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mercoledì 23 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.38: dal 391 al 415 e.v. (d.C.)

L'anziana vestale Emilia, che custodisce il fuoco sacro
nel tempio di Vesta, da:  http://smell.ilcannocchi
Nel 391 - L'imperatore romano Teodosio I interviene personalmente contro Alarico ma cade in un'imboscata sul fiume Maritsa (fiume dell'Europa sudorientale che scorre in Bulgaria, Grecia e Turchia europea), dove rischia la vita.

- Tra il 391 e il 392 sono emanati una serie di decreti (noti come decreti teodosiani) che attuano in pieno l'editto di Tessalonica: viene interdetto l'accesso ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto che non sia il cristianesimo di fede nicea, compresa l'adorazione delle statue. Furono inoltre inasprite le pene amministrative per i cristiani che si fossero riconvertiti al paganesimo e, nel decreto emanato nel 392 da Costantinopoli, l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle viscere erano equiparati al delitto di (lesa) maestà, punibile con la condanna a morte. I templi pagani furono oggetto di sistematica distruzione violenta da parte di fanatici cristiani e monaci appoggiati dai vescovi locali (in molti casi con l'appoggio dell'esercito e delle locali autorità imperiali) che si ritennero autorizzati dalle nuove leggi: si veda, per esempio, la distruzione del tempio di Giove ad Apamea, a cui collaborò il prefetto del pretorio per l'oriente, Materno Cinegio. L'inasprimento della legislazione con i "decreti teodosiani" provocò delle resistenze presso i pagani. Ad Alessandria d'Egitto il vescovo Teofilo ottenne il permesso imperiale di trasformare in chiesa un tempio di Dioniso, provocando una ribellione dei pagani, che si asserragliarono nel Serapeo (che conteneva quello che rimaneva della famosa biblioteca) e compiendo violenze contro i cristiani. Quando la rivolta fu domata, per rappresaglia il tempio di Dioniso fu distrutto. Teodosio durante il suo regno fece coniare monete in cui era raffigurato nell'atto di portare un labaro recante il Chrismon. Teodosio infatti, lo stesso che aveva proclamato il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero, pensava che dovesse essere la Provvidenza a sottomettere il cuore degli uomini, trasformando “ogni ferocia in dolcezza”, come riferiva il filosofo ed alto funzionario dello Stato Temistio. 

- In seguito alla riforma teodosiana, il termine Eparchia è stato utilizzato nell'Impero romano d'Oriente per indicare una circoscrizione amministrativa equivalente alla provincia latina. Tali entità scomparvero poi nel VII secolo con l'istituzione dei temi (thémata in greco).

- Da allora, nell'Impero Romano non ci sarebbe più stata libertà di pensiero e di culto al di fuori dell'ortodossia cristiana. Per i successivi secoli, (e fino al presente) la Chiesa di Roma manovrerà principi, re, imperatori e la totalità delle menti per tenere a freno i suoi più acerrimi nemici: la verità, il sapere, la conoscenza, la scienza e più in generale la cultura; l'autodeterminazione personale e collettiva, il diritto alle pari opportunità, cosa che d'altra parte hanno fatto e fanno la maggioranza delle religioni ma soprattutto le tre monoteiste.

Nel 392 - Il 15 maggio, il ventunenne imperatore d'occidente Valentiniano II viene trovato  impiccato ad un albero. Arbogaste, suo tutore e magister equitum d'origine franca, spedisce il corpo di Valentiniano a Milano e Teodosio scriverà ad Ambrogio, vescovo di Milano, di organizzarne il funerale. Ambrogio compose per l'occasione l'orazione De obitu Valentiniani consolatio. Il cadavere di Valentiniano fu pianto dalle sorelle Giusta e Grata e fu disposto in un sarcofago di porfido vicino a quello del fratello Graziano, molto probabilmente nella cappella di Sant'Aquilino della basilica di San Lorenzo. Teodosio I rimaneva così signore di tutto l'impero  ma il 22 agosto, il comandante romano di origine franca Flavio Arbogastemagister militum  (capo dell'esercito) d'occidente che da più parti era ritenuto coinvolto nella morte di Valentiniano II, appoggiato sia dalle potenti tribù dei Franchi che dal Senato di Roma, che cercava di opporsi al crescente potere della Chiesa cattolica, fa eleggere imperatore d'occidente, a Lione, Flavio  Eugenio (345 circa - 6 settembre 394), che non essendo però stato riconosciuto dall'imperatore collega d'oriente Teodosio I, viene generalmente considerato un usurpatore del trono imperiale.

- Da QUI: L'ultima immagine che abbiamo di Galla la dipinge Zosimo al momento in cui le fu comunicata la morte del fratello Valentiniano II nel 392: "Galla riempì la reggia delle sue grida". Nella sua laconicità la nota di Zosimo è piena di pathos, vi si avverte la disperazione, la rabbia, il rancore verso il marito che aveva causato - direttamente o indirettamente - per la seconda volta la morte di un suo fratello. Sappiamo solo che Galla morirà nella primavera 394 in occasione di un altro parto. Ma neppure il pio vescovo Ambrogio trovò una parola di conforto per lei, che non compare fra le anime del paradiso, né per il neonato. Forse, come un'eroina di una tragedia greca, Galla aveva preferito togliere la vita al bambino che aveva in grembo, sacrificando anche se stessa, pur di privare il marito della discendenza e punirlo per la morte di Valentiniano. Forse era uscita di senno, che per la mentalità dell'epoca equivaleva ad essere posseduta dal demonio. Il silenzio con cui l'hanno avvolta gli storici lascia penetrare solo l'eco delle sue urla dai recessi della reggia. Alla morte di Valentiniano II il 15 maggio 392, anche le sorelle rimaste a vivere nel palazzo di Milano appaiono straziate dal dolore. Il giovane imperatore era stato trovato impiccato, ma si sospettò immediatamente che l'apparente suicidio servisse a mascherare l'assassinio per strangolamento (Paolo, Historia). Una morte in battaglia sarebbe stata più comprensibile, ma due fratelli assassinati lasciavano le sorelle attonite, soprattutto se il mandante prendeva nei loro incubi le sembianze del cognato Teodosio. Lui aveva assegnato entrambi i fratelli alla pericolosa sede delle Gallie, lui forse aveva soffiato sulle illusioni di potere di avidi barbari e funzionari corrotti. La scomparsa di una personalità dominante come quella di Giustina aveva lasciato i figli privi di guida.  Giusta e Grata si erano unite saldamente al fratello, sperando di formare una coalizione invincibile. Nell'orazione funebre che Ambrogio pronuncia per il funerale del giovane imperatore si accenna a questo vincolo affettivo fortissimo: "Quale affetto Valentiniano ha nutrito per le sorelle. In loro trovava riparo, in loro consolazione, in loro rilassava l'animo suo e ristorava il suo cuore oppresso dalle preoccupazioni. Baciava alle sorelle mani e capo, dimentico della sua dignità imperiale e tanto più sovrastava gli altri in virtù del suo potere, tanto più si mostrava umile con le sorelle. Nel beneficio della vostra presenza poneva ogni suo conforto, così che non sentiva troppo la mancanza di una sposa. Perciò differiva le nozze, poiché lo saziava il tenero affetto della vostra gentilezza.".  Valentiniano II si sposò, ma non compare mai citata la moglie. Le sorelle, a due mesi dalla morte, erano così inconsolabili da meritare un affettuoso ma risoluto rimprovero da Ambrogio: "Voi desiderate abbracciare il suo corpo, vi stringete con le vostre persone al suo tumulo. Quel tumulo sia per voi la dimora di vostro fratello, sia esso il palazzo imperiale dove riposano quelle membra a voi care. Non avete motivo di affliggervi oltre misura per vostro fratello: era nato uomo, era soggetto alla fragilità umana. Ma ammettiamo pure che fosse doveroso manifestare con gemiti il proprio dolore. Fino a quando si dovrebbe prolungare il tempo del lutto? Per due mesi interi vi siete strette ogni giorno intorno alla spoglia di vostro fratello..." ora basta, impone Ambrogio. E così, con l'immagine del lutto e del dolore, anche Grata e Giusta svaniscono dalla storia non lasciando altra traccia che le loro lacrime.
 
- Nel 392 i Tervingi (Visigoti) di Alarico sono circondati sulla Maritsa in Tracia dal generale  Stilicone, in veste di  magister  militum (capo dell'esercito) d'oriente ma Teodosio li perdona e li lascia tornare nella loro provincia rinnovandogli il trattato del 382.

Nel 393 - L'imperatore d'occidente, poi considerato usurpatore Flavio Eugenio giunge a Roma dove mette in atto, pur essendo cristiano, una politica di tolleranza verso i "pagani" della religione romana, che sotto la guida di Virio Nicomaco Flaviano, riprendono il potere. Flavio Eugenio permise la riapertura dei templi pagani come il tempio di Venere e Roma, la restaurazione dell'altare della Vittoria nella curia romana e la celebrazione di feste religiose della religione romana. Questa politica religiosa, palesemente in contraddizione con i decreti anti-pagani del 391-392, creava tensioni con Teodosio I (che non lo aveva riconosciuto come suo collega e che era un fervente cristiano) e con il potente vescovo milanese Ambrogio, che lasciò la sua sede all'arrivo della corte imperiale di Eugenio.


Nel 394 - Il 5 settembre, l'esercito dell'imperatore d'occidente considerato usurpatore Flavio Eugenio, comandato dal franco Arbogaste, viene sconfitto dall'esercito di Teodosio I nella battaglia del Frigido (l'attuale fiume Vipacco vicino a Gorizia) e l'impero ha in Teodosio I, nuovamente, un unico padrone. Arbogaste si uccise per sfuggire alla cattura mentre Flavio Eugenio fu messo a morte per decapitazione come traditore. Il vandalo-romano Stilicone, all'epoca  magister militum d'oriente, aveva messo insieme l'esercito che sotto la guida di Teodosio aveva vinto la Battaglia del Frigido e aveva inoltre alle proprie dipendenze il visigoto Alarico, che guidava un consistente numero di  foederati goti e che costituivano l'avanguardia dell'esercito, che subirono gravissime perdite. Stilicone si distinse talmente al Frigido che Teodosio vide in lui l'uomo a cui poter affidare la difesa dell'Impero.

- Nel 394 Galla, seconda moglie di Teodosio e madre di Galla Placidia, muore neanche ventenne, a seguito di un parto in cui morì anche il bambino, Giovanni e nello stesso anno Teodosio si reca in Occidente a combattere l'usurpatore Eugenio Flavio. Teodosio lascia a Costantinopoli il piccolo Arcadio (augusto dell'impero d'oriente) mentre si fa seguire a Milano da Onorio (augusto dell'impero d'occidente) e Galla Placidia, entrambi poi lì affidati alle cure dell'ambiziosa Serena, la nipote prediletta di Teodosio, figlia di Onorio, un fratello defunto di Teodosio, quindi anche lei di origine ispanica, che era stata data in moglie al generale romano di padre vandalo StiliconeSerena  viene descritta da Claudiano come bionda, bellissima, ma anche ambiziosa, autoritaria e senza scrupoli. Alla morte dei genitori era stata adottata come figlia da Teodosio, che l'adorava: era l'unica capace di arrestare le sue collere esplosive, di allietare le sue depressioni, di lenire le sue febbri. La giovane donna era cresciuta consapevole del suo fascino e del suo potere, che esercitò a Costantinopoli dando parecchio filo da torcere alla pia Flaccilla, la prima moglie di Teodosio e poi forse a Galla, la seconda moglie. Elia Flavia Flaccilla ( ... - Costantinopoli, 386) prima moglie dell'imperatore Teodosio I gli aveva dato una figlia, Pulcheria, morta infante, Arcadio (Hispania, 377 circa) e Onorio (9 settembre 384). Quando alla fine dell'anno l'imperatore si ammala gravemente a Roma, sentendo approssimarsi la fine manda a chiamare Serena col piccolo Onorio. La nipote Serena viene investita in questa occasione di un ruolo non contemplato giuridicamente ma affidatole di fatto: è la tutrice di Onorio, come un tempo Giustina lo era stata di Valentiniano II. Ma mentre Giustina era l'imperatrice-madre, Serena è solo una cugina destinata a reggere col marito semibarbaro (Stilicone) la parte occidentale dell'impero in vece di Onorio.

