Carta dell'Europa nel 1900, da max400.forumfree.it |
Da un secolo non vi erano state guerre,
sul suolo europeo, fra potenze europee lontane o non confinanti e le spedizioni
militari avvenivano perlopiù per le occupazioni, nelle colonie, contro
popolazioni più deboli.
I motivi del conflitto non vanno ricercati nella competizione coloniale fra potenze, infatti le maggiori potenze imperialistico-colonialiste, Francia, Gran Bretagna e Russia, rivale del Regno Unito in Oriente, erano alleate fra di loro formando la Triplice Intesa, ma piuttosto nelle mire espansionistiche sia dell'impero austro-ungarico (che con l'impero germanico e il regno d'Italia partecipava alla Triplice Alleanza) che dell'impero russo, riguardo ai territori balcanici dell'ormai agonizzante impero ottomano.
I motivi del conflitto non vanno ricercati nella competizione coloniale fra potenze, infatti le maggiori potenze imperialistico-colonialiste, Francia, Gran Bretagna e Russia, rivale del Regno Unito in Oriente, erano alleate fra di loro formando la Triplice Intesa, ma piuttosto nelle mire espansionistiche sia dell'impero austro-ungarico (che con l'impero germanico e il regno d'Italia partecipava alla Triplice Alleanza) che dell'impero russo, riguardo ai territori balcanici dell'ormai agonizzante impero ottomano.
Va sottolineato che, formalmente, tutte queste alleanze assumevano la forma di "assicurazioni" e ogni nazione inserita nel gioco delle alleanze avrebbe ricevuto il soccorso degli alleati soltanto nel caso fosse stata attaccata ma non erano previsti aiuti a chi attaccava per primo, motivo per cui l'Italia cambiò poi schieramento e nessuno Stato, alla fine del conflitto, avrebbe riconosciuto di avere attaccato per primo.
Mentre la Triplice Intesa era composta da potenze imperialistico-colonialiste, la Triplice Alleanza era composta da potenze che si interessavano di più ai loro interessi e confini in Europa: l'impero germanico, nato nel 1871 dalla fusione del regno di Prussia con altri territori germanici, l'impero asburgico austro-ungarico retto dal 1848 fino al conflitto da Francesco Giuseppe e il regno d'Italia, sorto nel 1861 dal regno sabaudo di Sardegna. In particolare, l'impero militaristico prussiano era stato frustrata nelle sue aspirazioni coloniali e aveva spostato le sue pressioni imperialistiche sull'Europa orientale mentre nell'impero asburgico austro-ungarico, costellato dalle popolazioni tedesche, magiare (ungheresi), ceche, slovacche, polacche, ucraine, slovene, croate, serbe, rumene e italiane, erano in corso lotte per l'autonomia e l'autodeterminazione. Nel 1882 l'Italia confluì nell'alleanza tra Germania e Austria-Ungheria, assicurando così ai due imperi centrali un alleato per un possibile conflitto con la Francia.
Le cause della contrapposizione
fra i due blocchi risalivano al secolo precedente gli
avvenimenti del luglio 1914, con le trasformazioni del sentimento di nazionalismo che interessò le popolazioni europee e limitrofe (i turchi). In generale si distingue tra il
nazionalismo democratico o liberale, che si affermò in Europa e
America Latina durante la prima metà dell'Ottocento ed il
nazionalismo della seconda metà del XIX secolo. Il primo sottintendeva la nazione come comunità che coesiste pacificamente e
pariteticamente con altre nazioni (tipico ad esempio di Giuseppe
Mazzini), mentre il secondo è legato, da una parte alla reazione aristocratico-borghese contro la
democrazia parlamentare, dall'altra si concentra sull'espansionismo e quindi si coinvolge nella gara di supremazia extraeuropea, il colonialismo. Nel '900, la crescente rivalità tra gli stati modificò definitivamente il significato del nazionalismo e l’idea di nazione cessò di essere legata all’aspirazione di un continente delle Nazioni che condividessero valori e solidarietà, ma si trasformò in esaltazione del “sacro diritto” di ogni popolo a coltivare l’egoismo nazionale.
Le prime manifestazioni del
nazionalismo si hanno durante la Rivoluzione Francese ed in seguito
nei paesi occupati dalle truppe napoleoniche; è accettato da quasi
tutti gli storici il nesso tra diffusione del nazionalismo e sviluppo
industriale di un paese, come pure quello tra nazionalismo ed
alfabetizzazione delle masse popolari; in tal senso l'età
napoleonica costituisce un chiaro spartiacque tra una Europa
pre-nazionale, dove l'identità dei vari Stati è costituita dalla
continuità dinastica, ed una Europa dove il soggetto primo ed ultimo
della politica interna ed estera è costituito dallo Stato-Nazione.
Affinché questo passaggio si completasse era necessaria l'eliminazione dell'Impero (inteso come Stato plurinazionale) come
modello politico; in questo senso tutte le principali guerre del XIX
secolo, per terminare con la Grande Guerra, contribuirono alla
creazione di Stati nazionali dalle ceneri di Stati plurinazionali
come l'Impero Asburgico, l'Impero Ottomano e l'Impero Russo. Si potrebbero individuare tre fasi del sentimento "nazionalizzante" da parte degli europei:
Le due guerre balcaniche
rappresentarono un'importante premessa per lo scoppio della prima guerra mondiale: fu proprio in seguito all'espansione serba
nella regione che l'Austria-Ungheria cominciò ad allarmarsi. Tali
timori erano condivisi dalla Germania, che vedeva nella Serbia un
prezioso alleato della minacciosa Russia. Dunque, fu proprio
l'accresciuta potenza serba a rappresentare una delle principali
ragioni che spinsero gli Imperi centrali a decretare l'inizio della
prima guerra mondiale. Boris Urlanis,
nel suo lavoro "Voini I Narodo-Nacelenie Europi" (del 1960), stimò che le
due guerre balcaniche causarono l'uccisione di 122.000 persone
durante le operazioni belliche e la morte di altre 20.000 per le
ferite riportate durante gli scontri. A questi bisogna poi aggiungere
gli 82.000 morti a causa delle malattie.
In questo fumetto satirico, chiamato
"La catena delle alleanze", viene chiaramente mostrato come
il precario equilibrio europeo potesse crollare a causa dei fitti
rapporti che si erano instaurati tra le potenze.
Nella Conferenza di San Remo, il 24 Aprile 1920, si affrontò la questione se assegnare il Mandato (per la
Palestina), per conto della Lega delle Nazioni, alla Gran
Bretagna. I termini del Mandato furono discussi anche con gli Stati
Uniti che non erano membri della Lega. In merito a tutto ciò, fu
confermato dal Consiglio della Lega delle Nazioni il 24 Luglio 1922 e
divenne operativo nel Settembre 1923 il seguente testo: "Il Consiglio della Lega delle Nazioni:
Poiché le principali Potenze Alleate si sono accordate, al fine di dare effetto alle disposizioni dell’Articolo 22 del Patto della Lega delle Nazioni, per affidare a un Mandatario, scelto dalle dette Potenze, l’amministrazione del territorio della Palestina che precedentemente appartenne all’Impero turco entro i confini che potranno essere da loro determinati; e Poiché le principali Potenze Alleate si sono anche accordate che il Mandatario debba essere responsabile per dare effetto alla dichiarazione originalmente fatta il 2 Novembre 1917 dal Governo di Sua Maestà Britannica e adottata dalle dette potenze, in favore della costituzione in Palestina di una nazione per il popolo ebreo, essendo chiaramente inteso che nulla dovrebbe essere fatto a pregiudizio dei diritti civili e religiosi delle comunità non-ebree esistenti in Palestina o dei diritti e status politico goduto dagli ebrei in qualsiasi altro paese;
e Poiché con ciò è stato dato riconoscimento alla connessione storica del popolo ebreo con la Palestina e alle basi per ricostituire la loro nazione in quel paese;
e Poiché le principali Potenze Alleate hanno scelto Sua Maestà Britannica come Mandatario per la Palestina; e Poiché il mandato nei confronti della Palestina è stato formulato nei termini seguenti ed è stato sottoposto al Consiglio della Lega per approvazione;
e Poiché Sua Maestà Britannica ha accettato il mandato nei confronti della Palestina e ha cominciato ad esercitarlo per conto della Lega di Nazioni in conformità alle disposizioni seguenti;
e Poiché dall’Articolo 22 summenzionato (paragrafo 8), è previsto che il grado di autorità, controllo o amministrazione da esercitarsi dal Mandatario, non essendovi stato precedente accordo tra i Membri della Lega, sarà definito esplicitamente dal Consiglio della Lega di Nazioni.
1) la Restaurazione (1815/48), quando il
Nazionalismo costituisce un'ideologia progressista e liberale
sostenuta da una borghesia ancora in lotta con i vecchi ceti
aristocratici per il dominio dello Stato;
2) l'età del libero scambio (1848/71)
che vede il consolidamento dell'egemonia borghese basata sul binomio
liberismo-Stato nazionale; in questo periodo nasceranno l'Italia e la
Germania come nuovi Stati-Nazione, assecondati, per interessi diversi, da Francia ed
Inghilterra;
3) l'età dell'Imperialismo (1871-1914)
quando, anche a causa della lunga e grave crisi economica nota come "Grande depressione", le borghesie nazionali utilizzano il nuovo
binomio protezionismo-imperialismo in una competizione crescente che
sfocerà nella prima guerra mondiale.
Nel XIX secolo, con l'arrivo di ideali
liberali e nazionali diffusi negli ambienti colti slavi, in
seguito al romanticismo e alle guerre napoleoniche, nacque il
panslavismo, movimento
culturale che mirava alla presa di coscienza dei popoli slavi di
radici comuni e si poneva come obiettivo quello di creare un unico
Stato nazionale. La bandiera panslava assunta nel Primo Congresso
Panslavo a Praga nel 1848, fu poi la bandiera della
Jugoslavia, letteralmente "Slavia del Sud". Lo scrittore Ján Kollár
(1793-1852) aveva attributo agli idiomi slavi, nel saggio "Sulla
reciprocità letteraria dei diversi ceppi e dialetti della nazione
slava" (del 1836), il carattere di dialetti riferentisi a un'unica antica
lingua, quella che i linguisti odierni definiscono proto-slavo. I
principali teorici del movimento erano residenti dentro i
confini dell'Impero Asburgico, ovvero Cechi, Sloveni, Slovacchi,
Croati e Serbi. Il primo congresso panslavo avvenne a Praga nel 1848,
presieduto dallo storico František Palacký. La più grande
divisione teorica fu quella tra il "Piccolo Panslavismo",
che escludeva la Russia e il "Grande Panslavismo" che la
comprendeva, aspirazione che fu poi condivisa, per quanto li riguardava, dai nazionalisti tedeschi che si divideranno in "Piccoli Tedeschi" che guarderanno alla Germania vera e propria e in "Grandi Tedeschi" pangermanisti, che aspireranno all’unione di tutte le stirpi germaniche d’Europa, mentre l'appartenenza all’Islam, dal punto di vista non tanto propriamente religioso quanto storico-culturale, diventerà, nella prospettiva nazional-progressista turca, una discriminante nel progetto di costruzione di una nuova “grande patria turca”. I “Giovani Turchi”, filotedeschi e ammiratori della Germania guglielmina, si andranno distinguendo in nazionalisti "Piccolo Turchi" e in "Grandi Turchi" panturanici: una distinzione che ripeteva esattamente quella dei nazionalisti tedeschi. Il turanismo è un'ideologia
nata nel XIX secolo tra Turchia, Ungheria e Germania ad opera di
intellettuali ottomani, per promuovere l'unione e il "rinascimento"
di tutti i popoli turanici, ovvero ugro-finnici (ugrici in
particolare), turchici, mongoli, dravidi, e giapponese. Il termine si
basa sul nome geografico del bassopiano turanico, posto tra gli
attuali stati dell'Asia Centrale di Turkmenistan, Uzbekistan e
Kazakistan, area da cui un tempo si credevano derivassero alcune
lingue uralo-altaiche (in particolare le ugriche, le mongole, le
dravidiche e quella giapponese). Fino alla seconda guerra mondiale
questa ideologia era assai diffusa soprattutto in Ungheria, Turchia e
Giappone, dove ottenne appoggio politico a livello anche ufficiale.
Oggi sopravvive solo la sua variante panturca, ancora assai forte in
Turchia, Caucaso (soprattutto Azerbaigian) e Asia Centrale
(Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan).
Rimangono tuttavia movimenti che ancora oggi si ispirano a questa
ideologia, tra cui il partito nazional-socialista giapponese “Kokka
Shakaishugi Nippon Rōdōsha-Tō”, il partito ungherese di estrema
destra “Jobbik”, il partito turco detto “Movimento Nazionale”
e i “Lupi grigi” (bozkurtlar in turco), questi ultimi divenuti
famosi soprattutto dopo l'attentato a papa Giovanni Paolo II da parte
del loro membro Ali Ağca.
L'Impero Russo usò spesso l'idea della riunificazione slava e di Mosca come Terza Roma, la seconda era stata Costantinopoli, per giustificare la sua espansione nell'Europa centro-orientale e nei Balcani. Il movimento ebbe ruolo ideologico fondamentale per la creazione del Regno di Jugoslavia anche se la mancata riunione di tutti i popoli slavi fu dovuta ad aspri conflitti d'origine storica e alla mancanza di coesione territoriale, essendo slavi del nord e del sud, divisi geograficamente dalla presenza di Austriaci, Ungheresi e Romeni, popoli di cultura e lingua non slava.
L'Impero Russo usò spesso l'idea della riunificazione slava e di Mosca come Terza Roma, la seconda era stata Costantinopoli, per giustificare la sua espansione nell'Europa centro-orientale e nei Balcani. Il movimento ebbe ruolo ideologico fondamentale per la creazione del Regno di Jugoslavia anche se la mancata riunione di tutti i popoli slavi fu dovuta ad aspri conflitti d'origine storica e alla mancanza di coesione territoriale, essendo slavi del nord e del sud, divisi geograficamente dalla presenza di Austriaci, Ungheresi e Romeni, popoli di cultura e lingua non slava.
Con la fine della guerra di
Crimea (1853-56), combattuta vittoriosamente dall'Impero
ottomano, Francia, Gran Bretagna e Regno di Sardegna contro l'Impero
russo, si riunì nella capitale francese il congresso di Parigi, nel
quale il Presidente del consiglio del Regno di Sardegna, Camillo Benso conte di Cavour, ottenne che per la prima volta in una sede internazionale si ponesse
la questione italiana.
All'unità d'Italia, Napoleone III fu sentimentalmente favorevole, come lo era - senza sentimento - anche la Gran Bretagna, poiché un'Italia unita avrebbe potuto contrastare la potenza francese. In un tumultuoso precipitare degli eventi, nel 1861 nacque il Regno d'Italia in cui, a partire dal 1862, vennero presi provvedimenti atti a ridurre al minimo le spese militari, anche su spinta del cancelliere prussiano Otto von Bismarck.
All'unità d'Italia, Napoleone III fu sentimentalmente favorevole, come lo era - senza sentimento - anche la Gran Bretagna, poiché un'Italia unita avrebbe potuto contrastare la potenza francese. In un tumultuoso precipitare degli eventi, nel 1861 nacque il Regno d'Italia in cui, a partire dal 1862, vennero presi provvedimenti atti a ridurre al minimo le spese militari, anche su spinta del cancelliere prussiano Otto von Bismarck.
In quegli anni, l’impero ottomano
era “l’ammalato” al cui capezzale si affollavano le
potenze d’Europa, non tanto per guarirlo quanto per contendersene
l’eredità, facendo a pezzi i suoi domini per inglobarli nei loro. Ma i sultani avevano
imparato a sfruttare le rivalità tra francesi e inglesi, tra
francesi e tedeschi, tra russi e tedeschi, tra russi e inglesi. Il
primo nemico dell’impero sultaniale ottomano era senza dubbio
lo czar di tutte le Russie, che ambiva al controllo degli
Stretti tra Mediterraneo e Mar Nero, agognava la stessa Istanbul
e si atteggiava a protettore di tutti i cristiani ortodossi
sudditi dei sultani e infatti nel 1854 la coalizione franco-anglo-piemontese
aveva combattuto in Crimea in difesa del sultano contro i russi, ma per vantaggi loro. Nel
1878, con il congresso di Berlino, il principe di Bismark salverà l’impero ottomano in procinto di cedere alle truppe
dello czar e da allora, il sultano si appoggerà sempre più alla Germania, facendone il suo partner privilegiato ai
livelli non solo diplomatico, ma anche economico, finanziario,
tecnologico, militare, culturale. Le élites ottomane andavano a
studiare nelle città tedesche e l’esercito sultaniale si riformerà secondo modelli germanici. La trionfale visita del Kaiser Guglielmo
II ai territori dell’impero nel 1898, con teatrali ingressi a
Istanbul, a Damasco e a Gerusalemme, rafforzerà l’amicizia
germanico-ottomana.
Nel 1866, durante il regno di
Francesco Giuseppe, l'Impero austriaco venne sconfitto dalla
Prussia e dall'Italia. In questo modo perse alcuni territori (tra
cui il Veneto) e con essi tutta la sua influenza sulle regioni
tedesche e italiane. Per l'Italia fu la terza
guerra di indipendenza, uno degli episodi del Risorgimento. Fu
combattuta dal Regno d'Italia (il primo conflitto come Regno) contro
l'Impero austriaco dal 20 giugno 1866 al 12 agosto 1866, nel più
ampio quadro della guerra austro-prussiana, della quale rappresentò
il fronte meridionale. Il conflitto ebbe origine dalla necessità
dell'Italia di affiancare la Prussia nel tentativo comune di
eliminare l'influenza dell'Austria sulle rispettive nazioni.
Dopo l'attacco della Prussia all'Austria del 15 giugno 1866, così
come previsto dal trattato di alleanza italo-prussiana dell'aprile
1866, l'Italia dichiarò guerra all'Austria. Passato il confine, una
parte dell'esercito italiano comandata da Alfonso La Marmora fu però
sconfitta nella battaglia di Custoza. Né tale insuccesso fu
bilanciato dagli eventi successivi, poiché alle vittorie di Giuseppe
Garibaldi e la sua avanzata verso Trento seguì per l'Italia un'altra
sconfitta nella battaglia navale di Lissa. Nonostante ciò, grazie
sia agli accordi presi in precedenza che alla vittoria della Prussia
sul fronte settentrionale, nonché all'intervento diplomatico della
Francia, al termine della guerra l'Austria cedette formalmente alla
Francia il Veneto (oltre a Mantova e a parte del Friuli) che fu
girato all'Italia. Un plebiscito confermò l'annessione. L'Italia non
riuscì però ad annettersi i territori nel Tirolo meridionale
conquistati. Il conseguente indebolimento austriaco si riversò anche negli
affari di politica interna, rappresentati in particolar modo dal
difficile rapporto con la nazione magiara. L'anno dopo venne concluso
un compromesso tra Austria e Ungheria e, in seguito a lunghe
trattative, venne firmato l'Ausgleich ("compensazione"), il
12 giugno 1867, che avrebbe diviso lo stato asburgico in
Cisleitania (Austria) e Transleitania (Ungheria e Croazia):
nasceva così l'Impero austro-ungarico. Pur politicamente uniti, i
due regni, riguardo a questioni di politica interna,
rappresentavano due entità separate. In base all'Ausgleich, ogni dieci anni veniva deliberato un gran numero di decreti-legge in
materia economica, politica e finanziaria, che dovevano regolare i
rapporti tra le due parti dell'Impero ed essere approvati sia dalla
camera ungherese che dal consiglio imperiale. Con questo compromesso, da una parte vennero quindi smorzate le pericolose tensioni
interne tra popolazione austriaca e ungherese, ma dall'altra si
creò una significativa divisione che spezzava in due la mastodontica
struttura dell'Impero, eliminando la presenza di un unico parlamento
centrale. Gli immensi territori gestiti dagli Asburgo riunivano in sé
un'infinità di etnie, spesso in contrasto con il governo
centrale, che rivendicavano la propria autonomia. Talvolta,
come nel caso degli italiani e dei serbi, le spinte autonomiste erano
ancora più stimolate dall'esistenza di stati nazionali al di là
dei confini dell'Impero. Le
varie popolazioni, pur essendo unite dallo stesso desiderio di
autonomia, erano spesso in contrasto tra di loro, tanto che si
sviluppò una forte convergenza tra nazionalità e stratificazione
sociale: la nazionalità più numerosa, ma, soprattutto, più
progredita a livello culturale, lo era anche a livello economico,
occupando nelle aree urbane le posizioni di maggior rilievo politico
e amministrativo; le altre, invece, prevalevano nelle campagne.
Spesso le nazionalità di maggior rilievo seguivano una vera e
propria politica di oppressione nei confronti delle rispettive
minoranze nazionali. In Austria le due popolazioni di
maggiore rilievo erano quella ceca (slava) e quella tedesca.
La prima continuò a rivendicare fino alla fine dell'Impero la
propria autonomia, anelando alla ricostituzione del Regno di Boemia,
come ai tempi di Venceslao, mentre l'altra sottolineò sempre il
carattere tedesco della monarchia asburgica, considerandosi l'unico
stato nazionale legittimo dell'Impero.
Il
predominio coloniale mondiale
della triade anglo-franco-russa
nel 1870 poteva dirsi
concluso, ma non
erano concluse le pretese delle potenze europee in Africa.
In
Germania, dopo la
guerra franco-prussiana, durata dal 19 luglio 1870 al 10 maggio 1871,
tra il secondo Impero francese (e dopo la sua caduta, dalla
terza Repubblica francese) e il Regno di Prussia, sostenuto dalla
Confederazione Tedesca del Nord e alleato con i regni tedeschi del
sud di Baden, Baviera e Württemberg, che avevano nel frattempo sancito
l'unità dell'impero tedesco,
il cancelliere del nuovo Reich, Otto von Bismarck,
costruì il suo complesso sistema di alleanze che avrebbe dovuto
mettere al sicuro il neonato Impero tedesco, ponendolo alla stessa
altezza delle altre grandi potenze europee. Bismarck non
aveva alcuna intenzione offensiva o espansionistica ma, al
contrario, mirava al consolidamento dei rapporti diplomatici con gli
altri paesi europei. Egli stesso aveva definito la Germania uno stato
"saturo" che, dopo la vittoriosa guerra
franco-prussiana, a conseguenza
di cui era sorta la Comune di Parigi
e avrebbe permesso ai Savoia l'occupazione di Roma,
libera dalle truppe di Napoleone III Bonaparte, aveva finalmente
messo a tacere lo scomodo vicino francese che gli aveva ceduto
l'Alsazia e buona
parte della Lorena. A
questo punto il primo obiettivo di Bismarck sarebbe consistito nel
far rimanere la Francia in uno stato di permanente incapacità,
scongiurando una possibile guerra di rivincita. Il cancelliere
raggiunse lo scopo cercando di isolare completamente la repubblica
privandola di amici e sostenitori e quindi diresse i propri interessi
verso le nazioni delle est: l'Impero russo e l'Impero
austro-ungarico, assicurando al contempo la fine di pericolose
tensioni nei Balcani.
