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martedì 22 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.16: dal 753 al 650 p.e.v. (a.C.)

Mappa del luogo in cui fu edificata
Roma. Sono indicati il Tevere, i
colli, il Foro centrale comune,
dedicato alla vita sociale e, fuori
dall'area urbana, il campo Marzio,
"di Marte", dove si poteva circolare
con le armi, contrariamente
che all'interno dell'urbe.
E' intorno alla metà dell'VIII secolo avanti Cristo (la tradizione riporta il 753 a.C.) che, nel luogo in cui vi era già un'insediamento protourbano abitato da varie tribù italiche in cui erano preponderanti i Latini e i Sabini (o Sabelli), oltre alla presenza di Etruschi, i primi a fondare città-stato sul suolo italico, viene fondata Roma il cui nome magico segreto è Flora, "che fiorisce". Dagli Etruschi sono stati trasmessi al mitico Romolo gli insegnamenti dei cerimoniali per la fondazione della città. Caratteristica fondamentale della nuova città è l'idea di un potere politico condiviso. Romolo, Re in quanto fondatore della città, co-regna con Tito Tazio, re Sabino mentre i successivi re sono eletti, per reggere e governare la città, dal Senato, l'assemblea dei patrizi (i patres), i capifamiglia delle gentes costituenti le tre tribù originarie, suddivise a loro volta in assemblee di uomini (curie) che tramite i Comizi Curiati  ratificano le emanazioni del re. Le tre antiche tribù di Roma erano quindi caratterizzate dall'appartenenza gentilizia dei loro membri, cioè la gens a cui appartenevano, gens costituita da diverse familiae imparentate tra loro. In epoca regia le gentes costituivano anche suddivisioni territoriali. Secondo la tradizione, le prime tribù di Roma erano tre:
- i Ramnes (da Romulus, di origine latina), gens autoctone di Latini stanziate nelle zone pianeggianti;
- i Tities (o Titienses da Titus Tatius il re sabino), cioè le famiglie sabine venute al seguito di Tito Tazio;
- i Luceres (da Lucumon o Lygmon di origine etrusca), che sarebbero stati di origine etrusca, condotti da un Lucumone ("re" in etrusco), dal quale avrebbero preso il nome.
Carta dell'antica Roma di Romolo.
La cinta muraria esterna fu iniziata
da Tarquinio Prisco e ultimata da
Servio Tullio.
A Roma verrà istituito inoltre un foro (forum, cioè fuori dai centri abitati) per legiferare in uno spazio comune affrancato da signoraggi vari e viene decretato uno stato di diritto (ius, da iusiurandum = giuramento) che stabilisca i patti e i rapporti fra le varie istituzioni. Mentre le dispotìe orientali erano caratterizzate da urbanizzazioni in cui solo i templi e il palazzo del re, unico detentore del potere, avessero un rilievo, nell'antica Roma si edificarono le "curie", le sedi per le assemblee cittadine (i comizi curiati) in cui si riuniva anche il Senato, l'assemblea aristocratica dei 'padri' delle varie gentes, e si ripartirono così compiti  istituzionali fra le varie componenti del nuovo ordinamento civico. Romolo, oltre che essere Re eletto, era anche Rex-Sacrorum (il pontefice al quale erano affidate le funzioni religiose), veste nella quale istituì il calendario di 10 mesi, (che andava da Marzo (dedicato a Marte) a Dicembre, di cui i nomi da Settembre a Dicembre sono utilizzati tuttora. Era , calendario luni-solare con mesi lunari, in cui le "calende" corrispondevano al primo giorno del mese, quando si verificava il novilunio, le "none" al primo quarto di luna e le "idi" nel plenilunio). 

I 7 colli di Roma, da ht
tps://it.wikipedia.org/w
iki/Campidoglio#/m
edia/File:7Colli
Schizzo.jpg
.
Le tre aree di Roma interessate
dalle tre imprese di Romolo
e Tazio.
Il 29-10-2006 Andrea Carandini, archeologo che ha realizzato numerosi scavi nel centro di Roma, racconta alla cittadinanza gli eventi della fondazione di Roma del 21 aprile del 753 a.C., data più simbolica che vera. File solo audio ma preciso, esauriente, completo e intelligente nell'analisi della nascita di una nuova politica, che contraddistinguerà la cultura di tutto l'Occidente; per ascoltarlo, clicca QUI. Con i suoi 290 ettari, la prima Roma era più estesa di Veio, la maggiore città etrusca, e proprio agli etruschi, che erano stati fra i primi fondatori di città sul suolo italico, si rivolse Romolo per conoscere i riti e le liturgie augurali nelle fondazioni di nuove città. Alla fondazione della città sono legate le tre imprese di Romolo e Tito Tazio1) la prima impresa è stata la benedizione del  Palatino del 21 aprile (l'augurium) come cuore dell'abitato, con la cittadella del re sul Palatino stesso. 2) La seconda impresa è stata l'istituzione del Foro, del Campidoglio e dell'Arce, centro politico-sacrale della città-stato, in territorio neutro, super-partes. Nelle città romane, a partire dal IV secolo a.C., l’arce era sede di edifici di culto o di rilievo politico. Nota è a Roma l’Arx Capitolina, con il tempio di Giunone Moneta (“ammonitrice”, del 344 a.C.) e la Zecca (III secolo a.C.). Era la sommità est del colle a sella, Arx et Capitolium, posto tra l’area dei fori e il Campo Marzio e valicato dal sentiero passante per l’Asylum; dal foro salivano sul colle anche le Scalae Gemoniae e il Gradus Monetae. Il sito, leso da incendi storici (83 a.C., 60 e 80 d.C.) e dall’assetto del Foro di Traiano, fu gravemente compromesso nel 1885, con la costruzione del Vittoriano.
Schema dell'organizzazione
 sociale nella prima Roma
monarchica.
 3) La terza impresa fu l'istituzione di tre ordinamenti correlati fra di loro: l'ordinamento del tempo con il calendario; l'ordinamento nello spazio con il confine (il sacro pomerium) della città; l'ordinamento fra le genti, tre tribù ripartite in trenta assemblee, le curie.
Carta dell'Italia nell'VIII sec. a.C. con
indicate le zone in cui erano stanziati
i Cartaginesi, gli Umbri-Sabelli-Latini,
i Greci, gli Etruschi, la Cultura di
Golasecca. Sono indicati inoltre i
centri di Spina, Fèlsina, (Bologna)
Ravenna, Chiusi e Tarquinia in
territorio Etrusco. Inoltre Cuma,
Taranto, Reggio, Messina e Siracusa.
In Sicilia i Sicani, iberici scacciati
dai Liguri, e i Siculi d'origine ligure,
gli unici autoctoni pre-indoeuropei.
La prima organizzazione politica della Roma monarchica è quindi  contraddistinta da tre istituzioni:
1) un monarca elettivo, con pieni poteri, spesso forestiero onde evitare favoritismi di parte;
2) il senato, consiglio degli anziani (seniores) capifamiglia delle varie gentes, che sarà il fulcro del corpo civico, con compiti di reggenza negli interregni, fra un re e l'altro. Scriverà Sesto Pompeo Festo (Narbona, II secolo d.C. - ...): «Il mos è l'usanza dei patres (padri, da cui i termini patria e patrizi), ossia la memoria degli antichi relativa soprattutto a riti e cerimonie dell'antichità.» I mores, dal periodo regio all'età imperiale, rappresenteranno il corpo di principî e valori, non scritti, esemplari per la comunità;
3) i Quirites, il corpo civico cittadino, formato dalle 3 tribù delle etnìe (Latini, Sabini ed Etruschi) costituenti la popolazione. Le tribù esprimevano a loro volta 10 curie ciascuna (curia da "co-viria"), le assemblee di maschi adulti, che votavano nei comizi curiati, le prime assemblee popolari. 

Denario con gli dèi Quirino e Ceres. Immagine
di Classical Numismatic Group, Inc. http://www.
cngcoins.com
, CC BY-SA 3.0, https://commons.
wikimedia.org/w/index.php?curid=4782551
Molte emanazioni degli ordinamenti dell'epoca monarchica sono firmati "Populus Romanus Quirites", intendendo per Populus il potenziale militare (nel latino arcaico il verbo "populare" significava "devastare") che ai quei tempi era stimato in 3.000 fanti e 300 cavalieri, e per Quirites, l'insieme del corpo civico, le individualità componenti la massa dei cittadini Romani, protetti da Quirino, il dio romano delle curie, passato poi alla protezione delle pacifiche attività degli uomini liberi. Quiriti era il termine endoetnonimo che i Romani utilizzavano per designare se stessi, nella loro qualità di cittadini dell'Urbe fondata da Romolodivinizzato alla sua morte nel dio Quirino stesso. Assieme a Marte e a Giove, Quirino, identificato quindi con Romolo, faceva parte della cosiddetta "Triade arcaica" delle divinità maggiori che in seguito, su influsso della cultura etrusca, sarà invece costituita da Giove, Giunone e Minerva. Quirino e Giano saranno gli unici dèi romani a non essere assimilati a divinità ellenistiche. La festività tradizionale di Quirino, denominata Quirinalia, cadeva il 17 febbraio ed era celebrata dal sacerdote flamen quirinalis. Il più antico santuario di Quirino era la rupe più alta del colle Quirinale; in seguito gli fu costruito un tempio presso la porta Quirinale e poi un altro, nel 293 a.C., dedicato da Lucio Papirio Cursore, nel quale era conservato il trattato fra Roma e Gabi, scritto su una pelle di bue che copriva uno scudo. Gabi era una città del Latium vetus posta al XII miglio della via Prenestina, che collegava Roma a Præneste, che secondo Dionigi di Alicarnasso faceva parte della Lega Latina. Oggi è un sito archeologico nella città metropolitana di Roma Capitale. Le sue cave fornivano un'eccellente pietra da costruzione.

