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mercoledì 23 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.37: dal 374 al 391 e.v. (d.C.)

Ambrogio di Milano.
Nel 374 - Il 7 dicembre 374 Ambrogio è nominato vescovo di  Milano. Aurelio Ambrogio, meglio conosciuto come sant'Ambrogio (Treviri, 339/340 - Milano, 397) è stato un vescovo, scrittore e santo romano, una delle personalità più importanti nella Chiesa del IV secolo. È venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, la Chiesa cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa d'Occidente, insieme a san Girolamo, sant'Agostino e san Gregorio I papa. Conosciuto anche come Ambrogio di Treviri, città in cui era nato e in cui il padre esercitava la carica di prefetto del pretorio delle Gallie, intorno al 339 circa, proveniva da un'illustre famiglia romana di rango senatoriale, la gens Aurelia, cui la famiglia materna apparteneva inoltre al ramo dei Simmaci. La famiglia di Ambrogio, a cui apparteneva Santa Sotere, martire cristiana, Marcellina e Satiro di Milano, risultava convertita al cristianesimo già da alcune generazioni. Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, dopo la sua prematura morte frequentò le migliori scuole di Roma, dove compì i tradizionali studi del trivium e del quadrivium (imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica), partecipando poi attivamente alla vita pubblica dell'Urbe. Dopo cinque anni di avvocatura esercitati presso Sirmio (l'odierna Sremska Mitrovica, in Serbia), nella Pannonia Inferiore, nel 370 fu incaricato quale governatore dell'Italia Annonaria per la provincia romana Aemilia et Liguria, con sede a Milano, dove divenne una figura di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I. La sua abilità di funzionario nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra ariani e cattolici gli era valso un largo apprezzamento da parte dei cattolici e tutta la sua opera finì per far primeggiare il cattolicesimo sull'arianesimo, grazie alla sua influenza sugli imperatori, in particolare Graziano e Teodosio I. Nel 374, alla morte del vescovo ariano Aussenzio di Milano, il delicato equilibrio tra le due fazioni sembrò precipitare. Il biografo Paolino racconta che Ambrogio, preoccupato di sedare il popolo in rivolta per la designazione del nuovo vescovo, si recò in chiesa, dove all'improvviso si sarebbe sentita la voce di un bambino urlare «Ambrogio vescovo!», a cui si unì quella unanime della folla radunata nella chiesa. I milanesi volevano un cattolico come nuovo vescovo. Ambrogio però rifiutò decisamente l'incarico, sentendosi impreparato: come era in uso presso alcune famiglie cristiane all'epoca, egli non aveva ancora ricevuto il battesimo, né aveva affrontato studi di teologia. Ma alla fine accettò l'incarico, considerando che fosse questa la volontà di Dio nei suoi confronti e decise di farsi battezzare: nel giro di sette giorni ricevette il battesimo nel battistero di Santo Stefano alle Fonti a Milano e venne ordinato vescovo. Conosciuto comunemente come Ambrogio di Milano, la città di cui assieme a san Carlo Borromeo e san Galdino è patrono e della quale è stato vescovo dal 374 fino alla morte, le sue spoglie sono conservate a Milano, nella basilica a lui dedicata. 

Sappiamo che avvenne l'uccisione a tradimento, dopo un banchetto, del capo dei suebi Quadi, Gabinio, da parte del prefetto del pretorio delle Gallie, Massimino, che rese furiosi non solo i Quadi, ma molte altre popolazioni a loro vicine (come gli Iazigi ed i Vandali), che insieme inviarono squadre di saccheggiatori a sud del Danubio in territorio romano. Furono così senza alcun preavviso assaliti i contadini impegnati nel raccolto delle messi, molti dei quali furono sterminati mentre altri furono fatti prigionieri e condotti con molti animali di ogni tipo nei loro territori. Poco mancò che anche la stessa figlia dell'imperatore Costanzo II, Flavia Massima Faustina Costanza, venisse catturata dai barbari inferociti, riuscendo invece a rifugiarsi a Sirmio.

Nel 375 - Durante il regno di Valentiniano I, l'impero è  ripetutamente devastato da invasioni barbariche. Nel 375, alla notizia di un'invasione da parte della tribù dei Quadi, si dice che Valentiniano I sia stato preso da un tale accesso di collera da stramazzare al suolo, morendo per un'emorragia cerebrale, anche se secondo altre fonti, l'imperatore Valentiniano I mosse guerra ai Quadi nei loro stessi territori a nord di Brigetio e fu proprio in questa località che l'imperatore si spense per un colpo apoplettico durante le trattative di pace, il 17 novembre del 375. Brigetio  (l'odierna Komárom, sul Danubio) era una località appartenente all'antica tribù degli Azali, di chiara origine illirica, ma con connotazioni anche celtiche, tanto che l'origine del suo nome deriverebbe proprio dal celtico brig-, col significato di "fortezza". Si trova nel territorio della moderna Ungheria, mentre in Slovacchia, al di là del Danubio sorge l'equivalente Komárno.
Solidus di Flavio Graziano
(Sirmio, Sremska Mitrovica
in Serbia, 04/05 359 -
Lugdunum, 25/08/383), sotto
l'influenza di Ambrogio avviò
una politica anti-pagana. Di
Rasiel Suarez - Opera propria,
CC BY-SA 3.0:  QUI.
Valentiniano I lasciava il sedicenne Graziano (figlio avuto dalla prima moglie Marina Severa) suo co-imperatore d'Occidente a Treviri, in attesa dell'arrivo della promessa sposa, al comando  dell'impero d'occidente mentre in oriente aveva posto al governo il fratello Valente. Lasciava inoltre la moglie Giustina con quattro figli: Valentiniano nato nel 371, Grata, Giusta e Galla, tutti a Sirmio. Proprio in quei giorni e in quei luoghi, passava Flavia Massima Costanza, la pustuma figlia dodicenne di Costanzo II, che da Costantinopoli transitava attraverso la Pannonia per andare sposa a Graziano a Treviri. Ammiano Marcellino racconta che per poco non venne fatta prigioniera dai Quadi, se non fosse sopraggiunto un governatore romano a trarla in salvo nella fortezza di Sirmio. In Occidente, col giovane imperatore Graziano lontano, giovane e inesperto, l'esercito romano tentennava, valutando la possibilità di proclamare imperatore un proprio generale, tal Sebastiano.
Flavio Valentiniano II,
(371 - Vienne, 15 maggio 392)
In Oriente invece, il generale franco Merobaude, nominato magister peditum, promuoveva l'immediata elezione a co-imperatore d'Occidente di Valentiniano II, sostenuto anche dallo zio Cereale e dal generale pannonico Equizio. Graziano cominciava così a sperimentare il potere della matrigna Giustina, insediata a Sirmio, l'attuale Sremska Mitrovica in Serbia. Anche altri alti funzionari imperiali, Massimino, Romano e Petronio Probo vollero porre sul trono d'occidente anche  Valentiniano II, figlio minore di  Valentiniano I, un bambino di quattro anni, facilmente manipolabile (la reggenza venne assunta dalla madre Giustina e quindi, di fatto, dal potente generale Merobaude), che divise l'impero d'occidente col fratellastro Graziano. A Valentiniano II andrà il governo di Italia, Africa Illirico, mentre a Graziano rimarrà il comando su Gallia, Spagna e  Britannia. Giustina e Graziano sposteranno in seguito la corte imperiale d'Occidente a Milano, dove subito si aprirà lo scontro  con i cristiani cattolici della città, guidati dal vescovo Ambrogio, poiché Giustina era ariana, così come lo era stata d'altra parte la dinastia imperiale dei Costanzi. Da QUI: Infatti pochi mesi dopo la presa del potere di Giustina, si verifica il primo dei grandi scontri che segneranno la storia di MilanoGiustina si misura con Aurelio Ambrogio, vescovo di Milano. Alla morte del vescovo di Sirmio, Germinio, di credo ariano, la comunità cattolica aveva chiamato il vescovo di Milano Ambrogio, quale metropolita della grande diocesi, per sostenere la candidatura di un vescovo cattolico. Ambrogio era noto alla popolazione di Sirmio per aver lavorato cinque anni nella prefettura, al servizio di Sesto Petronio Probo, prima di essere nominato governatore di Milano. Il biografo di Ambrogio, Paolino, ci offre un vivace spaccato dello scontro avvenuto a Sirmio (Vita Ambrosii, 11): "Era sul punto di essere scacciato dalla chiesa da una moltitudine radunata dalla potenza dell'imperatrice Giustina, affinché fosse ordinato un vescovo ariano non da lui ma dagli eretici. Quando era nel presbiterio, senza curarsi per nulla della sommossa aizzata da quella donna, una delle vergini ariane, più impudente di tutte le altre, salendo nel presbiterio afferrò la veste del vescovo con l'intenzione di trascinarlo nella parte occupata dalle donne, perché fosse battuto da loro e scacciato". Per inciso questo episodio ci informa sull'esistenza di vergini consacrate anche al credo ariano e sulla divisione delle navate, al di sotto del presbiterio, a seconda dei sessi. Vincerà comunque Ambrogioriuscendo a far eleggere un vescovo cattolico, Anemio.

- Nel 375 il sedicenne Imperatore d'occidente Graziano (sicuramente convinto dal vescovo Ambrogio), di religione cristiana cattolica, rinuncia alla carica di Pontefice Massimo, che con Augusto era stata assorbita dalla figura dell’Imperatore, per donarla al Vescovo di Roma che da lì in poi diventerà sinonimo di Papa. Graziano così opera una netta distinzione fra potere politico e autorità religiosa decretando comunque un primato di Roma nell'ambito del Cristianesimo, in cui Costantino I aveva trasfuso l'istituzionalità dell'Impero Romano. Nello stesso anno il co-imperatore d'Occidente Graziano ordina la rimozione, dall'atrio del senato, della statua della Vittoria, provocando le vane proteste dei senatori pagani e specialmente di Simmaco. Avverserà le sette eretiche e richiamerà alle loro sedi i vescovi orientali ortodossi, che l'arianeggiante Valente aveva esiliati. Il mite e influenzabile Graziano, privo di qualità nell'ambito politico, ebbe il torto di favorire troppo l'elemento barbarico dell'esercito, che lo abbandonerà in un momento decisivo.
Stanziamenti di Visigoti e
Ostrogoti fino al 375.

- Nel 375, incalzati dagli Unni che, giunti nel frattempo in Europa, avevano sconfitto gli Alani accogliendone i superstiti nel loro esercito e sottomesso i Goti dell'est o Greutungi (Ostrogoti), i goti Tervingi (poi chiamati  Visigoti) sono scacciati dalla loro regione d'insediamento tra il Danubio e il Mar Nero.

