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martedì 22 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.21: dal 404 al 367 p.e.v. (a.C.)

Carta della guerra del Peloponneso (431- 404 a.C.) con gli alleati di Sparta e
Atene, le maggiori battaglie, le spedizioni, fra cui la spedizione ateniese
a Siracusa. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Dal 404 a.C. Egemonia di Sparta in Grecia. La guerra del Peloponneso si concluse nel 404 a.C. con la supremazia di Sparta (Atene ebbe guide troppo scadenti come Cleone o troppo ambigue e ambiziose come Alcibiade). A seguito della disastrosa spedizione ateniese, voluta da Alcibiade, contro Siracusa, alleata di Sparta, Atene perde l'autodeterminazione. Sparta le impone il regime oligarchico dei trenta tiranni, con a capo Krizia e Alcibiade, ex allievi di Socrate; motivo che scatenerà malumori nei confronti di Socrate stesso che verrà poi processato ed ostracizzato. Si evidenzia comunque la vocazione marinara navale di Atene, che le aveva consentito la costruzione di un'impero intorno al mar Egeo, e la supremazia terrestre di Sparta.

Nel 403 a.C. - Trasibulo scaccia gli Spartani e restituisce ad Atene gli istituti democratici e l'indipendenza.

Dal 400 a.C. - Da QUI: All'inizio del IV secolo a.C., a grandi linee, il dominio commerciale del Mediterraneo veniva così diviso: il mar Egeo era largamente controllato dai Greci (della Grecia, dell'Asia Minore e - dopo Alessandro Magno - dell'Egitto); i mari Adriatico e Ionio appannaggio delle città marinare poste sulle due rive. Il Mediterraneo occidentale era la zona commerciale cartaginese con l'eccezione del Tirreno, le cui rotte erano appannaggio non solo dei cartaginesi, ma anche degli Etruschi e delle colonie greche del sud Italia. La greca Massalia (Marsiglia) aveva una notevole influenza marinara nel Mediterraneo nord-occidentale, porto che collegava l'Europa continentale al Mediterraneo, così come la Ligure Genua. Cartagine, potenza marinara, usava i commerci per pagarsi le guerre. Fondata nell'814 a.C. da coloni fenici provenienti dalla città di Tiro, che avevano portato con loro il dio della città, Melqart, secondo la tradizione aveva a capo Didone (conosciuta anche come Elissa). Già nel VI secolo a.C. i marinai e i mercanti cartaginesi erano noti nell'intero Mediterraneo occidentale e le commedie greche ne tramandano ritratti macchiettistici. Nel IV secolo a.C., a seguito di operazioni militari, Cartagine controllava territori libici del golfo della Sirte a est e possedeva anche empori sparsi sulle coste della Numidia e dell'Iberia a ovest. Le coste della Sardegna e della Corsica erano anch'esse sotto il suo controllo, quando intraprese il tentativo di conquista della Sicilia con una serie quasi ininterrotta di scontri (dal 480 a.C. con la battaglia di Imera, al 307 a.C.), che però non furono sufficienti a prendere il controllo dell'isola, ampiamente colonizzata dai Greci. Piganiol ritiene che Cartagine fosse la città più ricca del mondo mediterraneo avendo creato, grazie alla sua potenza marittima, un vero e proprio impero commerciale, che aveva trovato come alleati gli Etruschi e come oppositori i Greci. Tesa quindi al commercio, la città punica andò col tempo a sostituire l'esercito cittadino con uno costituito per lo più da forze mercenarie, oltre a contadini libici (servi nei latifondi, arruolati a forza), nonché forze di cavalleria alleata, comandata da regoli numidi. Del resto le forze mercenarie compensavano con la loro esperienza militare, ciò che alle stesse mancava come senso patriottico. Malgrado tutto ciò i comandanti cartaginesi riuscirono ad impiegarle tatticamente in modo superbo, per quanto fossero truppe eterogenee tra loro. Roma, fondata solo sessanta anni dopo Cartagine (753 a.C. secondo Terenzio Varrone), per i primi 400 anni della sua storia fu impegnata in una estenuante serie di guerre con le popolazioni che la circondavano. Questo inesausto operare con città dell'interno fece "specializzare" l'esercito romano, inizialmente formato per lo più da contadini e pastori, nella guerra terrestre. Più che con i commerci, l'economia romana si sviluppava con lo sfruttamento economico dei nemici vinti, strappandone terre da assegnare ai propri coloni, utilizzandone le forze armate come alleati (socii) per i propri fini, legando al benessere dell'Urbe le classi aristocratiche e i possidenti delle città conquistate. Per i commerci marittimi Roma si affidava alle navi etrusche e greche.

Nel 396 a.C. - Dopo una guerra durata quasi un decennio, Roma conquista l'etrusca città-stato di Veio, estendendo la sua influenza su parte dell'Etruria meridionale. Fin dalla sua mitica fondazione ad opera di Romolo, Roma ebbe un nemico temibile e determinato in quella città etrusca. Le motivazioni dell'inimicizia secolare fra l'Urbe e Veio erano state di tipo economico, dove la ricchezza di una avrebbe significato la povertà dell'altra. Di quest'ultima e determinante guerra sappiamo che il dittatore romano, Marco Furio Camillo, alla presenza delle truppe (e della popolazione), pregò Apollo (il dio della Pizia di Delfi) e Giunone Regina, la protettrice di Veio: «Sotto la tua guida, Apollo Pitico, e stimolato dalla tua volontà, mi accingo a distruggere Veio e faccio voto di consacrare a te la decima parte del bottino. E insieme prego te Giunone Regina che ora siedi in Veio, di seguire noi vincitori nella nostra città che presto diventerà anche la tua perché lì ti accoglierà un tempio degno della tua grandezza.».


