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mercoledì 16 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.32: dal 193 al 257 e.v. (d.C.)

Settimio Severo.
Dal 193 - Con la scomparsa di Commodo, ucciso da una congiura, si apre un periodo di instabilità politica caratterizzata da una guerra civile durata cinque anni, dal 193 al 197, con scontri tra legioni acquartierate in diverse regioni dell'Impero, ciascuna delle quali sostiene il proprio generale  come  nuovo imperatore. Ha la meglio Settimio Severo, originario della Tripolitania, in Africa, governatore della Pannonia. L'ascesa di Settimio Severo costituisce uno spartiacque nella storia romana; è considerato infatti l'iniziatore della nozione di "dominato" in cui l'imperatore non è più un privato gestore dell'impero per conto del Senato, come durante il principato, ma è unico e vero dominus, che trae forza dall'investitura militare delle legioni (anche se anticipazioni di questa tendenza si erano avute durante la guerra civile seguita alla morte di Nerone e con Traiano).

- Quando Augusto divenne il primo Imperatore romano, considerava il titolo di dominus («signore») come un grave insulto e sempre lo respinse con vergogna. Svetonio racconta che un giorno, durante una rappresentazione teatrale alla quale assisteva, un mimo esclamò: O dominum aequum et bonum! («O signore giusto e buono!»). Tutti gli spettatori approvarono esultanti, quasi che l'espressione fosse rivolta ad Augusto, ma egli, non solo pose fine a queste adulazioni con un gesto e lo sguardo, il giorno seguente, emise anche un severo proclama che ne vietasse ulteriori piaggerie. Egli, infine, non permise che lo chiamassero dominus né i figli o i nipoti, che fosse per gioco o in tono serio. L'ambizione di Augusto era quella di essere fondatore di un optimus status, facendo rivivere le più antiche tradizioni romane e nel contempo tenendo conto delle problematiche dei tempi. Il mantenimento formale delle forme repubblicane, nelle quali si inseriva il nuovo concetto della personale auctoritas del princeps (primo fra pari), permise di risolvere i conflitti per il potere vissuti nell'ultimo secolo della Repubblica. Egli non schiacciò affatto l'antica aristocrazia, ma le affiancò, in una più vasta cerchia del privilegio, il ceto degli uomini d'affari e dei funzionari, organizzati nell'ordine equestre, i cui membri furono spesso utilizzati dall'imperatore per controllare l'attività degli organi repubblicani e per il governo delle province imperiali. La transizione dal "Principato" al "Dominato" è avviata con Settimio Severo (sotto il quale compare la dicitura dominus in chiave ufficiale e propagandistica) e poi "amplificata" dal 235 con l'ascesa di Massimino Trace e perdurata per tutto il periodo dell'anarchia militare, finché può dirsi completata nel 285 d.C., con l'inizio del regno di Diocleziano e della Tetrarchia. Il dominato fu l'ultima forma assunta dal potere imperiale sino alla fine dell'Impero d'Occidente.

- Settimio Severo fu inoltre iniziatore di un nuovo culto che si incentrava sulla figura dell'imperatore, ponendo le basi per una sorta di "monarchia sacra" mutuata dall'Egitto e dall'oriente ellenistico di Alessandro Magno. Fu così che Settimio Severo adottò il titolo di Dominus ac Deus, (Signore e Dio) al posto di quello di princeps (Augusto definiva il princeps come il primo degli uguali, cioè i senatori), e regolò i meccanismi di successione assegnandosi il titolo di Augustus ed usando quello di Caesar per il suo successore designato. Sua moglie Giulia Domna, di origine siriaca, promosse attivamente l'arrivo a Roma di culti monoteistici solari, che sottolineavano l'analogia tra ordine imperiale e ordine cosmico. Settimio Severo pose le basi per il successivo sistema autocratico fondato sugli imperatori militari, creando la prima forma di autocrazia militare, togliendo potere al Senato dopo aver messo a morte numerosi membri dello stesso. Si racconta infatti che, poiché aveva preso il potere con l'aiuto dei militari, ricambiò l'ostilità senatoria subito dopo la vittoria su Clodio Albino, ordinando l'esecuzione di 29 senatori, accusati di corruzione e cospirazione contro di lui e sostituendoli con suoi favoriti, soprattutto africani e siriani. Inoltre attribuì e ampliò i poteri degli ufficiali dell'esercito investendoli anche di cariche pubbliche che erano solitamente appannaggio del senato. Appena giunto a Roma avviò l'epurazione della guardia pretoriana, che dopo due secoli di dominio dell'influenza italica (allora reclutata per lo più in Italia e in piccola parte nelle province più romanizzate), fu smantellata e riorganizzata con quadri e organici a lui fedeli, tratti dal contingente danubiano. Da allora in poi l'accesso alla Guardia Pretoriana, un tempo avente un prerequisito geografico e culturale, sarebbe stata appannaggio dei soldati più battaglieri, quelli dell'Illirico nel III secolo. Insediò una legione ad Albano Laziale, a dispetto della tradizione che voleva l'Italia libera dagli eserciti e utilizzò i proventi della vendita delle terre confiscate agli avversari politici per creare una cassa imperiale privata, il fiscus. Il fiscus era distinto dall'aerarium che era la cassa dello Stato e che doveva coprire i costi della complessa e articolata macchina burocratica e amministrativa dell'Impero. Diede impulso agli studi di diritto e nominò il più importante giurista del tempo, Papiniano, Praefectus urbi, con poteri di polizia e repressione criminale su Roma. Il nuovo ordine promosso da Settimio Severo si scontrò presto con i problemi derivati dallo scoppio di nuove guerre. Già l'imperatore Caracalla dovette guerreggiare contro i Parti, a oriente, e i Marcomanni, lungo il confine renano-danubiano, peggiorando notevolmente le finanze statali. Per risolvere le difficoltà si fecero delle scelte che alla lunga si rivelarono dannose: l'arruolamento sempre più massiccio degli stessi germani nell'esercito e, dalla fine del II secolo, la diminuzione del metallo prezioso nelle monete, che causò inflazione. Le campagne militari contro i Parti combattute dagli Imperatori erano dettate da esigenze strategiche di controllo dell'area e anche da esigenze politiche, per perpetuare l'affermazione del potere imperiale romano. Ma erano anche l'inseguimento della scia di Alessandro Magno, che quasi la totalità degli Imperatori ebbero a modello. Il sovrano macedone, proprio combattendo contro i Persiani era diventato un mito quasi al pari di Ercole e gli Imperatori Romani intendevano emularlo. Alessandro Magno aveva sempre unito le funzioni militari a quelle religiose e sacerdotali officiando personalmente i riti. Ben lontani dall'idea del sovrano macedone di una fusione di popoli, gl'imperatori romani inseguivano nell'area una politica di potenza, molto dispendiosa e infruttuosa, come manifestarono le Guerre romano-partiche. Vittorioso contro i Parti, risultò essere l'Imperatore Settimio Severo, che era diventato generale romano ma proveniva da una famiglia di re-sacerdoti che risiedevano a Emesa, città santa e capitale del culto del Dio solare "El-Gabal", che divenne poi il "Sol invictus" dei romani. Saccheggiata Ctesifonte, capitale dei Parti, Settimio Severo tornò a Roma, portando con sé la Legio II Parthica, la seconda delle tre legioni che aveva formato in Siria ovvero: Legio I Parthica, Legio II Parthica e Legio III Parthica, fedeli a lui e al dio solare El-Gabal.
Impero Romano e le sue province
nel 210 e.v. (d.C.). L'Italia
è suddivisa in regioni dal 6 e.v.
La dinastia dei Severi portò questo culto dall'Oriente fino a Roma e anche se si trattava dell'Imperatore che aveva vinto una guerra civile e sconfitto i Persiani emulando Alessandro Magno, dovettero esservi delle resistenze. Prevedendole, o comunque per consolidare il proprio potere, Settimio Severo portò con sé a Roma la II Legio Parthica, facendola risiedere nei Castra Albana, sui Colli Albani. Da Roma il culto del Dio adorato dall'Imperatore e dai suoi soldati ebbe modo di diffondersi, specialmente nei ranghi dell'esercito, al comando del quale venivano scelti adoratori del Dio Solare che dal nome siriaco "El-Gabal" prese ben presto quello romanizzato di "Sol Invictus", il Sole invicibile, il cui primo adoratore, vicario e sacerdote era l'Imperatore stesso. Non tutte le legioni si convertirono al nuovo culto, e la discriminazione nella scelta dei comandi volta a escludere questi ultimi dovette alienare le simpatie di tutti costoro al giovane e ultimo discendente di Settimio Severo, Severo Alessandro. Questi venne assassinato dal suo successore, Massimino il Trace nel 235 d.C. Questo è l'anno in cui viene fatta iniziare di solito l'anarchia militare. Secondo questa interpretazione storica essa non fu altro che il ribellarsi di quella parte di società romana che non voleva soggiacere al culto solare orientale dopo trenta anni di dominio di questa.

