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mercoledì 23 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.29: dal 50 al 90 e.v. (d.C.)

Icona con Pietro e Paolo.
Nel 50 - Primo concilio dei Cristiani a Gerusalemme. Il cristianesimo delle origini si presenta con il duplice aspetto di Giudeo-cristianesimo ed Etno-cristianesimo (o Cristianesimo dei Gentili, non Ebrei), come si desume dai racconti degli Atti di Luca e da alcune lettere di Paolo (come la Lettera ai Galati e le lettere ai Corinzi). Tuttavia mostra che le due anime convivono senza alcuna scissione e di avere raggiunta una formula di concordia con il Primo Concilio di Gerusalemme (Atti 15). I cristiani assunsero dal Giudaismo le sue Sacre scritture tradotte in greco ellenistico e lette non nella maniera degli ebrei (anche a causa della prevalente origine greco-romana della maggioranza dei primi adepti), dottrine fondamentali come il monoteismo, la fede in un messia o cristo, le forme del culto (incluso il sacerdozio), i concetti di luoghi e tempi sacri, l'idea che il culto debba essere modellato secondo il modello celeste, l'uso dei Salmi nelle preghiere comuni. Forse il Cristianesimo inteso come religione distinta da quella ebraica lo possiamo individuare a partire dalla seconda metà del II secolo, dove i cristiani, che credono negli insegnamenti di Gesù, sono quasi soltanto i non ebrei.
Nel concilio di Gerusalemme, fra la Chiesa di Gerusalemme e Paolo di Tarso si giunse all'accordo ufficiale sulla ripartizione delle missioni:
- i gerosolimitani (i seguaci di Giacomo il Minore "fratello del Signore") e Pietro per i giudeo-cristiani circoncisi e
- Paolo per i gentili (non ebrei) provenienti dal paganesimo.
Il Concilio viene presieduto da Giacomo il Minore e da Pietro, quest'ultimo dopo un'accesa disputa tra le diverse fazioni:
- una che avrebbe voluto imporre la legge mosaica ai pagani convertiti e
- l'altra che considerava questa proposta iniqua e richiamò così tutto il collegio a rispettare la volontà di Dio, chiaramente manifestatasi in occasione della sua visita a Cornelio, dove lo Spirito Santo era disceso anche sui pagani non facendo «alcuna distinzione di persone».
Dopo Pietro intervennero Paolo e Barnaba, i più attivi evangelizzatori dei Gentili. Infine prese la parola anche Giacomo il Minore, capo della Chiesa di Gerusalemme (probabilmente, in un primo tempo, il leader di quanti volevano imporre la legge mosaica, come traspare anche nella lettera di S. Paolo ai Galati) che, richiamandosi a Pietro, aggiunse la proposta di una soluzione di compromesso che prevedeva la prescrizione ai pagani convertiti di pochi divieti tra cui l'astensione dal nutrirsi di cibi immondi e dalla fornicazione.
Gli Atti degli Apostoli e la Lettera ai Galati presentano, da due punti di vista diversi, il primo problema dottrinale del cristianesimo nascente, che in sintesi può essere così espresso:
- Il cristianesimo è solo una filiazione, un ramo del giudaismo? Oppure è qualcosa di diverso, di discontinuo con la tradizione giudaica? (e dunque è qualcosa di nuovo).
- Di conseguenza, il cristianesimo è riservato a chi è divenuto un proselita del giudaismo? Oppure è possibile essere seguaci di Cristo senza osservare i rituali e le tradizioni della fede giudaica? Cioè per essere cristiani bisogna prima essere ebrei, oppure possono diventare cristiani anche i non ebrei?
È evidente che dalla risposta ai quesiti dipende l'universalità del messaggio di Cristo. E ancora:
- se un cristiano doveva essere circonciso, allora il sacrificio di Cristo perdeva di valore e la redenzione veniva drasticamente ridotta di significato e subordinata all'osservanza della Legge. Non si trattava più di Grazia ma del risultato delle opere legalistiche dell'uomo. Non si trattava del mettere in atto l'etica cristiana, ma del concetto che portava a ritenere opere meritorie quelle che attenevano ai rituali ed ai cerimoniali dell'ebraismo.  
Quando Pietro ritornò da Ioppe a Gerusalemme, venne contestato dai Cristiani “circoncisi” (Atti 11:1-3) per il fatto di essere entrato in casa di pagani incirconcisi, e questo dimostra il persistere della diffidenza nei confronti degli esterni al mondo giudaico; pur tuttavia questi si rallegrarono quando egli spiegò loro che quelli avevano ricevuto la stessa Grazia e la stessa benedizione.
Paolo di Tarso riferisce (Lettera ai Galati, 2) di un episodio avvenuto ad Antiochia nel corso di una visita di Pietro che, mentre prima manifestava comunione con i credenti gentili, appena arrivarono da Gerusalemme quelli provenienti da Giacomo, si intimorì e se ne stette in disparte provocando infine la dura reazione di Paolo. Nello stesso capitolo Paolo definisce Pietro apostolo dei circoncisi e se stesso quello degli incirconcisi, intendendo con ciò una vocazione più etnica che religiosa. Questo «scontro» tra Pietro e Paolo manifesta una dialettica interna alla Chiesa nascente, che andava necessariamente chiarita.
Il concilio di Gerusalemme evidenzia chiaramente che tutta la problematica non nasceva da posizioni preconcette degli apostoli (che pur c'erano), ma era frutto del massiccio ingresso di Farisei convertiti nella comunità paleocristiana di Gerusalemme (Atti 15:5).
Lo svolgimento del dibattito, pur nella sintetica relazione lucana, (Luca evangelista, Antiochia di Siria, 10 circa - Tebe?, 93 circa, venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che ne ammettono il culto, è autore del Vangelo secondo Luca e degli Atti degli Apostoli, il terzo ed il quinto libro del Nuovo Testamento) evidenzia tutto questo e dimostra inoltre come la comunità di Gerusalemme avesse una conduzione collegiale. E Pietro, pur sempre pronto a parlare per primo, non fosse comunque colui che tirava le somme o le conclusioni, cosa che invece faceva Giacomo. La formula di concordia del concilio di Gerusalemme di Atti 15 dimostra, comunque, che il problema venne superato solo in parte, perché di fatto una divisione rimase e ne troviamo traccia nella maggior parte delle Lettere di San Paolo, nelle quali risalta la sua continua lotta contro le problematiche create nelle Chiese dai Cristiani Ebrei che volevano salvaguardare la Legge ebraica. Agli inizi dell'era cristiana, a Roma si assistette alla conversione al giudaismo di parecchi romani, soprattutto donne, poiché la pratica della circoncisione scoraggiava le adesioni maschili. Successivamente, la Chiesa post apostolica lentamente si organizzò attorno ai cinque patriarcati di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme.

Le popolazioni Germaniche nel
 50 con Claudio imperatore.
- Nel I secolo gran parte del territorio boemo (a cui storici di epoca romana si riferivano con Boiohaemum, terra dei Boi) è teatro delle invasioni barbariche da parte sia di tribù di Germani (probabilmente Suebi e nello tribù di Marcomanni) che ne conquistano la parte occidentale, che di Slavi. I Celti (Galli per i Romani) Boi si spostano per la maggior parte verso ovest, nei territori della moderna Svizzera e nel sud-est della Gallia, mentre alcuni si spingono a sud fino a conquistare Bononia, l'antica Félsina etrusca (Bologna).

Nel 54 - Nonostante i suoi difetti, l'imperatore Claudio aveva dimostrato capacità e temperamento, assolse il suo ruolo meglio di altri. Morì improvvisamente a 63 anni, dopo aver mangiato un piatto di funghi letali, forse della specie Amanita phalloides o Amanita muscaria, il 13 ottobre 54, mentre venivano celebrate le Fontinalia, festività in onore del dio Fons. Non è difficile pensare che sia stato avvelenato da Agrippina per mano di Lucusta, anche se era ormai sicura della successione di Nerone: potrebbe aver desiderato vedere il figlio sul trono mentre era ancora abbastanza giovane per seguire i suoi consigli e le sue volontà. Secondo la tesi dell'avvelenamento, in un primo momento Claudio si sarebbe addormentato, e svegliatosi poco dopo vomitò tutto quello che aveva ingerito, e quindi gli fu propinato di nuovo il veleno attraverso una zuppa curativa o forse un clistere somministratogli per aiutarlo a smaltire l'indigestione. Morto Claudio, Agrippina e Nerone si preoccuparono di far sparire anche Britannico, figlio naturale di Claudio e aspirante al trono, già malato di epilessia; questo evento testimonia l'implicazione di Agrippina nella morte dell'imperatore. L'augusta però, dedicò sul Celio il tempio del Divo Claudio al defunto marito.

- L'imperatore Claudio muore per un avvelenamento da funghi, forse ordinato da Agrippina stessa e poco dopo la stessa sorte sarebbe toccata al figlio Britannico (nato, come Ottavia, dal suo precedente matrimonio con Valeria Messalina), affetto da epilessia e per questo forse escluso dalla successione dal suo stesso padre. Nerone diventa quindi imperatore all'età di quasi 17 anni, inizialmente sotto la tutela della madre Agrippina e di Seneca, con Sesto Afranio Burro, pragmatico e abile politico, come prefetto del pretorio. Il primo scandalo del regno di Nerone coinciderà col suo primo matrimonio, considerato incestuoso, con la cugina di secondo grado Claudia Ottavia, figlia di suo prozio Claudio; Nerone più tardi divorzierà da lei quando essendosi innamorato di Poppea. Questa, descritta come una donna notevolmente bella, sarebbe stata coinvolta, prima del matrimonio con l'imperatore, in una storia d'amore con Marco Salvio Otone, amico di Nerone stesso, suo compagno di feste e bagordi e futuro imperatore. Otone sposò Poppea per ordine di Nerone, ma poi rifiutò che il suo matrimonio fosse solo di facciata e Nerone li fece divorziare.

