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giovedì 14 marzo 2019

Storia dell'Europa n.54: dal 1.145 al 1.189 e.v. (d.C.)

I domini cristiani in Terrasanta nel 1140: la contea di
Edessa, il principato di Antiochia, la contea di
Tripoli e il regno di Gerusalemme. Da: https://
Nel 1.145 - Papa Eugenio III, con la bolla "Quantum praedecessores" bandisce la Seconda Crociata. La seconda crociata è stata la diretta conseguenza della caduta della contea di Edessa nel dicembre del 1.144, ad opera dell'atabeg Zengī (in arabo ‘Imād al-Dīn Zengi) di Aleppo e Mossul - che, con la città anatolico-mesopotamica di Harrān, costituiva la regione che gli Arabi chiamavano Jazira (letteralmente "l'isola"), solo nominalmente dipendente dai Selgiuchidi e ancor più simbolicamente, dal Califfo Abbaside. Con gli sforzi di papa Callisto II, mirante ad una spedizione su larga scala, si accorparono nella crociata anche la spedizione in Spagna e contro gli Slavi Vendi dell'est Europa. La caduta di Edessa fece impressione, ma probabilmente molto meno di quanto si possa pensare, perché l'indizione di una nuova crociata contro i musulmani stentò a partire: furono necessari tutti gli sforzi del papa Eugenio III e di Bernardo di Chiaravalle, futuro santo, per darle lo slancio iniziale. Il teologo san Bernardo di Chiaravalle (Bernard de Clairvaux) teorizzò, in risposta alla difficoltà per un cristiano di conciliare la guerra non difensiva con la parola di Dio, la teoria del malicidio: chi uccide un uomo intrinsecamente cattivo, quale è chi si oppone a Cristo, non uccide in realtà un uomo, ma il male che è in lui; dunque egli non è un omicida bensì un malicida. Questa episodica giustificazione, in risposta a un espresso quesito dei cavalieri templari, non assunse tuttavia il carattere di giustificazione generalizzata di quella che fu, in effetti, una campagna per la ripresa di Edessa. In risposta all'appassionata azione predicatoria messa in atto da Bernardo di Chiaravalle, il 1º dicembre 1.145 papa Eugenio III, con la bolla "Quantum praedecessores" (scritta a Vetralla), bandì quindi una nuova Crociata per recuperare la perduta contea che, per essere la più settentrionale era anche quella più difficile da difendere. Con la bolla il papa estese l'indulgenza collegata alla crociata a tutti quelli che sarebbero andati in soccorso della Chiesa Orientale. Il 1º marzo 1.146 il papa modificò la bolla e, rifacendosi all'appello del suo predecessore Urbano II, dichiarò che la perdita di Edessa era da imputare solo ai peccati dei cristiani e perciò esortava tutti a combattere contro i nemici di Cristo, in qualsiasi luogo essi si trovino. Ribadì, inoltre, che i privilegi dei crociati erano l'indulgenza dei peccati, sospensione da eventuali processi in corso, moratoria sugli interessi dei debiti, protezione della persona del crociato e dei suoi beni da parte della Chiesa. Alla nuova Crociata risposero questa volta due importanti sovrani, e non più semplici nobili di maggiore o minor caratura: l'Imperatore germanico Corrado III (che in realtà non fu però mai incoronato come tale) e il sovrano francese capetingio Luigi VII, col loro seguito di mogli e cortigiani. Nonostante che Ruggero II, re normanno di Sicilia, si fosse offerto di trasportare tutti gli uomini via mare direttamente in Terrasanta, i due sovrani decisero di seguire l'itinerario via terra, sia perché suggerito dall'imperatore bizantino Manuele I quando questi era stato interpellato nell'estate del 1.146, sia perché entrambi i sovrani, come pure lo stesso papa, erano molto diffidenti nei confronti del normanno. La Seconda Crociata ebbe un primo grave rovescio ancor prima di affacciarsi in Terra Santa perché l'esercito franco-germanico, in cui i francesi erano all'avanguardia e i tedeschi in retroguardia, invase i domini dei turchi danishmendidi. I soldati di Corrado incapparono in un'imboscata nell'ottobre del 1.147 (Battaglia di Dorylaeum) e nel 1º gennaio del 1.148 in Pisidia, davanti ad Antiochia l'esercito di Corrado venne massacrato. Le difficoltà di approvvigionamento - dovute alle violente razzie con cui i Crociati provvedevano a risolvere i propri problemi logistici ma che inducevano le popolazioni cristiane locali a nascondere i propri beni e se stesse - segnarono negativamente i guerrieri, al cui interno le rivalità avevano assunto le tinte assai più gravi d'una semplice cameratesca rivalità etnica. In realtà a rendere vana l'impresa era l'inadeguata capacità di questi nuovi Crociati di leggere in modo appropriato la delicata situazione strategica che reggeva Outremer. L'indecisione del sovrano francese - inutilmente spronato dalla moglie Eleonora d'Aquitania (dalla quale sarà costretto poco più tardi a divorziare) - a concepire in modo più ampio e organico la sua venuta e non a limitarsi ad un puro e semplice assolvimento del votum crucis da esaurire a Gerusalemme, costituì la vera debolezza della Seconda Crociata, dove si decise di conquistare Damasco, ritenendola punto nodale di un'azione di affermazione cristiana in Terra Santa. La decisione fu quanto mai deleteria perché in quel modo ci si inimicava l'unica importante entità politica islamica che intendeva seguitare a mantenere rapporti cordiali e pacifici con i Crociati. La locale dinastia dei Buridi temeva infatti di cadere sotto il controllo dei potenti Zengidi di Norandino, degli ancor più potenti Selgiuchidi o dei Fatimidi che non avevano mai abbandonato l'idea d'inglobare la città e i suoi domini al loro Imamato. L'importanza strategica di Damasco per Outremer era tutta nella sua collocazione lungo la sua frontiera orientale e nella sua capacità di impedire che si saldasse il cerchio anti-crociato da parte delle forze musulmane ostili, senza dimenticare la valida sponda che a Outremer i Buridi garantivano anche sul piano economico e commerciale. Ciò nonostante i due sovrani decisero l'assedio di Damasco, malgrado le loro truppe fossero decimate, demoralizzate e cariche di reciproco astio. Il 24 luglio 1.148 l'assedio cominciò ma la resistenza incontrata fu inaspettatamente assai forte mentre - cosa che i Crociati avrebbero a tutti i costi dovuto evitare - l'emiro buride Onor chiedeva aiuto a Norandino. L'assedio terminò con un nulla di fatto il 28 luglio 1.148, dopo soli quattro giorni di offensive e controffensive di limitata entità, con un avvilente ritiro degli assedianti e con il loro definitivo abbandono della scena siriana. Alla Crociata prese parte anche Cacciaguida, antenato di Dante Alighieri, come il poeta ricorda nel suo Paradiso.

Nel 1.148 - A Venezia viene istituita la Promissio Ducale, il giuramento di fedeltà costituzionale del Doge, che da quel momento, continuamente rinnovata ad ogni nuova elezione, limitava progressivamente i poteri del principe, ponendo le basi di sviluppo di nuove istituzioni repubblicane.

Nel 1.150 - Gli Arabi introducono in Spagna la tecnica di fabbricazione della carta.

- Durante il XII secolo, mentre la Polonia si frammenta in molti piccoli stati,  i  Cumani  sono  sconfitti  dagli Slavi dell'Est, ma saranno poi i mongoli a decretarne il declino, per cui infine cercheranno  rifugio  in Transilvania.

La Transilvania, da: http://www.terraeasfalto.it/romania-
transilvania-maramures-e-tutto-quello-che-verra/
- Nel XII e nel XIII secolo, mentre il potere dei re d'Ungheria sulla Transilvania si consolida, le aree del sud e nel nord-est della Transilvania furono occupate da coloni di origine germanica, i sassoni e Siebenbürgen, il nome tedesco per Transilvania, deriva dalle loro sette principali città fortificate. La colonizzazione della Transilvania da parte dei sassoni (in rumeno Sași) ebbe inizio dai tempi del re d'Ungheria Géza II (1141-1162). Sebbene i colonizzatori venissero principalmente dalla parte occidentale dal Sacro romano impero e generalmente parlassero dialetti francofoni, sono conosciuti come sassoni a causa dei tedeschi che lavoravano per la cancelleria ungherese.
Abitanti di origine germanica in
Romania nel 2002, da: https://com
mons.wikimedia.org/w/index.
php?curid=15074021
I sassoni di Transilvania si trovavano in una condizione privilegiata rispetto agli ungheresi ed ai székelys (siculi o secleri) di Transilvania. Per decenni la principale occupazione dei coloni tedeschi fu quella di difendere i confini sud-orientali del regno d'Ungheria. La colonizzazione continuò fino al XIII secolo e l'influenza sassone diventò più marcata quando, ai primi del secolo, il re Andrea II d'Ungheria fece appello ai Cavalieri dell'Ordine teutonico per difendere il Burzenland dai Cumani, i quali furono seguiti dai Mongoli nel 1241. I Cumani si convertirono al cristianesimo e dopo essere stati sconfitti dai Mongoli, cercarono rifugio in Transilvania. Erzsebet, una principessa cumana, sposò Stefano V d'Ungheria nel 1254. L'amministrazione della Transilvania era nelle mani di un voivoda (principe), che dalla seconda metà del XIII secolo controllava l'intera regione.
Székelys in Romania nel 2002, da:
https://commons.wikimedia.
org/w/index.php?curid=15066321
Nella stessa Transilvania erano stanziati, da tempo, i székelys (in italiano siculi o secleri). L'origine dei székelys (in italiano siculi o secleri) è incerta e oggetto di discussione sia tra gli studiosi che tra i székelys stessi. C’è chi li considera discendenti dagli unni, chi da popolazioni centro-asiatiche (come i cumani), quel che è certo è che per lunga parte della loro storia sono stati alleati indissolubili dei re magiari, di cui erano la truppa d’assalto. Proprio il rapporto con il re e con la guerra sono stati fondamentali per definire questa comunità, le cui terre autonome, non soggette a tassazione e coltivate in comune, resero difficile l’instaurazione di un sistema feudale. I székelys sono in prevalenza di religione cattolica, ma è importante anche la minoranza unitariana e quella luterana. La descrizione più completa delle terre e delle tradizioni sicule è stata scritta tra il 1859 ed il 1868 da Orbán Balázs nella sua opera "Descrizione della Terra dei Siculi". Oggi è generalmente accettata la teoria che discendano dai magiari o da popolazioni turche maghiarizzate che si insediarono nei Carpazi per proteggere le frontiere ungheresi. I székelys hanno una forte identità nazionale ungherese. Benché le regioni in cui abitano siano la Transilvania (che al presente appartiene alla Romania) e la Vojvodina (che al presente appartiene alla Serbia), entrambe appartenute in passato all'Ungheria, la lingua che parlano è l'ungherese. Molti termini arcaici dell'ungherese sono sopravvissuti tra i siculi, soprattutto in Romania, dove non hanno subíto l'influenza delle lingue slave. Foneticamente, i siculi hanno un accento tipico. Esistono svariate teorie che suggeriscono una loro discendenza dagli Unni, dagli Àvari, dai Gepidi e dagli Sciti. Alcuni studiosi fanno risalire la loro presenza nei Carpazi orientali a partire dal V secolo. Altri hanno proposto che i Siculi, come gli Ungheresi, siano semplicemente discendenti dagli Ungari e che le differenze culturali siano dovute al relativo isolamento nelle montagne. Lo studioso ungherese Gyula László, a metà del XIX secolo, propose una teoria secondo la quale ci furono due migrazioni ungheresi in Transilvania e nella Pianura Pannonica, la prima precedente alla conquista magiara della Pannonia dell'896. Secondo questa teoria, i Siculi sarebbero un gruppo ungherese insediatosi in Transilvania durante questa prima migrazione. Tale teoria, però è stata superata dagli studi più recenti. Un'altra possibile origine del popolo siculo è l'Ungheria stessa: potrebbero essere ungheresi emigrati in Transilvania per proteggere i confini orientali. Altri ancora credono che i siculi siano di origine turca oppure cumana.