Nel 395 - Il 17 gennaio Teodosio I, l'ultimo imperatore a reggere entrambe le parti dell'impero,  muore. Nell'inverno del 394 si era ammalato di idropisia e dopo poche settimane era morto a Milano, affidando l'educazione spirituale di Onorio e Galla Placidia ad Ambrogio mentre la nipote Serena è la tutrice di Onorio e Stilicone custode e difensore dello stesso Onorio, mentre a suo dire l'aveva nominato protettore (parens) di entrambi i figli Arcadio e Onorio. La storia sembra ripetersi per il vescovo di Milano che, misogino qual'era (sofferente di repulsione o di avversione nei confronti delle donne), deve confrontarsi per la seconda volta con un'imperatrice. Rispetto a Giustina i rapporti con Serena potevano essere migliori almeno dal punto di vista confessionale, poiché Serena era cattolica. Ma fra Stilicone e Ambrogio sembra aleggiasse un'ostilità espressa più dai fatti che dalle parole, al punto che dalla corte neppure le basiliche cristiane erano ritenute luoghi sacri e potevano quindi essere invase da soldataglie. Comunque Stilicone, i cui figli avuti da Serena facevano parte della dinastia teodosiana e avrebbero potuto reclamare il trono, affermando di essere stato nominato custode di entrambi i figli di Teodosio, incrinerà definitivamente i rapporti fra la corte orientale dell'Impero e quella occidentale,  poiché in realtà a fungere da protettore di Arcadio sarà, fino al momento della propria morte, il Prefetto del Pretorio d'Oriente Flavio Rufino, sostituito successivamente da Eutropio. L'Impero romano è così diviso in una parte orientale, affidata ad Arcadio e una occidentale governata da Onorio. In realtà però, il governo effettivo era nelle mani di Rufino e poi di Eutropio in Oriente e del generale Stilicone in Occidente. Il 27 febbraio del 395 si tennero i solenni funerali di Teodosio celebrati da Ambrogio, che pronunciò il "De Obitu Theodosii". Le esequie si svolsero seguendo per la prima volta il rito cristiano. L'8 novembre di quello stesso anno la salma di Teodosio venne tumulata nella basilica degli Apostoli di Costantinopoli. Vi rimarrà fino al saccheggio della città del 1.204 da parte di crociati (i veneziani si presero parecchi souvenir insieme alle spoglie di san Marco). Teodosio I fu l'ultimo imperatore a regnare su di un impero unificato e fece del cristianesimo la religione unica e obbligatoria dell'Impero; per questo fu chiamato Teodosio il Grande dagli scrittori cristiani e dalle Chiese orientali è venerato come santo (San Teodosio I il Grande, commemorato il 17 gennaio). Nella definitiva divisione dell'Impero in una parte  occidentale (Prefettura del pretorio delle Gallie con due diocesi in Gallia, una l'Hispania e un'altra la Britannia, la maggior parte della Prefettura del pretorio d'Italia formata da quattro diocesi: due diocesi in Italia, una l'Illiria e l'altra l'Africa), mentre all'Oriente toccarono la Prefettura del pretorio d'Oriente e due diocesi illiriche. Le diocesi dell'Illirico orientale erano state trasferite all'Impero d'Oriente sotto Teodosio I da Graziano e il mantenimento di questa assegnazione sarà fonte di continue dispute iniziate subito dopo la morte di Teodosio poiché saranno rivendicate per l'Occidente da Stilicone.

Cartina dell'Impero Romano nel 395,
alla morte di Teodosio I, diviso in 2:
l'Impero Romano d'Oriente con
capitale Costantinopoli e l'Impero
Romano d'Occidente, con capitale
Roma, e dal 402 sarà Ravenna.
Sono indicate le varie città e regioni
dell'impero e le varie popolazioni
al di fuori di esso.
Per ragioni amministrative e probabilmente a causa delle tensioni fra le due corti dell'impero dovute alle rivendicazioni di Stilicone, e cioè sia di essere stato nominato tutore di entrambi gli imperatori che la riassegnazione delle diocesi dell'Illirico orientale all'Occidente,  l'Impero Romano si divide definitivamente fra Impero Romano d'Occidente con imperatore Onorio, figlio di Teodosio I,  i  cui tutori erano Serena e Stilicone Impero Romano d'Oriente con  imperatore Arcadio, il figlio maggiore di Teodosio I, il cui tutore era Flavio Rufino.  Flavio Onorio (Costantinopoli, 9 settembre 384 - Ravenna, 15 agosto 423) era il figlio terzogenito dell'imperatore Teodosio I e della sua consorte Elia Flaccilla, originari ambedue della provincia romana dell'Hispania; Arcadio e Pulcheria Teodosia (morta ad appena sette anni d'età), erano rispettivamente suo fratello e sua sorella maggiori. Il padre lo aveva onorato del titolo di  nobilissimus puer e conferito il consolato per l'anno 386, quando Onorio aveva due anni. Flavio Arcadio (377 circa - Costantinopoli, 1º maggio 408) era il figlio maggiore di Teodosio I ed Elia Flaccilla, originari ambedue della provincia romana dell'Hispania e fratello di Onorio. A 17 anni Arcadio si era trovato a reggere il governo dell'Oriente, sotto la guida del prefetto Flavio Rufino, mentre il padre muoveva con l'esercito contro l'usurpatore Flavio Eugenio. Subito dopo la morte di Teodosio, Rufino aveva ottenuto il potere nell'Impero romano orientale esercitando la sua influenza sul giovane e debole Arcadio, a cui voleva far sposare la figlia, ma le sue ambizioni erano frustrate da un altro ministro imperiale, il praepositus sacri cubiculi Eutropio; Arcadio fu dominato fino all'ultima parte della sua vita da Antemio, suo prefetto del pretorio, che farà pace con Stilicone ad Occidente. La parte orientale dell'impero è ricca, grazie alle produzioni di cereali dell'Egitto e dell'Africa nord-orientale, i commerci della Siria, le produzioni agricolo-artigianali e manufatturiere di Siria, penisola Anatolica e Greca; inoltre la cultura, di stampo ellenistico, ha in Alessandria d'Egitto il centro più evoluto del mondo conosciuto. La parte occidentale ha come risorse agrarie solo la Sicilia e il nord Africa centrale, mentre è continuamente minacciata da invasioni di popolazioni Germaniche, dirottate a occidente dalle solide mura e dalle politiche di Costantinopoli. Mentre aristocratici e notabili di tradizione e formazione romana entrano nel tessuto amministrativo della cristianità, le gerarchie e le formazioni dell'esercito sono sempre più composte da esponenti di quelle popolazioni  barbariche che minacciano l'integrità dell'impero. Il pagamento dei loro servizi nei territori di confine  impoverisce progressivamente l'impero e indebita sempre più un'amministrazione che non ha risorse. Per questi motivi, l'impero romano d'Oriente, che verrà poi chiamato Bizantino dagli storici del XVI secolo, sopravviverà per quasi mille anni all'impero romano d'Occidente.

- Impero bizantino è il nome con cui gli studiosi moderni e contemporanei indicano l'Impero romano d'Oriente, distinzione che aveva incominciato a diffondersi durante il regno dell'imperatore Valente, dal 364 al 378, di cultura prevalentemente greca, separatosi dalla parte occidentale, di cultura quasi esclusivamente latina, dopo la morte di Teodosio I nel 395. Non c'è accordo fra gli storici sulla data in cui si dovrebbe cessare di utilizzare il termine "romano" per sostituirlo con il termine "bizantino", anche perché entrambe le definizioni sono utilizzate da molti di costoro, spesso indistintamente, per designare il mondo romano-orientale fino almeno al VII secolo. Le diverse impostazioni storiografiche condizionano anche la diversità di opinioni nella determinazione della datazione: taluni lo fanno coincidere con il 395 (separazione definitiva dei due imperi) ma si è anche proposto il 476 (fine dell'Impero Romano d'Occidente), il 330 (anno di inaugurazione della Nova Roma o Νέα Ῥώμη, fondata da Costantino I, copia fedele e nostalgica della prima Roma), il 565 (morte di Giustiniano I, ultimo imperatore di madrelingua latina e del suo sogno della Restauratio imperii). Alcuni storici prolungano il periodo propriamente "romano" fino al 610, anno dell'ascesa al trono di Eraclio I il quale modificò notevolmente la struttura dell'Impero. Resta comunque il fatto che per gli imperatori bizantini e per i propri sudditi il loro impero si identificò sempre con quello di Augusto e Costantino I dal momento che "romano" e "greco" fino al XVIII secolo furono per essi sinonimi. L'impero, dopo una lunga crisi, la sua distruzione da parte dei crociati nel 1204 e la sua restaurazione nel 1.261, cessò definitivamente di esistere nel 1.453 (conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi ottomani guidati da Maometto II). Il termine "bizantino", derivato da Bisanzio, l'antico nome della capitale imperiale Costantinopoli, non venne mai utilizzato durante tutta la durata dell'impero (395-1.453): i bizantini si consideravano Ῥωμαίοι (Rhōmaioi, "romei", ovvero Greco-Romani in lingua greca), e chiamavano il loro Stato Βασιλεία Ῥωμαίων (Basileia Rhōmaiōn, cioè "Regno dei Romani") o semplicemente Ῥωμανία (Rhōmania). Fino al regno di Giustiniano I, nel VI secolo, si tentò ripetutamente di ricostituire l'antica unità dell'impero romano, sottraendo i territori occidentali ai successivi conquistatori. Il greco fu la lingua di cultura e d'uso, com'era stata da sempre nelle province orientali dell'impero romano. Il latino, piuttosto diffuso presso le classi alte di Costantinopoli fino almeno all'età marcianea (Flavio Marciano è stato un imperatore romano d'Oriente dal 450 al 457), rimase comunque lingua ufficiale dell'Impero d'Oriente: Eraclio I lo sostituì con il greco intorno al 625. Curiosamente, per lungo tempo fu considerato disdicevole riferirsi all'impero come "greco", poiché tale termine aveva l'accezione spregiativa di pagano.

Cartina dell'Impero Romano nel 395: i
confini, la linea di demarcazione fra
Impero d'Oriente e d'Occidente, le
regioni altamente cristianizzate,
le aree di diffusione del cristianesimo
e le regioni non evangelizzate;
le sedi dei principali concili con
le date, le strade dell'Impero,
le maggiori città.
Gli storici moderni occidentali utilizzano il termine di impero "bizantino", al fine di non generare confusione con l'impero romano dell'epoca classica; questa dicitura fu introdotta nel 1557 dallo storico tedesco Hieronymus Wolf che in quell'anno diede alle stampe il libro "Corpus Historiae Byzantinae". La pubblicazione nel 1648 di "Byzantine du Louvre" (Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae) e nel 1680 di "Historia Byzantina", scritta da Du  Cange, diffuse l'uso del termine "bizantino" tra gli autori francesi  illuministi come Montesquieu. Gli abitanti dell'impero  romano  d'Oriente chiamavano se stessi  "romani" (RhōmaioiRomei), anche se di lingua greca, e che gli stessi musulmani conquistandone i territori fondarono il sultanato di "Rum", mentre gli europei occidentali venivano definiti "latini" (dalla lingua usata). Per corruzione dall'arabo Rūm (attraverso le modifiche in Hrūm e quindi in sogdiano, una variante dell'iranico parlata in Sogdiana, Frōm) derivò il termine cinese Fulin (pinyin: Fúlĭn Gúo, "Paese di Fulin"). Con questo termine, sebbene con varianti grafiche, le storie dinastiche cinesi definirono l'impero bizantino dal tempo degli annali della dinastia Wei, scritti dal 551 al 554, fino agli annali della dinastia Tang scritti nel 945. Prima dell'introduzione del termine "bizantino", l'Impero veniva chiamato dagli europei occidentali Imperium Graecorum (Impero dei Greci). Gli europei occidentali consideravano il Sacro Romano Impero, e non l'Impero bizantino, erede dell'Impero romano; quando i re di Occidente volevano fare uso del termine Romano per riferirsi agli imperatori bizantini, preferivano chiamarlo Imperator Romaniæ invece di Imperator Romanorum, un titolo che veniva attribuito a Carlo Magno e ai suoi successori. Tuttavia, prima della nascita dell'Impero carolingio ad opera di Carlo Magno, anche le fonti occidentali usavano il termine "romani" per riferirsi ai Bizantini, anche se talvolta veniva utilizzato il termine "greco" a causa delle differenze linguistiche. Nelle fonti papali del VI-VII-VIII secolo l'Impero romano d'oriente era definito "Sancta Res Publica" o "Res Publica Romanorum": solo con la rottura dei rapporti tra Papa e Imperatore d'Oriente in seguito all'Iconoclasmo (a metà dell'VIII secolo) coloro che venivano fino a poco tempo prima definiti "Romani" divennero per la Chiesa di Roma "Greci" e la "Res Publica Romanorum" si trasformò in "Imperium Graecorum". Curiosamente, per lungo tempo fu considerato disdicevole riferirsi all'impero come "greco", poiché tale termine aveva l'accezione spregiativa di "pagano".

- La divisione fra Ostrogoti e Visigoti ebbe luogo tra il III e IV sec. nel Ponto, quando i Visigoti (goti dell'ovest), allora noti come Tervingi, riconobbero l’autorità dei Balti, mentre gli Ostrogoti (goti dell'est), prima noti come Greutungi, avevano riconosciuto quella degli Amali, considerati come i più valorosi tra i loro guerrieri. I goti Tervingi, secondo il loro antico mito, erano emigrati dalle rive del mar Baltico nella Russia meridionale, sul Dnestr e sul Mar Nero e in realtà si erano formati come popolo solo in quelle regioni. Dal 395 i goti Tervingi, divennero i Visigoti, quando riconobbero l’autorità dei Balti  (nome che deriva dal termine gotico balþa (baltha), che significa "audace", che divenne la loro dinastia reale, sopravvalendo sugli Amali Ostrogoti per prestigio e potere, e che espresse tra il 395 ed il 531 i seguenti re dei Visigoti: Alarico I (395 - 410), Ataulfo (410 - 415) che sposando Galla Pacidia ne fece una regina visigota, Walia (415 - 419), Teodorico I (419 - 451), Torismondo (451 - 453), Teodorico II (453 - 466), Eurico (466 - 485), Alarico II (485 - 507), Gesalico (507 - 511), Amalarico (507 - 531). Lo storico inglese Edward Gibbon, nel suo “History of the Decline and Fall of the Roman Empire”, cita che questa stirpe ha lasciato una traccia nella provincia gota della  Settimania nell'appellativo storpiato di Baux e una branca di questa famiglia la troviamo poi nel regno di Napoli. I signori di Baux (nei pressi di Arles) e di 79 cittadine subordinate, furono indipendenti dai conti di Provenza.