Mentre nasceva la Germania unita sotto l'Impero degli Hohenzollern, si avviavano alla loro affermazione nuove potenze extraeuropee, quali Stati Uniti d'America e Giappone.
Mentre nasceva la Germania unita sotto l'Impero degli Hohenzollern, si avviavano alla loro affermazione nuove potenze extraeuropee, quali Stati Uniti d'America e Giappone.
L'Italia, fino al 1876 era stata governata dalla destra dello schieramento parlamentare. Favorevoli alla cosiddetta "Italietta", i conservatori cercarono di favorire lo sviluppo interno del paese, tenendolo lontano da pericolose ambizioni espansionistiche e da alleanze scomode. Il ministro degli esteri Visconti Venosta, nel 1873 affermava: «Se l'Italia fosse aggredita dalla Francia sarà la Germania a correrle spontaneamente in aiuto, perché ciò è nel suo interesse. Legata da patti alla Germania, l'Italia potrebbe invece essere costretta ad una guerra d'aggressione, non in qualità di alleato, ma di sgherro».
Nel 1876, la Destra Storica cadde, lasciando spazio ad un'aggressiva Sinistra che, guidata da Francesco Crispi, voleva portare il paese allo stesso livello delle grandi potenze. Le spese militari subirono un'improvvisa impennata e cominciarono a profilarsi le prime mire colonialistiche in nord Africa.
Nel 1876, la Destra Storica cadde, lasciando spazio ad un'aggressiva Sinistra che, guidata da Francesco Crispi, voleva portare il paese allo stesso livello delle grandi potenze. Le spese militari subirono un'improvvisa impennata e cominciarono a profilarsi le prime mire colonialistiche in nord Africa.
Nel 1877 inizia la guerra
russo-turca, originata dalle sollevazioni del 1875
degli slavi cristiani ortodossi dei territori dell'Impero
ottomano in Europa. Tali rivolte furono appoggiate dalla Russia che
in questi eventi vide una possibilità di estendere la propria
influenza fino al Mediterraneo. In difesa degli slavi e dopo una
preparazione diplomatica con le altre potenze, nell'aprile 1877 lo
zar Alessandro II inizia la guerra contro la Turchia facendo entrare
il suo esercito nel Principato di Romania. Nonostante formalmente
sottoposto ai turchi, il principe Carlo I di Romania, per ottenere
l'indipendenza, dichiara guerra al sultano Abdul Hamid II. Passato il
Danubio, le forze russe e rumene, entrano nella Bulgaria turca, dove
già l'anno prima le popolazioni si erano ribellate nella rivolta
d'aprile. Dopo una serie di battaglie e il lungo assedio di Pleven, i
russi hanno ragione dell'esercito turco arrivando, all'inizio del
1878, alle porte della capitale ottomana Istanbul, l'antica
Costantinopoli. Ma la Gran Bretagna, antagonista della Russia in
Asia, manda come avvertimento la sua flotta nel mar di Marmara e lo
Zar si decide quindi alla pace. Nel marzo del 1878 si conclude il
trattato di Santo Stefano, vantaggioso per la Russia ma rettificato
poi nel congresso di Berlino del 1878. Il trattato prese il nome dal villaggio turco di
San Stefano nel quale fu stipulato. La Russia impose alla Turchia la
cessione di buona parte dei suoi possedimenti in Europa, determinando
l'indipendenza del Montenegro, della Serbia, della Romania e
l'autonomia della Bulgaria, il cui territorio arrivava
fino all'Egeo, che divenne un protettorato russo, benché formalmente ancora
ottomana.
Dal 13 giugno al
13 luglio 1878, nella capitale tedesca si era svolto il primo Congresso di Berlino, promosso dall'Austria e accettato dalle altre
potenze europee per rettificare il trattato di Pace di Santo Stefano,
con il quale la Russia, dopo aver sconfitto la Turchia nella
Guerra del 1877-1878, aveva accresciuto il suo potere nei Balcani.
Il Congresso rettificò, rispetto alla Pace di Santo Stefano, la
destinazione dei territori turchi in Europa ridimensionando le conquiste russe. Lasciò che la Bulgaria divenisse un satellite della Russia ma stabilì
l'amministrazione austriaca della Bosnia. Confermò invece
l'indipendenza della Romania, della Serbia e del
Montenegro. La Germania, che fece da mediatrice, per
aver scongiurato la grave crisi fra la Russia e l'Austria aumentò il
suo prestigio ma incrinò i suoi rapporti con la Russia che
non fu soddisfatta dei negoziati. La Turchia, pur perdendo estesi
territori, limitò i danni rispetto alla Pace di Santo Stefano. Oltre
alla Russia, alla Turchia, all'Austria e alla Germania, al Congresso
di Berlino parteciparono la Gran Bretagna, la Francia e l'Italia.
Fra l'altro dopo il congresso di Berlino del
1878, che aveva strappato al sultano turco molte aree balcaniche, era
ormai chiaro che l’impero ottomano stava avviandosi a coincidere sempre di
più, sotto il profilo territoriale, quasi esclusivamente con la
penisola anatolica (a parte il Meridione arabo). Erano quindi nate
all’interno della classe dirigente ottomana – e soprattutto negli
ambienti più colti e vicini all’Occidente – le istanze di totale
turchizzazione dell’Anatolia: un’idea fino ad allora inaudita.
Nel 1879 si stipula la Duplice alleanza, o Alleanza austro-tedesca, un patto militare difensivo firmato a Vienna da Germania e Austria, motivato, oltre che dalla volontà di Bismark di isolare la Francia, dal pericolo di un attacco della Russia ad una delle due potenze, visto l'attrito tedesco con il primo ministro russo Gorčakov e le conseguenze della vittoria russa nella guerra russo-turca del 1877. E' il primo accordo permanente concluso in tempo di pace tra due grandi potenze dalla fine dell’Ancien régime, in parte come conseguenza del Congresso di Berlino, la Duplice alleanza, fu voluta principalmente dal cancelliere tedesco Otto von Bismarck.
Nel 1879 si stipula la Duplice alleanza, o Alleanza austro-tedesca, un patto militare difensivo firmato a Vienna da Germania e Austria, motivato, oltre che dalla volontà di Bismark di isolare la Francia, dal pericolo di un attacco della Russia ad una delle due potenze, visto l'attrito tedesco con il primo ministro russo Gorčakov e le conseguenze della vittoria russa nella guerra russo-turca del 1877. E' il primo accordo permanente concluso in tempo di pace tra due grandi potenze dalla fine dell’Ancien régime, in parte come conseguenza del Congresso di Berlino, la Duplice alleanza, fu voluta principalmente dal cancelliere tedesco Otto von Bismarck.
La
situazione fra Germania, Russia e Austria-Ungheria si stabilizzò temporaneamente con la nascita
dell'Alleanza dei tre
imperatori del 1881
fra Germania, Russia
e Austria sulla
questione dei Balcani.
Nel 1882, l'Italia confluisce nell'alleanza tra Germania e Austria-Ungheria. I due imperi centrali si assicurarono così un alleato per un possibile conflitto con la Francia. Nacque in questo modo il primo ampio blocco politico europeo, la Triplice alleanza, sotto la cui protezione l'anno seguente si posero anche i regni di Romania, Serbia (tramite l'Austria) e Spagna (tramite l'Italia). Inizialmente l'accordo fu voluto principalmente dall'Italia, desiderosa di rompere il suo isolamento dopo l'occupazione francese della Tunisia del 1881, alla quale anche lei avava aspirato. Successivamente, con il mutarsi della situazione in Europa, l'alleanza fu sostenuta soprattutto dalla Germania desiderosa di paralizzare la politica della Francia.
Nello stesso anno, il 1882, la casuale occupazione italiana di Massaua diede inizio a una lunga e dispendiosa guerra contro l'Etiopia, in cui la finale annessione dell'Eritrea e della Somalia non poterono compensare le enormi spese militari che ritardarono inevitabilmente il decollo industriale italiano: quel cattivo utilizzo dei capitali ebbe inevitabili ripercussioni in tutto il paese.
Nel 1887
il legame dei tre imperatori del 1881 fra Germania, Russia e Austria mutò con il "Trattato di controassicurazione", che
assicurava la neutralità di Germania e Russia nel caso che uno dei
due si fosse trovato in guerra con una terza potenza. Riguardo ai
rapporti con la Gran Bretagna, Bismarck tendeva a semplicemente a
evitare che stringesse un'alleanza con Francia e Russia. Finché durò
il governo liberale di Gladstone, Bismarck continuò a mantenere le
distanze dal paese, al quale si riavvicinò con il ritorno del
partito conservatore di Lord Salisbury, proponendo un'alleanza
formale, inizialmente accolta con soddisfazione ma poi rifiutata,
temendo che tale impegno internazionale potesse legare le mani al
paese.
Nel 1882, l'Italia confluisce nell'alleanza tra Germania e Austria-Ungheria. I due imperi centrali si assicurarono così un alleato per un possibile conflitto con la Francia. Nacque in questo modo il primo ampio blocco politico europeo, la Triplice alleanza, sotto la cui protezione l'anno seguente si posero anche i regni di Romania, Serbia (tramite l'Austria) e Spagna (tramite l'Italia). Inizialmente l'accordo fu voluto principalmente dall'Italia, desiderosa di rompere il suo isolamento dopo l'occupazione francese della Tunisia del 1881, alla quale anche lei avava aspirato. Successivamente, con il mutarsi della situazione in Europa, l'alleanza fu sostenuta soprattutto dalla Germania desiderosa di paralizzare la politica della Francia.
Con
l'umiliante sconfitta di Sedan del 1871,
nella guerra franco-prussiana, in Francia era crollato definitivamente il sogno di una nuova egemonia francese. Il
nuovo governo che s'instaurò, la Terza Repubblica, presentò sin dal
principio debolezze strutturali tali da portare il paese, anche a
causa di gravi crisi e scandali, sull'orlo della rovina totale. La
Francia fu guidata dal partito repubblicano, perlopiù sostenuto
dall'alta borghesia che, ispirandosi all'ideale del "laissez-faire" e del "juste-milieu",
operava in nome di un'economia prospera, da difendere anche a
scapito dei ceti meno abbienti.
A questo schieramento di centro si opponevano i radicali, sempre alla
ricerca di riforme egualitarie e i conservatori, nazionalisti e
nostalgici della monarchia. Dopo la breve parentesi boulangista, la
situazione politica si normalizzò con la presidenza di Sadi Carnot nel
1887. Georges
Ernest Jean-Marie Boulanger (Rennes, 29 aprile 1837 - Ixelles, 30
settembre 1891) è stato un generale e politico francese. Era entrato nell'esercito nel 1856 e prestò servizio in
Algeria, Italia, Cocincina e nella guerra franco-prussiana,
guadagnandosi una buona reputazione. Fu promosso generale di
brigata nel 1880 e nel 1882 fu nominato ispettore della Fanteria al
Ministero della Guerra, cosa che gli permise di farsi un nome come
riformatore militare. Nel 1884 venne assegnato al comando dell'armata
che occupava Tunisi, ma venne richiamato a causa delle differenze
d'opinione con Pierre-Paul Cambon, funzionario politico della città.
Ritornato a Parigi, iniziò a prendere parte alla vita politica sotto
l'egida di Georges Clemenceau e del Partito Radicale. Nel gennaio
1886, quando Freycinet venne portato al potere grazie al sostegno del
leader radicale, a Boulanger venne affidato l'incarico di Ministro
della Guerra. Fu al Ministero della Guerra che Boulanger ottenne
notorietà. Egli introdusse delle riforme a vantaggio dei soldati e
si appellò al desiderio francese di rivincita contro l'Impero
tedesco. Facendo ciò, finì per essere visto come l'uomo destinato a
portare avanti tale rivincita. Con la sconfitta politica di
Freycinet, nel dicembre 1886, venne confermato ministro da René
Goblet, ma fu costretto ad andarsene nel 1887 e in seguito fu anche
privato del suo comando nell'esercito, per via di accuse di
insubordinazione. A dimostrazione del fatto che era difficile mettere
a tacere una persona rispettata, Boulanger venne prontamente eletto
alla Camera, con un programma che chiedeva la riforma della
costituzione. Alla
Camera faceva parte della minoranza e le sue azioni erano dirette
al mantenimento della sua immagine pubblica. Né il suo fallimento
come oratore, né la sua sconfitta in un duello con Floquet, allora
un anziano civile, ridussero l'entusiasmo del suo seguito popolare.
Durante il 1888 la sua personalità fu la caratteristica dominante
della politica francese, e quando rassegnò il suo seggio, come
protesta contro il ricevimento avuto alla Camera delle sue proposte
revisioniste, gli elettori gareggiarono l'uno contro l'altro per
sceglierlo come loro rappresentante. Il "movimento"
Boulangista marciò quindi a pieno ritmo. I bonapartisti si erano collegati
al generale, e anche il Conte di Parigi incoraggiò i suoi seguaci ad
appoggiarlo. Il suo nome era il tema della canzone popolare "C'est
Boulanger qu'il nous faut". Boulanger e il suo cavallo nero divennero
gli idoli della popolazione parigina e il generale venne invitato a
concorrere per la presidenza. Accettò, ma la sua ambizione personale gli alienò ben presto i suoi sostenitori repubblicani, che
vedevano in lui un potenziale dittatore militare. Diversi monarchici
comunque gli diedero sostegno finanziario, nonostante che Boulanger si
vedesse più come un futuro dittatore che come un restauratore della
monarchia. Nel
gennaio 1889, un colpo di Stato sembrava realizzabile, dato che
Boulanger era ormai divenuto una minaccia per la repubblica
parlamentare. Se si fosse messo immediatamente alla testa di una
rivolta, avrebbe potuto effettuare il "coup d'état" su cui avevano
lavorato i cospiratori e avrebbe potuto governare la Francia, ma il
momento propizio passò. Poco dopo il governo francese emise nei suoi
confronti un mandato di arresto per tradimento. Tra lo stupore dei
suoi amici, il 1º aprile fuggì da Parigi, prima che il mandato
venisse eseguito, andando prima a Bruxelles e poi a Londra. Dopo
la fuga, il sostegno di cui godeva si ridusse, e i boulangisti
vennero sconfitti nelle elezioni generali del luglio 1889. Lo stesso
Boulanger, essendo stato processato e condannato in contumacia per
tradimento, andò a vivere in Inghilterra, nel Jersey, prima di tornare al Cimitero
di Ixelles, a Bruxelles, nel settembre 1891, per suicidarsi con un
colpo di pistola alla testa sulla tomba della sua amante, Madame de
Bonnemains (nata Marguerite Crouzet), che era morta nel luglio
precedente. Boulanger venne così sepolto nello stesso cimitero.
In
seguito alla presidenza di Sadi Carnot del 1887, nuovi movimenti nazionalisti
presero il sopravvento e al grido di "La Francia ai Francesi"
iniziò a diffondersi una preoccupante ideologia antisemita
che raggiunse il suo culmine nel settembre 1894 con
l'Affaire Dreyfus,
che riguardò l'accusa di spionaggio militare a favore della Germania
di un ufficiale francese di origine ebrea. Le accuse, basate su
elementi estremamente deboli, costarono a Dreyfus cinque anni di
carcere sull'isola del Diavolo, per essere riabilitato completamente
solo nel 1906. Un diplomatico italiano allora in servizio a Parigi, Raniero Paolucci
di Calboli, si convinse ben presto dell'innocenza di Dreyfus e cominciò così a raccogliere materiale sul caso, tanto da lasciare
ai posteri un notevole archivio, oggi conservato a Forlì. L'affaire
produsse grande risonanza mediatica e sancì
la nascita dell'intellettuale moderno nel "J'accuse!" di Émile Zola. Nel dettaglio dell'"affaire", il colonnello Picquart riuscì ad avvertire
contemporaneamente dei fatti comprovanti l'innocenza di Dreyfus, sia il
vicepresidente del Senato Auguste Scheurer-Kestner che lo scrittore
ebreo Bernard Lazare, amico di famiglia di Dreyfus, il quale fece
partire un'intensa campagna stampa a favore del prigioniero. I
«dreyfusards» presero coraggio. Molti intellettuali radicali, per
esempio Octave Mirbeau, aderirono alla campagna innocentista. Il 25
novembre 1897, Émile Zola pubblica sul quotidiano «Le Figaro» un
articolo che finisce con: «La verità è in marcia». Così spiegò
il suo interventismo pubblico: «Dietro le mie azioni non si
nascondono né ambizione politica, né passione di settario. Sono uno
scrittore libero, che ha dedicato la propria vita al lavoro, che
domani rientrerà nei ranghi e riprenderà la propria opera
interrotta [...] E per i miei quarant'anni di lavoro, per l'autorità
che la mia opera ha potuto darmi, giuro che Dreyfus è
innocente...Sono uno scrittore libero, che ha un solo amore al mondo,
quello per la verità...». Un «antidreyfusard» onesto, Georges
Clemenceau, energico e famosissimo politico radicale francese
soprannominato «Il Tigre», rivide le sue posizioni e a novembre
iniziò la sua campagna per la revisione del processo ospitando sul
suo giornale, «L'Aurore», il 13 gennaio 1898, la famosa lettera di
Zola al Presidente della Repubblica Félix Faure, intitolata "J'accuse!". Nelle parole della storica statunitense Barbara W.
Tuchman, si trattò di "una delle grandi rivoluzioni della storia". Il giorno
dopo, sempre su «L'Aurore», apparve la celebre «Petizione degli
intellettuali», che reca tra i firmatari metà dei professori della
Sorbona e numerosi artisti, come Gallè, l'artista del vetro, il
grande Manet, Jules Renard, Andrè Gide, Anatole France. Erano stati
tanti giovani brillanti della Parigi di fine secolo - tra i quali
Marcel Proust e il fratello Robert, con gli amici Jacques Bizet,
Robert des Flers - a impegnarsi a far firmare il manifesto nel quale
si dichiaravano pubblicamente dalla parte di Zola - subito inquisito e
condannato per vilipendio delle forze armate sia in primo che secondo
grado - e quindi di Dreyfus. Lo Stato Maggiore rispose facendo
arrestare Picquart e scatenando sui giornali nazionalistici una
violenta campagna di diffamazione contro ebrei, democratici e
liberali.
Fu in
questo humus che nacque il sionismo,
l'aspirazione degli ebrei a possedere una loro nazione.
Il
fondatore del sionismo è Theodor Herzl, un giornalista ashkenazita (ebreo originario della Germania o di
altri stati dell'Europa centrale e orientale) assimilato suddito dell'Impero austro-ungarico. Nel 1895 Herzl fu
inviato come corrispondente del suo giornale a Parigi per seguire il
processo dell'affare Dreyfus, esploso nel 1894, che fu accompagnato
da una feroce campagna di stampa francese che riproponeva stereotipi
antisemiti. In seguito a questa esperienza, Herzl si rese conto che
l'assimilazione e l'integrazione degli ebrei in Europa non aveva dato
frutti e che gli ebrei avevano bisogno di un proprio Stato, dove
poter vivere in pace e sicurezza lontano dai pregiudizi e dalle false
accuse tipici dell'antisemitismo. La sua conclusione derivava dalla
sua esperienza nell'Impero austro-ungarico: in una compagine
nazionale eterogenea, come si presentava a fine Ottocento l'Impero
asburgico, italiani, serbi, croati, ungheresi, cechi, slovacchi,
polacchi galiziani, tedeschi di Boemia e di Transilvania, tutti
avevano i propri rappresentanti nel Parlamento imperiale e potevano
appellarsi a una propria "nazione" e a una "terra"
che loro apparteneva, una "patria" dentro o fuori i confini
dell'impero, tutti tranne gli ebrei, né gli altri popoli
riconoscevano gli ebrei come parte di essi. Herzl avrebbe sviluppato
la sua idea e l'avrebbe tradotta in Der Judenstaat ("Lo Stato
degli Ebrei"), un volume pubblicato all'inizio del 1896 senza
conoscere gli scritti dei suoi predecessori e subito tradotto in
varie lingue. All'immediato successo del volume e al dibattito
suscitato, Herzl fece seguire il primo Congresso Sionista
Mondiale, che si tenne a
Basilea dal 29 al 31 agosto 1897, col fine di costituire un movimento permanente. Il Programma di
Basilea affermava che: "il sionismo si sforza di ottenere per il
popolo ebraico un focolare garantito dal diritto pubblico in
Palestina". I metodi da adottare per il raggiungimento di questo
obiettivo erano: 1) l'incoraggiamento della colonizzazione ebraica in
Palestina; 2) l'unificazione e l'organizzazione di tutte le comunità
ebraiche; 3) il rafforzamento della coscienza ebraica individuale e
nazionale; 4) iniziative per assicurarsi l'appoggio dei diversi
governi per realizzare gli obiettivi del sionismo. Herzl si inserì
in una tradizione di pensiero di lingua tedesca iniziata con Hess, e
in quella tradizione riunì attorno a sé la prima generazione di
leader sionisti (Max Bodenheimer, Max Nordau, Otto Warburg, David
Wolffsohn), a cui sono state vicine anche personalità come Albert Einstein.
