la Battaglia di Agrigento del 261 a.C.. Roma del resto mancava della tecnologia navale e quindi dovette allestire una flotta basandosi sulle triremi e quinqueremi (navi che avevano ordini di due o tre remi e ciascun remo era manovrato da più rematori) cartaginesi catturate. Per compensare la mancanza di esperienza in battaglie con le navi, Roma equipaggiò le sue con uno speciale congegno d'abbordaggio: il corvo, che agganciava la nave nemica e permetteva alla fanteria, trasbordando, di combattere come sapeva fare. In almeno tre occasioni (255 a.C., 253 a.C. e 249 a.C.), intere flotte furono distrutte dal maltempo o dal peso dei corvi sulle prore delle navi. Sono state tre le battaglie terrestri di larga scala combattute durante questa guerra. Nel 262 a.C. Roma assediò Agrigento in un'operazione che coinvolse entrambi gli eserciti consolari (quattro legioni). Giunsero rinforzi cartaginesi guidati da Annone e dopo alcune schermaglie si venne a una vera battaglia che fu vinta dai Romani ed Agrigento cadde. La seconda operazione terrestre fu quella di Marco Attilio Regolo quando, fra il 256 a.C. e il 255 a.C. Roma portò la guerra in Africa. Cartagine era stata sconfitta nella Battaglia di Capo Ecnomo da una grande flotta romana appositamente approntata, che aveva consentito alle legioni di Attilio Regolo di sbarcare in Africa. All'inizio Regolo vinse la battaglia di Adys e Cartagine chiese la pace, ma i negoziati tuttavia fallirono e Cartagine, assunto il mercenario spartano Santippo, riuscì a fermare l'avanzata romana nella battaglia di Tunisi. La guerra fu decisa nella battaglia delle Isole Egadi (il 10 marzo 241 a.C.) vinta dalla flotta romana sotto la guida del console Gaio Lutazio Catulo. Parte del relitto di una nave punica affondata in questa guerra è conservata nel Museo archeologico Baglio Anselmi di Marsala. Il conflitto si concluderà con la vittoria di Roma nel 241 a.C. e con il suo controllo sulla Sicilia. Il destino dei Galli cisalpini si decise così quando legarono la propria sorte a Cartagine, che si opponeva alla nascente potenza militare di Roma, alleandosi con essa fin dal 263 a.C..
- L'origine dei giochi gladiatori è oggetto di discussione. Alcuni, fondandosi soprattutto su fonti letterarie, ritengono che essi discendano dal costume etrusco di offrire sacrifici umani per celebrare la morte di un nobile, allo scopo di pacificare lo spirito del defunto. Lo storico romano Livio, al contrario, e molti studiosi di oggi, affermano che i giochi si originarono in Campania (ove in effetti vi sono molti dipinti funerari che raffigurano scene di duelli e corse di carri). Altri ancora invece ritengono che i giochi siano originari del Sannio, poiché i primi gladiatori usavano le tradizionali armi sannite. E' accertato che all'inizio i giochi gladiatori erano collegati alla religione e alla magia. La prima testimonianza di un combattimento tra gladiatori risale al 264 a.C., quando i figli di Bruto Pera offrono questo spettacolo per onorare la memoria del padre. L'ultimo combattimento nel Colosseo è registrato nel 438 d.C., anno in cui i giochi sono aboliti dall'imperatore  Valentiniano III.

- Dal III secolo a.C. i Romani, avendo avuto ragione degli Etruschi e integrato i loro territori, si trovarono a diretto contatto con i Liguri. L'espansionismo romano puntava verso i ricchi territori della Gallia e della penisola iberica (allora sotto il controllo cartaginese) e il territorio ligure era il percorso per accedervi (i Liguri controllavano le coste liguri e le Alpi meridionali). All'inizio i Romani ebbero un atteggiamento piuttosto accondiscendente poiché il territorio dei Liguri era considerato povero, mentre la fama dei suoi guerrieri era nota (li avevano già incontrati in qualità di mercenari), inoltre erano già impegnati nella prima guerra punica e non erano intenzionati ad aprire nuovi fronti; pertanto cercarono innanzitutto di farseli alleati. Nonostante i loro sforzi, solo poche tribù liguri fecero con i Romani accordi di alleanza (famosa l'alleanza con i Genuati), mentre gli altri si dimostrarono ostili.

Sàrmati, che come gli Sciti facevano parte della famiglia linguistica iranica (indoeuropea), di  cultura e religione persiana, dai loro territori d'origine (le steppe lungo il Volga, le regioni pedemontane degli Urali meridionali e la steppa del Kazakistan occidentale), a causa di continui scontri con i Battriani, Parti e Sogdiani, in diversi periodi e a diverse ondate, si erano spinti verso occidente. Si suddividevano in quattro ceppi.
- I Roxolani, che si insediarono nei territori occupati dagli Sciti a nord e a nord ovest del Mar Nero tra il III secolo a.C. e il II d.C., stabilendo con loro un rapporto di alleanza fino a quando li assoggettarono.
- Gli Iazigi, che si insediarono nei territori a ovest dei Daci, a sud dei Germani e sia a est che a nord del Danubio tra il III secolo a.C. e il II d.C..
- Gli Aorsi, che probabilmente si stanziarono nei pressi del Bosforo a sud-est degli Alani.
- Gli Alani, che si insediarono ad est del Mar Nero, a nord del Caucaso, descritti dai Romani come   allevatori di cavalli. Furono la popolazione sarmatica di più lunga durata, in parte si convertirono al cristianesimo ortodosso nel IX secolo, combatterono contro i Mongoli prima, e accanto ad essi poi (una serie di tombe, forse di guerrieri Alani cristiani è stata rinvenuta in una necropoli mongola in Corea); gli Alani rimasti si stabilirono sul caucaso occidentale, dove subirono una più o meno forte influenza turca ed islamica nel XIV-XVII secolo, e poi un processo di parziale russificazione tra il tardo '700 e i giorni nostri. Attualmente sono noti come Osseti.

Nel 249 a.C. - I Celti Boi chiamarono in soccorso i Galli transalpini, innescando una nuova crisi che si concluderà nel 225 a.C., l'anno in cui si registra l'ultima invasione gallica dell'Italia. Quell'anno, infatti, cinquantamila fanti e venticinquemila cavalieri Celti varcarono le Alpi in aiuto dei Galli cisalpini (si trattava di una coalizione di Celti Insubri, Boi e Gesati), e se prima riuscirono a battere i Romani presso Fiesole, vennero poi sconfitti e massacrati dalle armate romane nella battaglia di Talamone (a nord di Orbetello), spianando così a Roma la strada per la conquista della pianura padana.

Nel 241 a.C. - Il primo conflitto fra Roma e Cartagine si conclude con la vittoria di Roma e il suo conseguente controllo sulla Sicilia.

Eratostene di Cirene.
Nel 240 a.C. Eratostene, che nacque a Cirene, la Bengasi dell’odierna Libia, nel 276 e visse fino al 194 a.C., dopo essere stato tutore del figlio del re d’Egitto, venne nominato a dirigere la Biblioteca di Alessandria, che veniva chiamata  Mouseion, essendo appunto il tempio delle muse. I commentatori moderni hanno espresso il loro stupore per il fatto che il suo ingegno sembra non aver goduto presso i suoi contemporanei la fama che oggi invece gli viene riconosciuta (uno dei suoi soprannomi era Beta, e un altro sembra sia stato Pentathlos, con riferimento a quegli atleti che si distinguono in diverse specialità, senza primeggiare in una in particolare). 