Nel 1.154 - Scende una prima volta in Italia l'imperatore Fede­rico I Barbarossa.
Cartina dell'Europa nell'anno 1154, quando Federico I
Barbarossa scende in Italia per tentare di sottomettere
i Comuni.
Il processo di autonomia dei Comuni italiani era stato favorito dalla crisi in cui era precipitata la Germania, lacerata da un’aspra contesa fra due opposte fazioni a sostegno di due casate rivali per la corona imperiale. Si chiamavano Ghibellini i sostenitori della Casa di Svevia, dal nome del castello di Waiblingen, che si proclamavano difensori dell’onore dell’Impero affermando la sua superiorità sul Papa, sostenuta dal "Privilegio Ottoniano". Si chiamavano Guelfi (dalla dinastia rivale dei Welfen) i sostenitori della Casa di Baviera, fautori della libertà della Chiesa romana e quindi favorevoli al "Concordato di Worms". Successivamente, dato che la casata sveva acquisì la corona imperiale e, con Federico I Hohenstaufen, cercò di consolidare il proprio potere nel Regno d’Italia, nel nuovo ambito politico la lotta passò a designare chi appoggiava l’impero (Ghibellini) e chi lo contrastava in appoggio al papato (Guelfi). L’elezione di Federico I di Svevia (1.152), passato alla storia con il nome di Barbarossa, fu resa possibile dal fatto che sua madre era una Welfen. Ristabilita la pace in Germania, Federico decise di ripristinare l'autorità imperiale in Italia, dove i comuni italiani si erano sottratti di fatto al controllo politico dell'imperatore. Nel 1.154 scese in Italia per farsi incoronare imperatore e convocò la Dieta di Roncaglia per condannare la rivendicazione di sovranità dei comuni. Nel 1.158 scese una seconda volta e distrusse Crema e Milano che si erano ribellate. I comuni si coalizzarono quindi nel 1.167 nella Lega Lombarda, insieme di 36 città che nella battaglia di Legnano del 1.176 sconfissero il Barbarossa.

- Durante la seconda metà del sec. XII Venezia deve salvaguardare la sua indipendenza dall'imperialismo tedesco e favorisce i Comuni contro il Barbarossa, mentre vede compromessa la sua egemonia sull'alto Adriatico a favore dei Bizantini.

Nel 1.154 inizia la costruzione della catte­drale di Chartres in Francia.

Sultanato selgiuchide di Rûm o Sultanato di Nicea o
Sultanato di Iconio nella sua espansione. Da: https://it.wiki
Nel 1.157 - La morte del selgiuchide Gran Sultano Ahmed segna la fine dell'unità per il grande sultanato selgiuchide e la perdita del Khorasan. Negli altri territori del nominale Impero selgiuchide, governavano gli Artuqidi, nella Siria nord-orientale e nella Mesopotamia settentrionale, che controllarono Gerusalemme fino al 1098 mentre Kerbogha esercitava grande indipendenza, in veste di atabeg di Mosul. Nell'Anatolia orientale e Siria settentrionale fu fondata invece la dinastia Danishmendide che si contese territori con il Sultanato di Rûm (o Sultanato di Nicea o Sultanato di Iconio). L'anatolico Sultanato di Rum, sopravvisse ancora per circa un secolo, sino all'invasione dei Mongoli dell'Ilkhanato.

Nel 1.158 - Tra l'XI e il XII secolo si sviluppa la lotta per le investiture. E' un periodo fondamentale per lo sviluppo della politica europea, per definire i rapporti tra lo Stato e la Chiesa. In questa lotta le discussioni di diritto sono fondamentali e fondamentale è lo studio del diritto giustinianeo, fondamento della identità dell'lmpero. Nel 1158 quattro esperti di diritto, quattro doctores dello Studio bolognese (l'università) ritenuti allievi di Irnerio, cioè Bulgaro, Martino, Jacopo e Ugo di Porta Ravegnana vengono invitati da Federico I Barbarossa alla Dieta di Roncaglia per esprimere un parere sui diritti dell'Impero nei riguardi di altre entità politiche. Tranne Martino, gli altri tre si pronunciarono a favore dell'Impero. Essi dimostrano con glosse molto sottili che l'unica Legge è quella romana, affidata all'Impero. Come conseguenza Federico I Barbarossa nel 1158 promulga una Constitutio Habita con la quale si stabilisce che ogni scuola si costituisce come una societas di socii (allievi) presieduta da un maestro (dominus) che viene compensato con le quote pagategli dagli studenti. L'Impero si impegna a proteggere dalle intrusioni di ogni autorità politica tutti gli scholares che viaggiano per ragioni di studio. Si tratta di un evento fondamentale per la storia dell'università europea. L'università diventa per legge il luogo in cui la ricerca si sviluppa liberamente, indipendentemente da ogni altro potere. Da http://www.unibo.it/it/ateneo/chi-siamo/la-nostra-storia/luniversita-dal-xii-al-xx-secolo

Nel 1.160 - Redazione del "Tristano e Isotta" e dell'epopea dei Nibelunghi. Nella saga dei Nibelunghi (da nebel, nebbia), Brunilde è la regina d'Islanda di cui Gunther, re dei Burgundi, fratello di Grimilde, Gernot e Giselher, si innamora. Per poter ottenere la sua mano il re decide di chiedere aiuto al compagno d'armi Sigfrido, figlio di Siegmund e di Sieglinde, eroe vincitore dei Nibelunghi. Questi, in cambio della mano di Grimilde, decide di aiutarlo. Ma la regina islandese, vergine guerriera dalla forza immensa, impone una duplice prova ai suoi pretendenti: la sposerà solo chi riuscirà a raggiungere d'un balzo un masso scagliato lontano da lei, per poi vincerla in duello. La situazione è grave per il burgundo Gunther, tanto più che numerosi e valorosi guerrieri sono morti prima di lui in quella stessa impresa: ma è Sigfrido a combattere al suo fianco, facendosi forte del suo cappuccio dell'invisibilità che gli da le sembianze di Gunther stesso. Gunther, considerato infine vincitore, porta la sua bella promessa sposa a Worms, città sul Reno, centro del regno burgundo. Si svolgono quindi parallelamente le nozze di Sigfrido-Grimilde e di Gunther-Brunilde. Quando Gunther cerca di consumare il matrimonio, la moglie lo lega e lo appende a una parete con un grosso uncino. Umiliato, il re chiede di nuovo aiuto a Sigfrido che, assumendo nuovamente le sembianze del re, riesce a sopraffare la donna e farla unire con Gunther. Ma Sigfrido, prima di allontanarsi dai due nuovi amanti, sottrae a Brunilde un anello d'oro e una cintura preziosa. Quando, nella 14a avventura del manoscritto C dei Nibelunghi, Brunilde vede indossato da Grimilde quello che un tempo apparteneva a lei, capisce di essere stata ingannata per ben due volte da Sigfrido e  adirata, dopo un terribile litigio con Grimilde, affida ad Hagen il compito di uccidere Sigfrido. Brunilde non viene più menzionata dalla 15ª alla 39ª (ed ultima) avventura; secondo alcune versioni della leggenda, però, alla morte di Sigfrido venne colta da un'enorme senso di colpa che la spinse a suicidarsi gettandosi nella pira costruita per l'eroe defunto. In "L'anello del Nibelungo" di Richard Wagner è la protagonista al fianco di Sigfrido delle tre giornate (la prima opera, "L'oro del Reno", è considerata un prologo). Compare per la prima volta nella prima giornata, "La Valchiria", della quale è l'eponima, ove è presentata come figlia di Wotan (Odino) e di Erda, nonché una delle nove Valchirie. Viene bandita dalla razza divina perché ha tentato di contrastare la volontà del padre aiutando Siegmund e Sieglinde. È inoltre lei a dare il nome al nascituro Sigfrido ("Colui che gioisce nella vittoria"). Nella seconda giornata, viene svegliata dal lungo sonno in cui Wotan l'aveva sprofondata da Sigfrido, mentre nella terza, "Il crepuscolo degli dei", a causa di un intrico di complotti di palazzo manovrati da Hagen, va in sposa a Gunther, re dei Burgundi. Sigfrido sposa la sorella del re, Gutrune e Brunilde chiede ad Hagen di vendicarla. Questi uccide Sigfrido, che in punto di morte recupera la memoria che Hagen aveva cancellato con un filtro, e muore col nome dell'amata Valchiria sulle labbra. Quando il corpo di Sigfrido è posto sulla pira funebre, Brunilde, montando in sella al suo cavallo Grane si getta tra le fiamme, indossando l'Anello maledetto (che Sigfrido le aveva precedentemente donato). Così l'Anello torna al Reno mentre con un brano orchestrale intitolato non a caso "Glorificazione di Brunilde" si conclude l'opera. L'interpretazione grafica più comune della "Glorificazione" è il rogo del Walhalla (con al suo interno tutti gli dèi) e l'inizio di una nuova età per il genere umano, libero dall'eredità di morte ed oppressione costituita dal vecchio credo germanico: l'amore tra Brunilde e Sigfrido ha sconfitto la maledizione dell'Anello e tutto ciò che era stato costruito su di esso (tra cui il Walhalla e, per estensione, tutto ciò che è il pantheon norreno).

