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martedì 12 maggio 2020

Storia dell'Europa n.76: dal 1.992 al 2.003 e.v. (d.C.)

Bandiera dell'Unione Europea.
Nel 1992 - Il 7 febbraio i dodici stati della CEE firmano il Trattato di Maastricht, che istituisce l'Unione europea (abbreviata in UE o Ue), un'entità politica di carattere sovranazionale ed intergovernativo. Al trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 (entrato in vigore il 1º novembre 1993), gli stati aderenti sono giunti dopo il lungo cammino delle Comunità europee precedentemente esistenti. L'Unione consiste attualmente in una zona di libero mercato, detto mercato comune, caratterizzata, tra l'altro, da una moneta unica, l'euro, regolamentata dalla Banca centrale europea e attualmente adottata da 17 dei 27 stati membri; essa presenta inoltre un'unione doganale nata già con il trattato di Roma del 1957 ma completata fra i paesi aderenti agli accordi di Schengen, che garantiscono ai loro cittadini libertà di movimento, lavoro e investimento all'interno degli stati membri.
Carta dell'Unione Europea nel 2012
con le bandiere dei 27 Stati membri:
Belgio, Germania, Francia, Irlanda,
Italia, Paesi Bassi, Lussemburgo,
Danimarca, Regno Unito, Grecia,
Spagna, Portogallo, Austria, Svezia,
Finlandia, Repubblica Ceca, Estonia,
Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria,
Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia,
Bulgaria e Romania. Legenda degli
stati membri, i candidati e le
adesioni rifiutate.
L'Unione presenta, inoltre, una politica agricola comune, una politica commerciale comune e una politica comune della pesca. L'Unione europea non è una semplice organizzazione intergovernativa (come le Nazioni Unite) né una federazione di Stati (come gli Stati Uniti d'America), ma un organismo sui generis (di un genere suo proprio), alle cui istituzioni gli stati membri delegano parte della propria sovranità nazionale. Le sue competenze spaziano dagli affari esteri alla difesa, alle politiche economiche, all'agricoltura, al commercio e alla protezione ambientale. In alcuni di questi campi le funzioni dell'Unione europea la rendono simile a una federazione di stati (per esempio, per quanto riguarda gli affari monetari o le politiche ambientali); in altri settori, invece, l'Unione è più vicina ad una confederazione (per esempio, per quanto riguarda gli affari interni) o a un'organizzazione internazionale (come per la politica estera). Gli organi principali dell'Unione comprendono:
- il Consiglio (denominazione che ha sostituito quella di Consiglio dei Ministri da parte del Trattato di Maastricht),
- la Commissione,
- la Corte di Giustizia,
- il Parlamento,
- il Consiglio europeo e
- la Banca centrale europea.
L'istituzione dell'Europarlamento risale al 1950 e dal 1979 i suoi membri sono democraticamente eletti, in tutti i territori dell'Unione, a suffragio universale, per una durata in carica di cinque anni.  
L'UE è considerata una potenza leader in un mondo multipolare.

Carta con l'Albania e le sue città.
- Elezioni generali in Albania, vinte dal nuovo partito democratico con il 62% dei voti. 

Nel 1993 - Il 1º gennaio, tre anni dopo la Rivoluzione di velluto, si verifica la scissione della Cecoslovacchia. La Cecoslovacchia è esistita dal 1918 al 1992 (eccetto che dal marzo 1939 sino al termine della seconda guerra mondiale), quando si è divisa in due Stati distinti dopo il crollo dell'Unione Sovietica: la Repubblica Ceca e la Slovacchia. La separazione è stata incruenta.
Repubblica Ceca o Cechia.
- La Repubblica Ceca, la cui capitale è Praga, è formata storicamente da tre grandi regioni: Boemia (ovest), Moravia (est) e Slesia (a nord nord-est, divisa con la Polonia). Il paese conta oggi poco più di 10 milioni di abitanti, con una densità media di 132 ab./km². La distribuzione della popolazione è ineguale, dato che in Boemia vi è un forte accentramento urbano: si passa da aree densamente abitate ad altre che hanno caratteristiche molto più rurali nelle regioni montuose, le quali hanno naturalmente una bassa densità abitativa a causa del territorio. Gli abitanti della Repubblica Ceca sono suddivisi in due gruppi etnici, che provengono dal medesimo ceppo slavo: i boemi, che rappresentano la maggioranza della popolazione, e i moravi, che rappresentano poco più del 30% e abitano nell'omonima regione. Sono modeste le minoranze: slovacche (poco meno del 2%), ungheresi, polacche e tedesche. Fino alla seconda guerra mondiale nei Sudeti abitavano 3 milioni di tedeschi (su 10 milioni di abitanti); finita la guerra, a causa del forte risentimento antitedesco, i tedeschi furono espulsi.
Seguono le percentuali dei dati del censimento del 2011: Cechi (Boemi e Moravi) 68,6%, Slovacchi 1,4%, Ucraini 0,5%, Polacchi 0,4%, Tedeschi 0,3%, Russi 0,2%, Ungheresi 0,1%, altri (rom, ruteni, rumeni, serbi,  croati, ed altri) 26%. La Repubblica Ceca è abitata da una delle popolazioni meno religiose di tutta Europa. Secondo il censimento del 2001, il 59% della popolazione è atea, il 26,8% è cattolico, il 2,5% è protestante (Hussiti 1%, Fratelli Boemi 1,2%, Chiesa evangelica salesiana di confessione augustana 0,1%), lo 0,2% ortodosso. L'8,8% non ha risposto al censimento. Secondo un più recente sondaggio, effettuato da Eurobarometro nel 2005, il 19% dei cittadini cechi crede che ci sia un Dio (il secondo risultato più basso tra i paesi dell'Unione Europea dopo l'Estonia con il 16%), mentre il 50% crede che ci sia qualche tipo di spirito o forza vitale e il 30% non crede che ci sia alcun tipo di spirito, Dio o forza vitale.
Repubblica Slovacca o Slovacchia.
- La Slovacchia ha come capitale Bratislava. La popolazione slovacca è di oltre 5.000.000 di abitanti,che si addensano nelle aree urbane per il 58,5%. La popolazione è composta in prevalenza da slovacchi (80,7% del totale). La principale minoranza del paese è rappresentata dagli ungheresi (8,5%), che abitano soprattutto le regioni meridionali e orientali. Vi sono poi rom, cechi, ruteni, ucraini, tedeschi e polacchi. Stando all'ultimo censimento, i rom sono il 2,0% della popolazione; tuttavia, sulla base di interviste a sindaci e altri rappresentanti degli enti locali, sarebbero il 5,6% (il che contrasterebbe con le stime secondo cui slovacchi e ungheresi insieme compongono il 96% della popolazione). Seguono le percentuali dei dati del censimento del 2011: Slovacchi 80,7%, Ungheresi 8,5%, Rom 2,0%, Cechi 0,6%, Ruteni 0,6%, Ucraini 0,1%, altri (Croati, Tedeschi, Polacchi, Serbi, Ebrei, altri) 7,5%. La Costituzione slovacca garantisce la libertà religiosa. Il 68,9% degli slovacchi si dichiara cattolico di rito romano, il 12,96% ateo, il 6,93% luterano, il 4,1% cattolico di rito bizantino, il 2,0% calvinista, lo 0,9% ortodosso, mentre il restante 1,1% professa altre religioni. Un tempo la comunità ebraica era molto numerosa (120.000 persone prima della seconda guerra mondiale), oggi restano solo 2.300 ebrei.

- L'1 novembre entra in vigore il trattato di Maastricht firmato il 7 febbraio 1992.

Carta geografica dell'Europa
con i nomi in Inglese.
Nel 1995 - Il 26 marzo in Francia, Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo), Germania, Spagna e Portogallo entrano in vigore gli accordi di Schengen. Si può definire la convenzione di Schengen come una cooperazione rafforzata all'interno dell'Unione europea. L'accordo fu firmato a Schengen il 14 giugno 1985 fra il Belgio, la Francia, la Germania, il Lussemburgo e i Paesi Bassi con il quale si intendeva eliminare progressivamente i controlli alle frontiere comuni e introdurre un regime di libera circolazione per i cittadini degli Stati firmatari, degli altri Stati membri della Comunità o di paesi terzi. La convenzione di Schengen completa l'accordo e definisce le condizioni di applicazione e le garanzie inerenti all'attuazione della libera circolazione, firmata il 19 giugno 1990 dagli stessi cinque Stati membri e successivamente entrata in vigore solo nel 1995. Sia l'accordo e sia la convenzione di Schengen con tutte le regole adottate sulla base dei due testi e gli accordi connessi formano "l'acquis di Schengen". Dal 1999, l'acquis di Schengen è integrato nel quadro istituzionale e giuridico dell'Unione europea in virtù di un protocollo allegato al trattato di Amsterdam. Gli accordi di Schengen sono stati estesi nel tempo agli altri Stati membri: l'Italia ha firmato gli accordi nel 1990, la Spagna e il Portogallo nel 1991, la Grecia nel 1992, l'Austria nel 1995 e la Finlandia, la Svezia e la Danimarca (attraverso un adattamento dello statuto particolare) nel 1996. L'Irlanda e il Regno Unito partecipano, dal canto loro, solo parzialmente all'acquis di Schengen, in quanto sono stati mantenuti i controlli alle loro frontiere. Per quanto riguarda l'eliminazione dei controlli alle frontiere degli Stati dell'Ue che hanno aderito all'acquis di Schengen devono attendere la decisione del Consiglio dell'Unione europea. Anche due paesi terzi, l'Islanda e la Norvegia, fanno parte dello spazio di Schengen dal 1996. La loro partecipazione al processo decisionale è tuttavia limitata. La Svizzera ha aderito per le frontiere di terra il 12 dicembre 2008. Il Liechtenstein ha aderito il 19 dicembre 2011.