Caracalla.
Nel 211 - A Settimio Severo succede come imperatore romano il figlio Caracalla  (imperatore dal 211 al 217), nato a Lugdunum (Lione), in Gallia, il 4 aprile 188, da Settimio Severo e Giulia Domna, Augusta e detentrice di un potere mai raggiunto da una donna romana. Il suo vero nome era Lucio Settimio Bassiano ma il padre Settimio Severo l'aveva fatto cambiare in Marco Aurelio Antonino per suggerire una parentela col vecchio imperatore Marco Aurelio. Fu in seguito soprannominato "Caracalla" dal nome della tunica con cappuccio di origine gallica che spesso indossava e che fece conoscere ai Romani. Aveva un fratello, Publio Settimo Geta.

Nel 212 - Dopo circa quarant'anni, i Catti germanici tornano a sfondare il limes  romano e per la prima volta sono menzionati gli Alemanni, una confederazione di tribù di Suebi (chiamati Svevi nel medioevo) nella regione del Wetterau (in Assia), dinanzi al limes. Era dai tempi di Marco Aurelio, durante le Guerre marcomanniche (166/167-188) che le tribù germaniche non esercitavano una pressione così forte lungo i confini settentrionali dell'Impero romano. Le invasioni barbariche del III secolo (212/213-305), secondo tradizione, ebbero inizio con la prima incursione condotta della confederazione dei Suebi Alemanni (o Alamanni) nel 212/13, sotto l'imperatore Caracalla, inaugurando un periodo ininterrotto di scorrerie all'interno dei confini dell'impero romano per fini di saccheggio e bottino, da genti armate appartenenti alle popolazioni che gravitavano lungo le frontiere settentrionali: Pitti, Caledoni e Sassoni in Britannia; le tribù germaniche di Frisi, Sassoni, Franchi, Alemanni, Burgundi, Marcomanni, Quadi, Lugi, Vandali Iutungi e Goti (Tervingi, Grutungi e Gepidi); le tribù daciche dei Carpi e quelle sarmatiche di Iazigi, Roxolani ed Alani, oltre a Bastarni, Sciti, Borani ed Eruli dai fiumi Reno e Danubio fino al Mar Nero.

Nel 212/213 - Caracalla promulga la "Constitutio Antoniniana", con la quale estende la cittadinanza romana a tutti gli individui liberi dell'impero, un atto di difficile interpretazione, anche perché non ci è giunto il suo testo originale. L'Editto, pur con tutti i suoi limiti, presentava dei caratteri altamente innovativi destinati ad avere una profonda ripercussione sui futuri assetti sociali ed economici dell'Impero. Il provvedimento ebbe infatti riflessi nell'economia erariale, perché estendeva il sistema fiscale ai nuovi cittadini e aumentava la decentralizzazione del potere: il fulcro amministrativo ormai si spostava da Roma e dalle province di tradizionale appannaggio senatorio a quelle più decentrate, dove maggiore era la presenza degli eserciti. A partire dagli anni 213-214, si ebbero nuove incursioni in Dacia e in Pannonia inferiore, lungo il tratto danubiano attorno ad Aquincum, da parte dei Vandali. L'Imperatore Caracalla, costretto ad intervenire di persona, riuscì a chiedere aiuto agli alleati Marcomanni, opponendoli ai vicini Vandali che si stavano dimostrando da qualche tempo particolarmente ostili.

Nel 217 - Macrino, prefetto del pretorio, elimina Caracalla e si autoproclama imperatore. Il suo regno durò solo quattordici mesi. Il prefetto del pretorio era secondo in comando all'imperatore e responsabile per le uniche forze militari presenti nella città di Roma: la guardia del corpo dell'imperatore, ovvero i pretoriani. Questa era la massima carica che un personaggio dell'ordine equestre potesse raggiungere a quei tempi: naturalmente i membri dell'ordine equestre non facevano parte dell'aristocrazia. Macrino fu spodestato da Eliogabalo, autore di una discussa riforma religiosa e assassinato da una guardia pretoriana nel 222. Gli successe il cugino Severo Alessandro, ucciso nel 235 da una rivolta dei soldati lungo il confine renano. Si assisteva quindi a una sempre più chiara tendenza di dominio dell'esercito nel processo di scelta e acclamazione dell'imperatore. I cambiamenti nelle istituzioni, nella società, nella vita economica e, di conseguenza anche nel modo di pensare e nella religione furono così profondi e fondamentali, che la "crisi del III secolo" è sempre più vista come lo spartiacque che contrassegna la differenza fra il mondo classico e quello della tarda antichità, che già porta in sé i germi del Medioevo. Durante i circa 50 anni della crisi più di una ventina di imperatori si succedettero sul trono, regnando a volte contemporaneamente su parti diverse del territorio. Si trattava in genere di comandanti militari che venivano proclamati imperatori dalle proprie legioni e riuscivano a mantenere il potere per una media di due o tre anni, prima di essere a loro volta assassinati dal loro successore. La crisi si arrestò solo con una serie di imperatori che provenivano dai ranghi militari e dalla provincia della Dalmazia, i quali grazie alla loro abilità militare riuscirono a riunificare l'Impero e a difenderne efficacemente i confini, e con la drastica riforma imposta da Diocleziano nel 284, che permise la prosecuzione dell'Impero per quasi altri due secoli come "tardo impero romano".

- Tra il II e il III secolo d.C. la castrazione per motivi religiosi aumenta, specie sotto gli imperatori di origine siriaca che privilegiavano il culto della dea Cibele al punto che lo stesso Eliogabalo (imperatore romano appartenente alla dinastia dei Severi dal 218 al 222) si evirò per diventare sacerdote della dea.