Questa tradizione era quasi compattamente parte della corrente dei
"Sionisti generali" (ossia non affiliati a movimenti
specifici) di ispirazione liberale. Le idee di Herzl si inserirono
in un movimento migratorio ebraico già in atto, causato, in Russia,
dai pogrom degli anni 1881-1882 e poi degli anni 1903-1906. Secondo
dati del 1930, dal 1880 al 1929 emigrano dalla Russia 2.285.000 ebrei
e di questi, 45.000 affluirono in Palestina. La stragrande maggioranza
preferì recarsi altrove: 1.930.000 scelsero le Americhe, 240.000
l'Europa ed i restanti l'Africa e l'Oceania. Dall'Austria,
dall'Ungheria e dalla Polonia emigrano, dal 1880 al 1929, in 952.000:
697.000 nelle Americhe, 185.000 in altri Paesi europei, 40.000 in
Palestina. Proporzioni analoghe si riscontrarono fra i migranti
provenienti da altri Paesi. In totale, durante questi decenni migrano
3.975.000 ebrei: 2.885.000 negli Stati Uniti, 365.000 nel resto delle
Americhe (principalmente Argentina e Canada), 490.000 in Europa
occidentale e centrale (specie Francia e Germania), e solo 120.000 in
Palestina. L'importanza
dell'emigrazione dalle terre soggette all'Impero russo (oggi facenti
parte di Lettonia, Lituania, Polonia, Bielorussia, Ucraina) portò naturalmente all'emergere di una leadership di tali origini nel
movimento sionista, come ad esempio Leon Pinsker.
Nell'Ebraismo americano, importante più dal punto di vista del
sostegno finanziario che dell'emigrazione, svolse un ruolo
fondamentale il rabbino Solomon Schechter.
Nell'impero austo-ungarico,
l'unico modo efficace per tenere a bada le spinte
rivoluzionarie interne, stava in
un'energica amministrazione centrale, in grado di neutralizzarle
facendo leva sugli antagonismi tra le nazionalità.
Questa fu la linea politica adottata dal conte Eduard Taaffe, che dal
1879 al 1893 ricoprì la carica
di primo ministro. Con la politica del pugno di ferro
controllò rigidamente la stampa, arrestando in tempo lo sviluppo di
movimenti prima liberal-borghesi e poi social-democratici (1886). I
primi segnali di cedimento di questa fragile struttura cominciarono
ad apparire nel 1890, nell'occasione in cui la politica
dell'Ausgleich affrontava il problematico rapporto tra le
nazionalità ceca e tedesca. Taaffe trattò l'Ausgleich solo con i
rappresentanti del partito conservatore dei Vecchi Cechi, molto meno
radicale nelle questioni di nazionalità rispetto a quello dei
Giovani Cechi,
guidato da Karel Kramář. Già nell'elezioni dell'anno successivo, quest'ultimo riuscì a conquistare i tre quarti dei seggi
del parlamento boemo, rendendo i
rapporti con il conservatore Taaffe inesistenti e decretandone la
fine. Con le dimissioni di Taaffe, gli successe Alfred III di
Windisch-Grätz, che fece approvare una riforma elettorale che riuscì
a sistemare la situazione, pur sempre in equilibrio precario. Se
nella zona transleitanica (Ungheria e Croazia) le spinte indipendentiste preoccupavano il
potere centrale, in quella cisleitanica (Austia) lo sviluppo interno era
dominato dai contrasti nazionalistici tra partiti cechi e tedeschi,
che non davano speranze di raggiungere un compromesso, reso impossibile
dalla inconciliabilità delle proposte dell'una e dell'altra fazione.
Per migliorare la situazione, Francesco Giuseppe assegnò la carica
di primo ministro al conte Kazimierz Badeni. Questi, con riforme
atte a diffondere in tutto il territorio moravo e boemo il
bilinguismo per tutti gli
uffici, ottenne esattamente l'effetto contrario, acuendo ancora
l'odio tra le due nazionalità.
Seguirono quindi dimostrazioni in tutti i territori da parte di
tedeschi e cechi. Essendo in minoranza nel consiglio imperiale, i
tedeschi assunsero una politica di ostruzionismo che rese impossibile
qualsiasi lavoro parlamentare e Badeni decise di usare il pugno di
ferro rendendo possibile la temporanea sospensione dei parlamentari
dell'opposizione. Così però, spinse i socialdemocratici ad
abbracciare la causa tedesca, costringendo il primo ministro alle
dimissioni. I governi successivi (Gautsch e Thun), pur cercando di
ammorbidire la situazione, non ci riuscirono e il clima sociale si manteneva pericolosamente esplosivo. Nella zona cisleitanica ormai
non esisteva più un ordine costituzionale e il frazionamento della
monarchia danubiana sembrava inevitabile. I cechi
costituirono un
partito nazional-socialista che
premeva per l'indipendenza di uno stato ceco e i tedeschi, erano capeggiati dall'antisemita
radicale Georg von Schönerer, che entusiasmava i seguaci con l'idea
di una possibile annessione al Reich.
La situazione continuò a rimanere instabile sino al governo Koerber
(1899-1904). Ernest von Koerber riuscì a raggiungere una certa
stabilità manovrando abilmente l'opinione pubblica, con
l'introduzione di un'assicurazione contro l'invalidità e la
vecchiaia e con la riduzione della giornata lavorativa dei minatori a
nove ore. Limitandosi a risolvere problemi amministrativi, non avrebbe
certo assicurato pace e stabilità per gli anni successivi.
La
situazione interna russa era in stallo. Le modeste riforme dello zar
Alessandro II che nel 1861
avevano abolito la servitù della gleba,
non avevano nemmeno contemplato la creazione di un sistema
parlamentare, sia pure di tipo consultivo. Riguardo alla politica
estera, sin dagli anni settanta dell'800
la Russia aveva
avviato un processo espansionistico che l'aveva messa in contatto
particolarmente con le nazioni dell'est. Nel 1877-1878
la vittoria nella guerra russo-turca le consentì la conquista della
Bessarabia mentre già nel 1875 aveva strappato l'isola di Sachalin, nel Pacifico, alla Cina. In
questo modo l'impero russo andava sviluppandosi sulle coste
dell'Oceano Pacifico, entrando in contatto con nuove potenze, quali
gli Stati Uniti (a cui vendette l'Alaska) e il nascente Giappone, con cui entrò in conflitto nel 1904. Tuttavia questa fase di
espansione territoriale terminò nel 1905, quando ulteriori
avanzamenti avrebbero scatenato conflitti di ampia portata. L'ultima
conquista fu la regione dell'Amur, su cui dovette ripiegare dopo aver
perso ogni speranza in Manciuria e in Corea con la guerra
russo-giapponese. Nel 1881,
comunque, lo zar "buono" finì vittima di un attentato e
con Alessandro III ogni ulteriore tentativo riformista venne
arrestato. Nel 1894 gli successe il figlio, Nicola II, che diede il
via ai primi deboli tentativi di un regime parlamentare. Il primo
organo russo degno di questo nome fu la Duma, frutto della cosiddetta
prima rivoluzione del
1905, nata anche a
causa delle delusioni nella guerra persa contro il Giappone. Alla fine
della rivoluzione lo zar concesse un regime vagamente parlamentare
basato su due Camere con potere legislativo (il consiglio di stato e
la Duma), ma con nessuna possibilità di influenzare l'attività di
governo, continuando i ministri a dipendere dai voleri
dello zar.
Nel 1882 iniziò
la corsa alle alleanze; Otto von
Bismarck allargò l'alleanza fra la Germania
e gli Asburgo all'Italia, (la triplice alleanza) nel
tentativo di spegnere nei francesi ogni velleità di rivincita per la
sconfitta patita nel 1871. L'alleanza fu pensata anche in senso anti
russo, sbarrando allo zar ogni possibilità di mettere piede nel
Mediterraneo. Per reazione, venne sancita un'alleanza
tra Francia e Russia
nel 1893 alla quale
si aggiunse, nel 1907, la Gran Bretagna (la triplice intesa).
Visto
che Gran Bretagna, Francia e più timidamente anche la Germania, si
erano assicurate ampie conquiste in Africa, anche l'Italia
cercò il suo spazio nel corno d'Africa.
Nel 1882 il Regno d'Italia acquistò dalla
compagnia Rubattino la baia di Assab, iniziando così la penetrazione
nell'area e iniziò così la campagna d'Eritrea,
in un clima di ottimismo che venne stroncato durante la battaglia di
Adua, dove, all'alba del 1º marzo 1896, i 15.000 soldati del
generale Oreste Baratieri vennero travolti dagli oltre 100.000
guerrieri di Menelik II.
In generale, le politiche aggressive degli stati europei sfociarono in vari conflitti circoscritti alle colonie, ma nei ceti dirigenti andava comunque crescendo la percezione di un conflitto generalizzato, che prima o poi avrebbe coinvolto le maggiori potenze in uno scontro all'ultimo sangue.
Battaglia di Adua in un celebre dipinto etiope. |
Nel 1885 al secondo Congresso di Berlino, vengono ridefinite le aree di espansione coloniale di Francia,
Inghilterra, Russia, Belgio e Germania. Il regista di queste
operazioni diplomatiche è sempre il cancelliere tedesco Otto von Bismarck
(1862-1890).
In generale, le politiche aggressive degli stati europei sfociarono in vari conflitti circoscritti alle colonie, ma nei ceti dirigenti andava comunque crescendo la percezione di un conflitto generalizzato, che prima o poi avrebbe coinvolto le maggiori potenze in uno scontro all'ultimo sangue.
Sul
finire dell'800, l'enorme Impero ottomano
era in piena crisi
politica dovuta proprio alla ingente quantità di territori che lo
costituivano. I domini extraeuropei erano governati con relativa
facilità, determinata dalla comune fede che univa l'Arabia, la
Mesopotamia, la Palestina, la Siria e zone del litorale nordafricano.
Nelle provincie europee,
invece, sorgevano in continuazione ribellioni
a causa di spinte indipendentiste e anche religiose. La situazione
era resa ancora più insostenibile dalla ferocia del dominio turco,
che domava senza pietà qualsiasi insurrezione. Costantemente
minacciata a nord dal colosso russo,
la Turchia stava ormai crollando a causa del cattivo governo e
della sua arretratezza in campo economico e militare. Solo la
Gran Bretagna sembrava nutrire simpatia nei confronti dell'impero
ottomano, sentimento ampiamente giustificato dall'eterna concorrenza coloniale che la legava alla Russia che, senza l'ostacolo turco, avrebbe
ottenuto facilmente uno sbocco sul mare Mediterraneo, danneggiando, ovviamente,
l'economica britannica. L'impero
ottomano cominciò ad avvertire primi danni sin dal 1877,
quando venne impegnata in un conflitto con la Russia.
La reazione che aveva scatenato in conseguenza alle ribellioni degli slavi ortodossi di Bosnia ed Erzegovina, cominciate nel
1875 e terminate nel febbraio del 1877, fu talmente violenta e
sanguinaria che suscitò lo sdegno e l'orrore dell'intera Europa, non
più abituata a metodi così barbari. Così, nell'aprile del 1877 la Russia, slava ed ortodossa, si mosse minacciosamente contro la Turchia scavalcando la Romania e
dando inizio alla guerra russo-turca. Salvata in extremis dalla
minaccia inglese di un attacco all'impero zarista, la Turchia ne uscì
piuttosto malandata, costretta, nel successivo congresso di Berlino a
cedere alla Gran Bretagna l'isola di Cipro (ufficialmente come
ricompensa per l'appoggio concesso) e all'Austria
l'amministrazione della Bosnia e dell'Erzegovina (che
nominalmente rimanevano sotto la sovranità turca). Inoltre Bulgaria,
Serbia e Romania approfittarono
della situazione disagiata dell'impero per sottrarsi alla condizione
di vassallaggio che le legava alla Turchia. Nel 1881 fu anche costretto a cedere la Tessaglia e parte dell'Epiro alla
Grecia. Dopo dodici anni di relativa tranquillità, la Turchia tornò
alle armi per sedare le rivolte autonomiste degli armeni
(1890) e dei cretesi
(1896).
Questi, in particolare, non si accontentarono delle larghe autonomie
loro concesse e, dopo aver sterminato i contadini turchi
nell'isola, nel 1897 proclamarono l'annessione alla
Grecia. Aiutato dai
tedeschi, che avevano affidato
al generale von der Goltz la riorganizzazione dell'esercito turco,
l'impero ottomano riuscì a uscire vittorioso dalla guerra
greco-turca. Solo nel 1908 Creta renderà definitiva la propria
annessione alla Grecia e l'impero austriaco dichiarerà "territori
dell'impero" la Bosnia e l'Erzegovina, che fino ad allora si era
limitato ad amministrare. Una nuova ribellione sorse in
Albania, oppressa dai Turchi e
minacciata dai paesi confinanti che, salvata dall'intervento delle
grandi potenze, nel 1913 dichiarò la propria indipendenza. Oltre
alle ribellioni provenienti dall'interno, l'impero cominciò a
soffrire le offensive delle altre nazioni, come l'Italia,
che l'attaccò in Libia
e nell'Egeo, e a perdere ogni influenza nel continente europeo con
la perdita di tutti i territori nei balcani.
Con l'avvicinarsi del conflitto mondiale, la Turchia si trovava in
una situazione di tale crisi da doversi affidare all'aiuto delle
altre potenze: ai tedeschi, come già in precedenza, venne assegnata
la riorganizzazione dell'esercito, ai britannici quella della marina
e ad esperti francesi il riassetto delle finanze. In questo modo,
venne scongiurata la bancarotta dello stato turco, che in seguito
riuscì a mostrarsi un nemico ancora temibile.
Sul
finire del diciannovesimo secolo la Gran Bretagna
era bloccata dall'incapacità
dei suoi partiti di prendere in mano la situazione con decisione, guidando
la nazione verso gli orizzonti di uguaglianza sociale che
andavano profilandosi in tutti i paesi europei. Da una parte i
conservatori, principali responsabili di questa stasi politica
interna, distraendo le masse con le avventure coloniali, continuavano
a mantenere una politica reazionaria che bloccava al paese ogni
progresso in ambito sociale, dall'altra i liberali, i soli in grado
di ridare vita al paese, troppo divisi e troppo poco organizzati,
avevano perso tutte le opportunità che gli si erano presentate, per prima l'allargamento del diritto al voto a tutti i cittadini di
sesso maschile con famiglia a carico. Le elezioni del 1885
portarono effettivamente a una
vittoria liberale, affiancata però dall'ingresso in parlamento di
ottantadue deputati irlandesi, in grado di paralizzare l'intero
meccanismo legislativo pur di avanzare le proprie istanze
indipendentiste. Per dare una scossa alla situazione, il leader
liberale William Ewart Gladstone (alla sua seconda
premiership) cercò di concedere all'Irlanda la "Home rule", status che fa riferimento all'autogoverno, alla devoluzione o indipendenza
dei suoi stati costituenti, inizialmente l'Irlanda, poi Scozia,
Galles e Irlanda del Nord. Il
tentativo si rivelò catastrofico e portò alla separazione dai
liberali dei "liberal unionists" che, guidati da
Chamberlain, si muovevano in difesa dell'imperialismo. Mentre la
politica interna era dominata dai continui "battibecchi"
tra i due schieramenti politici, la popolazione era sempre più
coinvolta dall'audace politica estera, dominata innanzitutto dalla
questione boera, che subì una notevole scossa in seguito al "Jameson
Raid", la disastrosa operazione armata britannica contro la
Repubblica boera del
Transvaal, in Sudafrica, presieduta da Paul Kruger. La Repubblica del Transvaal, o Repubblica Sudafricana era una repubblica boera nel territorio dell'attuale Sudafrica esistita tra il 1848 e il 1902, fondata dal Voortrekker (i voortrekker, nome in lingua afrikaans per pionieri o avanguardia, letteralmente "quelli che vanno avanti", erano contadini afrikaner bianchi, allora conosciuti come boeri, che negli anni 1830 e 1840 emigrarono dalla Colonia del Capo controllata dai britannici, nella zona a nord del fiume Orange, un tempo abitata da popolazioni nere) Marthinus Wessel Pretorius, con capitale la città di Potchefstroom (in seguito la capitale divenne Pretoria) e un'estensione pari alla provincia sudafricana del Transvaal. Dal 1877 al 1881 subì temporaneamente l'occupazione britannica, per poi divenire nuovamente indipendente con la vittoria dei coloni voortrekkers nella prima guerra boera. Dopo alcune grandi conquiste in campo economico e di sviluppo sotto la presidenza di Paul Kruger, la sua esistenza terminò nel 1902 dopo la sanguinosa seconda guerra boera, quando venne annessa definitivamente dal Regno Unito e accorpata alla colonia reale del Sudafrica. Quando la colonia sudafricana divenne un dominion, il Transvaal (dal 1910 al 1994) formò la provincia sudafricana del Transvaal. I boeri (dall'olandese boer, «contadino») sono una popolazione sudafricana di origine olandese; essi discendono dai coloni che si stabilirono nella zona del Capo di Buona Speranza nel XVII secolo, per poi diffondersi nel resto dell'attuale nazione nel corso del XIX secolo, fino a fondare, nella seconda metà dell'Ottocento, le repubbliche autonome dello Stato Libero dell'Orange e del Transvaal (le cosiddette Repubbliche boere). I principali motivi che li indussero a lasciare il Capo per addentrarsi nell'entroterra furono il desiderio di sottrarsi al dominio britannico (che reclamava il Sudafrica come propria colonia) e quello di scampare alle continue guerre di espansione che il Regno Unito conduceva contro le tribù native sulle frontiere orientali e settentrionali del Paese. Il termine è spesso usato come sinonimo di afrikaner, che tuttavia designa, più genericamente, tutti i bianchi di lingua afrikaans, una lingua germanica occidentale parlata in Sudafrica e Namibia. I Boeri esercitarono un ruolo fondamentale nella storia del Sudafrica fino alla fine del XX secolo, in particolar modo tra il 1961 e il 1994, quando il Paese, già criticato per le sue posizioni discriminatorie contro le popolazioni non bianche, fu indotto a uscire dal Commonwealth su pressione di alcuni suoi membri, Canada in testa, per costituirsi in repubblica indipendente sotto la guida di Hendrik Verwoerd, che istituì il regime di separazione razziale noto come apartheid. I Boeri riuscirono così, pur essendo solo il 5% della popolazione complessiva del Sudafrica, a ottenere la propria parte nella dirigenza della nazione (assieme alla più numerosa minoranza anglosassone), facendo diventare l'afrikaans la seconda lingua ufficiale della nazione e conducendo il Sudafrica a livelli di benessere (limitatamente alla sua popolazione bianca) paragonabili a quelli occidentali. Dall'abrogazione dell'apartheid e la fine del sistema discriminatorio per razze in favore di un ordinamento dello Stato basato sul suffragio universale, l'influenza degli afrikaner sulla vita politica sudafricana è enormemente diminuita, a causa della loro inferiorità numerica rispetto ad etnie quali gli zulu e gli xhosa.
Nel Regno Unito, i primi segni di cambiamento cominciarono a farsi sentire nel febbraio del 1900, quando venne fondato il Labour Representation Committee, nato dalla separazione definitiva dei sindacati dai vecchi partiti tradizionali. La svolta decisiva avvenne alle elezioni del 1906, che registrarono la straordinaria vittoria dei liberali, che nel giro di pochi mesi cominciarono un'operazione di ammodernamento del sistema politico inglese, cominciando con la sistematica soppressione dei privilegi dell'aristocrazia.
Nel Regno Unito, i primi segni di cambiamento cominciarono a farsi sentire nel febbraio del 1900, quando venne fondato il Labour Representation Committee, nato dalla separazione definitiva dei sindacati dai vecchi partiti tradizionali. La svolta decisiva avvenne alle elezioni del 1906, che registrarono la straordinaria vittoria dei liberali, che nel giro di pochi mesi cominciarono un'operazione di ammodernamento del sistema politico inglese, cominciando con la sistematica soppressione dei privilegi dell'aristocrazia.
Nell'impero
germanico, nel 1888,
alla morte di Guglielmo I, salì al trono il figlio, Federico III, il
cui regno durò appena 99 giorni, al quale successe il giovane
Guglielmo II. Questi,
infastidito dall'imponente e ingombrante tutela del Cancelliere Otto
von Bismarck, lo spinse alle dimissioni il 20 marzo 1890, creandosi
tutto lo spazio necessario per mettere in pratica le proprie idee
politiche.
Ben lontano dall'atteggiamento filo-russo di Bismarck, Guglielmo II si rifiutò di rinnovare il trattato di controassicurazione con la Russia, trattato che avrebbe assicurato la neutralità di Germania e Russia nel caso che uno dei due si fosse trovato in guerra con una terza potenza. Di conseguenza lo zar Alessandro III concluse nel 1891 un accordo con la Francia, a norma del quale entrambe le parti si sarebbero impegnate a soccorrere l'altra in caso di aggressione, il che rese ormai palese la presenza di un secondo, seppur ancora poco solido fino all'adesione della Gran Bretagna del 1907, blocco politico europeo.
Ben lontano dall'atteggiamento filo-russo di Bismarck, Guglielmo II si rifiutò di rinnovare il trattato di controassicurazione con la Russia, trattato che avrebbe assicurato la neutralità di Germania e Russia nel caso che uno dei due si fosse trovato in guerra con una terza potenza. Di conseguenza lo zar Alessandro III concluse nel 1891 un accordo con la Francia, a norma del quale entrambe le parti si sarebbero impegnate a soccorrere l'altra in caso di aggressione, il che rese ormai palese la presenza di un secondo, seppur ancora poco solido fino all'adesione della Gran Bretagna del 1907, blocco politico europeo.
In
linea con la politica bismarckiana, anche Guglielmo II
cercò di mantenere
amichevoli rapporti con la Gran Bretagna, ma la politica espansionistica in campo commerciale del
Kaiser entrò presto in attrito con gli interessi
britannici. Il primo caso riguardò la Turchia,
territorio in cui la Germania espandeva i propri commerci
ampliando la rete ferroviaria
che la collegava alle zone orientali. Lord Edward Grey riferisce che
nel 1892 "da Berlino arrivò improvvisamente una specie di
ultimatum con il quale ci si chiedeva di smettere di contendere"
ai tedeschi " le concessioni ferroviarie in Turchia". Da
notare che nel 1895
la Germania raggiunse,
nel panorama europeo,
il primato nei 4 settori industriali:
siderurgico, chimico, elettrico e meccanico. Il
secondo episodio di contrasto riguardò la disastrosa
operazione armata britannica contro la Repubblica del Transvaal, ricordata come il “Jameson Raid”, in occasione del quale, il 3
gennaio del 1896,
successivamente a una riunione del gabinetto, il Kaiser
decise di inviare un telegramma di solidarietà al presidente boero Paul Kruger,
in cui sembrava negare la sovranità inglese sul Transvaal. La
situazione giunse ad una tensione tale che Guglielmo II propose a
Francia e Russia di creare una lega contro la Gran Bretagna. Il
progetto ben presto fu lasciato per molteplici motivi: innanzitutto i
due paesi interpellati risposero negativamente, ma soprattutto la
Germania si accorse di non avere alcuna probabilità di successo sul
regno britannico finché non avesse avuto a propria disposizione una
flotta tale da fronteggiare la temibile marina inglese. Risale
proprio a questo periodo la ferrea intenzione del Kaiser di
rivoluzionare la marina tedesca,
affidando l'operazione all'ammiraglio Alfred von Tirpitz.