Nel 1996 - In Albania, nelle elezioni generali del giugno 1996, il partito democratico ha provato ad avere una maggioranza assoluta maneggiando i risultati e ottenendo così più dell' 85% .

Carta con Albania e Kosovo,
parte fondante della Serbia.
Nel 1997- In Albania, un'epidemia di schemi piramidali ha scioccato l'economia dell'intero paese. L'anarchia è prevalsa e molte città sono state controllate dalla milizia e dai cittadini. Il governo si è dimesso ed è sorto un governo di unità nazionale. In risposta all'anarchia, il partito socialista ha vinto le elezioni del 1997 e Berisha si è dimesso.

Nel 1998 - La repressione serba in Kosovo ha condotto all'insurrezione del 1998-1999, con l'avvallo dell'Ue e l'intervento della NATO, motivato dall'impegno di arrestare la pulizia etnica degli albanesi in Kosovo da parte delle forze serbe. L'Albania è stata sommersa da rifugiati dal Kosovo nel 1998 e nel 1999 durante la guerra che ha reso autonoma la regione.

Cartina fisica del continente
Europa con i nomi in Italiano.
Nel 1999 - Il 1° gennaio entra in vigore l'euro
La regola aurea per entrare nella moneta unica europea, è che il deficit pubblico non superi il 3% del Pil. Con il primo governo Prodi, l'Italia riuscirà a rispettare questa regola (con grandi sacrifici sociali) e a rientrare quindi nell'area dell'euro.

- Sotto la presidenza Clinton l'amministrazione democratica interruppe nel 1999 la separazione del sistema bancario (abrogando il Glass-Steagall Act, attraverso il Gramm-Leach-Billey Act) tra attività bancaria commerciale e d'investimento (investment banking), legittimando la nascita di grandi conglomerati finanziari (Merrill Lynch, Bear Sterns, Lehman Brothers, Goldman Sachs e Morgan Stanley) e favorendo negli anni successivi la deregolamentazione del trading dei derivati e dei Credit default swap (CDS) (in particolare attraverso il Commodity futures modernization act), e il ricorso alla cartolarizzazione dei titoli obbligazionari. 
Questi fenomeni di deregolamentazione si accompagnavano a eventi che preparavano una vera rivoluzione in senso finanziario dell'economia.
- La crescita dei commerci internazionali,
- la mondializzazione dei flussi finanziari,
- l'avvento di una industria proiettata nel post-fordismo (il superamento del modello produttivo fordista-taylorista fondato sulla grande impresa, sull'organizzazione del lavoro e sulla catena di montaggio, sostituito dalle industrie fondate sui distretti e sulle reti produttive, sulla "ri-specializzazione" del lavoro e sul know-how),
- la teoria del just in time,
- la velocizzazione dei flussi informativi, monetari e informatici,
- il decentramento della produzione, 
la flessibilità del lavoro,
aprirono una fase "post-industriale" in cui gli investimenti di natura finanziaria, oltre ad apparire spesso preferibili rispetto a quelli produttivi, acquisivano importanza crescente non solo in relazione alla funzione stessa della produzione e del capitalismo classico, ma anche con riferimento a quella degli
Stati nazione (che apparivano vulnerabili di fronte alla rapidità, alla natura e alla dimensione dei movimenti finanziari, spesso diretti a colpire con finalità puramente speculative direttamente i debiti sovrani) e
- dei soggetti risparmiatori
- e lavoratori.

Carta politica del continente Europa
nel 2012 con i nomi in Italiano.
- Il 1° maggio entra in vigore il Trattato di Amsterdam. Il Trattato di Amsterdam è uno dei trattati fondamentali dell'Unione europea ed è il primo tentativo di riformare le istituzioni europee in vista dell'allargamento. Venne firmato il 2 ottobre 1997 dagli allora 15 paesi dell'Unione Europea ed è entrato in vigore il 1º maggio 1999. All'interno del Trattato di Maastricht esisteva già una disposizione che invitava gli stati membri a convocare una Conferenza intergovernativa (CIG) per la sua revisione. Nel 1995 ciascuna istituzione presenta le proprie riflessioni e chiede di "andare oltre Maastricht": una relazione in tal senso viene presentata al Consiglio europeo di Madrid del dicembre 1995. I paesi membri sono consapevoli della necessità di approfondire l'integrazione, soprattutto nei due nuovi "pilastri" introdotti appunto con il Trattato che ha visto nascere l'UE. La CIG si apre al Consiglio europeo di Torino del 29 marzo 1996 e si conclude al Consiglio europeo informale di Noordwijk del 23 maggio 1997. Il Trattato firmato ad Amsterdam contiene innovazioni che vanno nella direzione di rafforzare l'unione politica, con nuove disposizioni nelle politiche di Libertà, sicurezza e giustizia, compresa la nascita della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, oltre all'integrazione di Schengen. Altre disposizioni chiarificano l'assetto della Politica estera e di sicurezza comune, con la quasi-integrazione dell'UEO, mentre viene data una rinfrescata (insufficiente) al sistema istituzionale, in vista dell'adesione dei nuovi membri dell'est. Proprio l'insoddisfazione alle modifiche istituzionali, spinse i capi di stato e di governo a prospettare subito un'ulteriore modifica del sistema istituzionale "prima che l'Unione conti venti membri".
Il Trattato di Amsterdam è caratterizzato da:
- rinumerazione degli articoli dei trattati comunitari;
- formalizzazione e regolamentazione della cosiddetta "cooperazione rafforzata";
- incorporamento degli Accordi di Schengen nel cosiddetto "primo pilastro";
- la dichiarazione che l'UEO "è parte integrante del processo di integrazione europea" (comma poi soppresso con il trattato di Nizza)
introduzione dell'occupazione nel "primo pilastro";
- inserimento dell'"Accordo Sociale" (firmato da 14 paesi) nel "primo pilastro".
L'Unione europea occidentale o UEO era un'organizzazione internazionale regionale di sicurezza militare e cooperazione politica ed è nata con il trattato di Bruxelles del 17 marzo 1948, modificato il 23 ottobre 1954. La struttura dell'UEO prevedeva un segretariato generale, un consiglio dei ministri, un'assemblea consultiva e in un'agenzia di controllo degli armamenti, con funzione di controllo sulla produzione delle armi negli Stati membri. Il testo del Trattato sottoscritto ad Amsterdam si compone di 15 articoli, 13 protocolli, 51 dichiarazioni comuni relative alle disposizioni dei Trattati e dei Protocolli ed 8 dichiarazioni di alcuni degli stati firmatari.

Nel 2000 - Il 1° gennaio gli accordi di Schengen entrano in vigore anche per la Grecia e il 25 marzo anche per Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia.

- Il 19 aprile il Regno Unito e la Spagna firmano un accordo che estende la cittadinanza dell'Unione a Gibilterra, che diventa il primo territorio esterno del Regno Unito ad entrare nei confini dell'UE.

- L'11dicembre i quindici stati membri firmano il Trattato di Nizza, uno dei trattati fondamentali dell'Unione europea che riguarda le riforme istituzionali da attuare in vista dell'adesione di altri Stati. Il trattato di Nizza ha modificato il Trattato di Maastricht e i Trattati di Roma. È stato approvato al Consiglio europeo di Nizza, l'11 dicembre 2000 e firmato il 26 febbraio 2001. Dopo essere stato ratificato dagli allora 15 stati membri dell'Unione europea, è entrato in vigore il 1º febbraio 2003. L'obiettivo del Trattato di Nizza è relativo alle dimensioni e composizione della commissione, alla ponderazione dei voti in consiglio e all'estensione del voto a maggioranza qualificata, e infine alle cooperazioni rafforzate tra i paesi dell'Unione Europea.