Nerone, da QUI.
- Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (Anzio, 15 dicembre 37 - Roma, 9 giugno 68), nato come Lucio Domizio Enobarbo e meglio conosciuto semplicemente come Nerone, è stato il quinto imperatore romano, l'ultimo appartenente alla dinastia giulio-claudia. Regnò circa quattordici anni dal 54 al 68, anno in cui si fece uccidere da un suo servo. Nerone è stato un principe molto controverso nella sua epoca; ebbe alcuni innegabili meriti, soprattutto nella prima parte del suo impero, quando governava con la madre Agrippina e con l'aiuto di Seneca, filosofo stoico e di Afranio Burro, prefetto del pretorio, ma fu anche responsabile di delitti e atteggiamenti dispotici. Accusati sommariamente di congiure contro di lui o crimini vari, caddero vittime della repressione la stessa madre, la prima moglie Valeria Messalina e lo stesso Seneca, costretto a suicidarsi, oltre a vari esponenti della nobiltà romana, e molti cristiani. Per la sua politica assai favorevole al popolo, di cui conquistò i favori con elargizioni e giochi del circo e il suo disprezzo per il Senato romano, fu - come era già stato per lo zio Caligola - molto inviso alla classe aristocratica (tra i quali i suoi principali biografi, Svetonio e Tacito).

Nel 58 - Il cristianesimo compare nell'Illirico. San Paolo è segnalato predicare in Dyrrachium, odierna Durrës, in Albania centrale. Una diocesi fu fondata nel 58 d.C. Le diocesi successive sono state fondate inoltre a Apolonia, Buthrotum (oggi Butrint, nella punta del sud dell'Albania) e a Scodra (oggi Shkodër).

Nel 59 - Muore Agrippina, madre di Nerone e Poppea è sospettata d'averne organizzato l'omicidio, mentre il marito Otone venne inviato come governatore in Lusitania, l'odierno Portogallo. La madre di Nerone era stata condannata a morte e uccisa da sicari, che precedentemente avevano tentato di simulare incidenti e suicidio, a causa delle sue trame: forse intendeva far uccidere il figlio, per poi mettere sul trono un futuro suo marito e diventarne la co-imperatrice; la condanna venne approvata anche da Seneca e da Burro, il quale ne incaricò Aniceto. Questi, alla fine, la fece pugnalare, raccontando poi che lei stessa si era uccisa, dopo la scoperta della sua congiura contro Nerone. È possibile che determinante fosse stato l'odio di Poppea per quella che sarebbe stata la sua futura suocera, che secondo Tacito aveva tentato anche l'incesto con Nerone, pur di estrometterla dal potere e garantirlo a se stessa. Nerone l'aveva così allontanata dalla corte, e, alla fine aveva approvato anche l'omicidio. Dopo un funerale nascosto e una sepoltura in un luogo non completamente noto del corpo di Agrippina, tuttavia, Nerone manifestò rimorso per la morte della madre, approvata a causa della debolezza del suo carattere e dell'ascendente che Poppea aveva su di lui. Confermò, con una lettera al Senato, "che avevano scoperto, con un'arma, il sicario Agermo, uno dei liberti più vicini ad Agrippina, e che lei, per rimorso, come se avesse preparato il delitto, aveva scontato quella colpa". L'imperatore sarà perseguitato da incubi su Agrippina per molto tempo.  

Nel 61 - Il futuro imperatore Galba riceve dall'imperatore Nerone il comando della Spagna Tarraconese. Con l'ascesa al trono di Nerone, Galba era vissuto in disparte nelle sue proprietà a Fondi e a Terracina spostandosi raramente e mai senza portare con sé la propria fortuna privata di un milione di sesterzi. Poi, nel 61, ricevette dall'imperatore il comando della Spagna Tarraconese e resse per otto anni questa provincia ma in modo discontinuo: nei primi anni fu attivo, impetuoso se non eccessivo nella repressione delle colpe tanto da far amputare le mani a un usuraio e condannando alla crocifissione un cittadino romano (fatto assai inusuale in quanto, per la sua natura infamante, la crocifissione era riservata agli schiavi), colpevole per aver ucciso il suo pupillo. In seguito tenne un atteggiamento più cauto e dimesso, essendo solito affermare "perché nessuno è costretto a rendere conto di ciò che non fa".

Nel 62 - Infine Nerone sposa Poppea dopo aver ripudiato Claudia Ottavia per sterilità e averla relegata in Campania. Alcune manifestazioni popolari in favore della prima moglie, convinsero l'imperatore delle necessità di eliminarla e dopo averla accusata di tradimento, l'aveva costretta al suicidio. Lo stesso anno Burro morì, forse avvelenato per ordine di Nerone (secondo Svetonio) o di malattia secondo altri storici, e Seneca per un lungo periodo si ritirò a vita privata, a causa dei primi dissapori con Nerone e dell'odio del popolo che lo accusava della morte di Agrippina, che era rispettata dalla plebe e dai pretoriani in quanto figlia dell'amato Germanico. La carica di prefetto del Pretorio venne assegnata a Tigellino (già esiliato da Caligola per adulterio con Agrippina), uomo senza scrupoli, che non era nemmeno cauto come Burro nel nascondere i delitti di Stato. Tigellino, di umili origini, divenne quindi molto ricco e potente. Contemporaneamente vennero introdotte una serie di leggi sul tradimento, che provocarono l'esecuzione di numerose condanne capitali. Nel 63 Nerone e Poppea ebbero una figlia, Claudia Augusta, che tuttavia morì ancora in fasce.

Nel 63 - Roma, prime persecuzioni contro i cristiani. Le persecuzioni contro i Cristiani non avevano un fondamento giuridico specifico, l'unico appiglio legale che l'autorità imperiale poteva impugnare era la lesa maestà dell'autorità divina all'imperatore, poiché rifiutandosi di offrire incenso all'immagine della sua persona, i Cristiani erano accusati di ateismo, in contrasto con i "mores", gli antichi costumi; inoltre con tale atteggiamento non potevano essere arruolati nell'esercito. Nella cultura antica, così come lo scritto era  sacro, così l'immagine evocava la presenza fisica del rappresentato. Nei tribunali, le immagini  dell'imperatore ne garantivano la presenza mentre nell'ebraismo erano proibite le raffigurazioni di immagini e idoli, come a scongiurarne l'esistenza. Nell'Islam si adotteranno le stesse misure, tanto che nel 730, l'imperatore Romano-orientale Leone III Isaurico, convinto della giustezza di tali misure, scatenerà nell'impero bizantino l'iconoclaustia, che provocherà la distruzione delle immagini sacre. I primi cristiani erano spinti a ricercare un rapporto individuale con una divinità individualizzata a sua volta. Le divinità di gruppi o popolazioni, comunemente usato nell'antichità (Atena per Atene, Venere per la corporazione dei mercanti Italici del Sannio, ecc.) lasciava posto alla ricerca individuale di una divinità che salvasse  l'individuo nell'aldilà, aspetto che nelle religioni precedenti era riservato a esseri sopranaturali ed eroi. E' una tensione molto forte, che si ritrova anche nel Mitraismo, che ha somiglianze con il cristianesimo e nel culto del "Sol Invictus", la cui festività era il 25 dicembre. E' di questi tempi la raffigurazione di "Gesù Sol Invictus" che vede un giovane Gesù, raggiato, come il sole, alla guida del cocchio solare con 4 cavalli (Helios), oppure l'Iside che allatta Horus identica a quella che poi verrà chiamata Nostra Signora Madre di Gesù. 

Il limes nel sud-est nell'80, in rosa gli
stanziamenti delle legioni romane. Il
nome Palestina apparirà nel 136 con
Adriano imperatore, dopo la terza
guerra giudaica.
Sono tempi che vengono avvertiti come gli ultimi prima di un evento che sovvertirà il mondo. In questo contesto il  martirio è considerato il metodo più sicuro per salvare la propria anima nell'aldilà. Ma questa presa di coscienza individuale, di una divinità incarnata e che attraverso un martirio permettesse la salvezza della comunità non escludeva un senso di società cristiana. La comunità cristiana era ordinata, coesa, con propri vescovi e con liturgie comunitarie, ma il rapporto con il divino era  mediato esclusivamente da se stessi e non da maestranze della Chiesa. 

Giuseppe d'Arimatea.
- Considerando le antiche cronache e incrociando le varie testimonianze, il 63 è il probabile anno in cui Giuseppe d'Arimatea e Yeshuah-Joseph Yuz Asaf, Jésus le cadet, Joseph Harama Théo du Graal Ben Yeshuah, (da http://www.prieure-de-sion.com/1/genealogia_di_gesu_e_di_maria_1089786.html) figlio di Gesù e Maria Maddalena, sbarcano in Britannia. Gildas III (516-570), cronista delle origini, affermava nel suo "De Excidio Britanniae" che i primi precetti della cristianità vennero portati in Gran Bretagna durante gli ultimi giorni dell'imperatore Tiberio Cesare. Tiberio morì nell'anno 37 e questa data è compatibile con quanto affermò, nel 1601, il cardinale Cesare Baronio, eminente bibliotecario del Vaticano, che nei suoi "Annales Ecclesiasticae" affermò che Giuseppe di Arimatea si recò per la prima volta a Marsiglia nel 35 e di lì fu poi mandato a predicare in Inghilterra. Nella Gallia del I sec. si trovava un personaggio importante della cristianità: l'apostolo Filippo. Gildas e Guglielmo di Malmesbury concordano nell'affermare che fu Filippo ad organizzare la missione verso la Britannia. Nel "De Sancto Joseph ab Arimathea" di John Capgrave (1393-1464) si afferma che "quindici anni dopo l'Assunzione [cioè nell'anno 63, considerando che Maria fu assunta in Cielo nell'anno 48] egli [Giuseppe] si recò da Filippo apostolo tra i Galli". La conferma viene da Freculfo, vescovo di Lisieux nel IX sec.: anche lui scrisse che San Filippo organizzò la missione in Britannia per far annunciare colà il vangelo.
Carta del limes germanico-dacico dell'Impero Romano nell'80.
In rosa gli stanziamenti delle legioni.romane. Da QUI.
Dunque, San Giuseppe arrivò in Britannia con dodici apostoli, e di lì cominciò a diffondere il Vangelo. Accolto freddamente dalla popolazione locale, fu però tenuto in gran considerazione dal re Arvirago di Siluria, fratello di Carataco il Pendragone, che lo accolse con onore e gli donò una vasta proprietà di terra (12 hides, equivalenti a 1440 acri, circa 580 ettari), da usare come base, presso Glastonbury, nel Somerset. A Glastonbury Giuseppe di Arimatea eresse una primitiva chiesa di fango e rami intrecciati, che fu di fatto il primo edificio cristiano di Britannia, e che costituì il nucleo originario della futura Abbazia di Glastonbury, destinata a diventare ampia e facoltosa, seconda per estensione e per ricchezza soltanto a quella di Westminster, a Londra. L'arrivo di Giuseppe a Glastonbury fu segnato da un evento miracoloso: trovandosi sulla sommità di una collina, chiamata Wearyall Hill, Giuseppe si distese a riposare, piantando il proprio bastone accanto a sé. Al suo risveglio, il bastone aveva miracolosamente attecchito ed era diventato un albero. Quest'albero divenne poi noto come "Santa Spina". Variante del comune biancospino, esso però assunse solo qui, nei dintorni di Glastonbury, una caratteristica peculiare, quella di fiorire due volte all'anno: all'inizio della primavera e in inverno, in prossimità del solstizio. Poiché queste due date cominciarono ad essere associate alla due più grandi feste della cristianità, ossia la Pasqua e il Natale, che ricordavano la nascita e la morte di Gesù, esso venne chiamato "Santa Spina" (Holy Thorn, o Glastonbury Thorn) e divenne oggetto di gran venerazione, che dura tuttora.

