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giovedì 14 marzo 2019

Storia dell'Europa n.55: dal 1.189 al 1.204 e.v. (d.C.)

Salah ad Din Jusuf ibn Ajub,
il Saladino.
Nel 1.189 - Inizia la Terza Crociata (1.189 - 1.192), detta anche la "crociata dei Re", un tentativo, da parte di vari sovrani europei, di strappare Gerusalemme e quanto perduto della Terrasanta al Saladino. Saladino, in arabo Ṣalāḥ al-Dīn al-Ayyūbi e in turco Selahaddin Eyyubi (Tikrit, 1.137/1.138 - Damasco, 3 / 4 marzo 1.193), è stato un Sultano d'Egitto e Siria e Hijaz, dal 1.174 alla sua morte, col Iaqab (titolo onorifico) al-Malik al-Nāṣir ("il sovrano vittorioso"). Ha fondato la dinastia degli Ayyubidi ed è annoverato tra i più grandi strateghi di tutti i tempi. Musulmano sunnita di origine curda, Saladino ha rappresentato l'opposizione musulmana alle crociate europee nel Levante. Al culmine del suo potere, il suo sultanato incluse Egitto, Siria, Mesopotamia, Hijaz, Yemen e altre parti del Nordafrica. Gli antefatti dalla fine della seconda crociata: Norandino si era assicurato il controllo di Damasco e aveva unificato la Siria. Nur ed-Din, Nur ad-Din o Nureddin ma certo ancor più noto nelle cronache latine col nome di Norandino (Nūr al-Dīn Zangī in arabo; 11 febbraio 1.118 - Damasco, 15 maggio 1.174), è stato un condottiero turco appartenne alla dinastia zengide che governò la Siria dal 1.146 al 1.174. Desideroso di espandere i propri territori, Norandino aveva esteso le sue mire all'Egitto, dominato dalla dinastia dei Fatimidi. Nel 1.163 il curdo Shirkuh, uno dei generali più fedeli a Norandino, diede inizio ad una campagna militare lungo il Nilo. Al seguito del generale vi era anche il giovane nipote, Saladino. Minacciato dalle truppe di Shīrkūh, accampate alle porte del Cairo, il visir fatimide Shawar chiamò il re di Gerusalemme Amalrico I in suo soccorso. Amalrico inviò dunque un esercito in Egitto e sfidò Shīrkūh a Bilbeys nel 1.164.
Stemma del Regno
cristiano di
Gerusalemme.
Nel tentativo di distogliere l'attenzione dei crociati dall'Egitto, Norandino attaccò il Principato di Antiochia, massacrando molti soldati cristiani e catturando numerosi condottieri crociati, fra cui il principe di Antiochia Rinaldo di Chatillon. Norandino mandò poi gli scalpi dei cristiani uccisi a Shirkuh in Egitto affinché li mostrasse ai soldati di Amalrico. Tali eventi spinsero sia Amalrico che Shirkuh a condurre i loro eserciti fuori dall'Egitto. Nel 1.167, Norandino mandò nuovamente Shirkuh a conquistare l'Egitto. Ancora una volta, Shawar chiamò Amalrico in suo soccorso. Le forze cristiane ed egiziane riuscirono a fermare Shīrkūh, costringendolo a ritirarsi verso Alessandria. Amalrico decise in seguito di rompere l'alleanza con Shawar e di scagliarsi a sua volta contro l'Egitto, ponendo Bilbeys sotto assedio. Fu così che Shawar si rivolse al suo vecchio nemico Norandino per difendersi dal tradimento di Amalrico. Non disponendo di forze sufficienti per tenere a lungo Il Cairo sotto assedio, Amalrico decise infine di ritirarsi. Nel frattempo, la nuova alleanza aveva permesso a Norandino di estendere il proprio controllo a tutto il Nord della cosiddetta Mezzaluna Fertile e a porre una pesante ipoteca sull'Egitto. Shawar venne condannato a morte per la sua alleanza con i cristiani, mentre Shīrkūh gli succedette in qualità di visir dell'Egitto. Nel 1.169 Shīrkūh morì dopo solo alcune settimane di governo e a succedergli fu il nipote Saladino. Norandino morì nel 1.174, lasciando il suo impero al figlio undicenne al-Salih Isma'il e dopo alterne vicende l'unico uomo che si dimostrò in grado di condurre il jihad contro i Crociati fu Saladino, che controllava l'Egitto e gran parte della Siria, dando inizio alla dinastia degli Ayyubidi (dal nome del padre, Ayyub). Anche Amalrico morì nel 1.174, lasciando il trono di Gerusalemme al figlio tredicenne Baldovino IV, il quale concluse un accordo con Saladino per consentire il libero scambio commerciale tra i territori dei musulmani e quelli dei cristiani. Baldovino IV di Gerusalemme, detto il re lebbroso (Gerusalemme, 1.161 - Gerusalemme, 16 marzo 1.185), è stato re di Gerusalemme dal 1.174 alla morte. Figlio di Amalrico I di Gerusalemme e Agnese di Courtenay, Baldovino trascorse la giovinezza alla corte del padre, a Gerusalemme, ed ebbe pochi contatti con la madre, titolare della Contea di Giaffa e Ascalona e più tardi Signora di Sidone. La coppia era stata costretta ad annullare il matrimonio nel 1.164 a causa di un vizio di consanguineità sollevato dalla Chiesa e avallato dai nobili ostili ad Agnese. Amalrico ottenne comunque il riconoscimento della legittimità dei figli nati da quell'unione (Baldovino e la sorella maggiore Sibilla) che furono dichiarati suoi eredi diretti. L'educazione di Baldovino IV fu affidata a Guglielmo di Tiro, che poi divenne anche Arcivescovo di Tiro e cancelliere del Regno. Fu proprio Guglielmo a notare per primo, durante l'infanzia di Baldovino, che il giovane principe non sentiva dolore quando gli si pizzicava il braccio destro. In un primo tempo pensò ad un'accentuata capacità di resistenza al dolore, poi condusse alcuni esami e scoprì che il braccio e la mano destra erano in parte paralizzati. Solo nell'età della pubertà fu possibile effettuare la diagnosi di lebbra, e in quegli anni il decorso della malattia subì un'impressionante accelerazione, degenerando nella forma lepromatosa, la più devastante. Nel 1.176, il principe di Antiochia Rinaldo di Châtillon, liberato dalla sua prigionia, cominciò ad assaltare le carovane che transitavano nella regione della Buqā'ya e, in particolare, una di pellegrini che si recavano a Mecca per il hajj. Rinaldo estese la sua attività corsara fino al Mar Morto, con le sue galee che rendevano estremamente rischiosa la navigazione ai musulmani che si recavano alla Città Santa dell'Islam. Le violenze perpetrate contro gli inermi pellegrini suscitò un vivo odio in tutto il mondo musulmano nei confronti di Rinaldo. Baldovino IV morì nel 1.185 e il trono passò a Baldovino V che al tempo aveva solo cinque anni: la reggenza fu dunque tenuta da Raimondo III di Tripoli, il bisnipote di Raimondo IV di Tolosa (Raimondo di Saint-Gilles della prima crociata) che succedette a suo padre Raimondo II di Tripoli dopo che costui era stato ucciso dalla setta dei al-Hašīšiyyūn nel 1.152, quando Raimondo aveva solo dodici anni. Sua madre, la principessa Hodierna di Tripoli, figlia del re di Gerusalemme Baldovino II, governò come reggente fino a quando Raimondo non compì quindici anni. In seguito venne anche conosciuto con il nome di Raimondo il Giovane per distinguerlo da suo padre. Nel 1.186 Baldovino V morì e la Principessa Sibilla di Gerusalemme (sorella di Baldovino IV e madre di Baldovino V) incoronò sé stessa regina e nominò re il suo nuovo marito Guido di Lusignano. Fu proprio in questo periodo che Rinaldo diede l'assalto ad un'altra ricca carovana, facendo prigionieri i suoi componenti. Saladino intimò quindi che i prigionieri venissero liberati e che il carico fosse restituito. Il nuovo re Guido chiese a Rinaldo di rilasciare i prigionieri, ma la richiesta del sovrano rimase inascoltata. Fu proprio il rifiuto di Rinaldo di Châtillon a dare al Saladino la possibilità di attaccare la città di Tiberiade nel 1.187. Il re Guido decise quindi di marciare con il suo esercito fino ai Corni di Hattīn, nei pressi della città di Tiberiade. L'esercito crociato, vinto dalla sete e demoralizzato, venne massacrato nella battaglia tenutasi nei pressi della città. Guido e Rinaldo, fatti prigionieri, vennero condotti nella tenda del Saladino, dove a Guido venne offerto un calice contenente acqua o, secondo altre fonti, un sorbetto fatto con le nevi del monte Hermon. Ciò stava a significare che Guido era sotto la protezione del Saladino ma Rinaldo, sfinito dalla sete, afferrò impulsivamente il calice di Guido e bevve. Saladino reagì istantaneamente mozzando con la sua stessa spada la testa di Rinaldo, affermando subito dopo di aver in tal modo assolto a un solenne voto da lui fatto subito dopo l'assalto operato dal principe, in un periodo tra l'altro di tregua concordata, ai danni di una carovana di pii musulmani diretti ai riti del pellegrinaggio (hajj) alla Mecca. Guido, invece, fu inviato a Damasco e fu poi riscattato dal suo popolo. Fu così che, entro la fine dell'anno, Saladino prese San Giovanni d'Acri e Gerusalemme. Secondo la tradizione, papa Urbano III morì il 20 ottobre 1.187 alla notizia di questi avvenimenti, dopo però aver scritto l'enciclica Audita tremendi. Il nuovo papa, Gregorio VIII, disse che la caduta di Gerusalemme era da considerare come il castigo di Dio per i peccati dei cristiani in Europa. Si decise dunque di preparare una nuova crociata. A Gisors il 22 gennaio 1.188 il re di Francia Filippo Augusto e il re Enrico II di Inghilterra con Filippo di Fiandra decidono di partire per la crociata; per tale motivo impongono nei loro territori una nuova tassa, detta la decima del Saladino per finanziarla. Anche l'ormai vecchio imperatore Federico Barbarossa decise di rispondere immediatamente all'appello del papa. Egli ricevette la croce nella cattedrale di Magonza il 27 marzo 1.188 e fu il primo a partire nel maggio 1.189 alla volta della Terrasanta, accompagnato da Federico duca di Svevia, suo figlio secondogenito, e da molti vassalli. Federico era riuscito a radunare un esercito così numeroso (valutato in 15.000 uomini, di cui 3.000 cavalieri) che non gli fu possibile trasportarlo via mare, vedendosi perciò costretto ad attraversare l'Asia Minore, passando per l'Ungheria e i Balcani. L'esercito tedesco attraversò il territorio ungherese senza particolari problemi ed il 23 giugno 1.189 entrò nel territorio bizantino, dopo aver superato il Danubio nei pressi di Belgrado. La regione era solo nominalmente sotto il controllo bizantino, ma nella realtà bande di banditi serbi e bulgari dettavano la loro legge. Quando alcune bande attaccarono alcune pattuglie tedesche, che si erano staccate per