Pagine

domenica 14 dicembre 2014

Grande Storia dell'Europa - 1° - Dalla formazione della Terra al 1.200 p.e.v. (a.C.)

Europa sul dorso di Zeus che ha le
sembianze di un toro bianco.
Il nome Europa deriva dal greco antico Ευρώπη e può significare, da εὐρύς (eurus) "ampio" e da  eur-ope (εὐρύς e ὄψις), "ben irrigata" oppure "dalla larga faccia", attributo della dea lunare quando la luna è piena.

IL MITO
Hydria, vaso greco utilizzato per
trasportare acqua, ma anche come
urna cineraria o come contenitore
per le votazioni, del VI secolo a.C.,
col ratto di Europa che compare in
groppa al toro. Nike le porge delle
corone. Pittura a figure nere con
particolari a vernice rossa e bianca;
Museo Etrusco di Villa Giulia, Roma,
reperto proveniente da Cerveteri;
Nel poemetto "Europa" del II-I secolo a.C., Mosco, autore siracusano e quindi di probabile stirpe Spartana, narra di un sogno, mandato da Afrodite alla fanciulla Europa, in cui a questa appaiono due parti della terra, l'Asia e una regione senza nome, sottoforma di donne che lottano tra loro, quando quella senza nome attira Europa verso di sé e le spiega di essere la terra che da lei prenderà il nome, per volere di Zeus. A partire dal V secolo a.C., il nome Europa designava l'intero continente europeo mentre in varie fonti precedenti con tale nome si indicava solo la Grecia continentale (dall'Inno omerico ad Apollo 251, 291). 
Ratto di Europa del VI secolo
a.C. nel tempio Y di Selinunte,
in Sicilia; foto di G. Dall’Orto
Il legame tra Asia e Europa, evidenziato nel sogno, è stato un motivo ricorrente dei miti fin dall'Iliade, dove si narra la leggenda in cui Europa, figlia di re Fenice (secondo l'Iliade) o del re fenicio Agenore, secondo autori posteriori (Agenore sarebbe stato l'eroe fenicio Chnas, che appare nel Genesi come Canaan, un figlio di Libia e di Poseidone che aveva lasciato l'Egitto per stabilirsi in Fenicia) e sorella di Cadmo, il fondatore della greca Tebe, giocasse un giorno con le compagne sulla spiaggia. 
Europa sul toro da Paestum, figura
rossa su un cratere, ampio vaso
usato nell'antichità classica per
miscelare e servire acqua e vino.
Firmato da Assteas, reperto del IV-V
sec a.C., Museo del Sannio,
Montersarchio, Benevento;
foto di Carlo Raso del 2017, da:
Avvicinata da Zeus sotto le sembianze di un giovane toro, bianco come la neve, dall'aria mansueta, ne rimase incantata e si mise a giocare con lui, adornandone le piccole corna con ghirlande e salendovi sulla groppa, venendo quindi subito rapita e condotta al di là del mare, sull'isola di Creta dove Zeus, rivelando la sua vera entità, tentò sedurla. Ma Europa gli resistette e fuggì, cosicché Zeus si trasformò allora in aquila e riuscì a sopraffarla, in un boschetto di salici o secondo altri, sotto un platano sempreverde. 
Vaso del IV-V sec. a.C, pittura a figure
nere con particolari a vernice rossa e
bianca del ratto di Europa, con
Europa in groppa al toro in corsa
e accanto una divinità marina;
Questa narrazione è riprodotta sulle monete di conio greco da 2 €. Europa generò quindi Minosse, Radamanto e Sarpedone. Zeus la fece poi sposare con il re locale Asterio, il cui nome allude ad un'altra forma di Zeus, Zeus Asterios, dio degli astri. Europa può rappresentare quindi la dea Luna inseguita dal dio del cielo che l'otterrà. Europa era oggetto di culto in varie località di Creta, festeggiata con particolari cerimonie durante le Ellotie, così chiamate dal nome cretese e corinzio di Europa, Ellotis. 
Mosaico del ratto di
Europa, fine I sec, Museo
archeologico nazionale di
Aquileia; foto di Sebastià
Il richiamo alla luna è ben presente nel mito: Fenice è la forma maschile di Fenissa (che significa "la rossa"), attributo dato alla luna. Il nome di Europa poi, è forse riconducibile a eur-ope (εὐρύς e ὄψις), "dalla larga faccia", attributo della luna piena e rinvia alla dea-luna Demetra e all'Astarte di Sidone. Nella città micenea di Midea si sono ritrovate delle placche di vetro istoriato con una rappresentazione d'iconografia pre-ellenica in cui la sacerdotessa della luna galoppa trionfante in groppa al toro solare. L'immagine alluderebbe ad un'antica invasione ellenica di Creta e rappresenterebbe una cerimonia legata a riti di fertilità durante la quale veniva portata in processione la ghirlanda di Europa. Nella storia comunque, compaiono frequenti riferimenti a scambi intercorsi fra Oriente e Occidente, tra Asia e Europa, alludendo a commistioni tra popolazioni fenice e proto-elleniche. Secondo Esiodo (Teogonia 346-357), Europa, madre di tutti i corsi d'acqua, figlia di Oceano e Teti, era sorella di Asia e l'Iliade riconduce Europa al re fenicio Fenice.
Paolo Caliari detto il Veronese "Il ratto
di Europa", del 1580 con il particolare
del corteggiamento di Europa da parte
del toro. Sullo sfondo la discesa verso
il mare di Giove-toro con in groppa
Europa; Londra, National Gallery
Se si considerano le fonti, sembra vi fossero due Europa: una figlia del re di Fenicia e una Nereide, sorella di Asia. Nella mitologia greca, le Nereidi erano ninfe marine, figlie di Nereo e della Oceanina Doride, considerate creature immortali e di natura benevola. Facevano parte del corteo del dio del mare Poseidone, insieme ai Tritoni e venivano rappresentate come fanciulle con i capelli ornati di perle, a cavallo di delfini o cavalli marini. Secondo Kerényi, il fatto che Omero indichi quale padre della ragazza il personaggio eponimo dei Fenici, può significare che Minosse, il mitico re dei Cretesi, dal nome non-greco, dovesse essere noto nella tradizione greca come un orientale. Il mito di Europa può descrivere quindi una estrazione da tradizioni fenicie delle origini elleniche tebane, connesse e derivate da queste, testimoniate da una poesia epica che determinerà l'identità dei greci
Antonio Marziale Carracci
(1583-1618), "Il ratto di
Europa" del 1602; foto
La leggenda di Europa, presente in moltissimi autori antichi oltre che in varie rappresentazioni iconografiche antiche, sarà poi ripresa, anche se con significati diversi, in periodo medievale e soprattutto in età umanistica, dove sarà rappresentata in diverse arti figurative, spesso interpretata come la rappresentazione dell'anima che si volge a Dio. Mentre la trasformazione di Zeus in uccello fecondatore ricorda quando, con le sembianze di cuculo, aveva sedotto Era, il mito di Europa in groppa al toro potrebbe rievocare un'invasione di Creta, in cui il simbolo del toro era piuttosto diffuso nell'antichità, da parte di stirpi elleniche oppure scorrerie compiute da elleni di Creta in Fenicia, per quanto, il mito dell'ateniese Teseo che con l'aiuto di Arianna sconfigge il Minotauro, nel labirinto (il palazzo di Minosse, in cui erano raffigurate, oltre al toro, le labris, asce bipenne rappresentanti il potere giudiziario de re-despota) descrive una ribellione di Atene dalla dispotia minoica. Sappiamo infatti, da ritrovamenti archeologici, che Creta aveva assoggettato i territori del mare Egeo e probabilmente tutto il mediterraneo orientale. Secondo una visione astrologica, la rappresentazione del "toro" di quell'antica civiltà, succeduti alle grandi rappresentazioni di divinità orientali con corna d'ariete, potrebbe indicare eventi avvenuti durante l'era del segno del Toro, avvenuta dal 4.069 al 1.923 a.C., epoca in cui il punto vernale transitava in quel segno zodiacale. Per "La precessione degli Equinozi" QUI. Per quello che riguarda la raffigurazione delle corna di toro, nel periodo arcaico erano indubbiamente indice di divinità e quindi attributi degli dèi; la corona regale stessa supplisce alle corna.

GENESI
4 miliardi e 600 milioni di anni fa - Secondo le più recenti teorie scientifiche, nel contesto di un'universo che ora è ampio 13.500.000.000 di anni luce, ovvero lo spazio che la luce percorre in tali anni e che rivela quindi l'età stessa dell'universo, circa 4.600.000.000 di anni fa si formò un nuovo pianeta, la nostra Terra. Composta da materiale cosmico vagante prodotto dalle esplosioni del Sole che si era trasmutato in una stella "nova" e catturata dalla sua forza gravitazionale in un moto di rotazione intorno ad esso, si condensò e surriscaldò al punto che i metalli contenuti nelle rocce meteoriche di cui era composta si fusero, precipitando, per azione della forza vettoriale centripeta insita nella sue rotazione attorno a se stessa, nel suo nucleo. Questo nuovo nucleo di metalli fusi generò quindi, oltre ad una temperatura elevata, un potenziale gravitazionale elettro-magnetico che avrebbe permesso la formazione di un'atmosfera, una fascia soggetta alla sua attrazione al di sopra della crosta terrestre. L'acqua contenuta nei ghiacci dei meteoriti cosmici poté inserirsi nel ciclo delle piogge e delle evaporazioni e vi fu poi un'alternarsi di eruzioni di magma prodotto dalle alte temperature del nucleo che provocava vapori che oscuravano il sole, facendo abbassare la temperatura in superficie con conseguenti condensazioni delle acque che mutavano in ghiaccio e che, con nuove eruzioni, evaporava di nuovo e così via. Intanto, insieme all'acqua e a tutti gli altri elementi, dallo spazio giungeva anche la vita.

Carta degli eventi climatici e geologici, delle ere geologiche e glaciazioni,
con le forme di vita sulla Terra, dagli albori a 251.000.000 di anni fa.

- Sitchin propone una versione alternativa alla genesi del nostro pianeta. Zecharia Sitchin (Baku, 11 luglio 1920 - New York, 9 ottobre 2010), scrittore azero di origini ebree, racconta nel prologo del suo primo libro, "Il pianeta degli dei" del 1976: "...da giovane studente leggemmo nel capitolo VI che, quando Dio decise di distruggere l'umanità con il Diluvio universale, sulla Terra si trovavano "i figli delle divinità", che avevano sposato le figlie degli uomini. L'originale ebraico li chiamava Nefilim e l'insegnante ci spiegò che significava "giganti"; ma io obiettai: non significava letteralmente "Coloro che sono stati gettati giù", che sono "discesi sulla Terra"? Venni subito rimproverato, e mi fu intimato di attenermi all'interpretazione tradizionale. Negli anni seguenti, dopo che ebbi imparato le lingue, la storia e l'archeologia dell'antica regione corrispondente all'odierno Medio Oriente, i Nefilim divennero un'ossessione". Stimolato da queste curiosità e potendo accedere ad antichi scritti in cuneiforme e comprendendoli, si rese conto che lì molti episodi riportati dalla Bibbia erano trattati con più dettagli e più ampiamente, come se fossero stati i testi originali da cui il Vecchio testamento avesse tratto alcune parti, in particolare la Creazione, il Diluvio e i compiti assegnati dalle proprie maestranze ad Abramo, proveniente dall'antica città sumera di Ur.
Ingrandimento
del sistema solare
nel sigillo sumerico
VA243 conservato
nel museo delle
civiltà mediorientali
di Berlino.
Sigillo cilindrico sumero VA243
al Museo delle civiltà Mediorientali
di Berlino, con la rappresentazione
del sistema solare eliocentrico
e una divinità che consegna un aratro
ad un astante. Da https://www.
Partendo dalla distinzione fra le acque sopra il cielo e le acque sotto il cielo e stimolato dal reperto sumero denominato VA243, ora al museo Mediorientale di Berlino, Sitchin si rese conto che i sumeri avevano rappresentato il sistema solare eliocentrico e con un numero maggiore di pianeti di quanti ne conoscessero i greci. Da lì elaborò una serie di teorie, non dimostrabili ma che spiegherebbero molti fenomeni altrimenti inspiegabili. Per quello che riguarda il nostro sistema solare, secondo Sitchin non stiamo considerando il pianeta chiamato Nibiru nei testi Sumeri e Marduk in quelli Babilonesi, che avrebbe un periodo di rivoluzione di circa 3600 anni. L'esistenza di corpi celesti oltre Nettuno, di grandi dimensioni è comunque tuttora oggetto di dibattito, specialmente dopo la scoperta di 90377Sedna, un oggetto transnettuniano di grandi dimensioni scoperto nel 2003 che già al momento della scoperta si trovava alla distanza più grande a cui un qualsiasi corpo celeste del sistema solare fosse mai stato osservato.
Sole, Mercurio, Venere, Terra con Luna, Marte con i suoi
satelliti, Cerere nella fascia degli asteroidi, Giove e i suoi
satelliti, Saturno e i suoi satelliti, Urano e i suoi satelliti,
Nettuno e i suoi satelliti, Plutone e i suoi satelliti, Haumea
e i suoi satelliti, Makemake, Eris e il suo satellite, fascia
di Kuiper con comete e asteroidi, nelle giuste proporzioni.
Da https://it.wikipedia.org/wiki/90377_Sedna
Sitchin affermava che in corrispondenza della fascia degli asteroidi fra Marte e Giove si sarebbe trovato anticamente un pianeta che i Sumeri chiamavano Tiamat, il pianeta delle acque, giustificabile con la Legge di Titius-Bode, formula empirica che descrive con buona approssimazione i semiassi maggiori delle orbite dei pianeti del sistema solare. Dalla disastrosa collisione tra Tiamat e Nibiru, narrata in forma epica come "battaglia degli dei nei cieli" nel poema sumero/babilinese Enuma Elish, sarebbe nata la Terra (in sumero, "Ki"), poi spinta nella sua orbita attuale da una successiva ulteriore perturbazione gravitazionale di Nibiru e l'attuale fascia degli asteroidi sarebbero i detriti rimasti da quell'antica collisione.