Vandali (Wandili), una popolazione germanica, dopo una prima migrazione dalla Scandinavia nei territori dell'attuale Polonia (tra il bacino dell'Oder e della Vistola) intorno al 400 a.C., sotto la pressione di altre tribù germaniche si spostarono più a sud, dove combatterono e sottomisero la popolazione celtica dei Boi circa nel 170.

Carta degli insediamenti degli Slavi orientali.
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In Europa nordorientale, nel bacino superiore e centrale del Dnepr, sono stanziati gli Slavi orientali (distinti dagli Slavi occidentali, i Venedi-Sclavini), che conosceranno tardi la differenziazione di ceti e classi. Fino al I sec. d.C. tra loro si conserverà un sistema comunitario non molto diverso da quello di mille anni prima e solo nel I-II secolo si formeranno le grandi famiglie patriarcali, proprietarie di tutti gli strumenti produttivi e in grado di avvalersi del servizio di forze schiavili. Si sa poco degli Slavi occidentali, i Venedi-Sclavini dell'Europa centrale nel I millennio a.C. perché, essendoci stati pochi scambi commerciali tra loro e i greci, le fonti greche (Erodoto 484 a.C. - 425 a.C.) diedero solo notizie approssimative, e comunque le prime forme di differenziazione di ceto appaiono verso il IV sec. a.C., quando i contatti coi Celti (provenienti dalla Boemia meridionale), i Traci, gli Sciti e i Germani si fecero più intensi e il baratto comincerà ad essere sostituiti coi rapporti mercantili-monetari. Le tribù proto-slave della Vistola dovettero sostenere scontri armati per tutta la seconda metà del I millennio a.C. sia contro gli Sciti che contro i Sarmati.
Dopo Erodoto altri due storici ci hanno fornito ulteriori notizie su queste popolazioni: Tacito (55-117) e Plinio il Vecchio (23-79). Per loro, curiosamente, tutto quanto non era "germanico" veniva definito o "scito" o "sarmato". Anche il geografo Tolomeo (100 - ca. 175) si attiene a tale classificazione, all'interno della quale, al massimo, potevano usarsi termini come "Venedi" o "Sclavini", donde il nome di "Slavi", che non a caso voleva dire "schiavi".

Carta degli insediamenti degli Slavi occidentali,
i Venedi-Sclavini. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- In particolare i Venedi-Sclavini erano quelle tribù slave occidentali residenti nella pianura compresa tra i fiumi Oder e Vistola, a ovest del corso superiore del Dnestr. Non sappiamo con precisione i confini territoriali delle tribù proto-slave di allora. Quel che è certo è che le principali lingue slave: russo, polacco, l'estinto polabico, ceco, slovacco, bulgaro, serbocroato, sloveno ecc. provengono tutte dall'antico slavo, che già nella prima metà del I millennio a.C. era lingua comune tra queste popolazioni. La differenziazione linguistica vera e propria è avvenuta soltanto verso la prima metà del I millennio d.C., che significativamente coincide col periodo delle consolidate stratificazioni sociali tra gli slavi dell'Europa centro-occidentale. Che l'aristocrazia tribale dei Venedi fosse molto ricca è documentato dal corredo funerario (cfr il sepolcreto di Vymysl nella Posnania). I Venedi commerciavano con la Gallia, la Pannonia, le province romane occidentali e alcuni centri del mar Nero.