Nel 1.163 - Inizia la costruzione della catte­drale di Notre-Dame a Parigi.

Nel 1.167 - L' 8 luglio, si combatte la battaglia di Sirmio o battaglia di Zemun (in ungherese: Zimonyi csata) tra gli eserciti dell'Impero bizantino e del Regno di Ungheria. La decisiva vittoria dei bizantini costringe gli ungheresi ad accettare la pace alle condizioni dettate da Costantinopoli. Negli anni fra il 1150 ed il 1160, il regno d'Ungheria aveva allargato i propri confini ed era giunto a puntare all'annessione della Dalmazia e della Croazia. Queste mire espansionistiche degli ungheresi si scontravano con gli interessi dell'Impero bizantino, che considerava questa espansione pericolosa per il proprio predominio nei Balcani e con quelli dell'alleata Repubblica di Venezia (ormai confinante con il regno ungherese), che considerava la Dalmazia una zona di proprio interesse esclusivo. I bizantini intervennero quindi pesantemente nella politica ungherese, sia militarmente che fomentando ribellioni dinastiche. Tuttavia l'imperatore Manuele I Comneno cercò di evitare uno scontro totale attraverso un accomodamento dinastico che avrebbero potuto portare all'unione dell'Ungheria e dell'Impero: Bela, fratello cadetto del re Stefano III d'Ungheria fu allevato a Costantinopoli e destinato a sposare la figlia primogenita (ed erede) di Manuele I. Tuttavia Stefano III rifiutò sia di consegnare ai bizantini i territori del ducato di Dalmazia (nominalmente soggetto a Bela), sia di nominare Bela proprio erede, provocando una nuova guerra. Così nel 1167 Manuele affidò il comando delle operazioni in Ungheria ad Andronico Kontostephanos con l'ordine di spingere il nemico a dare battaglia. Lo scontro avvenne sulle rive del fiume Sava, vicino all'antica città di Sirmio, nella pianura della Pannonia. A differenza degli ungheresi, i bizantini disposero un forte contingente di truppe di riserva alle spalle del proprio centro. I loro arcieri provocarono gli ungheresi a caricare, mentre alla destra ed al centro i bizantini resistevano all'assalto e il loro fianco sinistro fingeva di fuggire. L'ala destra ungherese piegò verso il centro dello schieramento bizantino per circondarlo, ma fu prima bloccata dalle riserve bizantine e poi attaccata alle spalle dalle unità del fianco sinistro che credeva fossero fuggite. Vista la favorevole situazione alla propria sinistra, Kontostephanos ordinò un attacco generale, che indusse gli ungheresi a fuggire. La battaglia di Sirmio coronò gli sforzi di Manuele per garantirsi i confini settentrionali. Gli ungheresi dovettero accettare le condizioni imposte dall'Impero: la Dalmazia e la Croazia passarono sotto il controllo bizantino ed inoltre il sovrano ungherese acconsentì a pagare un tributo all'imperatore bizantino. La questione della successione di Stefano III non venne definita, tuttavia alla sua morte (nel 1172) Bela (che non era più nella linea di successione bizantina per via della nascita di Alessio II Comneno) salì al trono, ma solo dopo aver giurato che non avrebbe leso gli interessi di Manuele.

Nel 1.171 - I veneziani sono perseguitati nell'impero bizantino, mentre slavi e ungheresi scrollano le posizioni veneziane sulla costa adriatica orientale e i commercianti genovesi e pisani prendono il sopravvento sui mercati del Levante.

Nel 1.173 - Valdo di Lione inizia la sua predicazione. Mentre i Catari, (catari, cioè “puri”, dal greco katharoi) che predicavano il Vangelo di Giovanni ed intendevano vivere in povertà la propria dottrina rigorosa, divennero una forte minoranza, diffusi in tutta l’Occitania occidentale; in quella orientale, l’eresia più diffusa era invece quella valdese. Il valdismo, i cui fedeli sono chiamati valdesi, è stato un movimento pauperistico medievale nato nell'ultimo quarto del XII secolo, scomunicato nel 1.184, e dal 1.532 è una confessione protestante di matrice calvinista. La corrente valdese del cristianesimo nasce nel Medioevo, precisamente nel XII secolo, come movimento religioso, costituito da contadini e in genere da poveri, che precede di poco quello promosso da Francesco d'Assisi. Tradizionalmente si fa risalire la fondazione del movimento a Valdo di Lione (o Pietro Valdo o Valdesio, dalla latinizzazione Valdesius). In realtà, l'origine dei Valdesi si confonde con il grande fermento di movimenti pauperistici di riforma del Cristianesimo sviluppatisi nel corso del XII secolo. Oggi, esiste una via a Lione che porta il suo nome, nel 5ème arrondissement (rue Pierre-Valdo). Valdo, si dice in seguito all'ascolto da un menestrello sulla vita di sant'Alessio, decise di approfondire lo studio della Bibbia: egli però non conosceva il latino, così si fece tradurre i Vangeli e altri scritti biblici in francese. Fu colpito in particolar modo dalle parole rivolte da Gesù al giovane ricco: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi" (Matteo XIX, 21). Decise allora, nel 1.173, di abbandonare la moglie, far accogliere le figlie nel monastero di Fontevrault e offrire tutta la sua ricchezza ai poveri. In seguito si circondò di un gruppo di seguaci con i quali, fatto voto di castità e vestiti solo di stracci, andava in giro a predicare il messaggio evangelico; ben presto il gruppo fu identificato con l'espressione Poveri di Lione.
Valdo di Lione, monumento
ubicato a Worms, in
Germania.
La loro predicazione si svolse all'interno dell' "ortodossia" romana, rivolgendosi principalmente contro il dualismo cataro. La fedeltà al papa di Roma da parte del movimento valdese in questi anni è testimoniata dalla ricerca di approvazione ecclesiastica nel 1.179, in occasione del terzo concilio Laterano: essi si recarono a Roma incontrandosi anche con il pontefice Alessandro III, il quale dimostrò apprezzamento per il loro proposito di vivere in maniera povera e conforme al dettato evangelico, ma non fu disposto a riconoscere la loro richiesta di essere predicatori della Parola. In quel periodo l'annuncio del Vangelo infatti era riservato solo ai chierici e agli ecclesiastici, ai laici non era permesso predicare ed era persino sconsigliata la lettura diretta e personale della Bibbia. Valdo (detto anche Valdesio, dalla latinizzazione del suo nome) tuttavia, insieme ai suoi seguaci, continuò a diffondere l'insegnamento cristiano nonostante il divieto papale, in piena disobbedienza; quindi, nel 1.180, fu convocato dal cardinale Enrico di Marcy, vescovo di Albano, in un sinodo a Lione, nel quale Valdo e i suoi seguaci dichiararono la loro completa "ortodossia" e al contempo esposero quelli che consideravano gli "errori" dei catari. Nonostante ciò, la predicazione da parte dei laici e delle donne e la lettura individuale della Bibbia erano aspetti considerati inaccettabili dalla Chiesa romana, consapevole del fatto che ammettere tale innovazione avrebbe significato dare il via ad un processo di trasformazione dagli esiti imprevedibili qualora la lettura e interpretazione dei testi sacri fosse permessa anche a fedeli non appartenenti al clero. Tutto questo era stato ben compreso da Walter Map, rappresentante di re Enrico II Plantageneto al concilio lateranense del 1.179, che a proposito dei valdesi aveva scritto: « Costoro mai hanno dimore stabili, se ne vanno due a due a piedi nudi, vestiti di lana, nulla possedendo, ma mettendo tutto in comune come gli apostoli, seguendo nudi il Cristo nudo. Iniziano ora in modo umilissimo, perché stentano a muovere il piede; ma qualora li ammettessimo, ne saremmo cacciati » (Walter Map, De Nugis Curialium). Nel 1.184 a Verona, con la bolla Ad abolendam, papa Lucio III scomunicò una serie di movimenti ritenuti ereticali anche molto diversi tra loro, tra cui i poveri di Lione, i valdesi. La motivazione per tale scomunica rimase la "presunzione" dei valdesi a voler predicare in pubblico. Nonostante la condanna papale, comunque, il movimento valdese continuò la sua espansione verso il Mezzogiorno di Francia e l'Italia (Piemonte, Lombardia, Puglia e Calabria), giungendo anche in alcune regioni della Germania, in Svizzera, e persino in Austria, Spagna, Ungheria, Polonia e Boemia. Le comunità valdesi erano organizzate su due livelli: vi erano i "perfetti" o "barba" (che significa "zio", in contrapposizione al "padre" cattolico) che seguivano i tre voti monastici di povertà, castità, e obbedienza ed erano predicatori itineranti, e i semplici fedeli, che erano detti "amici" o "noti". La comunità aveva tre gradi gerarchici: diaconi, presbiteri e vescovi e preparava i futuri predicatori in apposite scuole, gli "ospizi". Osservavano la liturgia delle Ore e i digiuni, celebravano la Cena del Signore (nella Linguadoca con pane, vino e pesce) e la sera del Giovedì Santo praticavano la lavanda dei piedi. Studiavano a memoria interi Vangeli e altre parti della Bibbia che Valdo aveva fatto tradurre nelle varie lingue popolari. Dopo la scomunica, però, il movimento valdese perse la sua compattezza originaria e iniziò a sfaldarsi in gruppi locali differenziati tra di loro. La prima grande spaccatura avvenne nel 1.205 circa, quando una parte consistente di valdesi di Lombardia dette vita ad un gruppo autonomo detto appunto Poveri Lombardi (pauperes Lombardi). Entrando in Lombardia i predicatori e le predicatrici valdesi poveri (fratres et sorores) miravano, come altrove, a costituire gruppi di amici o credentes che vivessero nel mondo, lavorassero e li sostenessero con le loro elemosine. Vennero però qui a trovarsi in una situazione politica e sociale radicalmente diversa da quella d'oltralpe. Trovarono infatti una miriade di Comuni in lotta perenne per la loro piena indipendenza dall'Impero e dal papato e lacerati all'interno dalle lotte tra partito guelfo partito ghibellino. I valdesi non ebbero problemi a inserirsi nelle strutture comunali, riuscendo anche a farsi eleggere alle cariche più importanti, ma la maggior parte di loro preferì restare ai margini della vita politica a causa del severo divieto del giuramento, dell'insistenza sulla povertà assoluta e per una certa sfiducia verso le autorità umane. Il partito ghibellino sembrava spesso appoggiare questi movimenti ereticali, non però per un reale interesse per le questioni religiose, ma per sfruttare ai suoi fini l'anticlericalismo della loro predicazione. E così, ad alcuni podestà che li difendevano e li appoggiavano, ne seguirono spesso altri che li condannavano e li bruciavano sul rogo. Ma in Lombardia i valdesi vennero ben presto a contatto e furono influenzati da altri movimenti popolari di carattere sociale e religioso, da tempo presenti in loco o di nuova istituzione, come i Patarini, gli Arnaldisti e gli Umiliati. I valdesi lombardi ne furono influenzati al punto da adottare dei provvedimenti che provocarono la reazione di Valdo fino alla scissione che ebbe luogo nel 1.205, essenzialmente a causa di tre motivi:
- I predicatori in Lombardia entrarono a far parte di comunità di lavoratori e ne crearono delle proprie. Secondo Valdo i predicatori non dovevano lavorare ma vivere in povertà delle offerte degli amici per non essere corrotti dalla brama di ricchezze.
- I lombardi si scelsero un capo a vita nella persona del piacentino Giovanni da Ronco detto il Buono. Valdo obiettava che l'unico preposto del loro movimento doveva rimanere Gesù Cristo.
- I lombardi elessero dei ministri ai quali affidarono compiti sacerdotali, come la consacrazione dell'eucaristia.
Valdo temeva che questo fosse il primo passo per costituirsi come contro-chiesa: egli infatti aveva voluto creare una fraternità religiosa di predicatori che si impegnavano a supplire alle carenze del clero nella predicazione e nella cura d'anime, ma non dovevano sostituirsi ad esso. Valdo voleva rimanere nella Chiesa romana e lavorarvi, anche se scomunicato. Da questa prima divisione nacque una crisi del movimento che ebbe importanti evoluzioni nel giro di pochi anni. Tra il 1.205 e il 1.207 Valdo morì senza essere riuscito a ricomporre lo scisma interno al suo movimento e la frattura con Roma. Da allora molti gruppi iniziarono ad allontanarsi dall'ortodossia cattolica, rifiutando le gerarchie ecclesiastiche, giudicate peccatrici e malvagie. Quando il Concilio Lateranense IV nel 1.215 definisce formalmente la dottrina della transustanziazione (cioè l'idea della presenza reale e sostanziale di Cristo nell'Eucarestia), questa non trova consensi tra i valdesi. A causa di queste tendenze il principale interprete del valdismo originario, Durando d'Osca, insieme ad un gruppo di discepoli, tentò di mettere fine al dissidio con le gerarchie ecclesiastiche facendo riconoscere dalla Chiesa romana i punti essenziali della primitiva ispirazione di Valdo. La speranza però si rivelò illusoria: il papa, nel 1.208, approvò il loro proposito di vita religiosa ma non colse i motivi centrali della loro ispirazione e il nuovo ordine, con il nome di Poveri Cattolici (pauperes catholici), fu orientato in funzione antiereticale. Una sorte leggermente migliore toccò a Bernardo Primo e ai suoi seguaci, riconosciuti nel 1.210 dalla Chiesa con il nome di Poveri Riconciliati, che riuscirono a inserire nel loro proposito il supremo magistero di Cristo e il mandato apostolico di predicare per la salvezza del popolo di Dio. Entrambi i gruppi, comunque, non riuscirono nel loro intento di rifondare dall'interno la Chiesa né a sottrarre dalla presunta "eresia" gli altri movimenti valdesi. Inoltre le gerarchie ecclesiastiche li guardavano con sospetto e furono spesso accusati di aver accettato l'"ortodossia" romana solo formalmente; nel giro di pochi anni, perciò, i Poveri Cattolici e i Poveri Riconciliati si esaurirono o furono costretti a fondersi con altri ordini religiosi. I restanti membri del movimento valdese si erano organizzati in due gruppi, quello ultramontano e quello italico. Nel 1.218 la Società dei Fratelli Ultramontani (societas fratrum Ultramontanorum) e la Società dei Fratelli Italici (societas fratrum Italicorum) si incontrarono a Bergamo con l'intento di trovare una nuova unità, ma non riuscirono a ricomporre le loro fratture.