- Nonostante il sacrificio delle truppe visigote di Alarico alla battaglia del Frigido, che il 5 settembre 394 avevano costituito l'avanguardia dell'esercito di Teodosio I subendo gravissime perdite, dopo la morte dell'imperatore il 17 gennaio 395, Stilicone rispedisce i Visigoti nella loro provincia e non sarà più pagato il tributo annuale che Roma versava loro. Questi fatti, secondo lo storico Giordane, contribuirono a compromettere la pace che era stata raggiunta tra Goti e Romani e a far ricominciare le ostilità. I Visigoti allora, proclamato loro re Alarico, invadono  la Tracia, la Macedonia, la Tessaglia, la Beozia e l'Attica finché non sono fermati dal generale Stilicone. L'imperatore d'oriente Arcadio intima però a Stilicone di rientrare in Occidente e all'esercito romano-orientale di rientrare a Costantinopoli, lasciando solo un contingente alle Termopili per difendere la Grecia. Inoltre, cercando di danneggiare il rivale Stilicone, magister militum dell'Impero romano d'occidente, Flavio Rufino consiglia ad Arcadio di richiamare le sue truppe dall'occidente e sarà proprio in quel trasferimento che il 27 novembre del 395 rimarrà  ucciso, proprio dalle stesse truppe orientali, Flavio Rufino stesso. Sarà proprio l'accusa di aver tramato per l'assassinio di Rufino una delle motivazioni per cui Stilicone verrà condannato a morte da Onorio nel 408. I Visigoti, probabilmente grazie ad un tradimento, guadagnarono il famoso passo delle Termopili, attraversarono la Beozia e l'Attica e occuparono Il Pireo, costringendo  Atene alla resa, pur senza saccheggiarla. Poi si diressero a Eleusi, dove distrussero il tempio di Demetra, determinando la  definitiva interruzione delle celebrazioni dei Misteri Eleusini.

Nel 396 - Tutto il Peloponneso è occupato dai Visigoti: Corinto, Argo, Sparta e molti altri siti subiscono violenze e devastazioni.

Nel 397 - Stilicone, pur essendo ora magister militum d'occidente, sbarca a Corinto con un esercito, caccia i Visigoti dall'Arcadia e li accerchia ad Elice. Propone quindi loro un'alleanza contro l'impero d'oriente, permettendogli di ritirarsi sulle montagne settentrionali dell'Epiro. Intanto Serena, moglie di Stilicone, alla fine del 397 sacrifica la prima figlia Maria sull'altare dinastico, dandola in moglie a Onorio. La cerimonia fu a dir poco sontuosa: Maria ricevette in dono i gioielli della corona, con i quali fu sepolta già nel 404. I gioielli furono ritrovati nel XVI sec., quando aprirono il mausoleo di fianco a S. Pietro; le pietre preziose furono immesse sul mercato e l'oro fuso per la zecca papale. L'assenza di figli, dovuta principalmente alle tendenze di Onorio,  risaputamente omosessuale, fu imputata a sortilegi operati da Serena per assicurare l'eredità a suo figlio Eucherio. L'accusa ci suggerisce che l'immagine popolare di Serena fosse piuttosto offuscata e che di lei si vedesse solo la grande ambizione personale.

Illirico ed Epiro, da QUI.

Nel 399 - L'imperatore d'oriente Arcadio, al fine di svilire l'alleanza di Stilicone coi Visigoti, alleanza propedeutica ad una guerra civile nei propri confronti, nomina il loro re Alarico magister militum dell'Epiro, che già aveva occupato grazie a Stilicone, gli offre denaro e conclude così una nuova pace, deviando ad Occidente le mire dei Visigoti. Alarico approfitta della collaborazione con l'impero d'oriente per rafforzarsi e riarma i Visigoti dagli arsenali romano-orientali.

- Un destino simile a quello dell'eunuco Eusebio (condannato  a morte nel 361 d.C. dall'imperatore Giuliano detto l'Apostata) ebbe l'eunuco praepositus sacri cubiculi Eutropio, al servizio dell'imperatore Arcadio (377-408 d.C.), figlio di Teodosio I ed erede al trono d’Oriente. Per sostituirsi a Rufino, consigliere di fiducia del principe, Eutropio fece uccidere costui, incamerando le sue proprietà. Eutropio convinse poi Arcadio a sposare Eudossia, figlia del generale Bautone, e fece esiliare o dichiarare nemici dell'Impero tutti i suoi oppositori, compreso il generale Stilicone. Il potere e la ricchezza di Eutropio aumentarono al punto che dopo la nomina a patricius nel 398 d.C., ebbe anche il consolato l’anno dopo. Per la prima volta un eunuco occupava una carica così alta, scandalizzando la corte imperiale. Nel 399 d.C. il generale Gainas fu inviato da Eutropio, che aveva ricevuto il governo dell'Oriente dall'imperatore d'Oriente Arcadio, di domare gli Ostrogoti alleati dell’Impero in Frigia, che si erano ribellati. Gainas, nemico dell'eunuco, si accordò coi ribelli che dichiararono di cessare la rivolta a condizione che Eutropio fosse stato incarcerato e condannato a morte. Arcadio, che esitava a far arrestare l'eunuco, fu convinto dalla moglie Eudossia a procedere contro Eutropio, che si rifugiò nella basilica di Santa Sofia dove in effetti non valeva più il diritto d'asilo nelle chiese per una legge fatta approvare dallo stesso Eutropio nel 398. Fu invece san Giovanni Crisostomo (344-407 d.C.), patriarca di Costantinopoli, a difendere, con una serie di omelie, l'operato di Eutropio che tuttavia fu condannato all'esilio a Cipro, da dove con un pretesto venne fatto tornare a Costantinopoli e fatto giustiziare (nel 399 d.C.). I beni del praepositus furono confiscati e la sua figura venne presa dal poeta Claudio Claudiano (370-404 d.C.), come simbolo di tutti gli inganni, tradimenti e vizi propri degli eunuchi.

Nel 400 - I Vandali Asdingi lasciano la Pannoniaspinti alla colonizzazione di nuove terre  dall'avanzata delle truppe unne


- Visto che  il matrimonio fra la figlia Maria e l'imperatore Onorio non generava figli, a causa  dell'impotenza  dovuta alle tendenze omosessuali di Onorio, Serena organizza il fidanzamento di Galla Placidia con il figlio Eucherio che aveva avuto da Stilicone e all'epoca i due avevano rispettivamente otto e undici anni.

Nel 401 - Sotto la spinta di altri popoli germanici, i Vandali Asdingi, che già si erano convertiti all'arianesimo, si spingono fino alla Rezia, saccheggiandola e Stilicone riesce a fermarli temporaneamente. I Visigoti, passando da Aemona (Lubiana in Slovenia), arrivano in Italia e da Aquileia si dirigono a Milano, alla corte dell'imperatore Onorio, per ottenere una sovvenzione e una provincia in cui stabilirsi.

Europa dal IV al VI sec., con  i percorsi
delle invasioni e delle espansioni
degli Alani, gruppo dei Sàrmati e delle
popolazioni Germaniche dei Goti
 (Ostrogoti e Visigoti), Vandali,
Svevi,  Juti, Angli e Sassoni,
popolazioni spinte a est
dagli Unni, che giungevano
su cavalli dalle steppe
nordasiatiche.
Nel 402 - Dopo Milano, l'imperatore Onorio elegge Ravenna  come capitale dell'Impero Romano d'Occidente visto che ormai Roma, dove ancora è insediato il Senato Romano, è troppo esposta ad eventuali scorrerie mentre Ravenna, con le paludi che ne ostacolano l'accesso e il porto alle spalle che garantisce una via di fuga via mare, è più sicura.

- Nel 402 i Visigoti sono fermati a Pollenzo, nel cuneese da Stilicone, che nomina Alarico magister militum, purché lasci l'Italia. La "Notitia Dignitatum", il ruolo organico  dell'amministrazione civile e militare del tardo impero romano, attesta la presenza nei primi anni del V secolo di 15 colonie militari di  Sàrmati anche in Italia, soprattutto nella pianura del Po, sotto il comando di un Praefectus Sarmatarum gentilium. Secondo quel documento una di queste guarnigioni era stanziata nell'odierna provincia di Cuneo, a Pollentia  (oggi Pollenzo), nota per essere stata teatro nel 402 della battaglia tra i Visigoti di Alarico e i  Romani, fra le cui fila erano presenti cavalieri Sarmato-Alani. In seguito si sarebbero spostati sul più sicuro e poco distante altopiano alla confluenza fra il Tànaro e la Stura di Demonte, dove oggi sorge il piccolo paese di Salmour che si ipotizza derivi il nome da quell'antico insediamento (Sarmatorium). Dopo essere usciti dall'Italia, i Visigoti non si allontanano dai confini.

Nel 403 - I Visigoti di Alarico rientrano in Italia e assediano Verona, dove sono sconfitti da Stilicone, che li costringe a rinnovare il patto di alleanza contro l'impero d'oriente e a rientrare in Epiro; ma ben presto abbandonano l'Illiria per stabilirsi tra il Norico e la Pannonia. Sembra che Stilicone intendesse usare Alarico come alleato contro l'Impero romano d'Oriente per spingere l'imperatore d'oriente Arcadio a cedere all'Impero d'Occidente l'Illirico orientale, trasferito all'Impero d'Oriente sotto Teodosio I dall'imperatore Graziano.

Nel 405 - San Girolamo traduce e pubblica la Bibbia in Latino, chiamata Vulgata  mentre  Stilicone ordina la distruzione dei libri sibillini, le cui profezie cominciavano a essere utilizzate per attaccare il suo governo.

Nel 405/406 - Radagaiso, un condottiero ostrogoto, a capo di una vasta coalizione di tribù germaniche (Goti, Vandali Asdingi, Quadi, Suebi, Burgundi), Alani sarmatici e tribù celtiche, tra la fine del 405 e gli inizi del 406 invade l'Italia. Con una folta schiera di guerrieri, Radagaiso devasta l'Emilia e la Toscana ed assedia Fiesole. Interviene allora il generale Stilicone che, al comando dell'esercito romano rafforzato da schiavi liberati e truppe ausiliarie guidate dall'unno Uldino e dal visigoto Saro (Sarus in latino), infligge una sconfitta decisiva al nemico nei pressi di Fiesole il 23 agosto 406. Radagaiso abbandonò l'esercito e tentò la fuga portandosi dietro un abbondante bottino ma fu catturato e messo a morte insieme ai suoi figli presso Firenze. Stilicone, magister militum dell'Impero romano d'Occidente, aveva assoldato Saro (in latino Sarus; ... - 412), generale dell'Impero romano d'Occidente di origine gota e fratello di Sigerico (futuro re dei Visigoti per sette giorni), per combattere contro Radagaiso (nel 406) e contro l'usurpatore Costantino "III" (nel 407). Quando Stilicone verrà giustiziato per ordine dell'imperatore Onorio, Saro abbandonerà l'esercito romano assieme ai propri uomini.

Nel 406 - Le province della Britannia romana si ribellano. Le guarnigioni non erano state pagate e avevano deciso di scegliere il proprio capo. Le loro prime due scelte, Marcus e Graziano, non avevano soddisfatto le loro aspettative e furono uccisi.

- Alla fine del 406, Stilicone invia Alarico in Epiro, stringendo con lui una nuova alleanza contro  l'Impero d'Oriente: l'intenzione di Stilicone era farsi consegnare da Arcadio l'Illirico orientale. Per difendere l'Italia o per attaccare l'impero d'Oriente però, vennero sguarnite le frontiere della Gallia e proprio il 31 dicembre del 406, attraversando il Reno ghiacciato presso Mogontiacum, Vandali, Alani e Suebi o Svevi, invadono la provincia.  


Carta delle migrazioni
in Europa nel III e IV sec..
- Il Reno, che rappresentava il confine (limes in latino) fra l'impero romano e le popolazioni germaniche dell'Europa centrale ed era invalicabile per l'assenza di ponti, alla fine del 406, si ghiaccia completamente e il 31 dicembre, presso Mogontiacum (Magonza, l'attuale Meinz che sorge alla confluenza del Meno e del Reno, nei pressi di Francoforte sul Meno), viene varcato da VandaliAlaniBurgundi Suebi  (o Svevi) alla ricerca di un futuro nella società romana. I federati Franchi Salii combatterono contro questi invasori, dirottando la loro spinta principale a sud della Loira ma è l'inizio dello sgretolamento dell'impero romano d'occidente. Tempo prima, assieme agli  Alani ed ai Suebi (fra cui i Quadi), i Vandali Asdingi si erano spostati lungo il limes da Augusta (Augsburg) in direzione del fiume Meno, dove a loro si erano uniti i Silingi (Vandali unitisi ai Burgundi nel III secolo) e da qui avevano raggiunto il Reno, dove furono affrontati dai Franchi, che come federati dei Romani, presidiavano il confine dell'impero; i Franchi provocarono gravi perdite nelle file dei Vandali, ma sopraggiunsero gli Alani che capovolsero le sorti della battaglia. Il capo dei Vandali Asdingi, Godigisel aveva perso la vita nel corso della battaglia di Treviri, poco prima che la sua tribù, con l'aiuto degli Alani, avesse sconfitto i Franchi. A Godigisel successe il figlio Gunderico che guidò i Vandali della tribù degli Asdingi oltre il Reno, il 31 dicembre del 406, a Magonza, che fu rasa al suolo, poi attraversarono rapidamente la Gallia, razziando i villaggi e le città che incontravano lungo il loro cammino sino ad arrivare ai  Pirenei, ove si fermarono di fronte ai passi fortificati e si riversarono nella Gallia Narbonense. L'avanzata divenne un'invasione e scatenò il caos. Assieme alle tribù vandale degli Asdingi e di parte dei Silingi (il resto dei Silingi era rimasto nelle terre ancestrali della Pannonia e della Slesia  finendo per fondersi con gli Slavi) si scatenarono sul territorio gallico anche Suebi Alani, seguiti da Burgundi e Alemanni. L'immagine resta di portata storica epocale, in quanto questi popoli non sarebbero mai più usciti dall'Impero e vi avrebbero fondato, insieme agli stessi Visigoti, i primi regni romano-barbarici. L'invasione, secondo la tradizione storica, causò immani massacri.