L'antica Scizia.

Nel 376 - I goti Tervingi  erano rimasti a occidente della Scizia fino al 376, quando uno dei propri capi, Fritigerno (convertito al cristianesimo ariano), chiede all'imperatore romano Valente il permesso di insediarsi sulla riva meridionale del Danubio. In questo luogo sperava di trovare riparo dagli  Unni. Valente concederà il permesso, ma la carestia che stava colpendo Roma impedirà all'imperatore di fornire il cibo e la terra promessi, fatto che causerà una rivolta seguita da sei anni di saccheggi e distruzioni per tutti i Balcani. I goti Tervingi (poi chiamati Visigoti), parte dei quali si erano ritirati in Transilvania con il pagano Atanarico, dopo aver perso gran parte delle loro ricchezze per le incursioni degli Unni, decide di passare con il cristiano ariano Fritigerno a chiedere asilo all'imperatore romano d'oriente Valente, accalcandosi in duecentomila tra le foci del Danubio, la Mesia e la Tracia. Secondo gli accordi, i goti sarebbero stati coscritti nell'esercito romano e a loro sarebbe stata concessa piena cittadinanza, ma in realtà non accadde niente di tutto questo. Anche i Greutungi (Ostrogoti), senza essere invitati, entrano nei confini dell'impero. La presenza di troppe persone in un'area ristretta, come la provincia della Mesia, che era stata loro assegnata, porterà ad una penuria di cibo che causerà l'inizio delle ostilità tra Romani e Goti. L'accoglienza romana ai Goti fu concessa ma malamente gestita: i Goti furono spogliati delle armi e privati dei bambini, consegnati come ostaggi, ma non venne adeguatamente assicurato loro l'approvvigionamento alimentare. La fame e gli stenti spinsero i Tervingi, guidati dal cristiano ariano Fritigerno, alla rivolta, a cui si unirono i Greutungi che avevano a loro volta passato il Danubio ed insieme sconfissero  l'esercito romano Marcianopoli (l'attuale Preslav, nei pressi della città di Devnja, in Bulgaria dell'est). 


Invasioni nell'Impero Romano dal 375
Immagine modificata da: MapMaster-
Opera propria, CC BY-SA 2.5: QUI.
Nel 377 - Le popolazioni gotiche sono respinte dalla provincia di Tracia da alcuni generali di Valente, fino verso la Dobrugia, regione situata tra il Danubio e il Mar Nero, divisa ora tra la Dobrugia Settentrionale che fa parte della Romania e la Dobrugia Meridionale che è oggi parte della Bulgaria. Le città principali della regione rumena sono: Costanza, Mangalia, Tulcea, Medgidia e le città principali della regione bulgara sono Dobrič e Silistra.

Mesia con evidenziata Adrianopoli,
in Tracia, da: https://deipnosofista.
Nel 378 - Disfatta dei Romani nella battaglia di Adrianopoli. Mentre i goti Tervingi (poi chiamati Visigoti) in Mesia  compievano ripetute razzie nelle regioni circostanti, sul fronte settentrionale una nuova incursione alemannica era repressa da Graziano nella Battaglia di Argentovaria,  nei pressi di Colmar, a cui seguì l'ultima spedizione romana al di là del Reno, nella foresta Ercinia. Il co-imperatore d'occidente Graziano richiamò Teodosio il giovane, al quale affidò l'incarico di respingere le nuove incursioni di Sarmati Iazigi in Pannonia e lo nominò magister militum. Intanto la risposta dei Goti non si fece attendere, infatti nel corso di quell'anno dilagarono fino a sud dei Balcani insieme ad alcuni reparti degli stessi Unni. Riuscì però a fermarli il magister peditum Sebastiano, che ne rallentò provvisoriamente le incursioni. Poco dopo mosse contro le orde barbariche lo stesso imperatore d'oriente  Valente, che nella successiva battaglia di Adrianopoli, subì non solo una disastrosa sconfitta, ma cadde egli stesso sul campo di battaglia. Valente, per non dover dividere il successo con  Graziano, figlio di suo fratello Valentiniano I e co-imperatore d'occidente, che stava sopraggiungendo in forze, aveva deciso di dirigersi da solo contro i Goti: disponeva probabilmente di 40.000 soldati contro un'orda di circa 50.000 guerrieri più altri 50.000 cavalieri goti. Una volta arrivato presso il cerchio di carri goto, Valente passò alcune ore a disporre in campo l'esercito. In questa fase furono comunque avviate trattative di pace: l'imperatore ricevette infatti una delegazione di preti cristiani ariani che gli consegnarono una lettera da parte dell'ariano Fritigerno (condottiero dei goti Tervingi poi chiamati Visigoti) nella quale si prendeva in considerazione l'ipotesi di intavolare delle trattative sulla consegna ai Goti di terre, come era stato loro promesso ai tempi del trasbordo del Danubio. Pare che il capo goto, in realtà, volesse rimandare il più possibile l'inizio della battaglia (cosa di cui era certo Ammiano Marcellino) nella speranza che ritornassero in tempo le squadre di cavalleria che si erano allontanate per foraggiare i cavalli. Ad un tratto accadde l'imprevistodue reparti di cavalleria leggera romana schierati sull'ala destra e composti da arcieri a cavallo, giunti a tiro dei barbari, attaccarono di propria iniziativa, gesto che diede inizio alla battaglia.
Battaglia di Adrianopoli.
I reparti di Valente, in inferiorità numerica, furono massacrati. Mentre i due schieramenti continuavano a scontrarsi, la cavalleria gota rompeva gli equilibri colpendo il fianco sinistro romano che era rimasto scoperto. I fanti romani, schierati in ordine compatto e con scarso margine di manovra, non poterono resistere all'urto e lo schieramento, dopo una ferrea resistenza, si sfaldò e si dette alla fuga. Alla fine lo stesso imperatore rimase ucciso e i resti delle forze romane si dettero alla macchia. Non si è mai saputo di preciso in che modo l'imperatore morì: forse fu colpito da una freccia o forse, come si raccontò dopo la battaglia, bruciò vivo nell'incendio di una fattoria nella quale, ferito, si era riparato nottetempo e a cui i Goti avevano dato fuoco. Con lui caddero anche due comites (Sebastiano e Traiano), tre duces, trentacinque tribuni e circa 30.000 soldati persero la vita. In seguito alla vittoria i barbari dilagarono nei territori intorno alla città compiendo ogni genere di razzie e massacrando le popolazioni romane. Il magister equitum Vittore si salvò e portò la notizia della sconfitta a Graziano, rimasto a oltre trecento chilometri dal campo di battaglia. Il comes (dal latino, "compagno") nell'antica Roma era un nome ufficiale usato dagli accompagnatori di alcuni magistrati e dal III secolo in poi fu sempre più spesso usato per i funzionari imperiali fino ad essere un grado dell'esercito e dell'amministrazione romana, (durante le guerre marcomanniche) ed evolutosi poi nel tardo Impero romano fino a diventare un titolo nobiliare nel Medio Evo: conte. Nacque quindi come titolo conferito in segno di stima da parte dell'imperatore e si evolse in un titolo nobiliare vero e proprio.
Carta con le date dell'avanzata della
migrazione dei Visigoti attraverso
l'Europa.
Teodosio accorse per frenare l'invasione dei Goti ma dovette in seguito riconoscere i goti Tervingi (poi chiamati Visigoti) come federati, che cominciarono così a percorrere l'impero in ogni direzione. La battaglia di Adrianopoli segna il momento culminante della Guerra gotica, durata fino al 382. Gli Unni, giungendo fino all'Elba, spingevano intanto contro le frontiere romane anche i Germani occidentali che da allora, alla guida dei loro re, estesero sempre più i loro  insediamenti  nelle provincie dell'impero. Le violente incursioni degli Unni causarono movimenti migratori  anche da parte degli Slavi occidentali, i Venedi-Sclavini stanziati nelle terre a sud-ovest dell'Elba e dell'Oder, pur non essendo stati interessati direttamente da loro incursioni. Come reazione alla spinta degli Unni, si crearono unioni tribali miste di GermaniSlaviSàrmati e Mauri, mentre non vi parteciparono i Goti, in via di conversione all'arianesimo cristiano, contro cui combattevano invece tribù Sarmatiche e Slave. 

- In seguito al disastro di Adrianopoli dell'agosto del 378 in cui era stato ucciso l'imperatore d'oriente Valente, Graziano si ritrovava a governare anche la parte orientale dell'impero, ma sentendosi impreparato a fronteggiare da solo la pressione barbarica nominò, il 19 gennaio 379, il suo magister militum Teodosio imperatore d'oriente come Teodosio I e da lì in poi gli imperatori romani e i loro successori avrebbero adottato una nuova strategia di contenimento  nei confronti dei barbari, cominciando ad adottare politiche di pacificazione basate sui sistemi di hospitalitas foederatio, meccanismi che consentissero l'integrazione e l'assimilazione delle genti che premevano lungo il limes romano. La disfatta di Adrianopoli inoltre, accelerò quel processo di apertura all’immigrazione barbarica che già da secoli preoccupava i romani e li vedeva costretti a stipulare patti di accoglienza con quelle popolazioni d’oltre Danubio che richiedesseo di stabilirsi nell’Impero. Adrianopoli innescò un circolo vizioso per il quale le forze militari romane iniziarono a fare assegnamento, in modo sempre più esclusivo, sull'apporto dei soldati di origine barbarica, al punto che l’esercito giunse ad essere costituito, in larga parte, da mercenari e truppe barbare romanizzate e da non poter prescindere dall'impiego di dediticii, i discendenti dei dediti, i componenti di comunità, una volta del tutto autonome, che per mezzo della sottomissione volontaria, (la deditio), erano entrati in rapporto di dipendenza con Roma. La battaglia segnò l’inizio del percorso che avrebbe portato alla caduta definitiva dell’Impero  (d'Occidente) e al suo sfaldamento per l'incapacità di gestire un tassello basilare come quello militare, a causa delle sempre più frequenti pressioni che i militari stranieri esercitavano sull'autorità imperiale, in termini di donativi, privilegi e richieste che, a vario titolo, i vertici dell'esercito insistevano a pretendere dagli imperatori. L'incapacità di far fronte a queste domande, il rafforzarsi della posizione dei comandanti barbari che disponevano spesso di un proprio e autonomo esercito all'interno dell'impalcatura militare romana e l'acuirsi di forme di ricatto, costituirono i punti deboli del potere romano. Questo processo fu contrastato e arrestato con successo alla metà del V secolo nella  Pars Orientis dell'impero, mentre in occidente si svilupperà incontrastato fino alla presa di potere di Odoacre nel 476, diventando una delle maggiori cause, se non la causa, della fine dell'impero romano d'Occidente.