Secondo la tradizione fu quindi Romolo a creare il primo esercito della città di Roma, costituito da un'unica legione (dal latino legio, derivato del verbo legere, "raccogliere o legare insieme"), cosicché esercito e legione erano concetti sinonimi. La legione unica era composta da 3.000 fanti (pedites) schierati in battaglia sull'esempio della falange greca e da 300 cavalieri (equites), tutti arruolati di leva fra i cittadini delle tre tribù che formavano la primitiva popolazione di Roma, i Tities, i Ramnes e i Luceres. 

Nella disposizione tattica della legione, la fanteria si disponeva su tre file, nella tipica formazione a  falange, con la cavalleria ai lati, le alae, i cui squadroni erano alle dipendenze di un tribunus celerum, sotto il diretto comando dello stesso Rex, il comandante supremo, a cui spettava anche il compito di sciogliere  l'esercito al termine della campagna militare dell'anno, per permettere ai cittadini l'accudimento ai propri mestieri. A lui erano subordinati anche tre tribuni militum (i generali) della fanteria, ciascuno dei quali era a capo dei 1.000 fanti di ognuna delle tre tribù. 

La funzione tattica della cavalleria legionaria di epoca regia e di inizio Repubblica, si basava sulla mobilità e aveva quindi compiti di avanguardia ed esplorazione, di scorta, azioni di disturbo o di  inseguimento al termine della battaglia o veniva infine utilizzata per spostarsi rapidamente sul campo di battaglia e prestare soccorso a reparti di fanteria in difficoltà. I cavalieri usavano briglie e morsi, ma le staffe e la sella erano sconosciuti e non era quindi ipotizzabile a quei tempi una cavalleria "d'urto". A Roma, in epoca monarchica e repubblicana, la sella (ephippia) dei rari cavalieri romani e dei più numerosi cavalieri alleati Italici, era probabilmente costituita da una semplice coperta o gualdrappa (tapetum) o da una protezione in cuoio (ephippium) di derivazione greca. Pare comunque che, secondo la considerazione comune, la gualdrappa, più o meno imbottita, fosse  inappropriata per un uomo armato.

Tutti i militari appartenenti all'esercito dovevano sostenere le spese per i loro armamenti, visto che  combattevano sia per tutelare gli interessi comuni che quelli personali. Nella ripartizione degli incarichi e delle gerarchie della fanteria si privilegiava la nobiltà di nascita mentre la cavalleria era sostanzialmente appannaggio della sola aristocrazia.

In generale, i cavalieri ostentavano l'abbigliamento e i distintivi del loro incarico, cioè 
- l’anello d’oro, 
- le borchie d’argento del cavallo, 
- la trabea o mantello da cavaliere col bordo rosso, 
- la scarpa rossa detta calceus patricius 
- e il bordo rosso (clavus) alla toga e alla tunica: tutti distintivi che adotteranno poi i patrizi romani. 
La la più antica nobiltà di Roma derivava infatti i propri costumi dalla cavalleria d'età regia, per cui si desume che a Roma la cavalleria fosse appannaggio della sola aristocrazia, così come nell'antica Grecia. 

Romolo costituì inoltre una guardia privata del re costituita da ulteriori trecento cavalieri chiamati  Celeres (eliminata poi da Numa Pompilio ma reintrodotta e raddoppiata da Tarquinio Prisco), similmente a quanto fece oltre settecento anni più tardi Augusto, con la creazione della guardia  pretoriana, designata alla tutela del Princeps.

I cosiddetti Celeres (cioè i veloci) le guardie preposte alla tutela del re, furono in seguito impiegate per mantenere l'ordine pubblico urbano, ottenendo così che il loro cavallo, chiamato equus publicus, (cavallo pubblico), fosse acquistato e mantenuto dallo Stato ed i Celeres stessi venivano indicati come gli Equites Romani Equo Publico.

Fra i cavalieri c'erano quindi gli "Equites Romani Equo Publico" e i semplici "Equites". Solo un numero ristretto di cavalieri, un quarto circa del totale, riusciva ad entrare nell'arruolamento di ordine pubblico, col privilegio del cavallo fornito e mantenuto dallo Stato, mentre i semplici Equites dovevano comprarlo e mantenerlo a proprie spese; ma soprattutto gli "Equites Romani Equo Publico" avevano il vantaggio di poter ottenere delle cariche pubbliche, sia giuridiche che senatoriali, che agli equites ordinari erano precluse.

Fin dai tempi dei Equites Romani Equo Publico quindi, con l'espressione "cavaliere" ci si poteva riferire sia ad una qualifica militare che ad una appartenenza politico-sociale


Per rendere pubblico il casato di appartenenza degli Equites Romani Equo Publico (e in seguito, di  tutti gli altri cittadini), venne istituito il nomen della gens di appartenenza da far seguire al prenomen, il nome proprio
Il nomen era il nome gentilizio e indicava i componenti di una gens, cioè i discendenti dagli stessi antenati. Era espresso con un aggettivo terminante in -ius, che indicava l’appartenenza a una stirpe, per cui Marcus Iulius significava “Marco degli Iulii” (discendenti da Iulo, leggendario figlio di Enea). Il nomen individuava quindi la stirpe di appartenenza ed era portato anche dalle famiglie plebee. 
Il cognomen invece era aggiunto al nomen gentilizio; inizialmente era individuale e poteva essere un nomignolo popolare come Lentulus (da lenticchia), Cicerone (da cece), Lepidus (da scherzoso) ma in seguito divenne ereditario per distinguere la familia di appartenenza nel contesto della stessa gens, come ad esempio i Cornelii Cathegi distinti dai Cornelii Scipiones, distinti dai Cornelii Balbi, distinti dai Cornelii Lentuli. 
Infine c’erano i cognomina trionfali, conferiti ai vincitori, per cui Scipione divenne "Africanus" dopo la vittoria su Cartagine, così come Nerone Claudio Druso (conosciuto come Druso maggiore) e i suoi discendenti portavano come cognome "Germanicus" per le vittorie di questi sui Germani. Gli schiavi avevano soltanto il nomen ma se venivano liberati, divenendo liberti, assumevano il cognomen e spesso anche il praenomen del loro ex padrone.

Il successore di Romolo introdurrà un Collegio di cinque Pontefici: il Rex-Sacrorumi, tre Flamini maggiori (Dialis, Martialis e Quirinalis) il Pontefice massimo (pontifex maximus), che pur essendo il quinto nella gerarchia, era presidente e rappresentante del Collegio dei sacerdoti, per cui il suo potere diventerà tale da subordinare, di fatto, quello del rex sacrorum e da consentirgli una giurisdizione sui Flamini e sulle Vestali. Il termine Pontifex (da pontem facere) significa in latino "costruttore di ponti", così come nell'antica Grecia vi erano i gephyraei, visto che in epoca antica, in Tessaglia, le immagini degli dèi da venerare venivano poste sopra il ponte del fiume Peneus e comunque in epoca latino-arcaica il primo ponte di Roma, il Sublicius, era mantenuto efficiente ed eventualmente restaurato a cura del collegio pontificale, così come fino al medioevo la cura dei ponti era affidata ai monasteri limitrofi. Probabilmente l'arte della costruzione di ponti, sottintendeva il collegamento di dimensioni opposte, l'umana e la divina, mediate da un pontefice (sacerdote) che sovrintendeva all'emulazione, nella società civile, dell'odine celeste, per ottenerne la benignità. A Roma il Pontifex aveva il compito di indicare e suggerire, alle autorità e ai privati, il modo più opportuno per adempiere agli obblighi religiosi affinché fosse salvaguardata la pax deorum, la concordia tra la comunità e le divinità, una responsabilità di tanto rilievo che conferiva al Pontefice un’altissima autorità ed un immenso prestigio. Nella fase primitiva della Roma monarchica, l’organizzazione giuridica era permeata di ispirazione religiosa, al punto da creare una quasi totale mescolanza tra i due ambiti; i pontefici avevano il pieno controllo del culto pubblico e privato, e di conseguenza anche il controllo dell’intera vita pubblica. Il pontefice era quindi anche l'unico interprete dell'ordinamento giuridico in quanto depositario della sapienza giuridica ed in particolare dei formulari del diritto. Non era solo un ermeneuta, decifratore dei segni divini, ma fungeva da mediatore tra l'ordinamento giuridico esistente e la società. Le delibere dei pontefici non avevano valore di generalità e astrattezza, ma si pronunciavano sul punto di diritto del caso concreto, alla fattispecie contingente (interpretatio pontificum). Quindi tra i compiti del pontefice vi era anche quello di regolare il Calendario e di scrivere gli Annali di Roma. Gli Annales Pontificum rappresentavano il catalogo ufficiale di tutti gli avvenimenti dell'anno, redatti in ordine cronologico; venivano compilati su Tabulae dealbatae (tavole bianche, o sbiancate) e venivano esposti davanti alla casa del pontefice massimo. In un secondo tempo, gli Annali vennero raccolti in 80 libri, detti Annales Maximi. Con tali attribuzioni, il pontefice, di fatto se non di diritto, rappresentava una figura limitativa del potere e dell’autorità del re (che inizialmente era un re-sacerdote, mediatore fra gli dèi e i suoi sudditi), il quale doveva riconoscergli il ruolo preminente di depositario della sapienza giuridica