cercare rifornimenti, i capi tedeschi se la presero direttamente con i bizantini per la mancata protezione. L'imperatore bizantino Isacco II Angelo stipulò un'alleanza segreta col Saladino, in base alla quale egli avrebbe dovuto impedire il passaggio del Barbarossa, ottenendo in cambio la sicurezza del suo impero. A quel punto Federico pensò addirittura di attaccare direttamente Costantinopoli e chiese aiuto alle repubbliche marinare italiane, ma alla fine l'imperatore Isacco cedette e permise la traversata dei Dardanelli. Il 1º marzo 1.190 i crociati lasciarono Adrianopoli, dopo essersi fermati per ben quattordici settimane, e raggiunsero Gallipoli il 22 dello stesso mese, questa volta senza particolari incidenti. Federico pretese ed ottenne che l'esercito fosse fatto passare con due sole traversate, temendo brutte sorprese da parte bizantina se in Asia si fossero trovati piccoli gruppi isolati. Inoltratosi in Anatolia, il Barbarossa proseguì per Filadelfia (l'attuale città turca di Alaşehir), al tempo la principale città dell'Asia sotto controllo bizantino. Il governatore consigliò i tedeschi di accamparsi lontano dalle mura, visto l'ostilità degli abitanti nei loro confronti: gli abitanti, visti i precedenti, si rifiutarono di commerciare con i crociati ed addirittura catturarono alcune pattuglie isolate, che erano in cerca di rifornimenti. Il giorno seguente Federico inviò in città un ambasciatore per chiedere conto del comportamento; il governatore incolpò pochi sconsiderati e chiese misericordia per una città che si trovava sul confine tra cristianità ed Islam, rendendo liberi i prigionieri. Senza dubbio i bizantini erano timorosi della reazione dell'imperatore germanico, anche perché in contemporanea alcuni reparti tedeschi stavano già assaltando le mura cittadine. Questa volta Federico fu comprensivo ed accettò le scuse, anche perché desideroso di entrare quanto prima in territorio nemico. Il 18 maggio 1.190 l'esercito tedesco sbaragliò i turchi presso Konya (Battaglia di Iconium). Tuttavia, il 10 giugno 1.190 Federico morì annegato, cadendo da cavallo mentre attraversava il fiume Saleph. Suo figlio Federico VI di Svevia condusse l'esercito verso il Principato di Antiochia, dove il corpo del Barbarossa fu sepolto nella chiesa di San Pietro. Fu proprio ad Antiochia che gran parte di quel che rimaneva dell'esercito tedesco si disperse. Molti rinunciarono e tornarono in patria, altri furono colpiti da varie malattie, altri ancora, sotto il comando di Federico di Slavonia, arrivarono ad Acri e si unirono alle avanguardie francesi di Enrico di Champagne e normanne di Guglielmo di Sicilia. Tutte queste forze si unirono poi a quelle di Guido di Lusignano, che già da alcuni mesi stava assediando la città di Acri.
Riccardo I Cuor di
Leone.
Il re Enrico II di Inghilterra morì il 6 luglio 1.189, da poco sconfitto in battaglia da suo figlio Riccardo I e da Filippo III. Riccardo ereditò la corona e subito cominciò a raccogliere fondi per finanziare la crociata. Riccardo I d'Inghilterra, noto anche con il nome di Riccardo Cuor di Leone (Richard Cœur de Lion in francese e Richard the Lionheart in inglese, Oxford, 8 settembre 1.157 - Châlus, 6 aprile 1.199), fu re d'Inghilterra, duca di Normandia, conte del Maine, d'Angiò e di Turenna, duca d'Aquitania e Guascogna e conte di Poitiers dal 1.189 fino alla sua morte. Era il terzo dei cinque figli maschi del re d'Inghilterra, duca di Normandia, conte del Maine, d'Angiò e di Turenna, Enrico II d'Inghilterra, e della duchessa d'Aquitania e Guascogna e contessa di Poitiers, Eleonora d'Aquitania. Venne considerato un eroe ai suoi tempi e come tale fu descritto successivamente in molte opere letterarie. Riccardo era, per parte di madre, il fratellastro minore di Maria di Champagne e di Alice di Francia. Era anche il fratello minore di Guglielmo, Conte di Poitiers, di Enrico e di Matilda d'Inghilterra, e il fratello maggiore di Goffredo II, Duca di Bretagna, di Leonora d'Aquitania, di Giovanna d'Inghilterra e di Giovanni d'Inghilterra. Era il figlio favorito della madre Eleonora, Duchessa d'Aquitania, e nonostante fosse nato nel palazzo reale di Beaumont ad Oxford, considerava la Francia come sua patria ed egli in fondo si sentì sempre un francese. Quando i suoi genitori si separarono, rimase con la madre e venne investito del ducato di Aquitania nel 1.168 e della contea di Poitiers nel 1.172. In realtà era un premio di consolazione per il fatto che suo fratello più anziano, il secondogenito, Enrico il Giovane, era stato designato dal padre come successore alla corona. Nel luglio del 1.190 riuscì a salpare da Marsiglia alla volta della Sicilia. A governare in Sicilia era Tancredi, che era succeduto al defunto Guglielmo II l'anno precedente. Tancredi fece prigioniera Giovanna d'Inghilterra, moglie di Guglielmo II e sorella di Riccardo. Tuttavia, Riccardo prese la città di Messina il 4 ottobre 1.190, ottenendo la liberazione di Giovanna. Poco dopo aver lasciato la Sicilia, la flotta di Riccardo fu messa a dura prova da una violenta tempesta: molte navi andarono perdute, mentre quella che trasportava Giovanna, sorella di Riccardo e vedova di Guglielmo II di Sicilia, e Berengaria di Navarra, promessa sposa di re Riccardo e che trasportava gran parte del tesoro accumulato per finanziare la crociata, fu costretta a trovare un approdo di fortuna nei pressi di Limassol, sull'isola di Cipro. L'isola nominalmente apparteneva all'impero bizantino, ma da cinque anni si era insediato Isacco Ducas Comneno come usurpatore; si era staccato da Costantinopoli e si atteggiava da sovrano indipendente. Isacco fece arrestare tutti i naufraghi, confiscò tutte le merci e rifiutò le richieste della regina Giovanna, che aveva richiesto di poter far sbarcare qualche uomo per approvvigionamento. Isacco, al contrario, intimò alle due nobildonne di sbarcare e di consegnarsi. Si scoprì poi che l'anti-imperatore Isacco Comneno di Cipro era riuscito ad impadronirsi del tesoro: Riccardo entrò nella città cipriota di Limassol il 6 maggio 1.191. Isacco abbandonò la città e si rifugiò nella fortezza di Famagosta, da lì si dimostrò pronto a trattare con Riccardo e promise di restituire a Riccardo le sue ricchezze e di inviare 500 dei suoi soldati in Terrasanta. Una volta tornato nella sua fortezza di Famagosta, Isacco ruppe il patto e intimò a Riccardo di lasciar l'isola. Il tradimento di Isacco scatenò la reazione di Riccardo, che nel frattempo era stato raggiunto da altri navi crociate e che in pochi giorni conquistò l'intera isola; l'operazione fu compiuta senza grandi problemi entro la fine dello stesso mese di maggio. Isacco fu catturato con la moglie e la figlia e venne portato in catene dinanzi a Riccardo Cuor di Leone, che lo portò con sé come prigioniero quando il 5 giugno salpò per la Terrasanta. Intanto, liberato dal Saladino, Guido di Lusignano tentò di assumere il controllo delle forze cristiane presso Tiro, dove però Corrado del Monferrato riuscì a conservare il suo dominio, anche grazie alla sua abilità mostrata nel difendere la città dagli assalti musulmani. Guido decise dunque di rivolgere la sua attenzione al fiorente porto di Acri, ora nelle mani del Saladino e pose dunque sotto assedio la città, ricevendo anche l'aiuto di Filippo, appena giunto dalla Francia. Le forze dei due, tuttavia, non bastavano a sconfiggere il Saladino. Riccardo raggiunse Acri l'8 giugno 1.191 e dedicò subito molta cura alla costruzione delle armi d'assedio. La città fu poi presa il 12 luglio. Tuttavia, la spartizione del bottino provocò contrasti tra Riccardo, Filippo e Leopoldo V d'Austria (quest'ultimo comandava quel che restava dell'esercito del Barbarossa). Mentre Leopoldo sosteneva che il contributo dato dai tedeschi all'assedio fosse di pari importanza a quello di inglesi e francesi, Riccardo tendeva invece a ridimensionare l'apporto fornito dai tedeschi e per giunta, Riccardo e Filippo si trovarono in disaccordo anche su chi dovesse essere l'erede al trono di Gerusalemme. Mentre Riccardo appoggiava Guido, Filippo sosteneva la causa di Corrado. Si decise infine che Guido avrebbe continuato a regnare ma che, dopo la sua morte, la corona sarebbe passata a Corrado. A causa dei contrasti con Riccardo, Filippo e Leopoldo lasciarono la Terrasanta in agosto. Il 20 agosto, quando però fu chiaro che il Saladino non avrebbe rispettato i termini del Trattato di Acri, Riccardo fece sterminare più di 3.000 prigionieri musulmani fuori dalle mura di Acri, in modo che il macabro spettacolo fosse visibile anche dall'accampamento del Saladino. Dopo la presa di Acri, re Riccardo decise di marciare verso la città di Giaffa, dalla quale avrebbe poi puntato verso Gerusalemme. Il 7 settembre 1.191 presso la località di Arsuf (30 miglia a nord di Giaffa), il Saladino attaccò Riccardo. Il Saladino tentò di attirare le forze di Riccardo per poi annientarle facilmente: tuttavia, Riccardo mantenne intatto il suo schieramento fino a quando gli Ospitalieri e i Templari piombarono rispettivamente sul fianco destro e su quello sinistro dell'esercito del Saladino: Riccardo vinse così la battaglia e distrusse il mito dell'invincibilità del condottiero musulmano. Grazie alla vittoria nella battaglia di Arsuf, Riccardo conquistò Giaffa e vi stabilì il suo quartier generale. Si offrì poi di negoziare col Saladino, il quale inviò il fratello Safedino. Le trattative, tuttavia, fallirono e Riccardo marciò su Ascalona e chiamò Corrado in suo aiuto: tuttavia Corrado, ancora adirato per l'alleanza del re inglese con Guido, rifiutò il suo aiuto. Corrado fu poi assassinato a Tiro, probabilmente per volere dello stesso Riccardo. Re Guido divenne sovrano di Cipro, mentre Enrico II di Champagne divenne il nuovo re di Gerusalemme. Nel luglio del 1.192, il Saladino, alla testa di migliaia di uomini, prese Giaffa. La città venne poi riconquistata il 31 luglio da Riccardo, il quale inflisse una nuova sconfitta al Saladino il 5 agosto. Le notizie dal suo regno, dove suo fratello Giovanni si