Nel 64 - Allo scoppio del grande incendio di Roma, l'imperatore si trovava ad Anzio, ma raggiunse immediatamente l'Urbe per conoscere l'entità del pericolo e decidere le contromisure, organizzando in modo efficiente i soccorsi, partecipando in prima persona agli sforzi per spegnere l'incendio. Nerone mise sotto accusa i Cristiani residenti a Roma, per evitare dicerie che lo accusassero direttamente. Dai duecento ai trecento cristiani vennero messi a morte. Tra i cristiani uccisi fra il 64/65 e il 67 ci saranno anche san Pietro e san Paolo: Nerone avrebbe ordinato la decapitazione di Paolo di Tarso e, più tardi (o prima), secondo la tradizione cattolica, anche la crocifissione di Pietro. Per quanto oramai gli studiosi siano abbastanza concordi nel ritenere che il grande incendio di Roma dell'anno 64 d.C. non fu causato da Nerone, che anzi si diede molto da fare per prestare soccorso alla popolazione colpita dalla tragedia e che in seguito si occupò personalmente della ricostruzione, la falsa immagine iconografica dell'imperatore che suona la lira dal punto più alto del Palatino mentre Roma bruciava è ancora assai radicata nell'immaginario collettivo. Uno studioso italiano, Dimitri Landeschi, attraverso una accurata ricostruzione storica dei drammatici avvenimenti che si svolsero a Roma negli anni 64 e 65 d.C., ha avanzato l'ipotesi che ad incendiare Roma non fosse stato Nerone ma, con ogni probabilità, un pugno di fanatici appartenenti alla frangia più estremista della comunità cristiana di Roma, con la complicità morale di taluni ambienti dell'aristocrazia senatoria, in mezzo a cui si celavano i veri ispiratori di quella scellerata operazione. L'ipotesi di Landeschi non è però condivisa dalla maggioranza degli studiosi. L'imperatore aprì addirittura i suoi giardini per mettere in salvo la popolazione e si attirò l'odio dei patrizi facendo sequestrare imponenti quantitativi di derrate alimentari per sfamarla. Gli storici antichi lo accusano o restano incerti, o criticano comunque il suo comportamento nell'accusare e punire i cristiani, pur essendo questi una setta detestata dall'opinione popolare e aristocratica. In occasione dei lavori di ricostruzione, Nerone dettò nuove e lungimiranti regole edilizie, destinate a frenare gli eccessi della speculazione (molto probabilmente furono proprio gli speculatori a causare l'incendio, forse alimentando un precedente incendio accidentale) e tracciare un nuovo impianto urbanistico, sul quale è tuttora fondata la città. In seguito all'incendio egli recuperò una vasta area distrutta, facendo realizzare il faraonico complesso edilizio noto come Domus Aurea, la sua residenza personale (sostituendo la Domus Transitoria), che giunse a comprendere il Palatino, le pendici dell'Esquilino (Oppio) e parte del Celio, per un'estensione di circa 2,5 km quadrati (250 ettari). Ciò non può essere un possibile movente, in quanto egli avrebbe potuto requisire comunque i terreni necessari e già molti erano in suo possesso. Le enormi spese per la ricostruzione della città e della dimora imperiale causarono il quasi fallimento dello Stato a cui l'imperatore cercò di rimediare ricorrendo tra l'altro a strumenti spregiudicati quali imporre alle più ricche famiglie romane la redazione di un testamento che nominasse lo Stato quale unico erede del patrimonio familiare e che veniva reso subito esecutivo con il suicidio forzato dei possidenti. «Di Nerone si diceva che, condannando a morte sei individui, fece sua mezza Africa.». Altri edifici pubblici neroniani furono il mercato del Celio (Macellum Magnum) e le Terme di Nerone del Campo Marzio, la cui pianta regolare e simmetrica fece da modello per tutti gli edifici termali futuri, inaugurando la tipologia di terme "imperiali". Si ipotizza anche una ricostruzione dopo il grande incendio del 64, contemporaneamente allo spostamento e ingrandimento della casa delle Vestali: il tempio venne infatti rappresentato in monete dell'epoca di Nerone e dei successivi imperatori Flavi. E ancora a Nerone si deve il taglio dell'istmo di Corinto e un canale lungo la costa dall'Averno a Roma. La prima opera, già tentata dal tiranno Periandro, dal Re di Macedonia Demetrio I Poliorcete, da Giulio Cesare e da Caligola sembrava non portare fortuna a chi la intraprendeva, tutti morti in modo violento. Gli scavi furono segnati da episodi nefasti e si interruppero con la morte dell'ideatore. Il canale dal lago Averno a Roma, lungo 160 miglia (237 km), ancora più mastodontico di quello di Corinto assorbì risorse umane e economiche immense e non fu mai completato a causa degli infiniti problemi tecnici e logistici. Le enormi spese per la ricostruzione della città e della dimora imperiale causarono il quasi fallimento dello Stato a cui l'imperatore cercò di rimediare ricorrendo tra l'altro a strumenti spregiudicati quali imporre alle più ricche famiglie romane la redazione di un testamento che nominasse lo Stato quale unico erede del patrimonio familiare e che veniva reso subito esecutivo con il suicidio forzato dei possidenti. «Di Nerone si diceva che, condannando a morte sei individui, fece sua mezza Africa.». Altri edifici pubblici neroniani furono il mercato del Celio (Macellum Magnum) e le Terme di Nerone del Campo Marzio, la cui pianta regolare e simmetrica fece da modello per tutti gli edifici termali futuri, inaugurando la tipologia di terme "imperiali". Si ipotizza anche una ricostruzione dopo il grande incendio del 64, contemporaneamente allo spostamento e ingrandimento della casa delle Vestali: il tempio venne infatti rappresentato in monete dell'epoca di Nerone e dei successivi imperatori Flavi. E ancora a Nerone si deve il taglio dell'istmo di Corinto e un canale lungo la costa dall'Averno a Roma. La prima opera, già tentata dal tiranno Periandro, dal Re di Macedonia Demetrio I Poliorcete, da Giulio Cesare e da Caligola sembrava non portare fortuna a chi la intraprendeva, tutti morti in modo violento. Gli scavi furono segnati da episodi nefasti e si interruppero con la morte dell'ideatore. Il canale dal lago Averno a Roma, lungo 160 miglia (237 km), ancora più mastodontico di quello di Corinto assorbì risorse umane e economiche immense e non fu mai completato a causa degli infiniti problemi tecnici e logistici. L'apocalisse del Nuovo Testamento della scuola evangelica giovannea, scritta in esilio nell'isola greca di Patmos durante una delle persecuzioni dei cristiani, probabilmente quella di Domiziano (intorno al 95-100 d.C.), alludeva però a Nerone come Anticristo. Secondo molti studiosi infatti, la persona rappresentata dal citato "Numero della Bestia" altri non è che il multi-gramma di gematria ebraica attribuibile all'imperatore Nerone, autore della persecuzione nella quale morirono sia Pietro che Paolo. Come in greco antico, così anche in alfabeto ebraico i numeri venivano scritti usando le lettere, secondo, appunto la cabala ebraica. Se quindi si utilizzano le consonanti ebraiche del nome QeSaR NeRON si ha: Q (qof) = 100, S (sameckh) = 60, R (resh) = 200, N (nun) = 50, R (resh) = 200, O (waw) = 6, N (nun) = 50 che sommate, danno appunto 666. Una sola nota merita la vocale O che è in realtà legata alla consonante W che è una mater lectionis, cioè una consonante che serviva a evitare equivoci nella lettura.

- Nerone era poco interessato alle campagne militari: se ne occupò lo stretto necessario (prese parte solo ad una spedizione in Armenia e non fu mai molto popolare nei ranghi dell'esercito. Sotto Nerone, l'Imperatore Partico Vologese I pose sul trono del regno d'Armenia il proprio fratello Tiridate, sul finire del 54. Questo avvenimento convinse Nerone che fosse necessario avviare preparativi di guerra in vista di un'imminente campagna. Domizio Corbulone fu inviato a sedare le continue scaramucce tra le popolazioni locali e sparuti gruppi di romani. In realtà non vi fu una vera guerra fino al 58 d.C. Dopo la conquista di Artaxata nel 58 e della città di Tigranocerta nel 59, pose sul trono dei parti re Tigrane VI, nel 60. Vologese, in preda all'ira, pretendendo che il trono fosse restituito a suo fratello, mosse guerra ai romani, i quali però riuscirono a prevalere ottenendo nel 66 la sottomissione di Tiridate come re cliente. Si spense così l'ultimo focolaio di guerra nell'Impero e Nerone poté fregiarsi del titolo di Imperator (Pacator) invitando a Roma il re Tiridate I. Inaugurò, nel contempo, solenni festeggiamenti per la ricorrenza del trecentesimo anniversario della prima chiusura delle porte del tempio di Giano Gemino (236 a.C.) per celebrare la "pace ecumenica" raggiunta, volendo emulare Alessandro Magno e, ancora, per far dimenticare al popolo il disastroso incendio della città del mese di luglio. Per le ingenti spese sostenute, Nerone attuò riforma del conio ed emise una nuova moneta sulla quale, nel dritto, appare la sua figura con il capo incoronato e l'aspetto fiero con la scritta: "IMP NERO CAESAR AVG GERM" e, sul rovescio, il tempio di Giano "a porte chiuse" con la scritta: "PACE P R UBIQ PARTA IANVM CLVSIT - S C -" (senatus consulto). Per la prima volta dunque, a Roma un principe si fregia del titolo ufficiale di Imperatore. Il re Tiridate, timoroso del mare, arrivò a Roma, dopo un viaggio via terra durato ben otto mesi, nell'inverno del 65 e nella primavera del 66 furono ripetuti i festeggiamenti alla presenza del popolo e dell'esercito. Nerone tolse la tiara dal capo di Tiridate, incoronandolo Re con un diadema e facendolo sedere alla sua destra. Nel corso del suo principato continuò la conquista della Britannia, anche se negli anni 60/61 fu interrotta da una rivolta capeggiata da Budicca, la regina della tribù degli Iceni. Infine, nonostante in patria fosse tollerante con gli ebrei ortodossi, su richiesta della filosemita Poppea inviò Vespasiano, che l'aveva seguito nel viaggio in Grecia e con cui aveva avuto malumori, insieme al figlio di questi Tito, a sedare le prime rivolte  ebraiche nazionaliste in Giudea, convinto che solo lui ne avesse le capacità.