Nonostante i numerosi contrasti, nel 1898 il governo inglese propone alla Germania quell'alleanza a lungo ricercata da Bismarck durante il suo governo. In quest'occasione però, sono i tedeschi a rigettare gli insistenti tentativi di Chamberlain, ben sapendo che la Gran Bretagna avrebbe utilizzato la Germania per proteggersi dall'Impero zarista. Comprendendo questo fine, il Kaiser e l'allora cancelliere Bernhard von Bülow erano sicuri che la Gran Bretagna non avrebbe mai rivolto la propria attenzione verso la Duplice Intesa (Francia e Russia). In realtà si sbagliarono nel sottovalutare l'ammonimento di Chamberlain che nel 1898 e nel 1901 affermava: « Il periodo dello splendido isolamento inglese è terminato... Noi preferiremmo avvicinarci alla Germania e aderire alla Triplice Alleanza. Ma se ciò risulterà impossibile, contempleremo un riavvicinamento alla Francia e alla Russia ».
Intanto, la trionfale visita del Kaiser Guglielmo II ai territori dell’impero ottomano nel 1898, con teatrali ingressi a Istanbul, a Damasco e a Gerusalemme, rafforza l’amicizia germanico-ottomana.
In Italia, tra il 1898 e il 1899 la fame e la disoccupazione portano a una situazione apparentemente rivoluzionaria. Durante la Rivolta dei Boxer in Cina (1899-1901), l'Italia interviene nel paese asiatico con un corpo di spedizione, al fianco delle altre Grandi Potenze e alla fine del conflitto, il governo cinese concede all'Italia una piccola zona nella città di Tientsin, il porto di Pechino.
Con l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele III, in seguito all'assassinio di Umberto I per mano dell'anarchico Gaetano Bresci (il 29 luglio 1900), ebbe inizio un periodo di rapida evoluzione.
Dal 1900, dopo secoli di egemonia incontrastata dell’Europa sul resto del mondo, iniziarono a emergere potenze extraeuropee come gli Stati Uniti e il Giappone, che entrarono nella competizione imperialistica, talvolta infliggendo sconfitte umilianti alle tradizionali potenze europee.
Nel 1895, l'Italia scatena la
prima guerra italo-abissina contro l'Etiopia, attaccandola dai
suoi territori in Eritrea e Somalia. Le differenti interpretazioni
del trattato di pace stipulato
nel 1889, posero le basi per lo scoppio di un conflitto
e la successiva avanzata italiana in Abissinia (o Etiopia),
ma la pronta reazione delle truppe abissine costrinse inizialmente
l'Italia alla resa. Dopo questa prima sconfitta, l'Italia subisce, il
1º marzo 1896, la definitiva e pesante disfatta di Adua,
nella quale caddero sul campo circa 7.000 uomini. Il 26 ottobre 1896
si conclude la pace di Addis Abeba, con la quale l'Italia
rinuncia alle sue mire espansionistiche in Abissinia. La
disfatta provoca forti reazioni in tutta Italia, dove c'è chi
propone un immediato rilancio del progetto coloniale e chi, come una
parte del partito socialista, propone di abbandonare immediatamente
le imprese colonialiste.
Nonostante i numerosi contrasti, nel 1898 il governo inglese propone alla Germania quell'alleanza a lungo ricercata da Bismarck durante il suo governo. In quest'occasione però, sono i tedeschi a rigettare gli insistenti tentativi di Chamberlain, ben sapendo che la Gran Bretagna avrebbe utilizzato la Germania per proteggersi dall'Impero zarista. Comprendendo questo fine, il Kaiser e l'allora cancelliere Bernhard von Bülow erano sicuri che la Gran Bretagna non avrebbe mai rivolto la propria attenzione verso la Duplice Intesa (Francia e Russia). In realtà si sbagliarono nel sottovalutare l'ammonimento di Chamberlain che nel 1898 e nel 1901 affermava: « Il periodo dello splendido isolamento inglese è terminato... Noi preferiremmo avvicinarci alla Germania e aderire alla Triplice Alleanza. Ma se ciò risulterà impossibile, contempleremo un riavvicinamento alla Francia e alla Russia ».
Intanto, la trionfale visita del Kaiser Guglielmo II ai territori dell’impero ottomano nel 1898, con teatrali ingressi a Istanbul, a Damasco e a Gerusalemme, rafforza l’amicizia germanico-ottomana.
In Italia, tra il 1898 e il 1899 la fame e la disoccupazione portano a una situazione apparentemente rivoluzionaria. Durante la Rivolta dei Boxer in Cina (1899-1901), l'Italia interviene nel paese asiatico con un corpo di spedizione, al fianco delle altre Grandi Potenze e alla fine del conflitto, il governo cinese concede all'Italia una piccola zona nella città di Tientsin, il porto di Pechino.
Con l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele III, in seguito all'assassinio di Umberto I per mano dell'anarchico Gaetano Bresci (il 29 luglio 1900), ebbe inizio un periodo di rapida evoluzione.
Dal 1900, dopo secoli di egemonia incontrastata dell’Europa sul resto del mondo, iniziarono a emergere potenze extraeuropee come gli Stati Uniti e il Giappone, che entrarono nella competizione imperialistica, talvolta infliggendo sconfitte umilianti alle tradizionali potenze europee.
Ai
primi del '900, fra i
paesi industriali produttori, la Germania
fu seconda solo agli Stati Uniti d'America,
che rappresentava il maggior mercato interno del mondo,
per quanto il suo sistema bancario fosse ad uno stato embrionale ed
esportasse solo il 5% della sua produzione. Alcune nazioni europee, da
parte loro, investivano negli USA per il 10% del suo mercato in:
armamenti, industrie telegrafiche, telefoniche e tranviarie
oltre a gas, acqua ed elettricità... tutti asset collegati alle
urbanizzazioni. L'industria petrolifera nacque negli Stati Uniti (nei
pressi di Titusville, Pennsylvania) negli anni '50 dell'800 per l'iniziativa di Edwin Drake.
Il 27 agosto 1859 venne aperto il primo pozzo petrolifero redditizio
del mondo. L'industria crebbe lentamente durante l'800 e non diventò
di interesse nazionale USA fino agli inizi del ventesimo
secolo; l'introduzione del
motore a combustione interna
fornì la domanda che ha poi largamente sostenuto questa industria. I
primi piccoli giacimenti "locali" in Pennsylvania e in
Ontario sono stati velocemente esauriti, portando i " boom
petroliferi" in Texas, Oklahoma, e California. Alcune nazioni europee avevano considerevoli riserve petrolifere nei loro
possedimenti coloniali, e
incominciarono ad utilizzarli a livello industriale.
Dopo
anni in cui la Germania pareva dirigere le sorti d'Europa, intorno al
1902 le altre
potenze, sempre più urtate dall'arroganza tedesca, cominciarono a
intraprendere trattative più o meno segrete per regolare i loro
rapporti a proposito delle colonie, estromettendo la Germania. Il
primo patto in tal senso venne stipulato il 30 gennaio 1902 tra Gran
Bretagna e Giappone,
alleanza che porterà indirettamente lo stato giapponese in
guerra con la Russia. Questa
trattativa diplomatica fu la prima a decretare la fine dello
"splendido isolamento" e l'avvicinamento alla nascita di un
nuovo e solido blocco politico europeo.
Nello
stesso anno, erano cominciate le prime trattative
segrete tra Francia e
Italia, che avrebbero
preparato quest'ultima alla guerra italo-turca combattuta tra il 1911
e il 1912. In tale modo l'Italia aveva intrapreso un doppio gioco
diplomatico: se da una parte nell'autunno del 1902
rinnovava la Triplice Alleanza con Germania e Austria, dall'altra
assicurava alla Francia la neutralità nel caso in cui i suoi alleati
le avessero dichiarato guerra.
Fondamentalmente ogni alleanza fra potenze europee, era valida solo per la difesa da un'eventuale attacco, infatti, alla fine della Grande Guerra nessuno avrebbe riconosciuto di avere attaccato per primo.
Fondamentalmente ogni alleanza fra potenze europee, era valida solo per la difesa da un'eventuale attacco, infatti, alla fine della Grande Guerra nessuno avrebbe riconosciuto di avere attaccato per primo.
Grave
per il Reich fu la stipulazione anglo-francese del
1904 della “Entente
cordiale”, in cui le due parti riconoscevano le loro sfere
d'influenza coloniale. Pur non menzionando questioni di politica
europea, il patto fu un duro colpo per la Germania che, pur
mantenendo una facciata di indifferenza, capiva di perdere importanza
nelle questioni d'oltremare.
Nella
guerra russo-giapponese
del 1904-1905 per
la prima volta nella storia moderna
uno stato europeo fu sconfitto da una nazione di razza non
bianca. L’umiliazione fu
particolarmente sentita in un periodo in cui andavano diffondendosi
teorie razziste sulla superiorità biologica della razza bianca,
destinata a dominare e a civilizzare il mondo intero (razzismo).
Nel 1907 la corsa alle alleanze scatenata da Otto von Bismarck, che nel 1882 aveva allargato l'alleanza fra la Germania e gli Asburgo all'Italia, (la triplice alleanza) nel tentativo di spegnere nei francesi ogni velleità di rivincita per la sconfitta patita nel 1871 e pensata anche in senso anti russo, sbarrando allo zar ogni possibilità di mettere piede nel Mediterraneo, per reazione, vide sancita un'alleanza tra Francia e Russia nel 1893 alla quale si aggiunse, nel 1907 la Gran Bretagna (la triplice intesa).
Nel 1907, nell'impero ottomano, i vari gruppi che costituivano l’opposizione al governo sultaniale, capeggiati dal Comitato “Unione e Progresso” e dalla società “Patria e Libertà” guidata da Mustafa Kemal (il futuro Atatürk) si fusero nel Partito che ordinariamente venne denominato “dei Giovani Turchi”, con un programma fortemente nazionalista e modernizzatore ispirato principalmente al nazionalismo tedesco e alle tesi teistico-scientiste care agli ambienti massonici (le logge massoniche erano penetrate nel mondo musulmano già dalla fine del Settecento, sull’onda dell’entusiasmo suscitato in Egitto dal proclama che il giovane generale Bonaparte aveva pubblicato in Alessandria il 2 luglio del 1798). Le genti anatoliche, pretendevano i “Giovani Turchi”, andavano rigorosamente turchizzate espellendo dalla penisola le minoranze etniche (arabi nel Meridione, turchi e armeni nell’interno, greci sulle coste occidentali); da questo punto di vista – mentre i curdi, iranici e musulmani, venivano soggetti a una specie di turchizzazione unilaterale -, il problema più grave era costituito dagli armeni, che per giunta erano anche cristiani. L’Islam difatti, dal punto di vista non tanto propriamente religioso quanto storico-culturale, stava sempre più divenendo nella prospettiva nazional-progressista turca una parte del progetto di costruzione di una nuova “grande patria turca”. I “Giovani Turchi”, filotedeschi e ammiratori della Germania guglielmina, si andavano dal canto loro distinguendo in nazionalisti “piccolo-turchi e in “grandi turchi” panturanici: una distinzione che ripeteva esattamente quella dei nazionalisti tedeschi in “piccoli tedeschi” che guardavano alla Germania vera e propria e in “grandi tedeschi” pangermanisti che aspiravano all’unione di tutte le stirpi germaniche d’Europa, così come era stato per panslavisti. La fazione dei “Giovani Turchi” che s’ ispirava al pangermanesimo sognava un futuro impero “da Edirne a Samarcanda”, fondato sull’unione in un solo grande stato-nazione di tutte le genti turche a ovest e ad est del Caspio. Non bisogna dimenticare queste aspirazioni, perché nella società turca di oggi esse stanno risorgendo e fanno parte del complesso panorama nazional-religioso dei movimenti che appoggiano il presidente Erdoğan.
(Franco Cardini da https://ytali.com/2016/06/03/a-proposito-del-genocidio-armeno-e-non-solo-2/)
Inoltre i dirigenti dei "Giovani Turchi", in particolare Talat Paşa, si macchiarono delle colpe del genocidio armeno, condotto durante la prima guerra mondiale.
Nel 1907 la corsa alle alleanze scatenata da Otto von Bismarck, che nel 1882 aveva allargato l'alleanza fra la Germania e gli Asburgo all'Italia, (la triplice alleanza) nel tentativo di spegnere nei francesi ogni velleità di rivincita per la sconfitta patita nel 1871 e pensata anche in senso anti russo, sbarrando allo zar ogni possibilità di mettere piede nel Mediterraneo, per reazione, vide sancita un'alleanza tra Francia e Russia nel 1893 alla quale si aggiunse, nel 1907 la Gran Bretagna (la triplice intesa).
Nel 1907, nell'impero ottomano, i vari gruppi che costituivano l’opposizione al governo sultaniale, capeggiati dal Comitato “Unione e Progresso” e dalla società “Patria e Libertà” guidata da Mustafa Kemal (il futuro Atatürk) si fusero nel Partito che ordinariamente venne denominato “dei Giovani Turchi”, con un programma fortemente nazionalista e modernizzatore ispirato principalmente al nazionalismo tedesco e alle tesi teistico-scientiste care agli ambienti massonici (le logge massoniche erano penetrate nel mondo musulmano già dalla fine del Settecento, sull’onda dell’entusiasmo suscitato in Egitto dal proclama che il giovane generale Bonaparte aveva pubblicato in Alessandria il 2 luglio del 1798). Le genti anatoliche, pretendevano i “Giovani Turchi”, andavano rigorosamente turchizzate espellendo dalla penisola le minoranze etniche (arabi nel Meridione, turchi e armeni nell’interno, greci sulle coste occidentali); da questo punto di vista – mentre i curdi, iranici e musulmani, venivano soggetti a una specie di turchizzazione unilaterale -, il problema più grave era costituito dagli armeni, che per giunta erano anche cristiani. L’Islam difatti, dal punto di vista non tanto propriamente religioso quanto storico-culturale, stava sempre più divenendo nella prospettiva nazional-progressista turca una parte del progetto di costruzione di una nuova “grande patria turca”. I “Giovani Turchi”, filotedeschi e ammiratori della Germania guglielmina, si andavano dal canto loro distinguendo in nazionalisti “piccolo-turchi e in “grandi turchi” panturanici: una distinzione che ripeteva esattamente quella dei nazionalisti tedeschi in “piccoli tedeschi” che guardavano alla Germania vera e propria e in “grandi tedeschi” pangermanisti che aspiravano all’unione di tutte le stirpi germaniche d’Europa, così come era stato per panslavisti. La fazione dei “Giovani Turchi” che s’ ispirava al pangermanesimo sognava un futuro impero “da Edirne a Samarcanda”, fondato sull’unione in un solo grande stato-nazione di tutte le genti turche a ovest e ad est del Caspio. Non bisogna dimenticare queste aspirazioni, perché nella società turca di oggi esse stanno risorgendo e fanno parte del complesso panorama nazional-religioso dei movimenti che appoggiano il presidente Erdoğan.
(Franco Cardini da https://ytali.com/2016/06/03/a-proposito-del-genocidio-armeno-e-non-solo-2/)
Inoltre i dirigenti dei "Giovani Turchi", in particolare Talat Paşa, si macchiarono delle colpe del genocidio armeno, condotto durante la prima guerra mondiale.
In Europa, la crescente rivalità tra
gli stati modificò il significato del nazionalismo: l’idea
di nazione cessò di essere legata all’aspirazione all’unità di
valori nel continente europeo ma si trasformò invece nell'
esaltazione del “sacro diritto” di ogni popolo a coltivare
l’egoismo nazionale.
Carta delle etnie nell'impero austro-ungarico nel 1911. |
La situazione serba divenne
sempre più problematica, soprattutto a partire dal 1908,
allorquando l'Austria-Ungheria annetté ai propri territori la
Bosnia-Erzegovina, nonostante le proteste turche, che presentava una popolazione di soli
serbocroati. La Bosnia-Erzegovina era stata controllata legalmente dall'impero asburgico, secondo i dettami del primo trattato di Berlino, dal 1878.
L’amicizia del più potente
sovrano d’Europa, il Kaiser Guglielmo II, non bastò a proteggere il sultano ottomano dai giovani
militari e intellettuali che erano, fra l'altro, a loro volta dei
sinceri ammiratori della giovane e fiera Germania imperiale. La
rivolta militare di Salonicco capeggiata da un gruppo di giovani
ufficiali (i Giovani Turchi) tra i quali si distingueva il leader Enver Bey, nel luglio
del 1908, aveva come scopo immediato il ristabilimento della
costituzione del 1876 che era stata successivamente sospesa: ma
rappresentava in realtà la generale sconfessione del governo di
Abdül-Hamit che, nonostante avesse accettato il reintegro
costituzionale, fu deposto meno di un anno dopo. Il nuovo sultano Mehmet V dovette
affrontare una serie di sollevazioni, dall’Albania alla penisola
arabica.
Nel settembre del 1908, la Grecia si annette Creta e nell’ottobre di quell'anno, Ferdinando I di Sassonia-Coburgo si proclama czar di Bulgaria. Si andava preparando, con l’accordo almeno provvisorio di Austria e Russia - e la riserva di un loro futuro scontro per l’egemonia - la definitiva deturchizzazione, anche formale, dell’intera penisola balcanica.
Deluso dall'annessione all'Austria-Ungheria della Bosnia (dove vivevano 825.000 serbi di fede ortodossa e abitavano molti altri sostenitori della causa serba) e costretto a riconoscere tale annessione nel marzo 1909 mettendo così un freno alle agitazioni dei nazionalisti serbi, il governo serbo rivolse le sue mire espansionistiche verso sud, in quella che era la "Vecchia Serbia" (il Sangiaccato di Novi Pazar e la provincia del Kosovo). Alle mire serbe si aggiunsero quelle bulgare: dopo aver ottenuto l'appoggio della Russia nell'aprile 1909, la Bulgaria desiderava infatti annettere i territori ottomani in Tracia e Macedonia. Nel frattempo, il 28 agosto 1909 in Grecia, un gruppo di ufficiali (Stratiotikos Syndesmos) chiesero una riforma costituzionale, la rimozione della famiglia reale dalla guida delle forze armate e una politica estera più decisa e nazionalista con cui poter risolvere la questione cretese e ribaltare l'esito della sconfitta del 1897. A questi avvenimenti si aggiunse l'insurrezione del marzo 1910 della popolazione albanese in Kosovo (appoggiata dai Giovani Turchi) e, nell'agosto 1910, il Montenegro diventò a sua volta un regno.
In seguito, l'impero ottomano subisce l’aggressione dell’Italia
che, pur alleata dell’amica Germania, tra 1911 e 1912 gli strappa le ultime residue province nordafricane da esso ancora almeno
formalmente controllate, Tripolitania e Cirenaica. Gli italiani
occuparono anche Rodi e il Dodecaneso e giunsero a forzare lo stretto dei
Dardanelli. Il 12 ottobre del 1912, turchi
e italiani accedevano alla faticosa pace di Losanna. Il sultano avrebbe invero volentieri ceduto
Tripolitania e Cirenaica all’Italia in cambio di un suo governo
nella sostanza coloniale, ma che formalmente rispettasse la sovranità
ottomana: tale accordo era già stato accettato dall’Inghilterra
per l’Egitto e dalla Francia per Algeria e Tunisia. Ma il governo
di Giolitti, che aveva scatenato la guerra per distogliere
l’attenzione degli italiani da forti difficoltà interne, aveva
bisogno di un’affermazione piena, non di una transazione che
sarebbe parsa un ripiego se non una mezza sconfitta. Così la guerra
continuò per approdare alla costituzione di una “Libia italiana”.
Guidata
dalla forte personalità di Giovanni Giolitti, l'Italia
fece progressi notevoli, coronati dalla fortunata guerra italo-turca
combattuta tra il settembre del 1911
e l'ottobre del 1912. Anche il poeta romagnolo e socialista Giovanni Pascoli, reclamava un posto al sole per l'Italia e all'inizio della campagna libica pronunciò il discorso "La grande proletaria si è mossa". La guerra italo-turca (nota in
italiano anche come guerra di Libia e per i turchi come Guerra di
Tripolitania) fu combattuta dal Regno d'Italia contro l'Impero
ottomano tra il 29 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, per
conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della
Cirenaica. Le ambizioni coloniali spinsero l'Italia ad impadronirsi
delle due province ottomane che nel 1934, assieme al Fezzan,
avrebbero costituito la Libia, dapprima come colonia italiana ed in
seguito come Stato indipendente. Durante il conflitto fu occupato
anche il Dodecanneso, arcipelago del Mar Egeo; quest'ultimo avrebbe dovuto essere
restituito ai turchi alla fine della guerra, ma rimase sotto
amministrazione provvisoria da parte dell'Italia fino a quando, con
la firma del trattato di Losanna nel 1923, la Turchia rinunciò a
ogni rivendicazione, e riconobbe ufficialmente la sovranità italiana
sui territori perduti nel conflitto. Nel corso della guerra, l'Impero
ottomano si trovò notevolmente svantaggiato, poiché avrebbe potuto rifornire
il suo piccolo contingente in Libia solo attraverso il Mediterraneo e la flotta turca non fu in grado di competere con la Regia Marina; gli Ottomani, così non riuscirono ad inviare rinforzi alle loro province
nordafricane. Pure se minore, questo evento bellico fu un importante
precursore della prima guerra mondiale, perché contribuì al
risveglio del nazionalismo nei Balcani. Osservando la facilità
con cui gli italiani avevano sconfitto i disorganizzati turchi
ottomani, i membri della Lega Balcanica attaccarono l'Impero prima
del termine del conflitto con l'Italia. Durante il conflitto italo-turco si registrarono numerosi progressi
tecnologici nell'arte militare tra cui, in particolare, l'impiego
dell'aeroplano (furono schierati in totale 9 apparecchi) sia come
mezzo offensivo che come strumento di ricognizione. Il 23 ottobre
1911 il pilota Carlo Maria Piazza sorvolò le linee turche
in missione di ricognizione, e il 1º novembre dello stesso anno
l'aviatore Giulio Gavotti lanciò a mano la prima bomba aerea
(grande come un'arancia, si disse) sulle truppe turche di stanza in
Libia. Altrettanto significativo fu l'impiego della radio con
l'allestimento del primo servizio regolare di radiotelegrafia campale
militare su larga scala, organizzato dall'arma del genio sotto la
guida del comandante della compagnia R.T. Luigi Sacco e con la
collaborazione dello stesso Guglielmo Marconi. Infine, il conflitto
libico registrò il primo utilizzo nella storia di automobili in
una guerra: le truppe italiane furono dotate di autovetture Fiat
Tipo 2 e motociclette SIAMT.