- Ci sono alcune teorie riguardo all’origine del nome Venedi Veneti. Innanzitutto colpisce l’assonanza di questo nome con le popolazioni dei Veneti (o Venetici) dell’Italia nord-orientale e definite da alcuni storici antichi d'origine Illiro-balcaniche, quelle genti però sono precedenti all’apparizione degli Slavi Venedi (o Vendi) e quindi non dovrebbero avere alcuna relazione con questi ultimi. Quando una grande confederazione di popoli non germanici si stanziò nelle zone della Polonia e della Germania del nord fino ai Carpazi e alle Alpi, i vicini Germani affibbiarono loro l’appellativo Wenden (da wende = punto di svolta?) in quanto non-germanici, e si riferivano originariamente alla popolazione illirica e ai Veneti balcanico-italici, e con lo stesso nome indicarono poi gli Slavi, che ne avevano preso il posto. Sarà lo storico dei Goti, Jordane, che fisserà tale appellativo e lascerà che si diffonda da allora in poi. La frequenza di questo etnonimo in diverse aree europee non va però spiegata con ipotetici legami storici e linguistici tra i diversi popoli che ne hanno fatto uso, quanto piuttosto con un'uguale derivazione, più volte ripetuta in modo indipendente, dalla medesima radice indoeuropea “wen” (amare). I Veneti (wenetoi) sarebbero pertanto gli "amati", o forse gli "amabili", gli "amichevoli". Dalla stessa radice deriva il nome Venere, dea dell'amore. Non è chiaro comunque come mai nel nostro Veneto, già nel I secolo d.C., Plinio nomini la città di Tergeste (oggi Trieste) con una denominazione slava “moderna”, (lo slavo T’rghešte significa infatti Mercato). Nella famosa Tavola Peutingeriana del XIII sec. d.C. copiata da antichi documenti (fra cui sicuramente anche la Geografia di Claudio Tolomeo) appaiono ancora questi Venedi e il Periplus Marciani (più o meno della stessa epoca) li trova ormai localizzati sulle rive meridionali del Baltico dove il mare stesso è chiamato Golfo Venedico mentre i Carpazi sono denominati addirittura Monti Venedici! Questi dati però sono già molto posteriori. Tutto quanto sopra detto già ci avverte che gli Slavi della Mitteleuropa non si davano un etnonimo proprio, ma tante e diverse denominazioni e che Venedi/Veneti si riferisce propriamente ad una confederazione di tribù, più che ad una sola grande nazione.(le tribù occidentali, n.d.r.). Una fonte primaria sugli Slavi, sebbene non sempre affidabile con sicurezza, è il goto Jordanes che scrisse "De origine actibusque Getarum" ossia "Origine e Imprese dei Goti" nel VI sec. d.C. Benché anch’egli si basasse su documenti anteriori, è questo autore a fornirci molto materiale “accettabile” sugli Slavi. Ad esempio, vi si parla del famoso idromele, il liquore alcolico fatto dalla fermentazione del miele (chiamato medos o miod), bevuto in un famoso banchetto funebre per la morte di Attila. Addirittura la stessa veglia è detta con parola slava "strava"!
Carta dei territori gallici dei Veneti Armoricani.
Altri Veneti sono i Celti che si erano stanziati in Armorica, stanziati nell'attuale Bretagna. La popolazione celtica dei Veneti abitava la zona del Morbihan, in Armorica, l'attuale Bretagna (all'epoca parte della Gallia). La loro città più famosa, probabilmente la loro capitale, era Darioritum (oggi nota come Vannes), menzionata nella "Geografia" di Tolomeo. «I Veneti sono il popolo che, lungo tutta la costa marittima, gode di maggior prestigio in assoluto, sia perché possiedono molte navi, con le quali, di solito, fanno rotta verso la Britannia, sia in quanto nella scienza e pratica della navigazione superano tutti gli altri, sia ancora perché, in quel mare molto tempestoso e aperto, pochi sono i porti della costa e tutti sottoposti al loro controllo, per cui quasi tutti i naviganti abituali di quelle acque versano loro tributi.» (Giulio Cesare: De bello Gallico, III, 8). I Veneti furono una grande ed influente potenza marittima e commerciale. Avevano una forte organizzazione ed erano probabilmente dotati di un Senato. Avevano un'importante flotta per commerciare con le Isole britanniche e l'Italia, da cui diffusero l'olio d'oliva e il vino (già i Romani, da Bordeaux, avevano impiantato vigneti in Armorica) nell'Armorica stessa e nella Britannia partendo da Vannes e dall'attuale regione del Malouine, in particolare a Hengistbury Head (non lontano da Bournemouth nel Dorset attuale) e contemporaneamente vendendo tra l'altro prodotti salati, salumeria che erano ben conosciuti ed apprezzati a Roma, nonché stagno, piombo e rame provenienti dalla grande isola. Più a sud dell'Armorica c'erano i Namneti, stanziati nella foce della Loira e che diedero il loro nome alla città di Nantes. I Namneti erano chiamati Sanniti da Strabone e da Tolomeo (Giulio Cesare: De bello Gallico, II, c-8) mentre furono semplicemente una tribù dei Veneti.
I dialetti Italici del centro-sud nel 400 a.C.
«I Pictoni erano ostili ai Veneti come si può dedurre dalla loro alleanza con il proconsole Giulio Cesare nella sua prima campagna e dalle navi costruite o fornite ai Romani da parte loro, dei Santoni a da altri popoli gallici per facilitare la rovina del Veneti. » (Cesare, De bello Gallico, VIII e III, 11). Nel 56 a.C. le navi di Cesare fornite dagli altri popoli gallici distrussero la flotta veneta nella battaglia del Morbihan. Il parlamento fu passato per le armi e le donne ed i bambini venduti come schiavi.

Dal 399 a.C. - Si prepara l'egemonia tebana in Grecia  quando Argo, Corinto e Tebe si uniscono ad Atene per farla finita con Sparta.

