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L'anziana vestale Emilia, che
custodisce il fuoco sacro
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Nel 391 - L'imperatore romano Teodosio I interviene personalmente contro Alarico ma cade in un'imboscata sul fiume Maritsa (fiume dell'Europa sudorientale che scorre in Bulgaria, Grecia e Turchia europea), dove rischia la vita.
- Tra il 391 e il 392 sono emanati una serie di decreti (noti come decreti teodosiani) che attuano in pieno l'editto di Tessalonica: viene interdetto l'accesso ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto che non sia il cristianesimo di fede nicea, compresa l'adorazione delle statue. Furono inoltre inasprite le pene amministrative per i cristiani che si fossero riconvertiti al paganesimo e, nel decreto emanato nel 392 da Costantinopoli, l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle viscere erano equiparati al delitto di (lesa) maestà, punibile con la condanna a morte. I templi pagani furono oggetto di sistematica distruzione violenta da parte di fanatici cristiani e monaci appoggiati dai vescovi locali (in molti casi con l'appoggio dell'esercito e delle locali autorità imperiali) che si ritennero autorizzati dalle nuove leggi: si veda, per esempio, la distruzione del tempio di Giove ad Apamea, a cui collaborò il prefetto del pretorio per l'oriente, Materno Cinegio. L'inasprimento della legislazione con i "decreti teodosiani" provocò delle resistenze presso i pagani. Ad Alessandria d'Egitto il vescovo Teofilo ottenne il permesso imperiale di trasformare in chiesa un tempio di Dioniso, provocando una ribellione dei pagani, che si asserragliarono nel Serapeo (che conteneva quello che rimaneva della famosa biblioteca) e compiendo violenze contro i cristiani. Quando la rivolta fu domata, per rappresaglia il tempio di Dioniso fu distrutto. Teodosio durante il suo regno fece coniare monete in cui era raffigurato nell'atto di portare un labaro recante il Chrismon. Teodosio infatti, lo
stesso che aveva proclamato il cristianesimo religione ufficiale
dell’Impero, pensava che dovesse essere la Provvidenza a
sottomettere il cuore degli uomini, trasformando “ogni ferocia in
dolcezza”, come riferiva il filosofo ed alto funzionario dello
Stato Temistio.
- In seguito alla riforma teodosiana, il termine Eparchia è stato utilizzato nell'Impero romano d'Oriente per indicare una circoscrizione amministrativa equivalente alla provincia latina. Tali entità scomparvero poi nel VII secolo con l'istituzione dei temi (thémata in greco).
- Da allora, nell'Impero Romano non ci sarebbe più stata libertà di pensiero e di culto al di fuori dell'ortodossia cristiana. Per i successivi secoli, (e fino al presente) la Chiesa di Roma manovrerà principi, re, imperatori e la totalità delle menti per tenere a freno i suoi più acerrimi nemici: la verità, il sapere, la conoscenza, la scienza e più in generale la cultura; l'autodeterminazione personale e collettiva, il diritto alle pari opportunità, cosa che d'altra parte hanno fatto e fanno la maggioranza delle religioni ma soprattutto le tre monoteiste.
Nel 392 - Il 15 maggio, il ventunenne imperatore d'occidente Valentiniano II viene trovato impiccato ad un albero. Arbogaste, suo tutore e magister equitum d'origine franca, spedisce il corpo di Valentiniano a Milano e Teodosio scriverà ad Ambrogio, vescovo di Milano, di organizzarne il funerale. Ambrogio compose per l'occasione l'orazione De obitu Valentiniani consolatio. Il cadavere di Valentiniano fu pianto dalle sorelle Giusta e Grata e fu disposto in un sarcofago di porfido vicino a quello del fratello Graziano, molto probabilmente nella cappella di Sant'Aquilino della basilica di San Lorenzo. Teodosio I rimaneva così signore di tutto l'impero ma il 22 agosto, il comandante romano di origine franca Flavio Arbogaste, magister militum (capo dell'esercito) d'occidente che da più parti era ritenuto coinvolto nella morte di Valentiniano II, appoggiato sia dalle potenti tribù dei Franchi che dal Senato di Roma, che cercava di opporsi al crescente potere della Chiesa cattolica, fa eleggere imperatore d'occidente, a Lione, Flavio Eugenio (345 circa - 6 settembre 394), che non essendo però stato riconosciuto dall'imperatore collega d'oriente Teodosio I, viene generalmente considerato un usurpatore del trono imperiale.
- Da
QUI: L'ultima immagine che abbiamo di Galla la dipinge Zosimo al momento in cui le fu comunicata la
morte del fratello
Valentiniano II nel
392: "Galla riempì la reggia delle sue grida". Nella sua laconicità la nota di Zosimo è piena di pathos, vi si avverte la disperazione, la rabbia, il rancore verso il marito che aveva causato - direttamente o indirettamente - per la seconda volta la morte di un suo fratello. Sappiamo solo che
Galla morirà nella primavera
394 in occasione di un altro parto. Ma neppure il pio vescovo Ambrogio trovò una parola di conforto per lei, che non compare fra le anime del paradiso, né per il neonato. Forse, come un'eroina di una tragedia greca, Galla aveva preferito togliere la vita al bambino che aveva in grembo, sacrificando anche se stessa, pur di privare il marito della discendenza e punirlo per la morte di Valentiniano. Forse era uscita di senno, che per la mentalità dell'epoca equivaleva ad essere posseduta dal demonio. Il silenzio con cui l'hanno avvolta gli storici lascia penetrare solo l'eco delle sue urla dai recessi della reggia. Alla
morte di
Valentiniano II il 15 maggio 392, anche le
sorelle rimaste a vivere nel palazzo di Milano appaiono straziate dal dolore. Il giovane imperatore era stato trovato impiccato, ma si sospettò immediatamente che l'apparente suicidio servisse a mascherare l'assassinio per strangolamento (Paolo, Historia). Una morte in battaglia sarebbe stata più comprensibile, ma due fratelli assassinati lasciavano le sorelle attonite, soprattutto se il
mandante prendeva nei loro incubi le sembianze del cognato
Teodosio. Lui aveva assegnato entrambi i fratelli alla pericolosa sede delle Gallie, lui forse aveva soffiato sulle illusioni di potere di avidi barbari e funzionari corrotti. La scomparsa di una personalità dominante come quella di Giustina aveva lasciato i figli privi di guida.
Giusta e
Grata si erano unite saldamente al fratello, sperando di formare una coalizione invincibile. Nell'orazione funebre che Ambrogio pronuncia per il funerale del giovane imperatore si accenna a questo vincolo affettivo fortissimo: "Quale affetto Valentiniano ha nutrito per le sorelle. In loro trovava riparo, in loro consolazione, in loro rilassava l'animo suo e ristorava il suo cuore oppresso dalle preoccupazioni. Baciava alle sorelle mani e capo, dimentico della sua dignità imperiale e tanto più sovrastava gli altri in virtù del suo potere, tanto più si mostrava umile con le sorelle. Nel beneficio della vostra presenza poneva ogni suo conforto, così che non sentiva troppo la mancanza di una sposa. Perciò differiva le nozze, poiché lo saziava il tenero affetto della vostra gentilezza.".
Valentiniano II si
sposò, ma non compare
mai citata la
moglie. Le sorelle, a due mesi dalla morte, erano così inconsolabili da meritare un affettuoso ma risoluto rimprovero da Ambrogio: "Voi desiderate abbracciare il suo corpo, vi stringete con le vostre persone al suo tumulo. Quel tumulo sia per voi la dimora di vostro fratello, sia esso il palazzo imperiale dove riposano quelle membra a voi care. Non avete motivo di affliggervi oltre misura per vostro fratello: era nato uomo, era soggetto alla fragilità umana. Ma ammettiamo pure che fosse doveroso manifestare con gemiti il proprio dolore. Fino a quando si dovrebbe prolungare il tempo del lutto? Per due mesi interi vi siete strette ogni giorno intorno alla spoglia di vostro fratello..." ora basta, impone Ambrogio. E così, con l'immagine del lutto e del dolore, anche Grata e Giusta svaniscono dalla storia
non lasciando altra
traccia che le loro lacrime.
- Nel 392 i Tervingi (Visigoti) di Alarico sono circondati sulla Maritsa in Tracia dal generale Stilicone, in veste di magister militum (capo dell'esercito) d'oriente ma Teodosio li perdona e li lascia tornare nella loro provincia rinnovandogli il trattato del 382.
Nel 393 - L'imperatore d'occidente, poi considerato usurpatore Flavio Eugenio giunge a Roma
dove mette in atto, pur essendo cristiano, una politica di tolleranza
verso i "pagani" della religione romana, che sotto la guida
di Virio Nicomaco Flaviano, riprendono il potere. Flavio Eugenio
permise la riapertura dei templi pagani come il tempio di Venere e
Roma, la restaurazione dell'altare della Vittoria nella curia romana
e la celebrazione di feste religiose della religione romana. Questa
politica religiosa, palesemente in contraddizione con i decreti
anti-pagani del 391-392, creava tensioni con Teodosio I (che non lo aveva riconosciuto come suo collega e che era un
fervente cristiano) e con il potente vescovo milanese Ambrogio, che
lasciò la sua sede all'arrivo della corte imperiale di Eugenio.
Nel 394 - Il 5 settembre, l'esercito dell'imperatore d'occidente considerato usurpatore
Flavio Eugenio, comandato dal franco Arbogaste, viene
sconfitto dall'esercito di Teodosio I nella battaglia del
Frigido (l'attuale fiume Vipacco vicino a Gorizia) e l'
impero ha in
Teodosio I, nuovamente, un
unico padrone. Arbogaste si uccise per sfuggire alla cattura mentre Flavio Eugenio fu messo a morte per decapitazione come traditore. Il vandalo-romano
Stilicone, all'epoca
magister militum d'oriente, aveva messo insieme l'esercito che sotto la guida di Teodosio aveva vinto la Battaglia del Frigido e aveva inoltre alle proprie dipendenze il visigoto Alarico, che guidava un consistente numero di
foederati goti e che costituivano l'avanguardia dell'esercito, che subirono
gravissime perdite. Stilicone si distinse talmente al Frigido che Teodosio vide in lui l'uomo a cui poter
affidare la difesa dell'Impero.
- Nel 394 Galla, seconda moglie di Teodosio e madre di Galla Placidia, muore neanche ventenne, a seguito di un parto in cui morì anche il bambino, Giovanni e nello stesso anno Teodosio si reca in Occidente a combattere l'usurpatore Eugenio Flavio. Teodosio lascia a Costantinopoli il piccolo Arcadio (augusto dell'impero d'oriente) mentre si fa seguire a Milano da Onorio (augusto dell'impero d'occidente) e Galla Placidia, entrambi poi lì affidati alle cure dell'ambiziosa Serena, la nipote prediletta di Teodosio, figlia di Onorio, un fratello defunto di Teodosio, quindi anche lei di origine ispanica, che era stata data in moglie al generale romano di padre vandalo Stilicone. Serena viene descritta da Claudiano come bionda, bellissima, ma anche ambiziosa, autoritaria e senza scrupoli. Alla morte dei genitori era stata adottata come figlia da Teodosio, che l'adorava: era l'unica capace di arrestare le sue collere esplosive, di allietare le sue depressioni, di lenire le sue febbri. La giovane donna era cresciuta consapevole del suo fascino e del suo potere, che esercitò a Costantinopoli dando parecchio filo da torcere alla pia Flaccilla, la prima moglie di Teodosio e poi forse a Galla, la seconda moglie. Elia Flavia Flaccilla ( ... -
Costantinopoli, 386) prima moglie dell'imperatore Teodosio I gli
aveva dato una figlia, Pulcheria, morta infante, Arcadio (Hispania,
377 circa) e Onorio (9 settembre 384). Quando alla fine dell'anno l'imperatore si ammala gravemente a Roma, sentendo approssimarsi la fine manda a chiamare Serena col piccolo Onorio. La nipote Serena viene investita in questa occasione di un ruolo non contemplato giuridicamente ma affidatole di fatto: è la tutrice di Onorio, come un tempo Giustina lo era stata di Valentiniano II. Ma mentre Giustina era l'imperatrice-madre, Serena è solo una cugina destinata a reggere col marito semibarbaro (Stilicone) la parte occidentale dell'impero in vece di Onorio.