Nel 1.175 - Chrétien de Troyes, ispirato dagli ideali cavallereschi occitani e probabilmente informato su eventi storici sconosciuti ai più, comporrà fra il 1.175 e il 1.190, "Le Roman de Perceval ou le conte du Graal", romanzo incompiuto in versi che aprirà il filone narrativo del Sangraal, re Artù, il primo re, nella saga bretone, cristiano, e che narrerà di Perceval (Parsifal).

- Si diffondono in Stiria i primi altiforni che rendono possibile la produzione della ghisa. La Stiria (Steiermark in tedesco, Štajerska in sloveno) è un Lander del sud-est dell'Austria.

Nel 1.176 - A Legnano la Lega Lombarda sconfigge Federico Barbarossa.
"La battaglia di Legnano" di Amos Cassoli (1860-70)
Firenze, Galleria d'arte moderna di palazzo Pitti.
Nel ricordo della battaglia, è affiorata la memoria di Alberto da Giussano, un personaggio storico del XII secolo; condottiero italiano citato in alcune opere letterarie scritte in secoli successivi, di cui non ne è univocamente determinata la effettiva esistenza storica. Con l'esclusione della possibile provenienza, Giussano, una città a 25 km a nord di Milano, non si hanno notizie storiche e biografiche certe.
Legnano: monumento
ad Alberto da
Giussano.
Appare per la prima volta nella cronaca storica della città di Milano scritta dal frate domenicano Galvano Fiamma nella prima metà del XIV secolo. La cronaca fu scritta per compiacere Galeazzo Visconti signore di Milano, ricostruendo la storia del medioevo del comune in toni eroici. Alberto venne descritto come il cavaliere che si distinse insieme ai due fratelli nella battaglia di Legnano del 29 maggio 1.176, per aver guidato la Compagnia della Morte. Secondo Galvano Fiamma, egli fondò, organizzò ed equipaggiò la Compagnia della Morte, descritta come un'associazione militare di 900 giovani cavalieri scelti con il compito di difendere fino alla morte il carroccio, simbolo della Lega Lombarda, contro l'esercito imperiale di Federico I Barbarossa, imperatore del Sacro Romano Impero. Alcuni storici ritengono tuttavia la sua figura poco attendibile in quanto "troppo romanzata ed idealizzante". Nell'immaginario collettivo egli rimane comunque un simbolo della libertà dei popoli oppressi dal potere centrale. Dopo la battaglia di Legnano, si giunse ad un nuovo tentativo di pacificazione che si svolse a Venezia nel luglio 1.177, a cui parteciparono il papa, l'imperatore, Guglielmo II il Buono (Guglielmo II di Sicilia, detto il Buono: Palermo 1.153 - 1.189, discendente della famiglia degli Altavilla, figlio di Guglielmo I il Malo e di Margherita di Navarra, fu Re di Sicilia dal 1166 e viene ricordato come uno dei monarchi normanni che ebbe la maggiore benevolenza popolare) e delegati dei Comuni: si confermarono sostanzialmente gli accordi di Anagni ma non si arrivò ad una pace definitiva, bensì ad una lunga tregua col re di Sicilia e ad una triennale coi Comuni. Federico tornò a quel punto in Germania per risolvere definitivamente i contrasti con i suoi feudatari, in modo particolare con Enrico il Leone, reo di non aver sostenuto l'imperatore nel modo adeguato dal punto di vista militare. L'ostinata resistenza di Enrico fu infine vinta (nel 1.180) e anche in Italia la situazione andava migliorando, poiché la Lega si stava sfaldando a causa di contrasti e rivalità interne fra i Comuni. Si giunse così alla "pace definitiva" di Costanza, il 25 giugno 1.183: l'imperatore riconosceva la Lega e faceva alle città che la componevano concessioni riguardanti tutti gli ambiti, amministrativo, politico e giudiziario, regalie comprese; rinunciava inoltre alla nomina dei podestà, riconoscendo i consoli nominati dai cittadini. I Comuni si impegnavano in cambio:
- a pagare un indennizzo una tantum di 15.000 lire e un tributo annuo di 2.000,
- a corrispondere all'imperatore il fodro (ossia il foraggio per i cavalli, o un'imposta sostitutiva) quando questi fosse sceso in Italia,
- a concedere all'imperatore la prerogativa di dirimere in prima persona le questioni fra un Comune e l'altro. Si trattava di un compromesso che segnava la rinuncia all'ormai anacronistico concetto di "impero universale" e dunque, al piano di dominio assoluto di Federico, mentre i Comuni avrebbero mantenuto la loro larga autonomia. Prima di morire, tuttavia, Federico riuscì ad estendere la propria autorità sul regno normanno, dando in matrimonio il figlio Enrico a Costanza d'Altavilla, ultima erede della dinastia normanna. Dopo la pace stipulata con il Papa Alessandro III, Federico si imbarcò per la Terza Crociata (nel 1.189) con Filippo Augusto di Francia e Riccardo I d'Inghilterra (noto come Riccardo Cuor di Leone), ma affogò traversando il fiume Saleph in Cilicia, nel Sud-Est dell'Anatolia. A Federico successe sul trono reale e imperiale il figlio Enrico VI.

Carta del Nord Italia nel 1176 quando Federico I Barbarossa
è sconfitto a Legnano dai Comuni dalla Lega Lombarda, di
cui alcuni sono indicati coi rombi rossi, mentre i neri erano
gli alleati dell'imperatore. Federico percorse parte della via
francigena, che conduceva a Roma dalla Francia. 
- La via Francigena era la strada (sarebbe però più corretto dire l'insieme di strade) che nel Medioevo collegava il regno di Borgogna con l'Italia e che rappresentava il più importante canale di comunicazione con il Nord Europa. Il nome "Francigena" deriva dal fatto che i primi segmenti di questa strada attraversavano le Alpi dalla Francia al Piemonte, passando per i valichi dei Moncenisio, dei Monginevro e del Gran San Bernardo; tale nome sarebbe poi rimasto a comprendere anche altri itinerari aperti al transito verso il centro e il nord Europa, fino al Mar Baltico da un lato ed al canale della Manica dall'altro. La via Francigena non è nata, al contrario della rete delle comunicazioni imperiali, da un progetto strategico unitario, ma dalla necessità dei pellegrini di andare verso i luoghi consacrati per guadagnare la benevolenza di Dio. La meta privilegiata dalla maggior parte dei pellegrini era Roma perciò, prima dell'anno Mille, la via Francigena veniva denominata Via Sancti Petri o Romea.