Da 4,5 miliardi di anni fa - Insieme ai meteoriti, dallo spazio iniziano a giungere sul nostro pianeta anche dei batteri estremofili. Nel 2001 i ricercatori del Cnr e dell'Università di Napoli, Bruno D'Argenio e Giuseppe Geraci, docenti di geologia e biologia molecolare, hanno scoperto all'interno di dieci meteoriti dei microrganismi il cui corredo genetico è leggermente diverso da quello delle circa 28 mila specie di batteri terrestri conosciuti. Questi organismi, molto simili ai batteri da noi conosciuti, sono stati trovati dentro meteoriti di 4,5 miliardi di anni, scoperta che dopo esami e cauti accertamenti potrà venire confermata. Gli studiosi dell’Università di Napoli e dell’Istituto Geomare del CNR, affermano che la probabilità che i campioni siano stati contaminati da batteri terrestri è molto bassa. Non si possono ignorare i dubbi che molti scienziati hanno sollevato dopo la rivelazione di queste scoperte, cioè che sia difficile affermare con certezza che i campioni di meteoriti non siano stati inquinati dopo essere caduti sulla superficie terrestre da batteri terrestri. Questi campioni, i "cristallomicrobi", hanno le stesse caratteristiche di altri batteri già conosciuti e molto studiati negli ultimi 40 anni: i batteri estremofili. Come dice la parola stessa, questi microrganismi sono capaci di vivere e riprodursi in condizioni ambientali che per la maggior parte degli organismi sarebbero proibitive. Alcuni di questi particolari batteri appartengono al gruppo degli archeobatteri, collocati nel tempo all’origine della vita sulla terra. I “Batteri alieni”, o “batteri extraterrestri” scoperti nei meteoriti conservati nel museo Mineralogico di Napoli sono stati clonati e si riproducono in abbondanza nelle provette dei laboratori dell’Università Federico II. Questi microrganismi dopo essere stati riprodotti, sono stati analizzati nel loro Dna ed è emerso un genere nuovo che non ha uguali con i 18 mila tipi di codice genetico finora conosciuti. Inoltre gli stessi tipi di batteri chiamati “cristallomicrobi” o “Cryms” sono stati trovati dai ricercatori campani anche in circa cinquanta campioni di rocce sedimentarie, ignee e metamorfiche, di minerali e altri materiali solidi naturali, alcuni datati 3,8 miliardi di anni e prelevati in diversi punti del nostro pianeta, sparsi in tutti i continenti. Gli studiosi hanno estratto dalle rocce i microrganismi che a contatto con una soluzione fisiologica, normalmente utilizzata nei laboratori di microbiologia, diventano visibili al microscopio e si riattivano. Quando i batteri riacquistano le loro capacità metaboliche vengono clonati e studiati.
Esempio di condizione estrema
per la vita: sorgente d'acqua
calda sulfurea.
batteri estremofili sono forme di vita microbiche che riescono a sopravvivere in ambienti estremi ed impraticabili, potremmo dire sterili, nel senso che nessun’altra forma di vita potrebbe svilupparsi. Nelle acque ad alta concentrazione salina si sviluppa bene Halobacterium salinarum, mentre il record di batterio più “salato” lo detiene Halophilic che è capace di vivere in acqua dove è presente il 30% di sale (ricordiamoci che l’acqua di mare contiene sale per il 3,5%). Anche le rocce che si trovano ad alcuni chilometri di profondità sono un habitat ideale: a 3,2 km. di profondità, nel sottosuolo, nei piccolissimi spazi interstiziali delle rocce vivono alcuni microrganismi capaci di tollerare livelli di pressione, di radiazioni e di calore elevatissimi. Mentre organismi appartenenti alla specie Bacillus infernus si trovano a 2.800 metri di profondità e alla temperatura di 75°C, lo Staphylothermus marinus colonizza ambienti sul fondo degli oceani dove le temperature raggiungono i 115 °C, per via del surriscaldamento da parte di magma. Al contrario la vita microbica rappresentata da Chroococcidiopsis e da Crypotendoliths vive in condizione ottimale fino a -15 °C, ma fra le rocce del continente antartico c’è chi tollera temperature di - 50 °C. Un’altra particolarità degli ambienti estremi è quella di essere caratterizzati da pH estremamente acidi o basici: il microrganismo più “basico” è Alkaliphic che vive in minerali alcalini con pH 11 depositati a seguito dell’evaporazione di gran masse d’acqua. Alcuni ricercatori americani hanno voluto studiare gli effetti di un’intensa radiazione solare nel vuoto dello spazio su alcuni microrganismi: il primo tentativo è stato compiuto dalla NASA proprio per osservare fino a che punto le radiazioni solari siano in grado di influenzare le cellule viventi. Come previsto, i raggi ultravioletti hanno danneggiare tutti i batteri ad un’altitudine di 320 km, a parte il Deinoccocus radiodurans, che vive normalmente nel suolo. La scoperta di questi microbi risale al 1950, quando alcuni studiosi, dopo aver messo a punto alcune tecniche di conservazione dei cibi, si sono accorti che era quasi impossibile ucciderli. S’ipotizza che questi intrepidi estremofili possano sopravvivere su altri pianeti dato che in condizioni sperimentali oltre che non aver paura delle radiazioninon temono le alte temperature, la disidratazione e neanche agenti chimici capaci di distruggere il DNA.

- La scala dei tempi geologici rappresenta un modo per suddividere il tempo trascorso dalla formazione della Terra, in continua evoluzione e condiviso dalla comunità scientifica internazionale L'organismo internazionale delegato alla formalizzazione geologica (quindi alla nomenclatura) di questa scala è la Commissione Internazionale di Stratigrafia, che presiede alla ratifica dei GSSP (Global Stratigraphic Section and Point), ossia Sezioni e punti stratigrafici globali, affioramenti rocciosi nei quali sia fisicamente presente un limite tra due età geologiche nei quali sia stato rinvenuto il maggior numero di informazioni fisiche, chimiche e paleontologiche su quel limite rispetto ad altri affioramenti contenenti anch'essi il medesimo limite stratigrafico.
Una unità geocronologica è un intervallo di tempo corrispondente a quello durante il quale si è formato un insieme di rocce, corrispondente ad una unità cronostratigrafica, che è un insieme di rocce che si sono formate in un determinato periodo di tempo (unità geocronologica). Le unità cronostratigrafiche sono categorizzate in modo gerarchico e ad ognuna di esse corrisponde un'unità geocronologica e l'unità cronostratigrafica di base (dalla quale si parte per definire tutte le altre) è il Piano. Le unità cronostratigrafiche vengono definite allo scopo di associare la stratigrafia di una zona al tempo geologico in cui essa si è formata, in maniera da ricostruire una Scala Cronostratigrafica Standard da utilizzare a livello globale per le correlazioni tra rocce di località diverse.
          Unità                                    Durata temporale                                      Unità
Geocronologiche                        in Ma, Milioni di anni                         Cronostratigrafiche
Eone                                             500 Ma = mezzo miliardo               Eonotema - strati di roccia depositatisi
Era                                                molte centinaia di Ma                    Eratema - insieme di rocce formatesi
Periodo                                          da 22 a 80 Ma                              Sistema - stratotipi e loro sequenza
Epoca                                            decine di Ma                                 Serie - suddivisioni del sistema
Età                                                 da 2 a 10 Ma                                Piano - unità delle correlazioni interregionali
                                                                                                           Cronozone - cronostratigrafie formali
il più antico                                    "primo" per il tempo                       "inferiore" per rocce e culture
nel tempo di mezzo                        "medio"                                         "medio"
il più recente                                  "tardo"                                          "superiore" per rocce e culture
Concettualmente ad ogni suddivisione di tempo della storia della Terra (l'unità geocronologica) corrisponde una suddivisione dei tipi di rocce formatesi (l'unità cronostratigrafica) e secondariamente gli organismi viventi, spesso estintisi al termine dell'Era geologica di appartenenza.
Per rocce si intendono gli aggregati naturali di minerali (corpi inorganici formati in seguito a processi spontanei). Tuttavia, al contrario di quest'ultimi, le rocce non possono essere espresse o definite mediante formule in quanto non presentano una composizione chimica omogenea e definibile. Le rocce sono fondamentalmente eterogenee, quindi costituite da più minerali ma ve ne sono anche omogenee, che contengono un unico tipo di minerale; in questo particolare caso la roccia si distingue dal minerale poiché manca di una regolarità chimica strutturale, in quanto vi sono presenti delle impurità.
- Le rocce ignee si formano quando il magma si raffredda nella crosta terrestre o la lava si raffredda sulla superficie del suolo o sul fondo del mare.
- Le rocce metamorfiche si formano quando le rocce esistenti sono soggette a pressioni e temperature così grandi da trasformarsi, cosa che si verifica, ad esempio, quando le piastre continentali si scontrano.
- Le rocce sedimentarie sono formate dalla diagenesi o dalla litificazione dei sedimenti, che a loro volta sono formati dall'erosione, dal trasporto e dalla deposizione delle rocce esistenti.
L'età della Terra è stimata in circa 4.570 milioni di anni (nella nomenclatura inglese, 4570 mya o, in "Ma", 4570 Ma). Il tempo geologico o "profondo" della Terra nella sua storia, è stato organizzato in varie unità, a seconda degli eventi che si sono succeduti in ogni periodo. Differenti livelli della scala temporale sono spesso delimitati da grandi eventi geologici o paleontologici, come le estinzioni di massa. Per esempio, il limite tra il periodo Cretacico e il periodo Paleogene è definito dall'evento dell'estinzione dei dinosauri e di molte specie marine. Altri periodi, precedenti le rocce contenenti fossili guida, sono definiti in età assoluta da età radiometriche.
L'unità di tempo più ampia definita è il supereone, costituito da Eoni. Gli eoni sono divisi in Ere, che sono poi rispettivamente suddivise in Periodi, Epoche ed Età. I paleontologi, relativamente ai cambiamenti delle associazioni fossili definiscono i piani faunali che li contraddistinguono, per cui molti di loro associano i tempi di questi piani faunali alla nomenclatura geologica, nonostante siano relative ad unità cronostratigrafiche.
L'Eone è la categoria di rango superiore nella suddivisione dei tempi geologici; il limite tra un eone ed il successivo avviene in corrispondenza di un cambiamento fondamentale nella storia degli organismi viventi. Gli eoni nella storia della Terra sono stati quattro:
- prima di 3.800 Ma (milioni di anni) fa l'Adeano (da Ade, l'inferno) o Azoico (senza vita), nel passato definito anche Precambriano o Archeozoico, l'unico non suddiviso in ere;
- tra 3.800 e 2.500 Ma fa l'Archeano o Criptozoico;
- tra 2.500 e 545 Ma fa il Proterozoico;
- da 545 Ma fa il Fanerozoico.
L'Era geologica è una suddivisone dell'eone nei tempi geologici, normalmente compresa tra due estinzioni di massa. Le ere geologiche sono (dalla più antica alla più recente): Eoarcheano, Paleoarcheano, Mesoarcheano, Neoarcheano, Paleoproterozoico, Mesoproterozoico, Neoproterozoico, Paleozoico, Mesozoico, Cenozoico. Più precisamente, un'era rappresenta il tempo trascorso durante la formazione delle rocce che costituiscono l'eratema corrispondente. Un'era appartiene a un determinato eone ed è divisa, al suo interno, in numerosi periodi.
Per quello che riguarda invece le suddivisioni riguardo alle rocce, i cui pionieri sono stati William Smith, Georges Cuvier, Jean d'Omalius d'Halloy e Alexandre Brongniart all'inizio del XIX secolo, probabilmente stimolati dalla nascita dell'archeologia, l'identificazione degli strati secondo i fossili in essi contenuti, rese possibile per i geologi dividere più precisamente la storia della Terra e correlare gli strati attraverso i confini delle varie nazioni (o continenti). Se due strati (comunque differenti per posizione nello spazio o composizione) contenevano gli stessi fossili, c'erano buone possibilità che potessero essersi depositati nello stesso tempo. Studi dettagliati tra il 1820 e il 1850 degli strati e dei fossili d'Europa produssero una sequenza di periodi geologici ancora oggi utilizzati. Il processo vedeva al centro degli sviluppi i geologi britannici, e i nomi famosi in quel periodo, in tal senso, riflettono quella situazione. Il “Cambriano” (da Cambria, il nome latino per il Galles), l'"Ordoviciano" e il "Siluriano", che prendono il nome da tribù gallesi, sono periodi geologici nominati ispirandosi alla sequenza stratigrafica del Galles. Il “Devoniano” era il nome della contea inglese del Devon, e il nome “Carbonifero” è semplicemente un adattamento delle “Coal Measures”, l'antico termine che i geologi inglesi usavano per definire lo stesso concetto di strato. Il “Permiano” era nominato con riferimento a Perm', in Russia, poiché fu definito sugli strati di quella regione dal geologo scozzese Roderick Murchison. Comunque, alcuni periodi furono definiti dai geologi anche di altre nazionalità. Il “Triassico” fu definito nel 1834 dal geologo tedesco Friedrich Von Alberti a partire da tre distinti strati (dal latino trias, “triade”).