Nel 407 - All'inizio dell'anno, l'esercito romano in Britannia acclama l'usurpatore Costantino (ricordato come Costantino III o Costantino I d'Inghilterra) come imperatore. Temendo un'invasione germanica e alla disperata ricerca di un certo senso di sicurezza in un mondo che sembrava andare rapidamente a pezzi, l'esercito romano in Gran Bretagna cerca maggiore sicurezza in una leadership militare forte e abile e sceglie come leader un uomo che prende il nome dal famoso imperatore Costantino il Grande, salito al potere attraverso un colpo di stato militare in Britannia. Flavio Claudio Costantino, meglio noto come Costantino III (... – 411), è stato  usurpatore dell'Impero romano d'Occidente (407 - 411) contro l'imperatore Onorio. Fu incluso tra i sovrani leggendari della Britannia (come Costantino II) nelle cronache gallesi e nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, secondo la quale salì al potere dopo l'assassinio di Graciano Municeps. Goffredo dice che dopo questo omicidio la Britannia era sull'orlo della guerra civile e allora gli abitanti dell'isola chiamarono in soccorso i cugini di Municeps dalla Bretagna. Il sovrano di questa terra, Aldroeno, mandò suo fratello, Costantino II, che respinse gli Unni e i Pitti, che avevano invaso la Britannia. Ebbe tre figli: Costante, Ambrosio Aureliano e Uther Pendragon. Egli fece intraprendere a Costante la vita ecclesiastica. Regnò per cinque anni, ma fu deposto da Vortigern, che era il suo siniscalco. Questa storia si ritrova molte volte nel ciclo arturiano, compreso il "Merlino" di Roberto di Boron e nel Lancillotto in prosa, anche se con molte contraddizioni. Costantino era un soldato comune, ma dotato di una certa abilità. All'inizio del 407, acclamato imperatore, Costantino si mosse rapidamente e attraversò la Manica a Bononia (Boulogne) e (gli storici hanno ipotizzato) portò con sé tutte le truppe mobili rimaste in Gran Bretagna, privando così la provincia di ogni protezione militare di prima linea, motivando così la scomparsa delle legioni dalla Britannia all'inizio del quinto secolo. Le forze romane in Gallia si scherarono con lui, seguite dalla maggior parte di quelle in Hispania. Le forze di Costantino  vinsero diversi scontri con i Vandali e si assicurarono rapidamente il limes del Reno

- La notizia falsa di un presunto decesso di Alarico e l'usurpazione di Costantino III trattennero Stilicone dal raggiungere l'alleato Alarico in Epiro per condurre una guerra civile contro l'Impero romano d'Oriente per il possesso dell'Illirico orientale. Le diocesi dell'Illirico orientale erano infatti state trasferite all'Impero d'Oriente sotto Teodosio I dall'imperatore Graziano, ed erano quindi rivendicate per l'Occidente da Stilicone. Gli storici moderni si sono ripetutamente chiesti se l'invasione dell'Illirico fosse un piano da lungo tempo meditato, o piuttosto il risultato di eventi specifici, se non della disperazione. Autori più datati come John Bagnell Bury ritengono che Stilicone rivendicasse l'annessione dell'Illirico Orientale alla pars occidentis fin dal 395, mentre autori come Hughes, Mazzarino e Cesa, basandosi sui panegirici di Claudiano (opere di propaganda del regime stiliconiano che in alcuni passi sembrano riconoscere come legittimo il governo di Arcadio sull'Illirico Orientale), concludono che solo dopo la sconfitta di Radagaiso nel 405-406 Stilicone concepisse questa strategia come l'unica via di uscita, mentre prima si era illuso di poter mantenere unità d'intenti tra le due parti dell'impero. I potenti senatori romani si opponevano al  reclutamento massiccio di barbari nell'esercito, non ritenendoli affidabili, ma allo stesso tempo non volevano fornire i contadini che coltivavano le loro terre, né pagare le tasse che avrebbero consentito all'impero di reclutare altrove i soldati. Per difendere l'Italia Stilicone aveva sguarnito la Britannia e la frontiera del Reno, lasciata forse ai soli federati Franchi, chiaro sintomo di una coperta troppo corta. Sentendosi indifese, o volendo cogliere l'opportunità data dal momento di debolezza e di crisi, alcune zone dell'impero se ne stavano allontanando, e tra queste la Britannia. Non è infatti del tutto certo chi abbia abbandonato chi, se Roma la Britannia o la Britannia Roma. Altre zone della Gallia erano infestate dai Bagaudi e si sarebbero presto staccate (come l'Armorica). L'effetto negativo era doppio, servivano soldati per controllare queste zone ribelli, ma il loro allontanamento privava allo stesso tempo la pars occidentis di fonti di reclutamento e introiti fiscali.

- Stilicone era pronto per la campagna contro l'impero d'Oriente nell'Illirico, contando anche sull'alleanza con Alarico e i suoi Visigoti, ma prima arrivò la notizia poi rivelatasi falsa che Alarico fosse deceduto, e Stilicone cercò di accertarsene; poi gli giunsero lettere di Onorio provenienti da Roma, che lo informavano dell'usurpazione di Costantino III e a tale notizia, il generale romano fu costretto ad annullare la spedizione illirica e a ritornare a Roma per stabilire le mosse future. Per cui, intenzionato a recuperare il possesso della Gallia, nel 407 Stilicone invia nella regione un'armata condotta dal generale romano di origini gote Saro (in latino Sarus; ... - 412), fratello di Sigerico (futuro re dei Visigoti per sette giorni), per porre fine all'usurpazione di Costantino III: Saro, attraversate le Alpi, ottenne alcuni successi iniziali, come la sconfitta e l'uccisione dei due generali di Costantino III, Giustiniano e Nebiogaste. Costantino III stesso fu assediato da Saro nella città di Valentia per sette giorni ma la città resistette all'assedio e ben presto accorsero in soccorso dell'usurpatore i rinforzi condotti dal franco Edobico e dal britannico Geronzio; all'arrivo di tali rinforzi, Saro fu costretto a levare l'assedio dopo soli sette giorni e tentare la ritirata, ma fu assalito e sconfitto dai due generali e riuscì a stento a sfuggire alla cattura. La ritirata frettolosa dell'esercito sconfitto di Saro verso l'Italia fu ostacolata durante l'attraversamento delle Alpi dai briganti Bagaudi, che consentirono all'esercito romano di tornare in Italia solo a patto che venisse loro ceduto tutto il bottino di guerra. 

Nel 408 - Serena, in attesa che suo figlio Eucherio possa sposare Galla Placidia, temporeggia e alla morte della figlia Maria, fa sposare a Onorio l'altra figliaTermanzia.

- In maggio, l'usurpatore Costantino III fa di Arles la propria capitale, dove nomina Prefetto Apollinare, il nonno di Gaio Sollio Sidonio Apollinare (Lugdunum, 5 novembre 430 circa - Clermont-Ferrand, 486), nobile gallo-romano, alto funzionario dell'Impero romano, poeta, epistolografo, vescovo di Alvernia e santo. Il suo rango e le sue conoscenze fecero sì che fosse al centro della vita pubblica della sua epoca.

- Stilicone è informato che Alarico aveva lasciato l'Epiro e che aveva collocato il suo accampamento a Emona, città situata tra la Pannonia Superiore e il Norico. Il re dei Visigoti aveva ricevuto lettere da Onorio che gli avevano annunciato l'annullamento della spedizione e gli avevano ordinato di rientrare in territorio romano-occidentale. Alarico, arrabbiato per l'annullamento della spedizione senza che avesse ricevuto alcuna ricompensa o almeno un rimborso spese per il mantenimento delle sue truppe per tutto il tempo trascorso in Epiro in attesa di Stilicone, decide di marciare in Norico, da dove invia messaggeri a Stilicone che gli chiedono 4.000 libbre d'oro, non solo come ricompensa per i servigi prestati all'Impero d'Occidente in Epiro ma anche come rimborso spese per il viaggio dall'Epiro al Norico, e minaccia di invadere l'Italia nel caso questa richiesta non sia soddisfatta. Stilicone, all'arrivo dei messaggeri di Alarico a Ravenna, li trattenne nella nuova capitale della parte occidentale e si dirige a Roma, dove intende consultarsi con l'Imperatore e con il Senato romano riguardo al pagamento di Alarico. Il senato, riunitosi al palazzo imperiale, discusse se dichiarare guerra al re dei Visigoti oppure pagargli la somma di denaro: la maggior parte dei senatori erano propensi per la guerra mentre Stilicone e pochi altri erano di opinione contraria e votarono per la pace con Alarico. Quando i senatori propensi alla guerra chiesero a Stilicone perché propendeva per la pace e conseguentemente al disonore del nome romano, in quanto essa veniva comprata con del denaro, il generale romano rammentò che Alarico era intervenuto in Epiro per assistere l'Impero d'Occidente nel tentativo di sottrarre all'Impero d'Oriente l'Illirico orientale e il piano avrebbe già avuto successo se non fosse intervenuta Serena, sua moglie, che volendo evitare una guerra civile tra le due parti dell'Impero, era riuscita a indurre Onorio a fermare la spedizione. Stilicone mostrò inoltre al senato una lettera dell'Imperatore a riprova di quanto aveva affermato. Il senato, ascoltate le argomentazioni di Stilicone, accettò di versare ad Alarico le quattromila libbre d'oro e soltanto un senatore di nome Lampadio, secondo la tradizione, ebbe il coraggio di affermare che «questa non è una pace, ma un contratto di servitù». Secondo Zosimo, Stilicone intendeva inviare Alarico in Gallia per combattere l'usurpatore Costantino III, e avrebbe avuto l'approvazione di Onorio, che scrisse persino ad Alarico, ma l'esecuzione di Stilicone mandò a monte tutto. Una volta versate le 4.000 libbre d'oro ad Alarico, Onorio decise di recarsi dapprima a Ravenna e poi a Pavia, dove voleva visionare l'esercito che doveva essere inviato contro l'usurpatore Costantino III. Onorio intendeva lasciare Roma per stabilirsi a Ravenna, sembra per suggerimento di Serena, che temeva che se l'Imperatore fosse rimasto a Roma avrebbe avuto un rischio maggiore di essere catturato da Alarico nel caso avesse invaso l'Italia e riteneva, al contrario, Ravenna maggiormente sicura. Giustiniano, avvocato consigliere di Stilicone, temendo che se Onorio si fosse recato a Pavia il rischio di una rivolta delle truppe romane di stanza a Pavia, avverse a Stilicone, sarebbe stato elevato, tentò di distogliere l'Imperatore dal viaggio senza però riuscirci. 

- Stilicone parte dunque per Ravenna, ma il viaggio  a Pavia di Onorio, che è una pericolosa banderuola pronta a cambiare al primo vento, dà fastidio a Stilicone. Appena arrivato a Ravenna il magister provoca una agitazione tra i soldati con l’appoggio di Saro, ufficiale barbaro a lui fedele. Onorio non si arresta e prosegue per la capitale. A metà strada gli giunge la conferma della notizia della morte di Arcadio (il primo di maggio) avvenuta a Costantinopoli. L’imperatore orientale lascia erede il figlio di sette anni, Teodosio Il. Onorio, tuttavia, non si fece intimorire e partì per Bologna, dove scrisse a Stilicone, che all'epoca si trovava a Ravenna, ordinandogli di punire i rivoltosi. Quando però Stilicone annunciò la sua intenzione di punirli con la decimazione, i soldati con un pianto dirotto ottennero che il generale scrivesse all'Imperatore, chiedendo di non punirli, ottenendo così il perdono dall'Imperatore e scampando pertanto alla punizione. Stilicone raggiunse quindi Onorio a Bologna, dove i due ebbero una discussione accesa: Onorio, essendosi spento per malattia il I° maggio suo fratello Arcadio, intendeva infatti andare a Costantinopoli per assicurare la successione al nipote Teodosio II, figlio di Arcadio mentre Stilicone cercava di convincerlo che la presenza dell'Imperatore in Italia in questi frangenti così delicati (con Alarico e Costantino "III" in agguato) era necessaria e che sarebbe andato lui stesso in Oriente a sistemare le cose. Stilicone consigliò inoltre Onorio di negoziare con Alarico per stringere una nuova alleanza con lui: il generale intendeva impiegare i foederati Visigoti di Alarico in Gallia contro l'usurpatore Costantino III insieme alle legioni romane, sperando che con l'aiuto di Alarico sarebbe riuscito a recuperare la Gallia. Convinto da Stilicone, Onorio scrisse ad Alarico e alla corte d'Oriente e partì da Bologna per raggiungere Pavia. Partito Onorio, Stilicone si preparò per partire per Costantinopoli ma, narra Zosimo, tardò ad eseguire ciò che aveva promesso.