Busto di Brenno.
Nel 390 a.C. I Galli (esattamente i Celti Senoni) di Brenno (in realtà Brennan, nome del dio della guerra, era assunto da ogni capotribù in battaglia) giungono fino a Roma, la vincono e la saccheggiano.
Carta geografica delle Popolazioni
stanziate nel nord e centro Italia
nel IV sec. a.C., fra cui Celtoliguri
e Celti. Clicca per ingrandire.
Per impedire che gli invasori incendiassero la città, i romani furono costretti all'umiliante riscatto di mille libbre d'oro, e celebre è rimasto l'episodio in cui, durante la pesatura dell'oro, i Romani si lamentarono dell'inesattezza della quantità conteggiata dai Galli. Brenno aggiunse la propria spada al contrappeso della bilancia esclamando "Guai ai vinti!". Un esercito di soccorso guidato dal dittatore Camillo riuscì poi a liberare la città. Questa vicenda scosse molto la Repubblica di Roma, che riorganizzò il proprio assetto militare per non dovere mai più rischiare l'indipendenza. I Celti italici avevano mantenuto relazioni con quelli d’Oltralpe e l'invasione del IV sec. fu preparata ed eseguita con la loro collaborazione. I motivi che spinsero i Celti ad occupare l’Italia sono oscuri: forse furono attratti dalla fertilità e dal clima mite del Meridione, o più probabilmente, furono costretti a spostarsi a causa della pressione demografica unita alla scarsità di terre coltivabili e ad altri problemi di carattere politico e sociale.
Dracma Padana. Le dracme d'argento padane furono coniate
dai Celti Cenomani della pianura padana, e il loro prototipo
fu la moneta di Marsiglia (l'antica Massalia fondata dai greci
di Focea) che i Cenomani ottennero forse come compenso
per servizi come mercenari. La cosiddetta "dracma pesante"
di Marsiglia, in argento (peso medio 3,74 grammi), recava al
diritto la testa di Artemide, protettrice della loro città, e al
rovescio un leone che avanza ruggendo, così come, nello
stesso periodo nella città greca di Elea/Velia, in Magna Grecia
(a sud di Poseidonia/Paestum), fondata anch'essa dai Focei.
Questa dracma, invece, emessa nel 390-386 a.C., ha nel retro
la rappresentazione di un gambero di fiume.  
Verso l’inizio del IV secolo a.C. i Celti  o Galli, secondo la definizione latina, si stanziarono in Lombardia (Insubri e Cenomani) fino ai confini con il Veneto, in Emilia (Anari e Boi), in Romagna (Lingoni) e nelle Marche (Senoni), regioni praticamente sottratte agli Etruschi e agli Umbri. Ciò che risulta interessante sottolineare, è la collaborazione che si creò tra i primi coloni Celti e le successive ondate migratorie, che si susseguirono fino a tutto il IV secolo. La comunanza di usi, costumi, lingua e culti religiosi, non fece altro che cementare accordi ed unioni fra le diverse nazioni celtiche che si mischiarono con le antiche popolazioni Liguri e fronteggiarono unite prima gli Etruschi poi gli Umbri, i Veneti ed infine la potenza espansionistica di Roma. Fino al IV secolo a.C. i Liguri Friniati o  Friniates erano insediati nell'area corrispondente all'Appennino reggiano, modenese e parte del pistoiese. Insieme ai Liguri Apuani, insediati in Lunigiana e Garfagnana, appartenevano alla famiglia etno-linguistica dei liguri orientali. Anticamente il loro areale comprendeva anche gran parte dell'alta pianura reggiana e modenese, ma vennero sospinti nelle montagne dalla grande invasione gallica del IV secolo a.C., che vide l'insediamento dei Galli Boi, la popolazione gallica più numerosa e potente nel Nord italia con cui poi si allearono, nella fascia pedemontana e nell'alta pianura reggiana e modenese. Le popolazioni celtiche riuscirono quindi, per due secoli a radicarsi sul territorio dell'intera penisola italica, vivendo a contatto con le genti autoctone, integrandosi con successo e lasciando tracce indelebili che sono tutt'oggi riscontrabili nella cultura e negli usi di tutta la pianura Padana ed in alcuni paesi del centro e nel sud.
Il fiume Montone.
Stando a Polibio, storico greco in Italia, attorno al 400 a.C., un gruppo di Senoni attraversò le Alpi e, scacciati gli Umbri, si stanziò sulla costa orientale dell'Italia, fra i territori orientali della Romagna e la costa anconetana delle Marche, in quello che venne denominato in età augustea "Ager Gallicus", a est del fiume Montone, mentre a ovest del fiume Montone iniziava il territorio dei Galli Boi, che avevano occupato anche l'antica Bologna etrusca: Fèlsina. Tale posizione, strategica per i contatti con le vie marittime e la valle del Tevere, fu il punto di partenza per le loro successive incursioni nell'Italia meridionale e centrale.
Musi di cinghiali inferociti
costituivano la campana
delle "carnix", temutissime
trombe da guerra celtiche.
Lì fondarono Sena Gallica (Senigallia), che divenne la loro capitale. Nel 391 a.C. invasero l'Etruria e assediarono Chiusi. Gli abitanti di questa città chiesero aiuto a Roma che intervenne, ma fu sconfitta nella battaglia del fiume Allia il 18 luglio del 390 a.C. (dalla cronologia di Varrone) o nel 387 secondo Polibio. La stessa Roma fu poi presa e saccheggiata dai Senoni, guidati da Brenno nel 390-386 a. C., evento traumatico per i Romani e fu  probabilmente per questo che  il fiero popolo romano volle giustificare quella sconfitta con la ferocia degli aggressori. Oggi, invece, si tende a considerare l’invasione celtica non come quella di un’orda selvaggia, ma piuttosto di una vasta comunità costretta a lasciare il proprio territorio d’origine per problemi di sopravvivenza. E’ possibile che l'espansione sia poi proseguita verso sud-est senza ulteriori grossi traumi.
Popolazioni del Nord e Centro Italia del IV sec. a.C., nella
tonalità più scura le popolazioni di Celti e Celtoliguri.
E' indicata l'incursione dei Senoni a Roma nel 390 a.C.
Per oltre 100 anni tra questi due popoli si verificarono molti scontri, finché, nell'ambito della terza guerra sannitica e a seguito della battaglia del Sentino (del 295 a.C.) i Galli Senoni furono debellati dai consoli Publio Decio Mure e Quinto Fabio Massimo Rulliano e quindi sottomessi nel 283 a.C. dal console Publio Cornelio Dolabella. L'occupazione romana dell'ager Gallicus non avvenne prima del 272 a.C., anno in cui Roma portò a termine la guerra con Taranto e a Sena Gallica fu insediata una colonia romana. La presenza dei Galli Senoni è testimoniata nell'ager Gallicus anche dopo la sottomissione ai romani; sono attestate fasi di convivenza fra i Romani insediati nelle città di fondovalle di Suasa, Ostra antica, etc. e i Senoni appostati nei loro villaggi sulle alture, come ad esempio il sito archeologico di Montefortino di Arcevia. Probabilmente la popolazione e la cultura gallica furono gradualmente assorbite da quelle romane. Come spesso avveniva dopo una conquista, a cambiare non era la popolazione intera ma solamente il ceto dirigente che imponeva la propria cultura e gradualmente assimilava alla "romanità" i popoli sottomessi in battaglia; prova di ciò è la presenza tuttora fortissima della cosiddetta "cadenza celtica" nei dialetti della provincia di Pesaro e Urbino. Col tempo, al Senato Romano appartennero Celti provenienti dall'ager Gallicus a dimostrazione della rappresentanza di tutte le tribù del territorio di Roma, cosa di cui i romani andavano fieri, e molti guerrieri Celti si misero al servizio di chi offriva loro denaro. Ancora al tempo di Gaio Giulio Cesare un gruppo di Galli Senoni viveva nel territorio oggi occupato dai distretti di Seine-et-Marne, Loiret e Yonne. Dal 53 al 51 a.C. furono in guerra contro Cesare, dopodiché furono inclusi nella Gallia Lugdunensis, o Celtica. (Lugdunum deriva da "accampamento di Lugh”, divinità solare celtica, è il toponimo di molte città odierne. La zona in cui ora sorge Lion, ma lo stesso toponimo è in London, da Lughdunum, Lugos, Lugo di Romagna etc...).