- I primi batteri che si formarono sulla Terra furono gli estremofili, archeobatteri che vivevano in habitat caratterizzati da condizioni estreme (elevata salinità, bassa concentrazione di ossigeno, alta temperatura e valori estremi di pH) ed appartenevano alla divisione degli archeobatteri, le cui caratteristiche, oltre alla primordialità e alla resistenza, era quella di essere cellule procariote. Ogni cellula può esser definita come un'entità chiusa ed autosufficiente: essa è infatti in grado di assumere nutrienti, di convertirli in energia, di svolgere funzioni specializzate e di riprodursi se necessario. Per fare ciò, ogni cellula contiene al suo interno tutte le informazioni necessarie. Le cellule si distinguono in due tipi: procariotiche, prive di nucleo vero e proprio e della membrana che lo separa dal citoplasma ed eucariotiche, cioè dotate di membrana che separa il nucleo vero e proprio dal citoplasma. Sono tendenzialmente più grandi ed organizzate delle cellule procariotiche e pur comparendo anche in organismi monocellulari (noti come protisti), sono caratteristiche degli organismi multicellulari. Le cellule procariote (pro = prima e kàryon = nucleo) sono cellule prive di un nucleo ben definito e delimitate dalla membrana cellulare; rispetto alle cellule eucariote non possiedono organuli eccetto i ribosomi, hanno una struttura interna molto semplice e non possedendo un nucleo, il loro DNA è sparso nel citoplasma in una regione interna della cellula chiamata nucleoide. Si riproducono per scissione binaria.
Cellula procariotica, significati
delle cifre: 1.capsula batterica,
2.parete cellulare, 3.membrana
citoplasmatica, 4.citoplasma,
5.ribosomi, 6.mesosoma,
7.nucleoide (DNA), 8.flagello.
Le loro dimensioni sono dell'ordine di pochi micrometri (μm), ma possono variare dai circa 0,2 µm dei micoplasmi ai 30 µm di alcune spirochete e oltre. Un micrometro (simbolo: µm, in passato era usata la dizione micron) corrisponde ad un milionesimo di metro (cioè ad un millesimo di millimetro). Un micrometro equivale a 1 000 nanometri (nm). L'interno della cellula procariota non è suddiviso in organuli da membrane, anche se alcune funzioni metaboliche, come la respirazione e la fotosintesi, sono associate ad invaginazioni e ripiegamenti della membrana cellulare, chiamati mesosomi. Il genoma cellulare è più semplice di quello delle cellule eucariote ed è costituito da una sola molecola circolare di DNA, a cui si aggiungono eventuali repliconi autonomi, molecole di DNA che vengono replicate dall'apparato metabolico della cellula che li ospita ma non fanno parte del genoma standard di quella specie. È assente la membrana nucleare. Il citoplasma delle cellule procariote contiene il DNA e i ribosomi 70 S, che sintetizzano le proteine. La parete cellulare, se presente, può essere composta da una sostanza caratteristica denominata peptidoglicano. Esternamente alla parete cellulare ci può essere uno strato più spesso e meno rigido, detto capsula. Esempi di organismi formati da cellule procariote (tutti unicellulari) sono: i batteri, le alghe azzurre (chiamate anche cianoficee o alghe verdi-azzurre o cianobatteri) e gli archeobatteri. Se consideriamo le caratteristiche dell’ambiente nel quale vivono, gli archeobatteri presentano molte caratteristiche comuni, dalla composizione della loro parete cellulare e dalla sequenza delle basi del loro RNA. Gli archeobatteri possono essere distinti in tre gruppi: 1) i termoacidofili, che prediligono condizioni di elevata temperatura e pH acido. Colonizzano ambienti dove pochi altri organismi sono in grado di sopravvivere. Il Solfolobus è un tipico rappresentante di questo gruppo di batteri che vive in prossimità di sorgenti sulfuree calde con temperature di 70-75°C e non sono in grado di sopravvivere sotto i 55°C. Ma questo batterio è anche capace di mantenere un pH interno vicino a 7, trovando ottimale per la sua crescita un ambiente acido con valori compresi tra 2 e 3. Nelle solfatare dei Campi Flegrei a Pozzuoli (Napoli) sono stati scoperti alcuni archebatteri di questo tipo: Bacillus acidocaldarius e Sulfolobus solfataricus; 2) i metanogeni, procarioti che vivono in assenza di ossigeno e utilizzano la reazione che porta alla produzione di metano, partendo dall’anidride carbonica come passo chiave del loro metabolismo. Un genere, il Methanopyrus, vive sul fondo dell’oceano vicino alle fratture vulcaniche e cresce a valori ottimali compresi in un intervallo di 110-84°C; 3) gli alofili stretti, che vivono solo in ambienti estremamente salati dove pochi altri organismi potrebbero vivere, poiché si disidraterebbero fino alla morte. Alcuni di questi batteri trovano un ambiente ideale di vita nel Mar Morto, dove la concentrazione salina è di circa 10 volte superiore a quella degli altri mari (340g/l). Alcuni archebatteri alofili, amanti del sale, colorano di rosso le acque cristallizzate delle saline. Diverse specie di batteri tutti appartenenti alla famiglia delle Halobacteriaceae sono responsabili di queste colorazioni rosso-rosacee perché contengono nelle membrane cellulari dei pigmenti che derivano dal beta-carotene. Questi gruppi vengono studiati con attenzione perché sono potenzialmente utili in campo biotecnologico sia per produrre carotenoidi, sia per individuare enzimi attivi in soluzioni saline molto concentrate.

3,5 miliardi di anni fa - Iniziano a generarsi archeobatteri autoctoni del nostro pianeta, che originano così la vita sul nostro pianeta. Gli archeobatteri sono cellule procariotiche, il più antico e numeroso gruppo di organismi presenti sulla Terra. I primi fossili rappresentativi datano 3,5 miliardi di anni fa e queste antiche tracce indicano che era presente una considerevole diversità tra i procarioti anche nel periodo archeano. Questi organismi regnarono sulla Terra per più di 2 miliardi di anni adattandosi ai nuovi ambienti e ai cambiamenti che di volta in volta si verificavano e si sono diffuse in ogni habitat immaginabile sul pianeta, colonizzando anche altri organismi.
Probabile scenario terrestre
di 3,5 miliardi di anni fa.
Oggi i procarioti sono diversi rispetto a quelli di 3,5 miliardi di anni fa e rappresentano il prodotto attuale di molte linee di evoluzione indipendenti che si sono separate da centinaia di milioni di anni. Infatti a partire da una comune eredità procariotica, le diverse linee hanno seguito vie di evoluzione separate e ognuna di esse si è adattata alla maggioranza dei cambiamenti dell’ambiente con un risultato tale che la diversità all’interno di ciascuna linea è maggiore rispetto alle differenze verificabili nell’ambito di altri regni. Il gruppo dei procarioti comprende i batteri, organismi unicellulari, privi di nucleo e di altre strutture citoplasmatiche tipiche delle cellule eucariote. Una delle ultime teorie che si sono diffuse sulle origini della vita è stata pubblicata sulla rivista "Nature" dal biologo molecolare James A. Lake. I suoi studi di genomica (la scienza del mappaggio, sequenziamento e analisi dei genomi, cioè dell'intero contenuto di DNA) gli hanno permesso di formulare un’ipotesi che compie un ulteriore passo avanti rispetto a quanto conosciuto fino ad ora sull’argomento. Da un punto di vista tassonomico basato sulla natura della parete cellulare, i procarioti si distinguono in 4 divisioni: gli archeobatteri, i batteri gram-positivi, i batteri gram-negativi e i micoplasmi.

Il susseguirsi delle ere geologiche nel tempo.
- Poi, secondo gli evoluzionisti, l'evoluzione seguirà il suo corso attraverso le ere geologiche.

- Una nuova teoria spiega come la primordiale  atmosfera terrestre sia divenuta ricca d'ossigeno. "Il rilascio di enormi quantità d'idrogeno gassoso durante il primo stadio dell'evoluzione della nostra atmosfera, potrebbe costituire il motivo principale dell'odierna ricchezza d'ossigeno" riferiscono gli scienziati dell'Ames Research Center della NASA. "Senza ossigeno, le forme di vita più avanzate sulla Terra sarebbero state le schiume batteriche verdi", osserva David Catling, autore dello studio. Fortunatamente alcuni batteri che abitavano gli oceani primordiali divennero capaci di separare l'acqua in idrogeno e ossigeno". In verità, questa separazione avviene ancora oggi negli organismi fotosintetici. Utilizzando l'energia irradiata dal Sole, questi scindono le molecole d'acqua e utilizzano l'idrogeno per sintetizzare composti organici come i carboidrati e rilasciano l'ossigeno come prodotto di scarto della reazione. La squadra di Catling sostiene che attraverso un processo chiamato fotolisi del metano, i composti carboidrati (ricchi di idrocarbonio gassoso) hanno reagito con l'ossigeno liberando gli atomi d'idrogeno, che si sono quindi dispersi nello spazio. Se quest'ipotesi fosse corretta potrebbe spiegare perché la Terra primitiva rimase abbastanza calda (per l'effetto serra provocata dall'idrogeno) da permettere lo sviluppo della vita.

3 miliardi di anni fa - Il sole era un quinto meno brillante rispetto ad oggi. Così osserva Catling, "...la Terra avrebbe dovuta essere congelata". Il metano è un potente gas serra e secondo la teoria dello scienziato, la sua concentrazione nell'atmosfera era dalle cento alle mille volte superiore a quella odierna.

2 miliardi di anni fa - La fusione di protobatteri (antichi microrganismi unicellulari fotosintetici) con alcuni archebatteri abbia dato origine al primo essere procariota multicellulare. Questa teoria attribuisce agli archeobatteri un ruolo importante, che prima non era mai stato intuito, nel passaggio evolutivo dagli esseri unicellulari a quelli più organizzati multicellulari.

1 miliardo di anni fa - Alcuni procarioti invasero organismi affini (o da questi furono inglobati) e stabilirono un rapporto parassita-ospite (o preda-predatore). Questo tipo di rapporto si è stabilizzato nel corso dei tempi evolutivi e ha dato probabilmente origine ai protisti, caratterizzati da cellule eucariote dotate di un vero nucleo

Carta degli eventi climatici e geologici, delle ere geologiche e glaciazioni,
con le forme di vita sulla Terra, da 251.000.000 a 2.588.000 di anni fa.

40 milioni di anni fa - Nell'Eocene, secondo la teoria evolutiva dell'origine umana, gli antenati del genere umano, che facevano parte del grande gruppo delle Scimmie dette scimmie del vecchio mondo o catarrine, si separarono dalle scimmie platirrine o scimmie del nuovo mondo.

35 milioni di anni fa - Secondo gli organi ufficiali della comunità scientifica INIZIA (fino a 3 milioni di anni fa) L'EVOLUZIONE UMANA. Nell'assestamento della crosta terrestre, si comincia a produrre una lenta separazione fra la placca tettonica africana e quella araba seguita, 15 milioni di anni fa, dalla separazione fra la placca africana orientale e quella occidentale asiatica, originando così, a sud del Mar Rosso, la Great Rift Valley, che attraversa gli attuali stati di Etiopia, Kenya e Tanzania. L'assottigliamento della crosta terrestre dovuto all'allontanamento delle placche tettoniche, ha comportato la comparsa di fenomeni vulcanici. Nella parte più meridionale del mar Rosso, la faglia fra Africa ed Asia si dirama in due direzioni diverse, verso est e verso sud-sudovest. La zona della diramazione è chiamata il triangolo di Afar (la parte arancione nella figura a sinistra) o depressione di Danakil, nell'attuale Etiopia: è il punto geologico in cui le placche tettoniche si dividono e tendono ad allontanarsi tra loro, caratterizzato da un'intensa attività vulcanica.
Carta con la Great Rift Valley, Valle
della Grande Falla o Grande fossa
tettonica.
Nell'immagine qui a lato, ogni triangolino rosso è un vulcano. La diramazione verso est forma il golfo di Aden e da questo punto in poi questa faglia della Rift Valley, inabissandosi, continua come parte della dorsale oceanica asiatica. La diramazione africana verso sud-sudovest è spesso indicata come Great Rift Valley e divide gli altopiani etiopici in due parti. Più a sud, la faglia si divide a sua volta in due, un ramo a oriente e uno a occidente. La faglia occidentale, chiamata anche faglia albertina è delimitata da alcune delle montagne più alte dell’Africa, incluse le montagne di Viruga, Mituba e Ruwenzori e contiene i grandi laghi africani tra i più profondi del mondo, come il lago Tanganica, profondo fino a 1.470 metri e il lago Vittoria, considerato parte del sistema della faglia occidentale, anche se in realtà è posizionato tra le faglie orientale e occidentale. Sette milioni di anni fa, a causa dell'intensa attività vulcanica lungo la faglia tettonica, avvenne l'innalzamento della Great Rift Valley e creandosi così una barriera per i venti carichi di piogge provenienti dall'oceano indiano che impediva la circolazione di aria umida. Il clima sull'altipiano e sulla costa si fece più caldo e secco e quell’ambiente si inaridì, provocando così due panorami  molto diversificati:
Tupaia di Java.
1) la foresta tropicale, che sopravvisse a ovest della Rift Valley, lungo i grandi fiumi dell'Africa centrale; 2) fra le faglie meridionali della Rift Valley e la costa dell'est, la primitiva foresta tropicale si trasformava in savana e prateria. Questo fenomeno favorirà così, 7 milioni di anni fa, la comparsa del genere "homo", almeno secondo la teoria evolutiva dell'origine umana.