Mediterraneo occidentale nel 226 a.C.
dopo la prima guerra illirica (230-229
a.C.), l'avanzata cartaginese fino
all'Ebro e l'alleanza romana con
Cenomani e Veneti in Pianura
Padana. Di Cristiano64, questo file
deriva da: West Mediterranean sea
topographic map.svgPethrus-
Opera propria, CC BY-SA 3.0,
Nel 238 a.C. - Le ostilità contro Roma da parte delle popolazioni della Gallia Cisalpina sono aperte da una coalizione di Liguri e di Galli Boi, ma i due popoli si trovarono ben presto in disaccordo e la campagna militare si arrestò con lo sciogliersi dell'alleanza. In seguito una flotta romana comandata da Quinto Fabio Massimo sbaragliò navi liguri (probabilmente pirati) lungo la costa ligure (234-233 a.C.), permettendo ai Romani il controllo della  rotta costiera da e per la Gallia

Dal 225 a.C. - Con gli scontri di Talamone (225 a.C.) e di Clastidium (Casteggio, 222 a.C.) il sogno della grande Gallia Cisalpina unita nel dominio celtico, termina  definitivamente. A Talamone, una coalizione di Celti Insubri, Gesati, Boi e Taurini si immola in una gloriosa ma inutile resistenza, troppo presi dal loro ardore per contrastare la gelida efficienza bellica romana. Per la prima volta l'esercito romano poteva spingersi oltre il Po, dilagando in Gallia Transpadana: la battaglia di Clastidio (l'odierna Casteggio), nel 222 a.C., valse a Roma la presa della capitale insubre di Mediolanum (Milano) e costringendo gli Insubri a tentare una resistenza disperata fuggendo sulle montagne, per non perire assieme alla loro capitale. Per consolidare il proprio dominio Roma crea le colonie di Placentia, nel territorio dei Boi, e Cremona in quello degli Insubri.
Carta del III sec. a.C. con la 
distribuzione delle varie tribù
Celtiche e la loro fusione 
con Liguri e Iberici.
Il destino dei Galli cisalpini si era deciso da quando avevano legato la propria sorte allo svolgimento dei conflitti punici che vedevano Roma opporsi alla potenza militare di Cartagine. I Celti si errano schierati con quest'ultima fin dal 263 a.C., contribuendo in modo determinante all'impresa di Annibale iniziata nel 221 a.C. con la campagna di Spagna e culminata nel 218 a.C. con la battaglia di Canne.
Carta con l'incursione a
Telamon (Talamone) da
parte delle popolazioni Celtiche
e Celto-liguri degli Insubri,
Gesati, Boi e Taurini che furono
sconfitti nel 225 a.C. dai
Romani.
Già dal 243 a.C. i Celti della Pianura Padana avevano cercato, forse per una sorte di premonizione, l'appoggio dei fratelli d'oltralpe nel tentativo di opporsi in modo solidale alla minaccia espansionistica romana. Le soliti liti e faide interne impedirono che l'alleanza si realizzasse.
Piegati i Celti della Gallia Cisalpina, i Romani si dedicarono alla disfatta ed all'annientamento di quella che era considerata la più potente fra le nazioni celtiche stanziate al di sotto del fiume Po, i Boi.

Archimede.
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Nel 220  a.C. -  Archimede scopre le leggi di galleggiamento dei corpi immersi nell'acqua. Archimede, nato a Siracusa intorno al 290 a.C. e morto nella stessa città in seguito al saccheggio della stessa nel 212 a.C. da parte dell’esercito romano, fu probabilmente il primo ingegnere della storia, l'arguto matematico che determinò come calcolare il volume della sfera e fu autore anche di un’opera astronomica, oggi perduta, sulla costruzione della sfera, nella quale erano dati i principi per la costruzione delle sfere armillari che venivano utilizzate sia come strumenti didattici per l’insegnamento dell’astronomia, che come veri e propri strumenti per osservazioni astronomiche (misurazione di coordinate stellari, notoriamente le longitudini e le latitudini). Sappiamo ciò da Cicerone, che nel secolo I a.C. scrisse di due "sfere", costruite da Archimede, che erano state portate a Roma dal console Marcello come parte del bottino in seguito alla conquista della città di Siracusa, nel 212 a.C. Cicerone dice che una delle sfere era solida e portava dipinte le stelle. Essa venne posta nel tempio della Virtù. Tali sfere solide erano sicuramente precedenti il tempo di Archimede di alcuni secoli. Cicerone dice (non si sa su quali basi) che alcune erano state costruite da Talete ed Eudosso. La seconda sfera se la tenne Marcello, quale bottino personale. Si trattava di una struttura molto più complessa, un modello meccanico di planetario, che mostrava i moti di Sole, Luna, pianeti, così come venivano visti dalla Terra. Cicerone scrive che Archimede doveva essere uomo di grande ingegno per aver prodotto un'opera simile. Altri scrittori classici confermano questa testimonianza di Cicerone.

Apollonio di Perga.
- In quei tempi visse anche Apollonio di Perga, dal 262 al 190 a.C. circa. Era noto nell’antichità come “il grande geometra”. Ebbe una grande influenza sullo sviluppo della matematica, specialmente per la sua opera più famosa, "Le coniche", in cui introdusse termini matematici quali ellisse, parabola, iperbole, che continuano ad essere usati. Degli otto libri di cui era costituita l’opera, i primi quattro dell’edizione greca sono giunti fino a noi (naturalmente attraverso copie), mentre di una traduzione araba ci sono pervenuti i primi sette. Si ritiene generalmente che la maggior parte delle nozioni contenute nei primi quattro libri fosse nota ad alcuni predecessori di Apollonio, tra cui Euclide. I contributi originali di Apollonio si hanno nei rimanenti libri. Pappo dà alcune indicazioni sui contenuti di altre sei opere di Apollonio, sempre di argomenti matematici e geometrici. Ma ad Apollonio è attribuito il merito di avere fatto conseguire notevoli progressi all’astronomia matematica. Tolomeo dice nell’Almagesto che Apollonio introdusse le costruzioni geometriche degli epicicli e degli eccentri per spiegare le anomalie dei moti planetari. Secondo la terminologia introdotta dai matematici greci, si usavano le parole anomalia o anche inegualità per indicare qualunque irregolarità nei moti dei corpi celesti, rispetto al consacrato moto angolare uniforme e circolare. La scoperta dell’anomalia solare risale talmente indietro nel tempo che è impossibile datare la sua scoperta. E‘ difficile pensare che uomini della levatura di Talete o di Anassimandro non abbiano meditato su di essa. Quanto ai Pitagorici, non ci sarebbe da meravigliarsi se, inorriditi, l’abbiano semplicemente rimossa. Quando l’evidenza delle osservazioni mostrò inequivocabilmente che anche per i pianeti si aveva un’anomalia, venne d’uso attribuirle il nome di anomalia zodiacale (velocità angolari diverse manifestate da Sole e pianeti in diverse parti  dello zodiaco). Constatando che i pianeti manifestavano una anomalia tutta loro particolare (le retrogradazioni), a quest'altra irregolarità si attribuì il termine di seconda anomalia (e di conseguenza venne chiamata talvolta prima anomalia l’anomalia zodiacale).

La via Flaminia romana dalla Tabula Peutingheriana, da: 
Dal 220 a.C. - Per consentire ai propri eserciti un rapido accesso alla Gallia Cisalpina, al fine di conquistarla, Roma costruisce la via Flaminia, che la collega a Fano e Rimini. L'Italia Settentrionale era conosciuta dai Romani durante l'epoca repubblicana come Gallia Cisalpina. La Gallia Cisalpina comprendeva la Pianura Padana, di gran lunga la più grande pianura fertile della penisola italica e perciò il più ampio territorio coltivabile d'Italia. Conquistando quest'area i Romani avrebbero avuto l'opportunità di accrescere enormemente la propria popolazione e le proprie risorse economiche. I Romani sottomisero i Galli della Pianura Padana attraverso una serie di campagne militari alla fine del III secolo a.C. La costruzione di una via militare che collegasse Roma a Fano e Rimini per consentire all'esercito il rapido accesso alla futura regio VIII Aemilia, fu completata già nel 220 a.C. (via Flaminia) mentre la via Emilia sarebbe stata completata nel 187 a.C. l'espansione romana fu infatti ritardata di circa venti anni a causa della seconda guerra punica. Con l'invasione dell'Italia da parte dei cartaginesi guidati da Annibale (218-203 a.C.) Roma perse il controllo della Pianura Padana.

- Nell'intervallo di tempo fra la prima e la seconda guerra punica, Cartagine dovette subire e reprimere una rivolta delle truppe mercenarie che aveva impiegato. La rivolta era dovuta all'impossibilità dei punici di pagare le truppe stesse alla fine del conflitto. Dopo tre anni di battaglie i mercenari furono sgominati e Cartagine poté riprendere il suo percorso per riconquistare il vigore economico precedente, cercando di compensare le perdite economiche subite con la prima guerra punica grazie una sistematica penetrazione in Spagna, diretta da Amilcare Barca e poi da Asdrubale (il genero). Dopo acerrime lotte politiche fra le due principali fazioni cittadine, Amilcare Barca, padre di Annibale e capostipite dei cosiddetti Barcidi, partì per la Spagna con un piccolo esercito di mercenari e cittadini punici. Dopo aver perso isole fra cui la Sicilia, i cartaginesi cercavano una riscossa nel Mediterraneo e fonti di ricchezza per pagare le forti indennità di guerra dovute a Roma. Amilcare marciò per tutta la costa del Nordafrica e buona parte della costa spagnola sottomettendone molte popolazioni e alla sua morte fu sostituito dal genero Asdrubale che consolidò le conquiste fatte, fondò la città di Carthago Nova (oggi Cartagena) e stipulò un trattato con Roma che poneva i limiti dell'espansione punica in Iberia a sud del fiume Ebro. Quando anche Asdrubale fu ucciso, l'esercito scelse come capo Annibale, ancora ventisettenne. Cartagine accettò la designazione e dopo due anni, Annibale decise di portare la guerra in Italia, scatenando la seconda guerra punica.