Pannonia con Sirmio, da QUI
- Da QUI: La vita alla corte imperiale d'Occidente di Sirmio doveva essersi fatta pesante per l'incalzare dei Goti, soprattutto dopo il disastro di Adrianopoli del 9 agosto 378, in cui era morto bruciato l'imperatore d'Oriente Valente, cognato di Giustina. Graziano si trasferisce a Sirmio per essere più vicino al teatro delle battaglie, ma alla fine dell'anno si consiglia un trasferimento  di Giustina e figli a Milano, per il momento al sicuro da qualsiasi attacco. Il trasferimento non piacque a nessuno: nè al vescovo Ambrogio che temeva, a buona ragione, l'invasione delle truppe ariane al servizio di Giustina e Valentiniano II, né a Graziano, che con il vescovo stava intessendo un rapporto di amore filiale e tanto meno alla stessa Giustina, che non tollerava rivali a corte. Paolino (biografo di Ambrogio) continua così la narrazione (Vita Ambr., 12): "Giustina, trasferita la corte a Milano nel 378, sobillava il popolo con l'offerta di doni e di onori. Gli animi dei deboli erano accalappiati da tali promesse: assegnava infatti tribunati e diverse dignità a coloro che avessero rapito il vescovo dalla chiesa e condotto in esilio". In effetti Giustina richiese per il culto ariano l'assegnazione di una basilica e, di fronte al netto rifiuto del vescovo, la fece occupare. Graziano dovette intervenire ordinando ufficialmente il sequestro della basilica per garantirne l'officiatura da parte ariana. L'imperatrice-madre tentò di sostituire Ambrogio con Giuliano Valente, vescovo cattolico ma con aperture verso l'arianesimo. Negli atti del concilio di Aquileia del 381 Ambrogio lo accusa di indossare collana e braccialetti  come i Goti, cosa doppiamente empia, e di turbare la chiesa milanese provocando tumulti sia davanti alla sinagoga, sia nelle case degli ariani. La durezza dello scontro dovette non poco sconcertare il giovane imperatore Graziano, che chiese ad Ambrogio un fidei libellus e il vescovo compose per lui il De fide, un'amplissima confutazione dell'arianesimo.

- Dopo secoli di ininterrotta dominazione romana, l'Hispania ne aveva assorbito totalmente la cultura latina, ne aveva adottato la lingua, i costumi e le leggi, acquisendo un'importanza fondamentale all'interno dell'Impero romano, tanto da dare i natali a due imperatori: Traiano e Teodosio I (mentre sulla nascita ispanica di Adriano sussistono seri dubbi) e ad alcuni importanti scrittori, fra cui Seneca e Marziale.

Nel 379 - Il 19 gennaio 379, in seguito alla morte dell'imperatore Valente nella disastrosa battaglia di Adrianopoli ad opera dei Goti, l'imperatore Graziano associa il suo magister militum  Teodosio (cristiano di origine ispanica) alla guida dello stato, nominandolo imperatore romano d'Oriente.  Flavio Teodosio, conosciuto anche come Teodosio I (Coca, 11 gennaio 347 - Milano, 17 gennaio 395), nacque a Coca in Hispania, nell'attuale Provincia di Segovia (Castiglia e León), in una famiglia influente e benestante dell'aristocrazia locale. Suo padre era Teodosio (detto "il Vecchio" dagli storici per distinguerlo dal figlio), funzionario imperiale di rango elevato, sua madre si chiamava Termanzia. Teodosio I aveva un fisico ben proporzionato, i capelli biondi e il naso aquilino. Uomo non privo di valore come ci viene tramandato da Zosimo, il giovane Teodosio fece la carriera militare. Condivideva la vita dei soldati e, pur amando la magnificenza e i piaceri, sapeva ritrovare tutta la propria forza ed energia nei momenti di pericolo. Teodosio fissò inizialmente la propria residenza a Tessalonica. Graziano affidò a Teodosio il compito di proteggere i confini dell'area dell'Illirico e dei Balcani e quest'ultimo decise di ricostruire l'esercito romano che l'anno precedente era stato distrutto dalle forze barbariche dei Goti. Frattanto lungo il fronte renano l'imperatore Graziano era costretto a respingere nuove invasioni di Alemanni e Franchi. Verso la fine del 379 Teodosio si ammalò gravemente e, come era usanza presso i cristiani del tempo, venne battezzato. 

- L'Illirico orientale, è aggiudicato dall'imperatore Graziano all'Impero d'Oriente governato dall'ispanico Teodosio I, ma Stilicone lo rivendicherà in seguito per l'Occidente. L'Illiria, ripartita fra le due parti dell'Impero, sarà quindi fonte di continue dispute che inizieranno a profilarsi subito dopo la morte di Teodosio I. 

- Da QUI: Il 19 gennaio 379 Graziano si associa nell'impero, quale augusto d'Oriente, il cattolicissimo generale Teodosio, il cui padre aveva fatto giustiziare a Cartagine solo tre anni prima: dopo la vittoria di Flavio Teodosio noto come Conte Teodosio o Teodosio il Vecchio o Seniore sul ribelle Firmo in Mauretania, che si era ribellato a causa delle vessazioni subite dal governatore romano della provincia, il comes Africae Romano di cui Teodosio aveva rivelato le malefatte e dopo la morte di Valentiniano I (novembre 375), Teodosio fu arrestato, portato a Cartagine e giustiziato nella prima parte del 376, non prima di essersi battezzato. La decisione di Graziano era stata suggerita, a quanto pare, dai cattolici milanesi. Infatti Graziano è a Treviri da fine agosto 379 a primavera 380, accompagnato da Manlio Teodoro, l'influente comes rerum privatorum a capo della fazione cattolica milanese. Quali argomenti abbia usato l'amico di Ambrogio per convertire alla propria fazione il duttile imperatore non sappiamo, ma quando Graziano ritorna a Milano il 22 aprile 380 emana un editto che impone la confisca di tutti i luoghi di culto a vantaggio dei cattolici e impone che sia restituita ai cattolici una basilica sequestrata dagli ariani non per sua iniziativa (Ambr., De spiritu I, 8, 19-21).


Nel 380 - Il 27 febbraio, viene emesso dagli imperatori Teodosio I (imperatore d'oriente)  Graziano e Valentiniano II che all'epoca aveva solo nove anni (co-imperatori dell'occidente), l'editto di Tessalonica, conosciuto anche come "Cunctos populos". Il decreto dichiara il cristianesimo secondo i canoni del credo niceno la religione ufficiale dell'imperoproibisce in primo luogo l'arianesimo e secondariamente anche i culti pagani. Per combattere l'eresia si esige da tutti i cristiani la confessione di fede conforme alle deliberazioni del concilio di Nicea. La nuova legge riconosceva alle due sedi episcopali di Roma e Alessandria d'Egitto il primato in materia di teologia.
« GLI IMPERATORI GRAZIANO, VALENTINIANO E TEODOSIO AUGUSTI. EDITTO AL POPOLO DELLA CITTÀ DI COSTANTINOPOLI. Vogliamo che tutti i popoli che ci degniamo di tenere sotto il nostro dominio seguano la religione che san Pietro apostolo ha insegnato ai Romani, oggi professata dal Pontefice Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, uomo di santità apostolica; cioè che, conformemente all'insegnamento apostolico e alla dottrina evangelica, si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno considerati stolti eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa. Costoro saranno condannati anzitutto dal castigo divino, poi dalla nostra autorità, che ci viene dal Giudice Celeste. DATO IN TESSALONICA NEL TERZO GIORNO DALLE CALENDE DI MARZO, NEL CONSOLATO QUINTO DI GRAZIANO AUGUSTO E PRIMO DI TEODOSIO AUGUSTO » Codice Teodosiano, xvi.1.2). Ad Alessandria d'Egitto, viene chiuso una prima volta il Serapeo, tempio della tradizione religiosa ellenistica, che contiene la biblioteca con la memoria del pensiero ellenistico. La popolazione alessandrina decide di desistere dall'occupazione del tempio solo quando i messi imperiali leggono l'ordine dell'imperatore:  per gli antichi, lo scritto era sacro maggiormente lo era quello dell'imperatore, rappresentante in terra dell'ordine divino.
Teodosio I.
L'editto, pur proclamando il Cristianesimo religione di Stato dell'impero romano, non stabiliva alcuna direttiva specifica a proposito. Bisognerà attendere i cosiddetti decreti teodosiani, promulgati dallo stesso Teodosio I, che tra il 391-392 normarono l'attuazione pratica dell'editto di Tessalonica. L'editto di Tessalonica è ritenuto importante dagli storici in quanto diede inizio a un processo in base al quale «per la prima volta una verità dottrinale veniva imposta come legge dello Stato e, di conseguenza, la dissidenza religiosa si trasformava giuridicamente in crimen publicum: ora gli eretici potevano e dovevano essere perseguitati come pericolo pubblico e nemici dello Stato». L’imperatore Teodosio pensava che dovesse essere la Provvidenza a sottomettere il cuore degli uomini, trasformando “ogni ferocia in dolcezza”, come riferiva il filosofo ed alto funzionario dello stato Temistio. Nello stesso anno Graziano inviò alcuni generali per liberare l'Illiria dai Goti, consentendo a Teodosio di entrare finalmente a Costantinopoli il 24 novembre del 380, al termine di una campagna militare durata due anni. Durante il regno di Teodosio le regioni orientali rimasero relativamente tranquille, anche se i Goti e i loro alleati, insediatisi stabilmente nei Balcani, erano motivo di continuo allarme. La tensione crebbe a poco a poco, tanto che, a un certo punto, l'imperatore associato Graziano rinunciò a mantenere il controllo delle province illiriche e si ritirò a Treviri, allora compresa nel territorio della Gallia. La manovra aveva lo scopo di consentire a Teodosio di portare avanti senza intralci le successive operazioni militari. Un motivo di grave debolezza degli eserciti romani del tempo era legato alla pratica di arruolare contingenti fra le popolazioni barbare e farli combattere contro altri barbari, spesso etnicamente affini. Per tentare di limitare gli effetti negativi che ne derivavano, Teodosio inviò ripetutamente le nuove reclute in Oriente, nelle province più lontane dai confini danubiani (soprattutto in Egitto), con la necessaria e costosa conseguenza di doverle rimpiazzare con leve romane più affidabili in altre aree dell'impero. Tale politica non fu esente da inconvenienti: oltre a improvvise defezioni si registrarono anche incomprensioni e persino scontri armati fra romani e federati barbari. A Filadelfia, in Lidia, i federati goti diretti in Egitto incontrarono sul proprio cammino un'armata romana proveniente da questa stessa provincia e ingaggiarono contro di essa una assurda e sanguinosa battaglia.