25 milioni di anni fa - Nel Miocene, i più antichi animali simili ai progenitori degli attuali primati, gruppo a cui appartiene anche l'uomo, si possono riconoscere nelle tupaie, ora considerate appartenere ad un ordine a sé stante (gli scandentia) e nei lemuri volanti o galeopiteci.

Lemure volante o galeopiteco
delle Filippine o Colugo delle
Filippine (Cynocephalus
Volans). Vive nelle foreste e
nelle montagne delle
Filippine del sud.
20 milioni di anni fa - Nel Miocene inferiore, all'interno di questo gruppo gli antenati degli Hominidae si differenziarono, separandosi poi dai pongini, arboricoli e frugivori.

Da 9.000.000 a 7.000.000 di anni fa - Frido Welker, dell'Università di Copenaghen, ha affermato che col suo team, utilizzando una tecnica nota come spettrometria di massa, ha ricostruito le sequenze di Dna dallo smalto dentale dei resti di H. antecessor, per determinarne la posizione nella storia della nostra eventuale evoluzione. Ha annunciato che i lignaggi umani e scimmieschi si sono separati tra i 7 e i 9 milioni di anni fa e che gran parte di ciò che sappiamo oggi si basa sullo studio del Dna antico e sulle osservazioni della forma e della struttura fisica dei fossili rinvenuti.

7.000.000 di anni fa - Da dati paleontologici e biomolecolari, si stima che avvenne la divergenza genetica di scimpanzé e bonobo (a noi più simili), dalle altre scimmie antropomorfe, i cui discendenti sono ancora viventi. Con l'innalzamento, provocato dall'attività vulcanica, della Rift Valley, si era creata una barriera ai venti carichi di piogge provenienti dall'oceano indiano che da allora deviarono il loro percorso e quindi i nuovi altopiani etiopici orientali si inaridirono a causa del nuovo clima, più caldo e secco. Si diversificarono quindi i fattori climatici fra l'ovest della Rift Valley, lungo i grandi fiumi dell'Africa centrale, in cui la foresta tropicale continuava a prosperare e le faglie del sud con la costa orientale, in cui la primitiva foresta tropicale si trasformava in savana. La popolazione delle protoscimmie africane si trovava perciò ad essere geograficamente separata dal Rift in due sottopopolazioni: quella nel versante ovest, che era rimasto lussureggiante e in cui le protoscimmie si sarebbero riprodotte, precorrendo le moderne scimmie antropomorfe e le protoscimmie intrappolate sull'altopiano, dove un lento ed inesorabile inaridimento trasformava l'ambiente in savana e praterie, che si sostituivano alle precedenti foreste tropicali. Il nuovo clima non permetteva più a quegli animali di avere a disposizione alberi su cui vivere e la deambulazione eretta su due zampe diventò quindi indispensabile per poter tenere d'occhio lo spazio intorno e non era certamente sicura come saltare, ben al di sopra del terreno, da un ramo d'albero all'altro. D'altro canto rimanevano libere le mani, disponibili a utilizzi diversi dalle zampe posteriori, destinate al camminare e correre. In questa circostanza di profonda crisi, vi fu il grande salto evolutivo per cui queste protoscimmie, adattandosi a condizioni ambientali nuove e difficili, quali la scomparsa della foresta sostituita dalla savana africana, elaborarono nuove soluzioni per nuovi problemi:  secondo gli evoluzionisti tale risposta permise la comparsa e l'affermazione del genere "Homo", proprio in virtù della conquista della postura eretta.

4.000.000 di anni fa - A questo punto la superficie del pianeta era abbastanza simile a quella attuale e secondo gli evoluzionisti, i nostri antenati fecero la loro comparsa. Il gruppo dal quale emergerà la nostra specie è quello degli Australopitechi, un ramo dei quali a partire da circa quattro milioni di anni fa diede origine a diverse specie ed ai progenitori del futuro nuovo genere Homo.

3.200.000 anni fa - E' la datazione del reperto paleoantropologico denominato "Lucy", ritrovato in Africa  ad Hadar, nel triangolo di Afar in Etiopia, nei territori della Rift Valley, il 24 novembre 1974, dai paleontologi Yves Coppens, Donald Johanson, Maurice Taïeb e Tom Gray. Quel reperto di un esemplare femmina dell'età apparente di 18 anni di una nuova specie di Australopitecus, vissuta circa 3,2 milioni di anni fa (nel Piacenziano) e denominato scientificamente Australopithecus afarensis, quando fu scoperto suscitò molto scalpore anche tra i non addetti ai lavori poiché la notizia venne diffusa anche nelle terze pagine dei normali quotidiani: si pensava di trovarsi di fronte alla "prima madre" Eva, la madre di tutti i viventi, poi la notizia fu ridimensionata e ci si rese conto che Lucy era sì un ominide, ma di specie diversa da quella umana, in quanto era escluso, per quel tipo di ominide, l'utilizzo di utensili.  rinvennero i resti . Al fossile venne dato il nome di Lucy, in onore della canzone, del 1967, "Lucy in the Sky with Diamonds" dei Beatles, brano che abbinava ad un testo psichedelico, l'acronimo LSD, dalle lettere maiuscole del titolo. I resti comprendevano circa il 40% dello scheletro (52 ossa). Particolarmente importanti l'osso pelvico, il femore e la tibia, perché la loro forma lascia pensare che questa specie fosse già bipede. Era alta circa 1,07 metri, piuttosto piccola per la sua specie, e pesava probabilmente tra i 29 e i 45 kg. Aveva denti simili a quelli umani, ma il cranio era ancora scimmiesco, con una capacità tra i 375 e i 500 cm³. Morì sulle rive di una palude, probabilmente di sfinimento e fortunatamente nessun predatore se ne cibò disperdendone le membra, così che il corpo, sommerso dal fango, si è fossilizzato nel corso dei millenni fino a diventare roccia. 

3.000.000 di anni fa - Secondo gli organi ufficiali della comunità scientifica termina l'EVOLUZIONE umana e inizia la PREISTORIA (fino al 10.000 a.C.). Il gruppo degli Australopitechi genera due rami evolutivi fondamentali che perdureranno per circa 2.500.000 anni, diversificandosi ecologicamente. Di tre milioni di anni fa è la datazione del reperto paleoantropologico denominato Australopithecus robustus. Al ramo evolutivo un tempo definito gracile, per la struttura ossea meno massiccia dei suoi appartenenti, si pensa come il più probabile ceppo da cui discenda la specie Homo, secondo gli evoluzionisti.

Da 3 a 1,6 milioni di anni fa - Data a cui risalgono più reperti di un medesimo tipo, l'Australopithecus africanus.

2.580.000 anni fa - Si considera l'inizio dell'Era geologica del Neozoico o Quaternario, di cui la prima Epoca è il Pleistocene e il primo Piano, per gli archeologi, è il Gelasiano. Con l'introduzione della tecnologia litica da parte degli ominidi, inizia anche una cultura litica, che nella sua prima fase prende il nome di Paleolitico inferiore.

Carta degli eventi climatici, tipi di ominidi e loro culture
nelle epoche e piani del Quaternario.

L' Homo abilis africano, presunto
antenato dell'Homo Erectus.
2.500.000 anni fa - A questa data, all'inizio del Pleistocene, risalgono sia i primi ominidi della specie Australopithecus Garhi che l'Homo habilis, il primo appartenente al genere Homo, il cui olotipo (esemplare su cui si basa la descrizione originale della specie) è il fossile OH 7 trovato da Jonathan Leakey, il 4 novembre 1960, nella Gola di Olduvai, in Tanzania, nella regione dei laghi africani. Coprotagonista della cultura Olduvaiana, è convinzione scientifica che per un certo periodo l'habilis, che pare aver convissuto con varie specie di australopitechi, con l'Australopithecus Garhi abbia condiviso il primato della produzione e utilizzo di strumenti litici. Homo habilis possedeva abilità manuali e coniugava intelletto con l'uso delle mani. Misurava poco più di un metro di altezza, aveva braccia lunghe come quelle di "Lucy" (Australopithecus afarensis). La caratteristica di questo gruppo di ominidi, ritenuti più socievoli degli australopitechi, sarebbe stata la condivisione e consumazione dei cibi insieme al gruppo di appartenenza. È comunemente accettato che l'Homo habilis avesse una significativa capacità di comunicazione, anche se il suo osso ioide (si trova alla radice della lingua, a livello della terza vertebra cervicale) e la struttura delle sue orecchie non erano in grado di supportare un linguaggio parlato. E' all'incirca in questa data quindi, che si iniziano ad utilizzare i primi utensili per produrre manufatti e armi. L'uso di utensili non è in assoluto una prerogativa della sola specie umana, ma solo l'uomo sarà in grado di procedere oltre, creando con tali strumenti, altri strumenti per creare ulteriori strumenti, in un circolo virtuoso. Nasce quindi un'industria litica preistorica chiamata Paleolitica, il cui periodo più antico è il Paleolitico inferiore.

Tabella con le fasi del Paleolitico nelle Epoche, con le
tecnologie e le glaciazioni, da 2,5M di anni fa a 12ka fa.

Tabella con le caratteristiche del Paleolitico inferiore,
da 2,5M di anni fa a 300/120ka fa.

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.1: dalla formazione della Terra a 2.500.000 anni fa" QUI.

Ricostruzione di Homo ergaster.
2.000.000 di anni fa Homo ergaster è il nome di una specie estinta di ominide, vissuto in Africa tra 2 e 1 milione di anni fa. Pare che si fosse stanziato in numerose zone del continente africano, fra l'Africa orientale ed il Sudafrica. Forse condivise alcuni accampamenti con altre specie, come l'Homo habilis, che 1,8 milioni di anni fa era ancora presente presso la Gola di Olduvai, in Tanzania. I resti fossili più importanti di Homo ergaster sono principalmente due, entrambi  ritrovati in Kenya, tra il 1975 e il 1984. Il primo, KNM-ER 3733, scoperto da Bernard Ngeneo nel 1975 a Koobi Fora in Kenya, ha un'età stimata in 1,7 milioni di anni. Il cranio è completo, di volume 850 cc. e il teschio è molto simile all'uomo di Pechino, i cui resti vennero trovati fra il 1923 e il 1927 durante degli scavi condotti a Zhoukoudian (nei pressi di Pechino, da cui il nome), in Cina. Mentre gli esami condotti sui rapporti stilati a suo tempo sull'uomo di Pechino hanno portato a concludere che appartenesse allo stesso stadio evolutivo del genere Homo dell'uomo di Giava, nel 1985 Lewis Binford sostenne la teoria secondo cui l'uomo di Pechino fosse un mangiatore di carogne (come le iene) e non un cacciatore. Nel 1998 Steve Weiner rincarò la dose, annunciando di non aver trovato alcuna prova del fatto che l'uomo di Pechino usasse il fuoco. A questo punto la maggior parte degli antropologi ha eletto come diretta antenata dei moderni esseri umani, la popolazione africana di Homo ergaster, piuttosto che le popolazioni asiatiche rappresentate dall'uomo di Pechino e quello di Giava, mentre ora invece abbiamo anche i reperti di H. georgicus e H. di Denisova su cui ragionare. Tornando all'H. ergaster KNM-ER 3733, la scoperta di questo fossile nello stesso strato di ER406 (Australopithecus boisei) ha dato il colpo di grazia all'ipotesi dell'unica specie, l'idea cioè, che vi potesse essere un'unica specie di ominidi durante ogni periodo preistorico. Il secondo reperto, KNM-WT 15000, scoperto da Kamoya Kimeu (dell'èquipe di Richard Leakey) nel 1984 a Nariokotome, nei pressi del Lago Turkana in Kenia, è lo scheletro completo di un bambino di 11 o 12 anni a cui mancano solo mani e piedi chiamato, "Turkana Boy" o Ragazzo di Turkana. Molti scienziati pensano che gli erectus maturassero più in fretta degli uomini moderni e che quindi "Turkana Boy" avrebbe avuto in realtà soltanto 9 o 10 anni. È il più completo scheletro di H. ergaster conosciuto ed è anche uno dei più vecchi, 1,6 milioni di anni. Il volume del cranio è di 880 cc. ed è stato stimato che potesse arrivare a 910 cc. da adulto. Il ragazzo era alto 1,60 m. e sarebbe diventato 1,85 m. da adulto, un'altezza sorprendente, che indica come molti Erectus potessero essere più alti degli uomini moderni. Ad eccezione del teschio, lo scheletro è molto simile a quello di un ragazzo moderno, seppur con piccole differenze. Dai rilievi sui reperti sembra che Homo ergaster fosse carnivoro, a differenza degli altri ominidi e inoltre, insieme alle altre due varianti Homo erectus e Homo heidelbergensis, fosse in grado di articolare il linguaggio. Inizialmente si riteneva che questa capacità fosse limitata ad un'articolazione molto primitiva di suoni, a causa del restringimento delle vertebre cervicali che appariva dai fossili del "Turkana boy", ma uno studio più accurato ha rivelato che quell'individuo specifico aveva sofferto dell'arresto, durante lo sviluppo, delle vertebre cervicali, disfunzione che gli aveva pertanto ridotto la capacità respiratoria e di conseguenza anche la capacità di articolare i suoni. Il recente ritrovamento di una vertebra di H. ergaster normale a Dmanisi in Georgia, confrontata con quella del Turkana boy, ha dimostrato che le dimensioni delle vertebre cervicali sono paragonabili a quelle dell'uomo moderno, senza quindi restrizioni alla possibilità di articolazione dei suoni. È comunemente accettato che già l'Homo habilis avesse una significativa capacità di comunicazione, anche se il suo osso ioide e la struttura delle sue orecchie non erano in grado di supportare un linguaggio parlato e che l' H. ergaster avesse una forma più avanzata di neurologia comunicativa. È pertanto plausibile che, inieme alle altre due varianti Homo erectus e Homo heidelbergensis, avesse raggiunto la capacità di gestire una forma di linguaggio e ottenere un notevole balzo in avanti delle capacità cognitive. Secondo alcuni questo fenomeno era più eccentuato nei maschi che nelle femmine, soprattutto riguardo al senso dell'orientamento, alla capacità di ricordare luoghi o la posizione degli oggetti. Prima dei ritrovamenti dei siti con i resti degli ergaster in Kenya, i ritrovamenti di resti degli ominidi più antichi conosciuti erano quelli dell'uomo di Giava.