Resta il fatto che la Libia è stata un'unità inventata dall'Italia e non era
mai stata un'entità politica unitaria, antefatto che potrebbe motivare l'attuale crisi libica. La Libia non ha mai posseduto un tessuto
sociale comune fra le varie tribù.
Comunque, tra il 1910 e il 1914, si conseguì in Italia la massificazione dell'istruzione secondaria e l'ingresso della donna del mondo del lavoro qualificato (con la "rivoluzione" della macchina da scrivere). Alla vigilia della prima guerra mondiale l'Italia, passando da un'economia prevalentemente agricola a una di stampo industriale, era divenuta la settima potenza industriale del mondo e aveva inoltre dato prova di buone capacità militari nel conflitto contro la Turchia.
Nel 1911, l'occupazione italiana della Tripolitania, regione appartenente nominalmente all'Impero Ottomano, ne indebolì la posizione internazionale stimolando ulteriormente le mire dei piccoli stati balcanici. Grazie alla mediazione russa, gli Stati balcanici conclusero una serie di accordi: tra la Serbia e la Bulgaria nel marzo 1912, tra la Bulgaria e la Grecia nel maggio 1912 e il Montenegro, infine, siglò accordi con Serbia e Bulgaria nell'ottobre 1912. Proprio in seguito a questi accordi, si ebbe lo scoppio della prima guerra balcanica, a cui seguì, l'anno dopo, la seconda guerra balcanica.
Comunque, tra il 1910 e il 1914, si conseguì in Italia la massificazione dell'istruzione secondaria e l'ingresso della donna del mondo del lavoro qualificato (con la "rivoluzione" della macchina da scrivere). Alla vigilia della prima guerra mondiale l'Italia, passando da un'economia prevalentemente agricola a una di stampo industriale, era divenuta la settima potenza industriale del mondo e aveva inoltre dato prova di buone capacità militari nel conflitto contro la Turchia.
Temendo un’eccessiva espansione
austriaca, e con l’implicito appoggio russo, la Serbia, la
Bulgaria, la Grecia e il Montenegro (regno indipendente dal 1910)
dichiarano guerra alla Turchia nell’intento di determinare una nuova situazione balcanica che escludesse l’impero austroungarico. Ciò dette adito alle due successive, complesse
“guerre balcaniche” del 1912-13, dalle quali si uscì con la pace
di Bucarest del 1913 che deluse tutti i contraenti ma dalla quale
scaturì il riconoscimento dell’Albania come principato autonomo.
Nelle guerre balcaniche, combattute nell'Europa sud-orientale nel 1912-1913, gli stati componenti la Lega Balcanica (Regno di
Bulgaria, Grecia, Regno del Montenegro e Regno di Serbia) dapprima
conquistarono agli ottomani la Macedonia e gran parte della Tracia e
poi si scontrarono tra loro per la spartizione delle terre
conquistate. Le promesse disattese ed i malumori
furono causati dal mancato completamento del processo di
emancipazione delle terre balcaniche da quel che rimaneva dell'Impero
Ottomano durante il XIX secolo. I serbi, durante la guerra
russo-turca del 1877-78, avevano infatti conquistato molti
territori mentre la Grecia si era annessa la Tessaglia nel 1881
(anche se poi ne dovette restituire una piccola parte agli Ottomani
nel 1897) e la Bulgaria (principato autonomo dal 1878) la provincia
della Rumelia orientale nel 1885. Questi tre stati, insieme al
Montenegro, nutrivano mire espansionistiche verso quei territori,
ancora sotto il dominio ottomano, noti con il nome di "Rumelia"
e che comprendevano la Rumelia orientale, la Macedonia e la Tracia. Del resto, già a metà Ottocento, le
tensioni fra gli stati balcanici desiderosi di sottrarre terre in
Macedonia e Tracia all'Impero Ottomano, avevano spinto le grandi
potenze a far sì che lo status quo fosse mantenuto e che le autorità
ottomane garantissero l'incolumità delle popolazioni cristiane a
loro sottomesse coinvolte nella lotta per la liberazione dal
dominio dell'impero ottomano stesso. Queste questioni, tuttavia, si
ripresentarono quando nel luglio 1908 i Giovani Turchi
costrinsero il Sultano a ripristinare la Costituzione ottomana da lui
stesso sospesa. Fu così che l'Austria-Ungheria approfittò
dell'instabilità politica dell'Impero Ottomano per annettersi la
provincia della Bosnia ed Erzegovina (già occupata, in realtà, nel
1878). A sua volta, la Bulgaria si proclamò un regno completamente
indipendente (nell'ottobre 1908), mentre i greci procedettero con
l'annessione dell'isola di Creta (le Grandi Potenze, tuttavia,
bloccarono quest'ultima operazione).
All'indomani del
congresso di Berlino del 1878, in cui venne ufficialmente riconosciuta come
Stato sovrano, la Serbia rimaneva un piccolo paese con
poco più di 50.000 km quadrati, con strutture arcaiche e una
popolazione di poco inferiore ai 2 milioni di abitanti. Senza accesso
al mare, priva di ferrovie, la Serbia era costituita da un'immensa
società contadina di piccoli e medi proprietari, le cui attività
principali consistevano nella coltivazione dei cereali,
nell'arboricoltura e nell'allevamento di maiali. Le poche industrie
manifatturiere erano specializzate nella trasformazione di prodotti
agricoli. La sola città importante all'epoca era Belgrado, la
capitale, con circa 30.000 abitanti. Serbia e Montenegro parteciparono alle guerre
balcaniche (1912-1913) contro Turchia prima e Bulgaria poi, uscendone
rafforzati e ampliati territorialmente. Il progetto di una possibile
unificazione dei due Regni fu bloccato però dall'Austria-Ungheria, che dichiarò, poco tempo dopo, guerra al
Regno di Serbia, a seguito dell'assassinio dell'arciduca Francesco
Ferdinando avvenuto a Sarajevo da parte di Gavrilo Princip, un
nazionalista serbo-bosniaco, che dette il pretesto che provocò la prima
guerra mondiale.
Carta degli stati balcanici nel 1914, in cui la Bosnia fa parte dell'impero austro-ungarico. |
Dopo la “rivoluzione di Salonicco”,
l’impero ottomano era ormai preda delle fazioni. Nel luglio del
1912, dopo una serie di colpi di mano, un governo detto del “Grande
Gabinetto”, presieduto da Ahmet Muhtar Pasha, aveva sciolto
l’assemblea nazionale e adottato una politica violentemente opposta
ai membri del partito di “Unione e Progresso”. Esso fu rovesciato
nel gennaio del 1913, i piena crisi balcanica, da Enver Bey, che
assunse direttamente il potere – insignito anche del titolo di
pasha – a capo di una trojka rivoluzionaria. S’impose così un regime
monopartitico, legittimato peraltro dalle elezioni del maggio 1914:
ne fu anima “ideologica” un intellettuale di origine curda, Ziya
Gökalp, che stabilì in tre punti fondamentali il suo programma
nazionalista e sociale:
1) turchizzazione dei settori sociali,
economici e politici del paese (nella prospettiva d’un futuro
impero che comprendesse i turchi non solo dell’Anatolia, ma anche
dell’Azerbaijan e dell’Asia centrale);
2) islamizzazione come segno
identitario e rimedio morale ai guasti provocati
dall’occidentalizzazione; ma, al tempo stesso,
3) decisa occidentalizzazione sotto il
profilo non etico-culturale bensì politico, civico, tecnologico e
militare (quella che egli definiva “contemporaneizzazione”). Il
nazionalismo unitarista-progressista s’ispirava largamente al
darwinismo sociale, concepiva la lotta tra le nazioni come conflitto
tra “specie organiche” e avversava la morale democratica
importata dall’Occidente liberale anzitutto in quanto morale
individualistica, decisa sostenitrice di diritti ma negatrice di
doveri. Scriveva Gökalp: “Non dire mai: ho diritto; il diritto non
esiste; c’è solo il dovere… Il mio animo, il mio cuore non
pensano, sentono. Seguono la voce che viene dalla nazione. Chiudo gli
occhi, compio il mio dovere”. Un’etica che sotto molti aspetti si
potrebbe definire – non diversamente dalla visione
socioantropologica che l’animava – “prenazista”.
La crisi austro-serba del luglio
1914, fu in realtà una crisi fra Austria e Russia (nella
quale ciascuna delle due contendenti contava sul suo sicuro alleato,
rispettivamente la Germania e la Francia con l'impegno difensivo della Gran Bretagna) coinvolse rapidamente nel
conflitto: Germania, Russia, Francia,
Belgio, Inghilterra e Giappone (che ambiva a occupare la concessione
coloniale tedesca di Chaochow, chiave alla sua penetrazione in Cina
settentrionale).
L'evento che dette il via alla deflagrazione del primo conflitto mondiale coincise a quando il Kaiser Guglielmo II si trovava a
Kiel, in occasione dell'annuale regata sull'Elba, nell'ambito della
"Settimana di Kiel", il 28 giugno 1914, quando lo
raggiunse un telegramma che annunciava che l'arciduca Francesco
Ferdinando, in visita a Sarajevo, era rimasto vittima di un
attentato insieme con la consorte morganatica, Sofia (un matrimonio morganatico è un tipo
di matrimonio contratto in tra persone di diverso rango sociale, che
impedisce il passaggio alla moglie dei titoli e dei privilegi del
marito). L'erede al
trono degli Asburgo si era recato in visita ufficiale nella città serba quello stesso giorno, in occasione dell'anniversario della sconfitta che
i turchi avevano inflitto ai serbi nella battaglia del Kosovo del
1349. L'organizzazione terroristica serba "Mano Nera"
aveva affidato a sei giovani cospiratori il compito di attentare
alla vita dell'arciduca in nome dell'indipendenza serba, minacciata dalle mire imperialistiche dell'imperatore asburgico Francesco Giuseppe.
In mattinata uno di questi lanciò una bomba contro la macchina
dell'erede, ma l'ordigno, rimbalzando sulla fiancata, esplose contro
l'automezzo successivo, ferendo due ufficiali. Nonostante il tentato
assassinio, il corteo continuò il suo cammino e giunto in municipio
Francesco Ferdinando apostrofò le autorità in tono irato: « È
così che accogliete i vostri ospiti? Con le bombe? ». L'arciduca chiese di essere condotto in automobile all'ospedale, per far
visita agli ufficiali feriti e il fato volle che in una strada
stretta, incrociassero Gavrilo Princip, che esplose contro il
"bersaglio mancato" due colpi ferendo entrambi i
passeggeri, che morirono lungo il tragitto all'ospedale.
Al diffondersi della notizia del
crimine tutte le nazioni reagirono indignate e con orrore. Solo due
paesi rimasero insensibili all'accaduto: l'Austria e la
Serbia. Da una parte la stampa serba fece ben poco per
dissimulare il suo compiacimento, come anche l'opinione pubblica e lo
stesso governo che, appena uscito malamente dalle guerre balcaniche,
non desiderava altro che pace e reagì in modo stranamente apatico.
L'Austria, del resto, diede inizio a una debole indagine per
determinare se la Serbia avesse effettivamente avuto parte
all'attentato, dalla quale non emerse alcuna prova a sostegno di
questa tesi. Gli attentatori non erano a conoscenza
della natura dei rapporti tra l'imperatore d'Austria e l'arciduca.
Questi, infatti, era uno dei pochi uomini di potere che guardasse
con una certa simpatia alla causa serba e si pensava che
progettasse di sostituire il dualismo austro-ungarico con un
trialismo di Austria, Ungheria e paesi slavi meridionali. Per le sue
idee politiche e per lo scandaloso matrimonio con Sophie Chotek von
Chotkowa, che non apparteneva a nessuna delle dinastie europee
regnanti, Francesco Ferdinando si era alienato le simpatie della
corte e dello stesso zio, l'imperatore Francesco Giuseppe, che
sembra avesse reagito alla notizia dell'attentato con queste parole: «
Un potere superiore ha ristabilito l'ordine che io, purtroppo, non
sono riuscito a preservare ». All'indomani dell'attentato, il ministro degli esteri
austriaco, conte Berchtold, e il capo di stato maggiore, barone
Conrad von Hötzendorf, fremevano al pensiero di approfittare
della situazione per ridimensionare il ruolo della Serbia.
Francesco Giuseppe, però, non si dimostrava pienamente
convinto dal progetto e temeva che un attacco alla Serbia avrebbe
coinvolto altre potenze, prima fra tutte la Russia.
Il conte Tisza, il primo ministro
ungherese, condivideva gli stessi dubbi dell'imperatore obiettando
che non sarebbe stato difficile trovare un "casus belli" qualora ce ne
fosse stato bisogno. Il capo di stato maggiore dell'esercito austro-ungarico, Conrad von Hötzendorf, si preoccupò di coprire le
spalle all'Austria e cercò di coinvolgere la Germania, inviando al
Kaiser un memorandum e una lettera personale firmate dell'imperatore. D'altro canto Guglielmo II non aveva
bisogno di sollecitazioni e rivelò subito i suoi più drastici
intenti. In realtà, fino a poco tempo prima, il Kaiser si era sempre
presentato di indole moderata riguardo a un conflitto su vasta scala
e questo suo mutamento di umore risultò assai strano. Probabilmente
le cause sono da ricercare nel fatto che non voleva essere tacciato
di debolezza o, piuttosto, che voleva ricordare l'amicizia che lo
legava al principe assassinato. Fatto sta che il 5 luglio, con una
lettera la Germania assicurava il suo più completo appoggio,
aggiungendo che la Russia "non era assolutamente pronta per la
guerra". Riguardo al terzo componente della Triplice Alleanza,
l'Italia, l'Austria preferì tenere Roma all'oscuro dei propri
piani, sicura che sarebbe bastato l'alleato tedesco a scongiurare
il disastro.
Nelle due settimane successive l'attentato, la situazione europea sembrava ancora lontana dallo
scoppio di un conflitto su vasta scala, tanto che in tutti i paesi le
previsioni si mostravano ottimistiche. Il 30 giugno Sir Arthur
Nicolson, il più alto funzionario al Foreign Office (il dicastero del Regno Unito
responsabile della promozione degli interessi del Paese all'estero), scrisse
all'ambasciatore britannico a San Pietroburgo: «La tragedia che si è
appena consumata a Sarajevo non comporterà, credo, ulteriori
complicazioni». Nel frattempo in Austria i ministri discutevano su
quali misure dovessero adottare contro la Serbia e solo il conte
Tisza sembrava covare profetici dubbi: «...l'attacco austriaco alla Serbia provocherà, per quanto umanamente possibile prevedere, una guerra
mondiale». I timori del primo ministro ungherese però,
vennero messi in sordina di fronte al fatto che se l'Austria si fosse
mostrata debole, avrebbe rischiato di perdere la stima e
l'appoggio della Germania. Mentre Sir Arthur Nicolson persisteva nel suo
atteggiamento ottimista, scrivendo all'ambasciatore britannico a
Vienna «Dubito che l'Austria prenda iniziative serie e prevedo che
la tempesta si placherà », intorno al 9 luglio in Austria si
cominciavano a muovere i primi passi per la redazione di un ultimatum
da inviare al governo serbo. L'obiettivo consisteva nell'avanzare
delle richieste talmente improponibili che il netto rifiuto
serbo avrebbe inevitabilmente spinto l'Austria a dichiararle guerra.
Le condizioni, definite a Vienna il 19 luglio, erano rappresentate in
quindici punti, alcuni dei quali violavano palesemente l'autonomia
serba. Oltre alla repressione di qualsiasi forma di propaganda
antiaustriaca, l'ultimatum chiedeva che il governo serbo condannasse
i militari implicati nell'attentato, che promettesse la cessazione
delle ingerenze in Bosnia e esigeva l'esonero di qualsiasi
funzionario serbo e la nomina di funzionari austriaci nei posti di
potere.
Il 21 luglio, dietro spinta dei
propri ministri, Francesco Giuseppe diede l'assenso alle condizioni
poste, dichiarando: «La Russia non può accettarlo... Ciò significa
la guerra generale». L'ultimatum venne consegnato alla 6 di
mattina del 23 luglio fissando il suo termine massimo in 48 ore. Il
giorno successivo il governo tedesco avviò la propria politica
offensiva trasmettendo ai governi di Russia, Francia e Gran Bretagna
delle note diplomatiche che definivano le richieste austriache
"moderate e giuste", aggiungendo, minacciosamente, che
"ogni interferenza" avrebbe portato a incalcolabili
conseguenze. Due minuti prima della scadenza delle 48 ore, la
risposta serba venne consegnata all'ambasciatore austriaco, il barone
Giesl, che, senza averla neanche letta, secondo gli ordini ricevuti,
lasciò in treno Belgrado. Tre ore dopo cominciava la parziale
mobilitazione delle forze austriache sul fronte serbo. Il 24
luglio, d'altro canto, il consiglio dei ministri russo decise di
mobilitare in segreto tredici corpi d'armata pronti a iniziare
l'offensiva contro l'Austria in nome del panslavismo.
La Triplice Alleanza, in scadenza l'8
luglio 1914, venne rinnovata anticipatamente il 5 dicembre 1912, con
l'aggiunta di un particolare protocollo riguardante i Balcani.
Proprio in tale contesto, allorquando nel 1913 l'Austria-Ungheria
aveva progettato una operazione militare contro la Serbia,
l'opposizione dell'Italia lo aveva mandato a monte, esasperando l'avversione di Francesco Ferdinando e del generale Franz
Conrad von Hötzendorf e del loro apparato militare. Questa
insofferenza portò la diplomazia austro-ungarica durante gli ultimi
giorni della cosiddetta crisi di luglio, a giocare d'astuzia. Il 22
luglio 1914 l'ambasciatore Kajetan Mérey incontrò al ministero
degli Esteri a Roma il marchese Antonino di San Giuliano, il quale
venne rassicurato in maniera piuttosto generica sulla posizione che
l'Austria-Ungheria intendeva assumere nei confronti della Serbia e
del Montenegro. Il 24 luglio, Antonio di San Giuliano assieme a Antonio
Salandra, al cospetto dell'ambasciatore tedesco Hans von Flotow, presero visione
dell'ultimatum presentato dall'Austria-Ungheria alla Serbia e ne rimasero sconcertati.
Visto che il governo di Vienna non aveva ragguagliato minimamente Roma durante la fase di preparazione del durissimo ultimatum alla Serbia, onde evitare le facilmente prevedibili reazioni negative e nel tentativo di impedire qualunque forma di protesta formale, anticipò la scadenza dell'ultimatum stesso alle ore 17 del giorno successivo.
La Serbia, su consiglio dell'Intesa, aveva risposto abilmente alle brusche richieste austriache accettandole tutte, a eccezione dei punti che violavano manifestamente l'indipendenza serba. Nonostante a Vienna e Berlino non si fosse prevista questa svolta e si fosse percorsa la linea politica già predisposta, l'accondiscendente risposta della Serbia mutò radicalmente la situazione e di fronte alla nuova situazione, il 27 luglio il cancelliere del Reich, Bethmann Hollweg, decise di cambiare strategia politica e, seguendo i consigli del governo britannico, esortò l'Austria-Ungheria alla moderazione spingendola ad avviare trattative bilaterali con la Russia. Lo stesso Guglielmo II dopo aver letto la nota serba pare che abbia esclamato: «Ma allora viene a mancare ogni motivo di guerra!».
La Serbia rifiutò comunque di sottoscrivere i punti dell'ultimatum che ledessero la sua reale autonomia e così
i "giochi erano fatti" e l'Europa si avviava verso una strada senza uscita. Tutte le grandi potenze cominciarono a dare le prime disposizioni militari (persino in Gran Bretagna, il generale Smith-Dorrien ordinò di presidiare "tutti i punti vulnerabili" meridionali del paese) e alle ore 12 del 28 luglio l'Austria dichiara ufficialmente guerra alla Serbia. La mobilitazione totale si avvia il 29 luglio, dando inizio al "fatale automatismo delle mobilitazioni" che nel giro di poco tempo avrebbe spinto tutte le nazioni europee nell'inesorabile vortice di una guerra totale mentre i presupposti della Triplice Alleanza, con l'azione messa in atto dall'Austria-Ungheria senza intesa preventiva con l'Italia e anzi, tenendola deliberatamente all'oscuro, erano stati violati non solo nello spirito ma anche nella pratica, per cui il Regno d'Italia si mantenne neutrale.
Visto che il governo di Vienna non aveva ragguagliato minimamente Roma durante la fase di preparazione del durissimo ultimatum alla Serbia, onde evitare le facilmente prevedibili reazioni negative e nel tentativo di impedire qualunque forma di protesta formale, anticipò la scadenza dell'ultimatum stesso alle ore 17 del giorno successivo.
La Serbia, su consiglio dell'Intesa, aveva risposto abilmente alle brusche richieste austriache accettandole tutte, a eccezione dei punti che violavano manifestamente l'indipendenza serba. Nonostante a Vienna e Berlino non si fosse prevista questa svolta e si fosse percorsa la linea politica già predisposta, l'accondiscendente risposta della Serbia mutò radicalmente la situazione e di fronte alla nuova situazione, il 27 luglio il cancelliere del Reich, Bethmann Hollweg, decise di cambiare strategia politica e, seguendo i consigli del governo britannico, esortò l'Austria-Ungheria alla moderazione spingendola ad avviare trattative bilaterali con la Russia. Lo stesso Guglielmo II dopo aver letto la nota serba pare che abbia esclamato: «Ma allora viene a mancare ogni motivo di guerra!».