Nel 395 - Il 17 gennaio Teodosio I, l'ultimo imperatore a reggere entrambe le parti dell'impero, muore. Nell'inverno del 394 si era ammalato di idropisia e dopo poche settimane era morto a Milano, affidando l'educazione
spirituale di Onorio e Galla Placidia ad Ambrogio mentre la nipote Serena è la tutrice di Onorio e Stilicone custode e difensore dello stesso Onorio, mentre a suo dire l'aveva nominato protettore (parens) di entrambi i figli Arcadio e Onorio. La
storia sembra ripetersi per il vescovo di Milano che, misogino
qual'era (sofferente di repulsione o di avversione nei confronti
delle donne), deve confrontarsi per la seconda volta con
un'imperatrice. Rispetto a Giustina i rapporti con Serena potevano
essere migliori almeno dal punto di vista confessionale, poiché
Serena era cattolica. Ma fra Stilicone e Ambrogio
sembra aleggiasse un'ostilità espressa più dai fatti che dalle
parole, al punto che dalla corte neppure le basiliche cristiane erano
ritenute luoghi sacri e potevano quindi essere invase da soldataglie. Comunque Stilicone, i cui figli avuti da Serena facevano parte della dinastia teodosiana e avrebbero potuto reclamare il trono, affermando di essere stato nominato custode di entrambi i figli di Teodosio, incrinerà definitivamente i rapporti fra la corte orientale dell'Impero e quella occidentale, poiché in realtà a fungere da protettore di Arcadio sarà, fino al momento della propria morte, il Prefetto del Pretorio d'Oriente Flavio Rufino, sostituito successivamente da Eutropio. L'Impero romano è così diviso
in una parte orientale, affidata ad Arcadio e una occidentale
governata da Onorio. In realtà però, il governo effettivo era nelle
mani di Rufino e poi
di Eutropio in
Oriente e del
generale Stilicone in
Occidente.
Il 27 febbraio del 395 si tennero i solenni funerali di Teodosio celebrati da Ambrogio, che pronunciò il "De Obitu Theodosii". Le esequie si svolsero seguendo per la prima volta il rito cristiano. L'8 novembre di quello stesso anno la salma di Teodosio venne tumulata nella basilica degli Apostoli di Costantinopoli. Vi rimarrà fino al saccheggio della città del 1.204 da parte di crociati (i veneziani si presero parecchi souvenir insieme alle spoglie di san Marco). Teodosio I fu l'ultimo imperatore a regnare su di un impero unificato e fece del cristianesimo la religione unica e obbligatoria dell'Impero; per questo fu chiamato Teodosio il Grande dagli scrittori cristiani e dalle Chiese orientali è venerato come santo (San Teodosio I il Grande, commemorato il 17 gennaio). Nella definitiva divisione dell'Impero in una parte occidentale (Prefettura del pretorio delle Gallie con due diocesi in Gallia, una l'Hispania e un'altra la Britannia, la maggior parte della Prefettura del pretorio d'Italia formata da quattro diocesi: due diocesi in Italia, una l'Illiria e l'altra l'Africa), mentre all'Oriente toccarono la Prefettura del pretorio d'Oriente e due diocesi illiriche. Le diocesi dell'Illirico orientale erano state trasferite all'Impero d'Oriente sotto Teodosio I da Graziano e il mantenimento di questa assegnazione sarà fonte di continue dispute iniziate subito dopo la morte di Teodosio poiché saranno rivendicate per l'Occidente da Stilicone.
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Cartina dell'Impero Romano nel 395, alla morte di Teodosio I, diviso in 2: l'Impero Romano d'Oriente con capitale Costantinopoli e l'Impero Romano d'Occidente, con capitale Roma, e dal 402 sarà Ravenna. Sono indicate le varie città e regioni dell'impero e le varie popolazioni al di fuori di esso. |
- Per ragioni amministrative e probabilmente a causa delle tensioni fra le due corti dell'impero dovute alle rivendicazioni di Stilicone, e cioè sia di essere stato nominato tutore di entrambi gli imperatori che la riassegnazione delle diocesi dell'Illirico orientale all'Occidente,
l'Impero Romano si divide definitivamente fra Impero Romano d'Occidente con imperatore Onorio, figlio di Teodosio I, i cui tutori erano Serena e Stilicone
e Impero Romano d'Oriente con imperatore Arcadio, il figlio maggiore di Teodosio I, il cui tutore era Flavio Rufino. Flavio
Onorio (Costantinopoli, 9 settembre 384 - Ravenna, 15 agosto 423) era il figlio terzogenito dell'imperatore Teodosio I e della sua consorte Elia Flaccilla, originari ambedue della provincia romana dell'Hispania; Arcadio e Pulcheria Teodosia (morta ad appena sette anni d'età), erano rispettivamente suo fratello e sua sorella maggiori. Il padre lo aveva onorato del titolo di
nobilissimus puer e conferito il consolato per l'anno 386, quando Onorio aveva due anni. Flavio
Arcadio (377 circa - Costantinopoli, 1º maggio 408) era il figlio maggiore di Teodosio I ed Elia Flaccilla, originari ambedue della provincia romana dell'Hispania e fratello di Onorio. A 17 anni Arcadio si era trovato a reggere il governo dell'Oriente, sotto la guida del prefetto Flavio Rufino, mentre il padre muoveva con l'esercito contro l'usurpatore Flavio Eugenio. Subito dopo la morte di Teodosio, Rufino aveva ottenuto il potere nell'Impero romano orientale esercitando la sua influenza sul giovane e debole Arcadio, a cui voleva far sposare la figlia, ma le sue ambizioni erano frustrate da un altro ministro imperiale, il
praepositus sacri cubiculi Eutropio;
Arcadio fu
dominato fino all'ultima parte della sua vita da
Antemio, suo prefetto del pretorio, che farà pace con Stilicone ad Occidente. La
parte orientale dell'impero è ricca, grazie alle produzioni di cereali dell'Egitto e dell'Africa nord-orientale, i commerci della Siria, le produzioni agricolo-artigianali e manufatturiere di Siria, penisola Anatolica e Greca; inoltre la cultura, di stampo ellenistico, ha in
Alessandria d'Egitto il
centro più evoluto del
mondo conosciuto. La
parte occidentale ha come risorse agrarie solo la Sicilia e il nord Africa centrale, mentre è continuamente
minacciata da
invasioni di popolazioni Germaniche, dirottate a occidente dalle solide mura e dalle politiche di Costantinopoli. Mentre
aristocratici e
notabili di tradizione e formazione romana
entrano nel tessuto amministrativo della
cristianità, le gerarchie e le formazioni dell'
esercito sono sempre più composte da esponenti di quelle
popolazioni barbariche che
minacciano l'integrità dell'
impero. Il pagamento dei loro servizi nei territori di confine
impoverisce progressivamente l'impero e indebita sempre più un'
amministrazione che
non ha risorse. Per questi motivi, l'
impero romano d'Oriente, che verrà poi chiamato Bizantino dagli storici del XVI secolo,
sopravviverà per quasi
mille anni all'impero romano d'Occidente.
, distinzione che aveva incominciato a diffondersi durante il regno dell'imperatore Valente, dal 364 al 378, di cultura prevalentemente greca, separatosi dalla parte occidentale, di cultura quasi esclusivamente latina,
. Non c'è accordo fra gli storici sulla data in cui si dovrebbe cessare di utilizzare il termine "romano" per sostituirlo con il termine "bizantino", anche perché entrambe le definizioni sono utilizzate da molti di costoro, spesso indistintamente, per designare il mondo romano-orientale fino almeno al VII secolo. Le diverse impostazioni storiografiche condizionano anche la diversità di opinioni nella determinazione della datazione: taluni lo fanno coincidere con il 395 (separazione definitiva dei due imperi) ma si è anche proposto il 476 (fine dell'Impero Romano d'Occidente), il 330 (anno di inaugurazione della Nova Roma o Νέα Ῥώμη, fondata da Costantino I, copia fedele e nostalgica della prima Roma), il 565 (morte di
). Alcuni storici prolungano il periodo propriamente "romano" fino al 610, anno dell'ascesa al trono di
il quale modificò notevolmente la struttura dell'Impero. Resta comunque il fatto che per gli imperatori bizantini e per i propri sudditi il loro impero si identificò sempre con quello di Augusto e Costantino I dal momento che "
. L'impero, dopo una lunga crisi, la sua distruzione da parte dei crociati nel 1204 e la sua restaurazione nel 1.261, cessò definitivamente di esistere nel 1.453 (conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi ottomani guidati da Maometto II). Il termine "
", ovvero Greco-Romani in lingua greca), e chiamavano il loro Stato Βασιλεία Ῥωμαίων (
). Fino al regno di Giustiniano I, nel VI secolo, si tentò ripetutamente di ricostituire l'antica unità dell'impero romano, sottraendo i territori occidentali ai successivi conquistatori. Il greco fu la lingua di cultura e d'uso, com'era stata da sempre nelle province orientali dell'impero romano. Il
, piuttosto diffuso presso le classi alte di Costantinopoli fino almeno all'età marcianea (Flavio Marciano è stato un imperatore romano d'Oriente dal 450 al 457), rimase comunque
. Curiosamente, per lungo tempo fu considerato disdicevole riferirsi all'impero come "greco", poiché tale termine aveva l'
di pagano.
", al fine di non generare confusione con l'impero romano dell'epoca classica; questa dicitura fu
". La pubblicazione nel 1648 di "
", scritta da Du Cange, diffuse l'uso del termine "bizantino" tra gli autori francesi illuministi come Montesquieu. Gli
), anche se di lingua greca, e che gli stessi musulmani conquistandone i territori fondarono il
", mentre gli europei occidentali venivano definiti "latini" (dalla lingua usata). Per corruzione dall'arabo Rūm (attraverso le modifiche in
"). Con questo termine, sebbene con varianti grafiche, le storie dinastiche cinesi definirono l'impero bizantino dal tempo degli annali della dinastia Wei, scritti dal 551 al 554, fino agli annali della dinastia Tang scritti nel 945. Prima dell'introduzione del termine "bizantino", l'Impero veniva chiamato dagli europei occidentali
(Impero dei Greci). Gli europei occidentali consideravano il Sacro Romano Impero, e non l'Impero bizantino, erede dell'Impero romano; quando i re di Occidente volevano fare uso del termine Romano per riferirsi agli imperatori bizantini, preferivano chiamarlo
, un titolo che veniva attribuito a Carlo Magno e ai suoi successori. Tuttavia,
" a causa delle differenze linguistiche. Nelle fonti papali del VI-VII-VIII secolo l'Impero romano d'oriente era definito
in seguito all'Iconoclasmo (a metà dell'VIII secolo) coloro che venivano fino a poco tempo prima definiti "Romani" divennero per la Chiesa di Roma "Greci" e la "
". Curiosamente, per lungo tempo fu considerato disdicevole riferirsi all'impero come "greco", poiché tale termine aveva l'
".
Nel 401 - Sotto la spinta di altri popoli germanici, i Vandali Asdingi, che già si erano convertiti all'arianesimo, si spingono fino alla Rezia, saccheggiandola e Stilicone riesce a fermarli temporaneamente. I Visigoti,
passando da Aemona (Lubiana in Slovenia), arrivano in Italia e
da Aquileia si dirigono a Milano, alla corte dell'imperatore
Onorio, per ottenere una sovvenzione e una provincia in cui
stabilirsi.
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Europa dal IV al VI sec., con i percorsi delle invasioni e delle espansioni degli Alani, gruppo dei Sàrmati e delle popolazioni Germaniche dei Goti (Ostrogoti e Visigoti), Vandali, Svevi, Juti, Angli e Sassoni, popolazioni spinte a est dagli Unni, che giungevano su cavalli dalle steppe nordasiatiche.
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Nel 402 - Dopo Milano, l'imperatore Onorio elegge
Ravenna come
capitale dell'
Impero Romano d'Occidente visto che ormai Roma, dove ancora è insediato il Senato Romano, è troppo esposta ad eventuali scorrerie mentre Ravenna, con le paludi che ne ostacolano l'accesso e il porto alle spalle che garantisce una via di fuga via mare, è più sicura.