Nel 65/66 - Come scrive Tacito, Poppea, in attesa del secondogenito di Nerone, muore a Roma oppure nella sua villa di Oplontis, alle falde del Vesuvio, a causa di incidente di gravidanza, e non a causa di un calcio sferratole dal marito come è opinione comune: difatti a quel tempo Poppea era ammalata. Secondo altri, invece, Nerone l'avrebbe ripudiata per sposare Statilia Messalina e Poppea, ritiratasi nella sua villa del Vesuviano, sarebbe morta nel 79 durante l'eruzione del Vesuvio. Svetonio lo accusa anche di numerosi altri crimini e depravazioni (come lo stupro della vestale Rubria, un crimine passibile di pena capitale) che molti storici moderni hanno ritenuto invenzioni propagandistiche. Dopo la morte di Poppea, nel 66 Nerone sposa Statilia Messalina, la sua terza e ultima moglie. Lo storico delle Vite dei Cesari attribuisce a Nerone anche alcune relazioni omosessuali. Secondo Cassio Dione (Epitome LXII, 12-13) e altri autori contemporanei, Nerone avrebbe contratto due matrimoni con maschi: il primo, con un liberto di nome Pitagora e il secondo con un liberto di nome Sporo, fatto castrare e sposato dopo la morte della moglie Poppea proprio perché straordinariamente somigliante all'imperatrice. Il matrimonio sarebbe avvenuto in Grecia e Nerone avrebbe affidato il giovincello alle cure di Calvia Crispinilla, come dama di camera. Secondo i contemporanei, "Pitagora sarebbe stato per lui un marito, Sporo sarebbe stato per lui una moglie". A Nerone sono anche attribuite frequentazioni di prostitute, tra cui Caelia Adriana, donna di cui fu perdutamente innamorato, e feste con grande dispendio di denaro pubblico, derivata dalla tassazione aumentata.

Nel 68 - Gaio Giulio Vindice, governatore della Gallia Lugdunense, si ribella dopo il ritorno dell'imperatore a Roma dalla Greca e ciò spinge Nerone ad una nuova ondata repressiva: fra gli altri ordina il suicidio al generale Servio Sulpicio Galba, allora governatore nelle province ispaniche e questi, privo di alternative e non intenzionato ad eseguire l'ordine, col sostegno del suo esercito, dichiara la sua fedeltà al Senato ed al popolo romano, non riconoscendo più l'autorità di  Nerone. Si ribella quindi anche Lucio Clodio Macero, comandante della III legione Augusta in Africa, bloccando la fornitura di grano per la città di Roma. Nimfidio corruppe i pretoriani, che si ribellarono a loro volta a Nerone, con la promessa di somme di denaro da parte di Galba. Infine il Senato lo depose ufficialmente e Nerone fuggì dal suo palazzo dove era rimasto solo e senza protezione, e si suicidò il 9 giugno 68, nella villa suburbana del liberto Faonte, pugnalandosi alla gola con l'aiuto del suo segretario Epafrodito. Prima di morire, secondo Svetonio, pronunciò la frase "Qualis artifex pereo!" ("Quale artista muore con me!"). L'antichista Dimitri Landeschi fa notare, richiamandosi ad un interessante studio dello storico inglese Edward Champlin, che, diversamente da quanto affermato da alcuni storici moderni, Nerone non subì la cosiddetta damnatio memoriae, di cui non si trova traccia in alcuna opera antica, tant'è vero che furono permesse le esequie private, alla presenza di pochi fedelissimi rimasti, tra i quali l'ex amante e concubina Claudia Atte, liberta della famiglia dell'imperatore e le sue due nutrici Egloge e Alessandria. Inoltre continuarono ad affluire nel Foro anche dopo la sua morte busti e statue del defunto imperatore, senza che nessuna Autorità lo impedisse. Il corpo di Nerone fu cremato, avvolto nelle coperte bianche intessute d'oro da lui usate alle ultime Calende di gennaio e le sue ceneri deposte in un'urna di porfido sormontata da un altare di marmo lunense, nel mausoleo della famiglia paterna. Il luogo di sepoltura era il Sepolcro dei Domizi lungo la via Flaminia, sotto l'attuale basilica di Santa Maria del Popolo, ai piedi del colle Pincio. Nel XII secolo, Papa Pasquale II (1099 - 1118), superstizioso e suggestionato dai corvi che volteggiavano sul noce vicino al sepolcro, convinto di vedere in Nerone l’Anticristo descritto dalle profezie, ne fece disperdere le ceneri; in seguito, davanti alle proteste dei romani, fece diffondere la notizia di aver fatto trasferire i resti all’interno di un sarcofago lungo la Via Cassia in una zona che, da allora, prese il nome di “Tomba di Nerone”.