Carta dell'Italia nell'VIII sec. a.C. con indicate le zone in cui erano
stanziati i Cartaginesi, gli Umbri-Sabelli-Latini, i Greci, gli Etruschi,
la Cultura di Golasecca. Sono indicati inoltre i centri di Spina,
Fèlsina (l'attuale Bologna) Ravenna, Chiusi e Tarquinia in
territorio Etrusco. Sono poi indicate Cuma, Taranto, Reggio,
Messina e Siracusa. In Sicilia si sono inseriti i Sicani, iberici
scacciati dai Liguri, e i Siculi, probabilmente d'origine
ligure, l'unica popolazione occidentale autoctona
pre-indoeuropea.

- Gli abitanti dell'etrusca Fidene, ritenendo Roma ormai troppo vicina e potente, decisero di attaccarla, senza attendere che diventasse troppo forte ma senza successo. I successivi scontri tra Romani ed Etruschi vennero causati dalla vicinanza e dall'espansionismo con l'antica città rivale di Veio, città ricca che, posta a soli 20 km da Roma su un altopiano facilmente difendibile, controllava un attraversamento del Tevere e dominava tutto il territorio posto sulla sua riva destra. Il fiume costituiva il confine naturale fra il territorio etrusco e quello delle popolazioni latine, ma soprattutto, era la principale via di traffico dal mare verso l'interno e costituiva il miglior collegamento fra il sud dell'area etrusca tradizionale e il primo avamposto etrusco nel  meridione italico, che era Capua, quasi incastrata fra Latini e l'incombente marea colonizzatrice dei Greci che risalivano la penisola italica.

Carta del Peloponneso con le
sue regioni e città. Sono
evidenziate Sparta e la Messenia.
Dal 750 a. C. - Per quanto fin dalla sua fondazione, nel 1.200 a.C., Sparta eccellesse per le proprie produzioni artistiche e, ad esempio, per i propri cori religiosi, probabilmente a causa della migrazione in Arcadia di molti esponenti della tribù di Beniamino (vedi eventi del 1.140 a.C.), nel 750 a.C. aveva rinunciato a produrre arte, poesia, artigianato in bronzo e ceramica, vanto del centro religioso che era stato e decise di occupare la Messenia (di un'estensione di 8.000 Kmq.) assoggettando la sua società e le sue grandi risorse agricole e di ferro; si dovette così concentrare a dominare una popolazione di 250.000 uomini con 10.000 guerrieri. Per organizzarsi a questo scopo, Sparta si era trasformata in una società militarista egualitaria: ogni cittadino-guerriero spartiato aveva la stessa quantità di terre degli altri, non disponeva di denaro e non poteva vestirsi in maniera diversa dalla moltitudine. Gli Spartani, vivevano nel continuo timore di una rivolta dei propri sudditi, gli iloti, che trattavano con una durezza senza confronti nel mondo greco.
Prospetto della Costituzione
di Sparta. Clicca sull'immagine
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Pertanto, non potendo contare su una sottomissione e una fedeltà spontanee, dovevano organizzarsi, nella propria terra, come un esercito accampato in una regione straniera.
Opliti Spartiati. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
I maschi adulti passavano l'intera vita sotto le armi, mentre la giovinezza era solo una breve preparazione alla vita militare.
Gli Spartani fondavano la propria sicurezza interamente sull'affidabilità del proprio esercito, al punto che non vollero mai proteggere con mura la propria città pur essendo, alla lettera, circondati da nemici. In questo modo essi si guadagnarono la fama di essere grandi combattenti e Sparta veniva considerata la maggiore potenza militare della Grecia: rappresentava per i greci antichi un modello di virtù.

- A metà dell'VIII secolo a.C., popolazioni di Germani risultano attestate lungo l'intera fascia litoranea che va dall'Olanda alla foce della Vistola. La pressione verso i territori interni si manifesterà nei secoli successivi, non come un movimento unitario e unidirezionale ma come un intricato processo di avanzamenti, retrocessioni e infiltrazioni in regioni abitate anche da altri popoli, soprattutto Celti. Reperti archeologici confermano l'esistenza, dal 700 a.C., di popolazioni di cultura germanica detta di "Jastorf", collocata tra la Scandinavia del sud, le coste del Baltico, lo Jutland danese e lungo il corso del fiume Elba. Da quell'epoca iniziano le prime grandi migrazioni di popolazioni germaniche verso sud e sud-ovest. Secondo lo storico romano Tacito, nella sua opera "De origine et situ Germanorum", comunemente conosciuta come "Germania", l'unica opera a carattere etnografico su un popolo straniero pervenutaci dell'antichità e pubblicata nel 98, il progenitore comune dei nordici era Mannus o anche Manu, figlio del «Dio nato dalla terra» da cui deriverebbe l'espressione "umanità". In quei tempi erano tutti amalgamati, quasi un unico popolo, ma si distinsero in varie tribù, con alcune analogie negli usi e costumi e nelle loro arcaiche istituzioni, anche molto differenziate. Si suddivisero così in Germani, Danesi, Svedesi, e in seguito ancora in Franchi, Angli (da cui gli inglesi), Sassoni o Suebi (Svevi). La loro divisione diventerà quasi netta, chi dai IV-III secoli a.C. e chi dopo, fino ai III-IV secoli d.C., quando scenderanno a sud, prima per fare razzie e poi per stabilirsi in vari territori, Italia compresa. Tacito, sulla base dei resoconti fatti dai soldati romani di ritorno dai territori in cui erano stanziati i Germani, le cui tribù incontrate erano state 40 e più, riporta che le grandi migrazioni delle popolazioni germaniche dalla Scandinavia verso sud e sud-ovest fossero composte da tre stirpi principali, a loro volta composte da varie tribù: 1) gli Ingevoni (che daranno vita al gruppo friso-sassone) e gli Istevoni (che daranno vita al gruppo franco), che provenivano dall'Oceanus Germanicus, nome che i Romani antichi assegnavano al Mare del Nord; 2) un altro ceppo proveniva dal Suevicum, il Mar Baltico; 3) la terza stirpe proveniva dal Cimbrico (lo Jutland danese) che, come gli Erminoni, si stanziarono sull'Elba, al centro del territorio della Germania odierna, fino al Danubio, loro  confine naturale. I popoli germanici erano chiamati dai Romani "Germani" poiché una delle prime tribù che conobbero e sconfissero si chiamava Jerman e proveniva dal Cimbrico (lo Jutland), scesa verso il Danubio superiore, ai confini dell'Impero romano, assieme a Suebi, Marcomanni, Cimbri, Ambroni e Teutoni.

- Mentre le popolazioni germaniche iniziano la loro calata verso sud, soggiogando e "germanizzando" le popolazioni celtiche che in precedenza abitavano l'Europa centro-orientale, le popolazioni celtiche della cultura di Hallstatt e di La Tène si diffondono in gran parte dell'Europa occidentale ed orientale influenzando, oltre all'area germanica, l'illirica, l'italica e l'ispanica. Il popolo dei Salassi,  appartenente alla cultura di La Tène, a seguito della loro espansione verso sud i Salassi giunsero nella valle della Dora Baltea e nel Canavese, zone scarsamente antropizzate, colonizzando l'intero territorio e fondando Eporedia (l'attuale Ivrea). La loro lingua ha lasciato tracce nel patois valdostano e nel canavesano di oggi e nei toponimi di Valle d'Aosta e Canavese. Si tratta soprattutto di espressioni legate alle attività quotidiane, come « Bletsé » (mungere), « Modze » (giovenca), « Barma » (riparo naturale sotto una roccia) e « Brèn » (crusca), che risalgono all'epoca precedente all'invasione romana. Allo stesso modo, molte parole che indicano elementi della natura si sono conservate come nel caso di « Brènva » (larice), « Daille » (pino silvestre), « Bèrrio » (grande roccia o grossa pietra). Molti toponimi hanno conservato la denominazione originale come per « Dora » (per la Dora Baltea, ma anche per il Buthier, due parole che risalgono alla stessa radice « dor »), « Bar », da cui Bard, Barbania, Bardonecchia (villaggio fortificato) e « Ussel » (altura). La religione dei Salassi era fondata sulla natura e sui suoi ritmi, era un popolo animista perché conduceva una vita in armonia con gli elementi naturali. Avevano un pantheon molto articolato che potrebbe essere interpretato come appartenente a una religione politeista. Al contrario i Salassi avevano un concetto del divino basato su tutti gli eventi naturali e sovrannaturali. In particolare sul Gran San Bernardo era venerato il dio Penn poi trasformato dai Romani in Giove Pennino. Penn è il nome di una divinità venerata dalle popolazioni liguri e dai Salassi. Si fa risalire il suo nome dal Monte Penna, situato nell'appennino ligure e compreso nel parco naturale regionale dell'Aveto, considerato dai Liguri come sede del dio. Penn significava altura, monte, da qui il nome di Appennini e Alpi Pennine. Ciò dimostra come sia stata tangibile la fusione delle culture di Celti e Liguri nella Gallia Cisalpina, visto anche che nell’antico dominio dei Liguri in Italia, Francia e Catalogna, i termini Balma/Alma o Bauma/Arma significano "grotta" e "riparo sotto-roccia".