Ubicazione di Dmanisi, in Georgia.
1.800.000 anni fa - Homo georgicus è il nome proposto nel 2002 per descrivere una specie ominide di cui sono stati ritrovati un cranio fossile e una mandibola a Dmanisi, in Georgia, nel 1999 e nel 2001, anno in cui è stato ritrovato anche uno scheletro parziale. Questa specie sembra intermedia tra Homo habilis e Homo erectus. I fossili, che hanno un'età di circa 1,8 milioni di anni, sono stati scoperti dallo studioso georgiano David Lordkipanidze, che faceva parte di un  gruppo di ricerca e nelle loro vicinanze sono stati trovati anche utensili e ossa di animali. Gli studiosi pensarono dapprima che la mandibola e il cranio potessero appartenere a Homo ergaster, ma le notevoli differenze delle loro dimensioni con altri reperti di ergaster, li convinsero ad attribuirli ad una nuova specie, definita Homo georgicus, discendente da Homo habilis e antenata dell'asiatico Homo erectus.
Ricostruzione di H. georgicus, foto di
Cicero Moraes et alii (Luca Bezzi,
Nicola Carrara, Telmo Pievani) http://
Il cranio D2700, della capacità di 600 cm³ e datato a 1,8 milioni di anni fa, si è rivelato il più piccolo e il più primitivo tra quelli ritrovati fino ad allora al di fuori dell'Africa, dove le due diverse specie di ominidi, Australopithecus e il genere Homo, rappresentano due percorsi evolutivi distinti a partire da un comune antenato. Il reperto georgiano, la cui capacità cranica è all'incirca la metà di quella di Homo sapiens, è stato considerato il reperto più piccolo fino alla scoperta di Homo floresiensis avvenuta nell'isola indonesiana di Flores nel 2003, una specie di ominidi diffusa nell’isola in un periodo compreso tra circa 190.000 e 54.000 anni fa, con alcuni resti che sembrano risalenti addirittura a 12.000 anni fa. I ricercatori hanno concluso che le origini di H. floresiensis risalgono all'epoca di Homo habilis, fino a circa 1,75 milioni di anni fa e secondo loro gli "Hobbit di Flores" (viste le loro piccole dimensioni, alti poco più di un metro e con una capacità cranica di soli 380 cm³, inferiore non solo rispetto ai loro contemporanei ma anche a tutti gli ominidi conosciuti che abbiano preceduto l'Homo sapiens, compresi gli scimpanzé e i gorilla), sarebbero discendenti di un antenato in comune con il più antico membro del genere Homo, che per i detrattori del genere umano dall'Africa, implicherebbe un episodio di migrazione fuori dall'Africa avvenuto precocemente nella nostra storia evolutiva, mettendo quindi in dubbio che quell'antenato fosse africano. Nell'Homo georgicus il dimorfismo sessuale è piuttosto accentuato, rivelando tratti primitivi (meno presenti in altre specie europee più evolute come Homo antecessor, Homo heidelbergensis e Homo neanderthalensis), con i maschi considerevolmente più grandi delle femmine. A causa delle scarse conoscenze morfologiche su questa specie, non è stato finora possibile identificare sviluppi successivi. È ancora dibattuta la questione se questi ominidi avessero un grado di intelligenza superiore a quello delle specie antenate, a causa del volume cerebrale ridotto. Homo georgicus potrebbe essere stato il primo ominide a stabilirsi in Europa, 800.000 anni prima di Homo erectus.

Homo habilis, H. erectus, H.
neandertalensis e Homo Sapiens.
- Da 1.800.000 anni fa appare Homo erectus, una specie di ominide estinta appartenente al genere Homo che tra 1,8 e 1,3 milioni di anni fa ha colonizzato il vecchio continente (Asia, Europa e Africa); rimane in dubbio la sua provenienza dall'Africa, infatti c'è chi sostiene che sia una specie autoctona asiatica e che sia poi migrata in Africa. Originariamente venne denominato Pitecantropo e Uomo di Giava mentre alcuni ipotizzano che sia la medesima specie di Homo ergaster, mentre altri che sia una specie prettamente asiatica evolutasi da H. ergaster. La capacità cranica di H. erectus era del 30% superiore a quella di H. ergaster, cioè dagli 813 cm³ ai 1.059 cm³ e si ritiene comunemente che sia stato il primo a lavorare e utilizzare pietre bifacciali e a usare il fuoco. Queste innovazioni gli hanno permesso probabilmente la lavorazione delle pelli e un consumo più elaborato degli alimenti rispetto agli ominidi precedenti. Homo erectus è stato così chiamato poiché si pensava che fosse stato il primo a conquistare la postura eretta, convinzione rivelatasi errata e comunque, presentando uno sviluppo cranico del 30% maggiore dell'ergaster, è fra i primi a sviluppare una superiore tecnologia.
Strumento litico bifacciale
del Paleolitico.
Gli strumenti dell'erectus non sono solamente oggetti che la natura fornisce o poco modificati, ma sono lavorati, modificati e adattati alle necessità con diverse tecniche. In Europa ritrovamenti di utensili bifacciali indicano la presenza di questa tecnica solo 600.000 anni fa, mentre reperti di strumenti bifacciali recuperati in Etiopia vengono datati a molto prima: 1,5 milioni di anni fa. I resti archeologici, principalmente tracce di accampamenti, ci confermano che l'erectus possedette il controllo del fuoco. Questa maggior conoscenza tecnologica e quindi la capacità di adattarsi a diversi ambienti è probabilmente ciò che permetterà all'Erectus di colonizzare nuovi territori con diversi ambienti. Il camminare eretto unito alla vista stereoscopica, che permette di percepire nitidamente la tridimensionalità, dava a Homo Erectus il vantaggio di controllare il territorio circostante dal massimo della sua altezza e di avere a disposizione le mani per gestire utensili e armi di difesa e offesa. Inoltre, era nelle forma di gruppo, nel sociale collettivo, come già fu per l'Homo Habilis, che si aveva la forza e abilità strategica di procurarsi cibo e proteggersi dai predatori. Questa dinamica di gruppo richiedeva quindi una comunicazione verbale articolata e si sviluppava così il linguaggio, che poteva essere articolato per la presenza di organi adatti a produrlo, modularlo e percepirlo.

I 5 siti più antichi
frequentati da ominidi
scoperti dai ricercatori
 dell'Università di
Ferrara, da https://iris.
unife.it/retrieve/e
309ade3-45fb-3969
-e053-3a05fe0a2c
94/113922418448
.pdf
.
1.600.000 anni fa - Alcuni ricercatori  dell’Università degli Studi di Ferrara hanno condotto scavi in vari siti italiani, e le loro scoperte hanno smentito varie teorie come quelle che i primi uomini fossero arrivati in Europa non prima di 4/500.000 anni o che la sequenza delle glaciazioni fosse nel numero di 6, oppure, ancora, che la nostra evoluzione fosse lineare piuttosto che a cespuglio e che il Neanderthal fosse poco evoluto. https://iris.unife.it/retrieve/e309ade3-45fb-3969-e053-3a05fe0a2c94/11
3922418448.pdf. Inoltre la loro metodologia, applicata allo scavo stratigrafico e alla ricerca di laboratorio, con apporti metodologici per le analisi dei materiali e il continuo resettare la cronologia degli eventi antropici e naturali, ha permesso di appurare che il primo popolamento europeo da parte di ominidi si è verificato nei siti di Pirro Nord (Apricena, FG) e di Cà Belvedere di Monte Poggiolo (FC) datati rispettivamente a circa 1,6 - 1,3 milioni di anni su base biocronologica (la correlazione in tempo di eventi biologici che riguardino fossili di esseri viventi con eventi biostratigrafici dovuti alle inversioni del campo magnetico terrestre) e a circa 0,9 milioni di anni con il metodo dell’ESR (risonanza paramagnetica elettronica o risonanza di spin elettronico, EPR o ESR, da Electron Spin Resonance, una tecnica spettroscopica impiegata per individuare e analizzare specie chimiche contenenti uno o più elettroni spaiati, chiamate specie paramagnetiche, come radicali liberi, ioni di metalli di transizione, difetti in cristalli, molecole in stato elettronico di tripletto fondamentale come l'ossigeno molecolare o indotto per fotoeccitazione), permettono di estrapolare importanti considerazioni inerenti il comportamento tecnico dei primi europei che risulta essere basato su catene operative relativamente corte e profondamente influenzato dalla morfologia di partenza della materia prima sfruttata. I ciottoli di selce, sempre di origine locale e raccolti in posizione secondaria sia a Pirro Nord che a Cà Belvedere di Monte Poggiolo, sono stati sfruttati principalmente con una modalità opportunista e più raramente con un débitage (caricamento) centripeto. Quest’ultimo è particolarmente caratteristico a Pirro Nord dove è stata messa in evidenza una forte tendenza alla standardizzazione dei prodotti provenienti da un débitage (caricamento) centripeto che sono quasi sempre caratterizzati dalla presenza di un dorso e di una punta déjeté (gettati via). Il comportamento tecnico osservato per i due siti sembra inserirsi perfettamente nel quadro delle più antiche produzioni litiche europee e trova moltissime affinità anche con i più antichi siti africani di Modo 1. La principale differenza con gli altri contesti risiede nell’assenza di façonnage (modellaggio) da spiegarsi probabilmente in funzione del tipo di occupazione del sito e delle caratteristiche della materia prima. 
(M. Arzarello & C. Peretto / Annali dell’università di Ferrara, Mus.Sci. Nat. Volume 10/2-2014)
PIRRO NORD (APRICENA, FG) di Marta Arzarello, Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici. Il sito di Pirro Nord rappresenta la prima evidenza dell’arrivo dell’Uomo in Europa all'incirca 1,6-1,3 milioni di anni fa. Il sito si trova all’interno di una fessura carsica del bacino estrattivo di Apricena-Poggio Imperiale (Cave Dell’Erba) nel comune di Apricena, in provincia di Foggia. I reperti litici, associati a faune del Villafranchiano finale (unità faunistica di Pirro Nord), sono stati rinvenuti all'interno di una fessura riempita da sedimenti del Pleistocene inferiore. I reperti litici hanno permesso di definire quelle che sono state le strategie di sussistenza adottate dai primi uomini che hanno colonizzato l’Europa: catene operative corte, su materie prime di origine locale (essenzialmente selce), finalizzate principalmente all’ottenimento di schegge.
Il deposito - La fessura (Pirro 13) in cui sono state trovate le ossa e le pietre scheggiate si è formata nel Miocene, più di 5 milioni di anni fa. La formazione della fessura all'interno del calcare di Apricena è stata dovuta all'erosione dell'acqua che ha formato un reticolo di grotte sotterranee molto esteso. I sedimenti e le rocce che hanno riempito la fessura sono confluiti al suo interno all'incirca 1,5 milioni di anni fa. Assieme ai sedimenti, trasportati dall'acqua, sono arrivate anche le pietre scheggiate e le ossa che probabilmente si trovavano in superficie a poca distanza dalla fessura.
La prima fase del riempimento ha visto la messa in posto di grossi blocchi di calcare e, successivamente, gli spazi tra questi blocchi sono stati riempiti da sedimenti composti sia da argille che da sabbie (Arzarello et al., 2007; Pavia et al., 2012; Giusti & Arzarello, 2016). Le ossa e le pietre scheggiate ritrovate all'interno della fessura Pirro 13 sono un insieme omogeneo, ovvero vengono considerate come accumulatesi tutte assieme e velocemente all'interno della fessura. Alcune delle ossa provengono dal luogo in cui l’uomo abitava e produceva gli strumenti in pietra, altre provengono da più lontano e non sono associate alle attività umane. Le analisi tafonomiche condotte sulle ossa e sulle industrie litiche, hanno permesso di confermare ulteriormente la formazione dell’accumulo in quanto la storia delle alterazioni (deposito di ossidi fi Fe-Mn, abrasione, ecc) è uguale sia sulle ossa che sulle industrie litiche (Arzarello et al., 2012; Cheheb et al., 2019).
I vertebrati fossili - Il sito di Pirro Nord è conosciuto da numerosi anni per l’importante associazione a vertebrati composta da 20 specie di anfibi e rettili47 specie di uccelli e più di 40 specie di mammiferi. La fauna a grandi mammiferi è stata attribuita al Villafranchiano superiore finale (Unità Faunistica di Pirro Nord) ed è caratterizzata da un elevato numero di specie di carnivori, tra i quali vale la pena ricordare la grande iena Pachycrocuta brevirostris, la tigre dai denti a sciabola Homotherium crenatidens, una forma arcaica di lupo (Canis mosbachensis) e il ghepardo gigante Acinonyx pardinensis. Sono inoltre presenti resti del grande istrice Hystrix refossa e, tra gli ungulati, è presente in grande numero il cervide Pseudodama farnetensis mentre compaiono per la prima volta una forma di bisonte Bison (Eobison) degiulii e di cavallo Equus altidens. Tra i piccoli mammiferi sono presenti gli insettivori Asoricolus gibberodon e Talpa minor mentre tra i roditori si segnalano Apodemus flavicollis e Muscardinus sp. L’unico arvicolide presente è Allophaiomys ruffoi che ha permesso, assieme al confronto con le altre faune europee, di collocare Pirro Nord alla fine del Bihariano inferiore, un’età biocronologica europea del Pleistocene inferiore, più precisamente in un range cronologico tra 1,6 e 1,3 milioni di anni fa. In Europa le più antiche evidenze di industria litica associate a reperti faunistici sono quelle di Barranco Leon 5, Fuente Nueva 3 e Atapuerca Trinchera Elefante. Anche questi siti sono riferibili alla fine del Bihariano inferiore, ma la presenza di Allophaiomys lavocati indica, per queste località, un’età leggermente più giovane di quella di Pirro Nord (1,2 - 1,1 milioni di anni fa). (Arzarello et al., 2009; Pavia et al., 2012; Blain et al., 2016; Arzarello & Peretto, 2017).
Le industrie litiche - L’insieme litico proveniente dalla fessura P13 è ad oggi composto, ad oggi, da oltre 400 pezzi costituiti da nuclei e schegge (Arzarello et al., 2015; 2016; Arzarello & Peretto, 2017). La materia prima sfruttata per la produzione di schegge è unicamente costituita da selce proveniente delle formazioni cretacee del Gargano. La materia prima è stata raccolta sempre in posizione secondaria sotto forma di ciottoli di piccole e, più raramente, medio-grandi dimensioni. Si tratta di selce di buona qualità che risponde bene alla scheggiatura ad eccezione di alcuni rari casi in cui sono stati scelti dei ciottoli con delle fratturazioni interne ricementate. Questi ultimi sono stati sfruttati in modo meno intenso e lasciano supporre che la quantità di materia prima di buona qualità disponibile nelle vicinanze del sito non fosse particolarmente abbondante. Sebbene l’insieme litico non sia particolarmente abbondante e non sia stato rinvenuto direttamente nel contesto abitativo, è comunque possibile arrivare ad alcune importanti considerazioni d’ordine tecnologico che possono contribuire alla caratterizzazione dei primi complessi litici europei. La catena operativa, come ovvio visto la tipologia dell’accumulo, non è totalmente completa ma le fondamentali tappe ne sono rappresentate. La fase di decorticazione è rappresentata da schegge, di dimensioni generalmente superiori alla media, a cortice laterale o distale. Risultano, invece, assenti le prime fasi della decorticazione in quanto non sono presenti schegge a cortice totale. La fase di produzione è avvenuta secondo due modalità differenti a seconda della morfologia di partenza della materia prima: i ciottoli di piccole dimensioni (max 50 mm di diametro) sono stati sfruttati con una modalità centripeta che ha portato alla produzione di schegge con una morfologia triangolare o quadrangolare. 
La tecnica di percussione utilizzata è sempre quella della percussione diretta alla pietra dura anche se è possibile ipotizzare che l’apertura dei ciottoli avvenisse per percussione bipolare su incudine. I piani di percussione non sono mai preparati e i talloni sono per la maggior parte naturali o, più raramente lisci. Lo sfruttamento dei ciottoli di piccole dimensioni può essere considerato esaustivo in quanto i nuclei vengono abbandonati sotto forma di dimensioni estremamente ridotte che non avrebbero permesso la produzione di schegge funzionali di dimensioni ragionevoli. Da sottolineare la presenza di numerose schegge triangolari déjeté presentanti un debordamento laterale corticale. Questo tipo di prodotto è sicuramente tipico di un débitage centripeto e potrebbe essere quindi casuale, ma la loro abbondanza lascia presupporre che si tratti, invece, di specifici prodotti ricercati. I ciottoli di medio-grandi dimensioni, invece, sono stati sfruttati tramite l’utilizzo di più piani di percussione ortogonali tra loro via via creatisi con l’avanzamento del débitage. Questo tipo di produzione, anch'essa avvenuta per percussione diretta alla pietra dura, ha portato essenzialmente alla produzione di schegge di morfologia rettangolare o trapezoidale. Lo sfruttamento della materia prima non sembra essere esaustivo e i nuclei sono stati abbandonati prima del totale sfruttamento senza ragioni evidenti se non quella che potrebbe essere legata alla volontà di ottenere dei prodotti funzionali con delle dimensioni precise. Altri prodotti della scheggiatura sono stati trovati nelle fessure di P10 e P21. Nella fessura P10 sono state rinvenute 2 schegge provenienti dallo sterro e per il momento non sono ancora stati rinvenuti elementi litici provenienti dallo scavo sistematico cominciato nel 2007.