- Nel corso del 380 i goti Tervingi (poi chiamati Visigoti) di Fritigerno (convertitisi in cristiani ariani) devastano la  Macedonia, mentre gli Ostrogoti di Alateo e Safrax conducono nuove incursioni in Pannonia. Al termine di queste nuove incursioni l'imperatore Graziano sarà costretto a concedere ad alcuni di loro di stanziarsi insieme ai Vandali come foederati in Pannonia.

- Da QUI: Il 30 settembre 380 a Sirmio, Graziano e Teodosio sottoscrivono un accordo per una  nuova sistemazione dell'impero: Valentiniano II, di soli nove anni, controlla la prefettura d'Italia, Illirico e Africa con sede a Milano; Graziano viene spedito a Treviri a controllare le bellicose Gallie e Teodosio si tiene il meglio, l'Oriente con sede a Costantinopoli. La frontiera occidentale era l'inferno per i romani. Graziano lo capisce immediatamente e il 29 marzo 381 è già di ritorno a  Milano con tutto il suo seguito. Ambrogio non può che esultare per aver riottenuto il suo docile alleato, che per la Pasqua gli fa riconsegnare la solita basilica occupata dagli ariani. Giustina è stizzita e si sposta ad Aquileia e allora Ambrogio va a portare guerra anche in quella città, facendo indire con lettere di Graziano un sinodo provinciale che inquisisca gli ariani. Come si direbbe oggi, era un processo chiaramente politico e anche la lettura degli asettici atti processuali ci fanno piombare in un clima cupo che prelude ai processi medievali. A Milano la lotta contro Ambrogio è portata avanti con zelo da Macedonio, il magister officiorum fedele a Giustina, che controllava diversi uffici del palazzo imperiale, dalla segreteria alla schola di agentes in rebus, opponendosi all'ingerenza di Ambrogio nelle questioni civili.

Nel 381 - Concilio ecumenico di Costantinopoli, cui presero parte solo esponenti della Chiesa dell'Impero romano d'Oriente, in cui venne ribadita l'uguaglianza tra le divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e nello specifico è accettato il dogma che lo Spirito Santo procede dal Padre attraverso il Figlio (in latino: ex Patre procedit). Successivamente, la sola Chiesa di Roma celebrerà un suo Concilio a Toledo, nell'anno 589 (sotto Papa Pelagio II), nel quale modificherà questo dogma e stabilirà che lo Spirito Santo promana dal Padre e dal Figlio (in latino: ex Patre Filioque procedit). Questa variazione non sarà accettata dagli altri patriarcati, soprattutto da quello di Costantinopoli, che intravvederà in questo cambiamento una sorta di negazione del monoteismo, e si arriverà, nel 1.054 ad uno scisma della chiesa cristiana fra "cattolica" cioè universale, quella romana  e "ortodossa", fedele al dogma di Nicea del 325, quella costantinopolitana.

- Dopo le invasioni dei goti Tervingi (poi chiamati Visigoti) dalla Tracia fino in Grecia e i saccheggi nei Balcani, il re visigoto Atanarico riesce a negoziare una pace, nel 381, col nuovo imperatore Teodosio I ottenendo che i Visigoti divenissero alleati ufficiali di Roma con un'autonomia  che mai era stata concessa alle nazioni sottomesse dai romani. La pace verrà ratificata solo l'anno dopo, nel 382, dai nuovi capi dei Visigoti, tra cui Fravita, ed il trattato valse fino alla morte di Teodosio nel 395. Ai Visigoti, cui fu riconosciuto lo status di foederati, venne assegnata la Tracia settentrionale (province di Scythia e di Moesia Minor), ma una parte di essi fu insediata in Macedonia. Secondo la concezione del diritto germanico, i capi goti si ritenevano vincolati ai patti solo in forma individuale, e non già "statale". Da allora l'esercito Romano sarà costituito il larga parte da Sàrmati e Goti e comandato da capi goti (come Gaina) e imporrà a tutto l'impero il cristianesimo, contro il paganesimo, il cristianesimo ariano e ogni altra forma di eresia cristiana.

- Nel 381 il co-imperatore d'occidente Graziano sposta la capitale dell'impero romano d'Occidente da Treviri a Milano.

Nel 382 - Concilio di Roma in cui papa Damaso I sancisce il primato di Roma in qualità di sede apostolica. In un periodo piuttosto burrascoso per il cristianesimo e nonostante le accuse a proprio carico, grazie alla sua forte personalità, Damaso si batté per il riconoscimento della supremazia della sede episcopale di Roma e difese con vigore l'ortodossia cattolica contro tutte le eresie. In due sinodi romani (368 e 369 o 370) condannò fermamente l'apollinarismo e il macedonianismo. Nel secondo dei due sinodi scomunicò Aussenzio, il vescovo ariano di Milano (che comunque mantenne la sede fino alla morte, nel 374, quando fu sostituito da Ambrogio). Il sinodo di Antiochia del 378 stabilì la legittimità di un vescovo solo se riconosciuto tale da quello di Roma, e forte di questo diritto (e spalleggiato dal vescovo Ambrogio di Milano che coniò, per l'occasione, la formula "Dove è Pietro, là è la Chiesa") depose immediatamente tutti i vescovi ariani. Nella lotta contro l'arianesimo, che fu sensibilmente ridotto anche per la favorevole politica degli imperatori Graziano in Occidente e Teodosio I in Oriente, si avvalse anche del grande aiuto di San Girolamo, ardente predicatore dell'ortodossia. Il momento era favorevole al dogmatismo cattolico, come è dimostrato dalla convocazione del Concilio di Costantinopoli (381), dove Damaso inviò i suoi legati e nel quale, oltre alla ferma condanna di tutte le eresie, venne affermata la divinità dello Spirito Santo e ribadito, in una formulazione più precisa, il "simbolo niceno" già affermato nel concilio di Nicea del 325. Damaso sollecitò san Girolamo (che fu anche suo segretario privato per qualche tempo) ad intraprendere la revisione delle antiche versioni latine della Bibbia, nota come "Vulgata". Grazie al suo impegno, la Chiesa orientale, nella persona di Basilio di Cesarea (nei confronti del quale Damaso nutrì però sempre dei sospetti), ne implorò l'aiuto e l'incoraggiamento contro l'arianesimo che laggiù era trionfante. Sulla questione dello scisma meleziano ad Antiochia di Siria, Damaso, con Atanasio di Alessandria prima e poi Pietro II di Alessandria (che ospitò a Roma durante l'esilio) parteggiò per la fazione di Paolino, considerato più rappresentativo dell'ortodossia di Nicea; alla morte di Melezio, Damaso cercò di assicurare la successione a Paolino nella sede episcopale di Licopoli. Il pontefice sostenne, inoltre, l'appello dei senatori cristiani all'Imperatore Graziano per la rimozione dell'altare della Vittoria dal Senato, fatto lì ricollocare dall'imperatore Giuliano e sotto il suo pontificato fu emanato il famoso "Editto di Tessalonica" di Teodosio I, (27 febbraio 380), che definiva il credo niceno (e quindi il Cristianesimo nella formulazione romana) come religione di stato. Oltre all'affermazione della formula nicena, che dunque toglieva di mezzo le dottrine ariane, l’editto definiva per la prima volta i Cristiani seguaci del vescovo di Roma “cattolici”, bollando tutti gli altri come eretici e come tali soggetti a pene e punizioni. Quando, nel 379, l'Illiria si staccò dall'Impero romano d'Occidente, Damaso si affrettò a salvaguardare l'autorità della Chiesa di Roma nominando un vicario apostolico nella persona di Ascolio, vescovo di Tessalonica. Questa fu l'origine dell'importante vicariato papale legato a quella sede. Damaso invocò il "testo petrino" (Matteo 16,18), e fu il primo papa a definire la chiesa romana "sede apostolica" (sedes apostolica), definizione utilizzata per tutto il millennio successivo e che rivendicava alla chiesa romana una posizione monopolistica con sovranità e primato su tutte le altre chiese. In contrapposizione con i decreti del Concilio di Costantinopoli I, il Concilio di Roma (382) decretò che la chiesa romana non era stata creata da un decreto sinodale, ma era stata fondata da due apostoli, san Pietro e san Paolo. Altra affermazione del Concilio romano fu quella secondo cui la chiesa romana era stata fondata per volontà divina. Il risultato ideologico conseguito da questo Concilio fu che la giustificazione storica e politica del primato della chiesa romana fu sostituita dall'affermazione di una legge divina che aveva fatto degli apostoli i suoi fondatori. La formula utilizzata nel Concilio per la prima volta "primato della chiesa romana" ebbe effetti decisivi nella storia papale successiva: da Damaso in poi, infatti, si nota un marcato aumento del volume e dell'importanza delle pretese di autorità e di primato da parte dei vescovi romani. Questo sviluppo dell'ufficio papale, specialmente ad Occidente portò un grande aumento dello sfarzo. Tale splendore secolare riguardò molti membri del clero romano, i cui scopi mondani ed i cui costumi furono duramente redarguiti da san Girolamo, provocando, il 29 luglio 370, un editto dell'imperatore Valentiniano I indirizzato al papa, che vietava ad ecclesiastici e monaci (più tardi anche vescovi e monache) di perseguire vedove ed orfani nella speranza di ottenere da loro regali e lasciti. Il papa impose che la legge fosse strettamente osservata. Damaso morì l'11 dicembre 384.