- A seguito delle conquiste greche e romane la lingua greca e latina verranno parlate in tutta l'area del Mediterraneo ed oltre.

Ubicazione della Cultura celtica di Golasecca
con le varie genti Liguri, Celto-Liguri e 
Celtiche stanziate in quei territori.
Nel 700 a.C. - Per gli abitanti della Cultura celtica  di Golasecca, rispetto ai secoli precedenti, la situazione climatica era piuttosto migliorata, e a testimonianza di ciò apparvero complessi abitativi e necropoli lungo le due sponde del Ticino, allo sbocco nel lago Maggiore. Si suppone che quelle genti  controllassero la zona strategica che va dai passi alpini  che conducono dalle alte valli del Rodano e del Reno, seguendo le vie fluviali verso sud, fino al  Po. Tra gli scavi effettuati a Golasecca, Castelletto Ticino e Sesto Calende, spiccano due tombe a incinerazione databili al VII secolo a.C., la cui ricchezza principesca fuga ogni dubbio sul rango che dovevano detenere i guerrieri  all’interno della cultura di Golasecca. Infatti al loro interno sono stati ritrovati un carro a due ruote, un elmo e gambiere di bronzo, una spada e una lunga lancia di ferro con l’asta munita di tallone e situla di bronzo istoriata, un servizio da bevande, il cui bacile (il calderone dei Celti) spicca per importanza in quanto è decorato con una tecnica molto diversa da quelle utilizzate dai contemporanei etruschi e italici o veneti e differisce perfino dallo stile celtico hallstattiano; ciò  significa che tale opera va attribuita ad una produzione autoctona, in seguito esportata anche oltralpe. Non ci sfugge il fatto che nella cultura celtica, il secchio o calderone è uno dei 4 oggetti sacri della ruota celtica che indicano le direzioni, ed è stato rappresentato e riprodotto in squisite fatture, come il famoso calderone di Gandestrup. La principale caratteristica della decorazione del bacile di Golasecca, sta nel fatto che mentre nelle altre zone italiche si iniziava ad eseguire decorazioni in rilievo, mediante tratti continui, al fine di dare maggior contorno e realismo all’immagine, tecnica che caratterizzerà anche l’arte celtica lateniana, a Golasecca si utilizzava invece una tecnica che derivava direttamente dalla fine dell’età del bronzo, ovvero si rappresentavano  figure volutamente non realiste, mediante una serie di punti sbalzati dal rovescio.
Bacile in bronzo ritrovato a
Castelletto Ticino.
La volontà di non rappresentare figure simili alla realtà traspare anche dal fatto che tutte le rappresentazioni figurative sono in stile antropomorfo e questo non per incapacità o mancanza di originalità, ma per una precisa volontà. Un esempio per tutti è il bacile bronzeo ornato con leoni e persone alate ritrovato a Castelletto Ticino.
Stele di Bormio.
Esiste comunque una raffigurazione che consente di identificare l’aspetto dei celti di Golasecca, si tratta di una stele ritrovata a Bormio, (vedi figura "stele di Bormio") in Valtellina, estremamente importante sia perché è l'unico ritrovamento del suo genere, sia per la rappresentazione che fornisce e che si ricollega all'aspetto guerriero golasecchiano, dandoci possibili indizi sul perché sono state ritrovate solo due tombe del livello sopra descritto. In questa raffigurazione spicca un personaggio di faccia, coperto da un grande scudo e con in testa un elmo, che tiene in mano un’insegna militare, tale insegna è parallela ad una lancia che sta dietro un piccolo scudo rotondo e che potrebbe trattarsi di un trofeo. Tale personaggio potrebbe essere sia un capo militare, sia il Dio protettore del popolo, messo in una posizione che dà l’impressione di assistere ad una parata militare preceduta da trombettieri. Questa raffigurazione unita ai ritrovamenti nelle due famose tombe, possono significare che in alcuni momenti della loro storia, i Celti di Golasecca hanno avuto la necessità di formare un apparato militare; il carro a due ruote  (trainato quindi da cavalli) è un segno di questa urgenza, in quanto è databile al VII secolo a.C. mentre nel resto d’Europa si diffuse nel V secolo a.C. Una cosa è certa, nonostante in Italia la cultura di Golasecca sia ignorata, è stata invece un elemento fondamentale della cultura europea, ne ha  influenzato le mode e lo stile artistico. Lungo le vie commerciali che collegavano le due sponde delle Alpi, le creazioni golasecchiane si sono diffuse un po’ ovunque nel resto dell’Europa: Francia, Belgio, Renania e Boemia, soprattutto oggettistica di bronzo prodotta grazie sia alle materie prime che transitavano sul territorio golasecchiano (come lo stagno proveniente dalla Boemia e dalla Gran Bretagna), sia dalle materie prime estratte nelle Alpi, come il rame. La produzione bronzea era svariata, comprendeva recipienti, pendenti, oggetti ornamentali, porta fortuna e tutto ciò che col bronzo si poteva fare, oggettistica che si troverà frequentemente nelle tombe dei principi transalpini, insieme al carro a quattro ruote utilizzato per il trasporto del defunto, servizi per bevande con contenitori (calderoni) esageratamente grossi, fino alla capacità di 1.100 litri, come quello ritrovato a Vix.
Un’altro prodotto tipicamente golasecchiano è il Kline, un grosso letto in bronzo su cui veniva deposto il defunto, all’interno della tomba, tipo il famoso kline della tomba principesca di Hochdorf a Stoccarda.

La croce celtica con i 4 oggetti affini alle
direzioni cardinali (fra cui il calderone) e
gli alberi consacrati alle direzioni
intermedie.
I prodotti golasecchiani in bronzo non sono gli unici reperti che si possono trovare nelle tombe principesche transalpine, infatti parecchie ceramiche riferibili a Golasecca sono state trovate in importanti tombe in area francese, svizzera e tedesca, come ad esempio un caratteristico bicchiere decorato con motivi orizzontali rossi e neri.
Senza voler attribuire, in mancanza di prove concrete, la paternità della croce celtica a Golasecca, va detto però che una tipica decorazione della ceramica golasecchiana  consisteva nel stampigliare una croce inscritta in un cerchio, decorazione che nel VI secolo a.C. valicò le Alpi per diffondersi in Europa, dove i ritrovamenti di questo vasellame vanno dall’est della Francia fino alla valle del Danubio.
Dracma Padana. Le dracme d'argento padane furono coniate
dai Celti Cenomani della pianura padana, e il loro prototipo
fu la moneta di Marsiglia (l'antica Massalia fondata dai greci
di Focea), portata in Italia dai Celti che passarono le Alpi nel
 IV sec. a.C.: la cosiddetta "dracma pesante" di Marsiglia, in
argento (peso medio 3,74 grammi), che recava al diritto la testa
di Artemide, protettrice della loro città, e al rovescio un leone
che avanza ruggendo. Questa dracma, emessa nel 390-386 a.C.,
 ha in una faccia la rappresentazione di un gambero di fiume, e
sembra derivare dalle monete in argento dello stesso periodo
 della città greca di Elea/Velia, in Magna Grecia (a sud di
Poseidonia/Paestum), fondata anch'essa dai Focei, forse per
il pagamento dei mercenari celti, reclutati nell'entroterra di
Marsiglia o nell'Italia settentrionale, al servizio della stessa
Massalia. Al loro ritorno in Italia i mercenari celti avrebbero
portato con sé le dracme del loro compenso.
Non solo l’oggettistica golasecchiana si diffonde in Europa, ma anche le tecniche stilistiche, come nel caso dei vasi stampigliati ritrovati in Armonica (la Bretagna francese) nel VI secolo, luogo in cui non vi sono dei precedenti, che al contrario abbondano in nord Italia.
Ciò può spiegare come l’oggettistica sia arrivata in quelle zone tramite i movimenti commerciali fatti dai golasecchiani, i quali dovevano procurarsi lo stagno proveniente dal nord, commercio che porterà tre secoli più tardi al ritrovamento di dracme padane in Cornovaglia  (per le dracme padane vedi il 390 a.C.).
Che questo tipo di oggetti fossero il motivo trainate di questi commerci e delle conseguenti esportazioni stilistiche, si evince dal fatto che contemporaneamente alla stampigliatura armoricana, compare in Boemia la ceramica decorata a traslucido, una novità per il posto ma già ben conosciuta e diffusa a Golasecca; e la Boemia è un’altra zona stannifera, di vitale importanza per la produzione del bronzo.
La ceramica stampigliata influenzerà nel V secolo a.C. la cultura lateniana, dove tale tecnica verrà adottata diventandone un fattore tipico. Le stesse decorazioni: esse, cerchi, croci e più raramente motivi vegetali e animali, la loro posizione ed i punzoni utilizzate non lasciano dubbio che la matrice originaria era Golasecca. Dal Blog "Sanremo Mediterranea": per il post "Dal Ligure al Celtico, dagli antichi alfabeti dell'Italia Settentrionale al Runico" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: dai Primordi ai Megaliti" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: Alleanza e fusione con i Celti", clicca QUI. Vedi anche: http://culturaprogress.blogspot.it/2014/12/la-cultura-di-golasecca.html.