L'Anatolia nel 1180 con indicata Miriocefalo. Da: https://upload.wiki
Nel 1.176 - Il 17 settembre si combatte la battaglia di Miriocefalo  tra bizantini turchi selgiuchidi. Nel corso del lungo periodo in cui regnò Manuele I Comneno (1143-1180), l'Impero bizantino aveva progressivamente aumentato il suo ruolo di potenza nel Mediterraneo orientale. I Selgiuchidi, suoi tradizionali nemici, erano stati tenuti a bada fin dai primi anni del suo regno e da allora l'Impero aveva esteso la sua influenza tra alterne vicende, in tutte le direzioni. Oltre a ciò, era evidente a tutti il riflusso del Sultanato selgiuchide di Rûm (o Sultanato di Nicea o Sultanato di Iconio), che era apparso sempre meno potente a partire dall'epoca della Prima Crociata. Tuttavia nel 1156 salì al trono Qilij Arslan II (1156-1192), che riorganizzò gli scompaginati domini turchi, aumentando anche la coesione dell'esercito e il numero di guerrieri turcomanni disponibili per le campagne sotto il suo diretto comando. Così, quando il 15 maggio 1174 Norandino (condottiero turco appartenente alla dinastia zengide, che governò la Siria dal 1146 al 1174)) morì, i Danishmendidi (una dinastia turcomanna che regnò nel centro-nord e nell'est dell'Anatolia nei secoli XI e XII, rivali del selgiuchide Sultanato di Iconio, che controllava la maggior parte del territorio attorno alle terre danishmendidi) rimasero senza un protettore, trovandosi indifesi contro i Selgiuchidi. Qilij Arslan ebbe a questo punto l'occasione di conquistare molti territori prima appartenenti a Norandino e due principi danishmendidi si recarono a Costantinopoli, per chiedere aiuto all'imperatore bizantino. Nell'estate del 1176 Manuele si mise in marcia, alla testa del suo sperimentato esercito, incrementato da potenti mercenari franchi e magiari, per raggiungere Iconio e fu quasi subito raggiunto dagli inviati del Sultano con proposte di pace molto vantaggiose per l'Impero bizantino. Quasi tutti i suoi ufficiali erano d'accordo, tranne una piccola minoranza di giovani, che ardeva dal desiderio di andare in guerra. Secondo le fonti contemporanee, Manuele si fece dissuadere dai suoi giovani ufficiali e comandò che la campagna proseguisse, ma in realtà il Basileus non si era pienamente reso conto della ristrutturazione dello Stato operata dal suo avversario né del suo rinnovato potenziale bellico; era deciso a farla finita una volta per tutte col suo scomodo vicino, per ripristinare pienamente il dominio bizantino in Anatolia perso dopo Manzicerta. I bizantini procedettero quindi verso la fortezza di Miriocefalo, il cui sentiero percorreva una gola tortuosa e angusta fra i monti, mentre la loro lunga colonna era appesantita dai carriaggi e dalle macchine ossidionali necessarie per gli assedi che pensavano di dover affrontare. Da sopra le montagne, i selgiuchidi prepararono quindi un'imboscata, dopo aver bloccato sia l'uscita che l'entrata della gola, iniziando la battaglia, una classica ed efficace imboscata, con i turchi che bersagliavano dalle alture gli stupefatti avversari. Manuele riuscì a far guadagnare ai suoi una posizione appena meno vulnerabile, dopo aver comunque subito la perdita di molti uomini e delle salmerie. Il massacro sembrava difficilmente evitabile, ma il sultano turco ebbe pietà di Manuele e del suo esercito, forse intimorito dall'idea di distruggere completamente l'esercito bizantino, creando una situazione dagli imprevedibili risvolti, o forse poiché non era sicuro di avere truppe a sufficienza per completarne l'annientamento. Fece sapere che le ostilità sarebbero state sospese se l'imperatore avesse distrutto le sue fortificazioni a Dorileo e Subleo, (che erano state appena rinnovate nel 1174). Manuele accettò e i due eserciti si separarono. Molti storici, sia moderni sia medievali, si chiesero cosa sarebbe successo se Manuele fosse stato meno avventato nell'avanzata o se i Selgiuchidi avessero portato fino in fondo il massacro degli invasori, ciò che è certo, è che la sconfitta di Miriocefalo tolse ogni speranza all'imperatore di riprendersi l'intera Anatolia, conquista che più che mai sembrava possibile, portando anche a una crisi economica l'Impero, anche se le clausole della pace furono solo parzialmente rispettate, visto che negli ultimi anni che gli restavano da vivere, Manuele non smantellò le fortezze di frontiera come gli era stato richiesto. Qilij Arslan si accontentò di aver fermato la spinta espansiva dei Bizantini e di aver rafforzato la frontiera occidentale dei suoi possedimenti, anche perché i rapporti di forza tra i due eserciti non erano affatto sbilanciati a favore dei turchi, come dimostrarono i fallimentari tentativi d'invasione dell'Asia Minore bizantina operati dal Sultano, dopo che divenne chiaro il mancato rispetto dei patti da parte dell'Imperatore. Nel giro di una generazione tuttavia, entrambi i contendenti avrebbero avuto ben altro a cui pensare, col progressivo indebolimento del potere selgiuchide dopo la morte del volitivo Sultano e con lo sprofondare dell'Impero bizantino in una crisi interna, anche qui dopo la dipartita del sovrano, che avrebbe facilitato molto la vittoria nel 1204 dei combattenti della Quarta Crociata.

Nel 1.177 - La pace di Venezia tra l'imperatore Barbarossa e papa Alessandro III attenua molto la crisi fra la Serenissima e Costantinopoli. All'interno del governo cittadino avvengono frattanto importanti mutamenti costituzionali a favore di una oligarchia aristocratico-mercantile: l'elezione del doge è tolta al popolo e riservata a soli 40 elettori, scelti da un'apposita commissione e al popolo rimane solo il diritto di ratificarla (nel 1172). Il doge è affiancato da sei consiglieri (uno per ciascun sestiere della città), costituendo un consiglio ristretto (Minor Consiglio) e l'aggiunta di un consiglio di tre savi, detto la Signoria. Tutte le iniziative di questi organi supremi dovettero però essere sottoposte all'approvazione del Maggior Consiglio, emanazione dell'Assemblea popolare (soppressa poi nel 1423), organo del potere legislativo (e, col volgere del tempo, di altri poteri), nonché di altri Consigli sorti in tempi diversi, come il Senato, sviluppatosi dal primitivo gruppo di consiglieri pregati dal doge di collaborare con lui (i Pregadi) e destinato a governare, infine, la politica estera, la difesa e l'economia: a tenere cioè le leve di comando della politica veneziana.  

- Nell'ultimo ventennio del XII secolo (1180-1200), Venezia si scontra con l'Ungheria nella guerra di Zara per il controllo della Dalmazia, conclusasi nel 1.202 con la presa della città da parte dei veneziani.

Europa sudorientale e Anatolia ne 1180, con i domini ungheresi in giallo,
da: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/da/
South-eastern_Europe_c._1180.jpg

Nel 1.183 - Con il Trattato di Costanza i Comuni videro riconosciuta la loro sovranità, ed è il primo esempio di patteggiamento sul potere, fra monarchia assoluta e parti sociali.
Le lotte in Germania non si placarono e furono una delle principali cause del fallimento della politica imperiale.

Nel 1.185 - Finisce la ripresa dell'impero bizantino con la morte dell'ultimo imperatore comneno, Andronico I Comneno. Quest'ultimo si era attirato l'odio dell'occidente cattolico a causa del Massacro dei Latini da lui istigato a Costantinopoli. Con la sua morte l'impero bizantino è privato di una abile guida che potesse risollevarne le sorti, ed il declino ricomincerà. Nel giro di vent'anni si assisterà alla presa ed al saccheggio della capitale, Costantinopoli, ad opera dei Crociati, nel 1204, data che sancirà la definitiva decadenza dello stato bizantino ed il suo declassamento dal rango di potenza internazionale a semplice stato greco.

- Lo stato bulgaro medievale è restaurato come secondo impero bulgaro dopo una rivolta di successo dei due nobili di Tarnovo, Asen e Peter, ed esisterà fino alla conquista ottomana dei Balcani della fine del XIV secolo, con sua sottomissione solitamente datata 1396, anche se alcuni la collocano al 1422.
Insediamento dei Cumani in Valacchia
e a est dell'Ungheria.
Fino al 1256, il secondo impero bulgaro è stata la potenza dominante nei Balcani e ha sconfitto l'impero bizantino in diverse grandi battaglie.

Nel 1.185 si combatte la battaglia del fiume Kajaly, dove i Cumani sconfiggono i Variaghi della Rus' di Kiev. All'epoca i Cumani erano una delle popolazioni nomadi che contrastavano i Variaghi della Rus' di Kiev nelle loro mire espansionistiche verso sud. Nella letteratura russa sono celebri per essere i nemici che sconfiggono l'esercito condotto dal Principe Igor nell'antico poema epico russo "Canto della schiera di Igor", scritto forse poco dopo la disfatta avvenuta nel 1185, nella battaglia del fiume Kajaly.

Nel 1.187 - Gerusalemme, cristiana dal 1.099, viene riconquistata dal sultano curdo Saladino, della dinastia degli Ayyubidi.