Cartina della seconda guerra punica
con itinerari e date di Annibale e
Asdrubale e le principali battaglie.
Nel 218 a.C. Seconda guerra punica fra Roma e Cartagine, con l'invasione dell'Italia da parte di Annibale Barca (Cartagine, 247 a.C. - Libyssa, 183 a.C.) e del fratello Magone, figli di Amilcare Barca, (Barca in cartaginese significava "folgore") che era stato il comandante supremo dell'esercito cartaginese. Annibale valicò, con un'esercito e degli elefanti, le Alpi occidentali, per cogliere Roma alle spalle. Probabilmente gli elefanti morirono quasi tutti nell'attraversamento delle Alpi ma Annibale, disponendo fra l'altro di pochi uomini rispetto alle legioni romane, contava sulla sollevazione delle popolazioni sottomesse da Roma sul suolo italico, Liguri, Celti, Greci e Sanniti numerosi alleati di Roma contro Roma stessa, infatti Liguri Celti si allearono a lui, e così fece Capua, che fu poi punita con la distruzione. Le tribù Liguri ebbero atteggiamenti differenti: una parte (le tribù del ponente, quelle apuane e appenniniche) si allearono con i cartaginesi, fornendo soldati alle truppe di Annibale mentre un'altra parte (i genuati, le tribù del levante e i Taurini) si schierarono in appoggio ai Romani. Annibale, appena superate le Alpi, attaccò i Taurini (218 a.C.) e distrusse la loro capitale.
Annibale Barca
(Barca in cartaginese
significava Folgore).
 I Liguri pro-cartagine parteciparono alla battaglia della Trebbia, in cui i cartaginesi ottennero la vittoria. Celti e Liguri della Gallia Cisalpina (l'Italia settentrionale) furono fondamentali nelle vittorie di Annibale al Trasimeno (217 a.C.) e a Canne (216 a.C.). I Boi riuscirono, inoltre, a battere i Romani nell'agguato della Selva Litana. Invece, anche popolazioni da poco romanizzate, che potessero covare rancori, come i Sanniti, tennero fede all'alleanza con Roma, segnalando così che la politica di integrazione nei loro confronti, aveva dato ai romani buoni frutti e probabili vantaggi ai Sanniti. Altri Liguri si arruolarono nell'esercito di Asdrubale, quando questi calò in Italia (207 a.C.), nel tentativo di ricongiungersi con le truppe del fratello Annibale.
Antica bireme Romana con rostro.
Nel porto di Savo (l'attuale Savona), allora capitale dei Liguri Sabazi, trovarono riparo le navi triremi della flotta cartaginese del generale Magone Barca, fratello di Annibale, destinate a tagliare le rotte commerciali romane nel mar Tirreno. Nel 205 a.C., Genua fu attaccata e rasa al suolo da Magone. Con il rovesciamento delle sorti della Seconda Guerra Punica, ritroviamo Magone (203 a.C.) tra i Liguri Ingauni, a tentare di bloccare l'avanzata romana: subì una grave sconfitta che gli costò anche la vita; nello stesso anno venne riedificata Genua. Truppe liguri sono ancora presenti, come truppa scelta di Annibale, alla battaglia di Zama, che decreterà la sconfitta di Cartagine con la vittoria di Scipione, nel 202 a.C. Si dirà poi che Annibale, pur avendo vinto tutte le battaglie aveva perso la guerra. Annibale, marciando dalla Spagna, attraverso i Pirenei, la Provenza e le Alpi, era sceso in Italia, dove aveva sconfitto, insieme a Liguri e Celti, le legioni romane in quattro battaglie principali: battaglia del Ticino (218 a.C.), battaglia della Trebbia (218 a.C.), battaglia del Lago Trasimeno (217 a.C.) e battaglia di Canne (216 a.C.), oltre ad altri scontri minori.
Cartina della prima e seconda guerra
punica con gli itinerari di Annibale,
Asdrubale e Magone, Gneo e Publio
Scipione e le principali battaglie,
anche in Spagna.
Dopo la battaglia di Canne però, i Romani avevano rifiutato lo scontro diretto e gradualmente avevano riconquistato i territori del sud Italia di cui avevano perso il controllo. La Seconda guerra punica terminò con l'attacco romano a Cartagine, che costrinse Annibale al ritorno in Africa nel 204 a.C., dove fu definitivamente sconfitto nella Battaglia di Zama, nel 202 a.C. La grande capacità tattica di Annibale aveva messo in crisi l'esercito romano. Le sue manovre imprevedibili, repentine, affidate soprattutto alle ali di cavalleria cartaginese e numidica, avevano distrutto numerosi eserciti romani accorrenti, anche se superiori nel numero dei loro componenti, come era avvenuto soprattutto nella battaglia di Canne dove perirono 50.000 Romani. Questo portò ad una rielaborazione della tattica legionaria, ma soprattutto all'impiego di contingenti di cavalleria di regni alleati, come avvenne con Scipione Africano nella battaglia di Zama del 202 a.C., dove l'esercito romano (unitamente a 4.000 cavalieri alleati numidi, comandati da Massinissa) riuscì a battere in modo definitivo le forze cartaginesi di Annibale. Dopo la fine della guerra, Annibale governò Cartagine per parecchi anni, cercando di ripararne le devastazioni, fino a quando i Romani non lo forzarono all'esilio, nel 195 a.C., presso il re seleucide Antioco III di Siria dove continuò a propugnare guerre contro Roma fino a quando, nel 189 a.C., con la sconfitta di Antioco III da parte romana, Annibale dovette ricominciare la fuga, questa volta presso il re Prusia I in Bitinia. Quando i Romani chiesero a Prusia la sua consegna, Annibale preferì suicidarsi; era il 182 a.C.. Annibale è considerato uno dei più grandi generali della storia. Polibio, suo contemporaneo, lo paragonava a Publio Cornelio Scipione Africano; altri lo hanno accostato ad Alessandro Magno, Giulio Cesare e Napoleone.

Nel 210 a.C. - Nell'ambito della seconda Guerra Punica si combatte la seconda battaglia di  Erdonia, l'attuale Ordona (FG). La città di Erdonia era già stata teatro di una sconfitta romana nel 212 a.C., quando due anni dopo i romani provarono a riconquistarla. Annibale, che aveva invaso l'Italia ormai da otto anni, accerchiò e distrusse l'esercito romano. Dopo le continue sconfitte di Roma (su tutte, la Battaglia di Canne, ma anche quelle del lago Trasimeno e della Trebbia), la fedeltà degli alleati italici di Roma aveva iniziato a vacillare. Oltre ai Sanniti, ai Lucani, ai Greci del Sud Italia, anche in Apulia sorgevano le prime ribellioni. La pesante disfatta ebbe infatti ripercussioni fra Roma e i suoi  gli alleati italici, che sembrarono sul punto di lasciarla a suo destino, viste le continue sconfitte di cui era stata vittima nel giro di pochi anni. I Romani però tennero duro e nel giro di tre anni riuscirono ad intrappolare Annibale nella parte sud-occidentale della penisola, riconquistando i territori persi e punendo le città italiche che avevano collaborato con l'invasore cartaginese.

Cartina con in verde i territori della Repubblica di
Roma nel 201 a.C. e in arancio quelli conquistati
dal 201 al 146 a.C..
Nel 206 a.C. Roma conquista l'Hispania (Spagna centrale e Portogallo). Espulsi i Cartaginesi dalla Spagna nel corso della seconda guerra punica, Roma vi fonda la nuova provincia e inizia una lenta occupazione della penisola che si prolunga per buona parte del II secolo a.C., fra rivolte e azioni di conquista che comportano i frequenti invii di eserciti, guidati da consoli. Nei primi decenni dell'occupazione infatti, i romani si trovarono di fronte alla guerriglia scatenata dal capo lusitano Viriato, che culminerà con la presa della città celtibera di Numanzia nel 133 a.C.