- Nel 402 i Visigoti sono fermati a Pollenzo, nel cuneese da Stilicone, che nomina Alarico magister militum, purché lasci l'Italia. La "Notitia Dignitatum", il ruolo organico dell'amministrazione civile e militare del tardo impero romano, attesta la presenza nei primi anni del V secolo di 15 colonie militari di Sàrmati anche in Italia, soprattutto nella pianura del Po, sotto il comando di un Praefectus Sarmatarum gentilium. Secondo quel documento una di queste guarnigioni era stanziata nell'odierna provincia di Cuneo, a Pollentia (oggi Pollenzo), nota per essere stata teatro nel 402 della battaglia tra i Visigoti di Alarico e i Romani, fra le cui fila erano presenti cavalieri Sarmato-Alani. In seguito si sarebbero spostati sul più sicuro e poco distante altopiano alla confluenza fra il Tànaro e la Stura di Demonte, dove oggi sorge il piccolo paese di Salmour che si ipotizza derivi il nome da quell'antico insediamento (Sarmatorium). Dopo essere usciti dall'Italia, i Visigoti non si allontanano dai confini.
Nel 403 - I Visigoti di Alarico rientrano in Italia e assediano Verona, dove sono sconfitti da Stilicone, che li costringe a rinnovare il patto di alleanza contro l'impero d'oriente e a rientrare in Epiro; ma ben presto abbandonano l'Illiria per stabilirsi tra il Norico e la Pannonia. Sembra che Stilicone intendesse usare
Alarico come alleato contro l'Impero romano d'Oriente per spingere
l'imperatore d'oriente Arcadio a cedere all'Impero d'Occidente l'Illirico orientale, trasferito all'Impero d'Oriente sotto Teodosio I dall'imperatore Graziano.
Nel 405 - San Girolamo traduce e pubblica la Bibbia in Latino, chiamata Vulgata mentre Stilicone ordina la distruzione dei libri sibillini, le cui profezie cominciavano a essere utilizzate per attaccare il suo governo.
Nel 405/406 - Radagaiso, un condottiero ostrogoto, a capo di una vasta coalizione di tribù germaniche (Goti, Vandali Asdingi, Quadi, Suebi, Burgundi), Alani sarmatici e tribù celtiche, tra la fine del 405 e gli inizi del 406 invade l'Italia. Con una folta schiera di guerrieri,
Radagaiso devasta l'Emilia e la Toscana ed assedia Fiesole.
Interviene allora il generale Stilicone che, al comando dell'esercito
romano rafforzato da schiavi liberati e truppe ausiliarie guidate
dall'unno Uldino e dal visigoto Saro (Sarus in latino), infligge una sconfitta decisiva
al nemico nei pressi di Fiesole il 23 agosto 406. Radagaiso abbandonò
l'esercito e tentò la fuga portandosi dietro un abbondante bottino
ma fu catturato e messo a morte insieme ai suoi figli presso Firenze. Stilicone, magister militum dell'Impero
romano d'Occidente, aveva assoldato Saro (in latino Sarus; ...
- 412), generale dell'Impero romano d'Occidente di origine gota e
fratello di Sigerico (futuro re dei Visigoti per sette giorni), per
combattere contro Radagaiso (nel 406) e contro l'usurpatore
Costantino "III" (nel 407). Quando Stilicone verrà
giustiziato per ordine dell'imperatore Onorio, Saro abbandonerà
l'esercito romano assieme ai propri uomini.
Nel 406 - Le province della Britannia romana si ribellano. Le guarnigioni non erano state pagate e avevano deciso di scegliere il proprio capo. Le loro prime due scelte, Marcus e Graziano, non avevano soddisfatto le loro aspettative e furono uccisi.
- Alla fine del 406, Stilicone invia Alarico in Epiro, stringendo con lui una nuova alleanza contro l'Impero d'Oriente: l'intenzione di Stilicone era farsi consegnare da Arcadio l'Illirico orientale. Per difendere l'Italia o per attaccare l'impero d'Oriente però, vennero sguarnite le frontiere della Gallia e proprio il 31 dicembre del 406, attraversando il Reno ghiacciato presso Mogontiacum, Vandali, Alani e Suebi o Svevi, invadono la provincia.
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Carta delle migrazioni
in Europa nel
III e IV sec..
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- Il Reno, che rappresentava il confine (limes in latino) fra l'impero romano e le popolazioni germaniche dell'Europa centrale ed era invalicabile per l'assenza di ponti, alla fine del 406, si ghiaccia completamente e il 31 dicembre, presso Mogontiacum (Magonza, l'attuale Meinz che sorge alla confluenza del Meno e del Reno, nei pressi di Francoforte sul Meno), viene varcato da Vandali, Alani, Burgundi e Suebi (o Svevi) alla ricerca di un futuro nella società romana. I federati Franchi Salii combatterono contro questi invasori, dirottando la loro spinta principale a sud della Loira ma è l'inizio dello sgretolamento dell'impero romano d'occidente. Tempo prima, assieme agli Alani ed ai Suebi (fra cui i Quadi), i Vandali Asdingi si erano spostati lungo il limes da Augusta (Augsburg) in direzione del fiume Meno, dove a loro si erano uniti i Silingi (Vandali unitisi ai Burgundi nel III secolo) e da qui avevano raggiunto il Reno, dove furono affrontati dai Franchi, che come federati dei Romani, presidiavano il confine dell'impero; i Franchi provocarono gravi perdite nelle file dei Vandali, ma sopraggiunsero gli Alani che capovolsero le sorti della battaglia. Il capo dei Vandali Asdingi, Godigisel aveva perso la vita nel corso della battaglia di Treviri, poco prima che la sua tribù, con l'aiuto degli Alani, avesse sconfitto i Franchi. A Godigisel successe il figlio Gunderico che guidò i Vandali della tribù degli Asdingi oltre il Reno, il 31 dicembre del 406, a Magonza, che fu rasa al suolo, poi attraversarono rapidamente la Gallia, razziando i villaggi e le città che incontravano lungo il loro cammino sino ad arrivare ai Pirenei, ove si fermarono di fronte ai passi fortificati e si riversarono nella Gallia Narbonense. L'avanzata divenne un'invasione e scatenò il caos. Assieme alle tribù vandale degli Asdingi e di parte dei Silingi (il resto dei Silingi era rimasto nelle terre ancestrali della Pannonia e della Slesia finendo per fondersi con gli Slavi) si scatenarono sul territorio gallico anche Suebi e Alani, seguiti da Burgundi e Alemanni. L'immagine resta di portata storica epocale, in quanto questi popoli non sarebbero mai più usciti dall'Impero e vi avrebbero fondato, insieme agli stessi Visigoti, i primi regni romano-barbarici. L'invasione, secondo la tradizione storica, causò immani massacri.
Nel 407 - All'inizio dell'anno, l'esercito romano in Britannia acclama l'usurpatore Costantino (ricordato come Costantino III o Costantino I d'Inghilterra) come imperatore. Temendo un'invasione germanica e alla disperata ricerca di un certo senso di sicurezza in un mondo che sembrava andare rapidamente a pezzi, l'esercito romano in Gran Bretagna cerca maggiore sicurezza in una leadership militare forte e abile e sceglie come leader un uomo che prende il nome dal famoso imperatore Costantino il Grande, salito al potere attraverso un colpo di stato militare in Britannia. Flavio Claudio Costantino, meglio noto come Costantino III (... – 411), è stato usurpatore dell'Impero romano d'Occidente (407 - 411) contro l'imperatore Onorio. Fu incluso tra i sovrani leggendari della Britannia (come Costantino II) nelle cronache gallesi e nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, secondo la quale salì al potere dopo l'assassinio di Graciano Municeps. Goffredo dice che dopo questo omicidio la Britannia era sull'orlo della guerra civile e allora gli abitanti dell'isola chiamarono in soccorso i cugini di Municeps dalla Bretagna. Il sovrano di questa terra, Aldroeno, mandò suo fratello, Costantino II, che respinse gli Unni e i Pitti, che avevano invaso la Britannia. Ebbe tre figli: Costante, Ambrosio Aureliano e Uther Pendragon. Egli fece intraprendere a Costante la vita ecclesiastica. Regnò per cinque anni, ma fu deposto da Vortigern, che era il suo siniscalco. Questa storia si ritrova molte volte nel ciclo arturiano, compreso il "Merlino" di Roberto di Boron e nel Lancillotto in prosa, anche se con molte contraddizioni. Costantino era un soldato comune, ma dotato di una certa abilità. All'inizio del 407, acclamato imperatore, Costantino si mosse rapidamente e attraversò la Manica a Bononia (Boulogne) e (gli storici hanno ipotizzato) portò con sé tutte le truppe mobili rimaste in Gran Bretagna, privando così la provincia di ogni protezione militare di prima linea, motivando così la scomparsa delle legioni dalla Britannia all'inizio del quinto secolo. Le forze romane in Gallia si scherarono con lui, seguite dalla maggior parte di quelle in Hispania. Le forze di Costantino vinsero diversi scontri con i Vandali e si assicurarono rapidamente il limes del Reno.
- La notizia falsa di un presunto decesso
di Alarico e l'usurpazione di Costantino III trattennero Stilicone dal raggiungere l'alleato Alarico in Epiro per condurre una guerra civile contro l'Impero romano d'Oriente per il possesso dell'Illirico orientale. Le diocesi dell'Illirico
orientale erano infatti state
trasferite all'Impero d'Oriente sotto Teodosio I dall'imperatore
Graziano, ed erano quindi rivendicate per l'Occidente da
Stilicone. Gli storici moderni si sono
ripetutamente chiesti se l'invasione dell'Illirico fosse un piano da
lungo tempo meditato, o piuttosto il risultato di eventi specifici,
se non della disperazione. Autori più datati come John Bagnell Bury
ritengono che Stilicone rivendicasse l'annessione dell'Illirico
Orientale alla pars occidentis fin dal 395, mentre autori come
Hughes, Mazzarino e Cesa, basandosi sui panegirici di Claudiano
(opere di propaganda del regime stiliconiano che in alcuni passi
sembrano riconoscere come legittimo il governo di Arcadio
sull'Illirico Orientale), concludono che solo dopo la sconfitta di
Radagaiso nel 405-406 Stilicone concepisse questa strategia come
l'unica via di uscita, mentre prima si era illuso di poter mantenere
unità d'intenti tra le due parti dell'impero. I potenti senatori
romani si opponevano al reclutamento massiccio di barbari
nell'esercito, non ritenendoli affidabili, ma allo stesso tempo non
volevano fornire i contadini che coltivavano le loro terre, né
pagare le tasse che avrebbero consentito all'impero di reclutare
altrove i soldati. Per difendere l'Italia Stilicone aveva sguarnito
la Britannia e la frontiera del Reno, lasciata forse ai soli federati
Franchi, chiaro sintomo di una coperta troppo corta. Sentendosi
indifese, o volendo cogliere l'opportunità data dal momento di
debolezza e di crisi, alcune zone dell'impero se ne stavano
allontanando, e tra queste la Britannia. Non è infatti del tutto
certo chi abbia abbandonato chi, se Roma la Britannia o la Britannia
Roma. Altre zone della Gallia erano infestate dai Bagaudi e si
sarebbero presto staccate (come l'Armorica). L'effetto negativo era
doppio, servivano soldati per controllare queste zone ribelli, ma il
loro allontanamento privava allo stesso tempo la pars
occidentis di fonti di reclutamento e introiti fiscali.
- Stilicone era pronto per la campagna
contro l'impero d'Oriente nell'Illirico, contando anche sull'alleanza
con Alarico e i suoi Visigoti, ma prima arrivò la notizia poi
rivelatasi falsa che Alarico fosse deceduto, e Stilicone cercò di
accertarsene; poi gli giunsero lettere di Onorio provenienti da Roma,
che lo informavano dell'usurpazione di Costantino III e a tale
notizia, il generale romano fu costretto ad annullare la spedizione
illirica e a ritornare a Roma per stabilire le mosse future. Per cui, intenzionato a recuperare il possesso della Gallia, nel
407 Stilicone invia nella regione un'armata condotta dal generale romano di origini gote Saro (in latino Sarus; ... - 412), fratello di Sigerico (futuro re dei Visigoti per sette giorni), per porre fine all'usurpazione di Costantino
III: Saro, attraversate le Alpi, ottenne alcuni successi iniziali,
come la sconfitta e l'uccisione dei due generali di Costantino III,
Giustiniano e Nebiogaste. Costantino III stesso fu assediato da Saro
nella città di Valentia per sette giorni ma la città resistette
all'assedio e ben presto accorsero in soccorso dell'usurpatore i
rinforzi condotti dal franco Edobico e dal britannico Geronzio;
all'arrivo di tali rinforzi, Saro fu costretto a levare l'assedio
dopo soli sette giorni e tentare la ritirata, ma fu assalito e
sconfitto dai due generali e riuscì a stento a sfuggire alla
cattura. La ritirata frettolosa dell'esercito sconfitto di Saro verso
l'Italia fu ostacolata durante l'attraversamento delle Alpi dai
briganti Bagaudi, che consentirono all'esercito romano di tornare in
Italia solo a patto che venisse loro ceduto tutto il bottino di
guerra.