- Particolarmente rilevante è la presenza degli eunuchi alla corte dell'imperatore che affida loro non solo la custodia delle sue donne, com'era nella tradizione orientale, ma anche compiti di particolare fiducia. Questa particolare posizione dell'eunuco nella società romana, per cui per un verso rientra nella figura dello schiavo ma per un altro assume le funzioni di un importante personaggio della vita pubblica dipende da quella che l'antropologo Claude Meillassoux ha definito come la desessualizzazione dello schiavo. Agli schiavi nel mondo romano, considerati pure e semplici "cose" come fossero una merce, era proibita la parentela. Moses Israel Finley definisce gli schiavi come dei "senza-famiglia" poiché non possono contrarre matrimonio legittimo e gli eventuali figli divengono proprietà del dominus che potrà farne ciò che vuole: tenerli o venderli. «Gli schiavi privi di importanza sociale non hanno né mogli né figli perché i loro amori e la loro procreazione sono come quelli delle bestie di un gregge: il padrone si rallegrerà nel vedere il gregge che si accresce: tutto qui». Questo processo di disumanizzazione culmina con la castrazione con cui viene esclusa per lo schiavo divenuto eunuco ogni possibilità di procreare: «L'eunuco porta al suo estremo il carattere contro-parentale della schiavitù; attraverso la castrazione lo schiavo viene portato alla sua essenza. L'eunuco è lo schiavo per eccellenza il cui stato giuridico è racchiuso nel suo stato fisico.». Connessa alla castrazione è la singolare "fedeltà" al suo padrone riferita agli eunuchi. Un primo motivo della fiducia nella fedeltà degli eunuchi era riposta nella convinzione che avendo questi ormai caratteristiche fisiche di docilità e di sottomissione femminile, questi stessi tratti si fossero trasferiti al loro carattere. L'impossibilità di formare una dinastia poi metteva al sicuro da contraccolpi chi deteneva il potere. Inoltre l'eunuco essendo una cosa è privo di qualsiasi connotazione personale che viene sostituita da quella del suo padrone di cui egli è una proiezione tanto che è inutile che continui ad essere schiavo per la legge e quindi vale spesso affrancarlo per la sua presunta fedeltà al dominus. Questo spiega la consuetudine a Roma dell'affrancazione frequente degli eunuchi che spesso occupano posti di responsabilità politica specie in epoca imperiale.


Busto di Alessandro Severo,
Roma, Musei Capitolini.
https://it.wikipedia.org/wiki/
Alessandro_Severo#/media/
File:Alexander_Severus
_Musei_Capitolini_
MC471.jpg
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Nel 222 - Marco Aurelio Severo Alessandro Augusto (Arca Caesarea, 1º ottobre 208 - Mogontiacum, 18 o 19 marzo 235), nato come Marco Bassiano Alessiano (Marcus Bassianus Alexianus) ma meglio noto semplicemente come Alessandro Severo (Alexander Severus), è nominato imperatore romano, l'ultimo della dinastia dei Severi, che regnerà dal 222 al 235, anno della sua morte. Adottato dal cugino e imperatore Eliogabalo, dopo il suo assassinio Alessandro salì al trono. Data la sua giovane età (fu imperatore a tredici anni), il potere fu effettivamente esercitato dalle donne della sua famiglia, la nonna Giulia Mesa e la madre Giulia Mamea. Passato alla storia come esempio di buon imperatore, rispettò le prerogative del Senato e si prese cura dei sudditi, non aumentò il carico fiscale e favorì il sincretismo religioso, infatti nel suo larario trovò posto anche una statua di Gesù Cristo, insieme a quella di Abramo. Come Antonino Pio, di carattere fu mite e buono, ebbe nobili inclinazioni. Anche quando giudicò su colpe gravissime, non inflisse la pena di morte. L'imperatore non fu però all'altezza dei problemi militari che dovette affrontare. Nel 229 la dinastia dei Sasanidi incominciò un'offensiva che strappò ai Romani la Cappadocia e la Mesopotamia, fino a minacciare la Siria. Severo riuscì ad arginare l'invasione, ma dovette rapidamente trasferirsi sul fronte del Reno per difendere la Gallia dall'aggressione dei Germani. Nel 235 fu assassinato dai suoi stessi soldati durante una campagna contro le tribù germaniche, in quanto stava trattando un accordo col nemico ed essi trovavano troppo esitante la sua condotta in guerra.

Nel 230 - I Goti arrivano a contatto con il mondo romano nella zona che va dalla foce del Danubio al Regno del Bosforo Cimmerio, regno ellenistico situato nelle penisole di Crimea e di Taman'. 

I Goti nel 230.
Goti (in latino Gothones) erano una federazione di tribù germaniche orientali, secondo le loro stesse tradizioni originari dell'isola di Gotland e della regione di Götaland in Svezia, che a ondate erano sbarcati sulle coste del Mar Baltico e da qui si erano spinti a sud sottomettendo le popolazioni che avevano trovato sul loro percorso. Due tribù strettamente apparentate, i Gutar e i Götar, che rimasero in Scandinavia, sono annoverate fra i Goti con i nomi di Gotlandi e Geati. Sappiamo che la prima suddivisione  interna della federazione gotica, fu tra le due maggiori tribù (si pensa che in totale le tribù fossero non meno di dodici), i Tervingi a occidente e i Greutungi a oriente, che successivamente, dal III/IV secolo, saranno denominati Visigoti (Goti dell'ovest)  e Ostrogoti (Goti dell'est), mentre i Gepidi erano il ramo gotico settentrionale. Nel IV e V secolo i Goti saranno spinti a occidente dagli Unni e dopo la fine dell'Impero romano d'Occidente (nel 476) fonderanno i regni romano-barbarici:
- visigotico, grosso modo tra le attuali Francia e Spagna,
- e il regno ostrogotico, che comprendeva l'Italia e la Penisola balcanica nordoccidentale. Questi regni rappresenteranno comunque una fusione fra la cultura romana e i nuovi dominatori barbarici, per cui è preferibile definire il regno dei Visigoti "visigotico" più che "visigoto", ecc. ecc..

- Gli Eruli, che erano una popolazione germanica di incerta origine (per alcuni erano dell'Halland in Svezia, mentre secondo altri della vicina isola danese di Selandia, se non nello Jutland stesso), tra il II e il III secolo si erano spostati, contemporaneamente ai Goti, nella regione compresa tra il fiume Dnepr e il mar d'Azov (230).

Carta del III secolo con Sarmazia,
Illiria e Anatolia, con le direttrici
delle incursioni delle popolazioni
germaniche e sarmatiche.
- I Sàrmati, a causa dell'arrivo degli Eruli e dei Goti nei loro territori, si divisero fra la loro destra e sinistra (a est e ovest). I Sàrmati, popolo iranico, probabilmente si distinguevano in quattro tribù: Iazigi, Roxolani (o Rossolani), Aorsi e Alani. In origine abitavano le steppe lungo il Volga, le regioni pedemontane degli Urali meridionali e la steppa del Kazakistan occidentale.

Nel 234 - Nell'ultimo anno di principato di Severo Alessandro, gli Alemanni attaccano in massa le difese romane e da lì in poi gli scontri non cesseranno più: sul Reno contro Alemanni e Franchi e lungo il Danubio, a causa della pressione di nuove stirpi germaniche (Vandali, Burgundi e Longobardi), contro i Goti, in particolare sulle frontiere della Dacia e della Mesia, oltre alle continue pressioni dei Sàrmati. 