Nel 203 a.C.Trattato di non belligeranza fra Roma e Liguri Ingauni e del resto del ponente ligure. Con lo scoppio della seconda guerra punica (218 a.C.) le tribù Liguri avevano avuto atteggiamenti differenti:una parte (le tribù del ponente, quelle apuane e appenniniche) si erano alleate con i cartaginesi, fornendo soldati alle truppe di Annibale quando giunse in nord-Italia (speravano così che il generale cartaginese li liberasse dal vicino romano) mentre un'altra parte (i Genuati, le tribù del levante e i Taurini) si erano schierate in appoggio ai Romani. Da http://nuovotuttosapere.altervista.org/la-conquista-romana-dellattuale-liguria/?doing_wp_cron=1585053063.0515789985656738281250 preso da Cultura-Barocca  http://www.cultura-barocca.com/ ma modificato: "Benché Annibale nel 218 a.C., durante la II guerra punica, fosse entrato in Italia per altri valichi, ai Romani non sfuggiva l’importanza della via costiera della Liguria. Gli Ingauni possedevano un territorio molto vasto, che dal mare raggiungeva le valli della Bormida e del Tanaro e penetrava in area pedemontana, mentre il territorio intemelio rappresentava un passaggio obbligato per qualsiasi esercito che dovesse dovuto raggiungere la Gallia Narbonese, che diventerà Provincia (da cui Provenza) nel 121 a.C., senza valicare le Alpi. Oltre a tutto ciò i Liguri, con la loro attitudine alla pirateria, potevano sempre disturbare i traffici, sia militari che mercantili, di chi attraversasse vie, sia terrestri che marittime, soggette al loro controllo: per questo Roma affidò a due duumviri navales il compito, non semplice, di domare queste scorrerie piratesche. Scontri militari fra Romani e popolazioni liguri si erano verificate anche prima del conflitto annibalico, ma in quell'occasione, per un’antica alleanza coi Cartaginesi, scesero in campo contro la maggiore potenza italica, molte genti costiere del territorio compreso tra Vada Sabatia [Vado Ligure (IM)], centro dei Liguri Sabazi ed Albintimilium [Ventimiglia (IM)], centro dei Liguri Intemelii, ad infoltire le truppe di Magone, fratello di Annibale, tra il 205 ed il 203 a.C.. Inoltre agli Ingauni, in cambio della promessa di fornirgli truppe ausiliarie, Magone fece il non trascurabile favore di infliggere pesanti sconfitte a Montani ed Epanterii, i rozzi liguri dell’interno, che saccheggiavano spesso il territorio ingauno. La sconfitta di Magone da parte del Pretore Publio Quintilio Varo nel 203 a.C. costrinse i Liguri, ed in particolare gli Ingauni, a stipulare una serie di trattati coi Romani per il timore di rappresaglie, viste le precedenti alleanze con i Cartaginesi. Lo storico Romano Tito Livio (Patavium, 59 a.C. - Patavium, 17) menziona un trattato di non belligeranza che appare esteso alla sola Albingaunum, ma ciononostante è da credere, visto il peso politico degli Ingauni, che quel trattato di non belligeranza si ritenesse esteso a tutte le genti del ponente ligure."

Nel 201 a.C. - Con la vittoria di Scipione, detto poi l'Africano, a Zama, termina con la vittoria di Roma la seconda Guerra Punica. Fino al 200 a.C., l'esercito repubblicano non era costituito da forze militari professionali ma al contrario si provvedeva ad una leva annuale attraverso la coscrizione obbligatoria, come richiesto per ogni campagna miliare stagionale, per poi  congedare tutti al termine della stessa (alcune unità potevano essere mantenute durante l'inverno). Per far parte dell’esercito romano si doveva avere un reddito (censo) che permettesse di pagarsi gli armamenti e i più numerosi componenti dell'esercito erano gli allevatori e i piccoli proprietari terrieri. Durante la seconda guerra punica Polibio stima che i cittadini romani iuniores (17-46 anni), escludendo gli alleati italici, fossero circa 231.000 nel 225 a.C., prima dell'inizio della guerra e dopo gli anni compresi tra il 218 e il 206 a.C. ne rimasero 180.000, di cui almeno 100.000 furono utilizzati continuativamente in Italia e nelle province nel periodo 214-203 (con un picco di 120.000) e altri circa 15.000 servirono nella flotta romana. Le nuove reclute che raggiugevano l'età minima, erano pareggiate dalle perdite subite durante la guerra, i due terzi degli iuniores prestarono in modo continuativo servizio durante la guerra. Quelli che furono lasciati a produrre cibo per sfamare le armate, risultarono appena sufficienti. Anche allora, furono spesso necessarie misure di emergenza per trovare un numero sufficiente di reclute. Livio dice che, dopo Canne, il censo minimo per il servizio legionario fu in gran parte ignorato. Inoltre, il normale divieto di arruolare nelle legioni, criminali, debitori e schiavi, venne revocato. Due volte la classe benestante fu costretta a contribuire con i propri schiavi per gli equipaggi delle flotte e per due volte anche i minorenni vennero arruolati nell'esercito. Dopo la battaglia di Canne, a causa della penuria dei soldati, vennero arruolati 8.000 servi. Quindi al termine della seconda guerra punica vi fu una nuova riduzione del censo minimo richiesto per passare dalla condizione di proletarii (o capite censi) ad adsidui, ovvero per prestare il servizio militare all'interno delle cinque classi, come aveva stabilito nel VI secolo a.C., Servio Tullio. Si era, infatti, passati nel corso di tre secoli da un censo minimo di 11.000 assi ai 4.000 degli anni 214-212 a.C. (pari alle 400 dracme argentee di Polibio alla fine del III secolo a.C.) fino ai 1.500 assi riportati da Cicerone e databili agli anni 133-123 a.C., a testimonianza di una lenta e graduale proletarizzazione dell'esercito romano, alla continua ricerca di armati, in funzione delle nuove conquiste nel Mediterraneo; molti dei proletari ex nullatenenti erano stati nominalmente ammessi tra gli adsidui.

- La presenza di eunuchi nell'antica Roma divenne sempre più frequente con l'espandersi delle conquiste romane nel Mediterraneo e con l'assimilazione delle culture e religiosità orientali come il culto della dea Cibele. A Roma questo culto fu agli inizi malvisto per il suo carattere orgiastico ma successivamente invece, la dea divenne una delle divinità protettrici di Roma in quanto le si attribuiva il fatto di aver distolto Annibale dall'invadere la città nel 204 a.C. Da quell'anno si tennero sempre grandi celebrazioni in onore della dea durante le quali i sacerdoti castrati (chiamati galli) e i fedeli si flagellavano, le donne si amputavano i seni e gli uomini si eviravano.

Dal 200 a.C. - Durante il II secolo a.C., il territorio romano conobbe un generale declino demografico, in parte dovuto alle enormi perdite umane subite nel corso di varie guerre. Questo si accompagnò a forti tensioni sociali e al più grave collasso delle classi medie nelle classi censuarie inferiori o nel proletariato. Quale conseguenza, sia la società romana, sia il suo esercito, divennero sempre più proletarizzate. Roma fu costretta ad armare i propri soldati a spese dello stato, dal momento che molti di quelli che componevano le sue classi inferiori erano di fatto proletari impoveriti, troppo poveri per permettersi un proprio equipaggiamento. In aggiunta, la carente disponibilità di manodopera militare appesantì il fardello sulle spalle degli alleati (socii), a cui toccava procurare le truppe ausiliarie. Quando, in questo periodo, alcuni alleati non erano in grado di fornire il tipo di forze richiesto, i Romani non furono contrari ad assoldare mercenari per farli combattere al fianco delle legioni.

- Dalla Siria giunge nel mondo romano la tecnica della soffiatura del vetro.

- A Pergamo, nella penisola anatolica, l'attuale Turchia, inizia la fabbricazione della pergamena. 

- In quei tempi i Venedi-Sclavini (popolazione di Slavi) commerciano con la Gallia, la Pannonia, le province romane occidentali e alcuni centri del mar Nero. Che l'aristocrazia tribale dei Venedi-Sclavini fosse molto ricca, è documentato dal corredo funerario (vedi il sepolcreto di Vymysl nella Posnania).