Ricostruzione di H. antecessor
di circa 10 anni, da https://ww
w.agi.it/scienza/news/2020-
04-03/genealogia-homo-
antecessor-8151979/#
1.200.000 anni fa - L'Homo antecessor è una specie estinta di ominide databile tra 1,2 milioni e 800.000 anni fa, scoperta da Eudald Carbonell, Juan Luis Arsuaga e José María Bermúdez de Castro ad Atapuerca, che hanno proposto come nuova specie nel 1997. L'H. antecessor è uno dei primi ominidi europei, considerato una fase intermedia tra l'Homo georgicus e l'Homo heidelbergensis. Il reperto fossile meglio conservato è una mascella appartenuta ad un individuo di circa 10 anni e ritrovata ad Atapuerca in Spagna. La capacità cranica era di circa 1.000 cm³ e le misurazioni palaeomagnetiche indicano un'età superiore ai 780-857.000 anni. Nel 1994 e 1995 nel sito di Atapuerca sono stati rinvenuti circa 80 frammenti appartenenti a sei individui di questa specie. Dai segni di incisioni e scheggiature riportati sulle ossa, indizi di un loro uso come utensili, è stato dimostrato che H. antecessor praticasse il cannibalismo. Sono state inoltre recuperate informazioni genetiche da fossili di H. antecessor di circa 800mila anni fa, le più antiche mai sequenziate: "Le analisi hanno dimostrato una stretta correlazione tra questa specie e umani moderni, Neanderthal e Denisoviani", spiega Frido Welker dell'Università di Copenaghen. Il team ha utilizzato una tecnica nota come spettrometria di massa per ricostruire le sequenze di Dna dallo smalto dentale e determinare la posizione di questa specie nella storia della nostra evoluzione. "I lignaggi umani e scimmieschi si sono separati tra i 7 e i 9 milioni di anni fa, ma gran parte di ciò che sappiamo oggi si basa sullo studio del Dna antico e sulle osservazioni della forma e della struttura fisica dei fossili rinvenuti", prosegue il ricercatore, specificando però che la degradazione degli acidi proteici non ha consentito ricostruzioni di materiale genetico antecedente a 400mila anni fa. "Grazie alla paleoproteomica, una nuova tecnica di indagine, è ora possibile superare questo limite", osserva Enrico Cappellini, docente presso l'Università di Copenaghen.

Da 1.200.000 a 900.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Günz, la prima glaciazione avvenuta in Europa, che ebbe luogo nel Pleistocene, il primo periodo dell'era Quaternaria, in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.

C'è chi pensa che gruppi di Homo
Erectus siano migrati a nord
dall'Africa, 1.000.000 di anni fa.
1.000.000 di anni fa - Secondo i sostenitori della derivazione del genere Homo nel vecchio continente dall'Homo erectus africano, un milione di anni fa sarebbe iniziato il processo Out-of-Africa, per cui gruppi di H. erectus avrebbero cercato nuovi territori o li avrebbero trovati inseguendo delle prede o cercando piante commestibili, a nord-est, nei pressi della foce del Nilo, lì dove l'Africa è connessa all'Asia e alla via per l'Europa. Secondo alcuni, fra cui io stesso, è anche plausibile che a quei tempi si potesse attraversare agevolmente lo stretto di Gibilterra,  visto che i livelli dei mari erano particolarmente bassi, a causa delle glaciazioni.
Carta con l'ipotetica diffusione
del genere umano dall'Africa al
resto del mondo.
Per questo stesso fenomeno, con i ghiacci particolarmente estesi, flora, fauna e persone hanno avuto la possibilità di attraversare lo stretto di Bering per giungere nelle Americhe. Il processo Out-of-Africa (letteralmente: fuoriuscita dall'Africa) è stato il primo processo migratorio riconosciuto da molti, che hanno sostenuto come  dovuto al successo dei primi ominidi africani, che avrebbero così potuto  espandersi in ambienti privi di competitori, quindi particolarmente vantaggiosi. Si è sostenuto inoltre che Homo Erectus, di provenienza africana, colonizzando ad ondate successive l'Eurasia, abbia potuto adattarsi alle diverse condizioni ambientali, differenziandosi quindi nelle specie Homo Heidelbergensis e successivamente Homo Neanderthalensis, che aveva caratteristiche carnivore e di cui si dibatte ancora in merito all'epoca della sua totale estinzione, stimata intorno a 28.000/22.000 anni fa. D'altra parte, già da tempo, la generica definizione di Homo ergaster è data a fossili a cui ci si può riferire più specificamente coi termini Homo erectus o Homo heidelbergensis, con l'intendimento di attribuire a Homo ergaster una derivazione propriamente africana, mentre con il termine di Homo erectus ci si può riferire a reperti  asiatici. Homo heidelbergensis è considerata generalmente una specie separata, in base alle diverse dimensioni del cervello e alla struttura fisica più robusta, ma volendola definire di discendenza africana, la si nomina come Homo ergaster. D'altra parte, l'apparizione dell'uomo di Denisova sulla scena dei ritrovamenti archeologici e le sequenze mitocondriali sui suoi reperti, ha scompaginato l'ordine degli eventi che si supponeva fossero avvenuti. Questo esemplare di ominide è vissuto in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa in aree popolate principalmente da sapiens e in parte da neanderthal; ciononostante, la sua origine e la sua migrazione apparirebbero distinte da quelle delle altre due specie, e il mtDNA del Denisova risulterebbe differente dai mtDNA di H. neanderthalensis e H. sapiens. L'uomo di Denisova è strettamente imparentato con l'uomo di Neanderthal: le due specie si sarebbero separate circa 300.000 anni or sono. L'analisi del mtDNA ha inoltre suggerito che questa nuova specie di ominidi sia il risultato di una migrazione precoce dall'Africa, distinta da quella successiva, associata a uomini di Neanderthal e umani moderni, ma anche distinta dal precedente esodo africano di Homo erectus. Pääbo ha rilevato che l'esistenza di questo ramo lontano, crea un quadro molto più complesso del genere umano nel tardo Pleistocene. Studi genetici indicano che approssimativamente il 4% del DNA dell'Homo sapiens non africano è lo stesso trovato nell'Homo neanderthalensis, suggerendo un'origine comune ed è verosimile ipotizzare un'ibridazione tra Homo di Denisova e Homo sapiens, che ha interessato le popolazioni del sud-est asiatico antico e quelle, loro dirette discendenti, australiane. L'apporto genetico denisoviano alle altre popolazioni asiatiche è limitato e, come in quelle europee e amerindie, deriva in buona parte dall'ibridazione, avvenuta in precedenza, con i Neanderthal (che a loro volta si erano ibridati con i Denisova). Il sequenziamento del genoma estratto dalla falange ritrovata nel 2008 a Denisova (in Siberia meridionale) ha permesso di definire che il soggetto esaminato, una femmina, avesse carnagione scura con occhi e capelli castani. Dalle ultime analisi del mtDNA e del DNA nucleare risulta che l'Uomo di Denisova si sarebbe separato dal comune antenato di Neanderthal e uomo moderno circa 1.000.000 di anni fa e che in seguito si sarebbe incrociato con l'Homo sapiens progenitore dei moderni abitanti della Papua Nuova Guinea, con i quali condivide il 4-6% del genoma; provando così (come già con l'uomo di Neanderthal) l'Ipotesi multiregionale di interscambio genetico tra antichi e moderni Homo sapiens. Nello stesso studio del 2010, gli autori hanno effettuato l'isolamento e il sequenziamento del DNA nucleare dell'osso del dito del Denisova. Questo esemplare ha mostrato un insolito grado di conservazione del DNA e un basso livello di contaminazione. Sono stati in grado di raggiungere quasi il completo sequenziamento genomico, consentendo un confronto dettagliato con i Neanderthal e gli umani moderni. Da questa analisi hanno concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza mitocondriale, che gli uomini di Denisova e i Neanderthal hanno condiviso un ramo comune ancestrale che porta ai moderni esseri umani africani. Il tempo medio stimato di divergenza tra le sequenze dei denisoviani e dei Neanderthal è di circa 640.000 anni fa, mentre il tempo di divergenza tra le sequenze di ciascuno di essi e le sequenze degli africani moderni è di 804.000 anni fa. Ciò suggerisce che la divergenza dei risultati mitocondriali del Denisova derivi o dalla persistenza di un lignaggio epurato dagli altri rami attraverso deriva genetica oppure da un'introgressione di un lignaggio di un ominide più arcaico. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis (probabile antenato del neanterthaliensis) di 400.000 anni fa, proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella dei Denisova.