- Da QUI: Nell'autunno del 382 le legioni di stanza nelle Gallie, preoccupate dalla mancanza di un comandante supremo che fronteggi l'inesauribile impeto delle invasioni barbariche, acclamano imperatore Magno Massimo, un generale ispanico, cattolico, grande amico di Teodosio; contemporaneamente da Milano Graziano promulga una serie di editti che minano alle radici la tradizione religioso-politico romana: viene abolita la nomina per il mantenimento delle Vestali; vengono confiscati i beni a tutti i collegi sacerdotali pagani e viene rimosso l'altare della Vittoria nel senato romano, sul quale giuravano fedeltà i senatori. Graziano dispone che i sussidi tolti a sacerdoti e vestali vadano a favore dei baiuli (facchini), vespillones (becchini) e tabellari (postini). Dal canto suo Ambrogio vieta i refrigeria, i banchetti che si celebravano sulla tomba nell'anniversario della nascita di un defunto. Ci resta un'interessante descrizione del rito e della fatica a rinunciarvi nelle Confessioni di S. Agostino (6, 2), relativamente alle abitudini di sua madre Monica a Milano, dal 385. Come monumenti imperituri di tanto fervore cattolico, Graziano e Ambrogio promuovono la costruzione di due basiliche extra-murane ma non cimiteriali, una a sud, oggi nota come S. Nazaro e SS. Apostoli, l'altra a nord, S. Simpliciano.

- Teodosio I, nella sua carica di imperatore d'Oriente, accetta di concludere con i Goti un foedus. Il 3 ottobre 382 è stato stipulato con i Goti, o perlomeno con quelli che erano scampati alla guerra, un trattato che li autorizzava a stanziarsi lungo il corso del Danubio, che allora costituiva il confine dell'impero, e più precisamente nella diocesi di Tracia, e di godervi un'ampia autonomia. In seguito molti di loro avrebbero militato stabilmente nelle legioni romane, altri avrebbero partecipato a singole campagne militari in qualità di federati, altri ancora, riuniti in bande di mercenari, avrebbero continuato a cambiare alleanza, finendo col diventare un motivo di grande e perdurante instabilità politica per tutto l'impero.

Nel 383 - Il 25 agosto, Graziano, co-imperatore romano (con Valentiniano II) d'Occidente su  Gallia, Spagna e Britannia, è assassinato a Lugdunum (Lione) dal magister equitum di Magno Massimo, Andragazio. Magno Massimo, anche noto come Magno Clemente Massimo e Massimiano (335 - 388), era un generale e usurpatore dell'Impero romano.
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La sua figura, rielaborata e romanzata, è entrata a far parte del ciclo bretone del Mabinogion in cui viene indicato con il nome di Macsen Wledig. Originario della Hispania come l'imperatore Teodosio I, Massimo aveva combattuto con Teodosio il Vecchio, padre di Teodosio I, nella campagna in Britannia del 368-369 e si era distinto per le sue qualità militari contro i Pitti. Nella primavera del 383, Magno Massimo era stato proclamato imperatore  dalle legioni di stanza in Britannia: le ragioni dello scontento erano l'ammissione nell'esercito romano di contingenti di barbari, in particolare Alani  assunti con paghe elevate. Era sbarcato quindi in Gallia per affrontare in battaglia l'imperatore Graziano, nei pressi di Parigi. Dopo cinque giorni di scaramucce, lo scontro era stato deciso dal passaggio della cavalleria dei Mauritani (la Mauretania era una provincia romana dal 33 d.C. e i Romani chiamavano con il nome Mauri tutti i popoli nativi del Nord Africa) seguita da altre truppe di Graziano, dalla parte di Massimo. Graziano era fuggito allora verso sud, ma venne raggiunto presso Lugdunum dal magister equitum di Massimo Magno, Andragazio e lì ucciso. A questo punto, Magno Massimo si ritrova padrone della Gallia, della Britannia e dell'Hispania, ma non osa muovere guerra al giovane imperatore Valentiniano II (371-392), fratellastro di Graziano e signore dell'Italia e dell'Africa, poiché era amato dalle legioni e protetto dal generale Bautone. Magno Massimo immaginava, tra l'altro, che quando costui avesse raggiunto la maggiore età, avrebbe certamente tentato di far valere la legittimità del suo diritto dinastico a regnare su tutto l'Occidente, probabilmente appoggiato da Teodosio. In ogni caso Massimo pone la propria capitale ad Augusta Treverorum (Treviri) ed invia un'ambasciata a Teodosio, imperatore in Oriente, per proporre un trattato di amicizia. In quel momento Teodosio era preoccupato per gli avvenimenti della frontiera orientale, dove i persiani avevano rotto il trattato con Costantinopoli e premevano sui confini, pertanto, pur desideroso di vendicare il cugino Graziano (a cui, tra l'altro, era debitore del titolo imperiale), ritenne più opportuno non impegnarsi su altri fronti e accettò di riconoscere Massimo imperatore, confermandogli la sovranità sulla prefettura gallica e riconoscendolo console per il 384, ma solo in Occidente; acconsentì inoltre l'erezione di statue di Massimo al fianco di quelle dedicate a lui.

- Da QUI: Il 25 agosto 383 viene assassinato il ventiquattrenne Graziano nel corso di un banchetto organizzato in suo onore a Lugdunum (Lione). Anche in questo caso le fonti storiche sono discordanti: secondo alcuni nel banchetto fu assassinata tutta la famiglia imperiale, cioè anche Costanza e il bambino che era nato nel 379. Secondo altri Costanza era già morta e Graziano si era risposato con Leta. Il vescovo Ambrogio non ne fa menzione. Se l'eliminazione dell'intera famiglia risponde a verità, prenderebbe corpo l'ipotesi della lotta dinastica piuttosto del problema del controllo militareGiustina teme che l'alleanza Teodosio-Massimo sia fatale anche al figlio e rinforza l'esercito goto, ma il giovane Valentiniano II è schiacciato fra la pressione materna, quella del generale franco Bautone che vuole governare a suo nome e quella psicologica del vescovo Ambrogio. Non fa in tempo a sottoscrivere il ripristino dell'ara della Vittoria in senato, che Ambrogio gli scrive in maniera così sottilmente minacciosa da fargli annullare il decreto. E così anche quando ordina la restituzione dei fondi ai collegi sacerdotali, Ambrogio riesce a bloccare l'esecuzione del decreto.


Nel 384 - Magno Massimo, per inasprire i rapporti con Valentiniano II, di cui sospettava che raggiunta la maggiore età avrebbe fatto valere il suo diritto a regnare su tutto l'Occidente, si inserisce nella diatriba tra ariani e cattolici, appoggiando quest' ultimi mentre Giustina, madre di Valentiniano II che esercitava di fatto il potere a causa della minore età del sovrano, perseguiva una politica favorevole agli ariani, essendo ariana essa stessa. Per ergersi a campione del cattolicesimo niceno, nel 384 Magno Massimo dà udienza, nell'Aula Palatina di Augusta, a Martino di Tours, il famoso S. Martino dell'11 novembre (Sabaria, 316 circa - Candes, 8 novembre 397, vescovo originario della Pannonia che esercitava il suo ministero in Gallia, tra i primi santi non martiri proclamati dalla Chiesa cattolica), a proposito della presunta eresia di Priscilliano di Avila (Galizia, 340 - Treviri, 385) vescovo spagnolo fondatore del Priscillianesimo, dichiarato eretico dal primo concilio di Saragozza dopo che si era rifugiato in Hispania dove predicava le sue idee, che riscuotevano un gran successo fra le donne e le classi popolari, che avversavano l'unione fra Chiesa e Impero oltre alla corruzione e all'arricchimento del clero. Martino di Tours prese le difese del Priscillianesimo, forse anche mal sopportando un processo perorato dall'autorità civile usurpatrice su un tema prettamente ecclesiale.

- Nello stesso 384, Teodosio I invia il generale romano di padre vandalo Stilicone presso lo Scià persiano sasanide Sapore III per negoziare la pace e la spartizione dell'Armenia. La missione ebbe successo e, tornato a Costantinopoli, Stilicone fu promosso al rango di comes sacri stabuli e si sposò con Serena, figlia di Onorio, un fratello defunto di Teodosio, quindi anche lei di origine ispanica, descritta da Claudiano come bionda, bellissima, ma anche ambiziosa, autoritaria e senza scrupoli. Alla morte dei genitori era stata adottata come figlia da Teodosio, che l'adorava: era l'unica capace di arrestare le sue collere esplosive, di allietare le sue depressioni, di lenire le sue febbri. La giovane donna era cresciuta consapevole del suo fascino e del suo potere, che esercitò a Costantinopoli dando parecchio filo da torcere alla pia Flaccilla, la prima moglie di Teodosio e poi forse anche a Galla, la seconda moglie. Elia Flavia Flaccilla ( ... - Costantinopoli, 386) prima moglie dell'imperatore Teodosio I gli aveva dato una figlia, Pulcheria, morta infante, Arcadio (Hispania, 377 circa) e Onorio (9 settembre 384). Dall'unione di Serena e Stilicone nasceranno invece Eucherio e due femmine, Maria e Termanzia che andranno in spose, in momenti successivi, all'imperatore d'occidente figlio di Teodosio Onoriononostante le sue tendenze fossero risaputamente  omosessualiFlavio Stilicone (359 circa - Ravenna, 22 agosto 408) fu il magister militum  romano, d'origine vandala da parte di padre, che di fatto governò la parte occidentale dell'impero romano dalla morte di Teodosio I fino alla sua esecuzione. Stilicone era nato nell'odierna Germania da padre vandalo, ausiliario romano ufficiale di cavalleria sotto l'Imperatore Valente, e da madre cittadina romana. Tuttavia si considerò sempre un romano, sebbene, come molti germani, fosse di confessione religiosa ariana, considerata eretica dal resto del Cristianesimo. Parlava correttamente le tre lingue principali dell'epoca: il germanico d'uso corrente (una sorta di lingua franca per le tribù nomadi barbare), il latino e il greco (idioma prevalente nell'Impero Romano d'Oriente). Aveva seguito a Costantinopoli la carriera dei militari palatini:  tribunuscomes stabuli sacricomes domesticorum ed infine generale in capo di tutto l'esercito.

- Da QUI: Alla fine del 384 Giustina fa arrivare a Milano Mercurino, vescovo ariano di Durostorum (Silistra, sul Danubio in Romania), deposto da Teodosio, di probabile origine gota, discepolo di Ulfila. Giustina tenta di organizzare una chiesa ariana da contrapporre a quella cattolica, ed è guerra aperta tra lei e il vescovo. Nella primavera 385, in preparazione della Pasqua, gli uffici di corte chiedono ad Ambrogio di mettere a disposizione la basilica ecclesìa per la celebrazione delle feste. Il vescovo si reca subito a corte (Ep. 75A, 23): "Quando il popolo seppe che mi ero recato a palazzo, vi fece irruzione con tale impeto che non furono in grado di tener testa alla sua violenza; il conte militare uscì con le truppe leggere per mettere in fuga la folla e io fui pregato di placare il popolo promettendo che nessuno avrebbe invaso la basilica ecclesìa"; una probabile sommossa ben orchestrata. Il risentimento di Giustina è enorme: "L'imperatore non deve ricevere una basilica in cui recarsi e Ambrogio vuole essere più potente dell'imperatore?". Valentiniano assegna allora d'ufficio agli ariani la basilica Porziana extra muros, la cui identificazione è rimasta un enigma irrisolto in tutti questi secoli, ma i cattolici la occupano. Le truppe imperiali circondano allora sia la Porziana, sia la basilica ecclesìa e la Vetus, ma di fronte alla resistenza inflessibile di Ambrogio, onde evitare spargimenti di sangue, le truppe si ritirano. Giustina si sposta allora da luglio a dicembre 385 di nuovo ad Aquileia per preparare il contrattacco ad Ambrogio.  