era alleato con il re di Francia per spodestarlo, lo consigliarono ad intavolare trattative con Saladino per porre fine alla guerra. Riccardo pensò addirittura di dare in sposa sua sorella Giovanna al fratello del Saladino, ma Giovanna si oppose ferocemente. Il 21 settembre 1.192, Riccardo e il Saladino siglarono una tregua di 3 anni, 3 mesi e 3 giorni con la quale si riconosceva il dominio dei franchi sulla zona costiera tra Tiro e GiaffaGerusalemme sarebbe rimasta sotto il controllo musulmano, permettendo però ai pellegrini cristiani disarmati di visitare la città. Molti crociati colsero l'occasione per visitare subito i luoghi sacri, ma non Riccardo, a testimonianza del suo parziale fallimento. Fu così che Riccardo lasciò la Terrasanta il 9 ottobre, anche se la sua intenzione era quella di organizzare una nuova crociata quanto prima. Sulla strada di ritorno verso l'Inghilterra Riccardo venne catturato dal Duca Leopoldo d'Austria, il cui orgoglio era stato ferito quando Riccardo aveva strappato il suo vessillo dalle mura di San Giovanni d'Acri. Fu ceduto all'imperatore Enrico VI e venne poi rilasciato, dopo 15 mesi, dietro un riscatto di 150.000 marchi. Il re inglese raggiunse la patria nel 1194 dove ricondusse all'obbedienza suo fratello Giovanni d'Inghilterra. Cinque anni più tardi, nel 1.199, si recò in Francia per difendere i suoi territori in Aquitania e nel Poitiers dalla minaccia di Filippo Augusto. Durante l'assedio del castello di Châlus trovò la morte colpito dalla freccia di una balestra (6 aprile 1.199). Saladino morì poco dopo aver firmato il trattato di pace con Riccardo, stroncato da un attacco di febbre a Damasco, mentre si stava recando in pellegrinaggio a La Mecca. Il sostanziale fallimento della Terza Crociata spinse a indire una Quarta Crociata sei anni più tardi.

Venezia non si era prodigata a sostenere la cristianità latina nelle prime crociate: intervenne per favorire la presa di Gerusalemme quando la Prima Crociata era già avviata e non partecipò alla Seconda Crociata, ma invierà una flotta al seguito della Terza Crociata del 1189, che procurerà notevoli vantaggi commerciali sia a lei, sia alle rivali Pisa Genova.

Federico I Hohenstaufen
detto "Barbarossa".
Nel 1.190 -  Muore Federico I Hohenstaufen detto "Barbarossa" (1.122 - Saleph, 10 giugno 1.190). Sovrano tedesco e imperatore del Sacro Romano Impero, salì al trono di Germania il 4 marzo 1.152 succedendo allo zio Corrado III, e fu incoronato Imperatore il 18 giugno 1.155. Non sono noti con certezza né il luogo né la data di nascita di Federico III di Hohenstaufen, è tuttavia quasi certo che sia nato nel castello di Waiblingen, nella prima metà degli anni '20 del XII secolo, le ipotesi spaziano tra il 1.118 e il 1.125. Il padre, che portava il suo stesso nome, era Federico II di Svevia duca di Svevia e apparteneva al partito detto poi in Italia dei ghibellini, proprio dal nome del castello di Freya o Staufer-Waiblingen. La madre era Giuditta di Baviera, appartenente alla dinastia rivale dei Welfen, dal cui nome derivò quello del partito antagonista: quello dei guelfi. Federico rappresentava agli occhi dei principali elettori dell'Impero una scelta accettabile per la corona, poiché appunto per linea materna aveva legami anche con la casata dei Welfen; inoltre dopo la crisi di potere seguita alla morte di Enrico V, incapace di assicurare in modo definitivo alla propria dinastia la successione al trono di Germania, per la prima volta, alla morte di Corrado III si ebbe una minore conflittualità per il regno. La contesa che si creò inevitabilmente, come sempre era avvenuto per l'elezione del re di Germania, fra le due principali casate del regno si risolse il 4 marzo 1.152 a Francoforte grazie ad un compromesso: Enrico il Leone, dei Welfen, uno dei principali pretendenti al trono, rinunciò ad esso in cambio della sovranità sulla Sassonia, oltre che sulla Baviera, e re di Germania fu eletto Federico III di Svevia che prese il nome di re Federico I. Fu incoronato ad Aquisgrana il 9 marzo 1.152 all'età di circa trentanni. Da subito Federico I mostrò di voler rafforzare l'autorità imperiale, per cui indisse una dieta a Costanza a cui parteciparono anche gli ambasciatori di papa Anastasio IV (1.153-54); ad essi Federico espresse la convinzione che potere politico e spirituale potessero collaborare su un piano di parità, per cui ribadì i suoi diritti in materia di elezione dei vescovi tedeschi ma allo stesso tempo assicurò di voler rispettare prestigio e potenza della Chiesa, in cambio della promessa di essere incoronato imperatore. Ma a Costanza c'erano anche ambasciatori di Lodi, Pavia e Como, venuti ad implorare aiuto contro la prepotenza di Milano, che dopo aver distrutto Lodi ne impediva la riedificazione, mentre delle altre limitava fortemente lo sviluppo. Federico ne approfittò per intervenire nella politica italiana: egli seguiva un ideale di impero universale, e il controllo sia sui Comuni a nord sia sul Regno di Sicilia a sud era essenziale a questo scopo. L'Italia era per l'imperatore tedesco il contesto ideale per ottenere alcune prerogative essenziali per realizzare la costruzione dell'impero universale: la supremazia nella contesa col papato per la potestà civile universale, il legame con la tradizione dell'impero romano, cui Federico si ispirava, e la sovranità su Comuni e feudatari. A tal scopo dispose un saldo controllo su tutti i territori della Corona, utilizzando funzionari di umili origini e provata fedeltà, i ministeriales, e si pose l'obiettivo di recuperare gli iura regalia, le regalie, ossia gli inalienabili diritti del potere regio (amministrazione della giustizia, difesa del territorio, riscossione delle imposte), poiché il potere comunale in Italia si stava arrogando poteri propri del sovrano sia all'interno sia all'esterno del territorio urbano, come dimostrava l'esempio di Milano, che aveva apertamente aggredito altri sudditi dell'imperatore. Dopo la dieta di Costanza le condizioni per scendere in Italia c'erano tutte: lo chiedevano le famiglie feudali per limitare il potere comunale, lo chiedevano i piccoli Comuni alleatisi contro Milano, lo chiedeva il papa stesso, Adriano IV (salito al soglio papale dopo il breve pontificato di Anastasio IV), che auspicava l'intervento di Federico contro il Comune di Roma, in cui a partire dal 1.143 si era formato un regime capeggiato da Arnaldo da Brescia, un riformatore patarino contestatore del potere temporale dei papi che aveva costretto papa Adriano a ritirarsi ad Orvieto. Nell'ottobre del 1.154 Federico scese in Italia alla testa di un piccolo esercito e fu incoronato re a Pavia, dopodiché convocò una dieta a Roncaglia, Piacenza, in cui revocò tutte le regalie usurpate dai Comuni sin dal tempo di Enrico IV. Fatto ciò passò all'azione di forza: distrusse alcune località minori come Galliate e alcuni Comuni maggiori come Asti e Chieri (consegnate poi al marchese di Monferrato, suo fedele vassallo) e, nell'aprile del 1.155, Tortona, alleata di Milano (quest'ultima venne messa al bando e privata di tutti i suoi privilegi). Quindi si mise in marcia verso Roma per cingere la corona di imperatore, incontrò papa Adriano a Viterbo e si accordò con lui per far catturare e giustiziare Arnaldo da Brescia, abbattendo il regime comunale romano. Successivamente rifiutò la corona imperiale offertagli dai cittadini romani per ricevere quella consegnatagli dal papa (giugno 1.155), ma quest'ultimo sgarbo, oltre alla sottomissione che la città aveva dovuto subire, scatenò una serie di violenti tumulti contro l'esercito tedesco, per cui Federico tornò indietro verso l'Italia settentrionale e per ritorsione saccheggiò Spoleto. Papa Adriano, nel frattempo, per garantirsi comunque una protezione, venne a patti con i Normanni, la cui potenza un tempo era stata in realtà giudicata pericolosa dal pontefice, concedendo al re di Sicilia Guglielmo I il Malo l'investitura di tutto il regno, comprese Capua e Napoli. Questo accordo però veniva meno ai patti tra papa e imperatore, e d'altra parte non mancavano altri motivi di contrasto tra i due, a causa dell'eccessiva ingerenza di Federico nell'elezione dei vescovi in Germania. Un conflitto vero e proprio scoppiò nella dieta di Besançon (1.157), in occasione della quale si scontrarono le due opposte concezioni del cesaropapismo imperiale e della teocrazia papale: la prima concezione vede il potere temporale dell'imperatore dotato di un'autorità e una libertà decisionale assolutamente superiori in ogni campo a qualsiasi altra autorità, anche quella sacra, mentre la seconda è la concezione del potere riassunta nel Dictatus Papae di Gregorio VII che vede l'indiscussa supremazia del potere spirituale del papa su quello dell'imperatore, anche in materia di concessione di autorità politiche, per cui il papa può perfino svincolare i sudditi dalla sovranità imperiale. L'anno dopo (giugno 1.158), alla luce di questi contrasti di natura ideologica col pontefice e dato che Milano aveva ripreso ad agire con una certa autonomia, provvedendo, per esempio, alla ricostruzione di Tortona, Federico decise per una seconda discesa in Italia, stavolta alla testa di truppe più ingenti. Fatta ricostruire Lodi, assediò Milano, obbligandola a sottoporre all'approvazione imperiale la nomina dei suoi consoli. A novembre dello stesso anno venne convocata la seconda, e più importante, dieta di Roncaglia, cui parteciparono importanti esperti di diritto dell'Università di Bologna che fornirono a Federico, su sua esplicita richiesta, l'elenco dei diritti regi, poi inserito nella Constitutio de regalibus: elezione di duchi, conti e marchesi, nomina dei consoli comunali e dei magistrati cittadini, riscossione delle tasse, conio delle monete, imposizione di lavori di carattere pubblico. Tutti questi diritti Federico era anche disposto a lasciarli ai Comuni, in cambio però di un tributo annuo e del riconoscimento che l'impero fosse la fonte di ogni potere. In base a quest'ultimo principio Federico emanò anche la