Nel 2001 - A Genova, da giovedì 19 luglio sino a domenica 22 luglio 2001, contestualmente allo svolgimento della riunione del G8, la riunione dei capi di governo dei maggiori paesi industrializzati svoltasi da venerdì 20 luglio a domenica 22 luglio, i movimenti no-global e le associazioni pacifiste diedero vita a manifestazioni di dissenso, seguite da gravi tumulti di piazza, con scontri tra forze dell'ordine e manifestanti. Durante uno di questi trovò la morte il manifestante Carlo Giuliani. Nei sei anni successivi, lo Stato italiano subì alcune condanne in sede civile per gli abusi commessi dalle forze dell'ordine. Nei confronti di funzionari pubblici furono inoltre aperti procedimenti in sede penale per i medesimi reati contestati. Altri procedimenti furono aperti contro manifestanti per gli incidenti avvenuti durante le manifestazioni. Circa 250 dei procedimenti, originati da denunce nei confronti di esponenti delle forze dell'ordine per lesioni, furono archiviati a causa dell'impossibilità di identificare personalmente gli agenti responsabili; la magistratura, tuttavia, pur non potendo perseguire i colpevoli, ritenne in alcuni casi effettivamente avvenuti i reati contestati. All'epoca il presidente del consiglio era Silvio Berlusconi e ministro dell'Interno Claudio Scajola.
Manifestazione antagonista al G8
di Genova nel 2001.
Da https://it.wikipedia.org/wiki/Fatti_del_G8_di_Genova: Venerdì 20 luglio erano state organizzate diverse manifestazioni, da svolgersi in varie zone della città. Nel primo pomeriggio avvennero i primi incidenti: nei pressi della stazione Brignole alcuni personaggi definiti Black Bloc dalle forze dell'ordine, (anche se probabilmente i violenti sono stati reclutati da apparati dello stato per giustificare la “macelleria messicana” messa in atto in città) attaccarono con lanci di bottiglie Molotov e sassi un cordone formato da carabinieri, allontanandosi velocemente a seguito della carica intervenuta immediatamente dopo, convergendo tra la folla dei manifestanti pacifici; durante questi scontri furono lanciati lacrimogeni e furono esplosi alcuni colpi di arma da fuoco in aria e diversi filmati amatoriali e televisivi mostrarono tanto i contatti violenti tra le due anime dei manifestanti, con l'intenzione, da parte di quelli pacifici, di preservare lo svolgimento ordinato della manifestazione, quanto i dialoghi tra individui con il viso coperto e con abbigliamento scuro, simile a quello usato dai gruppi violenti, e poliziotti, carabinieri ed agenti dei servizi di sicurezza, anche all'interno del perimetro delle caserme. Defilatosi dalla zona degli scontri, parte di questi manifestanti violenti si allontanò dalla zona rossa, dirigendosi verso il carcere situato nel quartiere di Marassi, di fianco allo stadio Luigi Ferraris. Giunti nel quartiere, alle 14:30 circa, il gruppo si divise nuovamente e parte di questo puntò verso l'ingresso del carcere, dove, adottando la tecnica del black bloc, danneggiò le telecamere di sorveglianza esterne e il portone. Diversi filmati diffusi dopo gli eventi mostrarono l'arrivo dei manifestanti e il contemporaneo allontanamento delle forze dell'ordine presenti: 4 blindati e 2 defender dei carabinieri, una volante della polizia e due auto della polizia municipale. Il personale presente sul piazzale antistante il carcere fornirà una ricostruzione dei fatti discordante rispetto a quanto dichiarato dal personale del carcere e da quanto mostrato da alcune riprese amatoriali acquisite dalla magistratura, incluse quelle raccolte dal regista Davide Ferrario nel suo documentario Le strade di Genova. Secondo i primi, circa 100 manifestanti staccati dal gruppo principale, di circa 1000 persone, avrebbero attaccato le forze dell'ordine armati di spranghe e lanciando diverse molotov, sassi e bottiglie di vetro; a questi se ne sarebbero aggiunti in seguito altri 200, che avrebbero tentato di accerchiare i mezzi nonostante il lancio di lacrimogeni, costringendoli alla fuga; nei filmati si vede invece un gruppo di alcune decine di manifestanti violenti che si avvicina al piazzale antistante il carcere lanciando alcuni oggetti, e i mezzi dei carabinieri che con il gruppo ancora a distanza, ripiegano dopo aver lanciato solo due lacrimogeni, uno dei quali finito lontano dai manifestanti e solo a questo punto, a piazzale vuoto, giungono altre persone provenienti dal gruppo principale. Nello stesso momento circa 300 carabinieri a piedi, appoggiati da blindati e camionette che a causa degli attacchi incontravano grosse difficoltà a muoversi nelle strette vie genovesi, si dirigevano verso la zona dei disordini allo scopo di bloccare i gruppi estremisti che da piazza Giusti stavano avanzando verso il quartiere di Marassi. Il loro percorso prevedeva il passaggio da via Tolemaide e il transito per il sottopasso ferroviario di via Archimede, evitando quindi il corteo pacifico che proveniva da corso Aldo Gastaldi in direzione di via Tolemaide. Un errore di direzione, dovuto alla non conoscenza della città, causò tuttavia il loro passaggio dalla parallela via Giovanni Tomaso Invrea e il loro posizionamento di fronte al sottopasso ferroviario che divide corso Torino da corso Sardegna . Qui, dopo alcuni attimi di sosta, i carabinieri caricarono per alcune centinaia di metri (fino all'incrocio con via Caffa) la testa del corteo autorizzato (tra i primi il gruppo delle "Tute Bianche") che stava sopraggiungendo, ufficialmente per liberare la strada e per contrastare il fitto lancio di oggetti di cui erano bersaglio. Le versioni che vennero fornite sull'accaduto furono di segno decisamente opposto: diversi giornalisti presenti riferirono durante il processo di "un lancio simbolico con non più di due o tre sassi" da parte di alcuni manifestanti violenti, esterni al corteo, aggiungendo le loro perplessità rispetto alla tolleranza da parte delle forze dell'ordine per alcune ore nei confronti degli atti vandalici dei manifestanti violenti, mentre il corteo autorizzato veniva fatto bersaglio di lanci di lacrimogeni e caricato dopo solo poche decine di secondi di contatto visivo
A Genova nel 2001, durante il G8.
La versione fornita dalle forze dell'ordine viceversa indicò un "fitto" lancio di sassi proveniente dal corteo. La stranezza del comportamento delle forze dell'ordine emerse anche durante il processo, in cui furono ascoltate registrazioni provenienti dalla questura: in una di queste registrazioni si sentono sia un operatore urlare: "Nooo!... Hanno caricato le tute bianche, porco giuda! Loro dovevano andare in piazza Giusti, non verso Tolemaide... Hanno caricato le tute bianche che dovevano arrivare a piazza Verdi", sia le ripetute richieste del dirigente del commissariato di Genova, responsabile della sicurezza del corteo, relative al far ritirare il gruppo dei Carabinieri dalla zona per evitare di fare da "tappo" e bloccare il corteo in arrivo. Molti manifestanti e alcuni giornalisti si allontanarono dopo i primi lanci di lacrimogeni, per cercare riparo nelle strade laterali, ma nonostante ciò alcuni di essi non riuscirono a evitare di essere coinvolti negli scontri subendo pestaggi da parte delle forze dell'ordine. Il capitano dei Carabinieri che aveva ordinato le cariche sostenne al processo che si trattava di cariche "di alleggerimento", ammettendo però di non conoscere la topografia della zona e di non essersi reso conto che così facendo aveva chiuso le vie di fuga. Dopo questa prima carica i carabinieri iniziarono a ripiegare per permettere il passaggio del corteo, tuttavia alcuni manifestanti appartenenti al corteo, ai quali si erano aggiunti elementi provenienti dal gruppo che occupava il sottopasso di corso Sardegna, reagirono alle precedenti cariche assalendo e incendiando un mezzo blindato in panne. In quel frangente la centrale operativa perse i contatti radio con gli uomini presenti, i quali, avendo già impiegato tutti i lacrimogeni a disposizione, ripresero le cariche. Durante gli scontri che seguirono, vennero rovesciati e dati alle fiamme cassonetti dell'immondizia, allo scopo di farne barricate, e furono compiuti altri atti vandalici. La grande quantità di lacrimogeni lanciati causò negli anni successivi problemi respiratori cronici e dermatologici sia negli agenti, nonostante la protezione delle maschere, sia nei manifestanti.
Lo scontro di piazza Alimonda. Piazza Alimonda è una piccola piazza del quartiere Foce che divide in due via Caffa nel suo percorso da via Tolemaide a piazza Niccolò Tommaseo. Via Caffa è lunga in tutto circa 250 metri: 90 da via Tolemaide a piazza Alimonda, circa 60 sulla piazza, della quale costituisce il lato più esteso, e poco più di 100 da piazza Alimonda, angolo via Ilice, a piazza Tommaseo. Perpendicolare a via Caffa si trova via Giovanni Tomaso Invrea, che collega la parte alta di via Giuseppe Casaregis, parallela a via Caffa, con Piazza Alimonda. Dalla parte opposta, dietro la chiesa che si affaccia sulla piazza, collegata da via Ilice e via Odessa, corre via Crimea. Intorno alle ore 15.00, come risultò da alcune fotografie scattate da un balcone su via Caffa, verso via Tolemaide, nella piazza sulla quale stavano transitando passanti e manifestanti, la situazione era tranquilla, ma poco dopo iniziò un lancio di lacrimogeni da parte dei carabinieri, da via Invrea, verso i manifestanti presenti. Durante gli scontri furono posti dei cassonetti dei rifiuti nella carreggiata, allo scopo di rendere difficoltoso il movimento dei mezzi e, di fronte a uno di questi, si fermò un Land Rover Defender dei carabinieri dal quale fu sparato un colpo di pistola da Mario Placanica che uccise il manifestante Carlo Giuliani
A Genova nel 2001, durante il G8.
Circa alle ore 16.00, carabinieri e polizia iniziarono le cariche e i pestaggi nei confronti dei manifestanti in piazza e nelle vie limitrofe e, grazie anche all'aiuto di numerosi mezzi, riuscirono a prendere il controllo dell'area; contemporaneamente giunse nella piazza, da via Invrea, un defender con a bordo il tenente colonnello dei carabinieri Giovanni Truglio, comandante dello stesso reparto cui apparteneva Placanica. Poco dopo le 17.00, una delle Compagnie di contenimento e intervento risolutivo (CCIR), la Echo dei Carabinieri, sotto il comando del capitano Claudio Cappello e con la direzione del vicequestore aggiunto Adriano Lauro, seguitoa da due Land Rover Defender, insieme ad altre forze di polizia tra via Caffa e Piazza Tommaseo, attraversò i 200 metri di via Caffa e caricò parte dei manifestanti che erano nell'incrocio con via Tolemaide, dove stavano avvenendo gli scontri, protetti da barricate improvvisate. Secondo la versione ufficiale la carica era stata effettuata per timore che i manifestanti, che avrebbero iniziato a lanciare oggetti in direzione dei carabinieri (tuttavia inizialmente fuori portata) e ad avanzare facendosi scudo con alcuni cassonetti rovesciati, attaccassero il gruppo delle forze dell'ordine. Tuttavia, secondo le ricostruzioni basate su fotografie della piazza e testimonianze effettuate da comitati e associazioni vicine ai manifestanti, i carabinieri si sarebbero preparati a caricare senza che vi fosse stato alcun segno di ostilità da parte dei manifestanti. In alcune foto relative alla costruzione della barricata compare Carlo Giuliani. Durante le inchieste su quei giorni si fece notare che questa carica avrebbe precluso ogni possibile via di fuga ai manifestanti così come avrebbe reso impossibile il retrocedere lungo via Tolemaide verso le cariche delle altre forze dell'ordine; la conseguenza fu che alcuni manifestanti, vistasi preclusa ogni via di fuga, cercarono di reagire alle cariche della polizia per farsi strada nella direzione opposta. Iniziato lo scontro, i carabinieri (dalle foto e dalle testimonianze, circa settanta) non furono però in grado di disperdere i manifestanti e, davanti alla loro reazione, indietreggiarono precipitosamente, inseguiti da questi, verso l'inizio di via Caffa, dove era schierato un intero reparto della polizia dotato di molti mezzi. Durante i processi, sulla presenza dei due Defender, Cappello affermò che "vi fu un arretramento disordinato. Io non mi sono reso conto che dietro di noi vi erano anche le due Land Rover, anche perché non c'era alcun motivo operativo".