Nel 389/386 a.C. - Nuova guerra fra Etruschi e Romani. Gli antichi scrittori riferiscono che nel 389, Etruschi, Volsci ed Equi si sollevano tutti insieme nella speranza di rovesciare il potere romano. Secondo Livio buona parte dell'Etruria si riunisce presso il santuario federale di Vertumna (Fanum Voltumnae) per formare un'alleanza ostile a Roma. Posti sotto assedio da più parti, i Romani nominano Marco Furio Camillo dittatore, che sceglie di marciare prima contro i Volsci, lasciando una forza comandata dal tribuno consolare, Lucio Emilio Mamercino nel territorio di Veio a guardia degli Etruschi. Nel corso delle due campagne militari, Camillo riesce a battere in modo schiacciante Volsci ed Equi lungo il fronte meridionale, risultando così pronto a combattere gli Etruschi lungo il fronte settentrionale. Mentre Camillo stava ancora combattendo contro i Volsci, gli Etruschi posero sotto assedio Sutrium, città alleata di Roma. I Sutrini chiesero aiuto ai Romani ma quando Camillo riusci a giungere a Sutrium, la città era già stata costretta ad arrendersi agli Etruschi e trovò il nemico ancora occupato a saccheggiare la città. Il dittatore romano ordinò allora di far chiudere tutte le porte della città e attaccò gli Etruschi prima che questi potessero riorganizzare le proprie forze ma quando seppero che sarebbe stata risparmiata la vita in caso di resa, abbandonarono le armi in gran numero e fecero atto di sottomissione. Sutrium venne quindi presa e dopo aver vinto tre guerre simultanee, Camillo tornò a Roma in trionfo. I prigionieri Etruschi furono venduti in un'asta pubblica e dell'oro ottenuto una parte fu restituito alle matrone romane (che avevano contribuito a riscattare Roma dai Galli di Brenno) e ne rimase a sufficienza per fonderne in tre coppe con inciso il nome di Camillo e collocate nel tempio di Giove Ottimo Massimo, ai piedi della statua di Giunone, mantenendo la promessa fatta nel conflitto con Veio.


Nel 387 a.C. - Con la pace di Antalgida (un generale spartano), Sparta si accorda con la Persia,  cedendole l'intera costa occidentale dell'Asia Minore, ma non le sue città, che rimangono indipendenti a fare da cane da guardia su Atene.