Nel 68 si esaurisce così la dinastia giulio-claudia, la famiglia alla quale appartenevano i primi cinque imperatori romani, che governarono l'impero dal 27 a.C. al 68 d.C., quando l'ultimo della linea, Nerone, si era suicidato aiutato da un liberto. La dinastia viene così chiamata dal nomen (il nome di famiglia) di due imperatori: Gaio Giulio Cesare Ottaviano (l'imperatore Augusto, 27 a.C.-14 d.C.), adottato da Giulio Cesare e dunque membro della gens Iulia, il primo imperatore della famiglia e fondatore dell'impero e Tiberio Claudio Cesare Germanico (Claudio), quarto imperatore e membro della gens Claudia. I cinque primi imperatori sono dunque stati: 1) Gaio Giulio Cesare Ottaviano (l'imperatore Augusto, 27 a.C.-14 d.C.), adottato da Giulio Cesare e quindi membro della gens Iulia, il primo imperatore della famiglia e fondatore dell'impero. Era figlio di Gaio Ottavio, uomo d'affari che aveva ottenuto, primo della gens Octavia (ricca famiglia di Velitrae), cariche pubbliche e un posto in Senato (era quindi un homo novus). La madre, Azia maggiore, proveniva invece da una famiglia da parecchie generazioni di rango senatorio e dagli illustri natali: era infatti imparentata sia con Cesare sia con Gneo Pompeo Magno. Azia era più precisamente la figlia della sorella di Cesare, Giulia e di Marco Azio Balbo; Ottaviano, pertanto, era pronipote di Cesare. 2) Tiberio (14-37 d.C.), discendente della gens Claudia, alla nascita aveva il nome di Tiberio Claudio Nerone. Adottato da Augusto nel 4, il suo nome era mutato in Tiberio Giulio Cesare e alla morte del padre adottivo, il 19 agosto 14 d.C., ottenne il nome di Tiberio Giulio Cesare Augusto e poté succedergli ufficialmente nel ruolo di princeps, sebbene già dall'anno 12 era stato associato nel governo dell'impero. Tiberio era nato a Roma il 16 novembre del 42 a.C. dall'omonimo Tiberio Claudio Nerone, cesariano, pretore nello stesso anno, e da Livia Drusilla, di circa trent'anni più giovane del marito. Tanto dal ramo paterno che da quello materno apparteneva alla gens Claudia, un'antica famiglia patrizia giunta a Roma dalla Sabina nei primi anni della repubblica e distintasi nel corso dei secoli per il raggiungimento di numerosi onori e alte magistrature. Fin dall'origine, la gens Claudia si era divisa in numerose famiglie, tra le quali si distinse quella che assunse il cognomen Nero (Nerone, che in lingua sabina significava "forte e valoroso"), a cui apparteneva Tiberio. Egli poteva dunque dirsi membro di una stirpe che aveva dato alla luce personalità di altissimo rilievo, come Appio Claudio Cieco, e che annoverava tra i più grandi assertori della superiorità del patriziato. Il padre era stato tra i più ferventi sostenitori di Gaio Giulio Cesare e, dopo la sua morte, si era schierato dalla parte di Marco Antonio, luogotenente di Cesare in Gallia, entrando in contrasto con Ottaviano, erede designato dallo stesso Cesare. 3) Caligola (37-41 d.C.), terzo imperatore della dinastia, era stato scelto da Tiberio stesso come suo successore, poiché suo pronipote. Nato come Gaio Giulio Cesare Germanico, era il terzo figlio di Agrippina maggiore e di Germanico Giulio Cesare, generale molto amato dal popolo romano. La madre era figlia di Marco Vipsanio Agrippa (amico fraterno di Augusto) e di Giulia maggiore (figlia di primo letto di Augusto). Il padre era figlio di Druso maggiore (fratello di Tiberio e figlio di Livia, moglie di Augusto) e di Antonia Minore (figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Augusto). Era conosciuto col nome di Caligola per la sua abitudine di portare particolari sandali chiamati caligae. Le fonti storiche pervenuteci lo hanno reso noto per la sua stravaganza, eccentricità e depravazione ma la loro esiguità fa comunque di Caligola il meno conosciuto di tutti gli imperatori della dinastia. 4) Claudio (41-54 d.C.) il cui nome completo era Tiberio Claudio Cesare Germanico, quarto imperatore e membro della gens Claudia, fu il primo tra i Principi a non essere adottato nella gens Iulia, poiché il suo predecessore, Caligola, aveva estinto la linea adottiva. Claudio era nato a Lugdunum (l'attuale Lione) in Gallia il 1º agosto 10 a.C. col nome di Tiberio Claudio Druso, terzo figlio di Nerone Claudio Druso (Druso maggiore) e Antonia minore, dopo Germanico e Livilla. Il padre di Claudio era figlio di Tiberio Claudio Nerone e di Livia Drusilla, ma era nato tre mesi dopo che Livia aveva sposato Ottaviano Augusto; l'imperatore Tiberio era dunque zio paterno di Claudio. È tuttavia assai probabile che Druso, padre di Claudio, fosse figlio adulterino dello stesso Augusto, che ben prima del suo divorzio da Scribonia intratteneva una relazione amorosa con Livia Drusilla. Ottaviano, dopo il divorzio da Scribonia, aveva sposato l'aristocratica Livia quando questa era già incinta del precedente marito; o almeno così si diceva, perché in realtà la voce che circolava era un'altra: si sospettava infatti che il figlio che Livia portava in grembo fosse proprio il frutto di una relazione adulterina che la donna aveva intrattenuto con Augusto ,che dunque sarebbe stato il padre naturale di Druso e non il patrigno come si riteneva. Lo stesso Claudio, durante il suo regno, riprese a sostenere che suo padre era in realtà il figlio illegittimo di Augusto stesso. Nel 4, in seguito all'adozione del fratello Germanico Giulio Cesare nella famiglia Giulia, Claudio divenne il pater familias dei Claudii Nerones e prese il nome Tiberio Claudio Nerone Germanico. Claudio era considerato dai suoi contemporanei come un candidato improbabile al ruolo di imperatore, soprattutto in considerazione di una qualche infermità da cui era affetto, tanto che la sua famiglia lo tenne lontano dalla vita pubblica fino all'età di quarantasette anni, quando tenne il consolato assieme al nipote Caligola. Fu probabilmente questa infermità e la scarsa considerazione politica di cui godeva che gli permisero di sopravvivere alle purghe che colpirono molti esponenti della nobiltà romana durante i regni di Tiberio e Caligola: alla morte di quest'ultimo, Claudio divenne imperatore proprio in quanto unico maschio adulto della dinastia giulio-claudia. Celebre rimane il frammento di un'iscrizione di Lione, sua città natale, che trascrive un discorso pubblico di Claudio in cui lo stesso faceva riferimento alla storia degli Etruschi, da lui stesso amata e studiata per decenni, in particolare al periodo di Servio Tullio, il sesto re di Roma, da lui nominato Mastarna: CIL XIII, 1668. 5) Nerone (54-68 d.C.) Nato con il nome di Lucio Domizio Enobarbo, fu il quinto ed ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia. Nato ad Anzio il 15 dicembre 37, da Agrippina Minore e Gneo Domizio Enobarbo, il futuro imperatore Nerone era discendente diretto di Augusto e della Gens Giulia (dal lato materno e anche dal lato paterno, dato che il padre era un pronipote di Augusto tramite la sorella di quest'ultimo, Ottavia), e della famiglia di Tiberio, la Gens Claudia. Il padre apparteneva alla famiglia dei Domizi Enobarbi, una stirpe considerata di "nobiltà plebea", (cioè recente), mentre la madre era figlia dell'acclamato condottiero Germanico, nipote di Marco Antonio, di Agrippa e di Augusto, nonché sorella dell'imperatore Caligola che quindi era suo zio materno. Nel 39 sua madre, amante del potere e descritta da molti come spietatamente ambiziosa, fu scoperta coinvolta in una congiura contro il fratello Caligola e venne quindi mandata in esilio nell'isola di Pandataria nel mar Tirreno, nell'arcipelago pontino. In quegli anni il piccolo Lucio visse con la zia Domizia Lepida, che egli amò più della madre e dalla quale avrebbe imparato l'amore per lo spettacolo e per la danza. L'anno seguente il marito di lei Gneo morì e il suo patrimonio venne confiscato da Caligola stesso. Nerone succedette al padre adottivo Claudio nell'anno 54, governò per quattordici anni fino al suicidio avvenuto all'età di trent'anni. Per la sua politica favorevole al popolo fu inviso alla classe aristocratica, motivo per cui ne fu tramandata un'immagine di tiranno, parzialmente rivista dalla maggioranza degli storici moderni, i quali ritengono che non fosse né pazzo - come lo descrissero alcune fonti - né particolarmente crudele, ma che i suoi comportamenti fossero simili a quelli di altri imperatori non ugualmente giudicati, anche se il suo comportamento ebbe certamente qualche eccesso e stravaganza; inoltre fu accusato del grande incendio di Roma, fatto da cui gli studiosi moderni tendono a discolparlo. Inizialmente, Nerone lasciò il governo di Roma a sua madre, al prefetto dei pretori Afranio Burro, Seneca e Petronio. Tuttavia, divenendo adulto, il suo desiderio di potere aumentò: fece giustiziare la madre ed i tutori. Durante il suo regno ci fu una serie di rivolte e ribellioni in tutto l'Impero: in Britannia, Armenia, Partia e Giudea. L'incapacità di Nerone di gestire le ribellioni e la sua sostanziale incompetenza divennero rapidamente evidenti fino a che nel 68, quando perfino la guardia Imperiale lo abbandonò, Nerone si suicidò. L'anno 69 (noto come l'anno dei quattro Imperatori) fu un anno di guerra civile, con gli Imperatori Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano al trono in rapida successione.

- Particolarmente favorevoli all'uso sessuale degli eunuchi, stando agli storici del tempo, furono alcuni imperatori come Nerone che «...dopo aver tagliato i testicoli al giovinetto Sporo cercò anche di trasformarlo in donna e se lo fece condurre in cerimonia solenne con tanto di dote e velo rosso, come nei grandi matrimoni, e lo tenne accanto come se fosse una moglie». Rapporti sessuali con eunuchi vengono riferiti anche da parte di Tito (imperatore dal 79 all'81) e Domiziano (imperatore dal 14 settembre 81 al 96)..

Nel 69 - Anno di guerre civili, si succedono al trono quattro imperatori in rapida successione: Galba, successore di Nerone in carica dal giugno 68, Otone, entrato in carica a gennaio, Vitellio, imperatore da aprile e Vespasiano, che otterrà la porpora a dicembre per tenerla saldamente per dieci anni. Galba venne eletto in Hispania, Vitellio dalle legioni germaniche, Otone dalla guardia pretoriana a Roma ed infine Vespasiano dalle legioni orientali e danubiane. La dinastia flavia fu la seconda dinastia imperiale romana e detenne il potere dal 69 al 96. I Flavii Vespasiani erano una famiglia della classe media, d'origine modesta, giunta poi all'ordine equestre grazie alla militanza fedele nell'esercito, che giunse al potere quando Tito Flavio Vespasiano, generale degli eserciti d'oriente, prese il potere durante l'Anno dei quattro imperatori.

- Servio Sulpicio Galba Cesare Augusto (Terracina, 24 dicembre 3 a.C. - Roma, 15 gennaio 69) noto semplicemente come Servio Sulpicio Galba o anche col cognomen Galba, aveva percorso l'intero cursus honorum fino al consolato e agli incarichi di governatore in Germania superiore, Africa proconsolare e nella Hispania Tarraconensis. Sostenne la rivolta di Gaio Giulio Vindice, ufficiale dell'esercito romano che si era ribellato contro l'imperatore romano Nerone, alla cui morte e con l'investitura del senato Galba ascese al trono, primo a regnare durante l'Anno dei quattro imperatori. Dopo appena sette mesi di governo, il 15 gennaio del 69 fu deposto e assassinato dai pretoriani che elevarono Otone come imperatore.

- Marco Salvio Otone Cesare Augusto (Ferento, 28 aprile 32 - Brixellum, 16 aprile 69), meglio conosciuto semplicemente come Otone, è stato il settimo imperatore romano, in carica per circa tre mesi, dal 15 gennaio al 16 aprile del 69. Proveniente da una nobile famiglia etrusca, aveva iniziato la sua vita pubblica sotto il principato dell'imperatore Nerone, del quale diventò intimo amico. Il rapporto fra i due si ruppe quando Otone rifiutò di divorziare dalla moglie Poppea, che Nerone voleva appunto sposare. Otone venne quindi mandato come governatore nella lontana Lusitania, dove amministrò la provincia per dieci anni. Nel 68 aiutò Galba a rovesciare Nerone e a prendere il potere imperiale, ma quando vide le sue speranze di essere designato erede andare in fumo, si rivoltò contro Galba e prese lui stesso il potere. Dopo pochi mesi di tranquillità e ordinaria amministrazione, iniziò una guerra con il ribelle Vitellio. Questi scese in Italia dalla Germania e sconfisse gli eserciti di Otone, che si suicidò per non far continuare i conflitti.

- Aulo Vitellio Germanico Augusto (Nuceria Alfaterna, 6 o 24 settembre - Roma, 20 dicembre 69), conosciuto semplicemente come Vitellio, è stato l'ottavo imperatore romano. Secondo Svetonio, Vitellio avrebbe passato la sua giovinezza a Capri, dove sarebbe stato fra i giovani amanti di Tiberio, cosa che avrebbe accelerato la carriera al padre. In realtà, mentre la reale entità delle perversioni dell'imperatore è assai dubbia, è altrettanto improbabile che sia veramente accaduto qualcosa del genere, dato che gli sforzi nella carriera politica del padre vanno più probabilmente interpretati come quelli di un homo novus in cerca di affermazione. La sua ascesa al trono sarà ostacolata dalle legioni di stanza nelle province orientali, che avevano acclamato il loro comandante Vespasiano imperatore. Nella guerra che seguì, Vitellio riportò una sconfitta nella seconda battaglia di Bedriaco, località situata nell'attuale comune di Calvatone nei pressi di Cremona. Dopo questa battaglia, essendo stato abbandonato dai suoi seguaci, Vitellio abdicò in favore di Vespasiano, ma fu comunque ucciso a Roma dai soldati di Vespasiano, il 20 dicembre 69.