Le prime culture celtiche apparse in Europa:
Golasecca nel XII sec. a.C., Hallstatt dal VII sec.
a.C. e La Tène, dalla metà del V sec. a.C.
 
Primi insediamenti europei dei Celti: la cultura
di Golasecca, la cultura orientale di Hallstatt, a
sud del Danubio e la cultura occidentale
di La Tène, nell'attuale Svizzera.
- In Europa centrale, nella zona del Salzkammergut (Salisburgo e Carinzia, nell'odierna Austria) dal 700 a.C. fino al 450 a.C., si sviluppa la Cultura Celtica di Hallstatt, resa fiorente dal commercio del sale e dalla produzione e commercializzazione di oggetti in ferro. La Cultura Celtica si basava prevalentemente su tre classi sociali:
Ogham su pietra, da
Carn Enoch, Galles, UK.
- la sacerdotale (druidica), che conservava e tramandava solo oralmente, la memoria collettiva
- l'aristocrazia guerriera dedita alle armi e alla caccia,
- la terza, il popolo - A seguito delle conquiste greche e romane la lingua greca e latina verranno parlate in tutta l'area del Mediterraneo ed oltre.

- la terza, il popolo, dedito  alla lavorazione dei metalli e all'allevamento di cavalli e suini.
OGHAM, l'alfabeto celtico. Ogni OGHA, simbolo-lettera,
è l'iniziale di un albero-pianta, un uccello e un colore, con
i nomi in gaelico: inoltre qui indichiamo la corrispondenza
con il calendario arboricolo proposto da John King.
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L’incontro dei Celti con i Greci ebbe poi un grande valore culturale, perché diffuse nell’Europa celtica la scrittura alfabetica, anche se i Celti avevano un loro sistema di scrittura, l'ogham, l'alfabeto celtico,  che veniva usato esclusivamente dai druidi, e solo nei rituali sacri. Fra i Celti, la conoscenza veniva tramandata nella classe sacerdotale solo oralmente, affinché non si perdesse la memoria, che veniva esercitata nella conoscenza mnemonica delle Triadi Bardiche.
Per "Celti: storia e cultura" clicca QUI, per "Croce Celtica" clicca QUI, per "Ogham: la scrittura rituale degli antichi Celti" clicca QUI.

Cartina dell'antica Lidia nel 700 a.C.
In Europa compaiono le prime monete. Secondo Erodoto, i Lidi furono il primo popolo ad introdurre l'uso di monete d'oro e d'argento e il primo a stabilire negozi per la vendita al minuto in località permanenti. Non è chiaro, tuttavia, se Erodoto volesse significare che i lidi fossero stati i primi a introdurre monete di oro e argento puro o in generale le prime monete in metallo prezioso. Nonostante l'ambiguità, questa asserzione di Erodoto vale come attestazione spesso citata a favore del fatto che i lidi avessero inventato la monetazione, almeno in occidente, anche se le prime monete non erano soltanto d'oro o d'argento, ma costituite da una lega dei due metalli.
Antiche monete della Lidia.
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La datazione di queste prime monete coniate è uno degli argomenti dell'antica numismatica dibattuti più frequentemente, con date che vanno dal 700 a.C. al 550 a.C., ma la considerazione tenuta più comunemente è che esse fossero state coniate all'inizio (o quasi) del regno di re Aliatte (talvolta riferito in modo non corretto come Aliatte II), che governò la Lidia tra il 610 e il 550 a.C.. Il figlio di Aliatte fu Creso, che divenne sinonimo di ricchezza, e la città in cui risiedeva era Sardi, rinomata come bellissima città. Intorno al 550 a.C., all'inizio del suo regno, Creso finanziò la costruzione del tempio di Artemide  (l'Artemision) a Efeso, che divenne una delle Sette meraviglie del mondo antico. Creso venne sconfitto in battaglia da Ciro II di Persia nel 546 a.C., per cui il regno lidio perdette la sua autonomia diventando una satrapia persiana, di cui il capoluogo era Sardi. Fondamentale per la datazione delle prime monete, è stato il ritrovamento di due depositi monetali durante gli scavi condotti all'inizio del secolo scorso nell'Artemision di Efeso, il tempio fatto costruire da Creso. Il loro occultamento viene oggi messo in relazione con lavori di ristrutturazione del santuario, effettuati nel 560 a. C. L'introduzione delle monete in elettro sembra pertanto da porsi agli inizi del VI secolo a. C. Datazioni più alte, propongono, invece, l'ultimo terzo del VII a.C. Nel mondo greco il ricorso all'oro per la coniazione di monete è piuttosto raro. Il primo utilizzo di questo metallo, sotto forma di una lega di oro e d'argento, chiamata "elettro" o "oro bianco", coincide, però, con l'introduzione della moneta stessa in Occidente, in una zona geograficamente prossima al regno di Lidia. La monetazione in elettro, battuta essenzialmente secondo uno standard "lidio-milesio", comprende lo statere (di circa 14,1 grammi, anche se le più grandi di queste monete sono comunemente riferite come 1/3 di statere, trite, del peso di circa 4,7 grammi, e nessuno statere intero di questo tipo sia mai stato trovato ) e alcune sue frazioni, fino a 1/96.
Scultura che ben rappresenta
lo stato d'animo della schiavitù.
Busto noto come Pseudo Seneca,
uno dei tanti custoditi nel museo
archeologico di Napoli, parte di
una serie di ritratti immaginari, a
volte identificati con Lucrezio,
raffiguranti il poeta Esìodo.
Gli esemplari possono avere entrambi i lati lisci, oppure striature su una delle facce, o anche raffigurazioni di animali o di protomi su un lato e il marchio di uno o due punzoni, il cosiddetto "quadrato incuso", sull'altro. Le monete della Lidia venivano stampate con una testa di leone decorata con ciò che è probabilmente un raggio di sole, simbolo del re.
L'assegnazione a zecche specifiche risulta spesso problematica.
L'alto valore delle diverse denominazioni indica un loro uso nel corso di transazioni economiche di livello piuttosto elevato. L'introduzione del denaro favorì il commercio di schiavi. L'antica Grecia diventò perciò la prima società schiavistica della storia, dove nacque una forma di schiavitù in cui gli uomini erano beni mobili, ridotti al rango di merce: comprati, venduti e trattati come bestie.
Carta con parte dell'antica Ionia
con Sardi, Efeso e l'isola di Chio.
L'invenzione della schiavitù-merce si deve a Chio, città di un'isola posta a ridosso della costa occidentale dell'attuale Turchia, nell'arcipelago delle Sporadi. Lo storico Teopompo, nativo dell'isola, afferma infatti: "Gli abitanti di Chio furono i primi tra i greci, dopo i Tessali e i Lacedemoni, a servirsi di schiavi. Ma essi non se li procuravano allo stesso modo di questi ultimi, perché i Lacedemoni e i Tessali hanno tratto i loro schiavi dai Greci che precedentemente abitavano il territorio che essi conquistarono, e li chiamarono rispettivamente iloti e penesti, mentre gli abitanti di Chio possedevano schiavi barbari che avevano acquistato.

Alfabeto di
Lugano o
Lepontico.
Lepontii erano una delle diverse tribù celtiche indigene delle Alpi, distinta da quei Galli (come i Boi) che invasero la pianura padana in tempi storici. La lingua leponzia (o più recentemente anche lepontico) era la loro lingua, ora estinta, parlata fra il 700 a.C. e il 400 a.C. La lingua è conosciuta solo attraverso alcune iscrizioni che furono redatte nell'alfabeto di Lugano, da alcuni chiamato anche alfabeto Etrusco settentrionale, una delle cinque principali varietà di alfabeto italico settentrionale. Queste iscrizioni furono scoperte nell'area intorno a Lugano, comprendente anche il Lago di Como e il Lago Maggiore. Il raggruppamento di tutte queste iscrizioni in una singola lingua definita "celtica" è discusso: alcune (specialmente le più antiche) vengono considerate scritte in una lingua non-celtica affine al ligure (Whatmough 1933, Pisani 1964). Scritture simili furono usate per il retico, il venetico e le rune germaniche, che probabilmente derivano da una scrittura appartenente al gruppo degli alfabeti nord-italici. Da http://menhir-ticino.webs.com/alfabetoliticolugano.htm.