- All'indomani della vittoria nella seconda guerra punica, Roma procedette alla definitiva sottomissione della pianura padana, che aprì un territorio vasto e fertile agli emigranti originari dell'Italia centrale e meridionale, nonostante le vittorie celtiche nella battaglia di Cremona, nel 200 a.C. e in quella di Mutina (Modena), nel 194 a.C.. Pochi decenni dopo, lo storico greco Polibio poteva già personalmente testimoniare la rarefazione dei Celti in pianura padana, espulsi dalla regione o confinati in alcune limitate aree subalpine. L'avanzata romana continuò anche nella parte nord-orientale con la fondazione della colonia di Aquileia nel 181 a.C., come raccontano gli autori antichi, nel territorio degli antichi Carni.

Mediterraneo nel 200 a.C. con tratteggiate le aree
di influenza, da QUI.
- Dopo l'avventura  di AnnibaleCartagine aveva dovuto cedere anche le redditizie conquiste in Spagna mentre doveva pagare puntualmente le nuove  indennità per la seconda sconfitta (200 talenti d'argento annui per 50 anni). Inoltre era impegnata a prestare aiuto militare alle forze di Roma nelle guerre contro il sovrano seleucida Antioco III, Filippo V re di Macedonia e il figlio Perseo nel 192/188 a.C.). La relativa decadenza dello stato cartaginese era mitigata da un riprendersi del commercio e un nuovo impulso dato all'agricoltura, in particolare alle coltivazioni di ulivo e vite. Roma, però, non poteva dimenticare il pesante carico di costi economici, umani e psicologici causati dalla precedente guerra annibalica. "Hannibal ad portas!" (Annibale è alle porte!) era diventata la frase spauracchio per i bambini, e non solo. I territori a sud di Roma che avevano sopportato le scorribande dei Cartaginesi prima e delle legioni poi, erano in condizioni disastrose (nel solo 214 a.C. nove villaggi distrutti e 32.000 civili resi schiavi). Lo sforzo bellico era stato grandioso in termini di risorse  umane. Si può calcolare che con le forze degli alleati, Roma avesse dovuto mantenere oltre 200.000 uomini a combattere, oltre alle forze navali. Ogni combattente era stato sottratto alle campagne e all'agricoltura. Si può quindi comprendere perché Roma fosse ben attenta a far sì che Cartagine non rialzasse la testa. E a far ricordare i romani pensava il tradizionalista Catone il Censore, che terminava tutti i suoi discorsi con la famosissima frase «Ceterum censeo Carthaginem esse delendam» (e concludo affermando che Cartagine deve essere distrutta). Nondimeno, la situazione avrebbe potuto mantenersi in uno stato di precario equilibrio se non fosse intervenuto Massinissa, sovrano berbero figlio del re dei Massili, Gaia, e primo re della Numidia dopo l'unificazione fra la parte occidentale ed orientale, regno vassallo da Roma dalla fine della seconda guerra punica.

Nel 196 a.C. - In seguito alla battaglia di Cinocefale, il proconsole romano Tito Quinzio Flaminino proclama la libertà della Grecia dal dominio macedone. Durante i regni di Filippo V (221-179 a.C.) e di suo figlio Perseo, il regno di Macedonia si scontrò con la repubblica romana. Il casus belli fu, nel contesto della seconda guerra punica, l'alleanza di Filippo V con Annibale, vincitore a Canne sull'esercito romano. La prima guerra macedonica (215-205 a.C.) si risolse senza né vinti né vincitori con la Pace di Fenice (205 a.C.). La seconda guerra macedonica (200-196 a.C.) vide invece la netta vittoria romana nella battaglia di Cinocefale (197 a.C.) per opera del proconsole Tito Quinzio Flaminino e la conseguente proclamazione della libertà della Grecia dal dominio macedone da parte dello stesso magistrato (196 a.C.), mentre la potenza del regno di Macedonia e i suoi confini venivano notevolmente ridimensionati.

Nel 193 a.C. - A seguito della conquista romana della Gallia Cisalpina, conclusasi con la sottomissione dei Galli Boi intorno al 193 a.C., le popolazioni ribelli dei liguri Friniati e Apuani continuarono ad essere sovrane nelle montagne, al punto che i Friniati (da cui prenderà il nome il Frignano) riuscirono persino ad espugnare l'appena fondata colonia romana di Mutina (Modena). Come risulta dalle numerose iscrizioni friniate rinvenute nell'appennino modenese, i liguri Friniati si identificavano come "Umbrii" (da cui il tponimo di Montombraro, frazione di Zocca), nome comune a moltissime popolazioni indo-europee.

- Il re numida Massinissa occupa Emporia, nella Syrtis Minor, l'attuale golfo tunisino di Gabès, tanto ricca da rendere a Cartagine un talento al giorno. Alle lamentele di Cartagine, il re numida ribatté che i punici erano stranieri i quali, avuto il permesso di possedere tanta terra quanta ne comprendeva una pelle di bue, si erano impadroniti di molta parte dell'Africa. Ad ogni buon conto il Senato inviò a Cartagine una delegazione comprendente Publio Cornelio Scipione che però non decise alcuna mossa contro la Numidia.

Nel 189 a.C. - Il console Mario Emilio Lepido fa costruire l’antica Via Emilia, che unisce la colonia di Placentia (Piacenza) ad Ariminum (Rimini), e darà il nome alla regione. 

La via Emilia sulla Tabula
Peutingeriana.
Marco Emilio Lepido
il nonno, dal
museo di Luni.
Marco Emilio Lepido (il nonno)  console nel 187 a.C. e morto nel 152 a.C., esponente dei Lepidi, un ramo della gens Aemilia, è stato edile nel 193 a.C. insieme a Lucio Emilio Paolo, promuovendo la costruzione del nuovo porto fluviale a sud del colle Aventino. Questa nuova costruzione, chiamata Emporium, prevedeva una banchina di circa 500 m e un grosso edificio di 50 vani, i Navalia. Lo spazio retrostante i Navalia era occupato da diversi horrea, magazzini per lo stoccaggio delle merci, di cui i più noti sono gli horrea Galbana. Marco Emilio Lepido fu eletto console romano nel 187 e nel 175 a.C. e ricoprì le cariche di pontefice massimo e di censore nel 179 a.C.. Riportò la vittoria sui Liguri durante il suo consolato: in tale occasione fece voto di erigere un tempio a Giunone e durante la censura dedicò (il 23 dicembre) il tempio di Giunone Regina al Campo Marzio. Dedicò il tempio D dell'area sacra di Largo di Torre Argentina ai Lari Permarini durante la propria censura. È noto per aver dato il nome alla via Emiliafatta da lui costruire per collegare Piacenza con Rimini, che ha dato nome all'Emilia stessa e pare che sia stato un fondatore di Luni, in Lunigiana. La città di Reggio Emilia si chiamava in età romana Regium Lepidi in suo onore.). I Romani avevano iniziato la conquista della Pianura Padana (la Gallia Cisalpina) attraverso una serie di campagne militari dalla fine del III secolo a.C., e costruito una via militare che collegava Roma a Fano e Rimini, completata già nel 220 a.C. (la via Flaminia) mentre la via Emilia era stata costruita solo trent'anni più tardi a causa della seconda guerra punica. Con l'invasione dell'Italia da parte dei cartaginesi guidati da Annibale (218-203 a.C.) Roma aveva infatti perso il controllo della Pianura Padana.
Rimini, Ponte di Tiberio del I sec.
Molte tribù di recente sottomissione (come i Boi e gli Insubrisi ribellarono e si unirono alle forze di Annibale nella speranza di riottenere la propria indipendenza. Solo nel 189 a.C. l'ultima resistenza dei Galli fu vinta con la conquista di Bononia, l'odierna Bologna e nello stesso anno Roma avviò la costruzione della strategica via Emilia. L'arteria venne completata nel 187 a.C.. Inoltre, in quel periodo la colonia di Placentia era circondata da stanziamenti di Galli Boi che, nonostante la sconfitta, non avevano voluto firmare la pace con Roma e il pericolo di rivolte era quindi reale.
Rimini, arco di Augusto del I sec.,
punto di partenza della via Emilia
La strada militare rettilinea fu dunque portata fino a Placentia per consentire il rapido spostamento dell'esercito nel caso di eventuali rivolte boiche. Il punto di inizio della via Emilia coincideva dunque con quello finale della via Flaminia, strada consolare che partiva da Roma e terminava a Rimini, dove intersecava la via Popilia (a Rimini la via Emilia attraversava il fiume Marecchia grazie al ponte di Tiberio). 
Inoltre, a Piacenza la via Emilia si intersecava con la via Postumia, che collegava i porti di Genova ed Aquileia, lo scalo romano più importante dell'alto Adriatico.
Savignano sul Rubicone, ponte
consolare romano sul Rubicone
Le maggiori città attraversate, di fondazione romana o rifondate dai Romani, dopo Rimini, sono: Acervolanum (Santarcangelo di Romagna), Sabinianum (Savignano sul Rubicone), dove era presente il ponte romano sul Rubicone), Cesena (Caesena), Forlimpopoli (Forum Popilii), Forlì (Forum Livii), Faenza (Faventia), Imola (Forum Cornelii), Castrum Castel San Pietro Terme),Claterna[1], Savenae (San Lazzaro di Savena), Bologna (Bononia, dove intersecava la via Flaminia militare), Unciola (Anzola dell'Emilia), Ad Medias (Crespellano), Forum Gallorum (Castelfranco Emilia), Modena (Mutina), Herberia (Rubiera), Reggio nell'Emilia (Regium Lepidi), Taneto (Tannetum), Parma (Parma), dove era presente il ponte di Teodorico, Fidenza (Fidentia), dove era presente il ponte romano di Fidenza, Senum (Alseno), Florentia (Fiorenzuola d'Arda), Pons Nure (Pontenure) e Piacenza (Placentia). Col nome di via Emilia si indica ancora oggi l'arteria fondamentale della regione Emilia-Romagna, cioè l'attuale SS 9, il cui tracciato ha costituito un riferimento anche per le successive infrastrutture viarie: quasi parallele sono state infatti costruite le ferrovie Milano-Bologna e Bologna-Ancona nonché l'Autostrada del Sole e l'Autostrada Adriatica. A Forlì, durante i lavori per la realizzazione della circonvallazione e a Reggio nell'Emilia, durante degli scavi, sono stati rinvenuti resti dell'antica via romana.