Il sito n.2 è Ca' Belvedere
di Monte Poggiolo (FC).
- A 1.000.000 di anni fa risalgono i reperti ritrovati dai ricercatori dell'Università di Ferrara nel sito di CA’ BELVEDERE DI MONTE POGGIOLO (FORLÌ-CESENA), sito descritto da Carlo Peretto dell'Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici. https://iris.unife.it/retrieve/e309ade3-45fb-3969-e053-3a05fe0a2c94
/113922418448.pdf. La scoperta del sito nel 1983 si deve ad un gruppo di appassionati che a partire dagli anni Ottanta iniziò a collaborare col sottoscritto allo studio dei materiali paleolitici dell’Appennino forlivese e faentino. La collaborazione, in particolare con i Dott. Alberto e Aldo Antoniazzi, Luisa Fontana e Franco Proli, portò alla stesura di numerose pubblicazioni scientifiche, cataloghi e allestimenti di mostre tematiche. L’apporto e la collaborazione della Dott.ssa Luciana Prati, curatrice del Museo Archeologico di Forlì, fu fondamentale per il buon fine delle iniziative. Il sito di di Ca’ Belvedere a circa 180 metri s.l.m. è ubicato sul versante nord della collina di Monte Poggiolo (un rilievo cupoliforme fra Forlì e Castrocaro, al termine dello spartiacque tra il fiume Montone e il rio Petrignone) poco distante dal castello mediceo posto sulla sommità del colle. 
La stratigrafia La geologia locale è caratterizzata da una serie sedimentaria del Pleistocene inferiore con alla base le “argille azzurre” a Arctica Islandica et Hyalinea baltica (Amore et al., 1996; Antoniazzi & Peretto, 1998; Antoniazzi et al. 1988, 1992; Peretto, 1992, 1997; Peretto et al., 1998). Su di esse si impostano i sedimenti costieri di Monte Poggiolo e lateralmente verso N-O le “sabbie gialle” litorali (Monte Vescovado, Castiglione, S. Biagio) alterate da un paleosuolo attribuito al Pleistocene medio. Sono stati riscontrati fenomeni neotettonici che hanno determinato il dislocamento dei depositi, anche di quelli contenenti l’industria litica. 
Lo scavo, iniziato nel 1984, ha posto in luce sedimenti caratterizzati da una alternanza di sabbie e limi che includono ghiaie di grandezze variabili; in tutti i livelli si rinviene l’industria litica che si caratterizza per la freschezza e i numerosi rimontaggi. Il deposito è moderatamente deformato dalle vicissitudini tettoniche e pende leggermente verso valle. L’industria litica è presente nei livelli esplorati dal 101 al 118, anche se meno frequente nel livello 116 e verso il basso. 
I reperti hanno un aspetto fresco, bordi ben conservati e privi di pseudoritocchi; talvolta sono leggermente patinati.
La cronologia - Le indagini paleomagnetiche consentono di confermare l’alta antichità dei livelli con l’industria litica, attribuiti al Pleistocene inferiore. Le analisi hanno interessato differenti formazioni, come ad esempio la “Sabbie Gialle” di Monte Vescovado oltre ai livelli di Monte Poggiolo contenenti reperti litici, rivelando la presenza di un componente inversa del campo geomagnetico fossile. 
Il confronto dei dati magnetici con i risultati interdisciplinari e la lettura critica dei dati disponibili di ordine stratigrafico, ha portato all'attribuzione di queste formazioni alla fase geomagnetica di Matuyama. Il giacimento paleolitico si pone quindi in una forbice tra 1,4 milioni di anni (comparsa di Hyalinaea balthica nelle “argille azzurre”) e 780.000 anni (data del limite Brunhes-Matuyama). Questi risultati sono stati confermati dalla datazione ESR effettuata dal laboratorio di geocronologia dell'Institut de Paléontologie Humaine di Parigi, che colloca queste formazioni nella seconda metà del Pleistocene inferiore (Gagnepain et al., 1995, 1998; Peretto et al., 1997). L’attribuzione è stata ulteriormente comprovata da recenti analisi (Muttoni et al., 2011). La datazione ESR, detta anche EPR, risonanza paragnetica elettronica, misura la dose di radiazione nucleare ricevuta dal campione alla stessa stregua della TL, anche se la terminologia è storicamente diversa. Per la TL (tipo di datazione radiometrica basata sulla termoluminescenza del materiale da datare) si usa di solito parlare di PALEODOSE, mentre per la ESR si parla di dose accumulata, AD, o dose totale, TD. Anche in questo caso l’età è data dal rapporto tra la dose accumulata e la dose annuale: età =(dose accumulata)/ (dose annuale). Anche per l’ESR il tempo zero corrisponde al momento della crescita del cristallo. 
Il paleoambiente e lo studio paleontologico - La ricostruzione del paleoambiente conferma che i sedimenti si sono depositati in successione all’interno di una rete di canali anastomizzati di natura fluviale. Le modalità sedimentarie giustificano l’eccellente conservazione dei reperti litici sulla base del rapido cambiamento dei canali successivamente ricoperti da nuovi sedimenti che si depositano in situazioni del tutto simili in altri contesti. La sequenza delle argille marine denota la dominanza delle essenze arboree (Messager et al., 2011), in particolare delle conifere come Pinus tipo silvestris o diploxylon col 41%. Si annoverano specie relitte quali Credrus, Scadopitys, Tsuga, Carya e Pterocarya che confermano l’appartenenza delle argille al Pleistocene inferiore e il deterioramento climatico verso condizioni meno temperate e meno umide. L’ambiente connesso col deposito antropico riporta un ambiente freddo con dominanza delle specie erbacee, con elementi anche steppici; tra le arboree sono presenti pini e abeti. Il riempimento di fessure dovute alla neotettonica è riconducibile, su base palinologica, all’ultima glaciazione würmiana (Cattani, 1992). Lo studio paleontologico (foraminiferi, ostracodi, molluschi e nannofossili) dei depositi delle “argille azzurre” e della formazione “sabbie gialle” dimostrano un ambiente caratterizzato da una successione del piano infralitorale a batimetria ridotta, con influenze di acqua dolce e salmastra. Si tratta di ambienti umidi costieri con la parte sommitale caratterizzare dall’apporto fluviale di materiali continentali più grossolani che contengono una certa quantità ciottoli di selce poi lavorati dall’uomo preistorico sulle antiche spiagge del mare padano. Gli apporti continentali si caratterizzano pertanto da gasteropodi polmonati con forme igrofile ad ampia distribuzione geografica. Si sottolinea la presenza di Cochlodina laminata, una specie montana che indicherebbe un clima temperato fresco (Monegatti et al, 1992).
L’industria litica - L’uomo ha lavorato ciottoli di selce di medie e piccole dimensioni, per lo più caratterizzati da una matrice composta da silice microcristallina e/o criptocristallina che includono microfossili e rocce bioclastiche più o meno silicizzate. Rari esempi presentano evidenti laminazioni non omogenee. Le caratteristiche tecno-tipologiche dell'industria litica, provenienti sia da raccolte di superficie sia da scavi stratigrafici, sono state oggetto di specifici studi (Antoniazzi et al., 1993; Bisi et al., 1994; Peretto, 1992). I reperti raccolti in deposizione primaria sono distribuiti lungo l'intera serie stratigrafica, con frequenze massime nei livelli 103, 105 e 111. Il livello 106 è quasi completamente privo di materiali. L'industria è molto ben conservata; i materiali hanno spesso incrostazioni superficiali di origine carbonatica e più raramente di ferro e manganese. In alcuni casi, hanno una leggera patina superficiale non omogenea, che lascia trasparire sempre il colore originale dalla selce. Da un punto di vista tecno-tipologico, l'industria litica appare omogenea lungo l'intera serie stratigrafica, sviluppandosi su diversi metri di spessore. L'analisi dei reperti, effettuata separatamente in relazione alla loro provenienza stratigrafica, ha confermato la loro sostanziale identità. 
Riteniamo che questo fenomeno sia principalmente legato all'accumulo molto rapido dei sedimenti riconducibile al modello deposizionale di canali anastomizzati. Per questo motivo, l'industria litica di Monte Poggiolo viene descritta nel suo insieme, principalmente utilizzando le informazioni dallo studio dei materiali raccolti in deposizione primaria. Lo scavo ha scoperto un totale di 1319 manufatti, di cui 1166 rappresentati da schegge e 153 da ciottoli lavorati, la maggior parte dei quali caratterizzati da distacchi unidirezionali o alterni. Non esiste una relazione evidente tra la qualità della selce e l'intensità dello sfruttamento dei ciottoli. Sembra, sostanzialmente che sia stata lavorata l'intera gamma dei possibili materiali silicei, anche di quelli interessati da piani naturali latenti di frattura. Gli strumenti ritoccati sono molto rari, del tutto occasionali; ricordiamo, in particolare, i raschiatoi laterali e alcuni denticolati, con ritocco sia semplice che scalariforme, nella maggior parte dei casi profondi e convessi. Nel complesso sono molto difficili da inquadrare, dato il loro aspetto grossolano e sommario. In quasi tutti i casi, i reperti non vengono ritoccati e il 48,7% è intero. La superficie dorsale è spesso parzialmente o interamente corticata. Si sottolinea l'elevato numero di calotte (12,6%), la cui presenza è strettamente legata all'impiego nella scheggiatura di ciottoli di selce, oltre alla necessità di ottenere piani di percussione lisci e piatti.
I coltelli con dorso naturale sono abbastanza comuni (13,6%). Tra i talloni determinabili, i più frequenti sono quelli lisci (45,1%), seguiti dai naturali (30,3%); il diedro (8,9%) e il lineare (9,4%) sono meno frequenti; le sfaccettature sono rare (3,1%). Ricordiamo la presenza di un certo numero di frammenti riflessi (5,8%), mentre i frammenti sorpassati sono quasi assenti. Ci sono alcuni esemplari con discontinuità angolare longitudinale ed altri che rientrano nell’ambito degli incidenti di Siret. Questi oggetti sono strettamente legati all’impiego di una tecnica di distacco opportunistica, eseguita con colpi molto violenti inflitti sulla superficie del nucleo. A sostegno di questa ipotesi, si sottolinea la presenza di bulbi con discontinuità trasversale angolare e molte schegge che si sono frammentate durante il distacco (rilevato in particolare con lo studio dei rimontaggi). Questi aspetti tipologici devono anche essere attribuiti alla violenza dei colpi inferti sul nucleo nel tentativo di distaccare i manufatti. Lo studio dell'industria, l’analisi particolareggiata dei numerosi rimontaggi  e la sperimentazione consentono di tracciare un dettagliato schema del processo di lavorazione dei ciottoli. Ciò che maggiormente sorprende è la sostanziale standardizzazione della chaîne operatoire documentabile sia sui ciottoli che presentano pochi distacchi, sia su quelli maggiormente sfruttati. 
Un unico filo conduttore unisce i ciottoli scheggiati tanto da poterli raggruppare nel modo seguente: 
a) Ciottoli caratterizzati dal distacco unidirezionale di una o più schegge da piano di distacco naturale corticato. In genere il colpo, con direzione più o meno inclinata rispetto all’asse maggiore del ciottolo, è inferto ad una delle sue estremità, preferibilmente là dove morfologie naturali e particolari rapporti angolari inducono a ritenere maggiore la possibilità del distacco di schegge. In questi casi i talloni sono naturali e le schegge si presentano più o meno corticate. I ciottoli così lavorati possono rientrare tra i nuclei a piano di percussione naturale a stacchi unidirezionale; quando l'angolo del "tranciante" è acuto, morfologicamente ricordano i choppers (con il termine chopper si intende un tipo di utensile usato dai primi ominidi tra la fine del Terziario e l'inizio del Quaternario, alla base della definizione della tecnologia olduvaiana);
b) Ciottoli caratterizzati da stacchi alterni. Le schegge così ottenute sono il più delle volte parzialmente o totalmente corticate e presentano sovente tallone liscio o diedro; i nuclei per la loro morfologia ricordano i chopping-tools (strumenti in pietra per tagliare); 
c) Ciottoli caratterizzati dall’asportazione di una calotta ad una delle estremità e da distacchi unidirezionali; si ottiene così un piano di percussione liscio dal quale successivamente è possibile distaccare schegge ad andamento unidirezionale parallele all’asse maggiore del ciottolo. I prodotti così ottenuti sono schegge, fra cui anche calotte e spicchi, e nuclei ad un piano di percussione liscio a stacchi unidirezionali; 
d) Ciottoli caratterizzati da un intenso sfruttamento. Sono pochi gli esempi di uno sfruttamento molto intenso dei ciottoli. In questi casi i rimontaggi hanno evidenziato come le fasi successive dello sfruttamento non siano altro che la somma di quanto sopra esposto. Si inizia col distacco di una o più schegge (anche calotte) formando un piano di percussione liscio-piano utilizzato per il distacco di altre schegge il più delle volte ad andamento unidirezionale. Lo sfruttamento del ciottolo avviene anche tramite l'abbassamento del piano di percussione e con la produzione spesso di schegge di piccole dimensioni. La lavorazione viene interrotta in seguito ad errori di taglio che comportano la produzione di schegge riflesse (perdita dell’andamento a carena della faccia di distacco delle schegge) o la frattura del nucleo. Rari sono comunque i casi di uno sfruttamento estremo del nucleo. 
I prodotti ottenuti sono calotte, schegge corticate, spicchi, schegge decorticate anche di piccole dimensioni, nuclei di varia natura.
Lo studio delle usure consente di affermare che soltanto le schegge portano evidenti tracce di utilizzazione. Questa indagine, condotta praticamente in modo sistematico sui manufatti dell’industria, toglie ogni dubbio sul significato dei ciottoli a stacchi unidirezionali e alterni: non si tratta di chopper e chopping-tools, ma soltanto di nuclei, oggetti quindi dai quali venivano distaccate schegge, manufatti a margini taglienti effettivamente impiegati nelle attività quotidiane. 
Si può quindi affermare che l’industria di Monte Poggiolo sia il risultato di una tecnologia litica semplice quanto opportunistica, caratterizzata da una serie di interventi successivi, che comunque non si esprime che in rari casi in tutti i suoi passaggi sullo stesso nucleo, ma che al contrario, in modo del tutto occasionale, si ferma a stadi differenti di sfruttamento. Il primo popolamento umano della valle Padana in cui si trova Monte Poggiolo non è stato un fenomeno sporadico. Infatti situazioni del tutto analoghe a quella di Ca’ Belvedere di Monte Poggiolo (la n.2 nella carta) sono state accertate in molti altri giacimenti posti lungo tutto il margine del Pedeappennino padano (Cremaschi & Peretto, 1988; Farabegoli et al., 1996; Lenzi & Nenzioni, 1996; Peretto, 1991, 1995). Sono molte decine ormai le località dell’Emilia Romagna che hanno restituito in analoghe posizioni stratigrafiche e cronologiche industrie arcaiche. Si tratta, tra gli altri, dei giacimenti di Bel Poggio (Fontana & Peretto, 1996), Romanina Bianca, la n.4 nella carta (Farabegoli et al., 1996),  Serra (Antoniazzi et al., 1998), Covignano, la n.3 nella carta (Antoniazzi et al., 1998). Le industrie di questi siti, raccolte anche durante scavi sistematici, presentano identiche caratteristiche tecniche e tipologiche e sono tra loro perfettamente comparabili.