Constitutio de pacis con cui proibì le leghe fra città e le guerre private. Per quanto riguarda infine i beni fondiari, rivendicò per quelli pubblici (contee, ducati, ecc.) la dipendenza regia e per quelli allodiali il diritto dell'imperatore di dare o meno il proprio consenso a che un proprietario potesse esercitare diritti signorili: gli allodi diventarono quasi dei feudi a tutti gli effetti. Inviò ovunque propri funzionari che ricevessero l'omaggio vassallatico dai signori e controllassero in modo diretto, in qualità di podestà, i Comuni più riottosi. Intanto moriva Adriano IV e al suo posto la maggioranza dei cardinali eleggeva papa Alessandro III, che si accostava subito dalla parte dei Comuni, mentre la minoranza votava un cardinale parente di Federico, col nome di Vittore IV. Federico pretese di decidere quale dei due fosse il legittimo pontefice e convocò un concilio a Pavia, ma Alessandro rifiutò di riconoscere la competenza di Federico in materia e, poiché il concilio riconobbe papa Vittore IV, scomunicò l'imperatore, dopodiché si rifugiò in Francia. Milano intanto rifiutava ancora di arrendersi, attaccando e sconfiggendo a più riprese le truppe imperiali. Stavolta però la reazione di Federico fu definitiva: il 10 marzo 1.162 Milano fu costretta alla resa e subito dopo iniziò la sua distruzione. Federico sembrava all'apogeo della sua potenza e tornò in Germania, per ridiscendere tuttavia solo l'anno dopo, nel 1.163, perché già incalzava la riscossa italiana; intanto moriva l'antipapa Vittore IV, cui ne sarebbero seguiti altri due, Pasquale III e Callisto III, mentre papa Alessandro III, ricevuto il riconoscimento della sua autorità dagli altri sovrani d'Europa, poteva tornare a Roma nel 1.165. La terza discesa in Italia di Federico si concluse tuttavia con un nulla di fatto: organizzata una campagna militare contro i Normanni, per la quale doveva avere l'appoggio di Pisa e Genova, Federico dovette desistere a causa di una malattia, e tra l'altro anche Pisa e Genova, impegnate in un'aspra contesa per il controllo della Sardegna, avevano alla fine rinunciato, per cui l'imperatore tornò in patria. Nel frattempo le città della marca veronese (Verona, Treviso, Vicenza e Padova), con l'appoggio di Venezia (che mirava però, più che al riconoscimento del regime comunale, all'ampliamento ulteriore della propria autonomia) fondavano nel 1.164 la Lega veronese, venendo meno alla Constitutio de pacis, mentre anche in Lombardia la città di Cremona, da sempre fedele all'imperatore, gli si rivoltava contro, creando con Crema, Brescia, Bergamo, Mantova e Milano (o meglio i Milanesi, dato che non avevano più una città) la Lega cremonese, grazie al giuramento di Pontida del 7 aprile 1.167. Il primo dicembre dello stesso anno dalla fusione delle due leghe nasceva la Societas Lombardiae, la Lega Lombarda. Ad essa si unirono subito Parma, Piacenza e Lodi, e anche papa Alessandro diede il proprio appoggio, mentre non lo fece il Regno di Sicilia, a causa di un momento di riassestamento dinastico (dopo la morte di Guglielmo il Malo, il successore, Guglielmo II il Buono, non aveva l'età per governare e finì sotto la tutela della madre). Federico reagì prontamente: sceso per la quarta volta in Italia nel 1.166, si impadronì subito di Roma, dove si fece incoronare imperatore per la seconda volta dall'antipapa Pasquale (1 agosto 1.167), mentre Alessandro si rifugiava a Benevento. Poi si volse contro i Normanni, ma una grave epidemia scoppiata nell'esercito lo costrinse a riparare a Pavia, insieme a Como l'unica città rimastagli fedele, dopodiché dovette tornare in Germania, dandosi quasi alla fuga e riuscendovi solo con l'appoggio del marchese di Monferrato. Federico rimase in patria 6 anni, durante i quali rafforzò la propria posizione, ma anche la Lega lombarda nel frattempo diventava sempre più potente, le città e perfino i signori feudali che vi aderivano erano sempre più numerosi e ora il Regno di Sicilia e perfino l'impero bizantino vi partecipavano, mentre Milano risorgeva rapidamente e per neutralizzare la possibilità di intervento da parte di Pavia e del marchese del Monferrato si fondava sul Tanaro una nuova città, chiamata Alessandria in onore del papa (1.168). Nel 1.174 Federico scese per la quinta volta in Italia: subito prese Asti e mosse contro Alessandria un assedio di ben 7 mesi, interrotto solo dal sopraggiungere dell'imponente esercito della Lega. A quel punto Federico fu costretto per la seconda volta a rifugiarsi a Pavia, né ebbero alcun risultato positivo per lui i successivi accordi armistiziali di Montebello dell'aprile di quello stesso anno, che valsero solo a guadagnare tempo in attesa dei rinforzi militari in arrivo dalla Germania, che non furono però numerosi come sperato perché in patria i signori feudali si stavano stancando delle onerose spedizioni militari italiane, che tra l'altro andavano incontro ad alterne vicende, mentre della Germania Federico non sembrava occuparsi troppo. E proprio mentre, aggregatesi le truppe di rinforzo, Federico aveva appena ripreso la marcia verso sud, l'imperatore venne travolto a Legnano, il 29 maggio 1.176, dall'esercito della Lega, incappando in una disastrosa sconfitta, della quale massimi artefici furono, non a caso, i milanesi, che, suddivisi in due compagnie, quella del Carroccio e quella della Morte, impedirono che si convertisse in fuga precipitosa il primo ripiegamento cui la cavalleria tedesca aveva costretto parte dell'esercito lombardo, dopodiché spinsero quest'ultimo al decisivo contrassalto. L'esercito tedesco trovò rifugio, ancora una volta, a Pavia, dopodiché Federico si affrettò a cercare di risolvere la questione con la diplomazia, avviando le trattative di pace direttamente col pontefice, con il quale si giunse ad un accordo: Federico disconobbe l'antipapa e restituì al Comune di Roma le sue regalie e i suoi territori, mentre Alessandro III garantì la propria mediazione con i Comuni (accordi preliminari di Anagni, novembre 1.176), che però la rifiutarono, non gradendo il cambiamento di atteggiamento del pontefice. Si giunse così al nuovo tentativo di pacificazione che si svolse a Venezia nel luglio 1.177, cui parteciparono papa, imperatore, Guglielmo II il Buono e delegati dei Comuni: si confermarono sostanzialmente gli accordi di Anagni ma non si arrivò ad una pace definitiva, bensì ad una tregua lunga col re di Sicilia e ad una triennale coi Comuni. Federico tornò a quel punto in Germania per risolvere definitivamente i contrasti con i suoi feudatari, in modo particolare con Enrico il Leone, reo di non aver sostenuto l'imperatore nel modo adeguato dal punto di vista militare. L'ostinata resistenza di Enrico fu infine vinta (1.180) e nel frattempo anche in Italia la situazione andava migliorando, poiché la Lega si stava sfaldando a causa di contrasti e rivalità interne fra i Comuni. Si giunse così alla "pace definitiva" di Costanza, il 25 giugno 1.183: l'imperatore riconosceva la Lega e faceva alle città che la componevano concessioni riguardanti tutti gli ambiti, amministrativo, politico e giudiziario, regalie comprese; rinunciava inoltre alla nomina dei podestà, riconoscendo i consoli nominati dai cittadini. I Comuni si impegnavano in cambio a pagare un indennizzo una tantum di 15.000 lire e un tributo annuo di 2.000, a corrispondere all'imperatore il fodro (ossia il foraggio per i cavalli, o un'imposta sostitutiva) quando questi fosse sceso in Italia, a concedere all'imperatore la prerogativa di dirimere in prima persona le questioni fra un Comune e l'altro. Si trattava di un compromesso che segnava la rinuncia all'ormai anacronistico concetto di "impero universale" e, dunque, al piano di dominio assoluto di Federico, mentre i Comuni avrebbero mantenuto la loro larga autonomia. Prima di morire, tuttavia, Federico riuscì ad estendere la propria autorità sul regno normanno, dando in matrimonio il figlio Enrico a Costanza d'Altavilla, ultima erede della dinastia normanna. Dopo la pace stipulata con il Papa Alessandro III, Federico si imbarcò per la Terza Crociata (1.189) con Filippo Augusto di Francia e Riccardo I d'Inghilterra (noto anche come Riccardo Cuor di Leone), ma affogò traversando il fiume Saleph in Cilicia nel Sud-Est dell'Anatolia. A Federico successe sul trono reale e imperiale il figlio Enrico VI. Le esatte circostanze della morte di Federico sono sconosciute. È ipotizzabile che l'anziano imperatore sia stato disarcionato da cavallo e lo shock dovuto all'acqua fredda gli abbia causato un arresto cardiaco oppure, forse appesantito dalla sua stessa armatura e fiaccato dall'intensa calura del giugno siriano, Federico I affogò nelle acque che a mala pena arrivavano ai fianchi, secondo quanto riferisce il cronista arabo Ibn al-Athīr nel suo "al-Kāmil fī taʾrīkh" (La perfezione nella storia). Il peso dell'armatura di quel giorno, progettata per essere la più leggera possibile, fu tale comunque da trascinare con sé un uomo in salute in acque poco profonde. La morte di Federico gettò il suo esercito nel caos. Senza comandante, in preda al panico e attaccati da tutti i lati dai turchi, molti tedeschi furono uccisi o disertarono. Solo 5.000 soldati, una piccola frazione delle forze iniziali, arrivarono ad Acri. Il figlio del Barbarossa, Federico V di Svevia, proseguì con i soldati rimasti, con l'obiettivo di dar sepoltura all'imperatore a Gerusalemme, ma gli sforzi per conservare il cadavere, utilizzando l'aceto, fallirono. Quindi le spoglie di Federico furono seppellite nella chiesa di San Pietro in Antiochia di Siria, le ossa nella cattedrale di Tiro e il cuore e gli organi interni a Tarso. L'improvvisa morte di Federico lasciò l'esercito crociato sotto il comando dei rivali Filippo II di Francia e Riccardo I d'Inghilterra che, giunti in Palestina separatamente via mare, lo portarono infine a dissoluzione. Riccardo Cuor di Leone continuò verso Est dove affrontò il Saladino con alterni esiti, ma senza raggiungere il suo obiettivo finale, la conquista di Gerusalemme.