Stele di Prestino con iscrizione nei caratteri dell'alfabeto di Lugano.
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Alfabeto Etrusco
Settentrionale.
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Il Lepontico apparterrebbe quindi ad uno strato linguistico proto-celtico e pre-gallico, ovvero anteriore all'invasione gallica del 388 a.C. e dalle recenti ricerche individuato come una componente del ligure, che viene così a perdere il carattere sostanzialmente indoeuropeo a lungo attribuitogli: Ligure e Leponzio farebbero parte di un area linguistica caratteristica dell'Italia nord-occidentale da inserire nel più vasto quadro della famiglia delle lingue proto-celtiche. A sostegno di questa ipotesi, la migliore testimonianza ci è data dalla famosa stele di Prestino, sede dell'antica Comum (Como), in cui si legge: “UVAMOKOZIS PLIALE U UVLTIAUIOPOS ARIUONEPOS SITES TETU”. 
Alfabeto tartessico,
dell'antica Tartesso.
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Interpretando queste frasi con la fonetica del linguaggio ligürü = lingua o gergo degli antichi Liguri, (i Liguri si esprimevano in una lingua comune risalente al proto-iberico centrale, e sia la fonetica che la scrittura erano espresse dall'alfabeto di Tartesso, sulla foce del Guadalquivir in Spagna, nei pressi dell'attuale Siviglia) si potrebbe dedurre, capire od interpretare due degli etimologhi come nomi di dei o divinità: UVLTIAUIOPOS e ARIUONEPOS. Si deve pensare che il settentrione italico era abitato da popolazioni di ceppo ligure, come gli Euganei, gli Stoni, i Trumplini e i Camuni, e si ipotizza che le lingue dei popoli retici, avessero una base comune non indoeuropea ma, come nel caso dei Leponti, Ligure, sulla quale si è innestato un ceppo di derivazione etrusca.
L'antico linguaggio dei Liguri, che è stato la matrice di quello dei Baschi, ha forgiato anche il proto-celtico dell'Italia settentrionale, fra cui il lepontico, e in tempi successivi la langue d'oc, il catalano e il provenzale.
Dal Blog "Sanremo Mediterranea", per il post "Dal Ligure al Celtico, dagli antichi alfabeti dell'Italia Settentrionale al Runico" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: Alleanza e fusione con i Celti" clicca QUI.

Gli Stoni o Stoeni, in letteratura detti anche Stini o Steoni, furono un popolo dell'Italia antica, sottoclasse  degli Euganei (che erano Liguri Ingauni), stanziato nel sud delle Alpi, nell'area geografica della Valle del Chiese, Valli Giudicarie in Trentino e della Val Sabbia e Val Vestino in provincia di Brescia. Il loro villaggio-capitale era Stonos che per alcuni ricercatori, tra questi Federico Odorici e Scipione Maffei, corrisponderebbe all'attuale Vestone, mentre per altri a Storo o a Stenico. Dal nome del popolo degli Stoni deriva lo stesso toponimo di Vestone, ma anche Bostone, monte Stino e Val Vestino.

Carta con gli insediamenti degli Euganei, Carni, Veneti
(Venetici), Reti, Camuni, Leponzi e Cenomani.
I Camuni erano una popolazione che abitava l’attuale Val Camonica, sottomessa dai Romani nel 16 a.C. con la spedizione militare di Publio Silio contro le popolazioni alpine. Il loro nome appare per secondo, subito dopo quello dei Trumplini, tra le "gentes Alpinae devictae" nell’iscrizione del Tropaeum Augusti a La Turbie, presso il principato di Monaco, il cui testo è riportato integralmente da Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 134). I "Camunni" erano considerati, insieme ai "Trumplini" e agli "Stoeni", questi ultimi abitanti delle Giudicarie, “gentes Euganee” da parte di Plinio poiché così era stato riportato da Catone (Nat. hist., III, 133-34), mentre Strabone (IV, 206) li considera di stirpe retica. Dal punto di vista archeologico, la Val Camonica appare durante la seconda età del Ferro (V-I sec. a.C.) al centro di un’area culturale, comprendente anche la Valtellina, la Val Trompia, la Val Sabbia e le Giudicarie, caratterizzata dalla ceramica tipo Breno-Dos dell’Arca, il cui tipo più significativo è una foggia di boccale a base svasata e con parete piatta o rientrante dalla parte dell’ansa, e da iscrizioni su ceramica e pietra in alfabeto di Sondrio, il significato delle quali rimane ancora oggi del tutto oscuro.
Alfabeto
camuno, o
di Sondrio.
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Con l’alfabeto retico di Bolzano, quello di Sondrio o Camuno condivide l’assenza della vocale o, come nell'Etrusco. Pur presentando aspetti comuni o affini, in questo periodo il territorio della cultura tipo Breno-Dos dell’Arca si differenzia in maniera precisa dall’area culturale di Fritzens- Sanzeno, che certamente corrisponde al Paese dei Reti. È probabile quindi che la notizia di Plinio sia quella giusta e che la cultura tipo Breno-Dos dell’Arca debba essere attribuita agli Euganei. Per quanto riguarda la prima età del Ferro, l’estrema lacunosità delle fonti non consente di delineare un quadro culturale preciso. Gli oggetti sporadici, per lo più di bronzo, mostrano affinità con i tipi diffusi nell’ambiente alpino centro-orientale, in particolare nell’area culturale di Luco e Meluno. I riti funerari sono scarsamente conosciuti. I pochi documenti, come la piccola necropoli di Breno del V-IV sec. a.C., alcune tombe di Castione della Presolana e due tombe di Capo di Ponte del I sec. a.C. - I sec. d.C. attestano il rito dell’inumazione. La documentazione più importante per conoscere la civiltà dei Camuni dell’età del Ferro è senza dubbio l’arte rupestre della Val Camonica. Il IV stile copre tutto l’arco cronologico dell’età del Ferro e si può suddividere in cinque fasi: IV-1, caratterizzata da uno stile geometrico-lineare e databile all’VIII sec. a.C.; IV-2 o stile protonaturalistico, databile al VII-VI sec. a.C.; IV-3 o stile naturalistico (V-IV sec. a.C.); IV-4 (IVIII sec. a.C.) e IV-5 o stile decadente, databile al II-I sec. a.C. I principali soggetti raffigurati sono scene di caccia al cervo da parte di cavalieri armati di lancia e con l’ausilio dei cani, scene di duello, scene di parate militari con esibizione delle armi e della virilità e inoltre raggruppamenti di capanne, scene di attività artigianali (fabbro, tessitura), composizioni di armi, motivi simbolici (impronte di piedi, figure di palette, labirinti, la “rosa camuna”), iscrizioni. Dopo la conquista romana, la tribù dei Camuni fu attribuita probabilmente a Brescia. Il capoluogo della valle prese il nome di Civitas Camunnorum, centro che gradualmente assimilò il modello urbano romano, con un’area pubblica destinata ad accogliere terme, teatro e anfiteatro, quest’ultimo scoperto nel 1984-85. Nella vicina Breno, nel corso del 1986, è stato scoperto un santuario dedicato a Minerva, che ha restituito una statua della dea di marmo di Carrara. A seguito della conquista romana i Camuni adottarono gli usi romani anche nel campo dei riti funerari e si diffuse quindi la cremazione. Necropoli a cremazione sono state scoperte a Breno, Cividate Camuno e Borno.