Vespasiano: Ny Carlsberg
Glyptotek, Copenhagen,
foto di Carole Raddato
da QUI.
- Con la contestazione del potere di Vitellio da parte delle legioni orientali, Vespasiano, inviato da Nerone a reprimere la rivolta degli ebrei in Palestina, viene scelto da esse come nuovo candidato  imperatore. Lasciato il figlio Tito in Giudea, egli si recò in Egitto aspettando prudentemente a recarsi a Roma finché generali a lui fedeli sconfiggessero Vitellio nella pianura padana (nella seconda battaglia di Bedriaco del 69) e finché non ricevette manifestazioni di pubblica obbedienza da parte del Senato e da ogni area dell'Impero. Nella capitale stazionò intanto il figlio secondogenito Domiziano, come reggente, finché non venne raggiunto dal padre nell'estate del 70. Tito Flavio Vespasiano, meglio conosciuto come Vespasiano (Cittareale, 17 novembre 9 - Cotilia, 23 giugno 79), governò fra il 69 e il 79 con il nome di Cesare Vespasiano Augusto. Fondatore della dinastia flavia, nono Imperatore, fu il quarto a salire al trono nel 69 (l'anno dei quattro imperatori), ponendo fine a un periodo d'instabilità seguito alla morte di Nerone e definito da Tacito, "lungo anno". Comandante delle truppe che erano impegnate fin dal 66 nella repressione in Giudea, venne acclamato imperatore dalle legioni d'Egitto, Giudea, Siria e Danubio. All'arrivo dell'imperatore a Roma il senato lo riconobbe e lo nominò console per l'anno 70, insieme a suo figlio Tito. La guerra civile rappresentò una decisa rottura con il passato, sia perché s'interruppe la continuità dinastica nella successione imperiale, sia perché per la prima volta un imperatore venne nominato lontano da Roma. Al nuovo sovrano vennero riconosciuti con un decreto del senato tutti i poteri che erano stati propri di Augusto, Tiberio e Claudio. Ristabilita dunque la calma, Vespasiano, il primo principe dell'ordine equestre, poté dedicarsi a ristabilire al più presto l'ordine, riconducendo le varie istituzioni alle loro competenze originarie frenando sia le richieste dei generali, sia l'indebolimento del Senato. Per riuscirci fece approvare la lex de imperio Vespasiani, dove chiariva le prerogative della sua carica, dell'utilizzo del titolo di Cesare e indirizzava verso una natura ereditaria la dignità imperiale. Nella sua riforma egli escluse ogni riferimento al modello monarchico ellenistico, anche se di fatto si riservò un potere assoluto. Per facilitare il passaggio di potere ai suoi due figli egli li tenne sempre in prima linea nel governo. Tito continuò l'incarico in Giudea, debellando la ribellione ebraica nel 70 (distruzione di Gerusalemme) e dedicandosi negli anni successivi alla repressione degli ultimi focolai (assedio di Masada). Quando tornò a Roma Tito ricevette il trionfo, ottenne i poteri di tribuno e ricoprì, col padre, la carica di censore, oltre ad essere più volte console e prefetto del pretorio (cioè capo dei pretoriani). La censura di Vespasiano e Tito permise loro di intervenire sulla composizione del Senato. Vespasiano favorì l'accesso alla carica senatoria di numerosi esponenti non italici (soprattutto Ispanici e Galli), favorendo così la romanizzazione delle province. In campo economico, dopo il disastroso anno dei quattro imperatori, fu costretto a attuare una politica di rigore con misure anche impopolari, quali l'introduzione di nuove tasse. Un celebre aneddoto riferisce che egli mise una tassa sugli orinatoi (gabinetti pubblici, che da allora vengono chiamati anche vespasiani). Rimproverato dal figlio Tito, che riteneva la cosa sconveniente, gli mise sotto il naso il primo danaro ricavato, chiedendogli se l'odore gli dava fastidio («Pecunia non olet» ovvero «il denaro non ha odore», quale che ne sia la provenienza); e dopo che questi gli rispose di no, aggiunse «eppure proviene dall'orina». Attraverso l'esempio della sua semplicità di vita, mise alla gogna il lusso e la stravaganza dei nobili romani e iniziò sotto molti aspetti un marcato miglioramento del tono generale della società. Grazie alle nuove entrate venne intrapresa una notevole stagione edilizia nella capitale e nelle province che portò nuovo benessere a tutto l'Impero. Dal punto di vista militare Vespasiano cercò di consolidare ed estendere i confini, soprattutto nelle zone più strategiche, come la Britannia e la zona tra Reno e Danubio (circa l'attuale Foresta Nera). Vespasiano attuò un ristabilimento economico e sociale in tutto l'Impero che godette, grazie al suo governo, di una pax che rimarrà proverbiale. Di fatto sarà uno degli imperatori più amati della storia romana.

- La dinastia flavia è la seconda dinastia imperiale romana, che ha detenuto il potere dal 69 al 96 con Vespasiano (imperatore nel 69/79), Tito (imperatore nel 79/81) e Domiziano (imperatore nell'81/96). I Flavii Vespasiani erano una famiglia della classe media, d'origine modesta, giunta prima all'ordine equestre grazie alla militanza fedele nell'esercito di Tito Flavio Vespasiano, che imporrà la successione al trono ereditaria.


Arco di Tito, rappresentazione del trafugamento del
tesoro del tempio (il secondo) di Gerusalemme da parte
dei Romani; è riconoscibile la Menorah, il candelabro
d'oro a sette braccia.
Nel 70 - Dopo varie rivolte in Giudea, dove il potere di Roma era stato richiesto dai giudei stessi per sedare dissidi interni, Tito, figlio dell'imperatore Vespasiano, distrugge il  secondo Tempio di  Gerusalemme portandone il tesoro, detto "di Salomone", a Roma. Inizia la diaspora del popolo Ebraico.. Inizia la diaspora del popolo Ebraico. Per le guerre giudaiche, vedi il post "Cronologia degli Ebrei: Sadducei, Farisei, Esseni, Zeloti e Sicarii, Gnostici e Cristiani" QUI.

Tito: Glyptotek, Munich,
foto di Carole Raddato
da QUI.
Dal 79 - Tito (Roma, 30 dicembre 39 - Aquae Cutiliae, 13 settembre 81), figlio primogenito di Vespasiano, gli succede alla guida dell'impero alla sua morte e governerà per appena due anni. Per aver condotto a termine la prima guerra giudaica con l'assedio alla città di Gerusalemme, quando il padre era ormai unico imperatore a Roma, si meritò la costruzione di un arco di trionfo nel Foro romano. L'eruzione del Vesuvio del 79 (che causò la distruzione di Pompei ed Ercolano e gravissimi danni nelle città e comunità attorno al golfo di Napoli) e un rovinoso incendio divampato a Roma l'anno successivo, diedero modo a Tito di mostrare la propria generosità: in entrambi i casi contribuì con le proprie ricchezze a riparare i danni e ad alleviare le sofferenze della popolazione. L'interessamento e l'intervento immediato dell'imperatore suscitò verso di lui le simpatie degli strati sociali più umili. Questi episodi, e il fatto che durante il suo principato non fu emessa nessuna sentenza di condanna a morte, gli valsero l'appellativo presso gli storici suoi contemporanei di "delizia del genere umano".

Nell' 80 - L'imperatore Tito inaugura il Colosseo, l'anfiteatro flavio, costruzione iniziata durante il governo di suo padre Vespasiano. 

Domiziano: Musei
Capitolini, Roma,
da QUI.
Nell' 81 - Tito si ammala e muore in una villa di sua proprietà. Le fonti parlano di una forte febbre: secondo Svetonio, potrebbe essere stato colpito dalla malaria assistendo i malati, oppure avvelenato dal suo medico personale Valeno su ordine del fratello Domiziano. Dopo la prematura scomparsa di Tito sale al potere il suo fratello minore,  Domiziano  (Roma, 24 ottobre 51 - Roma, 18 settembre 96), che seguirà le orme del padre in politica estera, intraprendendo alcune campagne militari tese a rafforzare i confini. Fece a tale scopo costruire una serie di fortini collegati tra loro nella regione del Reno, presidiati stabilmente da contingenti di ausiliares e nell'area danubiana stanziò stabilmente guarnigioni di legionari, dall'attuale Austria fino quasi al Mar Nero. In politica interna invece Domiziano si distanziò notevolmente dal tracciato paterno, instaurando di fatto una monarchia assoluta di stampo autocratico, accettando con piacere forme di servilismo dei senatori, come l'adulazione ostentata e il titolo di "Dominus ac deus"(signore e dio). Domiziano si rese estremamente impopolare per le sue tendenze autocratiche, che spezzarono quell'illusione, creata da Augusto, che l'imperatore fosse solo un primus inter pares, cioè il primo fra uguali. Quale censore a vita espulse dal Senato a più riprese gli elementi a lui sfavorevoli, determinando una forte situazione di attrito. Ai tentativi di congiura scoperti rispose sempre con fermezza, emettendo numerose condanne a morte che colpirono anche personaggi in vista dell'aristocrazia. Ciò non fece che accelerare i tentativi del Senato di sopprimerlo, individuando infine un liberto che aveva accesso alla sua corte come esecutore materiale e l'anziano senatore Marco Cocceio Nerva quale suo successore. Con la morte di Domiziano (96) ebbe fine la dinastia flavia. A Domiziano sarà inflitta la damnatio memoriae, con la distruzione di ogni immagine, iscrizione o dedica che lo potesse ricordare ai posteri.

Dall' 83 - Iniziano le Campagne germaniche dell'imperatore Domiziano, consistenti in azioni di guerra, condotte negli anni 83 - 84/85 circa, contro le popolazioni germaniche di Catti, Mattiaci, Vangioni, Triboci e Nemeti. L'occupazione successiva dei territori compresi tra i fiumi Reno e Danubio, diede inizio alla costruzione del sistema difensivo del limes germanico-retico, terminata solo durante il principato di Antonino Pio. Per questi successi l'imperatore Domiziano si meritò il titolo di Germanicus alla fine dell'83.