Territori serbi nel IX sec. da: https:
//it.wikipedia.org/wiki/Storia_della
_Serbia#/media/File:Serb_lands
_in_the_9th_century_(en).png
Nel 1.191 - L'imperatore romano-orientale (bizantino) Isacco II Angelo decide di siglare un accordo di pace con il Gran Principe serbo Stefano I Nemanja, riconoscendo l'indipendenza della Serbia e lasciando ai Nemanja il Kosovo, la Metohia, il nord dell'Albania e le città greche della Doclea. Stefan I Nemanja riuscirà inoltre, anche se con difficoltà, a conservare l'indipendenza della Serbia, sia nei confronti dell'Impero latino di Costantinopoli, formatosi dopo la quarta crociata, che dall'Impero bizantino, ricostituito a Nicea, essendo di fatto il fondatore della monarchia serba.

Stefan Nemanja, divenuto poi San
Simeone, da: https://commons.
- Stefano Nemanja (nato nel 1117/1199) è stato Gran Principe Raška, considerato il padre della nazione serba, poiché riunì in un solo stato le diverse entità slave dei Balcani. Figlio di Zavida Vukanović principe di Zahumlje, nacque a Ribnica, una delle più importanti città della Doclea. Zavida regnava sulla terra di Rascia, quando entrò in conflitto coi propri fratelli. Fu costretto a fuggire nella zona costiera della Doclea, il cui popolo era di religione cattolica, per cui Stefano fu battezzato da un sacerdote latino. Passò la sua giovinezza in una casa piuttosto umile, di nuda pietra, vivendo in maniera modesta e cibandosi di alimenti poco raffinati. Era dedito alla caccia, al tiro con l'arco e ai combattimenti con la spada. Quando il principe di Rascia Đorđe fu sconfitto dai Bizantini ed esiliato, Stefano rientrò con la sua famiglia in Rascia. Lì fu battezzato nuovamente con il rito ortodosso, nella capitale Ras. Divenuto adulto, ottenne il titolo di župan (principe) e governò le terre dell'Ibar, della Pusta, di Toplica e Rasina in nome di suo nonno Uroš I, che era vassallo dell'Impero bizantino e del Regno d'Ungheria durante la conquista magiara dei territori serbi. Sposò una nobildonna serba, Anna, da cui ebbe tre figli: Stefano, Vukan e Rastko. Dal 1155 al 1162 in Rascia Uroš II e Desa si alternarono sul trono, finché Desa non prese il potere definitivamente. L'imperatore bizantino Manuele I Comneno stabilì che il Gran principe di Rascia divenisse feudatario di Stefano che regnava sulla regione di Toplica e del fiume Ibar: quando Desa si ribellò alla decisione imperiale, Manuele I lo spodestò e mise al suo posto Tihomir, il fratello di Stefano, ristabilendo il primato della Rascia sugli altri principati serbi. Questa volta fu Nemanja ad infuriarsi perché sperava di assumere egli stesso il titolo di Gran principe. Decise così di non tenere conto del proprio vassallaggio nei confronti del fratello, né di consultare gli altri fratelli, Miroslav (che regnava in Zahumlje) e Stracimir (che governava l'area della Morava Occidentale). Governò i suoi possedimenti in completa autonomia, costruì chiese e monasteri per rinforzare i legami con la gerarchie ortodosse. Questa politica di mani libere indispettì i fratelli che lo invitarono a riunirsi con loro a Ras per discutere della situazione. Appena giunse, però, fu arrestato. Liberatosi dalla prigionia, Stefano riuscì a raggiungere le sue terre, e nel 1166 iniziò una ribellione contro i suoi fratelli. Su richiesta di questi, Manuele I raccolse un'armata di mercenari greci, franchi e turchi per attaccare Nemanja: l'armata fu sconfitta nei pressi della città di Zvečan nel Kosovo. Nel 1170, Stefan Nemanja, grande zupano di Raška, che aveva preso il potere nel 1166 dopo la battaglia di Zvečan (Kosovo), detronizzando ed esiliando i fratelli rivali, riuscì ad estendere il suo dominio sulle tribù serbe e sulla regione di Zeta, proclamandosi Gran principe di Rascia e ponendosi sotto la protezione di San Giorgio. cui attribuiva il merito di averlo liberato dalla prigionia e in onore del quale costruì un grande monastero. Nel 1171 i Veneziani iniziarono a promuovere tra i popoli slavi della costa dell'Adriatico una ribellione nei contro l'Impero bizantino. Nemanja decise di aderire alla rivolta e iniziò attaccando la città di Cattaro; chiese poi aiuto all'Ungheria e al Ducato d'Austria e mandò dispacci nelle diverse città serbe per ribellarsi all'Imperatore, ottenendo alcune vittorie.
Nel 1172 si unì alla grande alleanza antibizantina composta da Venezia, Ungheria e Sacro Romano Impero. Ben presto, però, l'alleanza si sfaldò poiché alcune navi veneziane furono colpite da un focolaio di peste e su altre i marinai si ammutinarono; il re d'Ungheria Stefano III morì e il suo successore Béla III conduceva una politica filobizantina. Così, Nemanja, rimasto solo, fu sconfitto dall'esercito di Manuele I e si consegnò nella città di Niš all'imperatore che lo fece prigioniero e lo condusse a Costantinopoli. Nel 1176 Stefano chiese perdono a Manuele I e gli promise fedeltà. L'imperatore accettò il pentimento e lo lasciò tornare in Rascia restituendogli il titolo di gran župan, a patto che egli stesso riaccogliesse i propri fratelli che aveva esiliato nel 1166. Così Stefano restituì il governo della Zahumlje a Miroslav e della Morava Occidentale a Stracimir, considerandoli nuovamente suoi vassalli. Nel 1180 morì Manuele I Comneno e Stefano non ebbe più motivi per continuare la propria politica di fedeltà all'imperatore, in quanto la promessa di sottomissione fatta nel 1176 era rivolta a Manuele I, non all'Impero bizantino. Così, nel 1183, in alleanza con Béla III che nel frattempo aveva cambiato politica, invase le terre slave in mano bizantina e sbaragliando ogni difesa, scacciarono i Greci dalla valle della Morava, da Braničevo, Niš, Belgrado, Ravno e Sofia. Dopo poco, però, i Bulgari si ritirarono lasciando le armate di Stefano a combattere nell'ovest della Bulgaria. Nel 1186 conquistò definitivamente la Doclea, la terra dei suoi antenati. La Doclea era assoggettata al Gran principato di Rascia, ma la popolazione era composta da serbi, da greci e da slavi di cultura latina. La Chiesa cattolica aveva un forte potere che esercitava attraverso l'arcivescovo di Antivari che in quegli anni era il patriottico Grgur, al quale stava a cuore l'autonomia della Doclea e della stessa entità cattolica. Già nel 1185 Stefano aveva sottoposto Antivari al pagamento di un tributo in segno di sudditanza. Nello stesso 1186, Grgur chiese aiuto al principe di Doclea Mihailo, nipote di Nemanja, che fu però sconfitto dalle armate di Stracimir e Miroslav. Nemanja sostituì Mihailo con suo figlio Vukan e iniziò una politica di omologazione culturale e religiosa di tutta la popolazione per far prevalere la cultura serba e la fede ortodossa, soprattutto a scapito dei sudditi greci. Nel 1187 fu conquistata anche la repubblica di Ragusa: dopo una lunga battaglia, combattuta fin dentro le mura, il 27 settembre fu siglato un accordo che lasciava alla città l'indipendenza, ma la sottoponeva al potere serbo. I mercanti di Ragusa potevano circolare liberamente in tutta la Serbia, gli abitanti potevano utilizzare il legname dei boschi intorno alla città e in cambio, i confini cittadini dovevano rimanere aperti e la repubblica avrebbe dovuto pagare un tributo al Gran principato. Nel 1188 Nemanja invitò l'imperatore Federico Barbarossa di passaggio nei Balcani per combattere la terza crociata in Terra Santa, a stabilirsi presso di lui. Il 27 luglio 1189, Federico giunse a Niš con centomila soldati, e fu accolto da Stefano e Stracimir. L'imperatore concesse in moglie a Toljen, figlio di Miroslav, la figlia del duca di Croazia e Slavonia Berthold Andex, per rafforzare le relazioni tra Serbia e Germania. Nemanja propose al Barbarossa di muovere guerra a Bisanzio invece di proseguire per Gerusalemme, ma la sua richiesta non fu accolta. L'imperatore germanico continuò la sua marcia, ma poco prima di raggiungere Sofia fu bloccato proprio dall'esercito bizantino. Così, quando Barbarossa decise di attaccare Costantinopoli, Nemanja inviò 20.000 uomini in supporto ai Crociati, facendoli precedere da un'ambasceria per ufficializzare, ad Adrianopoli, l'alleanza con la Germania. Mentre i negoziati procedevano, l'esercito serbo conquistò un vasto territorio dell'Impero bizantino, tra cui alcune città bulgare, Skopje e parte del Kosovo. Nel 1190 l'imperatore bizantino Isacco II Angelo preparò l'esercito per lanciare un'offensiva contro Stefano, e nell'autunno del 1191 lo affrontò nella pianura della Morava Meridionale. Le armate di Stefano e del figlio Ratsko che era subentrato allo zio Miroslav nel governo della Zahumlje furono duramente battute. Poiché però, le truppe serbe avevano dimostrato una grande abilità tattica che poteva essere una minaccia per il futuro, l'imperatore romano-orientale (bizantino) Isacco II Angelo decise di siglare un accordo di pace. L'imperatore diede in moglie la principessa Eudocia al figlio di Stefano I Nemanja, Stefano II, che ricevette anche il titolo di Sebastokrator, riservato ai membri della famiglia imperiale e tenne per sé le città bulgare che aveva riconquistato ai Serbi riconoscendo per contro l'indipendenza della Serbia e lasciando ai Nemanja il Kosovo, la Metohia, il nord dell'Albania e le città greche della Doclea. Stefan I Nemanja riuscirà inoltre, anche se con difficoltà, a conservare l'indipendenza della Serbia, sia nei confronti dell'Impero latino di Costantinopoli, formatosi dopo la quarta crociata, che dall'Impero bizantino, ricostituito a Nicea: fu il vero fondatore della monarchia serba con la dinastia dei Nemanjic. Dopo aver abdicato a favore del suo secondo figlio Stefan II detto Prvovenčani (1196-1227) ed avergli ceduto la corona di principe di Raška (al primogenito Vukan II era stato affidato invece il Principato di Zeta), Stefan Nemanja si ritirò inizialmente nel monastero di Studenica ed in seguito in quello di Vatopedi sul monte Athos, dove si trovava già un altro dei suoi figli, Rastko, il figlio minore, più noto con il nome di Sava, che più volte lo aveva invitato a seguirlo sull'Athos. Nel 1197 Nemanja lo raggiunse nel monastero di Vatopedi e insieme, padre e figlio sognarono di creare un centro di spiritualità serba nel cuore del Sacro Monte. Decisero così di ricostruire il decadente monastero di Hilandar che fu donato loro dall'imperatore di Bisanzio. Nel 1199 la ricostruzione fu portata a termine e il 13 febbraio di quell'anno Nemanja morì, proprio nella chiesa di Hilandar, di fronte all'icona della Vergine Odigitria. Fu sepolto nei sotterranei della stessa chiesa. Dopo la sua morte, furono gli attributi numerosi miracoli e guarigioni, tanto che la Chiesa ortodossa serba nel 1200 lo canonizzò. Oggi stesso è venerato come San Simeone e festeggiato il 26 febbraio, 13 febbraio secondo il calendario giuliano in uso nelle chiese orientali. Nel 1207 il suo corpo fu sepolto nel monastero di Studenica dove il figlio Sava lo aveva traslato per farlo riposare nella sua terra natia. Il culto di San Simeone, molto vivo anche oggi tra i Serbi, rappresenta oltre ad un'espressione di religiosità, un forte elemento di identità nazionale.