- Nell'estate del 408, le forze romane in Italia si riuniscono per attaccare l'usurpatore  Costantino "III" mentre lui temeva che i cugini di Onorio in Hispania avrebbero organizzato un attacco da quella direzione mentre le truppe al comando di Sarus e Stilicone lo attaccavano dall'Italia, con una manovra a tenaglia. Quindi pensò di colpire per primo in Hispania e convocò il figlio maggiore, Costante, dal monastero dove abitava, lo elevò a Cesare e lo mandò con il generale Geronzio verso l'Hispania, dove sconfissero i cugini di Onorio con poca difficoltà. Didimo e Veriniano, furono catturati e altri due, Lagodius e Teodosiolus, fuggirono; il primo a Roma e Teodosiolus a Costantinopoli. Costante lasciò la moglie e la casa a Saragozza sotto la cura di Geronzio e tornò ad Arles per riferire al padre.

Dittico con Stilicone, la moglie
Serena e il figlio Eucherio.
Monza, tesoro del duomo.
- Nel frattempo, la fazione della corte di Onorio contraria alla politica di Stilicone, favorevole al compromesso con i Visigoti e avversa all'Impero d'Oriente, capeggiata dal cortigiano Olimpio, originario del Ponto Eusino, decide di passare all'azione per provocare la rovina di Stilicone. Olimpio, durante il viaggio dell'Imperatore Onorio verso Pavia, comincia a suscitare sospetti in Onorio sulla fedeltà di Stilicone, affermando che avesse pianificato l'assassinio di Rufino, stesse brigando con Alarico, che avesse invitato i barbari nel 406 in Gallia e che intendesse dirigersi a Costantinopoli con l'intenzione di mettere sul trono imperiale il figlio Eucherio. Giunto poi a Pavia, Olimpio ripeté gli stessi discorsi volti a screditare Stilicone all'esercito radunato a Pavia, spingendolo pertanto alla rivolta.

- A Ravenna e a Milano il partito antibarbarico o antigermanico aveva tessuto la sua strategia. Il 13 agosto a Ticinum (Pavia), proprio nel momento in cui Onorio, nel passare in rassegna le truppe, le stava incitando a dare il massimo nella guerra contro l'usurpatore Costantino III, al segnale di Olimpio, un civile abile negli intrighi di  palazzo e nuovo  favorito di Onorio, insorgono all’idea di essere nello stesso esercito assieme ai Visigoti di Alarico, un nemico pagato con soldi dello stato, il medesimo Alarico che avevano combattuto nelle passate battaglie sul suolo italico.  Scoppiano gravissimi tumulti; davanti all’imperatore i soldati si gettano sugli alti dignitari stiliconiani del governo, compiono una strage saccheggiano la città. Si narra che Onorio, nel tentativo di porre fine alla rivolta, si togliesse la porpora e il diadema e vagasse per la città nel tentativo di fermare i soldati, riuscendoci con molta fatica. È un vero colpo di stato: la fazione antigermanica prende un effimero sopravvento. Onorio terrorizzato fugge a Milano. Nomina frettolosamente magister officiorum Olimpio e prefetto al pretorio d’Italia il cattolico Mallio Teodoro. Ormai è rottura tra Onorio e Stilicone, l’imperatore infatti dà ordine ai suoi ufficiali di arrestarlo.

- Stilicone, che è a Bologna, si rende conto che la sua politica è finita. In un primo momento pensa di dirigersi verso Pavia ma quando viene a sapere che Onorio offre la sua copertura alla rivolta della fazione antigermanica vi rinuncia. Da leale soldato tiene fede al giuramento fatto a Teodosio e rifiuta di marciare alla testa delle truppe foederate contro i reggimenti romani di Ticinum (Pavia). Dà anzi l’ordine di chiudere le porte delle città del nord Italia onde impedire alle famiglie dei soldati Goti di raggiungere i loro parenti. Con questa disposizione permette al governo di cautelarsi contro la ribellione delle truppe barbariche. Gli ostaggi civili diventano un efficace deterrente contro un inizio di guerra civile tra milizie dello stesso impero. A Bologna, durante la notte il capo goto Saro furente massacra la guardia del corpo di Stilicone (composta da Unni di Pannonia) ed ha con lui un misterioso colloquio nella sua tenda, probabilmente per convincerlo a spodestare Onorio e il partito anti-germanico.

- Stilicone, distrutto moralmente e psicologicamente, va a Ravenna. Qui trova l’appoggio delle milizie foederate subito accorse, con la possibilità di scontri con la guarnigione della città. Non riuscendo più a conferire con Onorio per persuaderlo dell'infondatezza delle accuse di tradimento, Stilicone riesce a trovare riparo in una chiesa, dove entrano le truppe di Onorio presentando a Stilicone una prima lettera scritta da Onorio, in cui veniva ordinato semplicemente il suo arresto e la detenzione in carcere, ma non la sua esecuzione e lo inducono ad uscire dalla chiesa. Non appena Stilicone uscì dalla chiesa tuttavia, i soldati gli lessero una seconda lettera, nella quale veniva ordinata la sua esecuzione per presunto tradimento. Non appena fu letta la seconda lettera, i soldati barbari fedeli a Stilicone erano sul punto di intervenire per salvare il generale dall'esecuzione, ma Stilicone li fermò all'istante, accettando il suo destino. Stilicone sarà  giustiziato il 23 agosto del 408 da Eracliano. Nelle città dell'impero d'occidente le  truppe  romane regolari si scatenarono contro i parenti dei soldati visigoti e vi furono massacri.

- Alla notizia le milizie foederate non rispondono più al governo imperiale. Circa trentamila  soldati di origine barbarica si uniscono alle forze di Alarico. È un momento di totale confusione: l’esercito è diviso. Olimpio assume la direzione della politica imperiale e scatena l’epurazione  contro gli stiliconiani: Deuterio, capo dei ciambellani di corte e Pietro, capo dei notai, vengono arrestati, torturati e uccisi a bastonate. Onorio allontana dal trono la moglie Thermantia (figlia di Stilicone e che aveva sposato all’inizio dell’anno) e ordina l’uccisione del figlio di Stilicone, Eucherio, che fugge inutilmente a Roma trovando breve asilo in una chiesa. Naturalmente vi sono ripercussioni anche in Gallia dove, in agosto, viene ucciso il prefetto stiliconiano Limenio. In Italia viene ucciso il prefetto Longiniano, collega di Curzio. Gli stiliconiani uccisi nella rivoluzione di agosto erano tutti funzionari in carica.

- Ma neanche in questo momento Alarico pensa di dare il colpo mortale. Chiede un riconoscimento in denaro, due ostaggi, Aezio figlio di Giovio, prefetto dell’Illirico, e Giasone figlio di Gaudenzio già comes d’Africa. Promette di ritirarsi in Pannonia. Onorio respinge le richieste, ma trascura di preparare l’esercito per una prevedibile reazione militare del capo goto. Sul fronte interno lo squagliamento e  la disintegrazione  dell’esercito continua: Saro, il comandante più amato dalle truppe visigote non viene recuperato ma si mantiene fedele all’impero. Come comandanti Olimpio assegna Turpilione alla cavalleria, Varane alla fanteria e Vigilanzio al corpo dei domestici.

- Apprese le mosse della coppia Onorio-Olimpio, Alarico dalla sua sede nel Norico prepara per bene la spedizione: fa venire dalla Pannonia Ataulfo, fratello della moglie, con una moltitudine di Unni e Goti ma non lo aspetta. In autunno entra in  e supera agevolmente Aquileia. Oltrepassa il Po e raggiunge, con una passeggiata militare, Ecubaria (Monteveglio o Vigarano Mainarda o Mirandola), roccaforte vicino a Bononia (Bologna). Aggira Ravenna, passa per Rimini poi da Ancona e punta deciso (per la Via Salaria) verso Roma.

- In seguito all'esecuzione di Stilicone, Olimpio si impossessa del controllo dell'Impero, ricevendo la carica di magister officiorum e ottenendo dall'Imperatore che le alte cariche dello stato fossero assegnate a uomini di sua fiducia. Il regime di Olimpio si occupò anche di perseguitare i famigliari e i partigiani di Stilicone, molti dei quali furono processati, interrogati affinché confessassero i presunti piani di tradimento di Stilicone e, nei casi in cui non ci fossero confessioni, giustiziati. Onorio divorziò da Termanzia, figlia di Stilicone, e ordinò l'esecuzione di un altro figlio del generale, Eucherio, il quale, pertanto, si rifugiò in una chiesa di Roma. A Roma il comes sacrarum largitionum Eliocrate ricevette addirittura l'ordine di confiscare e vendere i beni di chiunque avesse ottenuto magistrature nel periodo della reggenza di Stilicone. Come se non bastasse, in seguito alla presa di potere da parte di Olimpio, assunse il controllo dello stato la fazione antibarbarica  contraria all'imbarbarimento dell'esercito e alla negoziazione con Alarico: ciò, tuttavia, provocò effetti deleteri per l'Impero, con un indebolimento dell'esercito. Infatti, forse per ordine di Olimpio, le truppe di presidio delle città massacrarono le mogli e i figli dei soldati barbari al servizio dell'Impero e ne saccheggiarono le case. I soldati barbari, informati della notizia, per vendicarsi dei Romani che avevano trucidato le loro famiglie, decisero di disertare e allearsi con Alarico. Secondo Zosimo, Alarico fu così rinforzato da 30.000 soldati barbari che fino a poco tempo prima avevano servito Roma e Stilicone. Peter Heather ritiene invece che la cifra di 30.000 soldati si riferisca all'intero esercito di Alarico, avanzando l'ipotesi che Zosimo possa aver frainteso su questo punto la propria fonte, cioè Olimpiodoro di Tebe. Onorio, rimasto privo di una valida forza militare con cui opporsi ai barbari e all'usurpatore Costantino III, decide nel 408 di associare  quest'ultimo al trono riconoscendolo co-imperatore e associandolo al consolato per l'anno successivo.

- Quando gli inviati di Costantino III arrivarono per parlamentare, il pauroso Onorio riconobbe  Costantino come co-imperatore e i due furono consoli congiunti per l'anno 409. Costantino III è anche conosciuto come Costantino II d'Inghilterra e viene spesso confuso con il Costantino che si trova nella famosa e fantasiosa Historia Regum Britanniae di Geoffrey (o Goffredo) di Monmouth, che sale al potere dopo il regno di Gracianus Municeps. Nel racconto di Geoffrey, i Britanni chiedono ad Aldroenus, il sovrano di Armorica (la Bretagna gallica), di essere il loro sovrano dopo il ritiro romano, alla ricerca di un re che possa difenderli dai barbari. Aldroenus rifiuta ma manda invece suo fratello Costantino a governare. Costantino diventa re e ha tre figli, Costante, Aurelio e Uther, ma viene pugnalato a morte da un Pitto. Costantino III non ha alcuna relazione con il Costantino descritto nel racconto di Geoffrey e non ha alcun collegamento con la leggenda di Re Artù. Il Costantino di Geoffrey è il fratello di Aldroenus, entrambi discendenti di Conan Meriadoc ed è il Costantino di Geoffrey che, attraverso suo figlio Uther Pendragon è il nonno del leggendario Re Artù.


- Il successivo sacco di Roma del 410 per opera dei Goti di Alarico, dimostrò che cosa valesse l'impero senza le milizie e i comandanti germanici ed ebbe così inizio l'epoca dei regni germanici nelle provincie  romane.  Dopo otto secoli un esercito straniero entrava di nuovo a Roma. Nella navata centrale della Basilica di Sant'Ambrogio a Milano, si può vedere un sarcofago paleocristiano in marmo chiamato Sarcofago di Stilicone. Risulta tuttavia inverosimile, per il luogo e il modo in cui fu ucciso, che il generale sia stato sepolto a Milano; il nome della tomba si deve probabilmente ad una tradizione popolare. Un nuovo esercito romano era in preparazione in Italia per una seconda campagna contro l'usurpatore Costantino III, ma quando Stilicone venne giustiziato per ordine di Onorio (il 22 agosto 408), il generale romano di origini gote Saro e i suoi uomini abbandonarono l'esercito, lasciando l'imperatore senza protezione, arroccato nell'inespugnabile Ravenna con l'esercito dei Visigoti di Alarico I libero di muoversi in Etruria.

- Eucherio, Serena e Termanzia fuggirono a Roma, ma l'antipatia del Senato romano verso Serena e il figlio ne decretò la morte. Serena aveva sfidato le antiche divinità romane sottraendo una collana alla statua di Giunone per adornarsene: era una sacrilega e non poteva essere aiutata. Termanzia si ritirò in un monastero, mentre sua madre e suo fratello venivano decapitati. A orchestrare la regìa delle accuse era stata Galla Placidia, che finalmente poteva vendicarsi di essere stata segregata e strumentalizzata per diciannove anni da Serena (Zosimo, V, 38). Contro Placidia si sono schierati gli storici a noi contemporanei, bollandola del titolo di delatrice. Certo era una donna che aveva meditato e accarezzato la sua vendetta nelle interminabili giornate passate alla corte di Milano, in un'adolescenza priva di gioie e di affetti. La Nemesi (personificazione della giustizia, in quanto garante di misura e di equilibrio, divinizzata nell'antichità classica e modernamente intesa come fatale punitrice della tirannide e dell'egocentrismo attraverso le alterne vicende della storia; vendetta orchestrata dagli eventi) a volte assume questo aspetto.