La Serbia rifiutò comunque di sottoscrivere i punti dell'ultimatum che ledessero la sua reale autonomia e così
i "giochi erano fatti" e l'Europa si avviava verso una strada senza uscita. Tutte le grandi potenze cominciarono a dare le prime disposizioni militari (persino in Gran Bretagna, il generale Smith-Dorrien ordinò di presidiare "tutti i punti vulnerabili" meridionali del paese) e alle ore 12 del 28 luglio l'Austria dichiara ufficialmente guerra alla Serbia. La mobilitazione totale si avvia il 29 luglio, dando inizio al "fatale automatismo delle mobilitazioni" che nel giro di poco tempo avrebbe spinto tutte le nazioni europee nell'inesorabile vortice di una guerra totale mentre i presupposti della Triplice Alleanza, con l'azione messa in atto dall'Austria-Ungheria senza intesa preventiva con l'Italia e anzi, tenendola deliberatamente all'oscuro, erano stati violati non solo nello spirito ma anche nella pratica, per cui il Regno d'Italia si mantenne neutrale.
La catena delle alleanze, da https://commons. wikimedia.org/w/index.php?curid=14895591 |
Il 1º agosto, dopo l'inizio
delle ostilità fra Austria-Ungheria e Serbia, il governo tedesco
dichiara guerra alla Russia,
che aveva mobilitato l'esercito e due giorni dopo anche alla
Francia. La strategia tedesca era condizionata dal dover
sostenere una guerra sia sul fronte russo che su quello francese,
aggravato dalle concezioni belliche prettamente aggressive che, entro
pochi giorni dalla mobilitazione, prevedevano un attacco lungo il
comune confine usando tutto il potenziale bellico a disposizione. La
duplice dichiarazione di guerra era il necessario primo passo in
vista dell'attuazione del piano Schlieffen, che prevedeva la
sconfitta della Francia con una "guerra lampo" di sole sei
settimane prima di rivolgere l'attenzione a est contro i russi, di
cui si presupponeva un posizionamento lento.
Il 2 agosto, esattamente il giorno
successivo a quello della dichiarazione tedesca di guerra alla
Russia, l’impero ottomano stipulò un trattato con la Germania e
dichiarò al tempo stesso la “neutralità armata”; ma il
20 ottobre successivo due navi da guerra tedesche, formalmente passate
alla flotta turca, attaccarono le coste russe del Mar Nero. Di
conseguenze, il 5 novembre, Russia, Inghilterra e Francia
dichiarano guerra alla Turchia.
Carta dell'Europa nella prima guerra mondiale, con gli imperi centrali (Triplice Alleanza) in rosso e i paesi della Triplice Intesa in verde. Sono indicati inoltre i fronti di guerra. |
Nello stesso 2 di agosto 1914, la Germania invase lo stato neutrale del Lussemburgo
mentre il 4 agosto, dopo che un formale ultimatum era stato
respinto, i tedeschi invasero il Belgio avanzando a gran velocità,
azione che diede il pretesto per la dichiarazione di guerra
britannica alla Germania, anche se il Regno Unito non aveva
truppe sul continente europeo e il suo corpo di spedizione doveva
ancora essere radunato, armato e inviato oltre la Manica.
Il 26 aprile 1915 viene firmato il Patto di Londra, un accordo segreto stipulato tra il governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa (Francia, Regno Unito e Impero russo) . Il patto, composto da 16 articoli, prevedeva che l'Italia entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese ed in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino, il Tirolo meridionale, la Venezia Giulia, con gli altopiani carsico-isontini e con l'intera penisola istriana ma con l'esclusione di Fiume, una parte della Dalmazia, numerose isole dell'Adriatico, Valona e Saseno in Albania e il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, oltre alla conferma della sovranità su Libia e Dodecaneso. L'azione del governo all'insaputa del Parlamento andava contro la consolidata prassi parlamentare che si era affermata fin dai tempi di Cavour. Per evitare la crisi istituzionale, considerando anche la posizione favorevole alla guerra del Re Vittorio Emanuele III, la Camera approvò, col voto contrario dei soli socialisti, la concessione dei pieni poteri al governo, che la sera del 23 maggio dichiarava guerra all'Impero austro-ungarico. Tuttavia, l'esistenza stessa del trattato di Londra non fu comunicata, e questo rimase segreto fino alla sua pubblicazione da parte del governo bolscevico. Il giorno seguente alla concessione dei pieni poteri al governo da parte del Parlamento italiano, ebbero inizio le operazioni militari. In Russia, durante la rivoluzione d'ottobre, il governo bolscevico renderà pubblici tutti i patti segreti siglati dallo zar, compreso quello di Londra, suscitando una grande riprovazione mondiale per tali patti, che durante il trattato di pace, a Versailles, non saranno rispettati.
La partecipazione dell'Italia alla guerra ebbe inizio il 24 maggio 1915, circa dieci mesi dopo l'avvio del conflitto, durante i quali il paese conobbe grandi mutamenti politici, con la rottura degli equilibri giolittiani e l'affermazione di un quadro politico che manifestava mire espansionistiche, legate al fervore patriottico ed agli ideali risorgimentali. Inizialmente il Regno d'Italia si era mantenuto neutrale, visto che la triplice alleanza presupponeva un intervento in caso di attacco subito dall'alleato e fra l'altro l'Italia era stata tenuta all'oscuro del contenuto dell'ultimatum austriaco alla Serbia, non potendo così esprimere un proprio eventuale veto. Parallelamente, alcuni esponenti del governo italiano iniziarono trattative diplomatiche con entrambe le forze in campo, che si conclusero con la sigla del patto segreto di Londra con le potenze della Triplice intesa, così come era avvenuto nel 1902 con la Francia. Durante questo lungo periodo di trattative, l'opinione pubblica giocò un ruolo decisionale fondamentale, e la scelta o meno di entrare in guerra fu condizionata dalle decisioni delle masse popolari, divise tra interventisti e neutralisti, a dispetto del parlamento italiano che non ebbe l'opportunità di esprimere la propria opinione. I più convinti neutralisti erano i socialisti, che ottemperavano così agli impegni presi nella seconda internazionale, anche se l'ex direttore del quotidiano socialista l'"Avanti!", Benito Mussolini, si schierò con gl'interventisti. Alla conclusione delle trattative fra gli stati europei, il Regno d'Italia abbandonò lo schieramento della Triplice alleanza e dichiarò guerra all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, avviando le operazioni belliche a partire dal giorno seguente. L'Italia dichiarò poi guerra all'Impero ottomano il 21 agosto 1915, al Regno di Bulgaria il 19 ottobre 1915 e all'Impero tedesco il 27 agosto 1916.
L'entrata in guerra dell'Italia aprì un lungo fronte sulle Alpi Orientali, esteso dal confine con la Svizzera a ovest fino alle rive del mare Adriatico a est. Lungo questo fronte, le forze del Regio Esercito sostennero il loro principale sforzo bellico contro le unità dell'Imperiale esercito austro-ungarico, con combattimenti concentrati nel settore delle Dolomiti, nell'Altopiano di Asiago e soprattutto nel Carso, lungo le rive del fiume Isonzo. Contemporaneamente alle operazioni belliche, la guerra ebbe anche una profonda influenza sullo sviluppo industriale del paese oltre ad avviare grandi cambiamenti in ambito sociale e politico. Il fronte interno giocò un ruolo fondamentale per il sostegno dello sforzo bellico: gran parte della vita civile e industriale fu completamente riadattata alle esigenze economiche e sociali che il fronte imponeva, e comparve la militarizzazione dell'industria, la soppressione dei diritti sindacali a favore della produzione di guerra, i razionamenti per la popolazione, l'entrata della donna nel mondo del lavoro e moltissime altre innovazioni sociali, politiche e culturali. La guerra impose uno sforzo popolare mai visto prima; enormi masse di uomini furono mobilitate sul fronte interno così come sul fronte di battaglia, dove i soldati dovettero adattarsi alla dura vita di trincea, alle privazioni materiali e alla costante minaccia della morte, che impose ai combattimenti la necessità di dover affrontare enormi conseguenze psicologiche collettive ed individuali, che andavano dalla nevrosi da combattimento, al reinserimento nella società fino alla nascita delle associazioni dei reduci.
La partecipazione dell'Italia alla guerra ebbe inizio il 24 maggio 1915, circa dieci mesi dopo l'avvio del conflitto, durante i quali il paese conobbe grandi mutamenti politici, con la rottura degli equilibri giolittiani e l'affermazione di un quadro politico che manifestava mire espansionistiche, legate al fervore patriottico ed agli ideali risorgimentali. Inizialmente il Regno d'Italia si era mantenuto neutrale, visto che la triplice alleanza presupponeva un intervento in caso di attacco subito dall'alleato e fra l'altro l'Italia era stata tenuta all'oscuro del contenuto dell'ultimatum austriaco alla Serbia, non potendo così esprimere un proprio eventuale veto. Parallelamente, alcuni esponenti del governo italiano iniziarono trattative diplomatiche con entrambe le forze in campo, che si conclusero con la sigla del patto segreto di Londra con le potenze della Triplice intesa, così come era avvenuto nel 1902 con la Francia. Durante questo lungo periodo di trattative, l'opinione pubblica giocò un ruolo decisionale fondamentale, e la scelta o meno di entrare in guerra fu condizionata dalle decisioni delle masse popolari, divise tra interventisti e neutralisti, a dispetto del parlamento italiano che non ebbe l'opportunità di esprimere la propria opinione. I più convinti neutralisti erano i socialisti, che ottemperavano così agli impegni presi nella seconda internazionale, anche se l'ex direttore del quotidiano socialista l'"Avanti!", Benito Mussolini, si schierò con gl'interventisti. Alla conclusione delle trattative fra gli stati europei, il Regno d'Italia abbandonò lo schieramento della Triplice alleanza e dichiarò guerra all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, avviando le operazioni belliche a partire dal giorno seguente. L'Italia dichiarò poi guerra all'Impero ottomano il 21 agosto 1915, al Regno di Bulgaria il 19 ottobre 1915 e all'Impero tedesco il 27 agosto 1916.
L'entrata in guerra dell'Italia aprì un lungo fronte sulle Alpi Orientali, esteso dal confine con la Svizzera a ovest fino alle rive del mare Adriatico a est. Lungo questo fronte, le forze del Regio Esercito sostennero il loro principale sforzo bellico contro le unità dell'Imperiale esercito austro-ungarico, con combattimenti concentrati nel settore delle Dolomiti, nell'Altopiano di Asiago e soprattutto nel Carso, lungo le rive del fiume Isonzo. Contemporaneamente alle operazioni belliche, la guerra ebbe anche una profonda influenza sullo sviluppo industriale del paese oltre ad avviare grandi cambiamenti in ambito sociale e politico. Il fronte interno giocò un ruolo fondamentale per il sostegno dello sforzo bellico: gran parte della vita civile e industriale fu completamente riadattata alle esigenze economiche e sociali che il fronte imponeva, e comparve la militarizzazione dell'industria, la soppressione dei diritti sindacali a favore della produzione di guerra, i razionamenti per la popolazione, l'entrata della donna nel mondo del lavoro e moltissime altre innovazioni sociali, politiche e culturali. La guerra impose uno sforzo popolare mai visto prima; enormi masse di uomini furono mobilitate sul fronte interno così come sul fronte di battaglia, dove i soldati dovettero adattarsi alla dura vita di trincea, alle privazioni materiali e alla costante minaccia della morte, che impose ai combattimenti la necessità di dover affrontare enormi conseguenze psicologiche collettive ed individuali, che andavano dalla nevrosi da combattimento, al reinserimento nella società fino alla nascita delle associazioni dei reduci.
L'accordo Sykes-Picot,
ufficialmente "Accordo sull'Asia Minore", è un accordo segreto stipulato fra i
governi del Regno Unito e della Francia, che definiva le rispettive
sfere di influenza nel Medio Oriente dopo che si fosse sconfitto l'impero ottomano nella prima guerra mondiale. I negoziati,
condotti dal francese François Georges-Picot e dal britannico Mark
Sykes, ebbero luogo tra novembre 1915 e marzo 1916, con
l'assenso della Russia. L'accordo venne poi definitivamente firmato
il 16 maggio 1916.
I termini dell'accordo furono pubblicati dal
Manchester Guardian il 26 novembre 1917.
- Francia e Regno Unito sono pronti a
riconoscere e proteggere uno Stato arabo indipendente o una
confederazione di Stati arabi sotto la sovranità di un capo arabo.
Che nell'area A la Francia e nell'area B la Gran Bretagna avranno la
preminenza su diritti d'impresa e sui prestiti locali. Che nell'area
A solo la Francia e nell'area B solo la Gran Bretagna potranno
fornire consiglieri o funzionari stranieri in caso di richiesta da
parte di uno Stato arabo o di una confederazione di Stati arabi.
- nella zona blu alla Francia e nella
zona rossa alla Gran Bretagna verrà permesso di istituire un
controllo o un'amministrazione diretta o indiretta a loro piacimento
e a seconda se ciò possa armonizzarsi con uno Stato arabo o una
confederazione di Stati arabi.
- nella zona marrone (fucsia nello schema, la Palestina n.d.r.) potrà essere
istituita un'amministrazione internazionale la cui forma dovrà
essere decisa dopo essersi consultati con la Russia ed in seguito con
gli altri alleati ed i rappresentanti dello sceriffo della Mecca.
- al Regno Unito verranno concessi i
porti di Haifa e San Giovanni d'Acri e garantito lo sfruttamento
delle acque dei fiumi Tigri ed Eufrate; per l'area B da parte sua il
governo di Sua Maestà si impegna a non aprire negoziati per la
cessione di Cipro a favore di potenze terze senza il previo consenso
del governo francese.
- Alessandretta sarà un porto aperto
nei confronti dei commerci dell'impero britannico e che non ci
saranno discriminazioni a proposito di tasse portuali o strutture nei
confronti di navi o merci britanniche; che ci sarà libertà di
transito per le merci britanniche attraverso Alessandretta e su
ferrovia attraverso la zona blu o tra l'area B e l'area A; e che non
ci sarà alcuna discriminazione diretta od indiretta contro le merci
britanniche sulle ferrovie o contro le merci e le navi britanniche in
qualunque porto delle aree suddette. Che Haifa sarà un porto aperto
nei confronti dei commerci della Francia, i suoi dominion e
protettorati, e non ci saranno discriminazioni a proposito di tasse
portuali o strutture nei confronti delle navi o delle merci francesi.
Che ci sarà libertà di transito per le merci francesi attraverso
Haifa e su ferrovia attraverso la zona marrone qualora tali merci
siano destinate o provengano dalla zona blu, dall'area A o dalla area
B e non ci sarà alcuna discriminazione diretta od indiretta contro
le merci francesi sulle ferrovie o contro le merci e le navi francesi
in qualunque porto delle zone suddette.
- nell'area A la ferrovia di Baghdad
non verrà estesa verso sud oltre Mossul e nell'area B verso nord non
oltre Samara fino al completamento della ferrovia che collega Baghdad
ed Aleppo passando per la valle dell’Eufrate e successivamente
previo accordo dei due governi.
- il Regno Unito ha il diritto di
costruire, amministrare ed essere il solo proprietario di una
ferrovia che colleghi Haifa con l'area B e che ha il diritto di
trasportare truppe lungo questa linea in ogni momento. I due governi
concordano sul fatto che lo scopo di questa ferrovia è di facilitare
il collegamento ferroviario tra Baghdad e Haifa e concordano inoltre
che, nel caso in cui problemi tecnici o le spese che si dovrebbero
sostenere per realizzare questa linea di collegamento attraverso la
sola zona marrone possano rendere impraticabile questo progetto, il
governo francese dovrebbe essere pronto a considerare che la linea in
questione potrebbe attraversare anche Polgon, Banias, Keis Marib,
Salkhad e Otsda Mesmie prima di raggiungere l'area B.
- nelle zone blu e rosse e anche nelle
aree A e B e nessuna tariffa verrà aumentata né ci sarà una
conversione da una tassa ad valorem a tariffe specifiche senza previo
accordo tra le due potenze.
Non ci saranno barriere doganali
interne tra le suddette aree. Le tasse sulle merci destinati verso
l'interno verranno riscosse al porto d'entrata e consegnate
all'amministrazione dell'area di destinazione.
- il governo francese non parteciperà
mai a negoziati per la cessione dei suoi diritti e non cederà tali
diritti sulla zona blu a qualunque potenza terza, tranne lo Stato
arabo o la confederazione di Stati arabi, senza il previo consenso
del governo di Sua Maestà che, da parte sua, si impegna allo stesso
modo nei confronti del governo francese a proposito della zona rossa.
- i governi britannico e francese, in
qualità di protettori dello Stato arabo concordano che non
acquisiranno e non consentiranno ad una potenza terza di acquisire
possedimenti territoriali nella penisola arabica né consentiranno ad
una potenza terza di installare una base navale sulla costa orientale
o sulle isole del Mar Rosso. Ciò, tuttavia, non impedisce eventuali
ritocchi della frontiera di Aden che si potrebbero rendere necessari
come conseguenza dell'aggressione turca.
- i negoziati con gli arabi a proposito
dei confini dello Stato arabo continueranno a seguire gli stessi
canali di sempre da parte delle due potenze.
- alcune misure per controllare
l'importazione di armi all'interno dei territori arabi devono essere
analizzate dai due governi.
Le conseguenze dell'accordo furono che al Regno Unito
fu assegnato il controllo delle zone comprendenti approssimativamente
la Giordania, l'Iraq ed una piccola area intorno ad Haifa mentre alla
Francia fu assegnato il controllo della zona sud-est della Turchia,
la parte settentrionale dell'Iraq, la Siria ed il Libano. La zona che
successivamente venne riconosciuta come Palestina doveva essere
destinata ad un'amministrazione internazionale coinvolgente l'Impero
russo e altre potenze.
Carta dell'accordo Sykes-Picot l'8 maggio 1916. |
Da questo accordo, che permise alle due
potenze coloniali una supremazia nel medio oriente
petrolifero, si scateneranno
conflitti, dovuti a confini arbitrari tracciati col righello, che si protrarranno fino ai nostri giorni.
A lato, una mappa del Medio Oriente inclusa nel carteggio tra George Picot e Mark Sykes (dalla Royal Geographical Society).
A lato, una mappa del Medio Oriente inclusa nel carteggio tra George Picot e Mark Sykes (dalla Royal Geographical Society).
Da: http://www.ilpost.it/2016/05/16/ accordo-sykes-picot/
16 MAGGIO 2016
Cosa fu l’accordo di Sykes-Picot. Fu firmato tra Francia e Regno Unito cento anni fa oggi: secondo l'ISIS e molti altri è la causa di tutti i mali del Medio Oriente. Sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo si cominciò a parlare di ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) nel giugno del 2014, quando qualche migliaia di miliziani a bordo di pick-up Toyota attaccarono a sorpresa alcune città nel nord dell’Iraq. Nel giro di poche settimane, l’ISIS conquistò Mosul, la seconda città dell’Iraq, occupò alcuni dei valichi al confine con la Siria e arrivò a poche decine di chilometri da Samarra e Baghdad. Tra le molte e sorprendenti conquiste militari, i miliziani dell’ISIS celebrarono soprattutto la cancellazione dell’odiata frontiera tra Iraq e Siria, una linea che le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale avevano tracciato quasi un secolo prima senza troppo riguardo per le popolazioni che abitavano quei territori. Nel luglio del 2014 il capo dell’ISIS, Abu Bakr al Baghdadi, pronunciò un discorso nella moschea di Mosul, la sua prima ed unica apparizione in pubblico fino ad oggi. Baghdadi citò anche la cancellazione della frontiera e disse che l’ISIS non si sarebbero fermato «fino a che non avremo piantato l’ultimo chiodo nella bara della cospirazione Sykes-Picot». “Sykes-Picot” è un nome che in Occidente è stato in gran parte dimenticato, tranne che dagli esperti di Medio Oriente e dagli amanti delle cospirazioni: si riferisce agli incontri che si tennero durante la Prima guerra mondiale tra diplomatici britannici e francesi per decidere la spartizione di quello che oggi è il Medio Oriente. Portarono al raggiungimento di un accordo segreto, che non venne approvato dai Parlamenti dei due paesi né discusso in una conferenza internazionale. La data a cui viene fatta risalire la sua ratifica è il 16 maggio del 1916, esattamente cento anni fa. In molti considerano l’accordo una delle cause principali dei problemi del Medio Oriente contemporaneo. I diplomatici dell’epoca sono stati accusati di aver disegnato le frontiere senza considerare le complicate divisioni religiose e le reti di fedeltà tribale che si sovrappongono nella regione (tutta questa storia ha anche assunto sfumature comiche, con confini che si dice siano il prodotto di una gomitata o di uno starnuto da parte di uno dei cartografi). Il risultato fu la creazione di stati disomogenei e difficili da governare con stabilità. Nel mondo arabo è molto diffusa l’idea che i guai del Medio Oriente siano colpa dell’Occidente e dell’accordo di Sykes-Picot: quando l’ISIS ha cancellato parte della frontiera tra Siria e Iraq, ha usato la stessa retorica per sostenere di avere messo fine agli accordi e di aver ripristinato l’antica unità della comunità musulmana. Dare tutta la colpa all’Occidente, hanno scritto Steven A. Cook e Amr T. Leheta su Foreign Policy, non è altro che «un caso di cattiva storiografia e applicazione scadente delle scienze sociali». La realtà è che gli accordi di Sykes-Picot furono un pasticcio che quasi nessuna delle parti in causa aveva intenzione di rispettare. I negoziati non furono condotti da grandi diplomatici con la tuba, come dice la leggenda, ma da un gruppo di dilettanti, faccendieri e truffatori: Mark Sykes, il delegato britannico, era un parlamentare al suo primo incarico di governo, convinto che il mondo fosse manipolato da una cabala di ebrei; George Picot era un diplomatico francese, sostenitore di una Grande Siria che comprendeva l’attuale Turchia, la Siria, il Libano e parte dell’attuale Iraq. Una parte importante delle trattative fu condotta da un misterioso ufficiale arabo, comparso praticamente dal nulla, che con gli inglesi si finse un emissario dei nazionalisti arabi, e con i nazionalisti arabi un inviato del governo inglese. L’accordo fu ultimato quando era ancora molto difficile prevedere chi avrebbe vinto la guerra: in Francia era in corso la grande battaglia di Verdun, mentre in Medio Oriente gli inglesi avevano subìto soltanto sconfitte. Nel clima di incertezza di quei mesi, l’accordo Sykes-Picot era soltanto una generica dichiarazione di intenti tra Francia e Regno Unito e conteneva un’altrettanto generica promessa di indipendenza ad alcuni leader tribali arabi in cambio di una ribellione armata contro l’Impero Ottomano, che all’epoca controllava l’odierno Medio Oriente. Nel testo degli accordi non c’erano mappe di stati con i rispettivi confini, ma soltanto “aree di influenza” che sarebbero dovute spettare a un paese piuttosto che ad un altro. Agli arabi sarebbe dovuta andare un’area indipendente che comprendeva gran parte delle odierne Siria, Giordania e Arabia Saudita, oltre a una piccola fetta di Iraq. Negli stessi mesi in cui l’accordo veniva sottoscritto, altri diplomatici in altri uffici stavano già lavorando ad altri accordi completamente diversi da quello sottoscritto da Sykes-Picot.