Il Mediterraneo al tempo della pace
siglata al termine della seconda guerra
punica (201 a.C.). Roma ottenne il
controllo dell'intera penisola italica,
di Sardegna, Corsica, Sicilia e delle
coste mediterranee della penisola
Iberica, estendendo la sua influenza
fino all'area dell'Egeo. Di Cristiano64
File che deriva da: West Mediterranean
sea topographic map.svgPethrus-
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Dal 188 a.C. - Incentivazione romana delle operazioni belliche in Liguria. I Liguri erano sempre stati gelosi della loro autonomia e quindi, dal Trattato di non belligeranza fra Roma e Liguri Ingauni  e del resto del ponente ligure del  203 a.C., erano vissuti in uno stato di costante belligeranza e guerriglia contro Roma, che cercò di porvi rimedio con uno sforzo militare decisivo, specie dopo il poco onorevole episodio del pretore Lucio Bebio Divite, che venne sconfitto dagli eserciti congiunti dei Liguri non lontano da Massalia, città in cui si rifugiò con le truppe superstiti e dove morì per le ferite subite, come scrissero Livio (XXXVII, 5) ed Orosio (IV, 20, 24). L’incentivazione romana delle operazioni belliche in Liguria si può datare dal 188 a.C. con le imprese del console M. Valerio Massimo (Livio, XXXVIII, 35, 7 e 42, 1). I risultati non furono definitivi né pari alle aspettative di Roma, così il Senato affidò ad entrambi i consoli del 187 a.C. (Marco Emilio Lepido e Gaio Flaminio) la provincia della Liguria col compito di pacificarla definitivamente (Livio, XXXVIII, 42, 8). Nonostante l’abilità dei Liguri a combattere nel loro aspro territorio, servendosi della velocità e di armi leggere che permettevano rapide fughe ed improvvisi attacchi, le legioni romane ottennero questa volta dei risultati importanti (Livio, XXXIX, 1, 1). La pressione militare di Roma aumentò ancora dal 185 a.C. ed i popoli liguri subirono una serie di pesanti sconfitte. Mentre il console Marco Sempronio Tuditano sottometteva il levante ligure, il suo collega Appio Claudio Pulcro lo eguagliava “con alcune fortunate battaglie nel territorio dei Liguri Ingauni”, come ancora scrisse Livio (XXXIX, 38, 1). Nonostante questi successi la Liguria non fu del tutto piegata e per garantire un più rigido controllo ed una maggior possibilità di celere intervento militare, fu a lungo assegnata come provincia consolare (al tempo della Repubblica di Roma, per provincia consolare si intendeva quella che veniva assegnata ad un console perché vi capitanasse una guerra o dovesse compiervi operazioni militari, N.d.R.). Nel 184, peraltro, gli Ingauni ed i loro alleati, essendo consoli Publio Claudio Pulcro e Lucio Porcio Licino, presero a riorganizzarsi, con una serie di successi militari culminati, nel 181 a.C., in una potente “lega militare” che respinse e poi assediò il proconsole Lucio Emilio Paolo che s’era mosso contro di loro a capo di una discreta forza di guerra. Lucio Emilio Paolo, che era però un buon comandante ed un soldato valoroso, seppe rompere l’assedio posto al suo accampamento ed alla fine inflisse una dura sconfitta alla coalizione di Liguri, il cui grosso dell'esercito era composto da Ingauni. Dopo la sconfitta definitiva  degli Ingauni (nel 181 a.C.) da parte di Lucio Emilio Paolo, il console Aulo Postumio Albino, dal territorio degli Apuani si spinse via di mare ad ispezionare quello intemelio, spedizione che fa presumere che, pacificati gli Ingauni, anche gli Intemelii avessero accettata la supremazia romana. La guerra coi Liguri era stata abbastanza dura ed il Senato, di fronte ad imminenti conflitti in Oriente, preferì mitigare le richieste nei confronti dei popoli vinti, anche per evitare possibili insurrezioni.
Carta dell'anno 6 con la IX regio
romana, la Liguria e dintorni, con
i nomi delle varie popolazioni
Liguri ormai romanizzate.
Il dominio sugli Intemelii, al pari di quello delle altre genti liguri, prese la forma di foedus onorevole e la sua capitale Albintemilia acquisì la denominazione di “città federata” (cioè legata da vincoli di alleanza) nei confronti di Roma. Non è semplice oggigiorno ricostruire le forme tra i possibili “accordi” stipulati coi Romani dai Liguri vinti ma è certo che non si ebbero  più insurrezioni e che i Liguri assolsero ai propri doveri con rigore (queste genti – come ricorda Sallustio nel De Bello Iugurt., 77, 4 e 93-94 - vennero inquadrate in coorti ausiliarie e se una di queste, assieme a 2 “turme” di Traci e pochi altri soldati, si macchiò del tradimento del legato romano Aulo Postumio Albino, causandone la sconfitta a Suthul in Numidia, è altrettanto vero che proprio un soldato ligure, col suo coraggio, permise a Gaio Mario di occupare una città dei Numidi). Poco per volta, per quanto abbastanza impermeabili in un primo tempo all’acculturazione romana, i Liguri si inserirono nel contesto statale di Roma (pur fondendosi con le genti celticheN.d.R.).

Nel 180 a.C. - Il console romano Caio Claudio, nella battaglia del fiume Scoltenna, che con il Leo forma il Panaro, sconfigge i liguri Apuani che perderanno quindicimila e settecento uomini e 51 insegne militari (Tito Livio, Storia Romana, deca V, libro I, cap. II).

Dal 176 a.C. - Dopo sanguinose battaglie con migliaia di morti contro i romani, numerosi liguri  Friniati sono deportati in pianura e definitivamente sottomessi dai romani.


Nel 174 a.C. - Il re numida Massinissa occupa Tisca e il territorio circostante. Per salvare le apparenze, Roma invia in Africa Catone il Censore alla guida di una nuova commissione. Tornato in Italia con ancora più radicata la convinzione che Cartagine stesse risorgendo economicamente e anche riarmandosi, Catone intensificò la sua martellante campagna per la distruzione della città. Famoso l'aneddoto del cestino di fichi che Catone, al suo ritorno, mostrò in Senato; erano ancora tanto freschi da rendere evidente "quanto" Cartagine fosse vicina e tanto buoni da far toccare con mano la concorrenziale qualità dei suoi prodotti.

Nel 171 a.C. - Fra Roma e il regno macedone si scatena la terza guerra macedonica. Perseo, il figlio di Filippo V dopo aver potenziato il proprio esercito aveva iniziato una politica aggressiva nei confronti della Grecia. I Romani reagirono scatenando la terza guerra macedonica (171-168 a.C.), che si concluse con la battaglia di Pidna e la disfatta delle truppe macedoni per opera del console Lucio Emilio Paolo Macedonico. Lo stesso Perseo si arrese ai Romani, fu deposto e deportato in territorio romano, dove morì in prigionia. La Macedonia fu suddivisa in quattro repubbliche fedeli a Roma.