- Nel 387 a.C., ad Atene Platone fonda l'Accademia.
Platone. Clicca sull'immagine
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Platone nacque ad Atene da famiglia aristocratica intorno al 427 a.C, e vi morì intorno al 347. Secondo Aristotele, ebbe tra i suoi maestri Cratilo, seguace di Eraclito. Da adolescente cominciò a frequentare Socrate, e ripudiò la sua precedente vocazione poetica, dando alle fiamme i suoi versi. Secondo quello che egli stesso dice nella Lettera VII (che è di fondamentale importanza per la sua biografia e per l'interpretazione della sua stessa personalità), avrebbe voluto dedicarsi alla vita politica. Partecipò alle guerre peloponnesiache (Atene contro Sparta) dal 409 al 404. Ritor­nato ad Atene, subì una grave delusione a causa delle degenerazioni della vita politica ateniese e, soprattutto, per la condanna a morte che venne inflitta al suo amico Socrate nel 399 a.C. «Io vidi, egli dice, che il genere umano non sarebbe mai stato liberato dal malese prima non fossero giunti al potere i veri filosofi o se i reggitori di Stato non fossero, per divina sorte, diventati veramente filosofi». La morte di Socrate lo dissuase dal fare politica in patria, ma non per questo rinunciò a perseguire l'ideale di un reggimento filosofico della città.  Negli anni seguenti, si recò a Megara presso Euclide, poi in Egitto e a Cirene. Nulla sappiamo intorno a questi viaggi, dei quali egli non parla. Parla invece del viaggio che fece nell'Italia meridionale, a Taranto, dove venne a contatto con la comunità pitagorica di Archita, e a Siracusa dove strinse amicizia con Dione, parente e consigliere del tiranno Dionisio il Vecchio. Entrato in conflitto con Dionisio, fu venduto come schiavo sul mercato di Egina. Riscattato da Anniceride di Cirene, ritornò ad Atene, dove fondò nel 387 l'Accademia. La scuola di Platone, che si chiamò così perché fiorita nel ginnasio fondato da Accademo, fu organizzata sul modello delle comunità pitagoriche come un'associazione religiosa, un tìaso. Attraverso l’insegnamento della scienza e della filosofia, egli sperava di svolgere opera di educazione sulle giovani generazioni per prepararle alla gestione della cosa pubblica con uno standard ben diverso da quello che lo aveva così tanto disgustato. L’Accademia platonica prosperò ad Atene fino all’anno 527 d.C., quando venne chiusa per ordine dell’imperatore Giustiniano, perché non poteva più essere tollerata quale istituzione pagana. Alla morte di Dionisio, Platone fu richiamato a Siracusa da Dione alla corte del nuovo tiranno Dionisio il Giovane, per guidarlo nella riforma dello Stato in conformità con il suo ideale politico. Ma l'urto fra Dionisio e Dione, che fu esiliato, rese sterile ogni tentativo di Platone. Alcuni anni dopo, Dionisio stesso lo chiamò insistentemente alla sua corte e Platone vi si recò nel 361, spinto anche dal desiderio di aiutare Dione, che era rimasto in esilio. Ma nessun accordo fu raggiunto e Platone, dopo essere stato trattenuto per un certo tempo, quasi come prigioniero, grazie all'intervento di Archita, lasciò Siracusa e ritornò ad Atene. Qui egli trascorse il resto della sua vita, dedito solo all'insegnamento. Morì a 81 anni, nel 347. Il corpus delle opere di Platone è composto dall'Apologia di Socrate, da 34 dialoghi e da 13 lettere, complessivamente 36 titoli ordinati in 9 tetralogie dal grammatico Trasillo (I sec. d. C.). Venendo ora, in breve, all'insegnamento di Platone, ci limitiamo soltanto ad accennare, per sommi capi, all’influenza che esso ebbe sulla matematica e l’astronomia (ricordiamo che a quel tempo l’astronomia era un ramo della matematica). Platone aveva il convincimento secondo cui la matematica costituiva la scienza che esercitava i più benefici influssi nell’educazione di un giovane. Sulla porta dell’Accademia aveva fatto porre la scritta : "Chi non è edotto in geometria non entri qui". Egli concentrò la sua attenzione sul concetto di prova e raccomandava di dare accurate definizioni per quanto riguardava sia le ipotesi che le tesi dei teoremi da dimostrare. Tutti i commentatori sono concordi nel ritenere che i più importanti lavori matematici del IV secolo a.C. furono eseguiti da amici o allievi di Platone. Per quanto riguarda le sue concezioni astronomiche, queste comprendevano anzitutto la nozione di sfere cristalline, quindi solide, che trasportavano nei loro movimenti attorno alla Terra, naturalmente immobile al centro del cosmo, in successione la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e da ultimo la sfera delle stelle fisse. Riteneva che la luce mostrata dalla Luna fosse luce riflessa dal Sole. Infine, per Platone erano assolutamente indiscutibili gli assiomi pitagorici della circolarità dei moti di tutti gli astri (il cerchio era la figura geometrica che maggiormente racchiudeva i caratteri della perfezione) e della loro uniformità. Come si vede, quindi, le concezioni astronomiche di Platone erano sostanzialmente quelle dei Pitagorici. Dove Platone proponeva innovazioni rispetto a Pitagora era nell’esortare gli astronomi a escogitare rigorosi metodi matematici che avrebbero permesso di spiegare le irregolarità (stazionamenti, moti retrogradi e apparenti variazioni di velocità) che venivano riscontrate nei moti planetari, salvando i fenomeni, cioè preservando i due assiomi pitagorici di cui sopra. Di questa esortazione è testimone lo storico Eudemo, secondo cui Platone propose agli astronomi " ... di trovare con quali supposizioni di movimenti regolari ed ordinati si potessero rappresentare le apparenze osservate nei moti dei pianeti ...". Questo fu il grande contributo di Platone all'astronomia perchè fu l'oggetto dell'astronomia nei secoli successivi. Infine, riteniamo utile accennare a una disputa circa una possibile adesione di Platone, negli ultimi anni della sua vita, al sistema di Filolao, e perfino all'idea di un moto della Terra sul suo asse. In un passo della sua opera Timeo è detto che "... la Terra nostra nutrice si avvolge intorno all'asse che è esteso per tutto l'universo, e Dio la fece guardiana della notte e del giorno ...". Da molti, antichi e moderni, l'aver associato le due frasi "si avvolge intorno all'asse che è esteso per tutto l'universo e "e Dio la fece guardiana della notte e del giorno", rappresenta una adesione all'idea di moto di rotazione. Aristotele, nel De Coelo afferma "...alcuni, pur mettendo la Terra nel centro, la fanno rivolgersi intorno all'asse che attraversa il mondo, come sta scritto nel Timeo...". Ma altri autori, parimenti antichi e moderni, hanno espressamente criticato questa interpretazione. Per quanto riguarda la sua supposta adesione alle idee di Filolao, si ha un passo delle Questioni platoniche di Plutarco, in cui si legge: "... Teofrasto scrive che Platone, divenuto vecchio, si pentì di aver posta la Terra nel luogo centrale dell'universo ...". Questa affermazione gode ancora oggi di credibilità, perchè Teofrasto, tra i più autorevoli discepoli di Platone (e in seguito seguace di Aristotele al Lyceum), autore di una Storia dell'astronomia, è considerato una fonte autorevole.