L'assalto al Defender e la morte di Carlo Giuliani. Durante la ritirata una Land Rover Defender dei Carabinieri, con tre giovani militari a bordo, l'autista Filippo Cavataio di 23 anni, Mario Placanica carabiniere di leva di 20 anni e il coetaneo Dario Raffone, restò temporaneamente bloccata di fronte a un cassonetto dei rifiuti mentre stava manovrando in Piazza Alimonda, secondo la testimonianza dell'autista, a causa di una manovra errata dell'altro mezzo e per l'asserito spegnimento del motore. Una quindicina di persone, appartenenti al gruppo che dopo la carica fallita stava inseguendo i carabinieri in ritirata, attaccò il mezzo che fu danneggiato a tergo e sul lato destro, con pietre, bastoni, una palanchina di legno e un estintore e, nell'assalto, furono feriti al viso da pietre dagli assalitori i carabinieri Raffone e Placanica. L'attacco al mezzo fu documentato da diversi filmati e foto e il tutto fu successivamente acquisito dalla magistratura. Alcuni media e politici in un primo tempo parlarono erroneamente di centinaia di persone intorno al mezzo, stima superiore anche alla consistenza stessa del più vasto gruppo di manifestanti caricato in via Caffa. L'aggressore con la palanca, M. Monai, nel descrivere la situazione, dichiarerà al magistrato: « Il rumore era assordante ed io trovata a terra una trave, cominciai a colpire il tetto del mezzo; l'ultimo colpo lo diressi all'interno del mezzo il cui finestrino posteriore destro era già frantumato. Vidi per un attimo il volto del carabiniere che era posizionato nella mia direzione, ne colpii la sagoma, poi lo vidi accucciarsi. Mentre avveniva tutto ciò la gente intorno urlava frasi di disprezzo e minaccia nei confronti dei CC quali "bastardi, vi ammazziamo". Non ho udito frasi provenienti dall'interno della camionetta ma in quel trambusto non posso escludere che siano state proferite ». (Dichiarazioni di M. Monai). Uno degli aggressori raccolse l'estintore e lo scagliò contro il mezzo, colpendo l'intelaiatura del finestrino della porta posteriore del mezzo. L'estintore rimase appoggiato tra la carrozzeria e la ruota di scorta: dall'interno uno degli occupanti lo colpì con un calcio, facendolo rotolare a terra in direzione di un manifestante con il volto coperto da un passamontagna, più tardi identificato nella persona di Carlo Giuliani, che in quel momento si trovava a diversi metri dal Defender, in direzione di via Tolemaide; questi sollevò da terra l'estintore e si avvicinò, tenendo l'estintore sopra la testa con le mani protese, verso la parte posteriore del Defender, ma venne colpito alla testa da un colpo d'arma da fuoco. Il carabiniere Mario Placanica si dichiarò in seguito autore dello sparo, aggiungendo di avere sparato due colpi in aria, uno dei quali colpì Giuliani, mentre l'altro proiettile colpì il muro a destra della chiesa in piazza Alimonda, lasciandovi un segno individuato solo dopo alcuni mesi. Giuliani cadde a terra ancora vivo, venendo investito due volte dal mezzo che era riuscito a ripartire e si allontanava dalla piazza mettendo in salvo i carabinieri: una prima volta in retromarcia e la seconda dopo la ripartenza. 
Carlo Giuliani.
Secondo l'autopsia e in base ai filmati che ne mostrano il sangue zampillante, morì diversi minuti dopo essere stato colpito. Quando, dopo circa mezz'ora, il personale medico di un'ambulanza arrivò in soccorso, Giuliani era già morto, senza aver ricevuto alcun soccorso dalle Forze dell'Ordine che immediatamente dopo la sua caduta a terra rioccuparono la piazza e lo circondarono nascondendone la vista. La scena, documentata da filmati e fotografie, venne trasmessa da emittenti televisive in tutto il mondo, rendendo evidente il drammatico livello di violenza raggiunto dagli scontri di Genova. Un reporter del quotidiano La Repubblica e un medico giunti sul posto subito dopo il fatto notarono il bossolo di un proiettile vicino al corpo, ma, quando questo venne mostrato ai carabinieri presenti, la morte di Giuliani era ancora ritenuta causata da un sasso lanciato dai manifestanti e, stando a quanto riportato dalla testimonianza del cronista, questi sembrarono identificare il bossolo come uno di quelli prodotti dal lancio dei gas lacrimogeni. Il cronista raccolse il bossolo e lo consegnò pochi minuti dopo a un ispettore di polizia sopraggiunto e avvertito del ritrovamento. Il bossolo verrà identificato poche ore dopo come proveniente dal tipo di pistola in dotazione a Mario Placanica. Secondo il consulente tecnico del P.M., la distanza tra Giuliani e l'arma da fuoco era di circa 175 centimetri, e Giuliani "viene colpito nel mentre ha sollevato l'estintore sopra la testa ed è nell'atto di lanciarlo (più precisamente nel momento in cui lo lancia)"; secondo lo stesso C.T. le macchie rosse che appaiono in un filmato ripreso dalle forze dell'ordine sono da attribuirsi a effetti cromatici. Secondo i consulenti tecnici della persona offesa, Carlo Giuliani fu colpito mentre si trovava a 337 centimetri dalla bocca dell'arma da fuoco e teneva l'estintore dietro la nuca: ciò sarebbe dimostrato da un fiotto di sangue, visibile mentre egli è in tale posizione, mostrato in un filmato ripreso dalle forze dell'ordine. Tali conclusioni, in contrasto con quelle cui erano giunti i consulenti del P.M., non furono accolte dal G.I.P. che archiviò il procedimento, precludendo la possibilità di eseguire una perizia in sede dibattimentale da parte di periti nominati dal giudice. Diversi mesi prima di ricevere l'incarico di consulente del P.M. Silvio Franz (febbraio 2002), uno dei consulenti nominati del P.M., Paolo Romanini, esperto balistico, aveva pubblicato nel numero di settembre 2001 della rivista specialistica che dirigeva, Tacarmi, un editoriale nel quale prendeva decisamente partito a favore della tesi della legittima difesa quale causa di non punibilità per Placanica. Una foto scattata da Dylan Martinez dell'agenzia Reuters, con una prospettiva molto schiacciata causata dall'impiego di un teleobiettivo, fa apparire Giuliani immediatamente di fronte al finestrino posteriore sfondato, nel quale si intravede una mano che regge la pistola. La stessa fotografia mostra altri particolari: l'aggressione dal lato destro e posteriore, le dimensioni e la morfologia reali della palanchina in legno utilizzata contro il defender, e la pistola impugnata all'interno del mezzo dei Carabinieri, puntata tenendo il calcio in orizzontale e ad altezza d'uomo. Altre foto e riprese laterali, tra le quali quelle trasmesse da Rai News 24, mostrano Giuliani a diversi metri dal mezzo nel momento in cui fu colpito. Nonostante l'esito delle indagini della magistratura, che hanno visto in Mario Placanica il responsabile dei due colpi sparati ritenendo però la sua azione compatibile con l'uso legittimo delle armi e la legittima difesa, sono state evidenziate nel tempo diverse incongruenze nelle testimonianze delle persone coinvolte e sono state effettuate diverse ricostruzioni alternative relative allo svolgimento dei fatti. Lo stesso Placanica, alcuni anni dopo gli eventi, ha negato di essere stato colui che ha sparato a Giuliani.
momenti successivi la morte di Giuliani e le testimonianze dei presenti. Gli spari, uditi da numerosi testimoni, inclusi fotoreporter e giornalisti, e registrati da una telecamera posta in via Ilice, spinsero gli aggressori ad allontanarsi e, pochi attimi dopo, il Defender ripartì passando due volte sul corpo di Carlo Giuliani rimasto a terra. Interrogato dal magistrato, l'autista Cavataio dichiarò di non aver udito alcun colpo d'arma da fuoco e di non essersi accorto di essere passato sul corpo di Giuliani, ritenendo che i sobbalzi del mezzo fossero dovuti a un "sacchetto delle immondizie"; i consulenti tecnici incaricati dal PM Silvio Franz affermarono che il Defender non avrebbe arrecato a Giuliani lesioni apprezzabili ma tale opinione fu confutata dalla parte civile, secondo la quale il doppio arrotamento subito dal corpo da parte di un mezzo del peso a vuoto di circa 18 quintali e con almeno tre persone a bordo non avrebbe potuto non provocare lesioni rilevanti. L'archiviazione del procedimento precluse il confronto dibattimentale tra le diverse consulenze tecniche e l'ulteriore approfondimento da parte di periti nominati dal giudice. La distanza della telecamera dal Defender è stata valutata in oltre trenta metri dai consulenti tecnici del P.M. e in oltre cinquanta metri dai consulenti della persona offesa. Dal tempo necessario perché il suono degli spari arrivasse alla telecamera, e quindi dalla distanza di questa dalla scena, verrà stimato il fotogramma contemporaneo allo sparo e da questo lo spazio esistente tra Giuliani e il Defender al momento dello sparo, discordante nelle due versioni. Solamente quattro degli aggressori furono identificati: Carlo Giuliani ucciso nell'assalto, M. M. ed E. P., genovesi, riconosciuti dalle numerose foto, che si consegneranno spontaneamente, e infine, L. F., di Pavia, estraneo al gruppo dei genovesi, identificato durante le indagini dalla Digos di Pavia. Nel Corriere Mercantile del 6 settembre, M. M. lanciò un appello a farsi avanti e a testimoniare nei confronti delle altre persone presenti, ma nessuno si presentò. L'impressione di isolamento e assedio del mezzo ricavata dalla maggior parte del materiale foto e video mostrato dai media, è tuttavia argomento di discussione, dato che in foto prese da angolazioni diverse compaiono alcuni carabinieri che, a pochi metri di distanza, in via Caffa direzione piazza Tommaseo, osservano lo svolgersi degli eventi facendo segno ai colleghi poco distanti di raggiungerli, senza tuttavia avere il tempo di intervenire; l'intera azione durò solo pochi secondi. James Matthews riferì di aver tentato invano di avvisare gli occupanti del Defender della presenza al suolo di Giuliani; Matthews, tra i primi a tentare di soccorrere Giuliani, riferì che era ancora vivo dopo essere stato due volte travolto dal pesante mezzo dei Carabinieri. Il comandante del reparto, Giovanni Truglio, distante poco più di una decina di metri dal defender, ritratto in alcune immagini mentre si trova sulle strisce pedonali che attraversano via Caffa all'angolo tra piazza Alimonda e via Ilice, dichiarò di non aver udito i colpi di pistola, dichiarazione analoga era stata fornita dall'autista del defender, Cavataio. Furono sfondati tre vetri su nove del mezzo: il vetro posteriore, un oblò sul tetto, un semivetro sulla parte destra, presumibilmente già sfondato in precedenza e dietro il quale era stato posto, incastrato tra telaio del finestrino e sedili interni, uno scudo protettivo, contro il quale cozzava la palanca che nelle foto si vede impugnata da M. M. Ma la presenza dello scudo fu omessa da gran parte della stampa che per anni alimentò la leggenda di una trave di legno, definizione impropria a descrivere la palanca impiegata nell'occasione. Nessun vetro fu infranto nella parte anteriore e sinistra, in quanto il mezzo fu attaccato da tergo e dal lato destro. Mario Placanica fu portato al pronto soccorso, per essere poi prelevato per testimoniare sui fatti e riportato al pronto soccorso, dove gli furono riscontrate lievi escoriazioni con una prognosi di 7 giorni. Anche Dario Raffone fu portato al pronto soccorso (prognosi di 8 giorni). Immediatamente dopo l'evento, il fotoreporter Eligio Paoni, arrivato sul posto subito dopo gli episodi, fotografò il corpo di Giuliani prima che venisse coperto all'arrivo delle forze dell'ordine: fu malmenato dalle forze dell'ordine, venendo ferito alla testa, gli fu fratturata una mano, gli fu distrutta una macchina fotografica e fu costretto a consegnare un rullino che aveva cercato di nascondere. Una foto, inoltre, mostra un carabiniere nell'atto di spingere la testa di Paoni sul cadavere di Giuliani, forse per intimorirlo. La questione del suo pestaggio e della distruzione delle sue fotografie verrà dibattuta anche durante le audizioni della successiva indagine conoscitiva delle commissione parlamentari, ma non si risalì ai responsabili diretti, mentre i due vicequestori presenti, Lauro e Fiorillo, affermarono di non aver notato il fatto, in quanto la loro attenzione era concentrata sul corpo di Giuliani. Anche il parroco della chiesa di Nostra Signora del Rimedio, che tentò di benedire il corpo di Giuliani, non venne fatto avvicinare. La giornalista de Il Corriere della Sera Fiorenza Sarzanini, presente in piazza, riportò nella sua cronaca degli avvenimenti che nei momenti successivi agli spari vennero lanciati anche dei lacrimogeni e vi fu una carica dei carabinieri. Sarzanini, aiutata ad allontanarsi da un manifestante, finì a terra con questi e fu ripetutamente colpita dalle forze dell'ordine con calci, nonostante il tentativo di identificarsi come giornalista. Circa mezz'ora dopo la morte di Giuliani, alcuni giornalisti di Libero filmarono l'allora vicequestore Adriano Lauro che, in un alterco con un manifestante il quale attribuiva alle forze dell'ordine la responsabilità dell'uccisione apostrofandoli con la frase assassino in divisa, ribaltava sui manifestanti le accuse gridando: « Bastardo! Lo hai ucciso tu, lo hai ucciso! Bastardo! Tu l'hai ucciso, col tuo sasso, pezzo di merda! Col tuo sasso l'hai ucciso! Prendetelo! ». Un carabiniere e un agente della polizia accennarono un inseguimento del dimostrante e, vista la sua fuga, si esaurì dopo pochi metri. Le fotografie scattate da un abitante della zona e diffuse nel 2004 mostrarono un acceso diverbio tra un carabiniere e un poliziotto, fatto del quale aveva parlato in precedenza anche il fotografo Bruno Abile, il quale, in un'intervista all'ANSA del 21 luglio 2001 e in successive dichiarazioni, sostenne di avere visto uno degli agenti presenti, non riuscendo a specificare se si trattasse di un poliziotto o di un carabiniere, forse un ufficiale, dare un calcio alla testa di Giuliani e di essere riuscito a riprendere l'istante precedente a questo: "Ho fotografato l'ufficiale nell'istante di "caricare" la gamba, come quando si sta per tirare un calcio di rigore". Qualcuno, mentre la zona attorno al corpo del giovane ucciso era interamente circondata e occupata dalle forze dell'ordine, come comprovato dalla sequenza fotografica, avrebbe messo un sasso di fianco alla testa di Giuliani e procurato una profonda ferita sulla fronte in modo da far pensare a una sassata: a sostegno di questa tesi alcune fotografie mostrano il sasso prima ad alcuni metri a sinistra dal corpo e poi accanto alla testa sul lato destro, dove prima c'era solo un accendino bianco.