Nel 1.188 - Separazione fra l'ordine di Sion e i cavalieri Templari. Se possiamo prestare fede ai «documenti del Priorato», il 1188 fu un anno estremamente importante tanto per Sion quanto per i Templari. L'anno prima, nel 1187, Gerusalemme era stata ripresa dai Saraceni, soprattutto a causa dell'impetuosità e dell'inettitudine di Gerard de Ridefort, Gran maestro del Tempio. Il testo contenuto nei Dossiers segreti è molto più severo. Infatti, parla non già dell'impetuosità o dell'inettitudine di Gerard, bensì del suo « tradimento »: un termine molto duro. Non viene spiegato in che cosa consistesse questo « tradimento ». Ma viene detto che in seguito a questo gli « iniziati » di Sion ritornarono tutti in Francia, presumibilmente a Orléans. Logicamente, l'affermazione è piuttosto plausibile. Quando Gerusalemme cadde, è ovvio che cadde anche l'abbazia sul Monte Sion. Non è affatto sorprendente che gli abitanti dell'abbazia, privati della loro base in Terrasanta, cercassero rifugio in Francia dove esisteva già una base nuova.
Gli avvenimenti del 1187 - il « tradimento » di Gerard de Ridefort e la perdita di Gerusalemme - causarono, a quanto sembra, un disastroso dissidio fra l'Ordine di Sion e l'Ordine del Tempio. Non si sa con esattezza perché avvenisse; ma secondo i Dossiers segreti l'anno successivo segnò una svolta decisiva nel destino di entrambi gli ordini. Nel 1188 sarebbe avvenuta la separazione ufficiale tra le due istituzioni. L'Ordine di Sion, che aveva creato i Templari, decise di disinteressarsi dei suoi celebri protetti. Il « padre », in altre parole, rinnegava ufficialmente il « figlio ». Si dice che la rottura venisse commemorata in un rito o in una cerimonia. Nei Dossiers e in altri « documenti del Priorato », viene chiamato « il taglio dell'olmo », e avvenne a Gisors. I resoconti sono oscuri e ingarbugliati, ma la storia e la tradizione confermano che nel 1188 accadde a Gisors qualcosa di estremamente strano, qualcosa che comportò l'abbattimento di un olmo. Nei terreni adiacenti alla fortezza c'era un prato chiamato Champ Sacre (Campo Sacro). Secondo i cronisti medievali, il luogo era considerato sacro fin dai tempi precristiani, e nel secolo XII era stato teatro di numerosi incontri fra i re d'Inghilterra e di Francia. Al centro del Campo Sacro sorgeva un antico olmo. E nel 1188, durante un incontro fra Enrico II d'Inghilterra e Filippo II di Francia, per una ragione ignota l'olmo divenne l'oggetto di una contesa grave, anzi sanguinosa. Secondo una versione, l'olmo offriva l'unica ombra in tutto il Campo Sacro. Si diceva che avesse più di ottocento anni, e che fosse tanto grande che nove uomini, tenendosi per mano, riuscivano a malapena ad abbracciarne il tronco. Sembra che Enrico II e il suo seguito si riparassero all'ombra dell'albero, lasciando sotto il sole spietato il sovrano francese, sopraggiunto più tardi. Al terzo giorno dei negoziati, i nervi dei Francesi erano saltati a causa del caldo; gli armigeri si scambiarono insulti e dalle file dei mercenari gallesi di Enrico II partì una freccia. Il gesto provocò un attacco in piena regola da parte dei Francesi, molto più numerosi degli Inglesi. Questi ultimi si rifugiarono tra le mura di Gisors, mentre i Francesi, esasperati, abbattevano l'olmo. Filippo II rientrò infuriato a Parigi in tutta fretta, dichiarando che non era andato a Gisors per fare il taglialegna. L'episodio ha una semplicità e una bizzarria tipicamente medievali, e si limita a una narrazione superficiale, ma nel contempo lascia trasparire fra le righe qualcosa di più importante: spiegazioni e motivazioni che rimangono inesplorate. In se stesso, l'episodio sembrerebbe quasi assurdo, assurdo e forse apocrifo quanto, ad esempio, lo sono le storie associate alla fondazione dell'Ordine della Giarrettiera. Tuttavia altri resoconti confermano l'avvenimento, anche se non i suoi dettagli specifici. Secondo un'altra cronaca, sembra che Filippo avesse informato Enrico della sua intenzione di abbattere l'albero. Enrico reagì rinforzando il tronco dell'olmo con fasce di ferro. L'indomani i Francesi si armarono e formarono una falange di cinque squadroni, comandati da altrettanti nobili illustri, che avanzarono verso l'olmo, accompagnati da frombolieri, nonché dai carpentieri che brandivano scuri e martelli. Seguì uno scontro, al quale prese parte Riccardo Cuor di Leone, figlio maggiore ed erede di Enrico II, che cercò di difendere l'olmo con grande spargimento di sangue. Alla fine della giornata, comunque, i Francesi erano padroni del campo; e l'albero fu abbattuto. Questa seconda versione indica qualcosa di più di una meschina ripicca o di una scaramuccia. Indica una battaglia in piena regola che coinvolse un gran numero di combattenti e presumibilmente costò perdite rilevanti. Tuttavia nessuna biografia di Riccardo attribuisce molta importanza all'episodio, e tanto meno l'approfondisce. Ancora una volta, comunque, i « documenti del Priorato » trovavano conferma nella storia documentata e nella tradizione; se non altro, è certo che nel 1188 a Gisors ebbe luogo una strana disputa che comportò l'abbattimento di un olmo. Non ci sono conferme « esterne » che questo avvenimento fosse in qualche modo collegato ai Templari o all'Ordine di Sion. D'altra parte, le versioni dell'episodio giunte fino a noi sono troppo vaghe, troppo succinte, troppo incomprensibili e contraddittorie per venire accettate come definitive. È estremamente probabile che fossero presenti alcuni Templari: Riccardo I era spesso accompagnato da Cavalieri dell'Ordine, e inoltre Gisors, trent'anni prima, era stata affidata al Tempio. In base alle prove esistenti è senza dubbio possibile, se non probabile, che il taglio dell'olmo riguardasse qualcosa di più o qualcosa di diverso rispetto a ciò che rivelano le versioni tramandate ai posteri. Anzi, data la stranezza dei resoconti pervenuti fino a noi, non sarebbe sorprendente se si fosse trattato di qualcosa d'altro, qualcosa su cui si preferì sorvolare, o che forse non venne mai reso di dominio pubblico: insomma, qualcosa di cui le versioni oggi esistenti formano una sorta di allegoria, nella quale viene contemporaneamente accennato e nascosto un avvenimento molto più importante.
Nei Dossiers segreti sono elencati i seguenti personaggi che, in ordine cronologico, hanno portato il titolo di Gran maestro del Priorato di Sion o più esattamente, per usare il termine ufficiale, il titolo di « Nautonnier », una vecchia parola francese che significa « navigatore », « timoniere » o « nocchiero »:
Jean de Gisors 1188-1220
Marie de Gisors 1220-1266
Guillaume de Gisors 1266-1307
Edouard de Bar 1307-1336
Jeanne de Bar 1336-1351
Jean de Saint-Clair 1351-1366
Blanche d'Evreux 1366-1398
Nicolas Flamel 1398-1418
René d'Anjou 1418-1480
Iolande de Bar 1480-1483
Sandro Filipepi 1483-1510
Léonard de Vinci 1510-1519
Connétable de Bourbon 1519-1527
Ferdinand de Gonzague 1527-1575
Louis de Nevers 1575-1595
Robert Fludd 1595-1637
J. Valentin Andrea 1637-1654
Robert Boyle 1654-1691
Isaac Newton 1691-1727
Charles Radclyffe 1727-1746
Charles de Lorraine 1746-1780
Maximilien de Lorraine 1780-1801
Charles Nodier 1801-1844
Victor Hugo 1844-1885
Claude Debussy 1885-1918
Jean Cocteau 1918-?.
Da "Il Santo Graal" di Michael Baigent, Richard Leigh, Henri Lincoln - 1982 Arnoldo Mondadori Editore.