Nel 409 - Un'ambasceria guidata da Attalo, membro del Senato romano, giunge a Ravenna il 17 gennaio 409 con lo scopo di perorare la causa del sovrano visigoto. Non ha successo ma Attalo è comunque onorato dall'imperatore Onorio della carica di comes sacrarum largitionum, grazie all'influenza di Olimpio, membro della corte che aveva causato la caduta e la morte di Stilicone. Prisco Attalo (fl. 394 - 416) è stato un senatore romano, due volte usurpatore dell'Impero romano, la prima volta nel 409 - 410 e la seconda nel 414 - 415, elevato a quella carica dal sostegno dei Visigoti. Greco dell'Asia di rango senatoriale, Attalo era uno dei più influenti membri del Senato romano, pagano e interessato agli indovini. Nel 398 aveva fatto parte di un'ambasceria del Senato romano presso l'imperatore Onorio che chiedeva l'esenzione dei senatori dal reclutamento nell'esercito, esenzione che ottennero. Il re dei Visigoti Alarico I, per tutta risposta, eleva Attalo al soglio imperiale, in opposizione a Onorio, che si era rinchiuso a Ravenna. In quell'occasione, Attalo si fa battezzare ed estende i diritti delle gerarchie, cattolica e ariana, nomina Alarico magister utriusque militiae, che lo pone a capo delle gerarchie militari e civili  mentre suo fratello Ataulfo riceve il rango di guardia imperiale a cavallo. Attalo rappresentava gli interessi della nobiltà senatoriale, all'epoca in conflitto con Onorio, contrasto che negava l'autorità di Attalo nell'impero e in regioni dell'Italia. Avvenne così la defezione di Eracliano, il comes  Africae, fedele a Onorio che controllava la diocesi d'Africa, dalla quale giungeva l'indispensabile rifornimento di grano per la città di Roma: allo scopo di indebolire Attalo, Onorio aveva ordinato a Eracliano di interrompere la fornitura, causando la carestia in città. Attalo, di concerto con Alarico, preparò una spedizione contro Eracliano, poi quella stessa estate si mosse verso Ravenna accompagnato dal re visigoti, mettendo sotto assedio la capitale di Onorio. L'imperatore assediato offrì ad Attalo di condividere il potere, ma questi si rifiutò, continuando l'assedio; fu però costretto a ritornare a Roma, in quanto la sua capitale soffriva per la mancanza di rifornimenti di grano causati dal blocco ordinato da Eracliano, che aveva sconfitto le forze inviategli contro da Attalo. Quando Attalo si rifiutò di affidare a un capo goto il comando di una seconda spedizione contro Eracliano, poiché intenzionato a trattare con Onorio, Alarico lo depose, spogliandolo dei paramenti imperiali e incarcerandolo insieme al figlio Ampelio e progettò di mettere in atto il sacco di Roma.

- Nell'autunno del 409, mentre Burgundi e Alemanni si stanziano in Gallia, i Vandali Asdingi e Silingi con Alani e Suebi si dirigono verso i Pirenei per superarli e penetrano in Hispania, probabilmente con la complicità del governatore romano della penisola iberica, Geronzio, che si era ribellato a Roma e mirava a crearsi uno stato indipendente. Per due anni queste popolazioni, tre di origine germanica e gli Alani che erano una popolazione sarmatica, si aggirarono per le fiorenti campagne iberiche, abbandonandosi al saccheggio ed alle devastazioni: « Imperversando i barbari per la Spagna, e infuriando il male della pestilenza, l’esattore tirannico e il soldato depredano le sostanze nascoste nelle città: la carestia infuriò, così forte che le carni umane furono divorate dal genere umano: le madri uccisero o cuocerono i propri nati mangiandoseli. Le bestie feroci, abituate ai cadaveri uccisi con la spada, dalla fame o malattia, uccisero qualsiasi essere umano con le forze che gli rimanevano, si nutrivano di carne, preparando la brutale distruzione del genere umano. E la punizione di Dio, preannunciata dai profeti, si verificò con le quattro piaghe che devastarono l’intera Terra: ferro, carestia, peste e le bestie. » (Idazio, Cronaca, anno 410). In particolare gli Svevi o Suebi di re Ermerico, devastarono per due anni le province occidentali e meridionali.

Nel 410 - I Visigoti, capeggiati da Alarico, conquistano e saccheggiano Roma. Quando Onorio sembrava dunque aver riportato una vittoria su Alarico, un suo ex-generale, Saroattaccò  proditoriamente e a sua insaputa Alarico, il quale, sentendosi tradito dall'imperatore, rimise l'assedio a Roma per la terza volta (agosto 410). La città cadde il 24 agosto e fu messa a sacco, il famoso sacco di Roma, spogliata dei suoi beni preziosi e, soprattutto, dei viveri. La notte del 24 agosto 410, la Porta Salaria fu aperta a tradimento e i Goti poterono finalmente penetrare nell'Urbe e saccheggiarla per tre giorni interi. Alarico permise a ognuno dei suoi seguaci di impadronirsi di quanta ricchezza possibile, e di saccheggiare tutte le case dell'Urbe; ma, per rispetto nei confronti dell'Apostolo Pietro, ordinò che la basilica di San Pietro avrebbe costituito un luogo di asilo inviolabile. Quando i Visigoti di Alarico lasciarono l'Urbe, portarono con loro anche un prezioso ostaggioGalla Placidia, da utilizzare per costringere Onorio a cedere alle loro richieste: iniziarono così diversi anni di prigionia per la giovane principessa, all'epoca diciottenne. I Visigoti lasciarono Roma carichi di bottino dopo tre giorni di saccheggio e Alarico, passando da Capua e da Nola in Campania (dove Galla Placidia conobbe il vescovo Paolino di Nola, anch'egli fatto prigioniero, cui in seguito scrisse una lettera conservatasi) che fu devastata, si diresse poi in Lucania e da lì in Calabria (l'antico Bruzio), a Reggio. La sua intenzione era invadere con una flotta, dapprima la Sicilia e poi l'Africa, il granaio dell'Impero. Secondo il pagano Olimpiodoro tuttavia, una statua pagana eretta nei pressi dello stretto di Messina, con la funzione di impedire il passaggio ai Barbari, lo avrebbe indotto a rinunciare all'invasione e a ritirarsi più a Nord. Secondo il cristiano Orosio, invece, una provvidenziale tempesta disperse e affondò le navi quando erano già in parte cariche e pronte a partire, inducendo il re goto a rinunciare ai suoi piani per poi riprendere la strada verso nord, lungo la quale, nei pressi di Cosenza, si ammalò improvvisamente e morì. Secondo la leggenda, tramandata da Giordane, venne seppellito con i suoi tesori nel letto del fiume Busento a Cosenza. Gli schiavi, che avevano lavorato alla temporanea deviazione del corso del fiume, furono uccisi perché fosse mantenuto il segreto sul luogo della sepoltura. Ad Alarico succedette il cognato Ataulfo, che successivamente avrebbe sposato Galla Placidia, sorella di Onorio.

- I Visigoti, dopo essere entrati in Italia più volte per ottenere una sovvenzione e una provincia in cui stabilirsi e aver tentato a più riprese un accordo con l'imperatore d'occidente Onorio, che si era trincerato a Ravenna, dopo la morte di Stilicone (408), spazientiti, ritornano a Roma per la terza volta e il 24 agosto 410, grazie al fatto che la porta Salaria era stata aperta a tradimento, entrano e la saccheggiano (il primo Sacco della Roma imperiale, dopo quello dei Celti Senoni di Brenno del 390 a.C.) per tre giorni. L'episodio avviene dopo anni di promesse (non mantenute) di terre ad Alarico da parte dell'imperatore romano, come pagamento per i servizi militari prestati dai Visigoti.
Roma, arco di Tito, particolare del
trafugamento della Menorah e del
Pettorale del Giudizio.
Nel saccheggio viene trafugato anche il tesoro di Salomone, che i Romani trafugarono a loro volta nel 70 d.C. a Gerusalemme, quando la rasero al suolo. 
Ricostruzione del come doveva
presentarsi il pettorale del giudizio
o della decisione, da QUI.
Come si può vedere nei bassorilievi dell'arco trionfale di Tito, il tesoro trafugato includeva anche la Menorah, l'immenso candelabro d'oro a sette braccia e il pettorale d'oro con le pietre preziose corrispondenti alle 12 tribù d'Israele. Gli invasori Visigoti portarono via in pratica tutte le ricchezze della Città Eterna. Narra lo storico Procopio che Alarico s'impadronì dei « tesori di Salomone, re degli Ebrei, mirabili a vedersi perché quasi tutti adorni di smeraldi, che anticamente erano stati presi a Gerusalemme dai Romani ». I Visigoti lasciarono Roma carichi di bottino e tentarono di passare in Sicilia per impadronirsi poi dell'Africa, il granaio dell'Impero, ma una tempesta disperse e affondò le loro navi, già in parte cariche e pronte a partire. Allora ripresero la via del nord, ma in Calabria, nei pressi di Cosenza, Alarico si ammalò improvvisamente e morì.

- Nel 410, dopo aver adottato un atteggiamento più pacifico, i conquistatori barbarici dell'Hispania che avevano sfondato il limes del Reno alla fine del 406, che non erano più di 30.000, ottennero da Roma lo status di  foederati in cambio del giuramento di fedeltà all'imperatore d'occidente Onorio. 

Invasione di Iuti, Angli e Sassoni
nella Britannia romana, da QUI.
- Dallo stesso 410, visto che i Romani avevano abbandonato la Britannia, i germani IutiAngli e Sassoni invadono la Britannia. L'invasione dei Germani (Angli, Sassoni, Juti e altri) nella Britannia, anche indicata come la colonizzazione anglosassone della Britannia, è l'insieme delle migrazioni avvenute nel V secolo d.C. di parecchie genti germaniche dalle coste occidentali dell'Europa continentale per insediarsi in Britannia, l'attuale Gran Bretagna. Non sono note date precise, ma si sa che l'invasione iniziò al principio del V secolo,  dopo che le truppe romane lasciarono la  Britannia nel 410, con l'iniziale sbarco dei Sassoni in prossimità del Vallo di Antonino, e proseguì per i decenni successivi. Il loro arrivo è  chiamato  Adventus Saxonum nei testi latini, una definizione utilizzata per la prima volta da Gildas verso il 540. L'Adventus Saxonum è considerato il punto di inizio della Storia dell'Inghilterra ed è tradizionalmente ritenuto un'invasione piuttosto che una colonizzazione, con date che differiscono e circostanze solamente ipotizzate. Qualunque possa essere la migliore data di inizio, una misura del successo iniziale che gli Anglosassoni ebbero giunse nel 441, quando la Cronica gallica del 452 registrò che la Britannia cadde sotto la dominazione sassone dopo aver subito molti disastri e razzíe, intendendosi con questo che per quella data tutti i contatti con la costa britannica erano stati interrotti. Il dibattito, sia fra gli studiosi sia in altri ambiti, è tuttora aperto in merito alle modalità e alle ragioni per le quali gli insediamenti anglosassoni ebbero successo, così come riguardo a quali fossero i rapporti fra Anglosassoni e Britanni romanizzati, in particolare in che misura i nuovi venuti cacciarono o sostituirono gli abitanti già presenti. I Britanni non romanizzati (Celti) che vivevano nell'ovest e nel nord della Britannia restarono in gran parte estranei all'insediamento degli Anglosassoni. L'unica fonte scritta affidabile e utile riguardante le genti note con il nome di Anglosassoni e i luoghi da cui provenivano è la Historia ecclesiastica gentis Anglorum, scritta verso il 731 dal Venerabile Beda. Essa identifica i migranti come Angli, Sassoni e Juti e afferma inoltre che i Sassoni venivano dall'Antica Sassonia e gli Angli dall'Anglia, che si trovava tra le terre di origine di Sassoni e Juti. Si ritiene ragionevolmente che l'Anglia corrisponda all'antico Schleswig-Holstein (lungo l'attuale confine tra Germania e Danimarca), includendo l'attuale Angeln. Lo Jutland era la patria degli Juti e la costa tra i fiumi Elba e Weser è il punto d'origine dei Sassoni. Quando gli anglo-sassoni si trasferirono in Gran Bretagna, alcuni dei nativi gallesi celti (welsh, dalla parola germanica Welschen che designa gli "stranieri", parola che deriva dal nome della tribù celtica dei Volci Tectosagi che erano appunto confinanti e talvolta in guerra con le tribù germaniche e pertanto stranieri per questi)  attraversarono la  Manica e si stabilirono nella Bretagna Armoricana, nell'attuale Francia, portandosi la loro lingua madre che diventò in seguito il bretone, che rimane ancora oggi parzialmente intelligibile con il gallese moderno ed il cornico.

Nel 411Il re visigoto Ataulfo interrompe l'avanzata verso l'Italia meridionale iniziata da suo cognato Alarico e si dirige verso la Gallia; nel 411 Ataulfo si trovava in Toscana e secondo lo storico Giordane, Ataulfo, passando da Roma, la saccheggia nuovamente ed in quella occasione cattura e conduce con sé Galla Placidia. Ancora il Chronicon Albeldense (Placidiam conjuge accepit), e Giordane (in Foro Iuli Aemiliae civitate suo matrimonio legitime copulavit) riportano che Ataulfo sposò, a Foro Iuli Aemiliae (Forlì) nel 411, Galla Placidia, e poi proseguì verso la Gallia, anche se le altre fonti spostano il matrimonio a Narbona, nel 414 (il vescovo Idazio, il Fragmenta historicorum graecorum, Volume 4 e Isidoro di Siviglia, dopo l'arrivo in Gallia). Nel contempo, iniziano i primi contrasti con il generale goto Saro, schieratosi a favore di Onorio nella lotta contro l'usurpatore Costantino III.