Nel 168 a.C. - Con la vittoria di Paolo Emilio a Pidna, Roma conquista la Macedonia. 

Carta di Macedonia, Grecia e Ionia nel II secolo a.C.
con i vari regni e regioni coinvolti nelle guerre dell'Egeo.
Dopo la morte di Alessandro, nelle vicende politiche greche non si hanno altro che guerre tra città. Durante la sua ascesa, la Roma repubblicana dovette impegnarsi in ben tre guerre contro la Macedonia. L'esercito macedone, sotto la guida del re Perseo, subì la sconfitta definitiva nella battaglia di Pidna per opera del console Lucio Emilio Paolo nel 168 a.C., e nel 146 a.C. la Macedonia divenne povincia romana. Nello stesso anno, con la distruzione di Corinto, anche la Grecia venne inclusa nella provincia di Macedonia. Malgrado un regime particolarmente liberale accordato alla Grecia, molte città greche sostennero Mitridate VI, re del Ponto, nella sua campagna contro Roma, ma il generale romano Lucio Cornelio Silla costrinse Mitridate a fuggire e domò severamente la rivolta greca. L'imperatore Augusto farà della Grecia una provincia senatoria dandole il nome di Acaia. L'imperatore Adriano intraprese una imponente attività edilizia di ricostruzione di Atene e di altre città greche. Dall'anno 212, l'imperatore Caracalla concesse a tutti gli abitanti dell'Ellade, come a tutti gli altri provinciali, la cittadinanza romana

- Nello stesso 168 a.C. l'Epiro è conquistato dai romani e non diventa provincia autonoma, ma viene incorporato nella Macedonia, istituita nel 146 a.C.. I primi interventi armati romani in quel territorio risalivano già al 229 a.C., quando si cercava di eliminare i pirati dal mare Adriatico ed avere relazioni commerciali ed economici con città fiorenti quali Apollonia e Durazzo. Con la riorganizzazione delle province di Augusto, l'Epiro sarà diviso tra la Macedonia e l'Acaia e solo intorno al 108 d.C. diverrà provincia autonoma, con Traiano imperatore. I Romani hanno dominato gli Illirici, che sempre più si sono concentrati nel territorio dell'odierna Albania, l'ex Epiro, dal 168 a.C. fino alla caduta dell'impero. Sotto i Romani, le arti e la cultura fiorirono, particolarmente ad Apolonia, la cui scuola filosofica si sviluppò notevolmente. Qui studiò, tra altri, Marco Tullio Cicerone. La lingua e la cultura latine hanno influenzato fortemente gli Illiri e comunque quelli che vivevano nelle terre albanesi di oggi riuscirono a conservare sia la loro lingua che le loro usanze, pur adottando molte parole latine, che fanno oggi parte del lessico albanese.


Nel 150 a.C. - L'esasperata Cartagine, rompendo i patti, decide il riarmo. La fazione di Cartaginesi favorevole a Roma e addirittura a Massinissa aveva perso il potere e 40 dei loro membri erano stati esiliati. Rifugiatisi in Numidia, senza grande fatica avevano spinto l'ormai ottantenne Massinissa, ad inviare a Cartagine i suoi figli per chiedere il rientro degli esuli. Cartagine aveva rifiutato e Massinissa, per contro, aveva occupato la città di Oroscopa. Sapendo ormai di non poter ottenere giustizia da Roma, nel 150 a.C. l'esasperata Cartagine, rompendo i patti, decide il riarmo e appresta un esercito di 50.000 uomini (come sempre in massima parte mercenari) e cerca di riconquistare Oroscopa. Ma il re Numida, disponendo di forze militari di maggiore professionalità, ne riuscirà vincitore. Il rischio per Roma, a questo punto, era che Cartagine, ancor più indebolita, cadesse preda della Numidia. Naturalmente a Roma non si sarebbe visto di buon occhio il formarsi in Africa di uno stato economicamente potente, esteso dall'Atlantico all'Egitto e con notevoli masse umane da impiegare nelle inevitabili guerre.

Nel 149 a.C. - Macedonia contro Roma nella quarta guerra macedonica. Andrisco, proclamatosi re di Macedonia col nome di Filippo VI, solleva la Macedonia contro Roma ed intraprende la quarta guerra macedonica (149-148 a.C.) ma è sconfitto da Quinto Cecilio Metello Macedonico a Pidna (148 a.C.) e il regno di Macedonia perde definitivamente l'indipendenza  diventando una provincia della repubblica romana.


Nel 149 a.C. inizia la terza guerra punica. La rottura dei patti di Cartagine, riarmandosi contro Massinissa, era indiscutibile e fornì Roma di un pretesto perfetto per poter intervenire. Contrariamente ai desideri di Catone che parteggiava per un'immediata dichiarazione di guerra, all'inizio Roma mandò una missione diplomatica per far desistere i Cartaginesi dal riarmo, in cui il Senato chiedeva che la parte della città sul mare fosse demolita e che nessun edificio sorgesse a meno di 5 km dal mare. Giacché l'intera economia cartaginese si fondava sugli scambi commerciali sul Mediterraneo, questi non accettarono, cosicché, anche per evitare che Massinissa la conquistasse e diventasse così troppo potente e incontrollabile, dichiarò guerra all'eterna rivale, che si concluderà tre anni dopo con la vittoria di Roma e la distruzione di Cartagine. L'esercito romano sbarcò vicino a Utica, pochi chilometri a nord di Cartagine. Non appena si seppe che i romani erano forti di un esercito di 80.000 uomini e 4.000 cavalieri, Cartagine capitolò, inviando 300 ostaggi scelti fra gli adolescenti della nobiltà punica. I consoli ricevettero gli ambasciatori di Cartagine che dovettero accettare le condizioni poste: Cartagine consegnò armature, catapulte e altro materiale bellico. Resi inermi i cartaginesi, i Romani, attraverso Censorino, avanzarono la pretesa che la città fosse distrutta e ricostruita a 10 miglia dalla costa. Il popolo cartaginese si ribellò, uccise tutti gli italici presenti in città, liberò gli schiavi per avere aiuto nella difesa e furono richiamati Asdrubale e altri esuli. Fu chiesta una moratoria di 30 giorni per inviare una delegazione a Roma e in quei 30 giorni si ebbe una frenetica corsa al riarmo, già segretamente riavviato negli anni successivi alla sconfitta di Zama. Si dice che i cartaginesi riuscissero a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili per le ricostruite catapulte. Le donne offrirono i loro capelli per fabbricare corde per gli archi. Quando i romani arrivarono alle mura di Cartagine trovarono un intero popolo stretto a difesa della propria città. Fu posto l'assedio a Cartagine, che era estremamente ben difesa. La sosta aveva dato ad Asdrubale, posto a capo dell'esercito, la possibilità di raccogliere circa 50.000 uomini ben armati e l'assedio si protrasse. Nel 148 a.C. i nuovi consoli furono inviati in Africa ma si rivelarono ancora più incapaci dei predecessori. Gli insuccessi romani resero audaci i cartaginesi, Asdrubale prese il potere con un colpo di Stato e ordinò di esporre sulle mura i prigionieri orrendamente mutilati per cui i romani, inaspriti, non avrebbero concesso mercé.

Nel 147 a.C. - Publio Cornelio Scipione Emiliano (figlio di L. Emilio Paolo, poi adottato da P. Cornelio Scipione, figlio dell'Africano) era stato nominato console di Roma insieme a Gaio Livio Druso. Asdrubale, che difendeva il porto di Cartagine con 7.000 uomini, fu attaccato di notte e costretto a riparare a Birsa. Scipione bloccò il porto da cui arrivavano i rifornimenti per gli assediati ma questi scavarono un tunnel-canale e riuscirono a costruire cinquanta navi che Scipione distrusse e il tunnel-canale fu chiuso. Nel frattempo Nefari fu attaccata da truppe romane e cadde; questo portò la resa delle altre città. I romani si poterono concentrare su Cartagine. L'agonia della città si protrasse per tutto l'inverno, senza viveri e attaccata da una pestilenza.

Nel 146 a.C. - Scipione sferra l'attacco  finale a Cartagine. Per quindici giorni i sopravvissuti impegnarono i Romani in una disperata battaglia per le strade della città, ma l'esito era scontato. Gli ultimi soldati si rinchiusero nel tempio di Eshmun altri otto giorni. Scipione abbandonò la città al saccheggio dei suoi soldati; Cartagine fu rasa al suolo, bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto e fu anche gettato del sale sulla terra per evitare la coltivazione dei campi e renderli ancora più aridi. Si disse che Scipione pianse nel vedere la città bruciare, perché gli sembrava di aver intravisto Roma in mezzo alle fiamme.