Carta con i territori dei Leponzi, Trumplini, Tridentini, Stoni, Euganei,
Reti, Vindelici, il Norico; le Alpi centrali e orientali con i territori limitrofi.
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Reti, antica popolazione stanziata nelle Alpi centro-orientali, erano inseriti nel contesto culturale di Fritzens-Sanzeno, che aveva come epicentro il Trentino e il Tirolo, sviluppandosi fino all'Engadina, nel Canton Grigioni, in Svizzera. Secondo lo storico romano Plinio il vecchio essi erano divisi in vari gruppi, riconducibili però a una unica entità etnico-culturale di origine etrusca; la molteplicità delle comunità pone serie difficoltà agli studiosi nel delineare con precisione l'area da loro occupata. A seguito della conquista dell'arco alpino effettuata sotto l'imperatore Augusto tra il 15 e il 16 a.C. i popoli retici furono sottomessi a Roma, e successivamente inseriti nella provincia di Rezia. Lo storico latino Plinio il Vecchio (23 - 79 d.C.) fa derivare il nome Reti dal re eponimo "Reto", comandante delle popolazioni etrusche che, stanziate nell'area padana, furono costrette a riparare sui monti alpini dall'arrivo dei Galli. Secondo lo storico latino Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C.) i Reti discenderebbero dagli etruschi, ritirati sull'arco alpino a seguito delle invasioni celtiche nel nord Italia. Il primo uso del termine "retico" risale a Catone il censore (234-149 a.C.), che lo utilizzò per descrivere un vino pregiato. Lo storico greco Strabone (58 a.C. - 25 d.C. circa) descrive i Reti associandoli ai Vindelici, collocandoli tra Elvezi e Boi sopra "Verona e Como"; precisa inoltre che alla "stirpe retica" appartengono sia i Leponzi che i Camuni: « Vi sono poi, di seguito, le parti dei monti rivolte verso oriente e quelle che declinano a sud: le occupano i Reti e i Vindelici, confinanti con gli Elvezi e i Boi: infatti si affacciano sulle loro pianure. Dunque i Reti si estendono sulla parte dell'Italia che sta sopra Verona e Como; e il vino retico, che ha fama di non essere inferiore a quelli rinomati nelle terre italiche, nasce sulle falde dei loro monti. Il loro territorio si estende fino alle terre attraverso le quali scorre il Reno; a questa stirpe appartengono anche i Leponzi e i Camunni. I Vindelici ed i Norici invece occupano la maggior parte dei territori esterni alla regione montuosa, insieme ai Breuni e ai Genauni; essi appartengono però agli Illiri. Tutti questi effettuavano usualmente scorrerie nelle parti confinanti con l'Italia, così come verso gli Elvezi, i Sequani, i Boi e i Germani. Erano considerati più bellicosi dei Vindelici i Licatti, i Clautenati, e i Vennoni; dei Reti i Rucanti e i Cotuanti. » (Strabone, Geografia, IV, 6.8).
Nel libro VII, sempre Strabone descrive il territorio dei Reti, che si trova a cavallo delle Alpi tra il lago di Costanza e le terre degli Insubri in Italia: « I Reti toccano per poca parte col loro territorio il lago (Lago di Costanza), mentre la maggior parte ricade sotto gli Elvezi, i Vindelici e il gruppo dei Boi. Tutti, fino ai Pannoni, ma in special modo Elvezi e Vindelici, abitano gli altipiani. I Reti ed i Norici si estendono dai passi delle Alpi fino verso l'Italia, confinando i primi con gl'Insubri, i secondi con i Carni e le terre d'Aquileia. » (Strabone, Geografia, VII, 1.5). Lo storico latino Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua Storia naturale ricorda che "Feltre, Trento e Belluno sono centri dei Reti, e Verona è dei Reti e degli Euganei; « Con loro (i Norici) confinano i Reti e i Vindelici, tutti divisi in molte comunità. Si ritiene che i Reti, discendenti degli etruschi, condotti da Reto, furono scacciati dai Galli. » (Plinio il Vecchio, "Naturalis historia", III, 133). Durante l'età del ferro, soprattutto dal VI secolo a.C., si afferma nell'area tra il Tirolo ed il Trentino la cultura di Fritzens-Sanzeno, che perdurerà fino alla conquista dell'area da parte di Roma, nel I secolo a.C., che segnerà appunto la fine di quell'epoca. Dal VI secolo a.C. si segnala anche una significativa influenza etrusca nel nord-Italia, ponendosi di fatto come cultura mediatrice tra le popolazioni mediterranee e quelle transalpine. Il territorio della valle dell'Adige si presentava come la via più breve per giungere oltralpe, attraverso i due passi della Resia e del Brennero. Tra la fine del V e l'inizio del IV secolo popolazioni celtiche si insediano nella pianura Padana; tra i vari gruppi quello dei Celti Cenomani s'inserisce tra il fiume Oglio ed Adige, sostituendo gli etruschi nei traffici con i Reti.
Alfabeti retici di
Magrè e Bolzano.
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Nelle antiche descrizioni i Reti appaiono come un popolo selvaggio portato alla guerra, che non perdeva occasione per effettuare scorrerie ed attacchi verso i fondovalle già romanizzati. D'altro lato essi stessi erano visti come un ostacolo al transito tra i versanti nord e sud delle Alpi, in quanto obbligavano al pagamento di pedaggi e assalivano convogli. Si suppone che queste descrizioni siano state volutamente enfatizzate per giustificare la conquista delle Alpi da parte dei romani. I siti archeologici più importanti sono Sanzeno e Mechel in val di Non, il Doss Castel, il castelliere sul Col de Pigui nei pressi di Mazzin, e Laives: per tali insediamenti è possibile parlare di strutture protourbane. Si definisce Cultura di Fritzens-Sanzeno la cultura materiale retica, che prende il nome da queste due località (l'una nella valle dell'Inn e l'altra in Val di Non), che andò a sovrapporsi alle precedenti Cultura di Luco-Meluno e cultura di Hallstatt. La scrittura retica, la cui comparsa è collocata attorno al 500 a.C., presenta un forte influsso etrusco, se non una vera e propria derivazione. Analizzando numerose iscrizioni rinvenute nel territorio retico, sono state distinte quattro varianti grafiche: gli alfabeti di Lugano, Sondrio-Valcamonica, Bolzano-Sanzeno e Magrè. Nel caso dell'alfabeto di Lugano è stata notata una parentela con il celtico. Per l'alfabeto di Bolzano-Sanzeno e Magré è importante notare, come nell'Etrusco, l'assenza della vocale "o". I Reti, sebbene con modalità diverse e più articolate, condivisero con i Venetici l'adozione dell'alfabeto etrusco. Un'ipotesi è che le lingue dei popoli retici, avessero una base comune non indoeuropea ma, come nel caso dei Leponti, Ligure, sulla quale si è innestato un ceppo di derivazione etrusca. Nel 1960 Osmund Menghin ha avanzato l'ipotesi che i Reti non fossero una popolazione, quanto invece un "gruppo di culto", a cui si associa, per assonanza, il culto della divinità Reitia. A proposito delle divinità dei Reti è immediato il riferimento innanzitutto alla dea Reitia che veniva venerata nel santuario di Baratela a Este, nei pressi di Padova, un centro della cultura venetica. Nato alla fine del VII secolo a.C., sotto l'influsso religioso etrusco, fu frequentato fino al II-III secolo d.C. Si presume che Reitia non fosse il nome proprio della divinità, ma un attributo caratteristico di una dea, che presenta molti tratti in comune con la dea greca Artemide-Diana e che sarebbe concepibile come dea madre della fertilità, della guarigione e dell'al di là.
Statuetta della dea Reitia.
Difficile dire se le figure femminili stilizzate, le cui braccia terminano con una testina di cavallo o di uccello, rappresentino la dea Reitia. Altrettanto problematico è appurare se le popolazioni alpine siano state denominate Reti proprio in base alla loro venerazione per la dea Reitia. In ogni caso nell'età Romana è epigraficamente documentata in Valpolicella la presenza di un sacerdote che presiedeva ai "riti Reitiae" (riti della dea Rezia). A Sesto alcune iscrizioni menzionano la divinità Ierisna, simile ad Era o ad una dea delle stagioni e dei prodotti della terra.

Alfabeto d'Este
o Venetico.
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- I Veneti antichi, o Venetici,  per scrivere la loro lingua avevano adottato l'alfabeto chiamato d'Este. La civiltà o cultura Atestina o d'Este è una testimonianza dell'antica popolazione dei Venetici (Veneti) nell'Italia protostorica, diffusa nell'attuale territorio del Veneto e sviluppatasi tra la fine dell'età del bronzo (X-IX secolo a.C.) e l'età romana (I secolo a.C.) e derivata dalla precedente e più estesa cultura protovillanoviana. L'economia era fondata sull'agricoltura, l'allevamento delle pecore, la pesca in acqua dolce. Si praticavano scambi con la regione villanoviana e l'Etruria, la Slovenia, il Tirolo e la regione hallstattiana.
Cavallo dei Veneti.
Il cavallo, chiamato Ekvo dai Veneti antichi, animale-totem della protostoria dell'Europa, giocò nella loro cultura un ruolo di prim'ordine. Questi animali erano allevati per la loro valenza economica e come simbolo di predominio aristocratico e militare. I cavalli dei Veneti erano noti per la loro abilità nella corsa ed erano spesso riprodotti negli ex voto, nelle aree più sacre. Centinaia di bronzetti a forma di cavallo o di cavaliere su cavallo provengono dai luoghi di culto dei Veneti. Al cavallo erano riservati appositi spazi di sepoltura nelle necropoli, e compare in vari manufatti come immagine simbolica o elemento decorativo.