- Da http://www.unibo.it/it/ateneo/chi-siamo/la-nostra-storia/luniversita-dal-xii-al-xx-secolo: Dopo la morte del Barbarossa, durante la terza crociata, l'Università bolognese sopravvive al crollo del suo protettore. Il Comune cerca di controllare le societates, ma per resistergli gli studenti si riorganizzano secondo la loro origine, per cui si suddividono, fra l'altro, in Citramontani (al di qua delle montagne, italiani ma non bolognesi, lombardi, toscani e romani) e Ultramontani (non italiani, viventi al di là delle Alpi, francesi, spagnoli, provenzali, inglesi, piccardi, borgognoni, normanni, catalani, ungheresi, polacchi, tedeschi, eccetera). Il XIII secolo è un'epoca piena di contrasti. L'università, tra mille difficoltà e inserendosi nelle dispute politiche dell'epoca, combatte per la propria autonomia, mentre il potere politico cerca di usarla come strumento di prestigio. In questi anni si trovano a Bologna più di duemila studenti.

Nel 1.194 - Il 26 dicembre, nella piazza di Jesi (nell'attuale provincia di Ancona), dentro un baldacchino, in modo che si potesse testimoniare che l'evento fosse realmente avvenuto, la quarantenne normanna regina di Sicilia, Costanza d'Altavilla, partorisce Federico II di Svevia, figlio dell'imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico VI del casato degli Hohenstaufen.

Papa Innocenzo III.
Nel 1.198 - Innocenzo III è eletto papa. Forse a proposito di nessun altro papa si è parlato tanto di teocrazia quanto nei riguardi di Innocenzo III (Lotario dei conti di Segni, papa dal 1198 al 1216), ed a lui più che ad altri è stata fatta risalire la responsabilità di atteggiamenti troppo superbi o di condanne ingiustificate delle autorità temporali. All'indomani della propria elezione al soglio pontificio, nella sua prima enciclica dell'agosto 1198, papa Innocenzo III vede la liberazione di Gerusalemme come necessaria e indice così la quarta crociata, che doveva essere diretta contro i musulmani in Terra santa ma che in realtà si risolse nel saccheggio di Costantinopoli da parte dell'esercito crociato, portando alla spartizione di quello che era rimasto dell'Impero Romano d'Oriente (bizantino) e alla costituzione da parte dei crociati dell'Impero Latino. L'obiettivo del papa non fu raggiunto e solo una piccola parte di crociati raggiunse la Terrasanta.

- Sotto il dogado di Enrico Dandolo, la partecipazione di Venezia alla Quarta Crociata del 1201, è fondamentale per la presa di Zara (nel 1202) e nel sacco di Costantinopoli (del 1204), che portò a Venezia anche grandi tesori rapinati a Costantinopoli, causando grandi distruzioni nella città imperiale e l'indebolimento definitivo di Costantinopoli quale presidio della cristianità in Oriente. La crociata pose temporaneamente fine all'impero Bizantino e originò l'Impero Latino d'Oriente, che assumeva le forme istituzionali caratteristiche della feudalità occidentale. I territori dell'Impero bizantino vennero spartiti in quattro tra l'Imperatore Baldovino di Fiandra, il Marchese del Monferrato, i principi e i baroni franchi e la serenissima. Venezia guadagnò molti territori nel Mar Egeo, tra cui le isole di Candia (Creta) ed Eubea, e numerosi porti e piazzeforti nel Peloponneso, oltre ad una posizione di assoluta preminenza nell'effimero Impero Latino creato dai crociati, dove venne riservato al doge veneziano il titolo di Signore di un quarto e mezzo dell'Impero Romano d'Oriente, che comportava anche la facoltà di nominare il Patriarca latino di Costantinopoli e di avere un proprio rappresentante (bailo o podestà) a Costantinopoli. La conquista di Candia, in particolare, impegnerà intensamente la repubblica di Venezia, richiedendo quasi l'intera prima metà del Duecento.

"La presa di Costantinopoli da parte dei crociati" di Palma
il Giovane (1544-1620).
Nel 1.204 - Nell'ambito della Quarta Crociata, voluta da Innocenzo III, i crociati saccheggiano Costantinopoli e commettono innumerevoli stragi di cristiani. La quarta crociata fu indetta da papa Innocenzo III all'indomani della propria elezione al soglio pontificio nel 1.198; doveva essere diretta contro i musulmani in Terra santa, ma in realtà si risolse nel saccheggio di Costantinopoli da parte dell'esercito crociato, portando alla spartizione dell'Impero bizantino e alla costituzione da parte dei crociati dell'Impero Latino. L'impero latino di Costantinopoli (1.204-1.261), detto anche Impero latino d'Oriente, fu il risultato della quarta crociata, che i veneziani dirottarono verso il saccheggio e la presa di Costantinopoli. Per la città e per l'impero romano d'Oriente fu un periodo di grande decadenza, terminato solo con la riscossa dell'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo che riconquistò la capitale. L'impero Latino veniva percepito dagli occidentali come un Stato cattolico successore dell'impero romano d'Oriente. Baldovino IX, conte delle Fiandre, venne incoronato come primo Imperatore il 16 maggio 1.204; al rivale Bonifacio del Monferrato venne affidato il regno di Tessalonica. Nella prima enciclica di Innocenzo III dell'agosto 1.198, la liberazione di Gerusalemme era vista come necessaria, ma questo obiettivo non fu raggiunto e solo una piccola parte di crociati raggiunse la Terrasanta. La crociata inoltre stentò a partire a causa della morte di Riccardo Cuor di Leone e dell'interdetto lanciato dal pontefice sulla Francia, perché il re aveva ripudiato sua moglie Ingeburge di Danimarca. I nobili francesi scelsero come loro capo il conte Teobaldo di Champagne, che però morì nel marzo 1.201; fu Bonifacio I del Monferrato a prendere il suo posto. L'obiettivo era di prendere d'assalto l'Egitto, seguendo il progetto che Riccardo Cuor di Leone aveva prospettato al termine della sua spedizione in Terrasanta, durante la Terza Crociata. I crociati, memori di quanto successo nelle crociate precedenti, decisero di prendere la via del mare per raggiungere la loro meta. Scartate Marsiglia e Genova, non rimaneva che Venezia quale potenza marittima che potesse provvedere tempestivamente ai necessari navigli. Vennero iniziate le trattative con la Serenissima e ai primi di febbraio del 1.201 la delegazione crociata raggiunse Venezia e venne accolta dal doge Enrico Dandolo. Il doge ascoltò la richiesta dei crociati e rispose di dover consultare innanzitutto le diverse assemblee politiche della repubblica. Finalmente, nell'aprile, venne stipulato il contratto di trasporto e rifornimento. I Veneziani, da buoni mercanti, per i loro servizi fecero accettare ai crociati il pagamento dell'esorbitante cifra di 85.000 marche imperiali d'argento. Per quella somma i veneziani avrebbero approntato per la fine di giugno del 1.202 navigli bastanti per il trasporto di 4.500 cavalieri con i loro cavalli, 9.000 scudieri e 20.000 fanti. Il contratto prevedeva anche il rifornimento di viveri e foraggio bastanti per il viaggio; oltre a ciò Venezia s'impegnò ad armare 50 galere che avrebbero accompagnato la crociata in cambio del 50% di quanto conquistato. I crociati si riunirono a Venezia nel 1.202, la Serenissima aveva rispettato il contratto, le navi erano pronte ed i rifornimenti erano disponibili. Rispetto alle previsioni, il numero dei crociati che avevano risposto all'appello del Papa era molto ridotto e il denaro raccolto non bastava a coprire le spese: mancavano ancora 34.000 marche d'argento e Venezia si rifiutò di prendere il mare. Intanto i crociati portavano scompiglio nella città, molestavano le donne, rubacchiavano e compivano altri spiacevoli misfatti. A causa di ciò furono banditi “come appestati” al Lido dove s'erano accampati in attesa di quanto si doveva decidere. Ma anche per i veneziani la situazione era molto sfavorevole: avevano investito capitali che temevano di perdere, per soddisfare il contratto e dovevano continuamente rifornire viveri ai crociati accampati in attesa di partire. Mentre una parte dei pellegrini abbandonava l'impresa, oppure decideva di tentare la via di terra, il capo dei crociati, Bonifacio I del Monferrato negoziò un compromesso con il doge, Enrico Dandolo: i veneziani avrebbero partecipato all'impresa e il doge stesso avrebbe assunto il comando della spedizione. Lo storico e scrittore veneziano Alvise Zorzi afferma che la riconquista di Zara non fu pattuita già dall'inizio ma che era, per così dire, solo latente. Il proposito di riconquistare Zara prese concreta forma durante il viaggio. Il giorno 1º ottobre (secondo Zorzi) ovvero 8 novembre 1.202 (secondo lo storico Steven Runciman) la grande flotta si mise in rotta. Goffredo di Villehardouin tramanda che mai fu vista una flotta più bella partire da un porto di mare. Si fermò prima a Trieste e poi a Muggia dove i veneziani chiesero un atto di sottomissione.