Nel 408 - Serena, in attesa che suo figlio Eucherio possa sposare Galla Placidia, temporeggia e alla morte della figlia Maria, fa sposare a Onorio l'altra figlia, Termanzia.
- In maggio, l'usurpatore Costantino III fa di Arles la propria capitale, dove nomina Prefetto Apollinare, il nonno di Gaio Sollio Sidonio Apollinare (Lugdunum, 5 novembre 430 circa - Clermont-Ferrand, 486), nobile gallo-romano, alto funzionario dell'Impero romano, poeta, epistolografo, vescovo di Alvernia e santo. Il suo rango e le sue conoscenze fecero sì che fosse al centro della vita pubblica della sua epoca.
- Stilicone è informato che Alarico
aveva lasciato l'Epiro e che aveva collocato il suo accampamento a
Emona, città situata tra la Pannonia Superiore e il Norico. Il re
dei Visigoti aveva ricevuto lettere da Onorio che gli avevano
annunciato l'annullamento della spedizione e gli avevano ordinato di
rientrare in territorio romano-occidentale. Alarico, arrabbiato per
l'annullamento della spedizione senza che avesse ricevuto alcuna
ricompensa o almeno un rimborso spese per il mantenimento delle sue
truppe per tutto il tempo trascorso in Epiro in attesa di Stilicone,
decide di marciare in Norico, da dove invia messaggeri a Stilicone che gli chiedono 4.000 libbre d'oro, non solo
come ricompensa per i servigi prestati all'Impero d'Occidente in
Epiro ma anche come rimborso spese per il viaggio dall'Epiro al
Norico, e minaccia di invadere l'Italia nel caso questa richiesta
non sia soddisfatta. Stilicone, all'arrivo dei messaggeri di
Alarico a Ravenna, li trattenne nella nuova capitale della parte
occidentale e si dirige a Roma, dove intende consultarsi con
l'Imperatore e con il Senato romano riguardo al pagamento di Alarico.
Il senato, riunitosi al palazzo imperiale, discusse se dichiarare
guerra al re dei Visigoti oppure pagargli la somma di denaro: la
maggior parte dei senatori erano propensi per la guerra mentre
Stilicone e pochi altri erano di opinione contraria e votarono per la
pace con Alarico. Quando i senatori propensi alla guerra chiesero a
Stilicone perché propendeva per la pace e conseguentemente al
disonore del nome romano, in quanto essa veniva comprata con del
denaro, il generale romano rammentò che Alarico era intervenuto in
Epiro per assistere l'Impero d'Occidente nel tentativo di sottrarre
all'Impero d'Oriente l'Illirico orientale e il piano avrebbe già
avuto successo se non fosse intervenuta Serena, sua moglie,
che volendo evitare una guerra civile tra le due parti dell'Impero,
era riuscita a indurre Onorio a fermare la spedizione. Stilicone
mostrò inoltre al senato una lettera dell'Imperatore a riprova di
quanto aveva affermato. Il senato, ascoltate le argomentazioni di
Stilicone, accettò di versare ad Alarico le quattromila libbre d'oro
e soltanto un senatore di nome Lampadio, secondo la tradizione, ebbe
il coraggio di affermare che «questa non è una pace, ma un
contratto di servitù». Secondo Zosimo, Stilicone intendeva inviare
Alarico in Gallia per combattere l'usurpatore Costantino III, e
avrebbe avuto l'approvazione di Onorio, che scrisse persino ad
Alarico, ma l'esecuzione di Stilicone mandò a monte tutto. Una volta
versate le 4.000 libbre d'oro ad Alarico, Onorio decise di recarsi
dapprima a Ravenna e poi a Pavia, dove voleva visionare l'esercito
che doveva essere inviato contro l'usurpatore Costantino III. Onorio
intendeva lasciare Roma per stabilirsi a Ravenna, sembra per
suggerimento di Serena, che temeva che se l'Imperatore fosse rimasto
a Roma avrebbe avuto un rischio maggiore di essere catturato da
Alarico nel caso avesse invaso l'Italia e riteneva, al contrario,
Ravenna maggiormente sicura. Giustiniano, avvocato consigliere di
Stilicone, temendo che se Onorio si fosse recato a Pavia il rischio
di una rivolta delle truppe romane di stanza a Pavia, avverse a
Stilicone, sarebbe stato elevato, tentò di distogliere l'Imperatore
dal viaggio senza però riuscirci.
- Stilicone parte dunque per Ravenna, ma il
viaggio a Pavia di Onorio, che è una pericolosa banderuola pronta a cambiare
al primo vento, dà fastidio a Stilicone. Appena arrivato a
Ravenna il magister provoca una agitazione tra i
soldati con l’appoggio di Saro, ufficiale barbaro a lui
fedele. Onorio non si arresta e prosegue per la capitale. A metà
strada gli giunge la conferma della notizia della morte di Arcadio
(il primo di maggio) avvenuta a Costantinopoli. L’imperatore
orientale lascia erede il figlio di sette anni, Teodosio Il. Onorio, tuttavia, non si
fece intimorire e partì per Bologna, dove scrisse a Stilicone, che
all'epoca si trovava a Ravenna, ordinandogli di punire i rivoltosi.
Quando però Stilicone annunciò la sua intenzione di punirli con la
decimazione, i soldati con un pianto dirotto ottennero che il
generale scrivesse all'Imperatore, chiedendo di non punirli,
ottenendo così il perdono dall'Imperatore e scampando pertanto alla
punizione. Stilicone raggiunse quindi Onorio a Bologna, dove i due
ebbero una discussione accesa: Onorio, essendosi spento per malattia il I° maggio suo
fratello Arcadio, intendeva infatti andare a Costantinopoli per
assicurare la successione al nipote Teodosio II, figlio di Arcadio
mentre Stilicone cercava di convincerlo che la presenza
dell'Imperatore in Italia in questi frangenti così delicati (con
Alarico e Costantino "III" in agguato) era necessaria e che
sarebbe andato lui stesso in Oriente a sistemare le cose. Stilicone
consigliò inoltre Onorio di negoziare con Alarico per stringere una
nuova alleanza con lui: il generale intendeva impiegare i foederati
Visigoti di Alarico in Gallia contro l'usurpatore Costantino III
insieme alle legioni romane, sperando che con l'aiuto di Alarico
sarebbe riuscito a recuperare la Gallia. Convinto da Stilicone,
Onorio scrisse ad Alarico e alla corte d'Oriente e partì da Bologna
per raggiungere Pavia. Partito Onorio, Stilicone si preparò per
partire per Costantinopoli ma, narra Zosimo, tardò ad eseguire ciò
che aveva promesso.
- Nell'estate del 408, le forze romane in Italia si riuniscono per attaccare l'usurpatore Costantino "III" mentre lui temeva che i cugini di Onorio in Hispania avrebbero organizzato un attacco da quella direzione mentre le truppe al comando di Sarus e Stilicone lo attaccavano dall'Italia, con una manovra a tenaglia. Quindi pensò di colpire per primo in Hispania e convocò il figlio maggiore, Costante, dal monastero dove abitava, lo elevò a Cesare e lo mandò con il generale Geronzio verso l'Hispania, dove sconfissero i cugini di Onorio con poca difficoltà. Didimo e Veriniano, furono catturati e altri due, Lagodius e Teodosiolus, fuggirono; il primo a Roma e Teodosiolus a Costantinopoli. Costante lasciò la moglie e la casa a Saragozza sotto la cura di Geronzio e tornò ad Arles per riferire al padre.
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Dittico con Stilicone, la moglie
Serena
e il figlio Eucherio.
Monza, tesoro del duomo.
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- Nel frattempo, la fazione della corte
di Onorio contraria alla politica di Stilicone, favorevole al
compromesso con i Visigoti e avversa all'Impero d'Oriente, capeggiata
dal cortigiano Olimpio, originario del Ponto Eusino, decide di
passare all'azione per provocare la rovina di Stilicone. Olimpio,
durante il viaggio dell'Imperatore Onorio verso Pavia, comincia a
suscitare sospetti in Onorio sulla fedeltà di Stilicone, affermando
che avesse pianificato l'assassinio di Rufino, stesse brigando con
Alarico, che avesse invitato i barbari nel 406 in Gallia e che
intendesse dirigersi a Costantinopoli con l'intenzione di mettere sul
trono imperiale il figlio Eucherio. Giunto poi a Pavia,
Olimpio
ripeté gli stessi discorsi volti a
screditare Stilicone
all'esercito radunato a Pavia, spingendolo pertanto alla rivolta.
- A Ravenna e a Milano il partito
antibarbarico o antigermanico aveva tessuto la sua
strategia. Il 13 agosto a Ticinum (Pavia), proprio nel momento in cui Onorio, nel passare in rassegna le truppe, le stava incitando a dare il massimo nella guerra contro l'usurpatore Costantino III, al segnale di Olimpio, un civile abile negli intrighi di palazzo e nuovo favorito di Onorio, insorgono
all’idea di essere nello stesso esercito
assieme ai Visigoti di Alarico, un nemico pagato con soldi
dello stato, il medesimo Alarico che avevano combattuto nelle passate
battaglie sul suolo italico. Scoppiano gravissimi
tumulti; davanti all’imperatore i
soldati si gettano sugli alti dignitari stiliconiani
del governo, compiono una strage e saccheggiano la città. Si narra che Onorio, nel tentativo di porre fine alla rivolta, si togliesse la porpora e il diadema e vagasse per la città nel tentativo di fermare i soldati, riuscendoci con molta fatica. È un vero colpo di
stato: la fazione antigermanica prende un effimero
sopravvento. Onorio terrorizzato fugge a Milano. Nomina
frettolosamente magister officiorum Olimpio e prefetto al
pretorio d’Italia il cattolico Mallio Teodoro. Ormai è rottura
tra Onorio e Stilicone, l’imperatore infatti dà
ordine ai suoi ufficiali di arrestarlo.
- Stilicone, che è a Bologna, si rende
conto che la sua politica è finita. In un primo momento pensa di
dirigersi verso Pavia ma quando viene a sapere che Onorio
offre la sua copertura alla rivolta della fazione
antigermanica vi rinuncia. Da leale soldato tiene fede al giuramento
fatto a Teodosio e rifiuta di marciare alla testa delle truppe
foederate contro i reggimenti romani di Ticinum (Pavia). Dà anzi
l’ordine di chiudere le porte delle città del nord Italia onde
impedire alle famiglie dei soldati Goti di raggiungere i loro
parenti. Con questa disposizione permette al governo di cautelarsi
contro la ribellione delle truppe barbariche. Gli ostaggi civili
diventano un efficace deterrente contro un inizio di guerra civile
tra milizie dello stesso impero. A Bologna, durante
la notte il capo goto Saro
furente massacra la
guardia del corpo di
Stilicone (composta da Unni di
Pannonia) ed ha con lui un misterioso colloquio
nella sua tenda, probabilmente per convincerlo a spodestare Onorio e
il partito anti-germanico.
- Stilicone, distrutto moralmente e psicologicamente, va a Ravenna. Qui trova l’appoggio delle milizie foederate subito accorse, con la possibilità di scontri con la guarnigione della città. Non riuscendo più a conferire con Onorio per persuaderlo dell'infondatezza delle accuse di tradimento, Stilicone riesce a trovare riparo in una chiesa, dove entrano le truppe di Onorio presentando a Stilicone una prima lettera scritta da Onorio, in cui veniva ordinato semplicemente il suo arresto e la detenzione in carcere, ma non la sua esecuzione e lo inducono ad uscire dalla chiesa. Non appena Stilicone uscì dalla chiesa tuttavia, i soldati gli lessero una seconda lettera, nella quale veniva ordinata la sua esecuzione per presunto tradimento. Non appena fu letta la seconda lettera, i soldati barbari fedeli a Stilicone erano sul punto di intervenire per salvare il generale dall'esecuzione, ma Stilicone li fermò all'istante, accettando il suo destino. Stilicone sarà giustiziato il 23 agosto del 408 da Eracliano. Nelle città dell'impero d'occidente le truppe romane regolari si scatenarono contro i parenti dei soldati visigoti e vi furono massacri.