Dal 683 a.C. - Inizia in Grecia l'età dei tiranni (700 - 500 a.C. circa). Alcuni tiranni furono buoni governanti, come Periandro a Corinto, Gelone a Siracusa e Policrate a Samo. Fiorisce la cultura grazie all'introduzione della scrittura, e vengono fissati per iscritto i poemi di Omero e di Esiodo. Probabilmente Omero non era un solo poeta, ma un gruppo o una scuola di cantori che conservavano la memoria storica della cultura greca antica. Analizzando la costruzione di Iliade e Odissea, composta molto tempo dopo, ci si rende conto che non possono essere state scritte dalla/e stessa/e persona/e e nella stessa epoca.
Nasce la filosofia nella Ionia (Talete, Anassimandro, Anassimene), si affermano poeti lirici (Archiloco, Tirteo, Alceo) e il Santuario di Delfi acquisisce rinomanza universale. Dall' VIII al VI secolo Atene e Sparta si affermano come i centri più importanti, ciascuna riunisce diverse città vicine in lega, Atene con modalità persuasive, Sparta con modalità coercitive.
Sparta vige un regime oligarchico: due re e un consiglio consultivo, la Gherusia, di 28 anziani.
Ad Atene la monarchia è abolita dall'inizio del VII secolo e vi si instaura un regime tirannico che trova riscontro anche in altre città greche, come Corinto. Il governo è affidato a nove arconti con carica annuale, coadiuvati dall'areopago, consiglio di ex arconti.
Pallade Atena, la Dea
Vergine, con lancia e
l'"Egida", l'elmo
Nella mitologia greca la Dea Atena, figlia di Zeus, era la dea della sapienza, della saggezza, della tessitura, delle arti e degli aspetti più nobili della guerra. Con Atena è presente un gufo o una civetta, indossa una corazza d'oro ed ha uno scudo rivestito di magica pelle di capra chiamata Egida, (la capra che l'ha allattata). Spesso è accompagnata dalla dea alata della vittoria: Nike. Quasi sempre viene rappresentata mentre porta un elmo ed uno scudo con appesa la testa della Gorgone Medusa, dono votivo di Perseo. Non ebbe mai alcun marito od amante, e per questo era conosciuta come Athena Parthenos (La vergine Atena), da cui il nome del più famoso tempio a lei dedicato, il Partenone sull’acropoli di Atene.
Carta del Caucaso secondo le fonti letterarie grecoromane.
Le Amazzoni sono poste nella parte più settentrionale
della Sarmazia asiatica. La carta mostra anche l'ubicazione
dell'Albania caucasica, della Scizia e della Palude Meote:
tutti luoghi variamente citati dagli autori classici come
patria delle Amazzoni. 
Dato il suo ruolo di protettrice di questa città, è stata venerata in tutto il mondo greco anche come Athena Polis (Atena della città). Il suo rapporto con Atene era davvero speciale. Narra la leggenda che Poseidone propose agli ateniesi l'invincibilità in guerra, in terra e in mare, se gli avessero intitolato la città, e invece Atena, donando l'ulivo, promise la saggezza in cambio di una dedica a lei: gli ateniesi la scelsero. 
Franz von Stuck: "Amazzone ferita"
(1903).
Le donne guerriere ed eroiche sono sempre esistite, fin dalle Amazzoni (della Scizia) e dalla loro regina Pentesilea, che sfidò Achille e ne fu sconfitta. Per non essere da meno dei Greci, i Latini cantarono nell’Eneide virgiliana le gesta di Camilla, un’altra eroina che ebbe la sfortuna di trovarsi dalla parte sbagliata.

Carta del 100 a.C. con la Scizia
e la Sarmazia, oltre alla Partia.
- I Sàrmati (Sarmăti, Sauromăti) furono una popolazione di schiatta iranica affine agli Sciti. Erodoto conosce i Sauromati abitanti la Russia meridionale a oriente del Don. La leggenda greca li considerava nati da Sciti e da Amazzoni, e in tal modo spiegava l'affinità con gli Sciti e le abitudini guerriere delle donne.La tribù più importante e forse più ellenizzata sembra essere stata quella degli Iazamati, già ricordata in Ecateo. Dalla seconda metà del sec. IV a. C. si hanno le prime tracce dei Sàrmati, che diventano però chiare solo nel sec. II a. C.: Polibio testimonia un regno di Sàrmati per il 179 a. C. fra il Don e il Dnepr. Degli antichi, alcuni tengono distinti i Sàrmati dai Sauromati, i più li identificano. Le moderne ricerche dimostrano che i Sàrmati sono una popolazione ugualmente iranica venuta a sovrapporsi ai Sauromati per una lenta emigrazione dal centro dell'Asia: resta incerto se la sostanziale comunanza di nome sia comprova dell'affinità originaria o derivi dalla più tarda sovrapposizione; ed è pure incerto se taluno dei gruppi di tribù, in cui i Sàrmati si suddividevano, possa più direttamente ricollegarsi con i Sauromati (si allude in special modo agli Iazigi in confronto ai citati Iazamati). Alla fine del sec. II a. C. all'incirca, gli Iazigi erano già arrivati tra Dnepr e Danubio, i Rossolani tra Don e Dnepr, dove ebbero poi da combattere con Mitridate Eupatore: gli Sciti di queste regioni erano in parte assimilati, in parte fatti schiavi, o circoscritti in taluni territori (per es., Crimea). I Sàrmati furono un popolo iranico e quindi, come gli Sciti, facevano parte della famiglia linguistica iranica (indoeuropea). Aperti alla cultura e alla religione persiana, si dividevano probabilmente in quattro tribù: IazigiRoxolani (o Rossolani), Aorsi e Alani. Essi in origine abitavano le steppe lungo il Volga, le regioni pedemontane degli Urali meridionali e la steppa del Kazakistan occidentale. Nei loro territori d'origine essi si scontrarono con i Battriani, i Parti e i Sogdiani. In diversi periodi e a diverse ondate essi si spinsero verso occidente.

Nel 682 a.C. - In Grecia, Terpandro inizia l'arte del canto con l'accompagnamento musicale. 
Ad Atene gli incarichi dei 9 arconti, tutti di estrazione nobiliare, diventano annuali. I tre arconti più in vista, oltre ai sei tesmoteti, erano: l'arconte eponimo, l'arconte re (capo religioso) e l'arconte polemarco (capo militare).

Verso la metà del VII secolo a. C. i greci di Cuma fondarono Partenope (Παρθενόπη), sull'isoletta di
Megaride (oggi Castel dell'Ovo) e sul promontorio di Pizzofalcone.

Carta dell'Illira nel 650 a.C..
Nel 650 a.C. - Fra il VII e VI sec. a.C. si forma la struttura politica degli Illiri. Artigiani eccellenti del metallo e guerrieri feroci, gli Illiri hanno basato i loro regni sulla guerra ed hanno combattuto fra di loro per la maggior parte della loro storia. Hanno generato e sviluppato la loro cultura, lingua e caratteristiche antropologiche nella zona occidentale dei Balcani, come menzionano scrittori antichi . Le regioni che gli Illiri hanno abitato includono l'intera penisola balcanica occidentale, il nord ed Europa centrale, il sud fino al golfo di Ambracian (Preveza, Grecia) e l'est intorno al lago Lyhnid (lago Ohrid). Altre tribù di Illiri, inoltre, migrarono e si sono stabilirono in Italia, nell'attuale Puglia; fra di loro vi erano i Messapii e gli Iapigi. Il nome “Illiria„ è menzionato dal quinto secolo a.C. mentre alcuni nomi di tribù risalenti al dodicesimo secolo a.C. sono citate da Omero. La formazione etnica degli Illiri ha luogo entro il quindicesimo secolo a.C., da metà dell'eta del Bronzo, ed avevano ereditato le loro caratteristiche antropologiche e lingua dall' età Neolitica. Dall'età del ferro, gli Illiri erano completamente caratterizzati. Alcuni studiosi Albanesi sostengono che dai Pelasgi sono derivati Tirreni ed Etruschi oltre a Illiri e Albanesi, e che i linguaggi di questi popoli sono quindi affini: Pausania (Arcadia, Libro VIII, 1,4,6) scrive: “Gli Arcadi dicono che Pelago fu il primo a nascere nella terra dell’Arcadia. Dato che Pelago divenne re, il paese si chiamò Pelasgia in suo onore”. Pindaro (Carminia, Fragmenta Selecta, I, 240) scrive: “Portando un bel dono, la Terra fece nascere per primo l’essere umano nell’Arcadia, il Divino Pelasgo, molto prima della luna”. I discendenti dei Pelasgi chiamarono ILIRIA (ILLYRIA per i Romani) la loro nuova patria: LIRI (LIR=libero), che voleva dire: “Il Paese del popolo libero”, paese che si estendeva dal Mediterraneo fino al Danubio. Parole con la radice Lir, ne troviamo con lo stesso significato nelle seguenti lingue: Pelasgo-illirico(liri), Etrusco(liri), Albanese odierno(liri), Italiano(libertà), Francese(libertè), Latino(libertas), Inglese(liberty), Spagnolo(libertad), Romeno(libertade), Portoghese(liberdade). In italia, e precisamente nel Lazio, esiste il monte Liri, nonché il fiume Liri, e Fontana Liri. Questo nome è stato conservato durante i secoli nei vari paesi Europei Mediterranei, molto probabilmente attraverso la “irradiazione” delle varie tribù illiriche, come gli Etruschi, i Messapi, i Dauni, i Veneti, i Piceni, ecc. Ognuno di questi nomi ha un significato nella lingua Albanese: E TRURIA (E= di, TRURIA= cervello, paese di gente con cervello), MESSAPI (MES=ambiente, centro, HAPI= aperto, paese di gente aperta), DAUNI (dauni, separati, separatevi), VENETI (nome derivante dalla dea VEND, patria, luogo per eccellenza), PICENI (PI=bere, KENI=avete, luogo con acqua abbondante). Il nome Pelasgi si può riferire alla parola Albanese PELLG (mare profondo), come in italiano “pelago”. In generale, le iscrizioni più antiche si presentano formulate da destra a sinistra e continuando talvolta da sinistra a destra, cioè in forma bustrofedica, e spesso senza interruzione tra una parola e l’altra".

- Durante il VII secolo a.C., ad Atene, le liti e le divisioni interne agli arconti spingono l'arconte Dracone ad assumere i pieni poteri, così da poter varare una serie di leggi durissime per garantire l'ordine sociale ad Atene.


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