Le sfere di Eudosso.
- Eudosso di Cnido (410 - 350 a.C. circa) frequentò con molta probabilità sia Platone che Aristotele. Le notizie che possediamo su di lui ci vengono da Simplicio, oltre che da Aristotele. Quest’ultimo, di un paio di generazioni più giovane, molto probabilmente ebbe scambi culturali con Eudosso. Simplicio parla di Eudosso nel suo commentario "De coelo" su Aristotele. Si riferisce inoltre a un libro di Sosigene, un filosofo peripatetico del II secolo d.C., che a sua volta aveva commentato Eudosso attraverso una Storia dell’astronomia scritta da Eudemo, contemporaneo di Aristotele. I due grandi interessi di Eudosso furono la matematica e l’astronomia. Abbiamo notizia di due opere di Eudosso di argomento astronomico (entrambe perdute): I fenomeni, una descrizione sistematica della sfera celeste e delle costellazioni (a quest’opera si ispirò Arato di Soli per scrivere un poema in versi, dello stesso titolo e argomento). L’altra opera, anch’essa perduta, fu Delle velocità. In essa era descritta una pietra miliare nella storia dell’astronomia, il cosiddetto sistema delle sfere omocentriche, cioè il primo approccio su basi scientifiche a una strutturazione geometrica del cosmo nel suo complesso. Della sua vita si sa che fu a Taranto dove studiò matematica sotto la guida di Archita. Si sa di un suo soggiorno in Egitto dove compì studi di astronomia. Al suo ritorno in Grecia si stabilì a Cizico dove fondò una scuola che si dice aver goduto di una certa fama. Dopo un soggiorno ad Atene, in cui venne con tutta probabilità in contatto con Platone, si stabilì definitivamente nel suo luogo natale, Cnido dove svolse attività astronomica e di insegnamento presso un suo osservatorio. Eudosso diede un importante contributo alla matematica con la teoria delle grandezze incommensurabili (una definizione negli Elementi di Euclide , fu da Archimede attribuita ad Eudosso, e il famoso matematico Dedekind affermò che trasse ispirazione da Eudosso per la sua teoria delle sezioni nel campo dei numeri razionali ). Un altro importante contributo alla matematica fu il suo metodo di esaustione, un metodo di calcolo con il quale venivano risolti certi specifici problemi (ad esempio, il calcolo dell’area di un cerchio per confronto con aree successive di poligoni inscritti, aventi numero sempre maggiore di lati).Dunque, con Eudosso si ebbe una prima realizzazione dell'esortazione di Platone a risolvere il problema di spiegare le apparenti imperfezioni nei moti dei pianeti tramite combinazioni di movimenti originari circolari e uniformi. Vedremo in seguito che questa esortazione di Platone verrà applicata più volte, centinaia di anni dopo, ad altre costruzioni geometriche dell’astronomia, da parte di altri astronomi greci.

Bronzetto di guerriero
Ligure in assalto
con copricapo a
forma di testa di cigno
del VI-V secolo a.C.
Parigi, Bibliotheque
Nazionale.
- Nel IV e III secolo a. C. i Liguri erano ancora prevalenti in tutta la Gallia meridionale e nel XIV e XIII una frazione di quel popolo era già stabilita nel Lazio, proprio nell'area di Roma. Lagneau, autore di una memoria speciale sui Liguri, propende a trovarne non solo nell'interno della Gallia sulla Loira o Ligeris,  da cui crede abbiano derivato il nome, ma su tutta la costa, da Bayonne al mare del Nord, e perfino nelle isole Sorlinghe, e non mancano certamente nella Gallia antica nomi di luoghi analoghi ad altri della Liguria e della Spagna. Vi sono poi analogie innegabili in alcune caratteristiche fisiche e morali dei Siluri di Tacito, dei Gallesi e Gaeli di Scozia e d'Irlanda, dei Loegrini e dei Basso-Bretoni nell'antica Armorica, con la descrizione degli antichi Liguri. Gli antichi accennano all'origine iberica dei Siluri ed alla possibile estensione delle genti iberiche fino alla Bretagna, il che troverebbe qualche argomento generico in appoggio nella somiglianza dei caratteri esteriori fisici di qualche frazione della popolazione di alcune regioni di quei paesi. Alcuni archeologi e storici come Mullenhof, Camilo Jullian e D'Arbois designano curioso come nelle aree occupate dai predecessori Liguri e poi occupate dai Celti, come Britannia, Gallia e Spagna, i tratti celtici si siano dimostrati più persistenti.

Nel 382 a.C. - Sparta impone a Tebe un governo oligarchico.

Nel 371 a.C. - Poiché Sparta volle imporre a Tebe un governo oligarchico, i Tebani, guidati da Pelopida ed Epaminonda sconfissero Sparta a Leuttra. Allora Atene e Sparta si allearono contro Tebe. 

Nel 370 a.C. Agesilao, re spartano, prima della battaglia degli alleati greci contro i tebani, ascolta le lamentele degli alleati per l'esiguo numero di spartani nelle file alleate. Fa alzare artigiani e addetti ai servizi, e dimostra che il nerbo delle forze militari, sono spartane. Nella battaglia di Mantinea, quando l'"ordine obliquo" stava per dare la vittoria ai Tebani, il re tebano Epaminonda è colpito a morte e prima di morire, consiglia ai suoi la pace. Fu così la fine dell'egemonia tebana.
Consoli Romani.