- Alla notizia le milizie foederate non rispondono più al governo imperiale. Circa trentamila soldati di origine barbarica si uniscono alle forze di Alarico. È un momento di totale confusione: l’esercito è diviso. Olimpio assume la direzione della politica imperiale e scatena l’epurazione contro gli stiliconiani: Deuterio, capo dei ciambellani di corte e Pietro, capo dei notai, vengono arrestati, torturati e uccisi a bastonate. Onorio allontana dal trono la moglie Thermantia (figlia di Stilicone e che aveva sposato all’inizio dell’anno) e ordina l’uccisione del figlio di Stilicone, Eucherio, che fugge inutilmente a Roma trovando breve asilo in una chiesa. Naturalmente vi sono ripercussioni anche in Gallia dove, in agosto, viene ucciso il prefetto stiliconiano Limenio. In Italia viene ucciso il prefetto Longiniano, collega di Curzio. Gli stiliconiani uccisi nella rivoluzione di agosto erano tutti funzionari in carica.
- Ma neanche in questo momento Alarico pensa di dare il colpo mortale. Chiede un riconoscimento in denaro, due ostaggi, Aezio figlio di Giovio, prefetto dell’Illirico, e Giasone figlio di Gaudenzio già comes d’Africa. Promette di ritirarsi in Pannonia. Onorio respinge le richieste, ma trascura di preparare l’esercito per una prevedibile reazione militare del capo goto. Sul fronte interno lo squagliamento e la disintegrazione dell’esercito continua: Saro, il comandante più amato dalle truppe visigote non viene recuperato ma si mantiene fedele all’impero. Come comandanti Olimpio assegna Turpilione alla cavalleria, Varane alla fanteria e Vigilanzio al corpo dei domestici.
- Apprese le mosse della coppia Onorio-Olimpio, Alarico dalla sua sede nel Norico prepara per bene la spedizione: fa venire dalla Pannonia Ataulfo, fratello della moglie, con una moltitudine di Unni e Goti ma non lo aspetta. In autunno entra in e supera agevolmente Aquileia. Oltrepassa il Po e raggiunge, con una passeggiata militare, Ecubaria (Monteveglio o Vigarano Mainarda o Mirandola), roccaforte vicino a Bononia (Bologna). Aggira Ravenna, passa per Rimini poi da Ancona e punta deciso (per la Via Salaria) verso Roma.
- In seguito all'esecuzione di Stilicone, Olimpio si impossessa del controllo dell'Impero, ricevendo la carica di magister officiorum e ottenendo dall'Imperatore che le alte cariche dello stato fossero assegnate a uomini di sua fiducia. Il regime di Olimpio si occupò anche di perseguitare i famigliari e i partigiani di Stilicone, molti dei quali furono processati, interrogati affinché confessassero i presunti piani di tradimento di Stilicone e, nei casi in cui non ci fossero confessioni, giustiziati. Onorio divorziò da Termanzia, figlia di Stilicone, e ordinò l'esecuzione di un altro figlio del generale, Eucherio, il quale, pertanto, si rifugiò in una chiesa di Roma. A Roma il comes sacrarum largitionum Eliocrate ricevette addirittura l'ordine di confiscare e vendere i beni di chiunque avesse ottenuto magistrature nel periodo della reggenza di Stilicone. Come se non bastasse, in seguito alla presa di potere da parte di Olimpio, assunse il controllo dello stato la fazione antibarbarica contraria all'imbarbarimento dell'esercito e alla negoziazione con Alarico: ciò, tuttavia, provocò effetti deleteri per l'Impero, con un indebolimento dell'esercito. Infatti, forse per ordine di Olimpio, le truppe di presidio delle città massacrarono le mogli e i figli dei soldati barbari al servizio dell'Impero e ne saccheggiarono le case. I soldati barbari, informati della notizia, per vendicarsi dei Romani che avevano trucidato le loro famiglie, decisero di disertare e allearsi con Alarico. Secondo Zosimo, Alarico fu così rinforzato da 30.000 soldati barbari che fino a poco tempo prima avevano servito Roma e Stilicone. Peter Heather ritiene invece che la cifra di 30.000 soldati si riferisca all'intero esercito di Alarico, avanzando l'ipotesi che Zosimo possa aver frainteso su questo punto la propria fonte, cioè Olimpiodoro di Tebe. Onorio, rimasto privo di una valida forza militare con cui opporsi ai barbari e all'usurpatore Costantino III, decide nel 408 di associare quest'ultimo al trono riconoscendolo co-imperatore e associandolo al consolato per l'anno successivo.
- Quando gli inviati di Costantino III arrivarono per parlamentare, il pauroso Onorio riconobbe Costantino come co-imperatore e i due furono consoli congiunti per l'anno 409. Costantino III è anche conosciuto come Costantino II d'Inghilterra e viene spesso confuso con il Costantino che si trova nella famosa e fantasiosa Historia Regum Britanniae di Geoffrey (o Goffredo) di Monmouth, che sale al potere dopo il regno di Gracianus Municeps. Nel racconto di Geoffrey, i Britanni chiedono ad Aldroenus, il sovrano di Armorica (la Bretagna gallica), di essere il loro sovrano dopo il ritiro romano, alla ricerca di un re che possa difenderli dai barbari. Aldroenus rifiuta ma manda invece suo fratello Costantino a governare. Costantino diventa re e ha tre figli, Costante, Aurelio e Uther, ma viene pugnalato a morte da un Pitto. Costantino III non ha alcuna relazione con il Costantino descritto nel racconto di Geoffrey e non ha alcun collegamento con la leggenda di Re Artù. Il Costantino di Geoffrey è il fratello di Aldroenus, entrambi discendenti di Conan Meriadoc ed è il Costantino di Geoffrey che, attraverso suo figlio Uther Pendragon è il nonno del leggendario Re Artù.
- Il successivo sacco di Roma del 410 per opera dei Goti di Alarico, dimostrò che cosa valesse l'impero senza le milizie e i comandanti germanici ed ebbe così
inizio l'epoca dei
regni germanici nelle provincie romane. Dopo otto secoli un esercito straniero entrava di nuovo a Roma. Nella navata centrale della Basilica di Sant'Ambrogio a Milano, si può vedere un sarcofago paleocristiano in marmo chiamato Sarcofago di Stilicone. Risulta tuttavia inverosimile, per il luogo e il modo in cui fu ucciso, che il generale sia stato sepolto a Milano; il nome della tomba si deve probabilmente ad una tradizione popolare. Un nuovo esercito romano era in preparazione in Italia per una
seconda campagna contro l'usurpatore
Costantino III, ma quando Stilicone venne giustiziato per ordine di Onorio (il 22 agosto 408), il generale romano di origini gote
Saro e i suoi uomini
abbandonarono l'
esercito, lasciando l'imperatore senza protezione, arroccato nell'inespugnabile Ravenna con l'esercito dei Visigoti di
Alarico I libero di muoversi in
Etruria.
- Eucherio, Serena e Termanzia fuggirono
a Roma, ma l'antipatia del Senato romano verso Serena e il figlio ne
decretò la morte. Serena aveva sfidato le antiche divinità romane
sottraendo una collana alla statua di Giunone per adornarsene: era
una sacrilega e non poteva essere aiutata. Termanzia si ritirò in un
monastero, mentre sua madre e suo fratello venivano decapitati. A orchestrare la regìa delle accuse
era stata Galla Placidia, che finalmente poteva vendicarsi di
essere stata segregata e strumentalizzata per diciannove anni da
Serena (Zosimo, V, 38). Contro Placidia si sono schierati gli storici
a noi contemporanei, bollandola del titolo di delatrice. Certo era
una donna che aveva meditato e accarezzato la sua vendetta nelle
interminabili giornate passate alla corte di Milano, in
un'adolescenza priva di gioie e di affetti. La Nemesi
(personificazione della giustizia, in quanto garante di misura e di
equilibrio, divinizzata nell'antichità classica e modernamente intesa
come fatale punitrice della tirannide e dell'egocentrismo attraverso
le alterne vicende della storia; vendetta orchestrata dagli eventi) a
volte assume questo aspetto.
Nel 409 - Un'ambasceria guidata da Attalo, membro del Senato romano, giunge a Ravenna il 17 gennaio 409 con lo scopo di perorare la causa del sovrano visigoto. Non ha successo ma Attalo è comunque onorato dall'imperatore Onorio della carica di comes sacrarum largitionum, grazie all'influenza di Olimpio, membro della corte che aveva causato la caduta e la morte di Stilicone. Prisco Attalo (fl. 394 - 416) è stato un senatore romano, due volte usurpatore dell'Impero romano, la prima volta nel 409 - 410 e la seconda nel 414 - 415, elevato a quella carica dal sostegno dei Visigoti. Greco dell'Asia di rango senatoriale, Attalo era uno dei più influenti membri del Senato romano, pagano e interessato agli indovini. Nel 398 aveva fatto parte di un'ambasceria del Senato romano presso l'imperatore Onorio che chiedeva l'esenzione dei senatori dal reclutamento nell'esercito, esenzione che ottennero. Il re dei Visigoti Alarico I, per tutta risposta, eleva Attalo al soglio imperiale, in opposizione a Onorio, che si era rinchiuso a Ravenna. In quell'occasione, Attalo si fa battezzare ed estende i diritti delle gerarchie, cattolica e ariana, nomina Alarico magister utriusque militiae, che lo pone a capo delle gerarchie militari e civili mentre suo fratello Ataulfo riceve il rango di guardia imperiale a cavallo. Attalo rappresentava gli interessi della nobiltà senatoriale, all'epoca in conflitto con Onorio, contrasto che negava l'autorità di Attalo nell'impero e in regioni dell'Italia. Avvenne così la defezione di Eracliano, il comes Africae, fedele a Onorio che controllava la diocesi d'Africa, dalla quale giungeva l'indispensabile rifornimento di grano per la città di Roma: allo scopo di indebolire Attalo, Onorio aveva ordinato a Eracliano di interrompere la fornitura, causando la carestia in città. Attalo, di concerto con Alarico, preparò una spedizione contro Eracliano, poi quella stessa estate si mosse verso Ravenna accompagnato dal re visigoti, mettendo sotto assedio la capitale di Onorio. L'imperatore assediato offrì ad Attalo di condividere il potere, ma questi si rifiutò, continuando l'assedio; fu però costretto a ritornare a Roma, in quanto la sua capitale soffriva per la mancanza di rifornimenti di grano causati dal blocco ordinato da Eracliano, che aveva sconfitto le forze inviategli contro da Attalo. Quando Attalo si rifiutò di affidare a un capo goto il comando di una seconda spedizione contro Eracliano, poiché intenzionato a trattare con Onorio, Alarico lo depose, spogliandolo dei paramenti imperiali e incarcerandolo insieme al figlio Ampelio e progettò di mettere in atto il sacco di Roma.
- Nell'autunno del 409, mentre Burgundi e Alemanni si stanziano in Gallia, i Vandali Asdingi e Silingi con Alani e Suebi si dirigono verso i Pirenei per superarli e penetrano in Hispania, probabilmente con la complicità del governatore romano della penisola iberica, Geronzio, che si era ribellato a Roma e mirava a crearsi uno stato indipendente. Per due anni queste popolazioni, tre di origine germanica e gli Alani che erano una popolazione sarmatica, si aggirarono per le fiorenti campagne iberiche, abbandonandosi al saccheggio ed alle devastazioni: « Imperversando i barbari per la Spagna, e infuriando il male della pestilenza, l’esattore tirannico e il soldato depredano le sostanze nascoste nelle città: la carestia infuriò, così forte che le carni umane furono divorate dal genere umano: le madri uccisero o cuocerono i propri nati mangiandoseli. Le bestie feroci, abituate ai cadaveri uccisi con la spada, dalla fame o malattia, uccisero qualsiasi essere umano con le forze che gli rimanevano, si nutrivano di carne, preparando la brutale distruzione del genere umano. E la punizione di Dio, preannunciata dai profeti, si verificò con le quattro piaghe che devastarono l’intera Terra: ferro, carestia, peste e le bestie. » (Idazio, Cronaca, anno 410). In particolare gli Svevi o Suebi di re Ermerico, devastarono per due anni le province occidentali e meridionali.