Gaio Giulio Vero
Massimino, noto
come Massimino il
Trace, il primo
imperatore barbaro,
Nel 235 - A seguito dell'assassinio, da parte dei suoi soldati e del suo successore,  dell'imperatore Alessandro Severo, ultimo imperatore della dinastia dei Severi, a Moguntiacum (l'odierna Magonza), capitale della provincia della Germania Inferior, Massimino Trace è acclamato imperatore, malgrado la forte opposizione del Senato e l'ostilità della popolazione. L'omicidio avvenne nel il limes settentrionale, al ritorno dal fronte orientale, dopo tre anni di campagne contro i Sasanidi della Persia. Massimino è stato il primo barbaro a raggiungere la porpora imperiale  grazie al solo consenso delle legioni; era nato senza la cittadinanza romana e non aveva percorso alcun corsus honorem. Al "Sol invictus", il Sole invincibile, il cui primo adoratore, vicario e sacerdote era stato l'Imperatore Settimio Severo, non tutte le legioni si erano convertite e la discriminazione nella scelta dei comandi, volta a escludere i non-convertiti, dovette alienare le simpatie di tutti costoro al giovane e ultimo discendente di Settimo Severo, Alessandro Severo. Il 235 d.C. è quindi l'anno in cui viene fatta iniziare di solito l'anarchia militare, che fu anche una ribellione di quella parte di società romana che non voleva soggiacere al culto solare orientale, dopo trenta anni di dominio di questa. Le legioni fedeli al successore dei Severi, Massimino il Trace, stanziate nei confini più occidentali, sul Reno e sul Danubio non seguivano a quel tempo il culto solare, mentre era già presente una forte componente barbarica in quegli eserciti, i quali preferivano dunque la politica tollerante e con termine moderno diremmo affine all'agnosticismo degli imperatori del secolo precedente, ovvero quello del Principato adottivo e non ereditario. Dopo aver preso il potere, Massimino lanciò l'ultima grande offensiva romana in Germania con effettivi in gran parte germanici, contro gli Alemanni, che da allora rimasero tranquilli per vent'anni, ma  perse la guerra e la vita contro i futuri Imperatori Gordiano I e Gordiano II, che avevano i comandi e l'appoggio dell'Africa romana, regione di provenienza di Settimio Severo, ove il culto del Dio solare era invece già diffuso. Sotto il loro discendente Gordiano III il problema dei barbari sui confini si fece molto più pressante che in passato, esigendo dunque eserciti fedeli e coesi. Sia l'Imperatore Filippo l'Arabo che il suo successore Decio erano stati generali dell'esercito di Gordiano III, fedeli al dio solare, che pur non pretendendo esclusiva devozione e quindi non configurandosi come un monoteismo, prendeva senz'altro il primo posto nel Pantheon dell'Impero Romano. È significativo che proprio sotto Decio cominciarono le persecuzioni contro il cristianesimo. La pressione dei barbari lungo le frontiere settentrionali e quella, contemporanea, dei Sasanidi in Oriente, si erano non solo intensificate, ma avevano diffuso la sensazione che l'impero fosse totalmente accerchiato dai nemici. Si rivelavano ormai inefficaci gli strumenti della diplomazia tradizionale, usati fin dai tempi di Augusto e basati sulla minaccia dell'uso della forza e sulla fomentazione di dissidi interni alle diverse tribù ostili (la politica del “dividi e impera”) per tenerle impegnate le une contro le altre. Si rendeva necessario ricorrere immediatamente alla forza, schierando armate tatticamente superiori e capaci di intercettare il più rapidamente possibile ogni possibile via di invasione dei barbari; la strategia era però resa difficoltosa dal dover presidiare immensi tratti di frontiera con contingenti militari per lo più scarsi. La causa principale della crisi del III secolo può essere ricercata nella fine dell'idea di Impero tipica delle dinastie giulio-claudia ed antonina, basata sulla collaborazione tra l'imperatore, il potere militare e le forze politico-economiche interne al fine di espandere l'impero, mentre nel III secolo d.C. tutte le energie dello Stato venivano spese non per ampliare, ma per difendere i confini dalle invasioni barbariche. Quindi, con l'esaurimento delle conquiste, il peso economico e l'energia politica delle legioni finirono per riversarsi all'interno dell'Impero invece che all'esterno, con il risultato che l'esercito, che era stato il fattore principale della potenza economica, finì per diventare un peso sempre più schiacciante, mentre la sua prepotenza politica diventava una fonte permanente di anarchia. La cosa più sorprendente  di questa gravissima crisi è che l'Impero sia riuscito a superarla. Molti degli imperatori che vennero via via proclamati dalle legioni successivamente, non riuscirono neppure a metter piede a Roma, né tanto meno, durante i loro brevissimi regni, a intraprendere riforme interne, poiché permanentemente occupati a difendere il trono imperiale dagli altri pretendenti e il territorio dai nemici esterni. La crisi, generalizzata in tutto l'impero, non fu solo politica, ma anche economica  e sociale. L'economia dell'impero romano nei primi due secoli si era basata sulla conquista militare di nuovi territori e sullo sfruttamento delle campagne da parte di schiavi, perlopiù prigionieri di guerra. Ora, in mancanza di nuove conquiste, di nuovi schiavi e di bottini di guerra, le spese dello Stato, sempre più impellenti per rispondere militarmente alle pressioni delle popolazioni esterne dell'impero, furono coperte con un progressivo aumento delle tassazioni, proprio quando la diminuzione del numero di schiavi minava le possibilità economiche dei cittadini. Gradualmente la ricchezza, l'importanza politica, sociale, istituzionale e culturale si era livellata tra il centro e le province dell'Impero romano, sebbene con disparità ancora evidenti (in genere le province orientali erano economicamente più sviluppate di quelle occidentali). La pressione fiscale divenne insostenibile per molti piccoli proprietari, costretti a indebitarsi e quindi a vendere le proprie terre, per andare a lavorare in condizioni di semischiavitù sotto i grandi proprietari (colonato). Per questo fenomeno e per il calo demografico determinato dalle perdite umane nei numerosi conflitti, molte terre furono abbandonate e cessarono di essere produttive (fenomeno degli agri deserti). Le difficoltà di comunicazione in seguito ai numerosi conflitti avevano in diversi casi reso indispensabile la riscossione diretta delle tasse da parte dello stesso esercito, causando abusi e trasformandosi a volte in un vero e proprio diritto di saccheggio. Lo spopolamento di intere regioni fu inoltre causato anche da elementi climatici e sociali: i contadini, infatti, non conoscevano la rotazione delle colture e via via che la terra diventava improduttiva si dovevano spostare verso altre aree. Si diffusero così i latifondi scarsamente produttivi e il ceto dei contadini liberi si assottigliò, sostituito prima dagli schiavi e, successivamente, dai coloni affittuari. La scarsa capacità di acquisto delle classi subalterne  impediva una qualsiasi crescita del mercato economico. Mancava inoltre qualsiasi politica di sussidi statali all'agricoltura e alle manifatture. Fin dalla riforma di Settimio Severo, i soldati romani  vennero a costituire una casta (ereditaria) di privilegiati mentre gli altri, soprattutto gli agricoltori, si trovarono oberati da tasse. Di conseguenza in molti cercarono di abbandonare la terra per trasferirsi in città. Fin dalla fine del III secolo, e ancor più nel secolo successivo, lo Stato cercò di approntare una serie di meccanismi ed emanò alcune disposizioni legali tese a impedire l'abbandono della terra da parte dei contadini non proprietari che, a vario titolo, la coltivavano, creando così la servitù della gleba. Mentre per questi fattori l'impero si andava gradualmente impoverendo, le situazioni ai confini si stavano facendo sempre più critiche, con richieste di tributi per sostenere la macchina militare che sempre con maggiori difficoltà venivano ottenuti. Le aree spopolate vennero in seguito concesse ad alcune popolazioni barbariche che per prime si stabilirono nell'Impero come foederati. Le continue scorrerie da parte dei barbari nei vent'anni successivi alla fine della dinastia dei Severi avevano messo in ginocchio l'economia ed il commercio dell'Impero romano. Numerose fattorie e raccolti erano stati distrutti, se non dai barbari, da bande di briganti e dalle armate romane alla ricerca di sostentamento, durante le campagne militari combattute sia contro i nemici esterni, sia contro quelli interni (usurpatori alla porpora imperiale). La scarsità di cibo generava, inoltre, una domanda superiore all'offerta di derrate alimentari, con evidenti conseguenze inflazionistiche sui beni di prima necessità. A tutto ciò si aggiungeva un costante reclutamento forzato di militari, a danno della manovalanza impiegata nelle campagne agricole, con conseguente abbandono di numerose fattorie e vaste aree di campi da coltivare. Questa impellente richiesta di soldati, a sua volta, aveva generato una implicita corsa al rialzo del prezzo per ottenere la porpora imperiale. Ogni nuovo imperatore o usurpatore era costretto, pertanto, ad offrire al proprio esercito crescenti donativi e paghe sempre più remunerative, con grave danno per l'aerarium imperiale, spesso costretto a coprire queste spese straordinarie con la confisca di enormi patrimoni di cittadini privati, vittime in questi anni di proscrizioni "di parte". La crisi era aggravata, inoltre, dall'iperinflazione causata da anni di svalutazione della moneta. Questa si era resa necessaria già sotto gli imperatori della dinastia dei Severi, che per far fronte alle necessità militari avevano  ampliato l'esercito di un quarto e raddoppiata la paga base. Le spese militari costituivano poi il 75% circa del bilancio totale statale, in quanto poca era la spesa "sociale", mentre tutto il resto era utilizzato in progetti di prestigiose costruzioni a Roma e nelle province. A ciò si aggiungeva un sussidio in grano per coloro che risultavano disoccupati, oltre ad aiuti al proletariato di Roma (congiaria) e sussidi alle famiglie italiche (simile ai moderni assegni familiari) per incoraggiarle a generare più figli. I giacimenti di metalli preziosi erano ormai in esaurimento, dopo secoli di sfruttamento e finì per determinarsi, nel Tardo Impero, una rarefazione dell'oro e dell'argento all'interno dei confini imperiali, accelerando così la perversa spirale di diminuzione della quantità effettiva di metallo prezioso nelle monete coniate dai vari imperatori. Inoltre, l'instabilità politica ebbe pesantissimi effetti anche sui traffici commerciali, per cui l'ampia rete commerciale attiva nei due secoli precedenti fu interrotta. L'agitazione civile e i conflitti la resero non più sufficientemente sicura per permettere ai commercianti di viaggiare come prima e la crisi monetaria rese gli scambi molto difficili. Ciò produsse profondi cambiamenti che proseguirono  fino all'età medioevale. I grandi latifondisti, non più in grado di esportare con successo i loro raccolti sulle lunghe distanze, cominciarono a produrre cibi per la sussistenza e per il baratto locale e piuttosto che importare dei prodotti, cominciarono a produrre molti beni localmente, spesso sulle loro stesse proprietà di campagna, dove tendevano a rifugiarsi per sfuggire alle imposizioni dello Stato a carico dei cittadini. Nacque in tal modo una "economia domestica" autosufficiente che sarebbe diventata ordinaria nei secoli successivi, raggiungendo la sua forma finale in età medioevale. La crisi economica aveva comportato una diversa suddivisione della società. Delle tre classi tradizionali dei senatori, dei cavalieri e dei plebei, senatori e cavalieri (grandi proprietari terrieri e militari, che disponevano della proprietà terriera e delle riserve di monete d'oro) erano confluiti nella classe privilegiata degli honestiores, mentre artigiani e piccoli commercianti, toccati dalle difficoltà economiche e dalla svalutazione della moneta d'argento, erano confluiti nella classe degli humiliores che andava man mano perdendo i propri diritti: pene diverse erano previste per honestiores e humiliores e le possibilità di scalata sociale per quest'ultimi erano fortemente ridotte. Sempre più spesso gli humiliores rinunciavano volontariamente alle proprie libertà per affidarsi alla protezione dei grandi proprietari terrieri ed evitare inoltre l'arruolamento forzato nell'esercito così come i piccoli artigiani e i commercianti liberi delle città, che cominciarono a spostarsi verso le grandi proprietà della campagna, alla ricerca di cibo e di protezione. Diventarono così una classe di cittadini semi-liberi noti come coloni, legati alla terra e, grazie alle successive riforme imperiali, la loro posizione divenne ereditaria, un primo modello per la servitù della gleba, che avrebbe costituito la base della società feudale medioevale.