Salah ad Din Jusuf ibn Ajub,
il Saladino.
Nel 1.189 - Inizia la Terza Crociata (1.189-1.192), detta anche la "crociata dei Re", un tentativo, da parte di vari sovrani europei, di strappare Gerusalemme e quanto perduto della Terrasanta al Saladino. Saladino, in arabo Ṣalāḥ al-Dīn al-Ayyūbi e in turco Selahaddin Eyyubi (Tikrit, 1.137 / 1.138 - Damasco, 3 / 4 marzo 1.193), è stato un Sultano d'Egitto e Siria e Hijaz, dal 1.174 alla sua morte, col laqab di al-Malik al-Nāṣir ("il sovrano vittorioso"). Ha fondato la dinastia degli Ayyubidi ed è annoverato tra i più grandi strateghi di tutti i tempi. Musulmano sunnita di origine curda, Saladino ha rappresentato l'opposizione musulmana alle crociate europee nel Levante. Al culmine del suo potere, il suo sultanato incluse Egitto, Siria, Mesopotamia, Hijaz, Yemen e altre parti del Nordafrica. Gli antefatti dalla fine della seconda crociata: Norandino si era assicurato il controllo di Damasco e aveva unificato la Siria. Nur ed-Din, Nur ad-Din o Nureddin ma certo ancor più noto nelle cronache latine col nome di Norandino (Nūr al-Dīn Zangī in arabo; 11 febbraio 1.118 - Damasco, 15 maggio 1.174), è stato un condottiero turco appartenne alla dinastia zengide che governò la Siria dal 1.146 al 1.174. Desideroso di espandere i propri territori, Norandino aveva esteso le sue mire all'Egitto, dominato dalla dinastia dei Fatimidi. Nel 1.163 il curdo Shirkuh, uno dei generali più fedeli a Norandino, diede inizio ad una campagna militare lungo il Nilo. Al seguito del generale vi era anche il giovane nipote, Saladino. Minacciato dalle truppe di Shīrkūh, accampate alle porte del Cairo, il visir fatimide Shawar chiamò il re di Gerusalemme Amalrico I in suo soccorso. Amalrico inviò dunque un esercito in Egitto e sfidò Shīrkūh a Bilbeys nel 1.164.
Stemma del Regno
cristiano di
Gerusalemme.
Nel tentativo di distogliere l'attenzione dei crociati dall'Egitto, Norandino attaccò il Principato di Antiochia, massacrando molti soldati cristiani e catturando numerosi condottieri crociati, fra cui il principe di Antiochia Rinaldo di Chatillon. Norandino mandò poi gli scalpi dei cristiani uccisi a Shirkuh in Egitto affinché li mostrasse ai soldati di Amalrico. Tali eventi spinsero sia Amalrico che Shirkuh a condurre i loro eserciti fuori dall'Egitto. Nel 1.167, Norandino mandò nuovamente Shirkuh a conquistare l'Egitto. Ancora una volta, Shawar chiamò Amalrico in suo soccorso. Le forze cristiane ed egiziane riuscirono a fermare Shīrkūh, costringendolo a ritirarsi verso Alessandria. Amalrico decise in seguito di rompere l'alleanza con Shawar e di scagliarsi a sua volta contro l'Egitto, ponendo Bilbeys sotto assedio. Fu così che Shawar si rivolse al suo vecchio nemico Norandino per difendersi dal tradimento di Amalrico. Non disponendo di forze sufficienti per tenere a lungo Il Cairo sotto assedio, Amalrico decise infine di ritirarsi. Nel frattempo, la nuova alleanza aveva permesso a Norandino di estendere il proprio controllo a tutto il Nord della cosiddetta Mezzaluna Fertile e a porre una pesante ipoteca sull'Egitto. Shawar venne condannato a morte per la sua alleanza con i cristiani, mentre Shīrkūh gli succedette in qualità di visir dell'Egitto. Nel 1.169 Shīrkūh morì dopo solo alcune settimane di governo e a succedergli fu il nipote Saladino. Norandino morì nel 1.174, lasciando il suo impero al figlio undicenne al-Salih Isma'il e dopo alterne vicende l'unico uomo che si dimostrò in grado di condurre il jihad contro i Crociati fu Saladino, che controllava l'Egitto e gran parte della Siria, dando inizio alla dinastia degli Ayyubidi (dal nome del padre, Ayyub). Anche Amalrico morì nel 1.174, lasciando il trono di Gerusalemme al figlio tredicenne Baldovino IV, il quale concluse un accordo con Saladino per consentire il libero scambio commerciale tra i territori dei musulmani e quelli dei cristiani. Baldovino IV di Gerusalemme, detto il re lebbroso (Gerusalemme, 1.161 - Gerusalemme, 16 marzo 1.185), è stato re di Gerusalemme dal 1.174 alla morte. Figlio di Amalrico I di Gerusalemme e Agnese di Courtenay, Baldovino trascorse la giovinezza alla corte del padre, a Gerusalemme, ed ebbe pochi contatti con la madre, titolare della Contea di Giaffa e Ascalona e più tardi Signora di Sidone. La coppia era stata costretta ad annullare il matrimonio nel 1.164 a causa di un vizio di consanguineità sollevato dalla Chiesa e avallato dai nobili ostili ad Agnese. Amalrico ottenne comunque il riconoscimento della legittimità dei figli nati da quell'unione (Baldovino e la sorella maggiore Sibilla) che furono dichiarati suoi eredi diretti. L'educazione di Baldovino IV fu affidata a Guglielmo di Tiro, che poi divenne anche Arcivescovo di Tiro e cancelliere del Regno. Fu proprio Guglielmo a notare per primo, durante l'infanzia di Baldovino, che il giovane principe non sentiva dolore quando gli si pizzicava il braccio destro. In un primo tempo pensò ad un'accentuata capacità di resistenza al dolore, poi condusse alcuni esami e scoprì che il braccio e la mano destra erano in parte paralizzati. Solo nell'età della pubertà fu possibile effettuare la diagnosi di lebbra, e in quegli anni il decorso della malattia subì un'impressionante accelerazione, degenerando nella forma lepromatosa, la più devastante. Nel 1.176, il principe di Antiochia Rinaldo di Châtillon, liberato dalla sua prigionia, cominciò ad assaltare le carovane che transitavano nella regione della Buqā'ya e, in particolare, una di pellegrini che si recavano a Mecca per il hajj. Rinaldo estese la sua attività corsara fino al Mar Morto, con le sue galee che rendevano estremamente rischiosa la navigazione ai musulmani che si recavano alla Città Santa dell'Islam. Le violenze perpetrate contro gli inermi pellegrini suscitò un vivo odio in tutto il mondo musulmano nei confronti di Rinaldo. Baldovino IV morì nel 1.185 e il trono passò a Baldovino V che al tempo aveva solo cinque anni: la reggenza fu dunque tenuta da Raimondo III di Tripoli, il bisnipote di Raimondo IV di Tolosa (Raimondo di Saint-Gilles della prima crociata) che succedette a suo padre Raimondo II di Tripoli dopo che costui era stato ucciso dalla setta dei al-Hašīšiyyūn nel 1.152, quando Raimondo aveva solo dodici anni. Sua madre, la principessa Hodierna di Tripoli, figlia del re di Gerusalemme Baldovino II, governò come reggente fino a quando Raimondo non compì quindici anni. In seguito venne anche conosciuto con il nome di Raimondo il Giovane per distinguerlo da suo padre. Nel 1.186 Baldovino V morì e la Principessa Sibilla di Gerusalemme (sorella di Baldovino IV e madre di Baldovino V) incoronò sé stessa regina e nominò re il suo nuovo marito Guido di Lusignano. Fu proprio in questo periodo che Rinaldo diede l'assalto ad un'altra ricca carovana, facendo prigionieri i suoi componenti. Saladino intimò quindi che i prigionieri venissero liberati e che il carico fosse restituito. Il nuovo re Guido chiese a Rinaldo di rilasciare i prigionieri, ma la richiesta del sovrano rimase inascoltata. Fu proprio il rifiuto di Rinaldo di Châtillon a dare al Saladino la possibilità di attaccare la città di Tiberiade nel 1.187. Il re Guido decise quindi di marciare con il suo esercito fino ai Corni di Hattīn, nei pressi della città di Tiberiade. L'esercito crociato, vinto dalla sete e demoralizzato, venne massacrato nella battaglia tenutasi nei pressi della città. Guido e Rinaldo, fatti prigionieri, vennero condotti nella tenda del Saladino, dove a Guido venne offerto un calice contenente acqua o, secondo altre fonti, un sorbetto fatto con le nevi del monte Hermon. Ciò stava a significare che Guido era sotto la protezione del Saladino ma Rinaldo, sfinito dalla sete, afferrò impulsivamente il calice di Guido e bevve. Saladino reagì istantaneamente mozzando con la sua stessa spada la testa di Rinaldo, affermando subito dopo di aver in tal modo assolto a un solenne voto da lui fatto subito dopo l'assalto operato dal principe, in un periodo tra l'altro di tregua concordata, ai danni di una carovana di pii musulmani diretti ai riti del pellegrinaggio (hajj) alla Mecca. Guido, invece, fu inviato a Damasco e fu poi riscattato dal suo popolo. Fu così che, entro la fine dell'anno, Saladino prese San Giovanni d'Acri e Gerusalemme. Secondo la tradizione, papa Urbano III morì il 20 ottobre 1.187 alla notizia di questi avvenimenti, dopo però aver scritto l'enciclica Audita tremendi. Il nuovo papa, Gregorio VIII, disse che la caduta di Gerusalemme era da considerare come il castigo di Dio per i peccati dei cristiani in Europa. Si decise dunque di preparare una nuova crociata. A Gisors il 22 gennaio 1.188 il re di Francia Filippo Augusto e il re Enrico II di Inghilterra con Filippo di Fiandra decidono di partire per la crociata; per tale motivo impongono nei loro territori una nuova tassa, detta la decima del Saladino per finanziarla. Anche l'ormai vecchio imperatore Federico Barbarossa decise di rispondere immediatamente all'appello del papa. Egli ricevette la croce nella cattedrale di Magonza il 27 marzo 1.188 e fu il primo a partire nel maggio 1.189 alla volta della Terrasanta, accompagnato da Federico duca di Svevia, suo figlio secondogenito, e da molti vassalli. Federico era riuscito a radunare un esercito così numeroso (valutato in 15.000 uomini, di cui 3.000 cavalieri) che non gli fu possibile trasportarlo via mare, vedendosi perciò costretto ad attraversare l'Asia Minore, passando per l'Ungheria e i Balcani. L'esercito tedesco attraversò il territorio ungherese senza particolari problemi ed il 23 giugno 1.189 entrò nel territorio bizantino, dopo aver superato il Danubio nei pressi di Belgrado. La regione era solo nominalmente sotto il controllo bizantino, ma nella realtà bande di banditi serbi e bulgari dettavano la loro legge. Quando alcune bande attaccarono alcune pattuglie tedesche, che si erano staccate per cercare rifornimenti, i capi tedeschi se la presero direttamente con i bizantini per la mancata protezione. L'imperatore bizantino Isacco II Angelo stipulò un'alleanza segreta col Saladino, in base alla quale egli avrebbe dovuto impedire il passaggio del Barbarossa, ottenendo in cambio la sicurezza del suo impero. A quel punto Federico pensò addirittura di attaccare direttamente Costantinopoli e chiese aiuto alle repubbliche marinare italiane, ma alla fine l'imperatore Isacco cedette e permise la traversata dei Dardanelli. Il 1º marzo 1.190 i crociati lasciarono Adrianopoli, dopo essersi fermati per ben quattordici settimane, e raggiunsero Gallipoli il 22 dello stesso mese, questa volta senza particolari incidenti. Federico pretese ed ottenne che l'esercito fosse fatto passare con due sole traversate, temendo brutte sorprese da parte bizantina se in Asia si fossero trovati piccoli gruppi isolati. Inoltratosi in Anatolia, il Barbarossa proseguì per Filadelfia (l'attuale città turca di Alaşehir), al