Nel 385 - Per ingraziarsi l'appoggio dei cattolici, Magno Massimo ordina la decapitazione di Priscilliano, dietro istigazione dei vescovi spagnoli (si tratterà del primo cristiano ucciso per eresia). Il fragile equilibrio tra Massimo e Teodosio fu mantenuto dal vescovo di Milano Ambrogio, la cui fortissima personalità e il riconosciuto carisma gli consentirono, nonostante le divergenze religiose, di affiancare l'imperatrice Giustina come tutore del giovane imperatore Valentiniano II. Ancora nel 385/386 le relazioni tra Massimo e Teodosio si svolgevano su un tenore conciliante, forse perché Teodosio, che non aveva ancora risolto il problema con l'impero persiano ed era preoccupato dai voltafaccia di Gildone, figlio di Nubel, capo di un clan di Mauri e ufficiale romano in Africa, granaio di Roma dalla divisione dell'impero, ruolo che prima era stato svolto dall'Egitto, che da lì invece rifornirà solo la capitale d'Oriente, Costantinopoli) in Africa. Nel 386 comunque, il prefetto del pretorio di Gallia di Massimo, Euodio, esercitava il consolato assieme al figlio di Teodosio, Onorio ed era riconosciuto anche nei territori dell'Impero d'Oriente.

- Da QUI: Nella primavera 385, in preparazione della Pasqua, gli uffici di corte chiedono ad Ambrogio di mettere a disposizione la basilica ecclesìa per la celebrazione delle feste. Il vescovo si reca subito a corte (Ep. 75A, 23): "Quando il popolo seppe che mi ero recato a palazzo, vi fece irruzione con tale impeto che non furono in grado di tener testa alla sua violenza; il conte militare uscì con le truppe leggere per mettere in fuga la folla e io fui pregato di placare il popolo promettendo che nessuno avrebbe invaso la basilica ecclesìa"; una probabile sommossa ben orchestrata. Il risentimento di Giustina è enorme: "L'imperatore non deve ricevere una basilica in cui recarsi e Ambrogio vuole essere più potente dell'imperatore?". Valentiniano assegna allora d'ufficio agli ariani la basilica Porziana extra muros, la cui identificazione è rimasta un enigma irrisolto in tutti questi secoli, ma i cattolici la occupano. Le truppe imperiali circondano allora sia la Porziana, sia la basilica ecclesìa e la Vetus, ma di fronte alla resistenza inflessibile di Ambrogio, onde evitare spargimenti di sangue, le truppe si ritirano. Giustina si sposta allora da luglio a dicembre 385 di nuovo ad Aquileia per preparare il contrattacco ad Ambrogio.

Nel 386 - Da QUI: Il 23 gennaio 386 Valentiniano II emana da Milano una costituzione rivolta al prefetto pretorio Eusiginio che condanna l'integralismo di Ambrogio e in cui si concede diritto di culto pubblico agli ariani, pena di morte a chi si opponeva (Cod. Theod. XVI 1.4). Ambrogio viene invitato a lasciare Milano e a trovarsi una sede di sua scelta. La replica di Ambrogio è nel sermone che pronunciò nel marzo contro il suo rivale ariano Mercurino Aussenzio: "Imperator enim intra Ecclesiam, non supra Ecclesiam est (Perché l'imperatore è all'interno della Chiesa, non al di sopra della Chiesa)" (Ep. XXI), frase che valse ad Ambrogio la scelta a patrono della città. La reazione di Giustina, per mano del figlio, non tarda a farsi sentire: Ambrogio deve presentarsi con giudici di sua scelta davanti al consistoro per sostenere un contraddittorio con Mercurino Aussenzio. Ambrogio rifiuta e invita provocatoriamente il giovane imperatore a trasferirlo pure d'ufficio se non teme la guerra civile. L'esistenza del vescovo si fa durissima ed è seguito a vista dalla polizia imperiale. Per la Pasqua la corte chiede la basilica ecclesìa nova, ma i fedeli cattolici occupano già dalle Palme le tre basiliche, nova, vetus e Porziana. Per tenere svegli ed emotivamente eccitati i fedeli, Ambrogio introduce a Milano i canti antifonati, che rimarranno nella tradizione liturgica ambrosiana. L'occupazione, cominciata venerdì 27 marzo, si protrae fino a giovedì 2 aprile, poi Giustina demorde e decide di andare a festeggiare la Pasqua nella più tollerante Aquileia. A giugno è la volta di Ambrogio a sferrare un colpo basso: in maggio aveva consacrato la basilica degli Apostoli; il mese dopo, dovendo consacrare anche la basilica che da lui prese il nome e avendo predisposto la sua sepoltura sotto l'altare maggiore, la reazione ariana e imperiale è immediata: forse che il vescovo aveva avuto la presunzione di costruirsi un mausoleo per sé? Allora Ambrogio il 17 giugno 386 dice di aver rinvenuto presso la basilica dei SS. Nabore e Felice i corpi di due decapitati anonimi, che chiameranno Gervasio e Protasio, e li farà seppellire presso di sé: "Poiché non ho meritato personalmente di essere martire, ho almeno ottenuto questi martiri per voi" (Ep. XXII, 12). La provocazione nei confronti degli ariani era chiara, poiché l'arianesimo negava il culto dei martiri o dei santi o più in generale delle reliquie. In occasione delle "invenzioni" si alzavano le grida degli invasati dai demoni, che in questo modo attestavano l'autenticità dei corpi dei martiri. Dopo la "confessione" demoniaca, gli invasati erano liberati dagli spiriti immondi. Gli ariani si facevano beffe di tutto questo trambusto: "Nella corte una moltitudine di Ariani, che attorniavano Giustina, derideva la grazia divina che il signore Gesù mediante le reliquie dei suoi martiri s'era degnato di conferire alla Chiesa cattolica, e andava raccontando che Ambrogio s'era procacciato con denaro alcuni uomini che fingessero d'essere vessati da spiriti immondi e tormentati da Ambrogio stesso e dai martiri. E così parlavano gli Ariani con linguaggio di giudei, certo loro consimili" (Paolino, 15, 1-2). Il modello dell'invenzione è quello usato dall'imperatrice Elena, madre di Costantino, nel ritrovare sul Golgota la S. Croce, avvenimento celebrato da Ambrogio nell'orazione funebre per Teodosio. Nel novembre del 386 Giustina è esasperata dagli intrighi di Ambrogio e quindi si trasferisce temporaneamente ad Aquileia e intanto studia le modalità per il passaggio definitivo della capitale da Milano a Roma. Il vuoto lasciato dalla corte imperiale a Milano provoca la fatale discesa di Massimo, stanco anche lui della scomoda sede di Treviri.


Nel 387 - Magno Massimo, infastidito sia dall'opera conciliante di Ambrogio che per il continuo rafforzamento delle guarnigioni a difesa dei valichi alpini contro di lui, coglie l'occasione dell'infiltrazione di barbari in Pannonia per cui convince Donnino, ambasciatore di Valentiniano II, ad inviare di un contingente di rinforzi per fronteggiare l'invasione. Dopo aver scritto al nuovo vescovo romano Siricio (dal 384 Papa della Chiesa, che lo venera come santo), per una sorta di benestare all'intervento contro la corte di Milano che si professava apertamente ariana, nell'estate del 387 Magno Massimo varca le Alpi (i cui valichi erano stati liberati per far passare i rinforzi verso la Pannonia) con un esercito ben più numeroso di quanto ufficialmente pattuito e si presenta sotto le mura di Milano. Valentiniano II, la sorella Galla e la madre, che solo all'ultimo momento si rendono conto di quanto sta accadendo, fuggono prima ad Aquileia e poi a Tessalonica, presso Teodosio, che da pochi mesi aveva concluso la pace con l'impero persiano ed era dunque libero di occuparsi finalmente dell'usurpatore Magno Massimo, che per giustificare il suo gesto, dichiarava di aver agito solo in nome della difesa della fede cattolica. Di lì a poco, muore Giustina e Valentiniano si converte al cattolicesimo mentre Teodosio, rimasto da qualche tempo vedovo, ne sposa la sorella Galla. Nel giro di pochi mesi da tutto l'impero vennero reclutate truppe per l'esercito teodosiano, una parte del quale, al comando di Arbogaste, mosse direttamente verso la Gallia per affrontare Vittore, il figlio di Magno Massimo lasciato a presidio del territorio, mentre il grosso delle truppe, agli ordini dello stesso Teodosio, puntava verso Siscia (l'odierna Sisak) in Pannonia, quartier generale di Massimo. Valentiniano, nel frattempo, puntava verso Roma via mare. Messo alle strette, Magno Massimo tentò la strada del complotto, ma i suoi emissari, che avrebbero dovuto fomentare la ribellione tra le truppe barbare di Teodosio ed uccidere lo stesso imperatore, furono scoperti ed uccisi. La marcia senza ostacoli dell'esercito teodosiano colse di sorpresa la guarnigione di Siscia, che fu travolta (battaglia della Sava); nella successiva battaglia di Poetovio le truppe di Massimo furono sbaragliate. Con le poche truppe rimastegli fedeli, a causa delle continue defezioni a favore dell'esercito teodosiano, Massimo si rifugiò ad Aquileia. Mentre i rinforzi dalla Gallia non arrivavano poiché impegnati dalle truppe di Arbogaste, in Italia l'usurpatore gallico non godeva di molti consensi e d'altra parte le truppe barbare erano per loro natura propense a stare dalla parte del vincitore, che poteva assicurare un cospicuo bottino. Teodosio arrivò prima che Massimo potesse concepire un piano di difesa, e dopo pochi giorni di assedio la guarnigione e la cittadinanza si ribellarono a Massimo, che fu catturato e portato a Teodosio, che lo abbandonò alla furia omicida dei soldati. In Gallia suo figlio Vittore fu sconfitto e ucciso forse dallo stesso Arbogaste, mentre la flotta teodosiana distruggeva quella di Massimo, al cui comando era Andragazio, l'esecutore materiale dell'assassinio di Graziano, che si suicidò gettandosi in mare. Una possibile figlia di Massimo, Sevira, è citata sulla Colonna di Eliseg, una colonna iscritta alto-medioevale in Galles, che afferma che Sevira sposò Vortigern, re dei Britanni. Un'altra figlia, Maxima, fu forse data in sposa a Ennodio, proconsole d'Africa (395); il loro nipote fu Petronio Massimo, che regnò su Roma per 77 giorni prima di essere lapidato durante la fuga in occasione del Sacco di Roma da parte dei Vandali (24 maggio 455). Altri discendenti di Magno Massimo sono Anicio Olibrio, imperatore nel 472, e diversi consoli e vescovi, tra cui Magno Felice Ennodio (473-521), vescovo di Pavia. Dopo la caduta dell'usurpatore, Teodosio restaurò sul trono d'occidente Valentiniano II, almeno nominalmente, in quanto era in realtà sotto la tutela del magister equitum d'origine franca  Arbogaste, essendo nel frattempo morta la madre. I rapporti tra l'imperatore ed il suo tutore erano piuttosto tesi.