16 MAGGIO 2016
Cosa fu l’accordo di Sykes-Picot. Fu firmato tra Francia e Regno Unito cento anni fa oggi: secondo l'ISIS e molti altri è la causa di tutti i mali del Medio Oriente. Sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo si cominciò a parlare di ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) nel giugno del 2014, quando qualche migliaia di miliziani a bordo di pick-up Toyota attaccarono a sorpresa alcune città nel nord dell’Iraq. Nel giro di poche settimane, l’ISIS conquistò Mosul, la seconda città dell’Iraq, occupò alcuni dei valichi al confine con la Siria e arrivò a poche decine di chilometri da Samarra e Baghdad. Tra le molte e sorprendenti conquiste militari, i miliziani dell’ISIS celebrarono soprattutto la cancellazione dell’odiata frontiera tra Iraq e Siria, una linea che le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale avevano tracciato quasi un secolo prima senza troppo riguardo per le popolazioni che abitavano quei territori. Nel luglio del 2014 il capo dell’ISIS, Abu Bakr al Baghdadi, pronunciò un discorso nella moschea di Mosul, la sua prima ed unica apparizione in pubblico fino ad oggi. Baghdadi citò anche la cancellazione della frontiera e disse che l’ISIS non si sarebbero fermato «fino a che non avremo piantato l’ultimo chiodo nella bara della cospirazione Sykes-Picot». “Sykes-Picot” è un nome che in Occidente è stato in gran parte dimenticato, tranne che dagli esperti di Medio Oriente e dagli amanti delle cospirazioni: si riferisce agli incontri che si tennero durante la Prima guerra mondiale tra diplomatici britannici e francesi per decidere la spartizione di quello che oggi è il Medio Oriente. Portarono al raggiungimento di un accordo segreto, che non venne approvato dai Parlamenti dei due paesi né discusso in una conferenza internazionale. La data a cui viene fatta risalire la sua ratifica è il 16 maggio del 1916, esattamente cento anni fa. In molti considerano l’accordo una delle cause principali dei problemi del Medio Oriente contemporaneo. I diplomatici dell’epoca sono stati accusati di aver disegnato le frontiere senza considerare le complicate divisioni religiose e le reti di fedeltà tribale che si sovrappongono nella regione (tutta questa storia ha anche assunto sfumature comiche, con confini che si dice siano il prodotto di una gomitata o di uno starnuto da parte di uno dei cartografi). Il risultato fu la creazione di stati disomogenei e difficili da governare con stabilità. Nel mondo arabo è molto diffusa l’idea che i guai del Medio Oriente siano colpa dell’Occidente e dell’accordo di Sykes-Picot: quando l’ISIS ha cancellato parte della frontiera tra Siria e Iraq, ha usato la stessa retorica per sostenere di avere messo fine agli accordi e di aver ripristinato l’antica unità della comunità musulmana. Dare tutta la colpa all’Occidente, hanno scritto Steven A. Cook e Amr T. Leheta su Foreign Policy, non è altro che «un caso di cattiva storiografia e applicazione scadente delle scienze sociali». La realtà è che gli accordi di Sykes-Picot furono un pasticcio che quasi nessuna delle parti in causa aveva intenzione di rispettare. I negoziati non furono condotti da grandi diplomatici con la tuba, come dice la leggenda, ma da un gruppo di dilettanti, faccendieri e truffatori: Mark Sykes, il delegato britannico, era un parlamentare al suo primo incarico di governo, convinto che il mondo fosse manipolato da una cabala di ebrei; George Picot era un diplomatico francese, sostenitore di una Grande Siria che comprendeva l’attuale Turchia, la Siria, il Libano e parte dell’attuale Iraq. Una parte importante delle trattative fu condotta da un misterioso ufficiale arabo, comparso praticamente dal nulla, che con gli inglesi si finse un emissario dei nazionalisti arabi, e con i nazionalisti arabi un inviato del governo inglese. L’accordo fu ultimato quando era ancora molto difficile prevedere chi avrebbe vinto la guerra: in Francia era in corso la grande battaglia di Verdun, mentre in Medio Oriente gli inglesi avevano subìto soltanto sconfitte. Nel clima di incertezza di quei mesi, l’accordo Sykes-Picot era soltanto una generica dichiarazione di intenti tra Francia e Regno Unito e conteneva un’altrettanto generica promessa di indipendenza ad alcuni leader tribali arabi in cambio di una ribellione armata contro l’Impero Ottomano, che all’epoca controllava l’odierno Medio Oriente. Nel testo degli accordi non c’erano mappe di stati con i rispettivi confini, ma soltanto “aree di influenza” che sarebbero dovute spettare a un paese piuttosto che ad un altro. Agli arabi sarebbe dovuta andare un’area indipendente che comprendeva gran parte delle odierne Siria, Giordania e Arabia Saudita, oltre a una piccola fetta di Iraq. Negli stessi mesi in cui l’accordo veniva sottoscritto, altri diplomatici in altri uffici stavano già lavorando ad altri accordi completamente diversi da quello sottoscritto da Sykes-Picot.
I
confini come li conosciamo oggi furono disegnati molti anni dopo, in
una serie di conferenze dopo la fine della guerra. La grande rivolta
annunciata dagli arabi in cambio dell’indipendenza non si era
materializzata e per Francia e Regno Unito fu facile rimangiarsi la
loro promessa di indipendenza. La “leggenda nera” dell’accordo
Sykes-Picot nacque perché il leader bolscevico Lenin ne fece
pubblicare la copia conservata negli archivi dello zar dopo la
Rivoluzione di Ottobre. Fu un grande scandalo all’epoca, perché
l’accordo era rimasto segreto fino ad allora, mentre pubblicamente
Francia e Regno Unito si erano impegnate a non suddividersi quello
che rimaneva dell’Impero Ottomano prima di aver concluso la guerra
e consultato le popolazioni locali. Ma
anche spostare le critiche dall’accordo Sykes-Picot ai successivi
trattati che portarono alla nascita del moderno Medio Oriente rischia
di essere altrettanto futile. I diplomatici europei non furono così
inaccurati, come invece si sostiene spesso, e nel loro lavoro
cercarono per quanto possibile di conciliare le esigenze politiche
con la realtà locale. All’epoca buona parte delle divisioni che
oggi ci sembrano insanabili, come quella tra sciiti e sunniti, erano
a malapena percepite e raramente davano origine a violenze etniche o
religiose. Molti storici ritengono semplicistico attribuire alle
frontiere artificiali tutti i problemi del Medio Oriente. Come notano
Cook e Leheta, gran parte delle frontiere di tutto il mondo è il
frutto di negoziati tra interessi politici contrapposti che raramente
hanno portato a soluzioni geograficamente ed etnicamente omogenee.
Raccontare le popolazioni locali come attori inerti nelle mani delle
cospirazioni occidentali è da tempo ritenuto un atteggiamento
paternalistico-orientalistico.
La
situazione caotica che c’è in Siria è uno degli esempi migliori
che spiegano come gli accordi sottoscritti dopo la Prima guerra
mondiale abbiano una parte secondaria nel Medio Oriente di oggi. Nick
Danforth ha ricordato sul New York Times come gli amministratori
francesi cercarono di dividere la Siria in due entità: da una parte
quella che volevano controllare direttamente, abitata da cristiani e
alauiti (un gruppo religioso associato allo sciismo); dall’altra
parte quella che volevano far governare agli arabi in maniera
autonoma, abitata dai sunniti. All’epoca furono proprio i
nazionalisti pan-arabi che si opposero all’idea degli
amministratori francesi, al punto da convincerli ad amministrare la
Siria come un’unica entità. È
strano come l’accordo Sykes-Picot sia diventato il sinonimo del
tradimento dell’indipendenza araba e delle ingerenze dell’Europa
in Medio Oriente, visto che il diplomatico britannico Mark Sykes fu
tra i pochi a credere nella possibilità di creare una grande nazione
araba indipendente. Nel corso dei negoziati, Sykes, che aveva
iniziato le trattative su posizioni anti-arabe ed era convinto che il
mondo fosse manipolato da una cospirazione ebraica, si convertì al
sionismo e al nazionalismo arabo. Mentre preparava i testi
dell’accordo sperava di creare un Medio Oriente dove ebrei
e arabi avrebbero coesistito pacificamente,
all’interno di stati indipendenti.
Nel
1917 si verificò la
rivoluzione russa,
che portò al rovesciamento dell'Impero russo capitanato dal regime
zarista e alla formazione prima della Repubblica Socialista
Federativa Sovietica Russa e, cinque anni più tardi, nel 1922, in
seguito alla guerra civile russa, dell'Unione Sovietica, dove si
tentò di applicare le teorie sociali ed economiche di Karl Marx e
Friedrich Engels.
All'inizio
del 1917 l'Impero russo, che da tre anni combatteva nella prima
guerra mondiale come membro della triplice intesa, era stremato: le
perdite ammontavano a più di sei milioni tra morti, feriti e
prigionieri e tranne alcune vittorie sul fronte austriaco, ormai
vanificate dagli eventi, la Russia aveva subito una grave serie di
sconfitte che avevano comportato la perdita della Polonia, di una
parte di Paesi Baltici e dell'Ucraina, portando così il fronte
all'interno dei suoi stessi confini, mentre le condizioni del popolo
si aggravavano fortemente. Il
regime zarista, chiuso a riccio nella difesa del principio
dell'autocrazia, aveva ormai perso del tutto il contatto con la
realtà della Russia, al punto che anche molti degli elementi
conservatori delle classi tradizionalmente alleate del regime,
stavano prendendo coscienza che solo un'uscita di scena di Nicola II,
e forse dello stesso zarismo, avrebbero loro permesso di mantenere il
controllo dello Stato. A Mosca scoppiò la rivolta con la rivoluzione
di febbraio e il 2 marzo Duma e Soviet di operai e soldati si
accordarono per la deposizione dello zar, e l'istituzione di un
governo provvisorio formato da cadetti, menscevichi e socialisti
rivoluzionari. Si
formò il governo provvisorio di L'vov, che indusse Nicola II ad
abdicare. Mentre lo zar e la sua famiglia venivano arrestati, nel
paese si formarono due poteri: quello del governo provvisorio, e
quello dei Soviet, formato da delegati eletti compresi i bolscevichi.
Contemporaneamente si diffuse in tutto il paese il disfattismo
nazionale, segno della crescente stanchezza verso la guerra. Il
leader bolscevico Lenin, tornato dall'esilio, sostenne la necessità
di trasformare la rivoluzione borghese di febbraio in Rivoluzione
Proletaria, guidata dai Soviet, che mirasse all'instaurazione di una
società comunista. Nell'ottobre i bolscevichi occuparono i punti
nevralgici della capitale istituendo il Consiglio dei Commissari del
Popolo, dando vita alla rivoluzione d'ottobre. La
vittoria dei bolscevichi portò al rovesciamento del Governo
Provvisorio Russo e alla nascita della Repubblica Socialista
Federativa Sovietica Russa. Dal 1917 al 1921 esploderà la Guerra
civile russa che vedrà la vittoria dell'Armata Rossa (dei
bolscevichi) sull'Armata Bianca (contro-rivoluzionari). A seguito di
ciò, nel 1922, verrà istituita l'Unione delle Repubbliche
Socialiste Sovietiche (URSS).
- La Russia esce così, definitivamente dal sistema degli Stati europei in cui figurava come una delle protagoniste, proprio mentre una potenza extra-continentale, gli USA, interviene nel conflitto europeo determinandone l'esito finale. Il sistema degli Stati europei, sorto durante le guerre d’Italia del 1500, si era sviluppato nella convinzione che la libertà di ciascuna delle potenze e la sicurezza di tutte coloro che operassero nel sistema, dipendessero da un’azione comune contro ogni potenza che sembrasse acquistare una preponderanza eccessiva. La rivoluzione d'ottobre segnerà inoltre una nuova e definitiva frattura economica nel continente, al sistema capitalistico degli stati europei e statunitense, si opporrà il nuovo sistema comunista sovietico.
Alla fine del 1917, dopo la rivoluzione bolscevica d'ottobre, disintegrato l'impero degli zar, il governo rivoluzionario russo decide di uscire dallo stato di guerra, firmando poi il Trattato di Brest Litovsk con gli imperi centrali i 3 marzo '18, mentre dà immediata e massima pubblicità ai patti diplomatici segreti rinvenuti negli archivi zaristi. Tra di essi si rinviene il "Patto di Londra", la cui pubblicazione avrà vasta risonanza internazionale, causando grave imbarazzo alle potenze firmatarie e suscitando inquietudine presso l'opinione pubblica mondiale, ponendo in scacco il metodo della "diplomazia segreta", seguito da decenni dalle potenze europee. Il trattato di Londra era stato stipulato nella capitale britannica il 26 aprile 1915 e firmato dal marchese Guglielmo Imperiali, ambasciatore a Londra in rappresentanza del governo italiano, Sir Edward Grey per il Regno Unito, Pierre-Paul Cambon per la Francia e dal conte Alexander Benckendorff per l'Impero russo. Il trattato era stato firmato in tutta segretezza per incarico del governo Salandra senza che il Parlamento, in maggioranza neutralista, ne fosse stato informato e segreto rimase finché i bolscevichi, giunti al potere in Russia dopo la Rivoluzione d'Ottobre, lo pubblicarono sul quotidiano "Izvestija" insieme ad altri documenti diplomatici segreti, allo scopo di denunciare le trame della politica estera zarista. Il patto, composto da 16 articoli, prevedeva che l'Italia entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese. In cambio, in caso di vittoria, avrebbe ottenuto il Trentino, il Tirolo meridionale (l'odierno Alto Adige), la Venezia Giulia, con gli altopiani carsico-isontini e con l'intera penisola istriana fino al Quarnaro compresa Volosca (con l'esclusione di Fiume), cioè l'intera linea alpina dal Brennero al Monte Nevoso con le isole di Cherso, Lussino e altre minori; un terzo della Dalmazia con Zara e Sebenico con le isole a nord e a ovest del litorale, insieme alle neutralizzazione del resto della Dalmazia da capo San Niccolò alla penisola di Sabbioncello e da Ragusa a Durazzo in modo da garantire l'egemonia italiana sull'Adriatico; ancora, Valona e Saseno in Albania e il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, oltre alla conferma della sovranità su Libia e Dodecaneso. In caso di spartizione delle colonie tedesche in Africa, l'Italia avrebbe avuto compensi territoriali in Libia, Eritrea e Somalia. Alla Conferenza di pace di Parigi invece, gli Stati Uniti daranno la precedenza alle tesi croate e slovene del nuovo Regno dei serbi, croati e sloveni, per impedire l'espansione italiana nell'Adriatico; la non completa realizzazione del Patto causerà grave malcontento ed agitazione in Italia, facendo sorgere il cosiddetto mito della "Vittoria mutilata". L'emergere del Patto di Londra darà il via ad una modifica degli orientamenti politici internazionali che influirà notevolmente sulla sua non completa attuazione a guerra finita. La risoluta opposizione alla diplomazia segreta, e la sua denuncia quale metodo inaccettabile nelle relazioni internazionali, fu uno dei principali motivi ispiratori della stesura, da parte del presidente degli Stati Uniti d'America, Woodrow Wilson, dei suoi celebri "Quattordici punti" e, non a caso, il presidente statunitense si oppose risolutamente alla completa realizzazione delle rivendicazioni territoriali italiane basate sul Patto di Londra non riconoscendo ad esso, come ad accordi similari con altri paesi, alcuna validità.
Agli inizi del 1918 i bolscevichi presero la decisione di uscire al più presto dalla guerra. La pace di Brest-Litovsk del 3 marzo, segnò quindi la fine delle ostilità tra Russia e Germania, ma per potere ritirarsi dal conflitto, la Russia dovette cedere alla Germania un territorio immenso ricco di popolazione e risorse economiche: la Finlandia, gli stati baltici Estonia, Lettonia e Lituania, la Polonia slava e l'Ucraina. Poco dopo, anche la Romania ritenne di dover concludere con gli Imperi Centrali la pace di Bucarest (il 5 aprile), che si rivelò non meno dura di quella imposta alla Russia.
Sul fronte italiano, dopo una lunga serie di inconcludenti battaglie, la vittoria degli austro-tedeschi nella battaglia di Caporetto dell'ottobre-novembre 1917 fece arretrare il fronte fino alle rive del fiume Piave, dove la resistenza italiana si consolidò, al prezzo di sommari processi con le esecuzioni capitali di numerosi ufficiali. Nel paese, il contrasto fra neutralisti ed interventisti si era accentuato enormemente dall'ottobre del 1917, quando i bolscevichi gestirono la rivoluzione russa e molti socialisti aspirarono così ad un'insurrezione internazionale, al di là dei confini fra stati. La decisiva controffensiva di Vittorio Veneto fino alla rotta delle forze austro-ungariche, sancì la stipula dell'armistizio di Villa Giusti il 3 novembre 1918 e la fine delle ostilità, che costarono al popolo italiano circa 650.000 caduti e un milione di feriti. La firma dei trattati di pace finali portò a un rigetto delle condizioni a suo tempo fissate nel Patto di Londra e a una serie di contese sulla fissazione dei confini settentrionali del paese, innescando una grave crisi politica interna sfociata nella cosiddetta "Impresa di Fiume", cui si sommarono i rivolgimenti economici e sociali del biennio rosso; questi fattori gettarono poi le basi per il successivo avvento del regime fascista.
- La Russia esce così, definitivamente dal sistema degli Stati europei in cui figurava come una delle protagoniste, proprio mentre una potenza extra-continentale, gli USA, interviene nel conflitto europeo determinandone l'esito finale. Il sistema degli Stati europei, sorto durante le guerre d’Italia del 1500, si era sviluppato nella convinzione che la libertà di ciascuna delle potenze e la sicurezza di tutte coloro che operassero nel sistema, dipendessero da un’azione comune contro ogni potenza che sembrasse acquistare una preponderanza eccessiva. La rivoluzione d'ottobre segnerà inoltre una nuova e definitiva frattura economica nel continente, al sistema capitalistico degli stati europei e statunitense, si opporrà il nuovo sistema comunista sovietico.
Alla fine del 1917, dopo la rivoluzione bolscevica d'ottobre, disintegrato l'impero degli zar, il governo rivoluzionario russo decide di uscire dallo stato di guerra, firmando poi il Trattato di Brest Litovsk con gli imperi centrali i 3 marzo '18, mentre dà immediata e massima pubblicità ai patti diplomatici segreti rinvenuti negli archivi zaristi. Tra di essi si rinviene il "Patto di Londra", la cui pubblicazione avrà vasta risonanza internazionale, causando grave imbarazzo alle potenze firmatarie e suscitando inquietudine presso l'opinione pubblica mondiale, ponendo in scacco il metodo della "diplomazia segreta", seguito da decenni dalle potenze europee. Il trattato di Londra era stato stipulato nella capitale britannica il 26 aprile 1915 e firmato dal marchese Guglielmo Imperiali, ambasciatore a Londra in rappresentanza del governo italiano, Sir Edward Grey per il Regno Unito, Pierre-Paul Cambon per la Francia e dal conte Alexander Benckendorff per l'Impero russo. Il trattato era stato firmato in tutta segretezza per incarico del governo Salandra senza che il Parlamento, in maggioranza neutralista, ne fosse stato informato e segreto rimase finché i bolscevichi, giunti al potere in Russia dopo la Rivoluzione d'Ottobre, lo pubblicarono sul quotidiano "Izvestija" insieme ad altri documenti diplomatici segreti, allo scopo di denunciare le trame della politica estera zarista. Il patto, composto da 16 articoli, prevedeva che l'Italia entrasse in guerra al fianco dell'Intesa entro un mese. In cambio, in caso di vittoria, avrebbe ottenuto il Trentino, il Tirolo meridionale (l'odierno Alto Adige), la Venezia Giulia, con gli altopiani carsico-isontini e con l'intera penisola istriana fino al Quarnaro compresa Volosca (con l'esclusione di Fiume), cioè l'intera linea alpina dal Brennero al Monte Nevoso con le isole di Cherso, Lussino e altre minori; un terzo della Dalmazia con Zara e Sebenico con le isole a nord e a ovest del litorale, insieme alle neutralizzazione del resto della Dalmazia da capo San Niccolò alla penisola di Sabbioncello e da Ragusa a Durazzo in modo da garantire l'egemonia italiana sull'Adriatico; ancora, Valona e Saseno in Albania e il bacino carbonifero di Adalia in Turchia, oltre alla conferma della sovranità su Libia e Dodecaneso. In caso di spartizione delle colonie tedesche in Africa, l'Italia avrebbe avuto compensi territoriali in Libia, Eritrea e Somalia. Alla Conferenza di pace di Parigi invece, gli Stati Uniti daranno la precedenza alle tesi croate e slovene del nuovo Regno dei serbi, croati e sloveni, per impedire l'espansione italiana nell'Adriatico; la non completa realizzazione del Patto causerà grave malcontento ed agitazione in Italia, facendo sorgere il cosiddetto mito della "Vittoria mutilata". L'emergere del Patto di Londra darà il via ad una modifica degli orientamenti politici internazionali che influirà notevolmente sulla sua non completa attuazione a guerra finita. La risoluta opposizione alla diplomazia segreta, e la sua denuncia quale metodo inaccettabile nelle relazioni internazionali, fu uno dei principali motivi ispiratori della stesura, da parte del presidente degli Stati Uniti d'America, Woodrow Wilson, dei suoi celebri "Quattordici punti" e, non a caso, il presidente statunitense si oppose risolutamente alla completa realizzazione delle rivendicazioni territoriali italiane basate sul Patto di Londra non riconoscendo ad esso, come ad accordi similari con altri paesi, alcuna validità.