A Genova nel 2001, durante il G8.
L'assalto alla scuola Diaz. La scuola Diaz e l'adiacente scuola Pascoli, nel quartiere di Albaro, in origine erano state concesse dal comune di Genova al “Genoa Social Forum” come sede del loro media center e, in seguito alla pioggia insistente che aveva costretto a evacuare alcuni campeggi, anche come dormitorio. Secondo le testimonianze dei manifestanti la zona era divenuta un punto di ritrovo di molti manifestanti, soprattutto tra chi non conosceva la città, venendo frequentata durante le tre giornate anche da coloro che non erano autorizzati a dormire nell'edificio e, sempre secondo quanto riferito dai manifestanti e dal personale delle associazioni che avevano sede nella Pascoli, non vi erano situazioni di tensione nei due edifici. Intorno alle 21 di sabato, alcuni cittadini segnalarono la presenza in zona (via Trento, piazza Merani e via Cesare Battisti) di alcune persone intente a posizionare dei cassonetti dell'immondizia in mezzo alla strada ed a liberarsi di caschi e di alcuni bastoni. Una volante della polizia mandata a verificare rilevò la presenza di un centinaio di persone davanti alla scuola Diaz, senza però essere in grado di verificare se fossero i soggetti segnalati dalle telefonate, né se stessero realmente spostando i cassonetti in mezzo alla strada.
Successivamente, stando alle ricostruzioni delle forze dell'ordine, la segnalazione di un attacco a una pattuglia di poliziotti portò alla decisione di effettuare una perquisizione presso la scuola Diaz e, ufficialmente per errore, alla vicina scuola Pascoli dove stavano dormendo 93 persone tra ragazzi e giornalisti in gran parte stranieri, la maggior parte dei quali accreditati; il verbale della polizia parlò di una "perquisizione" poiché si sospettava la presenza di simpatizzanti del Black bloc, ma resta senza motivazione ufficiale l'uso della tenuta antisommossa per effettuare una semplice perquisizione. Tutti gli occupanti furono arrestati e la maggior parte picchiata, sebbene non avessero opposto alcuna resistenza; i giornalisti accorsi alla scuola Diaz videro decine di persone portate fuori in barella, uno dei quali rimase in coma per due giorni e subì danni permanenti, ma la portavoce della questura dichiarò in conferenza stampa che 63 di essi avevano pregresse ferite e contusioni e mostrò del materiale indicato come sequestrato all'interno degli edifici, senza dare risposte agli interrogativi posti dai giornalisti. Le immagini delle riprese mostrarono muri, pavimenti e termosifoni macchiati di sangue, a nessuno degli arrestati venne comunicato di essere in arresto e dell'eventuale reato contestato, tanto che molti di loro scoprirono solo in ospedale, a volte attraverso i giornali, di essere stati arrestati per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, resistenza aggravata e porto d'armi. Dei 63 feriti tre ebbero la prognosi riservata: la ventottenne studentessa tedesca di archeologia Melanie Jonasch, vittima di un trauma cranico cerebrale con frattura della rocca petrosa sinistra, ematomi cranici vari, contusioni multiple al dorso, spalla ed arto superiore destro, frattura della mastoide sinistra, ematomi alla schiena e alle natiche; il tedesco Karl Wolfgang Baro, trauma cranico con emorragia venosa; e il giornalista inglese Mark Covell, mano sinistra e 8 costole fratturate, perforazione del polmone, trauma emitorace, spalla e omero, oltre alla perdita di 16 denti, il cui pestaggio, avvenuto a metà strada tra le due scuole, venne ripreso in un video. La versione ufficiale del reparto mobile di Genova fu che l'assalto sarebbe stato motivato da una sassaiola proveniente dalla scuola verso una pattuglia delle forze dell'ordine che transitava in strada alle ore 21:30 circa, anche se in alcune relazioni l'orario fu indicato nelle 22:30; il vicequestore Massimiliano Di Bernardini, in servizio alla squadra mobile di Roma e in quei giorni aggregato a Genova, riferì in un primo tempo di aver transitato "a passo d'uomo", a causa di alcune vetture presenti nella strada molto stretta, davanti alla scuola con quattro vetture e che il cortile della scuola e i marciapiedi "erano occupati da un nutrito gruppo, circa 200 persone, molti dei quali indossavano capi di abbigliamento di color nero, simile a quello tipicamente usato dai gruppi definiti Black bloc" e che questi avevano fatto bersaglio i mezzi con "un folto lancio di oggetti e pietre contro il contingente, cercando di assalire le autovetture", ma che queste riuscirono ad allontanarsi, nonostante la folla li inseguisse, "azionando anche i segnali di emergenza". Le forze dell'ordine tuttavia non furono in grado di fornire indicazioni precise sui mezzi coinvolti, né su chi li guidasse e le testimonianze sulla presenza di centinaia di simpatizzanti dei black bloc non venne confermata da alcuna fonte; successivamente Di Bernardini ammise di non aver assistito direttamente al lancio di oggetti e di avere "visto volare una bottiglia di birra sopra una delle quattro auto della polizia e una persona che si aggrappava allo specchio retrovisore", e di aver riportato quanto riferitogli da altri. In seguito tre agenti sostennero che un grosso sasso aveva sfondato un vetro blindato del loro furgone, un singolo mezzo, rispetto ai quattro dichiarati in un primo tempo, e che il mezzo venne poi portato in un'officina della polizia per le riparazioni; tale episodio tuttavia non risultò dai verbali dei superiori, stilati dopo l'irruzione, che invece riportano di una fitta sassaiola, né fu possibile identificare il mezzo che sarebbe stato coinvolto. Testimonianze successive di altri agenti, rese durante le indagini, sostennero al contrario il lancio di un bullone, evento a cui i superiori non avrebbero assistito, e di una bottiglia di birra, lanciata in direzione di quattro auto della polizia, a una delle quali si era aggrappato un manifestante. Alcuni giornalisti e operatori presenti all'esterno della scuola Pascoli racconteranno invece di aver visto solo una volante della polizia in coda insieme ad altre auto dietro un autobus che sostava in mezzo alla strada per far salire i manifestanti diretti alla stazione ferroviaria. L'auto, giunta all'altezza delle due scuole, accelerò improvvisamente sgommando. In quel momento venne lanciata una bottiglia che si infranse a terra a diversi metri di distanza dall'auto ormai lontana; versione confermata in parte da altri testimoni all'interno dell'edificio, che affermarono di aver sentito il rumore di una forte accelerata, seguito pochi istanti dopo da alcune urla e dal suono di un vetro infranto. Tali versioni, contrastanti nelle date, nei tempi e nella sostanza, misero fortemente in dubbio anche l'effettivo verificarsi del fatto addotto a motivo dell'irruzione. L'ora di arrivo delle forze dell'ordine di fronte all'edificio, contraddittoria tra le diverse ricostruzioni effettuate dalle difese rispetto ad altre testimonianze, è stata dibattuta durante i primi due gradi del processo; la Corte di Appello di Genova, concordando con le conclusioni del tribunale di primo grado, ricostruì nelle motivazioni della sentenza di secondo grado, tramite il confronto dei filmati che mostrarono l'uso di cellulari con i tabulati delle telefonate e gli orari di arrivo degli agenti: « Sulla base di tale elaborato il Tribunale ha ritenuto che l'arrivo delle forze di Polizia in Piazza Merani sia avvenuto alle ore 23.57.00 (orario desumibile anche dalla trasmissione in diretta di radio GAP, perché è in quel momento che il programma in corso viene bruscamente interrotto per dare notizia dell'arrivo della Polizia in assetto antisommossa), che l'ingresso dei reparti di Polizia operanti all'interno del cortile della scuola sia avvenuto alle 23.59.17 (visibile lo sfondamento del cancello del cortile mediante il mezzo del Reparto Mobile di Roma nel rep. 175), e che l'apertura del portone centrale in legno sia avvenuta alle ore 00.00.15 (visibile dai rep. filmati n. 175 e n. 239), meno di un minuto dopo l'ingresso nel cortile. » (Motivazioni della sentenza di secondo grado relativa ai fatti della scuola Diaz). All'operazione di polizia hanno preso parte un numero rimasto imprecisato di agenti: la Corte di Appello di Genova, pur richiamando questo fatto nelle motivazioni della sentenza di secondo grado, basandosi sulle informazioni fornite durante il processo da Vincenzo Canterini, li stima in circa "346 Poliziotti, oltre a 149 Carabinieri incaricati della cinturazione degli edifici". Un asserito ulteriore lancio di sassi e altri oggetti verso le forze dell'ordine, una volta che queste si erano radunate fuori dall'edificio - definito "fittissimo" nel verbale di arresto dei manifestanti e addotto a ulteriore motivo dell'irruzione nella scuola - venne escluso nel corso del processo dall'analisi dei filmati disponibili da parte del RIS. L'agente che dal verbale risultava aver assistito al lancio di un maglio spaccapietre dalle finestre della scuola, si avvalse della facoltà di non rispondere, mentre un altro dei firmatari dello stesso verbale riferì di aver visto in realtà solo "due pietre di piccole dimensioni" cadute "nel cortile della scuola". La Corte d'appello, nella ricostruzione dei fatti contenuta nelle motivazioni della sentenza, ricostruì così gli avvenimenti: « In ogni caso le emergenze probatorie raccolte escludono che si sia trattato di condotta particolarmente significativa e pericolosa, e che abbia avuto le caratteristiche con le quali è stata descritta negli atti sopra menzionati. Basta rilevare che gran parte della scena dallo sfondamento del cancello, al successivo ingresso nel cortile fino all'apertura del portone è stata ripresa nel filmato in atti, e che lo stesso, pure oggetto di attenta consulenza da parte dei RIS di Parma, non consente di apprezzare la caduta e tanto meno il lancio di oggetti (per cui se caduta vi è stata si deve essere trattato di oggetti di dimensioni insignificanti), come del resto confermato dal fatto che a terra nulla di tal genere è stato poi ritrovato, e che gran parte degli operatori staziona nel cortile senza assumere alcun atteggiamento di difesa o riparo da oggetti provenienti dall'alto (tra questi lo stesso Canterini che non indossa il casco, comportamento che per la sua esperienza di comandante non può essere dettato da leggerezza). Solo nella fase immediatamente precedente l'ingresso nella scuola, dopo l'apertura del primo portone, alcuni operatori portano lo scudo sulla testa, ma la condotta è ambigua, perché nello stesso frangente si vedono altri operatori nelle vicinanze che non assumono alcun atteggiamento protettivo; inoltre è stata fornita una spiegazione di tale condotta [...] ravvisata in una specifica tecnica operativa di approccio agli edifici, che contempla tale manovra in via cautelativa sempre, anche in assenza di effettivo pericolo. » (Motivazioni della sentenza di secondo grado relativa ai fatti della scuola Diaz). L'arresto in massa senza mandato di cattura venne giustificato in base alla contestazione dell'unico reato della legislazione italiana, esclusa la flagranza, che lo prevede, ovvero il reato di detenzione di armi in ambiente chiuso; dopo la perquisizione, le forze dell'ordine mostrarono ai giornalisti gli oggetti rinvenuti, tra i quali coltellini multiuso, sbarre metalliche e attrezzi che si rivelarono provenire in realtà dal cantiere per la ristrutturazione della scuola, alcune barre di metallo appartenenti ai rinforzi degli zaini (e, come evidenzieranno i giudici del processo d'appello, appositamente estratte per essere mostrate come prove della presenza di possibili armi) e 2 bombe molotov. Le molotov si scopriranno essere state sequestrate il giorno stesso in tutt'altro luogo e portate all'interno dell'edificio dalle stesse forze dell'ordine per creare false prove: un video dell'emittente locale Primocanale, visionato un anno dopo i fatti, mostrò infatti il sacchetto con le molotov in mano