- In Gallia l'usurpatore Costantino III muore e un nuovo usurpatore insorge, Giovino, che chiama a sé il generale romano di origini gote Saro e i suoi uomini in qualità di proprio esercito. Giovino, che era stato eletto dai Burgundi e dagli Alani, regnerà per due anni. La sua caduta avverrà quando i Visigoti di Ataulfo (Alarico era morto nel 410), fingendo di volersi unire a lui, lo rovesceranno occupandone i territori. Saro cadde nella trappola e malgrado combattesse valorosamente alla testa delle proprie truppe, fu sconfitto e ucciso in uno scontro con Ataulfo. Giovino fuggì ma, assediato e catturato a Valentia, fu giustiziato.

                                                                                             
- Nel 411 si tiene il primo Concilio di Cartagine che ebbe come tema l'eresia donatista, dopo che nel 406 l'imperatore Onorio, attraverso l'Editto di Unione, aveva assimilato i donatisti agli eretici e dato le loro proprietà ai cattolici. Il vescovo donatista Primiano, non volendosi dare per vinto, si recò dall'Imperatore a Ravenna, chiedendo e ottenendo un dibattito con i cattolici, sul cui esito si sarebbe pronunciato da arbitro il praefectus praetorio. L'imperatore nel 410 diede incarico al senatore Marcellino di organizzare i preparativi per la conferenza. Lo stesso Marcellino doveva esserne arbitro e giudice. Con lettera del primo giugno 411, Marcellino invitò alla conferenza i vescovi delle due confessioni, assicurando imparzialità di giudizio. Nel dibattito emersero entrambe le posizioni, quella cattolica e quella donatista, e Agostino, vescovo d'Ippona, ribatté con le sue argomentazioni, divenendo la figura chiave di tutto il concilio. Egli si soffermò, in particolare, sul rapporto ministro-sacramenti, affermando che chi ribattezza "pone la propria speranza in un uomo" e non in Cristo, vero auctor sacrament. Noi siamo stati salvati solo per i Suoi meriti e per Sua giustificazione. Inoltre i sacramenti dei donatisti, anche se sono validi, non sono però fruttuosi, a causa della loro posizione scismatica. Infatti mancano della grazia santificante dello Spirito Santo. Costui opera solo nella Chiesa unita e non agisce nelle comunità separate. A tarda sera Marcellino emanò il verdetto secondo cui i donatisti erano stati confutati. Questa decisione fu confermata da Onorio con editto del 30 gennaio 412. Agostino d'Ippona (latino: Aurelius Augustinus Hipponensis; Tagaste, 13 novembre 354 – Ippona, 28 agosto 430) è stato un filosofo, vescovo cattolico e teologo berbero. Padre, dottore e santo della Chiesa cattolica, è conosciuto semplicemente come sant'Agostino, detto anche Doctor Gratiae ("Dottore della Grazia"). Secondo Antonio Livi, filosofo, editore e saggista italiano di orientamento cattolico, è stato «il massimo pensatore cristiano del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell'umanità in assoluto». Le Confessioni sono la sua opera più celebre. Nel 373 la sua ansia per la ricerca dell'assoluto lo fece approdare al Manicheismo, di cui, insieme al suo amico Onorato, divenne uno dei massimi esponenti e divulgatori. Agostino stesso narra che fu attratto dalle promesse di una filosofia libera dai vincoli della fede; dalle vanterie dei manichei che affermavano di aver scoperto delle contraddizioni nelle Sacre Scritture; e, soprattutto, dalla speranza di trovare nella loro dottrina una spiegazione scientifica della natura e dei suoi fenomeni più misteriosi. La mente indagatrice di Agostino era entusiasta per le scienze naturali ed i Manichei dichiaravano che la natura non aveva segreti per Fausto di Milevi, il loro dottore. (Milevi era in Numidia, l'attuale Algeria). Tuttavia, tale adesione non fu scevra da dubbi che l'attanagliavano: essendo torturato dal problema dell'origine del male, Agostino, nell'attesa di risolverlo, diede credito all'esistenza di un conflitto tra due principi. C'era, inoltre, un fascino molto potente nell'irresponsabilità morale che risultava da una dottrina che negava la libertà ed attribuiva la commissione di crimini ad un principio esterno. Nel 383, Fausto di Milevi, il celebre vescovo manicheo, giunse a Cartagine. Agostino gli fece visita e lo interrogò, ma scoprì nelle sue risposte solo volgare retorica, assolutamente estranea a qualsiasi cultura scientifica. L'incantesimo si ruppe e, anche se Agostino non abbandonò immediatamente il gruppo, la sua mente iniziò a rifiutare le dottrine manichee. Nel 383 Agostino, all'età di 29 anni, cedette all'irresistibile attrazione che l'Italia aveva per lui; a causa della riluttanza della madre a separarsi da lui, dovette ricorrere ad un sotterfugio ed imbarcarsi con la copertura della notte. Non appena giunto a Roma, dove continuò a frequentare la comunità manichea, si ammalò gravemente. Quando guarì aprì una scuola di retorica ma, disgustato dai trucchi dei suoi alunni, che lo defraudavano spudoratamente delle loro tasse d'istruzione, fece domanda per un posto vacante come professore a Milano. Il praefectus urbi Quinto Aurelio Simmaco l'aiutò ad ottenere il posto con l'intento di contrastare la fama del vescovo Ambrogio. Dopo aver fatto visita al vescovo, però, si sentì attratto dai suoi discorsi e iniziò a seguire regolarmente le sue predicazioni. Per comprendere il pensiero di Agostino non si può prescindere dal suo vissuto esistenziale: egli cercò sempre di conciliare l'atteggiamento contemplativo con le esigenze della vita pratica e attiva. Poiché visse spesso drammaticamente il conflitto tra i due estremi, il suo pensiero consistette nel tentativo grandioso di tenere uniti la ragione e il sentimento, lo spirito e la carne, il pensiero pagano e la fede cristiana. Fu proprio l'insoddisfazione per quelle dottrine che predicavano una rigida separazione tra bene e male, tra luce e tenebre, a spingerlo ad abbandonare il manicheismo, e a subire l'influsso dapprima dello stoicismo e poi soprattutto del neoplatonismo, i quali viceversa riconducevano il dualismo in unità, così che oggi gli studiosi concordano sul fatto che la filosofia agostiniana è sostanzialmente di stampo neoplatonico. Ciò significa che Agostino recepì il pensiero di Platone filtrato attraverso quello di Plotino. Rispetto a questi ultimi tuttavia egli introdusse alcuni concetti nuovi marcatamente religiosi e attinenti in particolare alla fede cristiana: sostituì ad esempio la teoria della reminiscenza delle Idee con quella dell'illuminazione divina; o ancora, concepì la creazione dell'universo non semplicemente come un processo necessario tramite il quale Dio (plotinianamente) si manifesta e produce se stesso, ma come un libero atto d'amore, tale cioè che si sarebbe anche potuto non realizzare. E soprattutto, il Dio di Agostino non è quello impersonale di Plotino, ma è un Dio vivente che si è fatto uomo. All'amore ascensivo proprio dell'eros greco, egli avvertì così l'esigenza di affiancare l'amore discensivo di Dio per le sue creature, proprio dell'agape cristiano. Secondo Agostino di conseguenza, anche il mondo e gli enti corporei, essendo frutti dell'amore divino, hanno un loro valore e significato, mentre i platonici tendevano invece a svalutarli. Questo tentativo di collocare la storia e l'esistenza terrena entro una prospettiva celeste, dove anche il male trovi in qualche modo spiegazione, rimase sempre al centro delle sue preoccupazioni filosofiche. Nonostante le sottigliezze delle interpretazioni plotiniane di Platone nelle esposizioni di Agostino, nei concili di Cartagine fu emanata la proibizione per tutti, vescovi inclusi, di studiare Aristotele, Platone, Euclide, Pitagora, Tolomeo ecc.

Carta dell'Hispania nel periodo
409-429 di Alcides Pinto.
Secondo la testimonianza del cronista Idazio, ecco come  nel  411 gli invasori dell'Hispania se la spartirono: « [I barbari] si spartirono tra loro i vari lotti delle province per insediarvisi: i Vandali (Hasding, gli Asdingi) si impadronirono della Galizia, gli Svevi di quella parte della Galizia situata lungo la costa occidentale dell'Oceano. Gli Alani (popolazione sarmatica) ebbero la Lusitania e la Cartaginense, mentre i Vandali Silingi si presero la Betica. Gli ispanici delle città e delle roccaforti che erano sopravvissuti al disastro si arresero in schiavitù ai barbari che spadroneggiavano in tutte le province. » (Idazio, Cronaca). Tutta l'Hispania, tranne la Tarraconense rimasta ai Romani, risultò dunque occupata dai Barbari nell'anno 411. Orosio, vissuto all'epoca dei fatti, afferma esplicitamente che l'occupazione fu illegale, ma dopo aver adottato un atteggiamento più pacifico, i conquistatori, che erano un piccolo numero, non più di 30.000, avevano ottenuto da Roma lo status di foederati, in cambio del giuramento di fedeltà all'imperatore Onorio nel 410. Nel 411, l'imperatore assegnò loro delle terre, tramite sorteggio; agli Svevi ed ai Vandali Asdingi toccò la Gallaecia, regione nord-occidentale della penisola iberica, ai Vandali Silingi la Betica ed agli Alani, la popolazione più numerosa, la Lusitania e la Cartaginiensis (con capitale Cartagena). In contemporanea con la provincia autonoma della Britannia, il reame degli Suebi (Svevi) in Galizia fu il primo di quei sub-regni romani che si formarono dalla disintegrazione dell'Impero Romano d'Occidente e fu il primo ad avere una propria zecca. Tale regno durò fino al 558, il suo centro politico fu Braccara Augusta (l'odierna città di Braga).

Nel 412 - Nella primavera del 412, il re visigoto Ataulfo conduce il proprio esercito con Galla Placidia fuori dall'Italia, passando per la via militare che da Torino portava al fiume Rodano attraverso il Colle del Monginevro. Lo seguì anche Prisco Attalo, altro usurpatore del titolo imperiale che era stato elevato alla carica da Alarico e poi deposto una prima volta nel 410. Una volta arrivato in Gallia, Ataulfo si unì all'usurpatore Giovino. Questi però considerava il re visigoto troppo pericoloso ed iniziò dunque a trattare con il generale di origine visigota Saro, che era stato collaboratore di Stilicone. Ataulfo (secondo il Fragmenta historicorum graecorum, Volume 4), venuto a conoscenza della cosa, con circa diecimila uomini affrontò Saro, lo sconfisse e dopo averlo catturato lo uccise.
Quando Giovino, anziché Ataulfo nomina il proprio fratello Sebastiano correggente, Ataulfo stringe un patto con Onorio: in cambio di rifornimenti, terre ed oro, gli avrebbe consegnato i due usurpatori ed avrebbe liberato Galla Placidia.

Territori degli Unni, con la loro
capitale, nella pianura ungherese,
nella metà del V secolo. Da: https:
//it.wikipedia.org/wiki/Unni
Nel 412/413 - Lo storico e ambasciatore Olimpiodoro di Tebe conduce un'ambasceria presso gli Unni, che erano già stanziati lungo il corso medio del Danubio. Quindi gli Unni, popolo guerriero nomade, probabilmente di ceppo turco, provenienti dalla Siberia meridionale, sono giunti in quegli anni  nella grande pianura ungherese e probabilmente, secondo la teoria di Heather, fu lo spostamento degli  Unni a spingere  Radagaiso (condottiero ostrogoto che capo di una vasta coalizione di tribù germaniche e celtiche invase l'Italia tra la fine del 405 e gli inizi del 406, per poi essere sconfitto dall'esercito romano nella battaglia di Fiesole) a invadere l'Italia, Vandali, Alani, Svevi e Burgundi a invadere le Gallie, mentre Uldino (uno dei primi capitribù degli Unni durante il regno degli imperatori Arcadio e Teodosio II) invade la Tracia durante la crisi del 405-408. All'epoca dell'ambasceria di Olimpiodoro, gli Unni erano governati da molti re, ma nel giro di vent'anni, probabilmente attraverso lotte violente, il comando fu unificato sotto il comando di un unico re: Attila.
Nella metà del V secolo, gli Unni costituiranno un regno nell'Europa centro-orientale e, come gli orientali Xiongnu, incorporeranno gruppi di popolazioni tributarie, arrestando così il flusso migratorio ai danni dell'Impero che essi stessi avevano provocato, in quanto, volendo dei sudditi da sfruttare, impedivano ogni migrazione da parte delle popolazioni sottomesse. Nel caso europeo, Alani, Gepidi, Sciri, Rugi, Sarmati, Slavi e specialmente le tribù gotiche, vennero tutti uniti sotto la supremazia militare della famiglia degli Unni. Guidati dai re Rua, Attila (406-453 che apparteneva alla famiglia reale) e Bleda, gli Unni si rafforzarono molto. Gli Eruli sono citati tra le popolazioni che si unirono agli Unni guidati da Attila al cui seguito parteciparono alle scorrerie per tutta l'Europa.