Agli inizi del 1918 i bolscevichi presero la decisione di uscire al più presto dalla guerra. La pace di Brest-Litovsk del 3 marzo, segnò quindi la fine delle ostilità tra Russia e Germania, ma per potere ritirarsi dal conflitto, la Russia dovette cedere alla Germania un territorio immenso ricco di popolazione e risorse economiche: la Finlandia, gli stati baltici Estonia, Lettonia e Lituania, la Polonia slava e l'Ucraina. Poco dopo, anche la Romania ritenne di dover concludere con gli Imperi Centrali la pace di Bucarest (il 5 aprile), che si rivelò non meno dura di quella imposta alla Russia.
L'articolo 231 del
Trattato di Versailles, il trattato di pace che pose
ufficialmente fine alla prima guerra mondiale,
stipulato nell'ambito della Conferenza di pace di Parigi del
1919-1920 e firmato da 44 Stati il 28 giugno 1919, riconosce
la Germania come "responsabile, per esserne stata
la causa, di tutte le perdite e di tutti i danni subiti dai governi
alleati e associati e dai loro nazionali in conseguenza della guerra
loro imposta dalla aggressione della Germania e dei suoi alleati".
Le potenze alleate, dunque, attribuivano ogni
responsabilità alle mire espansionistiche e alla politica tedesca
degli ultimi decenni. Nonostante la questione abbia generato
numerosi dibattiti tra gli studiosi, è indubbio che la
sconsiderata diplomazia condotta dal Kaiser Guglielmo II e dai suoi
funzionari abbia rapidamente sconvolto l'equilibrio che il
cancelliere Otto von Bismarck aveva cercato di instaurare tra le
potenze europee, contribuendo in tal modo alla creazione delle due
fazioni contrapposte degli Alleati e degli Imperi centrali.
Dopo la
conclusione della prima guerra mondiale, la Serbia, che era
stata impegnata in guerra dalla fine del luglio 1914 e aveva subito
perdite umane pari a quelli delle potenze occidentali, alla
Conferenza di pace di Parigi del 1919 acquisì la Vojvodina,
che nel 1914 faceva parte dell'Impero austro-ungarico. La Voivodina è
un'area multietnica, divisa tra più di 26 differenti gruppi, ma
quello maggioritario è costituito dai serbi, circa il 70%. La grande
diversità culturale e linguistica si accompagna a un elevato livello
di tolleranza tra le varie genti e fa dell'area la parte
economicamente più stabile della Serbia.
Dal 1919 e fino al 1933, in
Germania governò la fragile repubblica di Weimar, che
vacillava sotto il peso degli indennizzi di guerra richiesti dai
vincitori nel trattato di Versailles. La Germania si impegnò
a pagare 132 miliardi di marchi oro (6.600.000.000 di sterline) ma
l'ammontare delle riparazioni venne in seguito ridimensionato con
l'accordo sui debiti esteri germanici del 27 febbraio 1953. In data 3
ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal
trattato con il pagamento dell'ultimo debito per un importo di 69,9
milioni di euro. L'effetto congiunto di quei debiti con la grande depressione del '29 porterà la Germania nazista ad essere responsabile anche della seconda guerra mondiale.
Carta della Vojvodina. |
Nella Conferenza
di pace di Parigi del 1919, la Serbia divenne parte del Regno
dei Serbi, Croati e Sloveni, che dal 1929 divenne Regno
di Jugoslavia (che significa Slavia del sud), sotto la
dinastia dei Karađorđević.
La Serbia con in giallo il Kossovo. |
Si pensi comunque che Croati e Serbi vivono in vari stati balcanici e ogni stato è così multietnico, così come il Kossovo, culla dell'etnia serba, è a maggioranza di Albanesi. Il Kosovo ha proclamato unilateralmente la propria indipendenza nel 2008, venendo
riconosciuto da circa la metà degli stati membri ONU. La Serbia
continua a considerarlo una provincia secessionista, nonostante gli
accordi del 2013 sulla normalizzazione delle relazioni abbiano
rilassato l'atmosfera tra i due paesi.
C'è da considerare che, mentre Sloveni e Croati sono a maggioranza cristiani cattolici, i Serbi sono cristiani ortodossi e adottano l'alfabeto cirillico.
Inoltre il lungo dominio turco nei paesi balcanici ha originato un discreto numero di musulmani e Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, era famosa per testimoniare le tre religioni con una biblioteca che conteneva opere delle tre culture.
Inoltre il lungo dominio turco nei paesi balcanici ha originato un discreto numero di musulmani e Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, era famosa per testimoniare le tre religioni con una biblioteca che conteneva opere delle tre culture.
Durante la seconda guerra mondiale, a
seguito dello smembramento del Regno di Jugoslavia, la Serbia divenne
uno Stato fantoccio della Germania nazista, affidato da Hitler al
generale Milan Nedić, lo stesso che nel 1918 fece firmare
la resa agli Imperi Centrali, in modo simile al generale Pétain
in Francia, ed al nazista serbo Dimitrije Ljotić. Il Governo
filonazista di Nedić collaborò pienamente con la Germania sino alla
liberazione congiunta della capitale da parte dell'Armata Rossa e dei
partigiani jugoslavi nell'ottobre 1944. Il croato maresciallo Tito,
che era a capo del movimento comunista della Resistenza jugoslava, in
quell'occasione abbandonò l'isola di Lissa, dove risiedeva sotto
protezione inglese, e si trasferì a Belgrado, dove, per rendersi
accettabile alla città ostile al comunismo, concedette ampie
amnistie ai collaborazionisti, integrandoli nell'Armata Popolare di
Liberazione, e perseguitò poi aspramente gli oppositori fino a
costringerli alla resa.
Nel 1920,
nella Conferenza che si tiene nel castello Devachan in
Sanremo, la Gran Bretagna chiede il Mandato per la Palestina, a seguito del quale il sionismo otterrà la Palestina. Da http://www.ilvangelo-israele.it/news/immagini/ConferenzaSanRemo1922.pdf. La Conferenza di
San Remo: estratto da "The Arab-Israeli Reader", redatto da
Walter Laqueur, New York 1976, versione
ridotta del completo Accordo di San Remo.
Sanremo, castello Devachan. |
Poiché le principali Potenze Alleate si sono accordate, al fine di dare effetto alle disposizioni dell’Articolo 22 del Patto della Lega delle Nazioni, per affidare a un Mandatario, scelto dalle dette Potenze, l’amministrazione del territorio della Palestina che precedentemente appartenne all’Impero turco entro i confini che potranno essere da loro determinati; e Poiché le principali Potenze Alleate si sono anche accordate che il Mandatario debba essere responsabile per dare effetto alla dichiarazione originalmente fatta il 2 Novembre 1917 dal Governo di Sua Maestà Britannica e adottata dalle dette potenze, in favore della costituzione in Palestina di una nazione per il popolo ebreo, essendo chiaramente inteso che nulla dovrebbe essere fatto a pregiudizio dei diritti civili e religiosi delle comunità non-ebree esistenti in Palestina o dei diritti e status politico goduto dagli ebrei in qualsiasi altro paese;
e Poiché con ciò è stato dato riconoscimento alla connessione storica del popolo ebreo con la Palestina e alle basi per ricostituire la loro nazione in quel paese;
e Poiché le principali Potenze Alleate hanno scelto Sua Maestà Britannica come Mandatario per la Palestina; e Poiché il mandato nei confronti della Palestina è stato formulato nei termini seguenti ed è stato sottoposto al Consiglio della Lega per approvazione;
e Poiché Sua Maestà Britannica ha accettato il mandato nei confronti della Palestina e ha cominciato ad esercitarlo per conto della Lega di Nazioni in conformità alle disposizioni seguenti;
e Poiché dall’Articolo 22 summenzionato (paragrafo 8), è previsto che il grado di autorità, controllo o amministrazione da esercitarsi dal Mandatario, non essendovi stato precedente accordo tra i Membri della Lega, sarà definito esplicitamente dal Consiglio della Lega di Nazioni.
Confermando detto Mandato, definisce i
suoi termini come seguono:
Articolo 1. Il Mandatario avrà
i pieni poteri di legislazione e di amministrazione, fatta salva la
loro limitazione derivante dai termini di questo mandato.
Articolo 2. Il Mandatario sarà
responsabile per mettere il paese in condizioni politiche,
amministrative e economiche tali che assicurino la costituzione della
nazione, come disposto nel preambolo e lo sviluppo di istituzioni
auto-governanti e anche per la salvaguardia dei diritti civili e
religiosi di tutti gli abitanti della Palestina, senza distinzione di
razza e religione.
Articolo 3. Il Mandatario, fino
a quando le circostanze lo permetteranno, incoraggerà l’autonomia
locale.
Articolo 4. Un’apposita
agenzia ebrea sarà riconosciuta come persona giuridica con lo scopo
di consigliare e cooperare con l’Amministrazione della Palestina in
questioni economiche, sociali e altre concernenti la costituzione
della nazione ebrea e gli interessi della popolazione ebrea in
Palestina e, sempre soggetta al controllo dell’Amministrazione,
assistere e prendere parte allo sviluppo del paese. L’Organizzazione
Sionista, fin tanto che la sua organizzazione e costituzione siano adeguate nell’opinione del
mandatario, sarà riconosciuta come tale agenzia. Procederà alla
consultazione col Governo di Sua Maestà Britannica per assicurare la
cooperazione di tutti gli ebrei disposti a collaborare alla
costituzione della nazione ebrea.
Articolo 5. Il Mandatario sarà
responsabile per fare in modo che nessun territorio della Palestina
sarà ceduto o affittato a, o in qualsiasi modo messo sotto il
controllo di un Governo di qualsiasi Potenza straniera.
Articolo 6. L’Amministrazione
della Palestina, nell’assicurare che i diritti e la posizione di
altre parti della popolazione non siano pregiudicate, faciliterà
l’immigrazione ebrea sotto condizioni appropriate e incoraggerà,
in co-operazione con l’agenzia ebrea indicata nell’Articolo 4, la
prossima sistemazione degli ebrei sulla terra, incluse terre dello
Stato e terre incolte non richieste per scopi pubblici.
Articolo 7. L’Amministrazione
della Palestina sarà responsabile per decretare una legge sulla
nazionalità. Sarà incluso nelle disposizioni di questa legge quadro
come facilitare l’acquisizione della cittadinanza palestinese da
parte di ebrei che prendano la loro residenza permanente in
Palestina.
Articolo 8. I diritti e
l’immunità degli stranieri, inclusi i benefici di giurisdizione e
protezione consolare precedentemente goduti dalla Capitolazione o uso
nell’Impero Ottomano, non saranno applicabili in Palestina. A meno
che le Potenze i cui cittadini godettero i summenzionati privilegi il
1 Agosto 1914, avranno precedentemente rinunciato al loro
ristabilimento o si saranno accordate per la loro non applicazione
per uno specifico periodo, questi diritti e immunità possono,
all’espirazione del mandato, essere riattivati immediatamente nella
loro interezza o con modifiche sulle quali si accordino le Potenze
interessate.
Articolo 9. Il Mandatario sarà
responsabile per fare in modo che il sistema giudiziario stabilito in
Palestina assicuri agli stranieri, così come ai nativi, una garanzia
completa dei propri diritti. Il Rispetto per la condizione sociale e
personale dei vari popoli e comunità e per i loro interessi
religiosi sarà garantito pienamente. In particolare, il controllo e
l’amministrazione di Waqfs saranno esercitate in concordanza con la
legge religiosa e le disposizioni dei fondatori.
Articolo 10. Pendente la
creazione di speciali accordi d’estradizione che si riferiscono
alla Palestina, i trattati d’estradizione in vigore tra il
mandatario e altre potenze straniere si applicheranno alla Palestina.
Articolo 11. L’Amministrazione
della Palestina prenderà le misure necessarie per salvaguardare gli
interessi della comunità in riferimento allo sviluppo del paese e,
soggetto a qualsiasi obbligazione internazionale accettata dal
Mandatario, avrà il pieno potere per provvedere alla proprietà
pubblica o al controllo di alcune delle risorse naturali del paese o
ai lavori, servizi e utilità pubbliche stabilite o in procinto di
essere stabilite. Introdurrà un sistema agrario adatto alle
necessità del paese con riguardo, fra le altre cose, alla
desiderabilità di promuovere lo stanziamento e la coltura intensiva
della terra. L’Amministrazione può trovare un accordo con
l’agenzia ebrea menzionata nell’Articolo 4 per costruire o operare, con termini
giusti ed equi, qualsiasi lavoro, servizio e utilità pubblica e
sviluppare alcune delle risorse naturali del paese, fin tanto che
queste questioni non siano intraprese direttamente
dall’Amministrazione. Qualunque di tali accordi dovrà prevedere
che nessun profitto distribuito da tale agenzia, direttamente o
indirettamente, eccederà una tariffa ragionevole di interesse sul
capitale e qualsiasi profitto ulteriore sarà da essa utilizzato per
il beneficio del paese in modo approvato
dall’Amministrazione.
Articolo 12. Al Mandatario sarà
affidato il controllo delle relazioni estere della Palestina, e il
diritto di emettere exequatur a consoli nominati da Potenze
straniere. Avrà titolo anche per la protezione diplomatica e
consolare dei cittadini della Palestina quando si trovino fuori dai
propri confini territoriali.
Articolo 13. Tutta la
responsabilità connessa coi Luoghi Santi ed edifici o luoghi
religiosi in Palestina, inclusa quella di preservare i diritti
esistenti e di assicurare libero accesso ai Luoghi Santi, edifici e
luoghi religiosi e il libero esercizio del culto, assicurate le
necessità di ordine pubblico e decoro, è assunto dal Mandatario che
sarà responsabile solamente verso la Lega delle Nazioni per tutte le
questioni connesse con quanto indicato, statuito che nulla in questo
articolo preverrà il Mandatario da raggiungere accordi che possa
ritenere ragionevoli con l’Amministrazione allo scopo di rendere effettive le disposizioni di
questo articolo; è anche statuito che nulla in questo Mandato sarà
determinato che conferisca all’autorità del Mandatario
d’interferire con la struttura o la gestione degli edifici sacri
solamente musulmani, le cui immunità sono garantite.
Articolo 14. Una Commissione
speciale sarà nominata dal Mandatario per studiare, definire e
determinare i diritti e le richieste relative ai Luoghi Santi e i
diritti e le richieste che si riferiscono alle diverse comunità
religiose in Palestina. Il metodo di nomina, di composizione e delle
funzioni di questa Commissione sarà sottoposto al Consiglio della
Lega per la sua approvazione e la Commissione non sarà nominata o
eserciterà le proprie funzioni senza l’approvazione del Consiglio.
Articolo 15. Il Mandatario farà
in modo che la completa libertà di coscienza e il libero esercizio
di tutte le forme di culto, sottoposte solamente al mantenimento
dell’ordine pubblico e dei costumi siano assicurati a tutti.
Nessuna discriminazione di qualsiasi genere sarà fatta tra gli
abitanti della Palestina in ragione della razza, religione o lingua.
Nessuna persona sarà esclusa dalla Palestina per l’unica ragione
del suo credo religioso. Il diritto di ciascuna comunità a mantenere
le proprie scuole per l’istruzione dei propri membri nella propria
lingua, posto che si adeguino ai requisiti didattica di natura generale determinati
dall’Amministrazione imporre, non sarà negato o danneggiato.
Articolo 16. Il Mandatario sarà
responsabile per l’esercizio della supervisione su istituzioni
religiose e di beneficenza di tutte le fedi in Palestina che può
essere richiesta per il mantenimento dell’ordine pubblico e il
buono governo. Sottoposta a tale supervisione, nessuna misura sarà
presa in Palestina per ostruire o interferire con l’attività di
tali istituzioni o discriminare qualsiasi loro rappresentante o
membro in ragione della sua religione o nazionalità.
Articolo 17. L’Amministrazione
della Palestina può organizzare su base volontaria le forze
necessarie per la conservazione della pace e dell’ordine, anche per
la difesa del paese, soggette comunque alla soprintendenza del
Mandatario, ma non le userà per scopi diversi da quelli sopra
specificati salvo col beneplacito del Mandatario. A parte tali scopi,
nessuna forza militare, navale o dell’aria sarà reclutata o
mantenuta dall’Amministrazione della Palestina. Nulla in questo
articolo precluderà l’Amministrazione della Palestina dal
contribuire alle spese per il mantenimento delle forze del Mandatario
in Palestina. Il Mandatario avrà titolo in qualsiasi tempo di usare
le strade, ferrovie e porti della Palestina per il movimento delle
forze armate e di trasporti di combustibile e approvvigionamenti.
Articolo 18. Il Mandatario farà
in modo che non ci sia discriminazione in Palestina contro i
cittadini di qualsiasi Stato Membro della Lega delle Nazioni (incluse
società incorporate sotto le sue leggi) in comparazione con quelli
del Mandatario o di qualsiasi Stato straniero in questioni
riguardanti la tassazione, il commercio o la navigazione, l’esercizio
di industrie o professioni o nel trattamento di vascelli mercantili o
aerei civili. Egualmente non ci sarà discriminazione in Palestina contro beni che provenienti da o
destinati ad alcuno di detti Stati e ci sarà libertà di transito
sotto condizioni eque attraverso l’area affidata. Soggetta a quanto
detto e agli altri provvedimenti di questo mandato, l’Amministrazione
della Palestina può, su consiglio del Mandatario, imporre tasse e
dazi doganali che possano essere considerati necessari e compiere i
passi che si possano ritenere migliori per promuovere lo
sviluppo delle risorse naturali del paese e per salvaguardare gli
interessi della popolazione. Può anche, su consiglio del Mandatario,
concludere speciali accordi doganali con qualsiasi Stato il cui
territorio nel 1914 era interamente incluso nella Turchia Asiatica o
Arabia.
Articolo 19. Il Mandatario
aderirà per conto dell’Amministrazione della Palestina a qualsiasi
convenzione internazionale generale già esistente o che possa essere
conclusa in futuro con l’approvazione della Lega delle Nazioni e
relative alla tratta degli schiavi, al traffico d’armi e munizioni
o al traffico di droga o relativa all’equità commerciale, libertà
di transito e navigazione, navigazione aerea e comunicazione postale,
telegrafica e senza fili o proprietà letteraria, artistica o
industriale.
Articolo 20. Il Mandatario
coopererà per conto dell’Amministrazione della Palestina, fino a
che le condizioni religiose, sociali e altre lo permettano,
all’esecuzione di qualsiasi politica comune adottata dalla Lega
delle Nazioni per prevenire e combattere la malattia, incluse le
malattie di piante e animali.
Articolo 21. Il Mandatario
assicurerà la promulgazione entro dodici mesi da questa data, e ne
assicurerà l’esecuzione, di una Legge sulle Antichità basata
sulle seguenti norme. Questa legge assicurerà uguaglianza di
trattamento nella questione degli scavi e della ricerca archeologica
ai cittadini di tutti gli Stati Membri della Lega delle Nazioni.
Articolo 22. L’inglese,
l’arabo e l’ebraico saranno le lingue ufficiali della Palestina.
Qualsiasi dichiarazione o iscrizione in arabo su francobolli o moneta
in Palestina sarà ripetuta in ebraico e qualsiasi dichiarazione o
iscrizione in ebraico sarà ripetuta in arabo.
Articolo 23. L’Amministrazione
della Palestina riconoscerà i giorni santi delle rispettive comunità
in Palestina come giorni legali di riposo per i membri di tali
comunità.
Articolo 24. Il Mandatario farà
un rapporto annuale al Consiglio della Lega delle Nazioni a
soddisfazione del Consiglio per le misure prese durante l’anno in
esecuzione delle disposizioni del mandato. Copie di tutte le leggi e
regolamentazioni promulgate o pubblicate durante l’anno saranno
comunicate col rapporto.
Articolo 25. Nei territori Iying
tra la Giordania e il confine orientale della Palestina come deciso
in via definitiva, il Mandatario avrà titolato, col beneplacito del
Consiglio della Lega delle Nazioni, di posticipare o non applicare le
disposizioni di questo mandato in quanto da esso considerate
inapplicabili alle condizioni locali esistenti, e di applicare
provvedimenti per l’amministrazione dei territori che potrà
considerare appropriati a quelle condizioni, purché nessuna azione
che sarà presa sia incompatibile con le disposizioni
degli Articoli 15, 16 e 18.
Articolo 26. Il Mandatario
acconsente che in caso qualsiasi disputa di qualsiasi genere sorgesse
tra il Mandatario e un altro Membro della Lega delle Nazioni che si
riferisse all’interpretazione o all’applicazione del mandato,
tale disputa se non può essere risolta con una negoziazione, sarà
sottoposta alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale prevista
dall’Articolo 14 dell’Accordo della Lega di Nazioni.
Articolo 27. Il beneplacito del
Consiglio della Lega delle Nazioni è richiesto per qualsiasi
modifica dei termini di questo mandato.
Articolo 28. Nell’eventualità
della terminazione del mandato col presente conferito al Mandatario,
il Consiglio della Lega delle Nazioni emetterà le disposizioni che
potrà ritenere necessarie per salvaguardare per sempre, sotto
garanzia della Lega, i diritti assicurati dagli Articoli 13 e 14, e
userà la sua influenza per assicurare, sotto la garanzia della Lega
che il Governo della Palestina onorerà pienamente le obbligazioni
finanziarie legittimamente sottoscritte dall’Amministrazione della Palestina durante il periodo del
mandato, inclusi i diritti dei dipendenti pubblici alle pensioni o
gratifiche. Il presente strumento sarà depositato in originale
nell’archivio della Lega delle Nazioni e copie munite di
certificato saranno spedite dal Segretario Generale della Lega delle
Nazioni a tutti i Membri della Lega.
Redatto a Londra il ventiquattresimo
giorno di Luglio, mille novecento e ventidue."
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perdita della sovranità italiana" clicca QUI
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