L'impero dei Flavi era cominciato quasi un quindicennio prima con Vespasiano. A questi era succeduto il figlio maggiore Tito, morto prematuramente nell'81, e poi il fratello minore, Domiziano.
Quest'ultimo adottò una politica estera estremamente aggressiva, soprattutto in Occidente, cominciando tutta una serie di guerre lungo i confini imperiali a partire dalla Britannia (con le campagne in Britannia di Agricola), evidentemente per renderne più sicure le sue frontiere, ma anche per brama di glorie militari. Con la fine dell'82 Domiziano, dopo l'ennesimo attacco da parte della popolazione germanica dei Catti, che poco tempo prima avevano invaso i territori della Gallia, decise che era giunto il momento di occupare l'area germanica denominata Agri decumates, racchiusa tra i due principali fiumi che costituivano il limes settentrionale dell'impero romano: Danubio e Reno. Recatosi in Gallia con il pretesto di tenere un censimento, comparve improvvisamente su Reno con le armate schierate nei pressi di Mogontiacum. Il totale delle forze messe in campo dall'impero romano potrebbe essersi aggirato attorno agli 80.000 armati, di cui 40.000 legionari e 40.000 ausiliari.
Carta del limes (confine) germanico-
retico nel 90, sotto Domiziano.
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La campagna prese le mosse dal quartier generale di Mogontiacum dove era concentrato il grosso dell'esercito. L'obiettivo principale era la vicina tribù dei Catti a nord dei monti del Taunus. Non è escluso che Domiziano abbia ottenuto l'amicizia ed alleanza militare delle vicine popolazioni di Ermunduri e Cherusci (considerando che pochi anni più tardi sostenne con il denaro, il vicino re cherusco). Questa alleanza gli avrebbe certamente permesso di tenere impegnato il nemico anche lungo il fronte settentrionale ed orientale.
I Catti furono battuti ripetutamente come ci racconta Frontino: « L'imperatore Cesare Augusto Germanico, quando i Catti scappando ripetutamente nelle foreste si sottraevano allo scontro tra cavallerie, ordinò ai suoi cavalieri, che una volta raggiunti i loro carriaggi, smontassero e combattessero a piedi. Con questo accorgimento ottenne che nessuna difficoltà di terreno compromettesse la sua vittoria. » (Frontino, Stratagemata, II, 3, 23.). Le armate romane poterono così penetrare ed occupare il territorio germanico per circa 75 chilometri a nord est di Mogontiacum (limitibus per centum viginti milia passuum actis), includendo ora il popolo alleato dei Mattiaci. Domiziano al termine delle operazioni militari (giugno/agosto dell'83), ricevette il titolo vittorioso di Germanicus e la sua quarta acclamazione ad Imperator. I due anni successivi furono dedicati alla costruzione di tutta una serie di fortini e strade militari nel Wetterau e Taunus, cominciando a creare il primo tratto fortificato del limes germanico-retico e congiungendo il fiume Lahn al fiume Meno. Contemporaneamente si procedette all'avanzata nei territori di Nemeti e Triboci, percorrendo il corso del fiume Neckar da ovest ad est, e costruendo i nuovi forti a Ladenburg e a Neuenheim; a sud la penetrazione avveniva portando la linea di confine verso settentrione, costruendo una serie di nuovi forti ausiliari a Sulz, Geislingen, Rottenburg an der Laaber, Burladingen, Gomadingen, Donnstetten, Urspring e Günzburg, unendo così la fortezza militare di Argentoratae (nei pressi dell'odierna Strasburgo) con la capitale della Rezia, Augusta Vindelicum (Augsburg).
Carta del limes dell'Impero Romano a nord-ovest nell'80. In rosa gli
stanziamenti delle legioni. Da QUI.
Sappiamo che attorno all'88, il re dei Cherusci, Chariomero, venne cacciato dal suo regno dai Catti, poiché si era dimostrato amico ed alleato dei Romani. Inizialmente riuscì a radunare un nuovo esercito ed a fare ritorno; ma più tardi venne abbandonato da chi lo aveva rimesso sul trono, quando decise di inviare ostaggi ai Romani, divenendo "cliente" di Domiziano. Egli non garantì alcun sostegno militare ai Romani, ma ricevette denaro dai Romani. Nel corso della rivolta dell'allora governatore della Germania superiore, Lucio Antonio Saturnino, i Catti ne approfittarono per attaccare il tratto di limes appena costituito, ma furono ancora una volta battuti e respinti.
L'occupazione degli Agri Decumates, iniziata per la verità dal padre di Domiziano, Vespasiano (con le campagne del legato della Germania Superiore, Gneo Pinario Cornelio Clemente nel 73/74 per le quali ottenne gli ornamenta triumphalia) permise la creazione di una prima linea di fortificazioni artificiali nel Taunus-Wetterau, a cui se ne sarebbero aggiunte altre fino ad Antonino Pio, per un totale di 550 km. Traiano continuò la penetrazione romana nell'area sia come governatore della Germania superiore (attorno agli anni 92-96), sia come imperatore (tra il 98 ed il 100) con l'avanzamento oltre il fiume Reno verso est, fino al cosiddetto limes di Odenwald, tratto di frontiera che collegava il fiume Meno presso Wörth, con il medio Neckar a Bad Wimpfen. Il successore Adriano, contribuì all'avanzamento lungo il cosiddetto limes dell'Alb (nei pressi di Stoccarda).
Carta del limes dell'Impero Romano nell'ovest del Mediterraneo nell'80.
In rosa gli stanziamenti delle legioni. Da QUI..
Gli Agri Decumates o Decumates Agri furono una regione della provincia romana della Germania superior, comprendente l'area della Foresta Nera tra il fiume Meno, le sorgenti del Danubio e il corso del Reno superiore fra il lago di Costanza e la sua confluenza col Meno, e corrispondente all'odierna Germania sud-occidentale (Wurttemberg, Baden e Hohenzollern). A sud-est i Decumates confinavano con la Rezia, provincia importante dal punto di vista militare. L'unica testimonianza antica del nome Agri Decumates proviene dal De origine et situ Germanorum di Tacito. Il significato della parola "decumates" è andato perduto ed è oggetto di contesa. Secondo lo storico britannico Michael Grant si riferiva probabilmente all'antico termine celtico indicante la suddivisione politica dell'area in "dieci cantoni". Secondo Tacito la regione era originariamente abitata dalla tribù celtica degli Elvezi ma ben presto, probabilmente sotto Ariovisto, vi si stabilirono i germanici Suebi (o Svevi), prima di emigrare, attorno al 9 a.C., nella moderna Boemia. Dopo la partenza degli Suebi l'area venne di nuovo abitata dai Galli.
Carta del limes dell'Impero Romano nell'est del Mediterraneo nell'80.
In rosa gli stanziamenti delle legioni. Da QUI..
Più tardi la regione divenne parte dell'Impero Romano. L'area venne colonizzata sotto la dinastia flavia (69-96); la costruzione durante questo periodo di una rete di strade facilitò la comunicazione tra le legioni e migliorò la protezione contro le tribù di invasori. Lungo il percorso passante per Rheinbrohl - Arnsburg - Inheiden - Schierenhof - Gunzenhausen - Pförring furono costruite delle fortificazioni di frontiera (limes). I più importanti insediamenti romani erano Sumelocenna, Civitas Aurelia Aquensis, Lopodunum e Arae Flaviae, le odierne Rottenburg am Neckar, Baden-Baden, Ladenburg e Rottweil. Nei due secoli successivi la regione fiorì, nonostante alcuni periodi di caos come quello intorno al 185/186, quando ci fu una rivolta diretta principalmente contro la presenza di militari Romani ad Argentoratum (la moderna Strasburgo).
Tabella delle corrispondenze fra i numeri segnalati
nelle carte del limes dell'impero romano nell'80 e
i nomi con i numeri ordinali delle legioni e la
località in cui erano stanziate. Da QUI.
I Romani controllarono la regione fino alla seconda parte del III secolo, quando venne evacuata dall'imperatore Gallieno a fronte dell'invasione degli Alemanni e della secessione di gran parte dell'Impero romano d'Occidente sotto Postumo.
L'area potrebbe essere stata riconquistata per breve tempo dall'imperatore Aureliano. Dopo la morte dell'imperatore Probo (282) l'area fu definitivamente abbandonata e lasciata agli Alemanni. Da allora e fino al giorno d'oggi il territorio è stato ininterrottamente abitato da persone di origine germanica.Gli insediamenti romani non furono abbandonati immediatamente: esistono prove del proseguimento di uno stile di vita "romano" fino al V secolo, così come accadde nella confinante Gallia fino a molto tempo dopo il collasso dell'Impero romano d'Occidente. Fu sotto Antonino Pio (nel 145-146) che molte delle torri e dei forti in legno, furono ricostruiti interamente in pietra, ma soprattutto si ebbe il definitivo avanzamento del limes di oltre 30 km ad est della precedente linea dell'Odenwald-Neckar.

Dall' 85 - La Germania superiore (Germania superior) fu organizzata in provincia imperiale romana tra l'85 ed il 90 d.C., comprendendo vasti territori che erano appartenuti in precedenza alla Gallia Lugdunensis. Nella provincia venne incluso anche il territorio occupato dagli Elvezi e quella regione di confine racchiusa tra l'alto corso del Reno e l'alto corso del Danubio, ovvero la regione degli Agri Decumates. La provincia venne affidata ad un legatus Augusti pro praetore. Uno dei primi e più famosi governatori della provincia fu Traiano, che amministrò la Germania Superior attorno al 98 d.C., anno della sua adozione a succedere a Nerva quale nuovo imperatore di Roma. Nella successiva riorganizzazione tetrarchica voluta da Diocleziano (alla fine del III secolo), la Germania superiore divenne parte della Diocesi delle Gallie con il nuovo nome di Germania I.
Carta delle migrazioni del III secolo con indicati gli Agri
Decumates, Germania superiore e Germania inferiore.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- La Germania inferiore (Germania inferior) era il nome della provincia romana situata sulla riva occidentale del fiume Reno, in corrispondenza degli attuali Paesi Bassi e Germania occidentale. La Germania inferiore fu organizzata, da distretto militare qual era dopo la clades Variana del 9, in provincia imperiale romana tra l'85 ed il 90, comprendendo vasti territori che erano appartenuti in precedenza alla Gallia Belgica. La battaglia della Foresta di Teutoburgo, chiamata clades Variana (la disfatta di Varo) dagli storici romani, si svolse nell'anno 9 d.C. tra l'esercito romano guidato da Publio Quintilio Varo e una coalizione di tribù germaniche comandate da Arminio, capo dei Cherusci. La battaglia ebbe luogo nei pressi dell'odierna località di Kalkriese, nella Bassa Sassonia, e si risolse in una delle più gravi disfatte subite dai Romani: tre intere legioni (la XVII, la XVIII e la XIX) furono annientate, oltre a 6 coorti di fanteria e 3 ali di cavalleria ausiliaria. Per riscattare l'onore dell'esercito sconfitto, i Romani diedero inizio a una guerra durata sette anni, al termine della quale rinunciarono a ogni ulteriore tentativo di conquista della Germania. Il Reno si consolidò come definitivo confine nord-orientale dell'Impero per i successivi 400 anni. Nella provincia venne inclusa quella regione di confine racchiusa tra la foce del Reno e il basso corso della Mosella. La provincia venne affidata ad un legatus Augusti pro praetore. Nella successiva riorganizzazione tetrarchica voluta da Diocleziano (fine del III secolo), la Germania inferiore divenne parte della Diocesi delle Gallie con il nuovo nome di Germania II.