- Durante il IV secolo gli Unni, popolo guerriero nomade, probabilmente di ceppo turcico (o turco), provenienti dalla Siberia meridionale, erano giunti in Europa. Non si conosce quasi nulla della lingua unna, l'ipotesi più accettata è che si trattasse di una lingua altaica ma diverse altre teorie la vorrebbero vicina al moderno ungherese o addirittura alle lingue iraniche. Giordane (o Giordano o Jordanes, storico bizantino di lingua latina del VI secolo di probabile origine gotica o alana) scrisse che gli Unni "si procuravano ferite sulle guance come segno di lutto per i guerrieri più valorosi, piangendoli non con lacrime di donne ma con il sangue degli uomini". Inoltre gli Unni praticavano la deformazione cranica, allungandosi le teste probabilmente a imitazione dei nomadi sàrmati di origine indoiranica. La deformazione cranica fu una pratica molto comune nel corso della storia. Il procedimento veniva applicato sin dalla più tenera infanzia e consisteva nello stringere la testa del bambino con un bendaggio, approfittando del fatto che a quell'età il cranio era ancora molle e in crescita. Nel caso di alcuni popoli, questa pratica serviva a indicare che il ragazzo era destinato al sacerdozio, ma nel caso degli Unni se ne ignora il significato, anche se come suggerisce lo storico John Man, "gli uomini con la testa allungata costituivano un'élite".
Gli Unni in battaglia contro gli Alani
in un'illustrazione ottocentesca di
Johann Nepomuk Geiger, da https
://it.wikipedia.org/wiki/Unni
 
Gli Unni sono stati descritti come un popolo di uomini brutti e spaventosi e lo stesso si diceva dei loro cavalli, la loro vera  grande arma  vincente sui campi di battaglia. I cavalli unni erano diversi dai cavalli attuali e molto diversi da quelli adottati dalla cavalleria romana e dai popoli con cui si scontrarono. Esteticamente questi cavalli potevano sembrare poco attraenti, erano molto magri, decisamente più bassi dei cavalli adottati dagli eserciti imperiali ma erano forti, resistenti e veloci, in grado di percorrere anche 100 km senza aver bisogno di essere ferrati, di indole mansueta e in grado di trovare il foraggio anche sotto la neve: sopravvivevano dunque facilmente anche in condizioni ambientali poco favorevoli. L'unico territorio in cui questi cavalli si muovevano a disagio era quello montagnoso, ma nelle vaste praterie della steppa Europea, nelle pianure e nelle valli si dimostrarono molto più performanti di qualsiasi cavalleria contro cui si scontrarono. I cavalieri unni sembravano un tutt'uno in sella ai loro cavalli, i bambini imparavano a cavalcare nello stesso tempo in cui imparavano a camminare e al galoppo di quei veloci destrieri sapevano destreggiare le armi con una precisione che le altre cavallerie, più rigide, pesanti e diversamente equipaggiate, non possedevano. Grazie all'uso sia della sella che della staffa i loro attacchi erano sorprendentemente potenti, scanditi da repentini movimenti inaspettati. Si ritiene che un tipo di sella arcaica sia stata usata fin dal 700 a.C. circa dagli Sciti, un popolo nomade della steppa eurasiatica, ma è stato certamente l'arrivo in Europa di selle robuste come quelle cinesi a fare la differenza in battaglia. Lo scoprirono a loro spese i Romani, che combatterono gli Unni seduti su coperte appoggiate ai cavalli mentre la cavalleria dei loro nemici era già dotata di selle in legno con pomelli davanti e dietro, il cui vantaggio era una stabilità senza pari e la possibilità di tirare frecce senza fermarsi. Allo stato attuale e basandoci sui ritrovamenti effettuati in alcuni siti archeologici, è possibile oggi affermare che le prime staffe rinvenute in Europa sono attribuibili al quarto secolo dopo Cristo e provengono dalle tombe dei cavalieri Sàrmati situate nel bacino del fiume Kuban, a nord del Caucaso, mentre al quinto secolo dopo Cristo appartengono alcune staffe in ferro, con la fessura per il passaggio dello staffile e la forma consueta che ancora oggi gli viene data, rinvenute in tombe di Unni in Ungheria. Gli storici romani e cristiani che tanto disprezzarono gli Unni, descrivendoli come rozzi e incivili, narrarono di come si nutrissero della carne cruda che riponevano sotto la sella durante le cavalcate, appena scaldata e "cotta" dal continuo movimento del corpo sulla sella. In realtà quella carne proteggeva l'animale dall'attrito del contatto, rendendogli quindi la cavalcata più lieve, che poi quella carne venisse realmente mangiata non apparirebbe certo strano oggi, soprattutto alla luce del prezzo della carne di Kobe, pregiatissima perché "massaggiata" a mano. Il cavaliere unno non avevano solo un cavallo a disposizione, ma un'intera scuderia di cavalli al seguito, in modo da poter contare sempre su un cavallo riposato per un'azione scattante. Quando gli Unni avanzavano lo facevano così velocemente che si potevano vedere le sentinelle correre disperate per annunciare l'arrivo degli Unni quando già se ne sentiva lo scalpitio sul terreno e l'orizzonte si copriva della polvere sollevata dagli zoccoli dei loro cavalli. 

Nel 413 - Il re visigoto Ataulfo mantiene la parola: Giovino e Sebastiano sono sconfitti in battaglia, ma solo il secondo venne catturato e consegnato al prefetto pretoriano Claudio Postumo Dardano. Giovino riesce invece a fuggire a Valencia, dove Ataulfo lo assedia e lo cattura nel 413. Le teste dei due usurpatori giungono alla corte di Onorio nell'agosto del 413 e da lì spedite a Cartagine, per essere esposte sulle mura della città assieme a quelle di altri usurpatori.
I rapporti fra Ataulfo e Onorio furono però rovinati dal mancato invio da parte dell'Imperatore di adeguati rifornimenti. Onorio addebitò i problemi alla rivolta in Nordafrica causata da Eracliano (la cui testa fu fra quelle esposte sulle mura di Cartagine). Il re visigoto, in risposta, non liberò Galla Placidia ed anzi, nel 413 attaccò prima Marsiglia (che gli resistette) e poi occupò Narbona (che divenne la sua sede), Tolosa e Bordeaux.

Nel 414 - Il re visigoto Ataulfo riesce finalmente ad entrare a Narbona; qui nel gennaio del 414, all'età di quaranta anni circa, sposa con cerimoniale romano la ventiduenne Galla Placidia - anche se lo storico goto Giordane afferma che il matrimonio era stato celebrato a Forlì nel 411, forse alludendo a una cerimonia di rito goto, ovvero ariano. Il senso del matrimonio, che faceva di una principessa imperiale una regina dei Visigoti, era quello di permettere più facilmente il riconoscimento da parte romana dei diritti dei Visigoti, i quali interpretavano il ruolo della componente lealista dei complessi giochi politici dell'epoca: Onorio avrebbe potuto ora riconoscere i Visigoti come alleati senza perdere la faccia, in particolare con il generale Flavio Costanzo. In ogni caso un matrimonio di Galla Placidia rappresentava l'unica via per risolvere il problema della successione dinastica di Onorio, dovuto alla mancanza di figli dell'imperatore. Il matrimonio si celebrò nel palazzo del nobile e ricco Ingenius; Ataulfo, vestito alla romana, sposò secondo la cerimonia romana Galla Placidia e fece sfilare cinquanta giovani con vassoi recanti parte del bottino del sacco di Roma, restituito dal sovrano barbaro alla sua sposa romana. Furono poi declamati degli epitalamii, quello di Attalo, quello di Rustico e quello di Febadio.
Secondo l'apologeta cristiano Orosio, re Ataulfo (rimasto un cristiano ariano) mantenne un rapporto conflittuale con la cultura romana: sebbene avesse voluto convertire i territori romani in gotici, si rese conto che la struttura della società gotica non avrebbe potuto garantire la stessa governabilità di uno Stato come quello romano. Per cui decise, anche grazie all'influenza di Galla Placidia, di mutare strategia: avrebbe portato avanti una politica di fusione fra Goti e Romani, affinché la forza dei primi rinforzasse la cultura e il nome dei secondi.
Il piano fu però frustrato dalle manovre del generale Flavio Costanzo, che riuscì ad avvelenare definitivamente i rapporti fra l'imperatore ed il re visigoto. Il matrimonio, che avrebbe dovuto unire i Visigoti ai Romani, non fu riconosciuto a Ravenna e il generale dapprima, ottenne il permesso di bloccare i porti gallici - mossa a cui Ataulfo rispose nominando per la seconda volta Prisco Attalo come usurpatore, con potere nominale sulla Gallia. Il generale Flavio Costanzo si recò con un esercito in Gallia per affrontare i Visigoti; Ataulfo e Galla furono costretti ad arretrare prima a Narbona e infine, valicati i Pirenei, a ritirarsi verso la Tarraconense, occupando Barcellona, come confermano il Chronicon Albeldense, il vescovo Idazio e Giordane (fine 414, inizi 415), lasciando indietro Attalo, il quale fu catturato e spedito a Onorio.

Scuola di Atene di Raffaello Sanzio.
In quest'opera Raffaello rappresenta
i grandi filosofi del passato: l'unica
donna è Ipazia di Alessandria.
Nel 415 - Ad Alessandria d'Egitto, il vescovo e patriarca d'Alessandria, Cirillo, poi fatto santo e "dottore e padre della chiesa universale" come Ambrogio di Milano, Giovanni Crisostomo e Agostino d'Ippona, dopo avere disposto la distruzione del tempio Serapeo, che ospitava la famosa biblioteca contenente la memoria delle scoperte del pensiero scientifico ellenistico (si parla di 500.000 volumi), che fu data alle fiamme, ordina l'assassinio di Ipazia, astronoma, matematica e filosofa. Ipazia d'Alessandria era la geniale figlia del matematico Teone, sovrintendente della biblioteca, nata nel 370 ed erede della Scuola Alessandrina. Antesignana della scienza sperimentale, Ipazia concepì e realizzò l'astrolabio, l'idroscopio e l'aerometro. Cirillo invece aveva studiato per cinque anni, dal 394 al 399, nel monastero della montagna della Nitria, nel deserto di San Marco, e lì era stato ordinato Lettore (insegnante, autorizzato a tenere lezioni). In questo monastero aveva stretto vincoli di amicizia con gran parte dei monaci parabolani di cui si servì per sterminare Ebrei, cristiani Nestoriani e Novaziani oltre ai pagani; ed in particolar modo legò a se Pietro il Lettore, a cui sedici anni dopo ordinò di uccidere Ipazia, cosa che lui fece al grido di: "Questo dice Agostino d'Ippona! La donna è immondizia! E anche tu, Ipazia d'Alessandria, sei solo immondizia!". Nel seguente link c'è il racconto in cui sono ricostruite la figura e la fine di Ipazia: QUI. Ipazia fu poi rappresentata fra i grandi filosofi nella "Scuola di Atene" di Raffaello Sanzio.

- Fu nel 415, a Barcellona, che Galla Placidia diede alla luce il figlio di Ataulfo, Teodosio; la scelta di dare al bambino, morto poco dopo la nascita e seppellito in una chiesa di Barcellona, il nome del nonno materno e fondatore della dinastia regnante, indicava la volontà dei genitori di inserirlo nella linea di successione imperiale, ma forse fu questo gesto ad aumentare lo scontento dei «nazionalisti» visigoti, i quali ordirono una congiura che, nell'estate del 415, causò la morte di Ataulfo.
Alla morte del re dei Visigoti Ataulfo (nel 415), si scatena una cruenta lotta al potere tra le fazioni che intendevano continuare l'integrazione coi Romani (fra cui il fratello di Ataulfo che, in caso di vittoria della propria fazione, era designato a succedergli) e quelle contrarie che ebbero il sopravvento. Tra queste, per la successione al trono, si distinsero le fazioni di Sigerico (fratello dell'ex generale romano Saro) e quella di Walia. Uscitone vincente Sigerico (tarda estate del 415), mandò a massacrare tutti i figli che il re Ataulfo aveva avuto dal primo matrimonio ed alla sua vedova, la terza moglie, Galla Placidia, inflisse il più umiliante dei trattamenti: fu costretta a percorrere a piedi dodici miglia davanti al suo cavallo. Ma dopo una sola settimana di regno finì trucidato anche lui, sicuramente su istigazione del suo avversario nella lotta per il trono, Walia, che divenne il nuovo re dei Visigoti.
Secondo altre fonti invece, Ataulfo fu assassinato a Barcellona da un goto al suo servizio di nome Dubio, secondo il Fragmenta historicorum graecorum, Volume 4, mentre il Chronicon Albeldense riporta che fu ucciso dai suoi seguaci (a suis interfectus est in Barcinona) e ancora Giordane racconta che morì per una spada che lo sventrò (occubuit gladio ilia perforata Euervulfi); infine il vescovo Idazio riporta che morì, nel 416, per una questione interna ai Goti (per quemdam Gothum apud Barcinonam inter familiars fabulas). Ataulfo aveva commesso l'errore di prendere a servizio Sigericofratello di Saro, intenzionato a vendicarne la morte. Sigerico portò a termine il suo compito di lì a poco, facendo pugnalare a morte Ataulfo nelle scuderie del suo palazzo a Barcellona. Il re morì in seguito alle ferite riportate pochi giorni dopo.
Il successore di Ataulfo, Sigerico, umiliò Galla facendola marciare a piedi per venti chilometri davanti al suo cavallo, ma fu ucciso sette giorni dopo essere salito al trono: gli successe Vallia, che si dimostrò più moderato e restituì la dignità regale a Galla, cercando di negoziare con i Romani.


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