- Da QUI: Il vuoto lasciato dalla corte imperiale a Milano provoca la fatale discesa di Massimo, stanco anche lui della scomoda sede di Treviri. Giustina coi figli fugge a Salonicco nell'estate del 387 e richiede l'intervento armato di Teodosio. Il prezzo preteso da Teodosio è alto: prima di tutto Giustina e i regali rampolli devono abbracciare il cattolicesimo poi, quale garanzia, gli deve essere concessa Galla, appena pubere. Giustina sarebbe passata attraverso le fiamme del fuoco eterno pur di conservare l'impero al figlio Valentiniano e accetta senza troppe riflessioni tutte le condizioni. Ricevuta una flotta per tornare in Italia, s'imbarca sulla nave col figlio pronta a dar battaglia, ma non rivedrà più le coste italiane perché una provvidenziale morte le impedirà di assistere anche alla rovina dell'amato Valentiniano II. Le accuse contro Giustina continueranno anche dopo la sua morte. Paolino (biografo di Ambrogio) ci informa infatti che un tale Innocenzo, sottoposto a tortura dal giudice in un processo di stregoneria, confessò che i maggiori tormenti gli venivano inflitti dall'angelo custode di Ambrogio, perché ai tempi di Giustina era salito di notte sul tetto della chiesa per aizzare gli odi della gente contro il vescovo e ivi aveva compiuto sacrifici. Aveva anche mandato demoni a ucciderlo, ma non erano neppure riusciti ad avvicinarsi a lui, perché una barriera di fuoco difendeva la casa; un altro era arrivato armato fino alla camera, ma il braccio si era paralizzato finché non aveva confessato che il mandante era stata Giustina (Vita Ambr. § 20). Durante l'esilio di Giustina e Valentiniano II a Salonicco, nell'autunno del 387, Galla viene data precipitosamente in moglie a Teodosio, vedovo da due anni e quarantenne, che ha già due figli, Arcadio e Onorio. Galla ha circa tredici anni. Il matrimonio serve a sancire la legittimità della presenza di Teodosio sul trono d'Oriente, mentre per l'Occidente si tenta di recuperare il trono a Valentiniano II. La manovra fu così plateale che bisognò subito ammantarla di romanticismo. Zosimo, storico bizantino vissuto alla metà del V sec., racconta che Teodosio stava esponendo al consistoro la possibilità di un accordo col suo antico amico Magno Massimo, quando entrò Giustina con Galla, che suscitò a Teodosio un “colpo di fulmine”. Giustina acconsentì a concedere la figlia in matrimonio solo a condizione che Teodosio vendicasse la morte di Graziano, dichiarando guerra a Massimo. Alcuni vollero vedere in Galla doti che difficilmente oggidì potremmo attribuire a una tredicenne: Galla, grazie alla sua avvenenza e al grande fascino personale, avrebbe esercitato un grande ascendente sul marito Teodosio, che solo per lei avrebbe combattuto contro il suo amico Massimo. Come età Galla è molto più vicina ai figli di Teodosio che non al marito: ha solo tre anni più di Arcadio e la loro convivenza nel palazzo di Costantinopoli si dimostra subito problematica. Verso la fine del 390, anzi, i rapporti tra i due si erano fatti talmente gravi da rendere necessario il richiamo di Teodosio da Milano per placare gli animi. Galla potrebbe essere stata convinta della superiorità dinastica che vantava rispetto ad Arcadio e Onorio, sebbene lei stessa non fosse che la figlia di un ex generale pannonico e di una infaticabile arrampicatrice sociale (ma di dinastia costantiniana). La soluzione fu che lei si trasferisse con la piccola Placidia in un palazzo che da lei prese il nome, la domus Placidiana (Marcellinus Comes, Chronicon).

- Nel 387 Teodosio I sposa la sua seconda moglie Galla, quando i due avevano rispettivamente quaranta e sedici anni circa. Teodosio aveva già avuto tre figli dal precedente matrimonio con Flaccilla (Pulcheria Teodosia morta infante, Arcadio e Onorio) e da Galla avrà inizialmente un figlio, di nome Graziano, morto infante. Galla (374 - 394) era una dei quattro figli dell'imperatore romano Valentiniano I e della sua seconda moglie Giustina, ed era quindi sorellastra dell'imperatore Graziano, figlio di Valentiniano I e della sua prima moglie Marina Severa, associato al trono dal padre già nel 367 e sorella di Grata, Giusta e di Valentiniano II, proclamato augusto alla morte del padre nel 375, a soli quattro anni e sotto la reggenza della madre Giustina. Galla crebbe nella famiglia imperiale presso la capitale di Milano. Dopo la morte di Graziano nel 383 e in seguito all'attacco dell'usurpatore delle province galliche Magno Massimo, fuggì nel 387 con la madre e i fratelli a Tessalonica, presso l'imperatore Teodosio I, associato al trono da Graziano nel 379. Qui Giustina fece comparire la bellissima Galla in lacrime davanti al quarantenne imperatore, il quale la chiese in sposa: Giustina pose la condizione che Teodosio intervenisse in Italia per ricollocare Valentiniano sul trono e questi accettò. Il matrimonio fu celebrato quello stesso anno e Teodosio si recò in Occidente a combattere Massimo. Divenuta imperatrice, Galla si era trovata ad essere, a tredici anni, la madre adottiva dei figli del primo matrimonio di Teodosio, Arcadio (che aveva dieci anni) e Onorio. Nel 388 diede alla luce il primo figlio, Graziano, morto però ancora infante. Tra il 388 e il 391 Teodosio rimase in Italia, dove rimise sul trono Valentiniano; nel frattempo Galla e Arcadio, che vivevano a Costantinopoli nel Gran Palazzo, entrarono in contrasto, tanto che nel 390 Galla fu allontanata dal palazzo ma a quanto pare non definitivamente, poiché quando nel 392 nacque Galla Placidia e morì Valentiniano II, fratello di Galla, secondo la testimonianza dello storico Zosimo, lei "riempì la reggia con le sue grida". Morì nel 394 per le conseguenze di un altro parto a cui non sopravvisse neppure il bambino, Giovanni. Come la madre Giustina, Galla era probabilmente ariana.


Nel 388 - In ottobre, l'imperatore d'oriente Teodosio I assegna la sede di Milano al piccolo figlio Onorio (augusto d'occidente) che, avendo solo cinque anni, resta a Costantinopoli mentre a Milano va la nipote Serena, che avrà considerato il cambio di sede un male indispensabile per tenere sotto controllo Grata e Giusta, sorelle di Valentiniano II, facili prede di qualunque arrampicatore privo di scrupoli. Anche Teodosio si stabilisce a Milano, dove aveva fissato la propria residenza Valentiniano II, la capitale dell'impero d'occidente, dimorandovi, salvo brevi interruzioni, per oltre due anni, fino all'aprile del 391. Intensa fu in questo periodo l'attività legislativa dell'imperatore ispanico, tesa a combattere gli abusi: gratificazioni non dovute che i funzionari esigevano, produzione di monete false, violenze compiute da schiavi talvolta istigati dai loro stessi padroni, vendita di bambini da parte di genitori ridotti in miseria, campi saccheggiati di notte dai militari che oltretutto si dedicavano a tendere anche imboscate sulle strade. Fece anche una legge che dichiarava nulli i codicilli e le clausole mediante i quali venivano attribuiti lasciti all'imperatore o a membri della sua famiglia, che fu particolarmente lodata da Quinto Aurelio Simmaco. Milano era anche la sede episcopale di Ambrogio, sicché il vescovo poteva mantenere contatti regolari col supremo potere secolare. In occasione degli scontri che ebbero inevitabilmente a verificarsi, Ambrogio difese con tanta fermezza lo «ius (il diritto) sacerdotale» che possiamo riconoscere in lui il primo campione della Chiesa che sia riuscito a tracciare, in sede teorica e pratica, una netta linea di demarcazione tra le giurisdizioni secolare  spirituale. Gli ariani avevano fatto molti proseliti a Milano fino al regno di Teodosio I che, con l'editto del 380, aveva inflitto loro un colpo mortale in tutto il mondo romano. Durante il periodo di maggiore influenza ariana, il governo imperiale, cedendo alle pressioni degli scismatici, aveva ordinato ad Ambrogio di ceder loro la sua basilica episcopale. Egli rifiutò motivando il rifiuto con la teoria che «i palazzi, e non le chiese, son sotto la giurisdizione dell'autorità secolare», e che «le cose divine sono al di sopra del potere imperiale». Ambrogio ebbe così partita vinta e si tenne la basilica.

- Da QUI: Le gravidanze di Galla si susseguono, ma con esito infelice. Il primo figlio nasce nell'estate 388 e si chiama Graziano, poco opportunamente potremmo dire, visto che era stato Teodosio a relegare l'omonimo fratellastro di Galla a Treviri e a provocarne la morte. Il piccolo seguì presto la sorte dello zio. Era una ben strana sorte quella di Galla: lei, la legittima erede (poiché figlia di Giustina, costantiniana discendente da Crispo o Costanzo) dell'impero esiliata dal palazzo per i suoi attriti con il figliastro Onorio, dove stava invece Serena, di cui lo zio era lo stesso Teodosio e il marito Stilicone. Come un tempo l'infelice Elena, moglie dell'imperatore Giuliano, Galla era condannata a veder morire i suoi figli maschi.