Carta con il percorso di Bonifacio di Monferrato nella IV
Crociata in verde e di Giovanni di Brienne nella V Crociata
in fucsia, fino alla città di Damietta.
Arrivati a Zara (ormai sotto l'egida del Regno d'Ungheria) i crociati non vennero però accolti a braccia aperte, anzi la popolazione ostile fece resistenza. Dopo un assedio di cinque giorni avvenne l'assalto alla città che venne presa e saccheggiata. Ormai l'inverno era alle soglie e perciò venne deciso di svernare a Zara. Quando venne a conoscenza della presa di Zara e del sanguinoso saccheggio il papa inorridì: contro il suo ordine i crociati avevano osato aggredire una città cristiana. Per tale ragione decise di scomunicare la crociata. I diversi baroni dichiararono però di essere stati ricattati e costretti da Venezia alla sciagurata azione; il papa allora tolse loro la scomunica che andò completamente a carico dei veneziani. Il doge Dandolo non si curò molto della scomunica ma prese contatto con Filippo di Svevia (anche lui scomunicato) che doveva convincere il papa a far continuare l'impresa, anche a favore del proprio cognato, il principe bizantino Alessio IV Angelo, cosa che avrebbe portato notevoli vantaggi alla chiesa cattolica. Nel frattempo i crociati avevano ricevuto, a Zara, un'ambasciata proprio del principe bizantino Alessio IV Angelo, figlio dell'imperatore Isacco II Angelo, detronizzato, accecato e tenuto in prigione da suo fratello Alessio III. Alessio IV era riuscito a fuggire dalla prigionia nel 1202 e si era rifugiato presso sua sorella, la moglie di Filippo di Svevia, in Germania. In precedenza Alessio IV aveva già contattato Venezia da Verona. La proposta del principe bizantino era quella di ottenere la collaborazione dei crociati per riappropriarsi del trono in cambio di aiuti militari (10.000 soldati) oltre denaro e generi di consumo ai crociati, riunione delle due Chiese e favorevoli accordi mercantili con Venezia. A Venezia promise anche di pagare la somma che i crociati non avevano pagato e promise inoltre di voler sostenere le spese di 500 cavalieri che dovevano rimanere in Terra Santa. Il papa, allettato dalla prospettiva della riunione con la chiesa ortodossa si fece convincere, tolse la scomunica e dette il suo permesso per la continuazione dell'impresa e della detronizzazione dell'usurpatore Alessio III. Il doge Dandolo fu felicissimo di accontentare il papa e di assicurare a Venezia enormi vantaggi. Ad alcuni crociati però non piaceva la prospettiva di assalire un'altra città cristiana in luogo di combattere i musulmani, si separarono dal resto dei crociati e fecero vela in direzione della Siria. Il 25 aprile 1.203 Alessio IV arrivò a Zara ed alcuni giorni dopo la flotta spiegò le vele in direzione di Costantinopoli. Venne fatta una sosta a Durazzo, dove Alessio fu riconosciuto quale imperatore, ed un'ulteriore sosta venne fatta a Corfù. Finalmente il 24 giugno Costantinopoli venne avvistata. Dopo aver invano tentato di occupare Calcedonia e Crisopoli, i crociati sbarcarono a Galata, riuscirono a far saltare la catena in mare che difendeva il Corno d'Oro ed entrarono nel porto di Costantinopoli. Alessio IV aveva fatto capire ai crociati e ai veneziani che sarebbero stati accolti con gioia dalla popolazione, invece trovarono le porte sbarrate e le mura folte di difensori. Il 17 luglio, dopo alcuni giorni di aspra battaglia, i veneziani riuscirono ad aprire una breccia nelle mura ed entrare nella città. Alessio III, messo alle strette, aveva arraffato quanto poteva del tesoro imperiale e si era dato alla fuga in Grecia, portando con sé la figlia. Isacco II Angelo venne liberato dal carcere e si dichiarò pronto a confermare le promesse fatte ai crociati dal figlio che nominò correggente il 1º agosto 1.203, con appropriata cerimonia nella chiesa di Santa Sofia ed alla presenza di tutti i baroni della crociata: Alessio IV Angelo salì così al trono dei basileis (imperatori) insieme al padre Isacco II Angelo, grazie all'aiuto militare dei crociati. Ma rispettare gli impegni presi non era facile: le casse del regno erano vuote e l'unione delle due chiese era fortemente osteggiata sia dal clero sia dal popolo. I crociati rimanevano accampati fuori delle mura ed attendevano una decisione; Alessio IV cercava di tergiversare e di tacitare i comandanti dei crociati con dispendiosi regali, cosa che ne accentuò la cupidigia. In città le ivi residenti colonie dei mercanti genovesi e pisani venivano assalite dal popolo esacerbato. Alessio peggiorò le cose imponendo nuove e gravose tasse per racimolare fondi per acquietare i crociati che cominciavano a fare la voce forte. Si fece nemico anche il clero confiscando i candelabri d'argento delle chiese che fece fondere. La scontentezza degli abitanti cresceva nel vedere quei superbi cavalieri che scorrazzavano in città. La soldataglia latina aveva bisogno di viveri e faceva per conto suo scorribande. Cominciarono atti di aperta ostilità contro i crociati che venivano anche aggrediti per le strade. Alcuni di essi, che avevano saccheggiato una moschea, vennero aggrediti dai “greci” e per difendersi appiccarono il fuoco ad alcune case. L'incendio si propagò e per giorni una parte di Costantinopoli fu preda delle fiamme; venne fatto anche un tentativo di incendiare le navi veneziane che però non ebbe successo alcuno. Nella capitale bizantina iniziò così a tirare aria di cospirazione e di questa situazione approfittò il protovestiario Alessio V Ducas, un potente nobile bizantino proveniente dalla famiglia imperiale dei Ducas e cugino di Alessio IV Angelo. Alessio V Ducas, detto "Murzuflo", si adoperò per ottenere l'appoggio della nobiltà bizantina nella salita al trono, poi l'8 febbraio 1.204 irruppe nel palazzo imperiale avvisando Alessio IV del divampare di una rivolta. Questi si fece convincere ad uscire dal palazzo dove i sicari lo aspettavano per assassinarlo. Anche Isacco II, il co-imperatore, morì durante la notte per cause misteriose, probabilmente assassinato, ma non si esclude che sia morto, per ironia della sorte, di morte naturale. Alessio Murzuflo raggiunse quindi la Basilica di Santa Sofia e si fece incoronare, dal patriarca Giovanni X Camatero, imperatore bizantino col nome di Alessio V Ducas. Alessio V sparse la voce che il predecessore fosse morto soffocato nella notte, lo fece seppellire con tutti gli onori destinati a un basileus, fingendo addirittura di piangerlo. Il lutto del nuovo regnante non convinse però i principali sostenitori dei precedenti imperatori, ovvero le armate della quarta crociata e la flotta della Repubblica di Venezia, che si trovavano a Costantinopoli su richiesta dei due Angelo, dopo aver permesso ad Alessio IV di conquistare il potere scacciando suo zio Alessio III. La popolazione di Costantinopoli non appoggiò subito il nuovo sovrano, infatti venne acclamato imperatore Nicola Canabo, a minaccia della sua stessa vita, se si fosse rifiutato di accettare la carica; ma per togliere di mezzo l'usurpatore, Alessio V non esitò a inviare le sue guardie variaghe (russo-vichinghe) e a gettarlo in prigione. I latini, dal canto loro, sospettando a ragione che Alessio V fosse il responsabile della morte di Alessio IV, lo accusavano di avere usurpato il trono. In risposta, Alessio V chiuse i negoziati con i crociati e con Venezia, rifiutandosi di rispettare le promesse di aiuti e finanziamenti alla spedizione che il suo predecessore aveva fatto ai capi della crociata per ottenerne l'appoggio e conquistare il trono. Anzi, il nuovo sovrano fece rinforzare le mura e alzare la guardia sulle mura Teodosiane. Queste misure, insieme alle posizioni assunte nei confronti dei latini da Alessio V, che era inoltre contrario alla riunificazione tra la chiesa ortodossa e quella cattolica promessa nei precedenti accordi e considerava i crociati nemici dell'Impero, gli fecero in breve guadagnare credito tra i suoi sudditi. Dopo questi avvenimenti, i capi latini, tra cui si distinse per determinazione soprattutto l'anziano doge di Venezia, Enrico Dandolo, pianificarono la conquista della città e la spartizione dell'impero. Scoppiò la guerra: lo scontro più importante fu quello tra Enrico di Fiandra e Alessio V. Enrico aveva armato un esercito per razziare Filea, sul Mar Nero; mentre i crociati tornavano all'accampamento, lungo la strada furono attaccati in un'imboscata da Alessio V: la retroguardia comandata direttamente da Enrico fu presa di sorpresa. Fu una battaglia aspra il cui esito fu tuttavia una sconfitta per i bizantini, che oltre a essere battuti persero anche il vessillo imperiale ed un'icona d'oro della Vergine portata sempre in battaglia come protezione; l'icona, che era arricchita da pietre preziose incastonate, fu portata a Citeaux. Al ritorno, Alessio annunciò ai suoi sudditi la vittoria, e a coloro i quali gli domandavano dove fosse l'icona e il vessillo, rispose che erano stati messi al sicuro. Quando queste