Nel 238 - In opposizione all'esoso governo di Massimino, si ribellano nella provincia d'Africa Gordiano I e Gordiano II (rispettivamente nonno e zio del futuro imperatore Gordiano III), che sono riconosciuti co-imperatori dal Senato, mentre al nipote è promessa la pretura, il consolato ed il titolo di Cesare. Contemporaneamente Massimino ed il figlio sono proclamati "nemici pubblici". L'azione dei due Gordiani sarà però, repressa in meno di un mese da Capeliano, governatore della Numidia e fedele seguace di Massimino. I due co-imperatori persero la vita, ma la pubblica opinione ne conservò la memoria come di letterati amanti della pace e vittime dell'oppressione di Massimino. Nel frattempo, Massimino era in procinto di marciare su Roma ed il senato elesse co-imperatori Pupieno e Balbino. Questi senatori non erano personaggi popolari e la popolazione di Roma, ancora scioccata dalla fine dei due Gordiano, pretese che il figlio tredicenne di Antonia Gordiana prendesse il nome del nonno, Marco Antonio Gordiano e che fosse nominato Cesare. Pupieno e Balbino sconfissero Massimino Trace principalmente grazie alla diserzione di alcune legioni, in particolare la Legio II Parthica, che assassinò Massimino. Il regno di Pupieno e Balbino fu minato fin dall'inizio da ribellioni popolari, dal malcontento nelle legioni ed anche da un enorme incendio che divorò Roma nel giugno del 238. Il 29 luglio Pupieno e Balbino furono uccisi dai pretoriani e Gordiano, giovanissimo, fu proclamato imperatore, riconosciuto anche dal Senato. In suo onore furono organizzati gare sceniche e ginniche. Marco Antonio Gordiano Pio, meglio noto come Gordiano III (Roma, 20 gennaio 225 - Circesium, 11 febbraio 244), è stato imperatore romano dal 238 alla sua morte, avvenuta durante una campagna militare in Oriente contro i Sasanidi. A causa della sua giovane età (salì al trono a tredici anni e regnò fino a diciannove), il governo dell'impero fu nelle mani di reggenti appartenenti all'aristocrazia senatoriale, che si dimostrarono capaci. Gordiano funse da simbolo dell'unità dell'impero, riscuotendo il sostegno del popolo. La storiografia ne dipinge quindi un ritratto estremamente positivo, forse anche in opposizione al suo successore Filippo l'Arabo.