ai funzionari di polizia al di fuori della scuola. La scoperta di questo video porterà alla confessione di un agente, che ammise di aver ricevuto l'ordine di portarle davanti alla scuola. Nella stessa operazione venne perquisita, stando alle testimonianze dei funzionari durante i processi "per errore", anche l'adiacente scuola Pascoli, che ospitava l'infermeria, il media center e il servizio legale del Genoa Social Forum, che lamentò la sparizione di alcuni hard disk dei computer e di supporti di memoria contenenti materiale sui cortei e sugli scontri, oltre alle testimonianze di molti manifestanti circa i fatti dei giorni precedenti, sia su supporto informatico sia cartaceo. Alcuni dei computer che erano stati dati in comodato al Genoa Social Forum dal Comune e dalla Provincia e alcuni computer portatili dei giornalisti e dei legali presenti vennero distrutti durante la perquisizione; poche ore prima dell'assalto, in un comunicato stampa diffuso dal Genoa Legal Forum, si annunciò che il giorno successivo sarebbe stata sporta denuncia contro le forze dell'ordine per quanto avvenuto in quei giorni, avvalendosi di questo materiale; la Federazione nazionale della stampa si costituì parte civile al processo contro questa irruzione. Durante le indagini vennero rese note le difficoltà a risalire ai firmatari dei verbali di arresto e perquisizione, contenenti 15 firme il primo e 9 il secondo (questi ultimi firmatari anche del primo). Alla fine del processo di secondo grado una firma del verbale di arresto risultava ancora non identificata; a tal proposito la corte di appello, nelle motivazioni della sentenza, afferma: « La peculiarità dei verbali di perquisizione e sequestro, e di arresto oggetto del presente giudizio consiste innanzi tutto nella mancata indicazione nominativa dei verbalizzanti, posto che gli atti esordiscono con la frase “noi sottoscritti Ufficiali ed Agenti di Polizia Giudiziaria effettivi a…” seguita dalla indicazione dei rispettivi corpi di appartenenza, ma senza specificazione delle generalità. Gli inquirenti hanno dovuto così investigare in base alle firme di sottoscrizione, spesso mere sigle, con il risultato che uno dei firmatari del verbale di arresto è rimasto ignoto (circostanza significativa secondo l'accusa pubblica della mancata collaborazione nelle indagini da parte della Polizia, pur delegata dalla Procura a investigare sui tragici fatti). » (Motivazioni della sentenza di appello del processo inerente ai fatti della scuola Diaz). Tutti gli arrestati della scuola Diaz e della scuola Pascoli vennero in seguito rilasciati, alcuni la sera stessa, altri nei giorni successivi, e con il tempo caddero tutte le accuse ai manifestanti; per quanto riguarda l'accoltellamento di un agente, fatto che venne contestato dalle perizie del RIS, secondo le quali i tagli sarebbero stati procurati appositamente, ma ritenuto invece veritiero dal consulente tecnico del tribunale. L'agente, come rimarcato sia dal procuratore generale sia dai giudici nel processo di secondo grado, cambiò versione sull'avvenimento diverse volte, al pari di un collega che inizialmente aveva sostenuto la sua tesi, e nei sette anni di indagini non si trovò nessun altro agente che ammise di aver assistito direttamente alla scena. L'agente nel processo di primo grado venne comunque assolto, seppur con forma dubitativa, ritenendo veritiera l'ultima delle sue versioni, mentre nel processo di secondo grado la ricostruzione venne ritenuta falsa. Gli arrestati stranieri vennero espulsi dall'Italia dopo il rilascio.
Terminate le manifestazioni, domenica 22 luglio la città di Genova rilevò i danni: le devastazioni cagionate da elementi violenti, mai arrestati nonostante le numerose chiamate alle forze dell'ordine da parte di cittadini e persino da parte dell'allora presidente della Provincia di Genova Marta Vincenzi, e nel corso degli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine, causarono notevoli danni a proprietà private e pubbliche. La grandissima maggioranza dei responsabili, sia tra i manifestanti che tra le forze dell'ordine, non venne mai identificata, mentre quasi tutti i fermati dalle forze dell'ordine nei giorni degli scontri, un totale di 329 arresti, sono poi risultati estranei ai fatti contestati, o non sono state individuate responsabilità specifiche a loro carico. Probabilmente le violenze sono state orchestrate da funzionari dello stato per avere il movente di potere attuare una “macelleria messicana” generalizzata in città. Infatti alcuni sospettarono la responsabilità dei disordini da parte di simpatizzanti del movimento internazionale Black block, il cui arrivo dell'ala più estremista in Italia era stato preannunciato nelle settimane precedenti alle manifestazioni dalle autorità tedesche e da quelle italiane, ma nonostante tali avvisi, essi non furono fermati alle frontiere diversamente da altri manifestanti, e i simpatizzanti di tale movimento - solitamente usi rivendicare come propria pratica di lotta azioni simili compiute in passato - questa volta negarono la propria responsabilità, e prove di una partecipazione organizzata del gruppo non sono state rilevate. Da testimonianze di manifestanti e giornalisti che seguivano i cortei autorizzati, risulterebbe che parte dei componenti del gruppo di "manifestanti violenti" che vestivano di nero e che si mossero liberamente per la città durante i cortei e le manifestazioni, non sembrava parlare italiano. Suscitò polemiche anche la presenza dell'allora vice presidente del consiglio Gianfranco Fini nella sala operativa della questura genovese, presenza che da diversi giornalisti venne ritenuta inopportuna e criticamente messa in relazione agli abusi poi compiuti dalle forze dell'ordine. Le persone fermate e arrestate durante i giorni della manifestazione furono in gran parte condotte nella caserma di Genova Bolzaneto, che era stata approntata come centro per l'identificazione dei fermati, venendo poi trasferite in diverse carceri italiane; secondo il rapporto dell'ispettore Montanaro, frutto di un'indagine effettuata pochi giorni dopo il vertice, nei giorni della manifestazione transitarono per la caserma 240 persone, di cui 184 in stato di arresto, 5 in stato di fermo e 14 denunciate in stato di libertà, ma secondo altre testimonianze di agenti, gli arresti e le semplici identificazioni furono quasi 500. In numerosi casi i fermati accusarono il personale delle forze dell'ordine di violenze fisiche e psicologiche e di mancato rispetto dei diritti degli imputati quali quello a essere assistiti da un legale o di informare qualcuno del proprio stato di detenzione; gli arrestati riferirono inoltre episodi di tortura: costretti a stare ore in piedi, con le mani alzate, senza avere la possibilità di recarsi al bagno, cambiare posizione o ricevere cure mediche, riferirono inoltre di un clima di euforia tra le forze dell'ordine per la possibilità di infierire sui manifestanti, e riportarono anche invocazioni a dittatori e ad ideologie dittatoriali di matrice fascista, nazista e razzista, nonché minacce a sfondo sessuale nei confronti di alcune manifestanti. Il ministro della Giustizia in carica Roberto Castelli, che aveva visitato la caserma nelle stesse ore, dichiarò di non essersi accorto di nulla, ugualmente confermò il magistrato antimafia Alfonso Sabella, che durante il vertice ricopriva il ruolo di ispettore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ed era responsabile delle carceri provvisorie di Bolzaneto e San Giuliano. Sabella fu comunque tra i primi, già una settimana dopo il G8, ad ammettere la possibilità che ci fossero state violenze da parte delle forze dell'ordine contro i manifestanti arrestati, pur escludendo che queste fossero state commesse da parte di quelle che erano a Bolzaneto sotto la sua responsabilità. I giudici nei giorni successivi scarcerarono tutti i manifestanti per l'insussistenza delle accuse che ne avevano causato l'arresto. I pubblici ministeri al processo contro le forze dell'ordine riguardo ai fatti della caserma Bolzaneto riferirono di persone costrette a stare in piedi per ore e ore, fare la posizione del cigno e della ballerina, abbaiare per poi essere insultati con minacce di tipo politico e sessuale, colpiti con schiaffi e colpi alla nuca ed anche lo strappo di piercing, anche dalle parti intime. Molte le ragazze obbligate a spogliarsi, a fare piroette con commenti brutali da parte di agenti presenti anche in infermeria. Il P.M. Miniati parlò dell'infermeria come un luogo di ulteriore vessazione. Secondo la requisitoria dei pubblici ministeri i medici erano consapevoli di quanto stava accadendo, erano in grado di valutare la gravità dei fatti ed hanno omesso di intervenire pur potendolo fare, hanno permesso che quel trattamento inumano e degradante continuasse in infermeria specificando che soltanto un criterio prudenziale impedisce di parlare di tortura, ma certo, alla tortura si è andato molto vicini. Il 5 marzo 2010 i giudici d'appello di Genova, ribaltando la decisione di primo grado, emisero 44 condanne per i fatti di Bolzaneto e, nonostante l'intervenuta prescrizione, condannò gli imputati a risarcire le vittime. Amnesty International sottolineò l'importanza della sentenza, che riconobbe come a Bolzaneto ebbero luogo «gravi violazioni dei diritti umani», aggiungendo che la prescrizione sarebbe stata impedita se l'Italia avesse introdotto nel suo sistema penale il reato di tortura, come vi è obbligata dalla firma della Convenzione ONU contro la Tortura del 1984. La Cassazione, nella motivazione della sua decisione del 2013, a proposito dei fatti di Bolzaneto, parla di un "clima di completo accantonamento dei principi-cardine dello Stato di diritto".
Da https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_De_Gennaro: Nell'aprile 2008 viene richiesto il rinvio a giudizio per De Gennaro (che durante il G8 era il capo della polizia) per istigazione alla falsa testimonianza nelle indagini inerenti ai fatti del G8 di Genova e in particolare i fatti della scuola Diaz. Il 1º luglio 2009 il pm chiede che gli siano attribuiti due anni di reclusione per istigazione alla falsa testimonianza, cioè per pressioni sull'ex questore affinché dichiarasse il falso sugli eventi alla scuola Diaz durante il G8 di Genova, per cui in aprile dell'anno prima era stato chiesto il rinvio. L'8 ottobre 2009 nella sentenza di 1º grado, De Gennaro viene assolto. Il 17 giugno 2010 De Gennaro viene condannato in appello ad un anno e quattro mesi di reclusione per istigazione alla falsa testimonianza nei confronti dell'ex questore di Genova Francesco Colucci nel processo per l'irruzione alla Diaz del G8 nel 2001. Il 23 novembre 2011 viene infine assolto in quanto "i fatti non sussistono". Il 10 dicembre 2012 l'ex questore di Genova Francesco Colucci è però condannato a due anni e otto mesi per falsa testimonianza in favore di De Gennaro, lasciando quindi diverse incongruenze circa il ruolo e le accuse rivolte a De Gennaro. Nell'Aprile 2015 la corte europea dei diritti umani accoglie un ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, vittima del pestaggio all'epoca sessantaduenne e condanna così l'Italia per il reato di tortura data la violazione dell'art.3 della costituzione. La sentenza unanime dichiara inoltre che il sistema normativo italiano risulta essere non adeguato per quanto riguarda sanzioni contro gli atti di tortura evidenziando così gli aspetti poco lineari dell'intera vicenda giudiziaria fino ad allora occorsa.
Giovanni De Gennaro.
Giovanni De Gennaro (Reggio Calabria, 14 agosto 1948), è un prefetto italiano, Presidente di Finmeccanica ed ex Capo della Polizia. Già capo di gabinetto del Ministero dell'Interno e Commissario Straordinario per l'Emergenza rifiuti in Campania, nel maggio 2008 è stato nominato direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, l'11 maggio 2012 cessa dall'incarico e viene nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo Monti, incarico che ricopre fino al 28 aprile 2013. Il 26 maggio 2000 viene nominato dal Consiglio dei ministri capo della Polizia italiana. Il 2 luglio 2007 gli succede Antonio Manganelli, già suo vice, mentre De Gennaro diventa capo di gabinetto del Ministero dell'Interno. Dall'11 gennaio al 26 maggio 2008 riveste anche l'incarico di Commissario straordinario per l'emergenza rifiuti in Campania. Il 23 maggio 2008 viene nominato dal Comitato Interministeriale per la sicurezza della Repubblica Direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. L'11 maggio 2012, il consiglio dei ministri del governo presieduto da Mario Monti lo nomina sottosegretario di Stato delegato per la sicurezza della Repubblica e ricopre tale incarico fino al 28 aprile 2013. Il 3 luglio dello stesso anno il governo Letta lo designa presidente di Finmeccanica, ruolo confermatogli dal Consiglio di Amministrazione del Gruppo Finmeccanica il 15 maggio 2014.