Claudio Tolomeo da https://it.
wikipedia.org/wiki/File:Claudio_
Tolomeo_-_In_una_miniatura
_del_trattato_%22Geografia%22
_stampato_a_Ulm_(Germania)
_nel_1482.jpg
Nel 90 - Nasce Claudio Tolomeo. La vita di Claudio Tolomeo si svolse indicativamente fra gli anni 90 e 170 della nostra era. Solo alcuni commentatori hanno avanzato l’ipotesi che egli fosse di stirpe egizia. Altri, prendendo spunto dal nome Claudio, eminentemente romano, hanno suggerito che egli fosse di discendenza latina, pur essendo assorbito nell'ambiente ellenistico. In genere è ritenuto di discendenza greca. Circa la località di nascita, si concorda sull’Egitto. Uno dei pochi elementi certi su di lui è che la sua attività scientifica si svolse ad Alessandria d'Egitto. La prima osservazione astronomica a lui attribuita è dell’anno 127, l’ultima dell’anno 141. In tutte le trattazioni riguardanti la figura di questo grande scienziato non viene mai tralasciato di esporre l’argomento delle violente discussioni suscitate dalla sua attività scientifica, al punto di levare contro di lui accuse veramente gravi che hanno messo in dubbio l’onorabilità del suo senso etico. Probabilmente Tolomeo aveva a cuore l'ansia che aveva assillato Platone, preoccupato di non potere spiegare, col suo modello cosmologico, gli stazionamenti, i moti retrogradi e le apparenti variazioni di velocità visibili nei moti planetari, dovute alle orbite ellittiche dei pianeti e al fatto che al centro del sistema c'è il Sole e non la Terra. L'incongruenza fra la linearità e la perfezione del sistema cosmologico platoniano e l'evidenza delle osservazioni dei moti planetari fu tenuta nascosta alla massa e rivelata solo agli addetti, agli iniziati, che Platone esortava a scoprire le leggi della meccanica celeste che avrebbero potuto salvare la "perfezione" della sua spiegazione del cosmo. Tolomeo riuscì così ad elaborare alcune ipotesi astro-matematiche atte a spiegare il sistema cosmologico in tutte le sue espressioni, e le pubblicò nell'Almagesto. Come è noto, il titolo originalmente dato da Tolomeo all’opera fu "Sintassi matematica". I primi commentatori greci modificarono il titolo in "La più grande sintassi matematica". Quando ne vennero in possesso, gli Arabi apparentemente tradussero soltanto le prime parole del titolo, per cui esso divenne per loro "al-majisti", e finalmente, con la traduzione in latino dall’arabo (nel 1175 circa, ad opera di Gherardo da Cremona) il titolo divenne Almagesto. L’opera rimase il fondamentale canone astronomico adottato in tutto il mondo fino a più di un secolo dopo la pubblicazione (1543) del "De Revolutionibus" di Copernico. Si compone di tredici libri. Con essa Tolomeo si proponeva, secondo le sue stesse parole, utilizzando sia le conoscenze che gli erano state trasmesse dai suoi grandi predecessori, che apportandovi i propri contributi, di fornire un compendio di nozioni astronomiche atte a spiegare il sistema cosmologico in tutte le sue espressioni. In definitiva, si trattava, a partire dai modelli matematici degli epicicli e degli eccentri, di produrre, quale risultato finale, una procedura matematica predittiva delle posizioni di ciascun pianeta. In questo lavoro, una delle opere scientifiche più influenti dell'antichità, Tolomeo raccolse la conoscenza astronomica del mondo greco  basandosi soprattutto sul lavoro svolto tre secoli prima da Ipparco di Nicea. Tolomeo formulò un modello geocentrico, in cui solo il Sole e la Luna, considerati pianeti, avevano il proprio epiciclo, ossia la circonferenza sulla quale si muovevano, centrata direttamente sulla Terra. Questo modello del sistema solare, che da lui prenderà il nome di «sistema tolemaico», rimase di riferimento per tutto il mondo occidentale e arabo fino a che non fu sostituito dal modello di sistema solare eliocentrico dell'astronomo polacco  Niccolò Copernico, che era già noto, comunque, nell'antica Grecia al tempo del filosofo Aristarco di Samo (310 a.C. circa - 230 a.C. circa). I metodi di calcolo illustrati nell'Almagesto (integrati nel XII secolo dalle cosiddette Tavole di Toledo, di origine sasanide e riprese dagli Arabi musulmani) si dimostrarono di una precisione sufficiente per i bisogni di astronomiastrologi e navigatori, almeno fino all'epoca delle grandi scoperte geografiche. L'Almagesto contiene anche un catalogo di stelle, probabilmente l'aggiornamento di un analogo catalogo compilato da Ipparco. L'elenco di quarantotto costellazioni che vi è contenuto è l'«antenato» del sistema di costellazioni moderne, ma non poteva coprire l'intera volta celeste, poiché questa non è completamente accessibile dalle latitudini del Mediterraneo, nelle cui vicinanze vissero Ipparco e Tolomeo. Tolomeo, oltre all'Almagesto, fu autore di diverse altre opere di astronomia. L'Iscrizione Canobica e le Tavole manuali sono strettamente collegate alla sua opera principale, mentre le Ipotesi Planetarie descrivono un modello meccanico del sistema planetario, costituito da sfere celesti incastonate l'una nell'altra, che è totalmente assente nell'Almagesto. Ci restano anche l'Analemma, il Planisphaerium e il secondo libro delle Fasi. Altra opera importante di Tolomeo è la Geografia, che contiene un'esposizione delle basi teoriche della geografia matematica e le coordinate di 8000 diverse località. Le fonti principali dell'opera furono l'opera del geografo Marino di Tiro e resoconti di viaggi attraverso l'impero romano, la Persia e altrove, ma gran parte delle informazioni relative a paesi al di fuori dell'impero erano imprecise. La prima parte della Geografia contiene una discussione dei dati e dei metodi impiegati. Tolomeo vi espone i metodi cartografici che gli avevano permesso di disegnare carte sia dell'intero mondo abitato (oikoumene) che delle singole province romane. La seconda parte della Geografia è invece un elenco di 8000 luoghi con le loro latitudini e longitudini. Una delle innovazioni di tale opera fu proprio l'utilizzo, per la prima volta, della latitudine e della longitudine per l'identificazione dei luoghi sulla superficie terrestre. Il suo oikoumenè copriva 180 gradi di longitudine, dalle Canarie (nell'Oceano Atlantico) alla Cina, e circa 80 gradi di latitudine, dal Mare artico all'Estremo Oriente (India Transgangetica) e all'Africa centrale. La latitudine era misurata a partire dall'equatore, come si fa anche oggi. Quanto alle longitudini, Tolomeo fissò il meridiano di longitudine 0 in corrispondenza al territorio più occidentale di cui fosse a conoscenza, le Isole Fortunate, che sono state identificate con le attuali isole Canarie. I valori riportati da Tolomeo, presentano due errori sistematici. Innanzitutto sottovalutò le dimensioni della Terra. Mentre Eratostene aveva stimato che un grado di meridiano corrispondesse a 700 stadi, Tolomeo usò il valore di 500 stadi per grado (1 stadio = 157 metri) allontanandosi così dall'ottima approssimazione di Eratostene e introducendo un errore di circa il 30%, inoltre vi è un notevole errore sistematico sulle longitudini.Un'altra opera scientifica importante di Tolomeo è l'Ottica, che ci è giunta incompleta. Il trattato comprende, oltre a una sezione sulla riflessione, una trattazione dei fenomeni di rifrazione e include, in particolare, una tabella che fornisce gli angoli di rifrazione corrispondenti a vari angoli di incidenza per le coppie acqua-aria, aria-vetro e acqua-vetro: si tratta di un'importante testimonianza dell'antico metodo sperimentale. Riveste interesse anche la sezione dedicata al colore, che include esperimenti con un disco ruotante colorato a spicchi di vari colori, usualmente attribuito a Newton. Il trattato "Tôn apotelesmatikôn" ossia "Degli effetti [delle configurazioni astronomiche sulla storia degli individui e delle nazioni]"), conosciuto anche come "Tetrabiblos" od "Opus quadripartitum" ("Opera in quattro libri"), è l'opera astrologica di Tolomeo, testo fondamentale dell'astrologia classica che sta alla base dell'astrologia occidentale. Tolomeo è il primo autore classico ad affrontare l'argomento astrologico con rigore: a differenza di coloro che lo avevano preceduto, organizza l'analisi delle influenze dei movimenti degli astri in pochi presupposti ben definiti, istruendo il lettore a dedurre le predizioni utilizzando leggi geometriche precise. Nelle prime righe del "Tetrabiblos" Tolomeo si scaglia contro i ciarlatani che, rivestendo in modo improprio l'astrologia con pratiche magiche e occulte, hanno gettato fango con predizioni arbitrarie su quella che lui considera una scienza esatta; il limite delle predizioni astrologiche, secondo l'autore, sta nell'incapacità umana di comprendere completamente il funzionamento delle influenze degli astri che determinano, sia negli essere umani che negli eventi meteorologici e tellurici, destini ineluttabili. Tolomeo fu anche autore di un'importante opera di teoria musicale, gli Armonici.

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