- I goti Greutungi assunsero il nome di Ostrogoti (Goti dell'est) quando riconobbero l’autorità degli Amali, la loro dinastia reale, considerati come i più valorosi tra i loro guerrieri. Stando ad una loro leggenda, gli Amali discendevano da un antico eroe le cui gesta gli erano valse il titolo di Amala (ossia "potente"). La stirpe degli Amali fornì i seguenti re Ostrogoti: Ostrogota, (principe e condottiero vissuto all'epoca degli imperatori Gordiano III, imperatore romano dal 238 al 244 e Filippo l'Arabo, imperatore romano dal 244 al 249), Winitario (circa 380), Hunimundo (circa 390), Torismondo (circa 400), Valamiro circa (447 - 465), Widemero o Vidimero (circa 473), Teodemiro (468 - 474), Teodorico il Grande (474 - 526), Atalarico (526 - 534), Teodato (534 - 536). Inoltre tra gli Amali si annovereranno anche le regine Amalasunta e Matasunta. Alla morte di Teodato, avvenuta nel 536, gli Amali si estinsero definitivamente.


Nel 242 - Inizia la predicazione di Mani, fondatore del Manicheismo, che sarà crocifisso nel 276. Dal punto di vista dottrinale il manicheismo può essere considerato una forma di gnosticismo dualistico, che contrappone su uno stesso piano il Male (le Tenebre, il Diavolo) e il Bene (la Luce, Dio): il dio venerato dalle religioni sarebbe in realtà un demonio, mentre il vero dio sarebbe un deus absconditus, un dio nascosto. In campo etico, il manicheismo prevede un ascetismo molto rigoroso sia dal punto di vista sessuale che alimentare, arrivando a proibire il matrimonio e l'uso di determinate bevande. La chiesa manichea è composta dai "perfetti" (gli asceti, che costituiscono la vera e propria Chiesa) e dagli "imperfetti" (uditori o catecumeni). Questa dottrina ha suscitato grande interesse anche fra molti intellettuali, a partire da Agostino di Ippona, che però in seguito ne divenne il più acerrimo nemico, scrivendo ben dieci opere contro di essa, tra le quali "Contra Faustum Manichaeum", "Contra Secundinum Manichaeum", "De duabus animabus contra Manichaeos", "De Genesi contra Manicheos" e "De natura boni contra Manichaeos", le uniche fonti esistenti sulla religione su Mani fino a metà XIX secolo. Subito osteggiata dagli imperatori Romani e Persiani ebbe breve diffusione in Occidente, ma sopravvisse per secoli in Asia Centrale e Cina. In seguito il termine Manicheismo fu utilizzato per indicare posizioni cristiane dualiste (collegabili a quelle di Marcione) diffuse nell'alto e basso medioevo (vedi Manichei medievali) come, tra gli altri, i Bogomili ed i Càtari.

Nel 244 - Marco Giulio Filippo Augusto, meglio noto come Filippo l'Arabo (Trachontis, 204 circa - Verona, 249), è imperatore romano per cinque anni, dal 244 alla sua morte. Sono poche le notizie sui cinque anni e mezzo di regno di questo imperatore nato di umili origini e passato alla storia per aver celebrato il primo millennio di Roma e per la sua origine araba. Dopo una breve campagna sul fronte danubiano, di nuovo in subbuglio per la minaccia delle popolazioni germaniche, Filippo si recò a Roma per consolidare i rapporti con il Senato e per celebrare con grande sfarzo, il 21 aprile 247, le feste del millenario di Roma. Sui confini, però la situazione divenne drammatica, i Goti passarono il Danubio e invasero la Mesia. Vari usurpatori vennero acclamati dalle truppe e così, nel 249 anche il regno di Filippo terminò nel sangue e il suo posto fu preso dal senatore Messio Decio, comandante delle truppe sul fronte danubiano.


Dal 248 - Durante una nuova incursione di Goti, ai quali era stato rifiutato il contributo annuale promesso da Gordiano III, si associarono anche i Vandali, portando devastazione nella provincia di Mesia inferiore: « Sotto l'impero di quel Filippo […] i Goti malcontenti che non si pagasse più loro il tributo, si trasformarono in nemici da amici che erano. […] Ostrogota, re dei Goti, marciò contro i Romani alla testa di trentamila armati a cui si aggiunsero anche guerrieri taifali, asdingi e tremila Carpi, quest'ultimo popolo assai bellicoso e spesso funesto per i Romani. » (Giordane, De origine actibusque Getarum, XVI, 1-3.).
Carta dell'impero romano con in verde i territori della Dacia e Agri
Decumates persi nel III sec. Sono indicate, sempre in verde, le direttrici
delle migrazioni dei Sassoni, dei Franchi, dei suebi Alemanni, Iutungi,
Marcomanni e Quadi, degli Iazigi di origine sarmatica, dei Carpi di stirpe
L'invasione alla fine fu fermata dal futuro imperatore di origine illirica e allora generale dell'Imperatore Filippo l'Arabo, Decio Traiano, presso la città di Marcianopoli, rimasta sotto assedio dei barbari per lungo tempo. La resa dei barbari fu motivata sia dall'ignoranza dei Germani in fatto di macchine d'assedio che, come suggerisce Giordane, «dalla somma versata loro dagli abitanti». Nel III secolo inizia anche l'espansione di alcune tribù slave nella Boemia (nome che deriva da "territorio dei Boi"), a danno dei Celti.

Dal 250 - Dopo il primo assalto avvenuto durante l'epoca di Marco Aurelio, un'altra pesantissima e ancor più devastante epidemia di peste colpisce i territori dell'Impero nel ventennio 250-270. Si è calcolato che il morbo abbia mietuto milioni di vittime e che alla fine la popolazione dell'Impero si fosse ridotta del 30 per cento, da 70 a 50 milioni di abitanti. Il prezzo da pagare per la sopravvivenza dell'Impero fu molto alto anche in termini territoriali: a partire dal 260, gli Imperatori che si susseguirono dovettero abbandonare definitivamente, gli Agri decumates oltre il Reno (con Gallieno imperatore) e la provincia delle Tre Dacie (con Aureliano imperatore, nel 271 circa).

Nel 251 - Insieme al figlio Erennio Etrusco, muore l'imperatore ex senatore e generale Gaio Messio Quinto Traiano Decio (201 - 1º luglio 251), imperatore romano dal 249, durante la battaglia di Abrittus, che regnerà così per soli due anni. Furono avvenimenti torbidi quelli che seguirono la morte di Decio, che aveva dovuto sostenere dure lotte coi Goti giunti sino a Filippopoli. Gli eserciti romani lasciarono le frontiere per marciare verso l'interno e i barbari passarono dovunque i confini. I Goti, oltre a spingersi via terra a sud del Danubio, arrivavano anche per mare in Asia Minore. Alemanni e Franchi si rovesciarono sulla Gallia, attaccata per mare dai Sassoni. D'altra parte l'esercito imperiale era per buona parte formato da Germani con aspetto e organizzazione divenuti  sempre più barbarizzati e si era persa quella superiorità che gli veniva dall'armamento e dalla disciplina romana. 

Valeriano su sesterzio. Di
Classical Numismatic Group, Inc.,
Nel 253 - Il nuovo imperatore Valeriano  (imperatore dal 253 al 260), spartì il potere con il figlio Gallieno (imperatore dal 253 al 268), affidando a quest'ultimo la parte occidentale e riservando per sé quella orientale, come in passato era già avvenuto con Marco Aurelio e Lucio Vero (dal 161 al 169). Intorno al 253 gli Eruli si erano uniti ai Goti  nell'attacco a Pessinunte ed Efeso, che distrussero. In seguito presero parte, insieme ai Gepidi e ad altre tribù, all'imponente coalizione guidata dai Goti che saccheggiò le province romane della regione balcanico-anatolica. Da queste basi, Goti ed Eruli partirono per compiere varie incursioni e spedizioni di pirateria lungo le coste prima del mar Nero e poi dell'Asia minore. Nel 257 e nel 258, Valeriano emanò due editti,  che prevedevano la confisca dei terreni religiosi e la condanna dei seguaci del Cristianesimo; a differenza dei suoi predecessori diresse il proprio attacco alla gerarchia ecclesiastica piuttosto che ai semplici fedeli. Tra le vittime di questa persecuzione vi furono infatti papa Stefano I, papa Sisto II, il vescovo di Cartagine Cipriano (messo a morte nel settembre del 258 e con la fine della sua corrispondenza manca un'importante fonte storica di quel periodo), Dionisio di Alessandria e san Lorenzo martire. Il momento più cupo del suo principato fu raggiunto nel 260, quando Valeriano stesso fu sconfitto in battaglia e preso prigioniero dai Sasanidi,  morendo  in  prigionia senza che fosse possibile intraprendere una spedizione militare per liberarlo.