UE: Date,Trattati, Istituzioni, storia dell'Integrazione
Europea. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- Il 15-12 i quindici paesi dell'UE adottano la Dichiarazione di Laeken che prevede la creazione della Convenzione europea. A Laeken è stata sottoscritta il 15 dicembre 2001, dai 15 stati allora appartenenti all'Unione europea (prima dell'allargamento a 25) una dichiarazione che ha avuto importanti conseguenze per l'UE, in quanto prevedeva che fossero realizzate riforme atte al perseguimento di vari obiettivi, tra i quali:
- l'allargamento dell'Unione a nuovi stati;
- l'avvicinamento dell'Unione europea ai cittadini, tramite notevoli modifiche istituzionali;
- la centralità nel processo costitutivo europeo del rispetto dei settori di competenza esclusiva dei singoli Stati membri e delle loro articolazioni territoriali;
- la creazione di una convenzione per le riforme, presieduta da Valéry Giscard d'Estaing (affiancato da due vicepresidenti, uno dei quali Giuliano Amato) che si è poi insediata il 15 marzo 2002.
La decisione più significativa presa a Laeken è stata la creazione della Convenzione europea che ha avviato il processo di riforma delle istituzioni dell'Unione: quest'ultima, partita da 6 paesi fondatori, dopo progressive nuove adesioni avvenute nell'arco di 50 anni, si avviava a compiere un ben più grande allargamento che avrebbe potuto rendere inefficienti istituzioni pensate per una comunità con un numero minore di stati membri (con 25 paesi membri era, ad esempio, impensabile mantenere la composizione della Commissione europea con due commissari per ciascuno stato membro come avvenuto in precedenza).