Nel 367 a.C. - A seguito di gravi tumulti verificatisi a Roma tra patrizi e plebei, sono emanate le Leggi Licinie Sestie (in latino Leges Liciniae Sextiae) proposte dai tribuni Gaio Licinio e Lucio Sestio Laterano, che rappresentano il culmine del lungo processo storico definito rivoluzione della plebe. Parte degli studiosi ritiene che le leges Liciniae Sextiae nascondano in realtà un vero e proprio accordo politico fra patrizi e plebei. Alla data di emanazione di dette leggi si riconduce convenzionalmente la fine del periodo arcaico della storia di Roma. Le leggi, scritte dopo la conquista da parte romana della città di Veio, sancirono che i territori di tale città venissero distribuiti tra la popolazione bisognosa, formando 4 nuove tribù. Prima delle guerre di conquista  l'economia romana si basava soprattutto sull'agricoltura e sulla pastorizia. Si coltivavano, in modo particolare, cereali che servivano al sostentamento della popolazione. La vendita dei prodotti agricoli non era facile, vista la mancanza di una rete stradale di trasporti che permettesse l'arrivo di tali beni sui principali mercati. I trasporti all'epoca, avvenivano a mezzo di cavalli o buoi ed erano lenti e costosi. Quando era possibile si preferivano i trasporti fluviali e quelli marittimi, che permettevano di trasportare grandi quantità di merci a costi molto inferiori. Le attività industriali e commerciali erano molto limitate. Con le guerre di conquista, il nuovo fulcro economico di Roma, più che l'agricoltura, la pastorizia e i commerci, diventava lo sfruttamento economico dei nemici vinti, a cui erano sottratte le terre per essere assegnate ai propri coloni, di cui venivano utilizzate le forze armate come alleati (socii) per i propri fini ed erano legate al benessere dell'Urbe le classi aristocratiche e i possidenti delle città conquistate. La strategia romana si basava sulla capacità di rompere i legami di solidarietà tra popoli diversi o tra città, in modo tale da indebolire le capacità di resistenza dei nemici e a tal fine puntavano le fondazioni di colonie e la costruzione di vie di comunicazione per il dominio territoriale a cui aspirava sia l'intero senato che la plebe. Nelle nuove leggi si stabiliva inoltre la quantità massima di terreno che un privato potesse occupare (500 iugeri, circa 125 ettari). Pochi anni prima Brenno ed i suoi Galli avevano distrutto la città di Roma e molti plebei si erano indebitati per ricostruire le proprie case. Secondo le “leggi delle dodici tavole”, il creditore poteva rendere schiavo il debitore ed anche ucciderlo se questi non avesse ripagato il debito, dunque molti plebei rischiavano di diventare schiavi. La nuova legge prevedeva dunque che la cifra prestata potesse essere restituita in tre anni. Le Leggi Licinie Sestie rappresentano il più importante e cruciale sviluppo della  costituzione romana: al vertice dello Stato ci sono due consoli, reintegrati completamente dopo l'abolizione dei tribuni militum consulari potestateuno dei quali può essere plebeo (de consule plebeio). Viene riservata ai patrizi la carica di pretore (praetor) che amministra la giustizia (qui ius in urbe diceret). Viene istituita inoltre l'edilità curule (l'aggettivo curule, nell'antica Roma, era attribuito alle magistrature e ai magistrati che detenevano il potere giudiziario come i censori, i consoli, i dittatori, gli edili, i pretori ecc.). Le differenze tra la varie componenti della magistratura edile si affievolirono via via col tempo, sia pure mantenendo alcune competenze specifiche. I loro compiti comprendevano principalmente tre aree di competenza: 1) la prima era la cura urbis, la gestione delle strade cittadine, dei bagni pubblici e degli edifici; 2) la seconda era la cura annonae (l'annona è la politica di un paese per le proprie scorte di cereali e delle altre derrate alimentari) attraverso la gestione dei mercati; 3) la terza non era altro che la cura ludorum, la gestione dei giochi pubblici e circensi. I magistrati edili avevano inoltre dei compiti meno definiti relativi all'archivio di stato, all'ambito giudiziario (nella giurisdizione tribunizia) e alla capacità di elevare multe. 

I Gracchi, tribuni della Plebe.
Si ebbero tre rogazioni delle Leggi Licinie Sestie: 1) De aere alieno: che le usure pagate si computassero a diminuzione del capitale e che i debitori potessero soddisfare i loro creditori in tre rate annue uguali; 2) De modo agrorum: che fosse vietato di possedere più di 500 iugeri di ager publicus e di far pascolare sui terreni pubblici più di 100 capi di bestiame grosso e 500 di minuto e inoltre che ci si dovesse servire di una certa aliquota di lavoro libero, non servile o schiavile; 3) De consule plebeio: sicuramente la più importante, che ha consentito la possibilità ai plebei di accedere al consolato. In seguito ad una insurrezione, nel 342 a.C., i plebei ottennero che uno dei due seggi del consolato, magistratura sino ad allora tipicamente patrizia, fosse riservato alla classe plebea. Al fine di compensare la perdita subita, ai patrizi fu riservata la magistratura del praetor minor con funzioni essenzialmente giurisprudenziali; si stabilì, altresì l’ammissione dei patrizi alla carica plebea degli edili (aediles). Per i post "Cultura degli antichi Romani" clicca QUI, per i post "Politica nell'antica Roma" clicca QUI.
L'antica Grecia del 371-362 a.C.
con le dinamiche che portarono 
la fine dell'egemonia di Sparta.

Nel 367 a.C. la Pace di Antalcida (un generale spartano), ristabilisce il controllo persiano sulle poleis greche ioniche. 







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