L'imperatore Gallieno.
- Se da un lato l'impero romano sembra abbia attraversato, sotto Gallieno, uno dei periodi più "bui" della sua storia, questo imperatore rappresentò il punto di svolta nel tragico periodo della crisi del III secolo, che era seguito alla dinastia dei Severi. Non è un caso che proprio Gallieno sia stato il primo a regnare per quindici anni (sette con il padre ed otto da solo), cosa assai rara se si considera il primo periodo dell'anarchia militare (dal 235 al 253). Era, infatti, dai tempi di Settimio Severo (193-211) che un Imperatore romano non regnava tanto a lungo. Gallieno riformò l'esercito: resosi conto dell'impossibilità di proteggere contemporaneamente tutte le province dell'impero con una statica linea di uomini posizionati a ridosso della frontiera, Gallieno sviluppò una pratica che era iniziata verso la fine del II secolo sotto Settimio Severo (con il posizionamento di una legione, la legio II Parthica, a pochi chilometri da Roma, ovvero posizionando una riserva strategica di soldati ben addestrati pronti ad intervenire, dove servisse nel minor tempo possibile (contingenti di cavalleria erano stanziati a Mediolanum, Sirmio, Poetovio e Lychnidos). In accordo con queste considerazioni, Gallieno attorno agli anni 264-268, o forse poco prima, costituì questa riserva strategica centrale (che sarà alla base della futura riforma dell'esercito di Diocleziano), formata prevalentemente da unità di cavalleria pesante dotate di armatura (i cosiddetti promoti, tra cui spiccavano gli equites Dalmatae, gli equites Mauri et Osroeni), poiché queste percorrevano distanze maggiori in minor tempo della fanteria legionaria o ausiliaria. Ed ogni volta che i barbari sfondavano il limes romano e s'inoltravano nelle province interne, la "riserva strategica" poteva così intervenire con forza dirompente. La base principale scelta da Gallieno per la nuova armata fu posta a Milano, punto strategico equidistante da Roma e dalle vicine frontiere settentrionali della Rezia e del Norico. Si trattava di un'iniziativa resasi necessaria anche a causa della perdita degli Agri decumates tra il Reno ed il Danubio, che aveva portato i vicini Germani a trovarsi più vicini alla penisola italica, centro del potere imperiale. La predisposizione per la cavalleria riguardava non solo le forze ausiliarie ed i numeri, ma anche le legioni stesse, dove il numero di cavalieri passò da 120 a 726 per legione. Sembra infatti che Gallieno abbia aumentato il contingente di cavalleria interno alla legione stessa, dove la prima coorte era composta da 132 cavalieri, mentre le altre nove di 66 ciascuna. Questo incremento fu dovuto proprio alla necessità di avere un esercito sempre più "mobile". La riforma di Gallieno, inoltre, toglieva ai senatori ogni carica militare; se in passato i comandanti delle legioni (legatus legionis) provenivano dal Senato a parte quelli che comandavano le legioni egiziane, ora provenivano dalla classe equestre (praefectus legionis). Con le riforme apportate da Gallieno infatti, era mutata sia la composizione sociale dei comandanti militari e dei loro diretti subalterni, già monopolio aristocratico, che quella degli ufficiali intermedi, un tempo privilegio dell'ordine equestre: dopo il 260 il comando delle legioni e la carica di tribuno militare fu assegnata a ufficiali di carriera spesso di bassa origine sociale. Era ora possibile, anche per un semplice legionario che si distinguesse per abilità e disciplina, scalare i diversi gradi dell'esercito: centurione, protector, dux, fino a ottenere incarichi amministrativi prestigiosi, quale quello di praefectuscomandante militare. La riforma eliminò, inoltre, in modo definitivo ogni legame tra le legioni e l'Italia, poiché i nuovi comandanti, che erano spesso militari di carriera partiti dai gradi più bassi e arrivati a quelli più alti, erano interessati più al proprio tornaconto o al massimo agli interessi della provincia d'origine (in particolare a quelle Illiriche, vedi quanti Imperatori illirici), ma non a Roma. I generali che comandavano questa forza, quindi, avevano nelle loro mani un potere incredibile e non è un caso che futuri augusti come Claudio II il Gotico o Aureliano ricoprissero questo incarico prima di diventare imperatori. Il periodo in cui Gallieno regnò da solo (260-268) fu caratterizzato anche da un rifiorire delle arti e della cultura, con la creazione di un ponte tra la cultura classica dell'epoca degli Antonini e quella post-classica della Tetrarchia. Tale periodo vide un cambiamento nella visione dei rapporti tra uomo e divino e tra uomini, un movimento che consciamente tentò di far rinascere la cultura classica ed ellenica, come si può osservare dalla monetazione e dalla ritrattistica imperiale. « In verità Gallieno si segnalava, non lo si può negare, nell'oratoria, nella poesia ed in tutte le arti. Suo è il celebre epitalamio che risultò il migliore tra cento poeti. [...] si racconta che abbia recitato: "Allora andate ragazzi, datevi da fare con il profondo del cuore tra voi. Non le colombe i vostri sussurri, né l'edera i vostri abbracci, né vincano le conchiglie i vostri baci". » (Historia Augusta, Gallieni duo, 11.6-8.). Fu questo periodo che vide fiorire il Neoplatonismo, il cui maggior rappresentante, Plotino, fu amico personale di Gallieno e della moglie Salonina. I ritratti di Gallieno si rifanno allo stile classico-ellenistico di quelli di Adriano, ma la nuova spiritualità è evidente dallo sguardo verso l'alto e dalla palese immobilità del ritratto, che danno un senso di trascendenza e immutabilità. Lo stesso imperatore rinnovò i legami con la cultura ellenica rafforzati da Adriano e Marco Aurelio, recandosi in visita ad Atene, diventando arconte eponimo e facendosi iniziato ai misteri di Demetra. Tale slancio verso il trascendente e la divinità è rimarcato dalle emissioni numismatiche di Gallieno. Lì dove l'imperatore si trovava per far sentire la propria presenza in zone dell'impero minacciate, la zecca locale coniava monete in cui gli dei (tra cui Giove in diverse incarnazioni, Marte, Giunone, Apollo, Esculapio, Salus...) venivano ritratti come protettori dell'imperatore, direttamente o tramite gli animali che li rappresentavano. Un posto particolare fu quello del Sole Invitto, che venne identificato come comes Augusti, "compagno dell'augusto": tale divinità era particolarmente venerata dai soldati, ancor di più da quelli orientali, dei quali Gallieno cercava il favore e il sostegno. Secondo una interpretazione storica che pone attenzione alla reazione psicologica delle popolazioni rispetto alla fede religiosa, col tempo le nuove religioni assunsero sempre più importanza per le loro caratteristiche escatologiche e soteriologiche in risposta alle insorgenti esigenze della religiosità dell'individuo, al quale la vecchia religione non offriva che riti vuoti di significato. Sempre secondo questa interpretazione storica la critica alla religione tradizionale veniva anche dalle correnti filosofiche dell'Ellenismo, che fornivano risposte intorno a temi propri della sfera religiosa, come la concezione dell'anima e la natura degli dèi. Nella congerie sincretistica dell'impero del III secolo, permeata da dottrine neoplatoniche (Plotino), gnosticheorfiche e misteriche (misteri eleusini che trovò seguaci prima in Adriano e poi Gallieno), fece la sua comparsa il Cristianesimo.