Cartina con in verde i territori della
Repubblica di Roma nel 201 a.C.
e in arancio quelli conquistati
dal 201 al 146 a.C..

- Non è dato sapere il momento in cui venne dedotta la provincia  romana della Gallia Cisalpina. La storiografia moderna oscilla fra la fine del II secolo a.C. e l'età sillana. Vero è che all'89 a.C. risale la legge di Pompeo Strabone ("Lex Pompeia de Gallia Citeriore") che conferisce alla città di Mediolanum, e ad altre, la dignità di colonia latina. Nel dicembre del 49 a.C. Cesare con la Lex Roscia concederà la cittadinanza romana agli abitanti della provincia, mentre nel 42 a.C. verrà abolita la provincia, facendo della Gallia Cisalpina parte integrante dell'Italia romana.

- Nel 146 a.C. i Romani conquistano e saccheggiano Corinto, e la Grecia diventa provincia di Roma. 
Carta delle isole Cicladi con
Delos, considerata sacra poiché
vi era nato il dio Apollo.
Clicca per ingrandire.
Con la conquista romana della Grecia, si afferma un fiorente mercato di schiaviDelo (Delos in greco), già sede della lega delio-attica capeggiata da Atene, stipulata nel 478 a.C, poiché Roma la elegge porto franco, esente da tasse, a discapito di Rodi, che lo era stata prima, ex alleata punita da Roma per non averla sostenuta nel conflitto contro la Macedonia. Questo mercato è di rilievo mediterraneo, tanto che mediamente si vendono 10.000 schiavi al giorno, ottenuti perlopiù con incursioni piratesche. Gli italici e i romani hanno una posizione preponderante fra gli acquirenti di schiavi, e procurano così la manodopera per la coltivazione nei terreni in Italia. Avviene così che mentre in Italia gli italici, alleati di Roma, non hanno i diritti della cittadinanza romana ma i doveri dei "soci", con  fornitura di contingenti militari a Roma senza godere dei proventi delle conquiste. All'estero sono considerati romani: vestono la toga, parlano latino, e anche questo favorisce quell'"autoromanizzazione" che, svilita dalla mancata concessione della cittadinanza romana, sfocerà nelle Guerre Sociali.

- Fine dell'Età ellenistica, periodo che va dalla morte di Alessandro Magno fino alla riduzione della Grecia a provincia romana, nel 146 a.C.

- Prima delle guerre di conquista l'economia romana si basava soprattutto sull'agricoltura e sulla pastorizia. Si coltivavano, in modo particolare, cereali che servivano al sostentamento della popolazione. Al termine delle guerre di conquista, la repubblica di Roma si trovava ad affrontare grandi cambiamenti: il degrado delle campagne, l'aumento degli schiavi e le grandi ricchezze che giungevano a Roma come bottino di guerra dalle province. Il dominio incontrastato nell'Italia continentale ed insulare, sul Mediterraneo occidentale ottenuto grazie alla vittoria sui Cartaginesi e su quello orientale ottenuto con la conquista dei regni ellenisti, portava allo sfruttamento della manodopera schiavile nei latifondi. Dato che si trattava di migliaia di schiavi, Roma era costretta a portare avanti continue guerre di conquista per averne sempre di più, mentre venivano esautorati dal lavoro braccianti e piccoli proprietari. A Roma, fino al 200 a.C., l'esercito repubblicano, così come quelli precedenti, non era costituito da forze militari professionali ma al contrario era composto da una leva annuale, attraverso il meccanismo della coscrizione obbligatoria, come richiesto per ogni campagna miliare stagionale, per poi congedare tutti al termine della stessa (sebbene in alcuni casi alcune unità potevano essere mantenute durante l'inverno e anche per alcuni anni consecutivi, durante le maggiori guerre). Dopo che Roma conquistò dei territori oltremarini in seguito alle guerre puniche, le armate cominciarono ad essere posizionate nelle province chiave in modo stabile, anche se nessun soldato poteva essere mantenuto sotto le armi per più di sei anni consecutivi. Per far parte dell’esercito romano si doveva avere un reddito (censo) che permettesse di pagarsi gli armamenti e i più numerosi componenti delle milizie erano i piccoli proprietari terrieri, che durante queste guerre erano stati costretti, dovendosi arruolare, a lasciare incolti i loro terreni. Mal pagati per il servizio militare prestato ed esclusi dagli aristocratici dalla divisione del bottino, al loro ritorno si ritrovavano sommersi dai debiti che le loro famiglie avevano contratto per sopravvivere e secondo le leggi delle “dodici tavole”, nella Roma antica il creditore poteva rendere schiavo il debitore ed anche ucciderlo se questi non avesse ripagato il suo debito; dunque molti piccoli proprietari terrieri rischiavano di diventare schiavi. Per ripagare i debiti, molti di loro finirono o per svendere i loro possedimenti o a lavorare come braccianti. In ogni caso il grano prodotto dai piccoli proprietari terrieri nella Repubblica non era più conveniente: dalla Sicilia e dall'Africa giungevano cereali a prezzi molto contenuti ottenuti con la manodopera degli schiavi, fenomeno che si stava affermando anche nel suolo italico. Per potersi risollevare i piccioli agricoltori avrebbero dovuto smettere di coltivare grano e convertire le piantagioni in vigne e uliveti ben più redditizi, ma non disponevano dei capitali necessari per effettuare queste trasformazioni. In alcuni casi restavano a lavorare i campi come braccianti con paghe bassissime e in altri si trasferivano in città in cerca di fortuna, dando così vita al fenomeno dell'urbanesimo. In città conducevano una vita molto misera, ricevendo delle elargizioni di grano dallo Stato (le frumentazioni) o vivendo grazie all'appoggio di qualche famiglia potente e vendendo il proprio voto al miglior offerente. Al contrario, la classe dei grandi proprietari si arricchiva, appropriandosi della quasi totalità della ricchezza che proveniva dalle regioni conquistate. La maggior parte di loro comprava così terreni a prezzi molto bassi facendoli lavorare a servi o schiavi e non pagando di conseguenza la manodopera. L’impoverimento dei piccoli proprietari terrieri determinava grandi problemi a Roma poiché la maggior parte di loro erano stati i principali componenti delle legioni e diventando nullatenenti l'esercito si ritrovava con sempre meno forze a disposizione e gradualmente si dovette abbassare il censo delle nuove leve dell'esercito fino ad arruolare i proletarii. Roma contava sulle proprie forze armate e su quelle degli alleati, non di certo su contingenti di mercenari, come invece aveva fatto Cartagine.

- Lo storico romano-orientale Procopio di Cesarea (Cesarea marittima in Palestina, 490 circa - Costantinopoli, 560 circa) riferisce che gli eunuchi affluivano a Roma in maggior numero dal paese sul Mar Nero degli Abasgi, dove i capi potevano prelevare i giovanetti più attraenti per farli evirare e vendere come schiavi. Quando gli Abasgi cominciarono a convertirsi al cristianesimo Giustiniano vietò questa pratica stabilendo che «mai più alcuno, in quella regione, fosse privato della virilità violentando la natura col ferro». Da Procopio: «I romani conoscevano tre classi di eunuchi: gli spadones, cui erano state tagliate le gonadi; i thlasiae (dal greco θλάω, "schiaccio"), ai quali esse erano state schiacciate; infine i castrati, cui era stata praticata l'ablazione totale di verga e testicoli.».La diffusione della cultura ellenistica orientale incrementa a Roma, specie presso le classi alte, l'usanza di servirsi delle prestazioni sessuali degli eunuchi, in particolare di quelle dei cosiddetti spadones che, privi della potentia generandi non avevano perso la potentia  coeundi  cosicché erano in grado di offrire, quasi come strumenti sessuali viventi, appagamenti di natura diversa dall'usuale. Questa particolarità degli spadones sembra essere stata apprezzata dalle donne romane che, visti i rischi della pratica dell'aborto, preferivano usare gli eunuchi spadones  che garantivano di non rimanere incinte. Questo è lo scopo, secondo il poeta romano Marziale (Marco Valerio Marziale, Augusta Bilbilis, 1º marzo 38 o 41 - Augusta Bilbilis, 104), di Gellia, in un suo epigramma: «Vuoi sapere Pannichio, come va che la tua Gellia intorno alle sottane non ha che dei castrati? Teme la levatrice, adora i peccati.».



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