Nel 410 - I Visigoti, capeggiati da Alarico, conquistano e saccheggiano Roma. Quando Onorio sembrava dunque aver riportato una vittoria su Alarico, un suo ex-generale, Saro, attaccò proditoriamente e a sua insaputa Alarico, il quale, sentendosi tradito dall'imperatore, rimise l'assedio a Roma per la terza volta (agosto 410). La città cadde il 24 agosto e fu messa a sacco, il famoso sacco di Roma, spogliata dei suoi beni preziosi e, soprattutto, dei viveri. La notte del 24 agosto 410, la Porta Salaria fu aperta a tradimento e i Goti poterono finalmente penetrare nell'Urbe e saccheggiarla per tre giorni interi. Alarico permise a ognuno dei suoi seguaci di impadronirsi di quanta ricchezza possibile, e di saccheggiare tutte le case dell'Urbe; ma, per rispetto nei confronti dell'Apostolo Pietro, ordinò che la basilica di San Pietro avrebbe costituito un luogo di asilo inviolabile. Quando i Visigoti di Alarico lasciarono l'Urbe, portarono con loro anche un prezioso ostaggio, Galla Placidia, da utilizzare per costringere Onorio a cedere alle loro richieste: iniziarono così diversi anni di prigionia per la giovane principessa, all'epoca diciottenne. I Visigoti lasciarono Roma carichi di bottino dopo tre giorni di saccheggio e Alarico, passando da Capua e da Nola in Campania (dove Galla Placidia conobbe il vescovo Paolino di Nola, anch'egli fatto prigioniero, cui in seguito scrisse una lettera conservatasi) che fu devastata, si diresse poi in Lucania e da lì in Calabria (l'antico Bruzio), a Reggio. La sua intenzione era invadere con una flotta, dapprima la Sicilia e poi l'Africa, il granaio dell'Impero. Secondo il pagano Olimpiodoro tuttavia, una statua pagana eretta nei pressi dello stretto di Messina, con la funzione di impedire il passaggio ai Barbari, lo avrebbe indotto a rinunciare all'invasione e a ritirarsi più a Nord. Secondo il cristiano Orosio, invece, una provvidenziale tempesta disperse e affondò le navi quando erano già in parte cariche e pronte a partire, inducendo il re goto a rinunciare ai suoi piani per poi riprendere la strada verso nord, lungo la quale, nei pressi di Cosenza, si ammalò improvvisamente e morì. Secondo la leggenda, tramandata da Giordane, venne seppellito con i suoi tesori nel letto del fiume Busento a Cosenza. Gli schiavi, che avevano lavorato alla temporanea deviazione del corso del fiume, furono uccisi perché fosse mantenuto il segreto sul luogo della sepoltura. Ad Alarico succedette il cognato Ataulfo, che successivamente avrebbe sposato Galla Placidia, sorella di Onorio.
- I Visigoti, dopo essere entrati
in Italia più volte per ottenere una sovvenzione e una provincia in
cui stabilirsi e aver tentato a più riprese un accordo con
l'imperatore d'occidente Onorio, che si era trincerato a
Ravenna, dopo
la morte di Stilicone (408), spazientiti, ritornano a Roma per
la terza volta e il 24 agosto 410, grazie al fatto che la porta
Salaria era stata aperta a tradimento, entrano e la
saccheggiano (il primo Sacco della Roma imperiale, dopo quello
dei Celti Senoni di Brenno del 390 a.C.)
per tre giorni. L'episodio avviene dopo anni di promesse (non mantenute) di terre ad Alarico da parte dell'imperatore romano, come pagamento per i servizi militari prestati dai Visigoti.
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Roma, arco di Tito, particolare del trafugamento della Menorah e del Pettorale del Giudizio. |
Nel saccheggio viene trafugato anche il
tesoro di Salomone, che i Romani trafugarono a loro volta nel 70 d.C.
a Gerusalemme, quando la rasero al suolo.
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Ricostruzione del come doveva presentarsi il pettorale del giudizio o della decisione, da QUI. |
Come si può vedere nei bassorilievi dell'arco trionfale di Tito, il tesoro trafugato includeva anche la Menorah, l'immenso candelabro d'oro a sette braccia e il pettorale d'oro con le pietre preziose corrispondenti alle 12 tribù d'Israele. Gli invasori Visigoti portarono via in pratica tutte le ricchezze della Città Eterna. Narra lo storico Procopio che
Alarico s'
impadronì dei «
tesori di Salomone, re degli Ebrei, mirabili a vedersi perché quasi tutti adorni di smeraldi, che anticamente erano stati presi a Gerusalemme dai Romani ». I Visigoti lasciarono Roma
carichi di bottino e tentarono di passare in Sicilia per impadronirsi poi dell'Africa, il granaio dell'Impero, ma una tempesta disperse e affondò le loro navi, già in parte cariche e pronte a partire. Allora ripresero la via del nord, ma in Calabria, nei pressi di Cosenza,
Alarico si ammalò improvvisamente e
morì.
- Nel 410, dopo aver adottato un atteggiamento più pacifico, i
conquistatori barbarici dell'
Hispania che avevano sfondato il
limes del Reno alla fine del 406, che non erano più di 30.000, ottennero da Roma lo
status di
foederati in cambio del giuramento di fedeltà all'imperatore d'occidente Onorio.
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Invasione di Iuti, Angli e Sassoni nella Britannia romana, da QUI. |
- Dallo stesso 410, visto che i Romani avevano abbandonato la Britannia, i germani
Iuti,
Angli e
Sassoni invadono la
Britannia. L'
invasione dei Germani (Angli, Sassoni, Juti e altri) nella
Britannia, anche indicata come la colonizzazione anglosassone della Britannia, è l'insieme delle migrazioni avvenute nel V secolo d.C. di parecchie genti germaniche dalle coste occidentali dell'Europa continentale per insediarsi in Britannia, l'attuale Gran Bretagna. Non sono note date precise, ma si sa che l'invasione iniziò al principio del V secolo,
dopo che le
truppe romane lasciarono la
Britannia nel 410, con l'iniziale sbarco dei Sassoni in prossimità del Vallo di Antonino, e proseguì per i decenni successivi. Il loro arrivo è chiamato
Adventus Saxonum nei testi latini, una definizione utilizzata per la prima volta da Gildas verso il 540. L'
Adventus Saxonum è considerato il
punto di
inizio della
Storia dell'
Inghilterra ed è tradizionalmente ritenuto un'invasione piuttosto che una colonizzazione, con date che differiscono e circostanze solamente ipotizzate. Qualunque possa essere la migliore data di inizio, una misura del successo iniziale che gli Anglosassoni ebbero giunse nel 441, quando la
Cronica gallica del 452 registrò che la Britannia cadde sotto la dominazione sassone dopo aver subito molti disastri e razzíe, intendendosi con questo che per quella data tutti i contatti con la costa britannica erano stati interrotti. Il dibattito, sia fra gli studiosi sia in altri ambiti, è tuttora aperto in merito alle modalità e alle ragioni per le quali gli insediamenti anglosassoni ebbero successo, così come riguardo a quali fossero i rapporti fra Anglosassoni e Britanni romanizzati, in particolare in che misura i nuovi venuti cacciarono o sostituirono gli abitanti già presenti. I Britanni non romanizzati (
Celti) che vivevano nell'ovest e nel nord della Britannia restarono in gran parte
estranei all'insediamento degli Anglosassoni. L'unica fonte scritta affidabile e utile riguardante le genti note con il nome di Anglosassoni e i luoghi da cui provenivano è la
Historia ecclesiastica gentis Anglorum, scritta verso il 731 dal Venerabile Beda. Essa identifica i migranti come Angli, Sassoni e Juti e afferma inoltre che i Sassoni venivano dall'Antica Sassonia e gli Angli dall'Anglia, che si trovava tra le terre di origine di Sassoni e Juti. Si ritiene ragionevolmente che l'Anglia corrisponda all'antico Schleswig-Holstein (lungo l'attuale confine tra Germania e Danimarca), includendo l'attuale Angeln. Lo Jutland era la patria degli Juti e la costa tra i fiumi Elba e Weser è il punto d'origine dei Sassoni. Quando gli anglo-sassoni si trasferirono in Gran Bretagna, alcuni dei
nativi gallesi celti (welsh, dalla parola germanica Welschen che designa gli "stranieri", parola che deriva dal nome della tribù celtica dei Volci Tectosagi che erano appunto confinanti e talvolta in guerra con le tribù germaniche e pertanto stranieri per questi)
attraversarono la
Manica e si stabilirono nella
Bretagna Armoricana, nell'attuale Francia, portandosi la loro lingua madre che diventò in seguito il bretone, che rimane ancora oggi parzialmente intelligibile con il gallese moderno ed il cornico.
Nel 411 - Il re visigoto
Ataulfo interrompe l'avanzata verso l'Italia meridionale iniziata
da suo cognato Alarico e si dirige verso la Gallia; nel 411 Ataulfo
si trovava in Toscana e secondo lo storico Giordane, Ataulfo,
passando da Roma, la saccheggia nuovamente ed in quella occasione
cattura e conduce con sé Galla Placidia. Ancora il
Chronicon Albeldense (Placidiam conjuge accepit), e Giordane (in Foro
Iuli Aemiliae civitate suo matrimonio legitime copulavit) riportano
che Ataulfo sposò, a Foro Iuli Aemiliae (Forlì)
nel 411, Galla Placidia, e poi proseguì verso la Gallia,
anche se le altre fonti spostano il matrimonio a Narbona, nel 414 (il
vescovo Idazio, il Fragmenta historicorum graecorum, Volume 4 e
Isidoro di Siviglia, dopo l'arrivo in Gallia). Nel contempo,
iniziano i primi contrasti con il generale goto Saro, schieratosi a
favore di Onorio nella lotta contro l'usurpatore Costantino III.
- In Gallia l'usurpatore Costantino III
muore e un nuovo usurpatore insorge, Giovino, che chiama a
sé il generale romano di origini gote Saro e i suoi uomini in qualità di proprio esercito. Giovino,
che era stato eletto dai Burgundi e dagli Alani, regnerà per due
anni. La sua caduta avverrà quando i Visigoti di Ataulfo (Alarico
era morto nel 410), fingendo di volersi unire a lui, lo
rovesceranno occupandone i territori. Saro cadde nella trappola e malgrado combattesse
valorosamente alla testa delle proprie truppe, fu sconfitto e ucciso
in uno scontro con Ataulfo. Giovino fuggì ma, assediato e catturato
a Valentia, fu giustiziato.