Dal 256 - Nuove minacce per l'Impero romano da parte di Germani e Sàrmati, causate principalmente da un cambiamento nella struttura tribale della loro società rispetto ai precedenti secoli: la popolazione, sottoposta all'urto di altri popoli barbarici provenienti dalla Scandinavia e dalle pianure dell'Europa orientale, necessitava di una struttura organizzativa più forte, pena l'estinzione delle tribù più deboli. Da qui la necessità di aggregarsi in federazioni etniche di grandi dimensioni, come quelle di Alemanni, Franchi e Goti, per difendersi da altre bellicose popolazioni barbariche o per meglio aggredire il vicino Impero romano, la cui ricchezza faceva gola. I Germani occidentali presentano nuovi aggruppamenti etnici che, sotto l'influsso della civiltà romana, costituiscono più salde formazioni politiche. Dai Suebi ebbero specialmente origine gli Alemanni (cioè: uomini di molte stirpi), che comparvero fra il Meno e il Danubio e, forzato dopo lunghe lotte il limes, varcarono il Reno occupando l'Alsazia e il Palatinato. Sul Reno inferiore appare nel sec. III la potente confederazione dei Franchi (gli audaci), che continuavano gli antichi Chiauci e fra cui vi furono probabilmente i Brutteri e i Sicambri (o Sigambri), distinti in Franchi Salii a nord e Franchi  Ripuarii a sud. I Sassoni dall'Elba inferiore si estesero sino al centro della Germania e poi verso ovest e sud, incorporando molte tribù in uno stato potente.
Carta del 258-260 con le migrazioni delle federazioni
di Franchi, Alemanni, Marcomanni, dei Quadi di origine
Non si trattava comunque allora, di spostamenti di massa di intere popolazioni come quelli che si sarebbero verificati nei secoli successivi, quando l'irruzione degli Unni nello scacchiere europeo avrebbe indotto molte tribù germaniche a cercare nuove sedi d'insediamento all'interno dell'Impero romano. Lo sfondamento del limes renano-danubiano fu favorito anche dalla grave crisi interna che travagliava l'Impero romano, fra cui l'epidemia di peste. Roma, infatti, attraversava un periodo di grande instabilità interna, causata dal continuo alternarsi di imperatori ed usurpatori (nell'anarchia militare). Le guerre interne consumavano importanti risorse negli scontri tra i vari contendenti e sguarnivano le frontiere, facilitando lo sfondamento da parte delle popolazioni barbariche che si trovavano lungo il limes. Fra le popolazioni Slave occidentali (i Venedi-Sclavini) delle regioni danubiane, carpatiche, lungo la costa settentrionale del mar Nero, del Dnepr e del Volga si verificavano gli stessi mutamenti socio-economici già presenti presso i Germani e anche lì l'accentuarsi delle stratificazioni sociali indurrà a partecipare alle guerre danubiane verso la metà del III secolo, tanto che uno degli imperatori romani di quel periodo porta il titolo di "venedico". Daci, Alani, Carpi e soprattutto Goti attaccarono l'impero romano, mentre le tribù Slave orientali  (dell'Europa orientale), ridussero fortemente i loro rapporti commerciali con Roma, preferendo quelli con le tribù sarmatiche o altre tribù slave orientali e parteciparono alle guerre anti-schiavistiche contro Roma, unendo parte delle loro forze a quelle gotiche nel III e IV secolo. Le basi geopolitiche fondamentali per le offensive dei cosiddetti "barbari" contro l'impero romano, nel III secolo, furono le regioni fra il Danubio, il Reno, l'Elba e la costa settentrionale del mar Nero. Indispensabile, per la riuscita di queste campagne militari, fu l'alleanza tra i ceti nobiliari germanici e slavi e le grandi masse popolari, schiavili e semischiavili, che consideravano i "barbari" come loro liberatori.

Franchi Salii, Ripuarii e Alemanni,
- Il nome dei Franchi è attestato dal III secolo d.C., (c'è chi dice che derivi da “arditi”) ed indica una popolazione germanica che si formò tramite l'unione di tribù stanziate lungo la sponda destra del corso inferiore del Reno, fra le quali vi furono probabilmente i Brutteri e i Sicambri (o Sigambri). Questa sorta di federazione si formò attraverso una serie di imprese militari che via via aggiunsero ad un nucleo originario i territori di popolazioni confinanti, senza soffocarne tuttavia l'influenza e l'autonomia. E' consuetudine suddividere i Franchi in due grandi gruppi. 1) I Franchi Salii, così chiamati perché abitavano la regione, negli attuali Paesi Bassi, prossima al fiume Sala, l'odierno Ijssel, il più orientale dei tre rami principali in cui si divide il Reno prima di sfociare in mare, gli altri due sono il Nederrijn e il Waal; anticamente era chiamato dai Romani con il nome Isala (o Sala), il cui nome si pensa derivi dal germanico “i sala”, che significa "acqua scura". Oggigiorno si getta, attraverso il Ketelmeer, nell'IJsselmeer, un lago artificiale che deve il suo nome al fiume IJssel che ne è tributario, nome caratterizzato dal digramma IJ che in olandese è una lettera dell'alfabeto che si scrive in maiuscolo). 2) I Franchi Ripuari, (probabilmente da “ripa”, la riva del Reno), stanziati più a sud lungo la sponda destra del corso inferiore del Reno, in un'area oggi facente parte della Germania, nei territori di Colonia, Treviri, Francoforte). Nel corso del III secolo d.C. i Franchi sono ricordati per i loro tentativi, spesso con gli Alemanni (dal germanico “uomini di molte stirpi”,  una federazione di tribù germaniche, perlopiù Suebi, stanziati sud dei Franchi fino al Danubio) di superare i confini stabiliti con l'Impero Romano. Nel 254 Gallieno, che allora aveva la carica di Cesare, fermò uno di questi tentativi di invasione.
La Dacia persa dai Romani nel
271, da https://it.wikipedia.org
/wiki/Inva
sioni_barbariche_del
_III_secolo#/
media/File:Barba
rian_invasions_
from_3rd_cen
tury.png
.
Ancora Gallieno nel 257 intervenne contro i Franchi nei pressi di Colonia mentre Aureliano (che sarebbe divenuto imperatore nel 270) comandava una legione che li affrontò e sconfisse presso Mogontiacum (Magonza). Altre imprese dei Franchi verso le Gallie e la Penisola Iberica si svolsero negli anni successivi e furono fermate dagli interventi di Postumo e di Aureliano. Fu negli anni successivi alla morte di Aureliano (nel 275) che i Franchi, ancora con gli Alemanni, riuscirono ad invadere la Gallia portando ovunque la devastazione dei saccheggi finché non furono fermati da Probo e, nel 288, da Massimiano.

Nel 257 - La popolazione germanica dei Goti conquista la Dacia (parte dell'attuale Romania), territorio dell'impero romano.


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