Carta dell'Unione Europea nel 2012,
con i nomi nelle lingue locali dei 27
Stati membri, di colore giallo, ocra,
marrone: Belgio, Germania, Francia,
Italia, Paesi Bassi, Lussemburgo,
Danimarca, Irlanda, Regno Unito,
Grecia, Spagna, Portogallo, Austria,
Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca,
Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania,
Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia,
Slovacchia, Bulgaria e Romania.
Sono indicati anche i territori extra
continentali delle Azzorre, Madeira,
Canarie, Guadalupe, Martinica,
Guyana Francese, Reunion.
Nel 2002 - Il 1° gennaio l'euro diventa la valuta corrente di dodici paesi dell'Unione ed anche di San Marino, Vaticano e Monaco, oltre che de facto nei territori del Montenegro e del Kosovo (all'epoca entrambi parte della confederazione di Serbia e Montenegro) e in Andorra.

Nel 2003 - Il 1° gennaio l'Ue succede all'ONU, in Bosnia ed Erzegovina, alla guida del contingente di pacificazione della regione.

Carta del continente Europa nel 2012
con nomi in Italiano: i 27 Stati dell''UE:
Belgio, Germania, Francia, Italia, Paesi
Bassi (Olanda), Lussemburgo, Regno
Unito, Grecia, Spagna, Portogallo,
Danimarca, Irlanda, Austria, Finlandia,
Svezia, Repubblica Ceca, Estonia,
Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria,
Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia,
Bulgaria e Romania. Sono indicati
i territori extra-continentali dell'UE:
Azzorre, Madeira, Canarie, Guadalupe,
Martinica, Guyana Francese, Reunion.
Gli Stati candidati all'ingresso nell'UE:
Croazia, Turchia, Islanda, Montenegro,
Macedonia. La Norvegia, che con
un referendum ha rifiutato l'adesione,
la Svizzera che con un referendum ha
congelato l'adesione e gli altri Stati del
continente: Bosnia Erzegovina, Albania,
Serbia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia,
Russia, Georgia, Armenia. Inoltre non
sono visibili: Andorra, Principato di
Monaco, Città del Vaticano, Repubblica
di San Marino, Principato del
Lichtenstein e il Kosovo.
- Il 1° febbraio entra in vigore il Trattato di Nizza, che riguarda le riforme istituzionali da attuare in vista dell'adesione di altri Stati, approvato al Consiglio europeo di Nizza l'11 dicembre 2000 e firmato il 26 febbraio 2001. L'obiettivo del Trattato di Nizza è relativo alle dimensioni e composizione della commissione, alla ponderazione dei voti in consiglio e all'estensione del voto a maggioranza qualificata, e infine alle cooperazioni rafforzate tra i paesi dell'Unione Europea.

- Germania e Francia sono complici nella creazione della crisi del debito europeo, perché dopo l’introduzione dell’euro, hanno per prime ignorato le regole fiscali, e liberamente hanno interagito con i deficit pubblici e del debito, non rispettando la famosa regola aurea del 3% nel rapporto deficit/Pil. I due paesi oltrepassarono quel valore senza essere punite, anche col tacito assenso italiano, che aveva la presidenza del consiglio Ecofin.









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