- Nel 411 si tiene il primo Concilio di Cartagine che ebbe come tema l'eresia donatista, dopo che nel 406 l'imperatore Onorio, attraverso l'Editto di Unione, aveva assimilato i donatisti agli eretici e dato le loro proprietà ai cattolici. Il vescovo donatista Primiano, non volendosi dare per vinto, si recò dall'Imperatore a Ravenna, chiedendo e ottenendo un dibattito con i cattolici, sul cui esito si sarebbe pronunciato da arbitro il praefectus praetorio. L'imperatore nel 410 diede incarico al senatore Marcellino di organizzare i preparativi per la conferenza. Lo stesso Marcellino doveva esserne arbitro e giudice. Con lettera del primo giugno 411, Marcellino invitò alla conferenza i vescovi delle due confessioni, assicurando imparzialità di giudizio. Nel dibattito emersero entrambe le posizioni, quella cattolica e quella donatista, e Agostino, vescovo d'Ippona, ribatté con le sue argomentazioni, divenendo la figura chiave di tutto il concilio. Egli si soffermò, in particolare, sul rapporto ministro-sacramenti, affermando che chi ribattezza "pone la propria speranza in un uomo" e non in Cristo, vero auctor sacrament. Noi siamo stati salvati solo per i Suoi meriti e per Sua giustificazione. Inoltre i sacramenti dei donatisti, anche se sono validi, non sono però fruttuosi, a causa della loro posizione scismatica. Infatti mancano della grazia santificante dello Spirito Santo. Costui opera solo nella Chiesa unita e non agisce nelle comunità separate. A tarda sera Marcellino emanò il verdetto secondo cui i donatisti erano stati confutati. Questa decisione fu confermata da Onorio con editto del 30 gennaio 412. Agostino d'Ippona (latino: Aurelius Augustinus Hipponensis; Tagaste, 13 novembre 354 – Ippona, 28 agosto 430) è stato un filosofo, vescovo cattolico e teologo berbero. Padre, dottore e santo della Chiesa cattolica, è conosciuto semplicemente come sant'Agostino, detto anche Doctor Gratiae ("Dottore della Grazia"). Secondo Antonio Livi, filosofo, editore e saggista italiano di orientamento cattolico, è stato «il massimo pensatore cristiano del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell'umanità in assoluto». Le Confessioni sono la sua opera più celebre. Nel 373 la sua ansia per la ricerca dell'assoluto lo fece approdare al Manicheismo, di cui, insieme al suo amico Onorato, divenne uno dei massimi esponenti e divulgatori. Agostino stesso narra che fu attratto dalle promesse di una filosofia libera dai vincoli della fede; dalle vanterie dei manichei che affermavano di aver scoperto delle contraddizioni nelle Sacre Scritture; e, soprattutto, dalla speranza di trovare nella loro dottrina una spiegazione scientifica della natura e dei suoi fenomeni più misteriosi. La mente indagatrice di Agostino era entusiasta per le scienze naturali ed i Manichei dichiaravano che la natura non aveva segreti per Fausto di Milevi, il loro dottore. (Milevi era in Numidia, l'attuale Algeria). Tuttavia, tale adesione non fu scevra da dubbi che l'attanagliavano: essendo torturato dal problema dell'origine del male, Agostino, nell'attesa di risolverlo, diede credito all'esistenza di un conflitto tra due principi. C'era, inoltre, un fascino molto potente nell'irresponsabilità morale che risultava da una dottrina che negava la libertà ed attribuiva la commissione di crimini ad un principio esterno. Nel 383, Fausto di Milevi, il celebre vescovo manicheo, giunse a Cartagine. Agostino gli fece visita e lo interrogò, ma scoprì nelle sue risposte solo volgare retorica, assolutamente estranea a qualsiasi cultura scientifica. L'incantesimo si ruppe e, anche se Agostino non abbandonò immediatamente il gruppo, la sua mente iniziò a rifiutare le dottrine manichee. Nel 383 Agostino, all'età di 29 anni, cedette all'irresistibile attrazione che l'Italia aveva per lui; a causa della riluttanza della madre a separarsi da lui, dovette ricorrere ad un sotterfugio ed imbarcarsi con la copertura della notte. Non appena giunto a Roma, dove continuò a frequentare la comunità manichea, si ammalò gravemente. Quando guarì aprì una scuola di retorica ma, disgustato dai trucchi dei suoi alunni, che lo defraudavano spudoratamente delle loro tasse d'istruzione, fece domanda per un posto vacante come professore a Milano. Il praefectus urbi Quinto Aurelio Simmaco l'aiutò ad ottenere il posto con l'intento di contrastare la fama del vescovo Ambrogio. Dopo aver fatto visita al vescovo, però, si sentì attratto dai suoi discorsi e iniziò a seguire regolarmente le sue predicazioni. Per comprendere il pensiero di Agostino non si può prescindere dal suo vissuto esistenziale: egli cercò sempre di conciliare l'atteggiamento contemplativo con le esigenze della vita pratica e attiva. Poiché visse spesso drammaticamente il conflitto tra i due estremi, il suo pensiero consistette nel tentativo grandioso di tenere uniti la ragione e il sentimento, lo spirito e la carne, il pensiero pagano e la fede cristiana. Fu proprio l'insoddisfazione per quelle dottrine che predicavano una rigida separazione tra bene e male, tra luce e tenebre, a spingerlo ad abbandonare il manicheismo, e a subire l'influsso dapprima dello stoicismo e poi soprattutto del neoplatonismo, i quali viceversa riconducevano il dualismo in unità, così che oggi gli studiosi concordano sul fatto che la filosofia agostiniana è sostanzialmente di stampo neoplatonico. Ciò significa che Agostino recepì il pensiero di Platone filtrato attraverso quello di Plotino. Rispetto a questi ultimi tuttavia egli introdusse alcuni concetti nuovi marcatamente religiosi e attinenti in particolare alla fede cristiana: sostituì ad esempio la teoria della reminiscenza delle Idee con quella dell'illuminazione divina; o ancora, concepì la creazione dell'universo non semplicemente come un processo necessario tramite il quale Dio (plotinianamente) si manifesta e produce se stesso, ma come un libero atto d'amore, tale cioè che si sarebbe anche potuto non realizzare. E soprattutto, il Dio di Agostino non è quello impersonale di Plotino, ma è un Dio vivente che si è fatto uomo. All'amore ascensivo proprio dell'eros greco, egli avvertì così l'esigenza di affiancare l'amore discensivo di Dio per le sue creature, proprio dell'agape cristiano. Secondo Agostino di conseguenza, anche il mondo e gli enti corporei, essendo frutti dell'amore divino, hanno un loro valore e significato, mentre i platonici tendevano invece a svalutarli. Questo tentativo di collocare la storia e l'esistenza terrena entro una prospettiva celeste, dove anche il male trovi in qualche modo spiegazione, rimase sempre al centro delle sue preoccupazioni filosofiche. Nonostante le sottigliezze delle interpretazioni plotiniane di Platone nelle esposizioni di Agostino, nei concili di Cartagine fu emanata la proibizione per tutti, vescovi inclusi, di studiare Aristotele, Platone, Euclide, Pitagora, Tolomeo ecc.
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Carta dell'Hispania nel periodo
409-429
di Alcides Pinto.
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- Secondo la testimonianza del cronista Idazio, ecco come nel
411 gli
invasori dell'
Hispania se la spartirono: « [I barbari] si spartirono tra loro i vari lotti delle province per insediarvisi: i
Vandali (
Hasding, gli Asdingi) si impadronirono della Galizia, gli
Svevi di quella parte della Galizia situata lungo la costa occidentale dell'Oceano. Gli
Alani (popolazione sarmatica) ebbero la Lusitania e la Cartaginense, mentre i
Vandali Silingi si presero la Betica. Gli ispanici delle città e delle roccaforti che erano sopravvissuti al disastro si arresero in schiavitù ai barbari che spadroneggiavano in tutte le province. » (Idazio, Cronaca). Tutta l'Hispania, tranne la Tarraconense rimasta ai Romani, risultò dunque occupata dai Barbari nell'anno 411. Orosio, vissuto all'epoca dei fatti, afferma esplicitamente che l'occupazione fu illegale, ma dopo aver adottato un atteggiamento più pacifico, i conquistatori, che erano un piccolo numero, non più di 30.000, avevano ottenuto da Roma lo
status di
foederati, in cambio del giuramento di fedeltà all'imperatore Onorio nel 410. Nel 411, l'imperatore assegnò loro delle terre, tramite sorteggio; agli Svevi ed ai Vandali Asdingi toccò la Gallaecia, regione nord-occidentale della penisola iberica, ai Vandali Silingi la Betica ed agli Alani, la popolazione più numerosa, la Lusitania e la Cartaginiensis (con capitale Cartagena). In contemporanea con la provincia autonoma della
Britannia,
il reame degli Suebi (Svevi)
in Galizia fu il primo di quei sub-regni romani che si formarono dalla disintegrazione dell'Impero Romano d'Occidente e fu il primo
ad avere una propria zecca. Tale regno durò fino al 558, il suo centro politico fu Braccara Augusta (l'odierna città di Braga).
Nel 412 - Nella primavera
del 412, il re visigoto Ataulfo conduce il proprio esercito
con Galla Placidia fuori dall'Italia, passando per la via militare
che da Torino portava al fiume Rodano attraverso il Colle del
Monginevro. Lo seguì anche Prisco Attalo, altro usurpatore
del titolo imperiale che era stato elevato alla carica da Alarico e
poi deposto una prima volta nel 410. Una volta arrivato in Gallia,
Ataulfo si unì all'usurpatore Giovino. Questi però
considerava il re visigoto troppo pericoloso ed iniziò dunque a
trattare con il generale di origine visigota Saro, che era
stato collaboratore di Stilicone. Ataulfo (secondo il Fragmenta
historicorum graecorum, Volume 4), venuto a conoscenza della cosa,
con circa diecimila uomini affrontò Saro, lo sconfisse
e dopo averlo catturato lo uccise.
Quando Giovino,
anziché Ataulfo nomina il proprio fratello Sebastiano
correggente, Ataulfo stringe un patto con Onorio: in cambio di
rifornimenti, terre ed oro, gli avrebbe consegnato i due
usurpatori ed avrebbe liberato Galla Placidia.
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Territori degli Unni, con la loro
capitale, nella pianura ungherese,
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Nel 412/413 - Lo storico e ambasciatore
Olimpiodoro di Tebe conduce un'
ambasceria presso gli Unni, che erano già
stanziati lungo il corso medio del Danubio. Quindi gli
Unni, popolo guerriero nomade, probabilmente
di ceppo turco, provenienti dalla Siberia meridionale, sono giunti in quegli anni nella grande pianura ungherese e probabilmente, secondo la teoria di Heather, fu lo
spostamento degli Unni a
spingere Radagaiso (condottiero ostrogoto che capo di una vasta coalizione di
tribù germaniche e celtiche invase l'Italia tra la fine del 405 e gli inizi del 406, per poi essere sconfitto dall'esercito romano nella battaglia di Fiesole) a invadere l'Italia,
Vandali, Alani, Svevi e Burgundi a invadere le Gallie, mentre Uldino (uno dei primi capitribù degli Unni durante il regno degli imperatori Arcadio e Teodosio II) invade la Tracia durante la crisi del 405-408. All'epoca dell'ambasceria di Olimpiodoro, gli Unni erano governati da molti re, ma nel giro di vent'anni, probabilmente attraverso lotte violente, il comando fu unificato sotto il comando di un unico re: Attila.
Nella metà del V secolo, gli Unni costituiranno un regno nell'Europa centro-orientale e, come gli orientali Xiongnu, incorporeranno gruppi di popolazioni tributarie, arrestando così il flusso migratorio ai danni dell'Impero che essi stessi avevano provocato, in quanto, volendo dei sudditi da sfruttare, impedivano ogni migrazione da parte delle popolazioni sottomesse. Nel caso europeo, Alani, Gepidi, Sciri, Rugi, Sarmati, Slavi e specialmente le tribù gotiche, vennero tutti uniti sotto la supremazia militare della famiglia degli Unni. Guidati dai re Rua, Attila (406-453 che apparteneva alla famiglia reale) e Bleda, gli Unni si rafforzarono molto. Gli Eruli sono citati tra le
popolazioni che si unirono agli Unni guidati da Attila al cui
seguito parteciparono alle scorrerie per tutta l'Europa.
- Durante il IV secolo gli
Unni, popolo guerriero nomade, probabilmente
di ceppo turcico (o turco), provenienti dalla Siberia meridionale, erano giunti in Europa. Non si conosce quasi nulla della lingua unna, l'ipotesi più accettata è che si trattasse di una lingua altaica ma diverse altre teorie la vorrebbero vicina al moderno ungherese o addirittura alle lingue iraniche. Giordane (o Giordano o Jordanes, storico bizantino di lingua latina del VI secolo di probabile origine gotica o alana) scrisse che gli Unni "si procuravano ferite sulle guance come segno di lutto per i guerrieri più valorosi, piangendoli non con lacrime di donne ma con il sangue degli uomini". Inoltre gli Unni
praticavano la deformazione cranica, allungandosi le teste probabilmente a imitazione dei nomadi sàrmati di origine indoiranica. La deformazione cranica fu una pratica molto comune nel corso della storia. Il procedimento veniva applicato sin dalla più tenera infanzia e consisteva nello stringere la testa del bambino con un bendaggio, approfittando del fatto che a quell'età il cranio era ancora molle e in crescita. Nel caso di alcuni popoli, questa pratica serviva a indicare che il ragazzo era destinato al sacerdozio, ma nel caso degli Unni se ne ignora il significato, anche se come suggerisce lo storico John Man, "gli uomini con la testa allungata costituivano un'élite".