voci giunsero al campo dei crociati, questi caricarono il vessillo e l'icona su una nave veneziana, issandoli in modo che gli abitanti di Costantinopoli potessero vederli e sapere della menzogna del loro imperatore. Il primo attacco dei crociati venne sferrato il 9 aprile 1.204 ma fu respinto e procurò solo forti perdite. Il 12 aprile venne compiuto un nuovo tentativo e questa volta i veneziani ricorsero ad uno stratagemma. Avevano costruito piattaforme sulle cime degli alberi delle navi, poi avevano inclinato le imbarcazioni fino a che le piattaforme andarono a toccare le mura. Il veneziano Piero Alberti fu il primo a saltare sulle mura di una torre nemica, ma fu subito ucciso. Fu seguito da un francese, André Dureboise, che riuscì a resistere all'attacco dei difensori permettendo ad altri veneziani e crociati di occupare le mura. Poco tempo dopo le porte della città vennero aperte dagli attaccanti penetrati all'interno e per Costantinopoli non ci fu più scampo. Alessio V s'era rifugiato con alcune truppe nel suo palazzo imperiale. Nella notte, forse perché temevano un attacco di sorpresa, alcuni crociati tedeschi appiccarono il fuoco a delle case e nuovamente l'incendio divampò in città. Vista l'impossibile situazione, Alessio V si dette alla fuga. Durante quella notte dove regnava il caos a Costantinopoli, visto che l'imperatore era scappato, fu eletto imperatore Costantino XI Lascaris, che ordinò una sortita, guidata suo fratello, il generale bizantino Teodoro Lascaris (futuro imperatore di Nicea) contro i crociati, che non ottenne alcun successo. Il giorno dopo ebbe inizio il grande saccheggio che, come tramandano i cronisti, non ne aveva avuto uno simile in tutta la storia dell'umanità. Mentre Bonifacio di Monsarrat occupava il palazzo imperiale che, secondo Roberto di Chiari, aveva ben 500 stanze tutte riccamente addobbate e ben trenta cappelle, gli scatenati crociati entravano nelle case ed asportavano qualsiasi cosa di valore trovassero. Tutte le chiese vennero spogliate dei vasi sacri, delle immagini, dei candelabri e quanto non si poteva asportare veniva semplicemente distrutto. Anche la basilica di S. Sofia venne completamente saccheggiata, l'altare venne spezzato, gli arazzi fatti a pezzi. Un cronista dell'epoca, testimone oculare, tramanda che una prostituta, seduta sul trono del patriarca, cantava strofe oscene in lingua francese. Mentre i veneziani si concentravano sulle cose che avevano un grande valore, i francesi arraffavano tutto quello che luccicava e si fermavano solo per ammazzare e violentare. Le cantine vennero depredate e la città era piena di soldataglia avvinazzata che trucidava chiunque trovasse lungo il cammino. Cittadini venivano torturati perché rivelassero dove avevano nascosto i loro valori. I conventi vennero presi d'assalto, le monache stuprate. Vecchi, donne e bambini giacevano in pozze di sangue per le strade, già morti o morenti. L'inferno durò per quattordici giorni. Infine i comandanti degli assalitori intervennero, dettero ordine di cessare il saccheggio (tanto ben poco era rimasto da depredare) ed ordinarono che qualsiasi bottino doveva essere portato in tre chiese e sorvegliato da fidati crociati e veneziani. Questo perché il contratto prevedeva la spartizione dei beni saccheggiati: tre ottavi ai veneziani, tre ottavi ai crociati; il restante quarto era destinato al futuro imperatore. Fra l'altro i veneziani portarono a casa i quattro cavalli di bronzo che ornano (attualmente in copia) la Basilica di San Marco, l'icona della Madonna Nicopeia e molte preziose reliquie che ancora sono serbate nel tesoro di San Marco. Così ebbe fine la quarta crociata che, istituita con l'intenzione di combattere i saraceni, aggredì e saccheggiò unicamente paesi cristiani. Terminata la strage ed il saccheggio si venne alla spartizione del bottino che alcuni storici calcolano di circa 900.000 marche imperiali d'argento, oggi equivalente a molte centinaia di milioni di Euro. Il calcolo è però difficile perché molti degli oggetti artistici depredati hanno un valore incalcolabile. Poi si passò all'elezione dell'imperatore latino. Bonifacio del Monferrato sperava sempre di essere eletto ma trovò la forte opposizione dei veneziani. Infine crociati e veneziani furono d'accordo nell'eleggere il conte Baldovino IX di Fiandra che prese possesso del trono di Costantinopoli. Parte del regno però andò a Venezia, secondo quanto previsto dal contratto. Per ampliare la propria potenza marittima Venezia reclamò ed ottenne la costa occidentale della Grecia, tutto il Peloponneso (Morea), Nasso, Andros, Negroponte (oggi Eubea), Gallipoli (in Turchia), Adrianopoli e i porti della Tracia sul Mar di Marmara. Da allora il Doge assunse il titolo di “Dominus quartae partis et dimidiae totius Imperii Romaniae”, cioè "Signore di un quarto e mezzo dell'Impero Romano d'Oriente". I veneziani pretesero anche tre ottavi della città di Costantinopoli ed occuparono il quartiere dove è oggi ubicata l'Agia Sofia, ex Cattedrale di Santa Sofia. A ricoprire la carica di patriarca venne nominato il nobile veneziano Tommaso Morosini. Baldovino fu incoronato in pompa magna il 16 maggio 1.204 nella Cattedrale di Santa Sofia. Alla notizia degli orrori compiuti e della barbarie dimostrata dai crociati Innocenzo III rimase esterrefatto. Inorridito scrisse lettere a Costantinopoli deplorando e condannando che, senza il suo sapere, stato e chiesa erano stati divisi; ma ciò non cambiò la situazione. Il suo dispiacere crebbe ancora quando venne a sapere che il suo legato, Pietro di San Marcello, aveva svincolato i crociati dalla promessa di liberare Gerusalemme. La crociata da lui predicata ed indetta si era tramutata in guerra contro stati cristiani. Le atrocità commesse dai crociati durante il saccheggio di Costantinopoli non contribuirono certamente a migliorare i rapporti fra la chiesa ortodossa e quella cattolica di Roma. Le due chiese rimasero separate dal 1.054 fino al giorno d'oggi, sebbene recentemente il papa abbia condannato quanto commesso durante la quarta crociata.

Impero Latino con relativi Principato e Ducati, i tre stati
greco-bizantini Dispotia dell'Epiro, Impero di Nicea e
Impero di Trebisonda, Sultanato selgiuchide di Rûm o di
Iconio e Bulgaria nel 1204. Da: https://it.wikipedia.
- Dal 1.204, dopo che i crociati, durante la quarta crociata, conquistarono e saccheggiarono Costantinopoli, tre famiglie bizantine di rango reale formarono altrettanti tre stati, che raccolsero i greco-bizantini a loro fedeli. Uno dei tre stati bizantini fondati dopo la caduta di Costantinopoli era il Despotato d'Epiro, che ebbe inizio sotto il primo despota, Michele I Ducas, appartenente alla famiglia imperiale bizantina dei Ducas e che quindi era parente dell'imperatore Alessio V Ducas. Qui si rifugiarono i bizantini che si trovavano nei Balcani, radunandosi tra l'attuale Albania e Grecia, ossia sull'Epiro, con capitale Arta. Gli altri due stati erano l'Impero di Nicea, che si trovava in Asia Minore con capitale Nicea, al comando della famiglia Lascaris e l'altro stato era l'Impero di Trebisonda, che si trovava in Anatolia, con capitale Trebisonda, al comando della famiglia dei Comneni. Questi tre stati rivendicavano la corona imperiale bizantina, tentando in tutti i modi di riconquistare Costantinopoli, e di togliere più territori possibili ai crociati, dell'impero latino. Ma l'impero di Trebisonda era tagliato fuori da questa lotta, visto che non confinava coi latini, mentre tra gli epiriani e niceani fu lotta aperta. In un primo momento sembrava scontata la vittoria epiriota, visto che avevano riconquistato la seconda città più grande dell'impero bizantino, Tessalonica, sotto il Teodoro Comneno Ducas e che nel 1227 si era nominato basileus dei romei. Aveva composto un enorme esercito e si era messo in marcia su Costantinopoli, riconquistando molti territori bizantini a scapito dei bulgari, ma quest'ultimi si riorganizzarono e sconfissero l'imponente esercito epiriota nel 1230 e così distrussero il sogno epiriota, condannando l'Epiro alla mercé di Nicea, e poi dei latini. La fine avvanne, per tutti e tre, nel 1479 con la conquista totale da parte degli ottomani.

- Il regno d'Inghilterra ed il ducato di Normandia erano fino ad allora rimasti sotto il governo della stessa persona, il re d'Inghilterra che era anche duca della Normandia, della corona francese. Nel 1204 Giovanni d'Inghilterra, discendente di quarta generazione da Guglielmo I il bastardo/il conquistatore, perde la sovranità sulla parte continentale del ducato a favore di Filippo II di Francia. Il resto del ducato, noto come le Isole del Canale, rimarrà a Giovanni ed ai suoi discendenti. Giovanni sarà poi protagonista, nel 1215, della concessione della Magna Charta che rappresenterà la prima forma di costituzione scritta concessa da un monarca nella storia.


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