- Nel 388/392 nasce Elia Galla Placidia (Costantinopoli, 388/392 - Roma, 27 novembre 450), imperatrice romana figlia dell'imperatore Teodosio I (che regnò dal 378 al 395) e della sua seconda moglie Galla, figlia di Giustina, che era verosimilmente appartenente alla dinastia costantiniana, probabilmente tramite sua madre, che potrebbe essere stata o figlia di Crispo, il primogenito di Costantino I (anche se identità e destino del figlio di Crispo ed Elena non sono noti; è stato proposto comunque che fosse una femmina e che fosse la madre dell'imperatrice Giustina da Harlow e altri) o di Giulio Costanzo (fratellastro di Costantino). In Galla Placidia si riunivano  quindi tre dinastie imperiali romane, la costantiniana, la valentiniana e la teodosiana. Suo nonno materno era l'imperatore Valentiniano I, suoi zii materni gli imperatori Graziano e Valentiniano II; entrambi i suoi due fratellastri (Arcadio e Onorio) sarebbero stati imperatori e dei due mariti che ebbe, uno era Ataulfo, re dei Visigoti e l'altro Costanzo III, imperatore romano d'Occidente assieme ad Onorio. Furono in seguito imperatori il figlio di Galla Placidia, Valentiniano III e suo nipote Teodosio II, figlio di Arcadio. All'inizio degli anni 390 Galla Placidia ricevette il titolo di nobilissima, che le dava una dignità pari a quella dei fratelli e delle proprietà che l'avrebbero resa finanziariamente indipendente. Claudiano, panegirista di Stilicone, descrive la bambina vestita d'oro e incoronata a fianco dei fratellastri in occasione della cerimonia d'incoronazione ad augusto del piccolo Onorio il 10 gennaio 393 a Costantinopoli: dovevano sembrare poco più di sontuose mascherine di carnevale, lui a nove anni con la corona raggiata in testa e i simboli del comando, lei una pupattola di quattro anni rifulgente d'oro. Sul cocchio che dal circo li ricondusse al palazzo mancava mamma Galla, forse impedita dalla gravidanza che doveva concludersi con la prematura morte di Giovanni.

Nel 389 - Dopo Maria nata nel 385, da Stilicone e Serena nasce Eucherio: l'evento fu considerato di buon auspicio ed essendo Serena sua figlia adottiva, Teodosio assaporò la gioia di essere nonno.


Nel 390 - In giugno, la popolazione di Tessalonica (l'odierna Salonicco) si ribella e impicca il magister militum dell'Illirico e governatore della città Buterico, reo di aver arrestato un famoso auriga e di non aver permesso i giochi annuali. Teodosio ordinò una rappresaglia; venne organizzata una gara di bighe nel grande circo della città a pochi giorni dai fatti e, chiusi gli accessi, vennero trucidate circa 7.000 persone. Un misfatto di proporzioni anche maggiori fu fatto molto tempo dopo da Giustiniano, a Costantinopoli. Quando giunse la notizia in Occidente, l'opinione pubblica ne fu profondamente commossa. Ambrogio, vescovo di Milano ne valutò tutta la gravità e mosso dal principio che «anche l'imperatore è nella Chiesa, non al disopra della Chiesa», scrisse a Teodosio una lettera sdegnata, imponendogli di espiare l'ingiusto massacro con mesi di penitenza  e una richiesta pubblica di perdono. Grande fu la meraviglia dell'imperatore all'inaudita pretesa del prelato, ma infine, minacciato di scomunica, si arrese e deposte le insegne imperiali, si sottopose pubblicamente al rito espiatorio nella basilica milanese. Nel Natale del 390, l'imperatore poté tornare a comunicarsi. Tutto ciò accadeva nel IV secolo, solo pochi decenni da quando la Chiesa era uscita dalle catacombe alla luce della legalità. Fu un'altra vittoria, ancor più clamorosa, di Ambrogio; secondo molti storici l'inasprimento della politica religiosa di Teodosio nei confronti del paganesimo fu in gran parte dovuta all'influenza che Ambrogio ebbe su di lui e sicuramente, dopo questi fatti, la politica religiosa dell'imperatore si irrigidì notevolmente.

- Dalla strage di Tessalonica, Teodosio vieterà i Giochi Olimpici, ponendo fine a una storia durata più di 1000 anni. Interpretando i Giochi olimpici come una festa pagana, Teodosio ne decise la chiusura, influenzato da Ambrogio. A determinare tale decisione contribuì anche l'ormai intollerabile livello di corruzione tra gli atleti, che falsava le competizioni. Inoltre gli imperatori cristiani Valentiniano II, Teodosio I e Arcadio dichiarano il sesso omosessuale illegale e coloro che ne erano accusati dovevano essere condannati alla morte sul rogo, ossia bruciati vivi in pubblico.

Abside con croce nella basilica paleocristiana di Santa
Pudenziana a Roma.
- La crocediventata il simbolo del culto cristiano dopo l'editto di Milano, emanato dagli imperatori Costantino e Licinio nel 313, si inizia a trovare nelle chiese primitive: uno degli esempi più significativi è la croce gemmata realizzata a mosaico (fine del IV - inizio del V secolo), posta sopra il Calvario, nell'abside della basilica paleocristiana di Santa Pudenziana in Roma. Nel mosaico, risalente a circa il 390, è rappresentato Cristo in trono circondato dagli apostoli (ne sono rimasti dieci, gli altri probabilmente sono scomparsi con le ristrutturazioni cinquecentesche) e da due donne che gli porgono una corona ciascuna, la cui identità è oggetto di discussione: secondo alcuni sarebbero le sante Pudenziana e Prassede, figlie di Pudente, secondo altri rappresenterebbero la "Chiesa" e la "Sinagoga", cioè i templi dei cristiani e degli ebrei. Solo la figura del Cristo ha l'aureola, e tiene in mano un libro aperto sul quale campeggia l'iscrizione DOMINUS CONSERVATOR ECCLESIAE PUDENTIANAE. Le figure si stagliano davanti a un'esedra porticata, dietro la quale si intravede il profilo di una città, che potrebbe essere identificata con Gerusalemme, di cui si intravederebbero le chiese costruite da Costantino I. Questa interpretazione è resa plausibile dalla presenza, al centro del mosaico, di una croce ricoperta di gemme che, secondo la tradizione, sarebbe stata fatta erigere dall'imperatore Teodosio II nel 416 sul Calvario, in ricordo, probabilmente di una miracolosa apparizione della croce. Accanto alla Croce svettano in un cielo animato da nuvolette rosacee e azzurre i quattro Viventi dell'Apocalisse (l'angelo, il bue, il leone e l'aquila), una delle più antiche rappresentazioni del Tetramorfo giunte sino a noi in sede monumentale. Altri esempi di rappresentazioni di croci, poco più tardi, sono quelli che troviamo nei mosaici che ornano l'arco trionfale di Santa Maria Maggiore a Roma ed in quelli del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.

- Nel 390, un giovane principe dei goti Tervingi (da lì in poi chiamati Visigoti) della dinastia dei Balti, il ventenne Alarico, guida i Visigoti, gli Unni ed altre tribù provenienti dalla sponda sinistra del Danubio, nell'invasione della Tracia, saccheggiandola. La divisione fra Ostrogoti (goti dell'est) e Visigoti (goti dell'ovest) ebbe luogo tra il III e IV sec. nel Ponto, quando i Visigoti, allora noti come Tervingi, riconobbero l’autorità dei Balti, mentre gli Ostrogoti, allora noti come Greutungi, avevano riconosciuto quella degli Amali, considerati come i più valorosi tra i loro guerrieri.

Nel 391 - L'imperatore romano Teodosio I interviene personalmente contro Alarico ma cade in un'imboscata sul fiume Maritsa (fiume dell'Europa sudorientale che scorre in Bulgaria, Grecia e Turchia europea), dove rischia la vita.

- Tra il 391 e il 392 sono emanati una serie di decreti (noti come decreti teodosiani) che attuano in pieno l'editto di Tessalonica: viene interdetto l'accesso ai templi pagani e ribadita la proibizione di qualsiasi forma di culto che non sia il cristianesimo di fede nicea, compresa l'adorazione delle statue.

L'anziana vestale Emilia, che custodisce il fuoco sacro
nel tempio di Vesta, da: http://smell.ilcannocchi
Furono inoltre inasprite le pene amministrative per i cristiani che si fossero riconvertiti al paganesimo e, nel decreto emanato nel 392 da Costantinopoli, l'immolazione di vittime nei sacrifici e la consultazione delle viscere erano equiparati al delitto di (lesa) maestà, punibile con la condanna a morte. I templi pagani furono oggetto di sistematica distruzione violenta da parte di fanatici cristiani e monaci appoggiati dai vescovi locali (in molti casi con l'appoggio dell'esercito e delle locali autorità imperiali) che si ritennero autorizzati dalle nuove leggi: si veda, per esempio, la distruzione del tempio di Giove ad Apamea, a cui collaborò il prefetto del pretorio per l'oriente, Materno Cinegio. L'inasprimento della legislazione con i "decreti teodosiani" provocò delle resistenze presso i pagani. Ad Alessandria d'Egitto il vescovo Teofilo ottenne il permesso imperiale di trasformare in chiesa un tempio di Dioniso, provocando una ribellione dei pagani, che si asserragliarono nel Serapeo (che conteneva la famosa bibblioteca) e compiendo violenze contro i cristiani. Quando la rivolta fu domata, per rappresaglia il tempio di Dioniso fu distrutto. Teodosio durante il suo regno fece coniare monete in cui era raffigurato nell'atto di portare un labaro recante il Chrismon.

- In seguito alla riforma teodosiana, il termine Eparchia è stato utilizzato nell'Impero romano d'Oriente per indicare una circoscrizione amministrativa equivalente alla provincia latina. Tali entità scomparvero poi nel VII secolo con l'istituzione dei temi (thémata in greco).

- Da allora, nell'Impero Romano non ci sarebbe più stata libertà di pensiero e di culto al di fuori dell'ortodossia cristiana. Per i successivi secoli, (e fino al presente) la Chiesa di Roma manovrerà principi, re, imperatori e la totalità delle menti per tenere a freno i suoi più acerrimi nemici: la verità, il sapere, la conoscenza, la scienza e più in generale la cultura; l'autodeterminazione personale e collettiva, il diritto alle pari opportunità, cosa che d'altra parte hanno fatto e fanno la maggioranza delle religioni ma soprattutto le tre monoteiste.


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