tempo la principale città dell'Asia sotto controllo bizantino. Il governatore consigliò i tedeschi di accamparsi lontano dalle mura, visto l'ostilità degli abitanti nei loro confronti: gli abitanti, visti i precedenti, si rifiutarono di commerciare con i crociati ed addirittura catturarono alcune pattuglie isolate, che erano in cerca di rifornimenti. Il giorno seguente Federico inviò in città un ambasciatore per chiedere conto del comportamento; il governatore incolpò pochi sconsiderati e chiese misericordia per una città che si trovava sul confine tra cristianità ed Islam, rendendo liberi i prigionieri. Senza dubbio i bizantini erano timorosi della reazione dell'imperatore germanico, anche perché in contemporanea alcuni reparti tedeschi stavano già assaltando le mura cittadine. Questa volta Federico fu comprensivo ed accettò le scuse, anche perché desideroso di entrare quanto prima in territorio nemico. Il 18 maggio 1.190 l'esercito tedesco sbaragliò i turchi presso Konya (Battaglia di Iconium). Tuttavia, il 10 giugno 1.190 Federico morì annegato, cadendo da cavallo mentre attraversava il fiume Saleph. Suo figlio Federico VI di Svevia condusse l'esercito verso il Principato di Antiochia, dove il corpo del Barbarossa fu sepolto nella chiesa di San Pietro. Fu proprio ad Antiochia che gran parte di quel che rimaneva dell'esercito tedesco si disperse. Molti rinunciarono e tornarono in patria, altri furono colpiti da varie malattie, altri ancora, sotto il comando di Federico di Slavonia, arrivarono ad Acri e si unirono alle avanguardie francesi di Enrico di Champagne e normanne di Guglielmo di Sicilia. Tutte queste forze si unirono poi a quelle di Guido di Lusignano, che già da alcuni mesi stava assediando la città di Acri.
Riccardo I Cuor di
Leone.
Il re Enrico II di Inghilterra morì il 6 luglio 1.189, da poco sconfitto in battaglia da suo figlio Riccardo I e da Filippo III. Riccardo ereditò la corona e subito cominciò a raccogliere fondi per finanziare la crociata. Riccardo I d'Inghilterra, noto anche con il nome di Riccardo Cuor di Leone (Richard Cœur de Lion in francese e Richard the Lionheart in inglese, Oxford, 8 settembre 1.157 - Châlus, 6 aprile 1.199), fu re d'Inghilterra, duca di Normandia, conte del Maine, d'Angiò e di Turenna, duca d'Aquitania e Guascogna e conte di Poitiers dal 1.189 fino alla sua morte. Era il terzo dei cinque figli maschi del re d'Inghilterra, duca di Normandia, conte del Maine, d'Angiò e di Turenna, Enrico II d'Inghilterra, e della duchessa d'Aquitania e Guascogna e contessa di Poitiers, Eleonora d'Aquitania. Venne considerato un eroe ai suoi tempi e come tale fu descritto successivamente in molte opere letterarie. Riccardo era, per parte di madre, il fratellastro minore di Maria di Champagne e di Alice di Francia. Era anche il fratello minore di Guglielmo, Conte di Poitiers, di Enrico e di Matilda d'Inghilterra, e il fratello maggiore di Goffredo II, Duca di Bretagna, di Leonora d'Aquitania, di Giovanna d'Inghilterra e di Giovanni d'Inghilterra. Era il figlio favorito della madre Eleonora, Duchessa d'Aquitania, e nonostante fosse nato nel palazzo reale di Beaumont ad Oxford, considerava la Francia come sua patria ed egli in fondo si sentì sempre un francese. Quando i suoi genitori si separarono, rimase con la madre e venne investito del ducato di Aquitania nel 1.168 e della contea di Poitiers nel 1.172. In realtà era un premio di consolazione per il fatto che suo fratello più anziano, il secondogenito, Enrico il Giovane, era stato designato dal padre come successore alla corona. Nel luglio del 1.190 riuscì a salpare da Marsiglia alla volta della Sicilia. A governare in Sicilia era Tancredi, che era succeduto al defunto Guglielmo II l'anno precedente. Tancredi fece prigioniera Giovanna d'Inghilterra, moglie di Guglielmo II e sorella di Riccardo. Tuttavia, Riccardo prese la città di Messina il 4 ottobre 1.190, ottenendo la liberazione di Giovanna. Poco dopo aver lasciato la Sicilia, la flotta di Riccardo fu messa a dura prova da una violenta tempesta: molte navi andarono perdute, mentre quella che trasportava Giovanna, sorella di Riccardo e vedova di Guglielmo II di Sicilia, e Berengaria di Navarra, promessa sposa di re Riccardo e che trasportava gran parte del tesoro accumulato per finanziare la crociata, fu costretta a trovare un approdo di fortuna nei pressi di Limassol, sull'isola di Cipro. L'isola nominalmente apparteneva all'impero bizantino, ma da cinque anni si era insediato Isacco Ducas Comneno come usurpatore; si era staccato da Costantinopoli e si atteggiava da sovrano indipendente. Isacco fece arrestare tutti i naufraghi, confiscò tutte le merci e rifiutò le richieste della regina Giovanna, che aveva richiesto di poter far sbarcare qualche uomo per approvvigionamento. Isacco, al contrario, intimò alle due nobildonne di sbarcare e di consegnarsi. Si scoprì poi che l'anti-imperatore Isacco Comneno di Cipro era riuscito ad impadronirsi del tesoro: Riccardo entrò nella città cipriota di Limassol il 6 maggio 1.191. Isacco abbandonò la città e si rifugiò nella fortezza di Famagosta, da lì si dimostrò pronto a trattare con Riccardo e promise di restituire a Riccardo le sue ricchezze e di inviare 500 dei suoi soldati in Terrasanta. Una volta tornato nella sua fortezza di Famagosta, Isacco ruppe il patto e intimò a Riccardo di lasciar l'isola. Il tradimento di Isacco scatenò la reazione di Riccardo, che nel frattempo era stato raggiunto da altri navi crociate e che in pochi giorni conquistò l'intera isola; l'operazione fu compiuta senza grandi problemi entro la fine dello stesso mese di maggio. Isacco fu catturato con la moglie e la figlia e venne portato in catene dinanzi a Riccardo Cuor di Leone, che lo portò con sé come prigioniero quando il 5 giugno salpò per la Terrasanta. Intanto, liberato dal Saladino, Guido di Lusignano tentò di assumere il controllo delle forze cristiane presso Tiro, dove però Corrado del Monferrato riuscì a conservare il suo dominio, anche grazie alla sua abilità mostrata nel difendere la città dagli assalti musulmani. Guido decise dunque di rivolgere la sua attenzione al fiorente porto di Acri, ora nelle mani del Saladino e pose dunque sotto assedio la città, ricevendo anche l'aiuto di Filippo, appena giunto dalla Francia. Le forze dei due, tuttavia, non bastavano a sconfiggere il Saladino. Riccardo raggiunse Acri l'8 giugno 1.191 e dedicò subito molta cura alla costruzione delle armi d'assedio. La città fu poi presa il 12 luglio. Tuttavia, la spartizione del bottino provocò contrasti tra Riccardo, Filippo e Leopoldo V d'Austria (quest'ultimo comandava quel che restava dell'esercito del Barbarossa). Mentre Leopoldo sosteneva che il contributo dato dai tedeschi all'assedio fosse di pari importanza a quello di inglesi e francesi, Riccardo tendeva invece a ridimensionare l'apporto fornito dai tedeschi e per giunta, Riccardo e Filippo si trovarono in disaccordo anche su chi dovesse essere l'erede al trono di Gerusalemme. Mentre Riccardo appoggiava Guido, Filippo sosteneva la causa di Corrado. Si decise infine che Guido avrebbe continuato a regnare ma che, dopo la sua morte, la corona sarebbe passata a Corrado. A causa dei contrasti con Riccardo, Filippo e Leopoldo lasciarono la Terrasanta in agosto. Il 20 agosto, quando però fu chiaro che il Saladino non avrebbe rispettato i termini del Trattato di Acri, Riccardo fece sterminare più di 3.000 prigionieri musulmani fuori dalle mura di Acri, in modo che il macabro spettacolo fosse visibile anche dall'accampamento del Saladino. Dopo la presa di Acri, re Riccardo decise di marciare verso la città di Giaffa, dalla quale avrebbe poi puntato verso Gerusalemme. Il 7 settembre 1.191 presso la località di Arsuf (30 miglia a nord di Giaffa), il Saladino attaccò Riccardo. Il Saladino tentò di attirare le forze di Riccardo per poi annientarle facilmente: tuttavia, Riccardo mantenne intatto il suo schieramento fino a quando gli Ospitalieri e i Templari piombarono rispettivamente sul fianco destro e su quello sinistro dell'esercito del Saladino: Riccardo vinse così la battaglia e distrusse il mito dell'invincibilità del condottiero musulmano. Grazie alla vittoria nella battaglia di Arsuf, Riccardo conquistò Giaffa e vi stabilì il suo quartier generale. Si offrì poi di negoziare col Saladino, il quale inviò il fratello Safedino. Le trattative, tuttavia, fallirono e Riccardo marciò su Ascalona e chiamò Corrado in suo aiuto: tuttavia Corrado, ancora adirato per l'alleanza del re inglese con Guido, rifiutò il suo aiuto. Corrado fu poi assassinato a Tiro, probabilmente per volere dello stesso Riccardo. Re Guido divenne sovrano di Cipro, mentre Enrico II di Champagne divenne il nuovo re di Gerusalemme. Nel luglio del 1.192, il Saladino, alla testa di migliaia di uomini, prese Giaffa. La città venne poi riconquistata il 31 luglio da Riccardo, il quale inflisse una nuova sconfitta al Saladino il 5 agosto. Le notizie dal suo regno, dove suo fratello Giovanni si era alleato con il re di Francia per spodestarlo, lo consigliarono ad intavolare trattative con Saladino per porre fine alla guerra. Riccardo pensò addirittura di dare in sposa sua sorella Giovanna al fratello del Saladino, ma Giovanna si oppose ferocemente. Il 21 settembre 1.192, Riccardo e il Saladino siglarono una tregua di 3 anni, 3 mesi e 3 giorni con la quale si riconosceva il dominio dei franchi sulla zona costiera tra Tiro e GiaffaGerusalemme sarebbe rimasta sotto il controllo musulmano, permettendo però ai pellegrini cristiani disarmati di visitare la città. Molti crociati colsero l'occasione per visitare subito i luoghi sacri, ma non Riccardo, a testimonianza del suo parziale fallimento. Fu così che Riccardo lasciò la Terrasanta il 9 ottobre, anche se la sua intenzione era quella di organizzare una nuova crociata quanto prima. Sulla strada di ritorno verso l'Inghilterra Riccardo venne catturato dal Duca Leopoldo d'Austria, il cui orgoglio era stato ferito quando Riccardo aveva strappato il suo vessillo dalle mura di San Giovanni d'Acri. Fu ceduto all'imperatore Enrico VI e venne poi rilasciato, dopo 15 mesi, dietro un riscatto di 150.000 marchi. Il re inglese raggiunse la patria nel 1194 dove ricondusse all'obbedienza suo fratello Giovanni d'Inghilterra. Cinque anni più tardi, nel 1.199, si recò in Francia per difendere i suoi territori in Aquitania e nel Poitiers dalla minaccia di Filippo Augusto. Durante l'assedio del castello di Châlus trovò la morte colpito dalla freccia di una balestra (6 aprile 1.199). Saladino morì poco dopo aver firmato il trattato di pace con Riccardo, stroncato da un attacco di febbre a Damasco, mentre si stava recando in pellegrinaggio a La Mecca. Il sostanziale  fallimento della Terza Crociata spinse a indire una Quarta Crociata sei anni più tardi.


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