Gli
Unni sono stati descritti come un popolo di uomini brutti e spaventosi e lo stesso si diceva dei loro
cavalli, la loro vera grande
arma vincente sui campi di battaglia. I cavalli unni erano diversi dai cavalli attuali e molto diversi da quelli adottati dalla cavalleria romana e dai popoli con cui si scontrarono. Esteticamente questi cavalli potevano sembrare poco attraenti, erano molto magri, decisamente più bassi dei cavalli adottati dagli eserciti imperiali ma erano forti, resistenti e veloci, in grado di percorrere anche 100 km senza aver bisogno di essere ferrati, di indole mansueta e in grado di trovare il foraggio anche sotto la neve: sopravvivevano dunque facilmente anche in condizioni ambientali poco favorevoli. L'unico territorio in cui questi cavalli si muovevano a disagio era quello montagnoso, ma nelle vaste praterie della steppa Europea, nelle pianure e nelle valli si dimostrarono molto più performanti di qualsiasi cavalleria contro cui si scontrarono. I cavalieri unni sembravano un tutt'uno in sella ai loro cavalli, i bambini imparavano a cavalcare nello stesso tempo in cui imparavano a camminare e al galoppo di quei veloci destrieri sapevano destreggiare le armi con una precisione che le altre cavallerie, più rigide, pesanti e diversamente equipaggiate, non possedevano. Grazie all'
uso sia della
sella che della
staffa i loro attacchi erano sorprendentemente potenti, scanditi da repentini movimenti inaspettati. Si ritiene che un tipo di sella arcaica sia stata usata fin dal 700 a.C. circa dagli Sciti, un popolo nomade della steppa eurasiatica, ma è stato certamente l'arrivo in Europa di
selle robuste come quelle cinesi a fare la differenza in battaglia. Lo scoprirono a loro spese i Romani, che combatterono gli
Unni seduti su coperte appoggiate ai cavalli mentre la cavalleria dei loro nemici era già dotata di
selle in
legno con pomelli davanti e dietro, il cui vantaggio era una stabilità senza pari e la possibilità di tirare frecce senza fermarsi. Allo stato attuale e basandoci sui ritrovamenti effettuati in alcuni siti archeologici, è possibile oggi affermare che le
prime staffe rinvenute in
Europa sono attribuibili al quarto secolo dopo Cristo e provengono dalle tombe dei cavalieri
Sàrmati situate nel bacino del fiume Kuban, a nord del Caucaso, mentre al quinto secolo dopo Cristo appartengono alcune staffe in ferro, con la fessura per il passaggio dello staffile e la forma consueta che ancora oggi gli viene data, rinvenute in tombe di
Unni in Ungheria. Gli storici romani e cristiani che tanto disprezzarono gli Unni, descrivendoli come rozzi e incivili, narrarono di come si nutrissero della
carne cruda che riponevano
sotto la
sella durante le cavalcate, appena scaldata e "cotta" dal continuo movimento del corpo sulla sella. In realtà quella carne proteggeva l'animale dall'attrito del contatto, rendendogli quindi la cavalcata più lieve, che poi quella carne venisse realmente mangiata non apparirebbe certo strano oggi, soprattutto alla luce del prezzo della carne di Kobe, pregiatissima perché "massaggiata" a mano. Il cavaliere unno non avevano solo un cavallo a disposizione, ma un'intera scuderia di cavalli al seguito, in modo da poter contare sempre su un cavallo riposato per un'azione scattante. Quando gli Unni avanzavano lo facevano così velocemente che si potevano vedere le sentinelle correre disperate per annunciare l'arrivo degli Unni quando già se ne sentiva lo scalpitio sul terreno e l'orizzonte si copriva della polvere sollevata dagli zoccoli dei loro cavalli.
Nel 413 - Il re visigoto
Ataulfo mantiene la parola: Giovino e Sebastiano sono
sconfitti in battaglia, ma solo il secondo venne catturato e
consegnato al prefetto pretoriano Claudio Postumo Dardano. Giovino
riesce invece a fuggire a Valencia, dove Ataulfo lo
assedia e lo cattura nel 413. Le teste dei due usurpatori
giungono alla corte di Onorio nell'agosto del 413 e da lì spedite a
Cartagine, per essere esposte sulle mura della città
assieme a quelle di altri usurpatori.
I rapporti
fra Ataulfo e Onorio furono però rovinati dal mancato
invio da parte dell'Imperatore di adeguati rifornimenti.
Onorio addebitò i problemi alla rivolta in Nordafrica causata da
Eracliano (la cui testa fu fra quelle esposte sulle mura di
Cartagine). Il re visigoto, in risposta, non liberò Galla
Placidia ed anzi, nel 413 attaccò prima Marsiglia (che
gli resistette) e poi occupò Narbona (che divenne la sua
sede), Tolosa e Bordeaux.
Nel 414 - Il re visigoto
Ataulfo riesce finalmente ad entrare a Narbona; qui nel
gennaio del 414, all'età di quaranta anni circa, sposa con
cerimoniale romano la ventiduenne Galla Placidia - anche se lo
storico goto Giordane afferma che il matrimonio era stato celebrato a
Forlì nel 411, forse alludendo a una cerimonia di rito goto, ovvero
ariano. Il senso del matrimonio, che faceva di una principessa
imperiale una regina dei Visigoti, era quello di
permettere più facilmente il riconoscimento da parte romana
dei diritti dei Visigoti, i quali interpretavano il
ruolo della componente lealista dei complessi giochi politici
dell'epoca: Onorio avrebbe potuto ora riconoscere i Visigoti come
alleati senza perdere la faccia, in particolare con il generale
Flavio Costanzo. In ogni caso un matrimonio di
Galla Placidia rappresentava l'unica via per risolvere il
problema della successione dinastica di Onorio, dovuto
alla mancanza di figli dell'imperatore. Il matrimonio si
celebrò nel palazzo del nobile e ricco Ingenius; Ataulfo, vestito
alla romana, sposò secondo la cerimonia romana Galla Placidia e fece
sfilare cinquanta giovani con vassoi recanti parte del
bottino del sacco di Roma, restituito dal
sovrano barbaro alla sua sposa romana. Furono poi declamati
degli epitalamii, quello di Attalo, quello di Rustico e quello di
Febadio.
Secondo
l'apologeta cristiano Orosio, re Ataulfo (rimasto un cristiano
ariano) mantenne un rapporto conflittuale con la cultura
romana: sebbene avesse voluto convertire i territori romani in
gotici, si rese conto che la struttura della società gotica non
avrebbe potuto garantire la stessa governabilità di uno Stato come
quello romano. Per cui decise, anche grazie all'influenza di
Galla Placidia, di mutare strategia: avrebbe portato
avanti una politica di fusione fra Goti e Romani, affinché la
forza dei primi rinforzasse la cultura e il nome dei secondi.
Il piano fu però
frustrato dalle manovre del generale Flavio
Costanzo, che riuscì ad avvelenare definitivamente i
rapporti fra l'imperatore ed il re visigoto. Il matrimonio,
che avrebbe dovuto unire i Visigoti ai Romani, non fu riconosciuto a
Ravenna e il generale dapprima, ottenne il permesso di bloccare i
porti gallici - mossa a cui Ataulfo rispose nominando per la seconda
volta Prisco Attalo come usurpatore, con potere nominale sulla
Gallia. Il generale Flavio Costanzo si recò con un esercito
in Gallia per affrontare i Visigoti; Ataulfo e Galla furono
costretti ad arretrare prima a Narbona e infine, valicati i
Pirenei, a ritirarsi verso la Tarraconense, occupando
Barcellona, come confermano il Chronicon Albeldense, il
vescovo Idazio e Giordane (fine 414, inizi 415), lasciando indietro
Attalo, il quale fu catturato e spedito a Onorio.
|
Scuola di Atene di Raffaello Sanzio.
In
quest'opera Raffaello rappresenta
i grandi filosofi del passato: l'unica
donna è Ipazia di Alessandria.
|
Nel 415 - Ad Alessandria d'Egitto,
il
vescovo e
patriarca d'Alessandria, Cirillo, poi fatto santo e "dottore e padre della chiesa universale" come Ambrogio di Milano, Giovanni Crisostomo e Agostino d'Ippona, dopo avere disposto la distruzione del tempio Serapeo, che ospitava la famosa
biblioteca contenente la memoria delle scoperte del pensiero scientifico ellenistico (si parla di 500.000 volumi), che fu
data alle fiamme, ordina l'
assassinio di
Ipazia, astronoma, matematica e filosofa. Ipazia d'Alessandria era la geniale figlia del matematico Teone, sovrintendente della biblioteca, nata nel 370 ed
erede della
Scuola Alessandrina. Antesignana della scienza sperimentale, Ipazia concepì e realizzò l'astrolabio, l'idroscopio e l'aerometro. Cirillo invece aveva studiato per cinque anni, dal 394 al 399, nel monastero della montagna della Nitria, nel deserto di San Marco, e lì era stato ordinato Lettore (insegnante, autorizzato a tenere lezioni). In questo monastero aveva stretto vincoli di amicizia con gran parte dei monaci parabolani di cui si servì per sterminare Ebrei, cristiani Nestoriani e Novaziani oltre ai pagani; ed in particolar modo legò a se Pietro il Lettore, a cui sedici anni dopo ordinò di uccidere Ipazia, cosa che lui fece al grido di: "Questo dice Agostino d'Ippona!
La donna è immondizia! E anche tu, Ipazia d'Alessandria, sei solo immondizia!". Nel seguente link c'è il racconto in cui sono ricostruite la figura e la fine di Ipazia:
QUI.
Ipazia fu poi rappresentata fra i grandi filosofi nella "Scuola di Atene" di Raffaello Sanzio.
- Fu nel 415, a Barcellona, che Galla Placidia diede alla luce il figlio di
Ataulfo, Teodosio; la scelta di dare al bambino, morto
poco dopo la nascita e seppellito in una chiesa di Barcellona,
il nome del nonno materno e fondatore della dinastia regnante,
indicava la volontà dei genitori di inserirlo nella linea di
successione imperiale, ma forse fu questo gesto ad aumentare lo
scontento dei «nazionalisti» visigoti, i quali ordirono una
congiura che, nell'estate del 415, causò la morte di
Ataulfo.
Alla morte del re dei Visigoti Ataulfo (nel 415), si scatena una cruenta lotta al potere tra le fazioni che intendevano continuare l'integrazione coi Romani (fra cui il fratello di Ataulfo che, in caso di vittoria della propria fazione, era designato a succedergli) e quelle contrarie che ebbero il sopravvento. Tra queste, per la successione al trono, si distinsero le fazioni di Sigerico (fratello dell'ex generale romano Saro) e quella di Walia. Uscitone vincente Sigerico (tarda estate del 415), mandò a massacrare tutti i figli che il re Ataulfo aveva avuto dal primo matrimonio ed alla sua vedova, la terza moglie, Galla Placidia, inflisse il più umiliante dei trattamenti: fu costretta a percorrere a piedi dodici miglia davanti al suo cavallo. Ma dopo una sola settimana di regno finì trucidato anche lui, sicuramente su istigazione del suo avversario nella lotta per il trono, Walia, che divenne il nuovo re dei Visigoti.
Secondo altre fonti invece, Ataulfo fu assassinato a Barcellona da un goto al suo servizio di nome Dubio, secondo il Fragmenta historicorum graecorum, Volume 4, mentre il Chronicon Albeldense riporta che fu ucciso dai suoi seguaci (a suis interfectus est in Barcinona) e ancora Giordane racconta che morì per una spada che lo sventrò (occubuit gladio ilia perforata Euervulfi); infine il vescovo Idazio riporta che morì, nel 416, per una questione interna ai Goti (per quemdam Gothum apud Barcinonam inter familiars fabulas). Ataulfo aveva commesso l'errore di prendere a servizio Sigerico, fratello di Saro, intenzionato a vendicarne la morte. Sigerico portò a termine il suo compito di lì a poco, facendo pugnalare a morte Ataulfo nelle scuderie del suo palazzo a Barcellona. Il re morì in seguito alle ferite riportate pochi giorni dopo.
Il successore
di Ataulfo, Sigerico, umiliò Galla facendola marciare
a piedi per venti chilometri davanti al suo cavallo, ma fu ucciso
sette giorni dopo essere salito al trono: gli successe Vallia,
che si dimostrò più moderato e restituì la dignità
regale a Galla, cercando di negoziare con i Romani.
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