Ubicazione della grotta di Vallonnet.
950.000 anni fa - Affluiscono in Europa alcuni antichi gruppi del genere Homo Erectus. Non se ne conosce l'itinerario seguito, che non è detto che fosse uno solo o lo stesso per tutti i gruppi; inoltre le varie glaciazioni che si sono susseguite nelle ere geologiche, le diverse conformazioni delle placche tettoniche e il diverso livello dei mari, hanno proposto vie e percorsi che oggi potrebbero non esistere più. Uno fra i più antichi siti archeologici europei riguardanti l'Homo Erectus è la grotta del Vallonnet in Costa Azzurra, databile tra i 950.000 e i 900.000 anni fa. In questa grotta sono stati trovati strumenti in pietra e anche schegge lavorate in osso che costituiscono i resti più antichi di strumenti preistorici in Europa. Non sono ancora presenti strumenti bifacciali. La grotta di Vallonet, appena varcato il confine fra Francia e Italia sulla Costa Azzurra, a Roquebrune-Cap-Martin, da Mentone verso il principato di Monaco, è uno dei più antichi abitati in grotta d'Europa. Lo studio delle faune rinvenute nei sedimenti archeologici (in particolare resti di elefanti, ippopotami, bovidi, cervidi, suidi) ha permesso di attribuire al giacimento un'età compresa fra 1,3 e 0,7 milioni di anni mentre lo studio del paleomagnetismo del riempimento della grotta la colloca all'episodio "di Jaramillo", periodo in cui il Campo Magnetico Terrestre era inverso rispetto ad oggi, tra 0,95 e 0,9 milioni di anni. L'industria litica comprende strumenti su ciottolo e su scheggia.

Ricostruzione dell'Uomo di Pechino,
Di Cicero Moraes - Opera propria, 
CC BY-SA 4.0, https://commons.wiki
Da 780.000/680.000 anni fa - L'uomo di Pechino (Homo erectus pekinensis) è una sottospecie di Homo erectus i cui resti sono stati trovati fra il 1923 e il 1927 durante degli scavi condotti a Zhoukoudian (nei pressi di Pechino, da cui il nome), in Cina. Il fossile, trovato da Birgir Bohlin solo tre giorni prima della fine dei lavori di scavo, è stato datato come risalente a un periodo compreso fra i 680.000 e i 780.000 anni fa. I primi studi iniziarono a Zhoukoudian nel 1921, esaminando una serie di grotte calcaree che si trovavano in quel sito. Sembra che sia stato un abitante della zona a portare gli archeologi europei in un'area dove si trovavano numerose ossa fossilizzate. Nel 1926 vennero portati al Peking Union Medical College alcuni molari, trovati nel sito, per essere analizzati da parte dell'anatomista canadese Davidson Black. Il primo teschio fu recuperato da Pei Wenzhong il 1º dicembre 1929. Nel 1891 Eugène Dubois aveva trovato i primi fossili di Homo erectus nell'isola di Giava, anche se l'uomo di Giava era stato inizialmente classificato come Pithecanthropus erectus e non incluso nel genere Homo, classificazione che venne corretta più tardi. L'uomo di Pechino è stata quindi la seconda testimonianza di H. erectus in Asia. A partire dal 1929 alcuni archeologi cinesi proseguirono gli scavi nel sito di Zhoukoudian, portando alla luce oltre quaranta campioni di cui sei crani quasi completi, ma gli scavi vennero interrotti nel 1937, in seguito all'invasione giapponese della Cina e gli esemplari fino a quel momento recuperati vennero messi al sicuro dai bombardamenti giapponesi. Nel 1941 vennero spediti negli Stati Uniti per maggior sicurezza, ma scomparvero durante il viaggio verso il porto di Qinhuangdao. Probabilmente erano in possesso di un gruppo di marines statunitensi catturati dai giapponesi all'inizio delle ostilità fra il Giappone e gli Stati Uniti. Poiché tutti i ritrovamenti effettuati prima della guerra nel sito di Zhoukoudian sono andati perduti, gli scienziati che hanno avanzato ipotesi sull'uomo di Pechino hanno dovuti basarsi sui calchi e sugli scritti effettuati durante le scoperte originali. Alcuni ritrovamenti effettuati nello stesso luogo di resti di animali e di prove dell'utilizzo di fuoco e utensili sono state utilizzate per supportare l'idea che l'Homo erectus sia stato il primo a utilizzare tali "tecnologie". Mentre gli esami condotti sui rapporti stilati a suo tempo sull'uomo di Pechino hanno portato a concludere che appartenesse allo stesso stadio evolutivo del genere Homo dell'uomo di Giava, nel 1985 Lewis Binford sosteneva la teoria secondo cui l'uomo di Pechino fosse un mangiatore di carogne (come le iene) e non un cacciatore. Nel 1998 Steve Weiner rincarò la dose, annunciando di non aver trovato alcuna prova del fatto che l'uomo di Pechino usasse il fuoco. A questo punto la maggior parte degli antropologi ha eletto come diretta antenata dei moderni esseri umani, la popolazione africana di Homo ergaster, piuttosto che le popolazioni asiatiche rappresentate dall'uomo di Pechino e di Giava, mentre ora invece abbiamo anche i reperti dell'uomo di Denisova su cui ragionare.

Ricostruzione dell'uomo di Giava,
da https://it.wikipedia.org/w/ind
ex.php?curid=3816060
- Uomo di Giava è il nome dato ai fossili scoperti nel 1891 a Trinil, sulle rive del fiume Begawan Solo, nella provincia di Giava Orientale, sull'isola di Giava, in Indonesia. I fossili rappresentano uno dei primi esempi di quello che oggi viene chiamato Homo erectus. I resti furono scoperti da Eugène Dubois, che li classificò con il nome scientifico di Pithecanthropus erectus (dal greco antico scimmia e uomo). Come nella maggior parte dei fossili di ominidi, non è stato rinvenuto uno scheletro completo ma soltanto di una calotta cranica, un femore sinistro e pochi denti, scoperti dal medico olandese E. Dubois nel 1891 ed stato avanzato qualche dubbio sul fatto che tutte queste ossa potessero appartenere alla stessa specie. Una calotta cranica di taglia simile a quella trovata da Dubois è stata scoperta dal paleontologo tedesco Gustav Heinrich Ralph von Koenigswald, nel 1936, nel villaggio di Sangiran, nella provincia di Giava Centrale, 18 km a nord di Surakarta. Fino alla scoperta dei resti umani ritrovati nella Rift Valley in Kenya, gli esemplari di Dubois e Koenigswald sono stati i resti degli ominidi più antichi mai rinvenuti. Oggi alcuni scienziati suggeriscono che l'uomo di Giava sia una potenziale forma intermedia tra l'uomo moderno e l'antenato comune che condividiamo con le altre grandi scimmie. Tuttavia la maggior parte degli antropologi ritiene che il diretto antenato dei moderni esseri umani sia stata la popolazione africana di Homo ergaster, piuttosto che le popolazioni asiatiche rappresentate dall'uomo di Giava e l'uomo di Pechino.

Ricostruzione di Homo
heidelbergensis.
680.000 anni fa - Durante l'interglaciazione di Günz-Mindel, probabilmente nel periodo fra 680.000 e 620.000 anni fa, appare in Europa l'Homo heidelbergensis, che si presume sia stato un antenato di Homo  neanderthalensis. Il più antico resto fossile che condividesse delle caratteristiche con Homo erectus in Europa, è una mandibola ritrovata in Germania, a Heidelberg (da cui ha preso il nome), nel Baden-Württemberg, sulle rive del fiume Neckar, nel 1907, da Otto Schoetensack, mentre gli ultimi ritrovamenti di questo tipo di ominide si sono avuti nella grotta di Sima ad Atapuerca, durante scavi iniziati nel 2015. Approssimativamente Homo heidelbergensis si è estinto 100.000 anni fa e suoi resti sono stati trovati in Africa, Europa ed Asia occidentale. Sia Homo antecessor che Homo heidelbergensis sono discesi probabilmente da Homo ergaster, morfologicamente molto simile e proveniente dall'Africa. Tuttavia Homo heidelbergensis aveva una calotta cranica più allargata, con una capacità di circa 1.100-1.400 cm³, non lontana dal valore di circa 1.350 cm³ tipico per l'uomo moderno; questa differenza, assieme al comportamento e all'utilizzo di strumenti più avanzati rispetto all'ergaster, lo ha fatto assegnare ad una specie diversa. Questa specie, rispetto ai suoi parenti più stretti, aveva delle dimensioni più grandi, infatti i ritrovamenti suggeriscono dimensioni medie di circa 190 cm di altezza e una corporatura più massiccia e muscolosa di ogni altro ominide appartenente al genere Homo. Secondo il professor Lee R. Berger dell'Università di Witwatersrand, numerose ossa fossili risalenti a circa 500.000 - 300.000 anni fa, ritrovate sulla costa sud-africana, indicano che alcune popolazioni di Homo heidelbergensis erano "giganti" con dimensioni medie di circa 213 cm. di altezza. La morfologia  dell'orecchio esterno depone per una sensibilità uditiva simile a quella degli esseri umani moderni e maggiormente complessa di quella dei suoi parenti più stretti: Homo heidelbergensis poteva infatti distinguere molti suoni diversi. Numerose analisi approfondite dei denti suggeriscono che fossero in grado di produrre suoni in quantità rilevante. Questo "gigante" è riconosciuto da molti come il primo ominide in grado di produrre suoni complessi, facilitando in questo modo la trasmissione di esperienze e la formazione di culture che, sebbene ancora primitive, erano molto più sofisticate di quelle incontrate fino a quel momento.
Ricostruzione di Homo
heidelbergensis di
Atapuerca.
Reperti trovati nel 1992 nella grotta di Gran Dolina, situata nelle colline di Atapuerca (Spagna settentrionale) hanno scatenato varie ipotesi sulle specie che avessero frequentato il sito e nel 1994, una sua spedizione ha portato alla luce un gran numero di utensili di pietra molto semplici, troppo primitivi per essere attribuiti a Homo heidelbergensis, per cui diversi paleontologi attribuiscono i fossili di Atapuerca alla specie Homo antecessor, considerata diretta antenata di Homo heidelbergensis, che è vissuto nelle stesse aree successivamente. Una prima tesi è che i resti di Atapuerca rappresentino il primo tentativo da parte di Homo heidelbergensis di uscire dall'Africa, dove si hanno prove della sua presenza già 600.000 anni fa, e che quindi colonizzando l'Europa avrebbe fatto da progenitore a Homo neanderthalensis, mentre in Africa si evolveva Homo sapiens e in Asia Homo ergaster, di cui potrebbe essere il discendente. Questa tesi farebbe sì che l'Homo heidelbergensis fosse stato l'ultimo antenato comune fra Homo sapiens e Homo neanderthalensis, mentre da uno studio effettuato nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis di 400.000 anni fa e proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella dell'Uomo di Denisova. Altri studi condotti nel 2001 sul cranio completo di Atapuerca, insieme ai resti di altri trenta individui, attestano la possibilità che questi ominidi potessero parlare.
Carta con il sito archeologico di Atapuerca, in Spagna.
Infatti l'apparato vocale trovato nei resti fossili, per quanto risulti essere meno sviluppato rispetto a Homo sapiens, è sicuramente complesso. Anche i ritrovamenti presso le Ciampate del Diavolo, in provincia di Caserta sono stati attribuiti a Homo heidelbergensis. Molti scienziati considerano appartenenti a Homo heidelbergensis anche i due crani ritrovati fra il 1989 ed il 1990 a Yunxian, nella provincia cinese di Hubei, sebbene molti altri, compresi gli scopritori, tendono a considerarli resti di Homo erectus.

Il sito La Pineta di Isernia
è il n. 5, da https://iris.uni
fe.it/retrieve/e309ade3-45
fb-3969-e053-3a05fe0a2c
94/113922418448.pdf
.
600.000 anni fa - È la data a cui risalgono i reperti ritrovati dai ricercatori dell'Università di Ferrara nel sito di LA PINETA (ISERNIA) descritto da Carlo Peretto e Benedetto Sala, Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici. https://iris.unife.
L’insediamento, posto a 457 m sul livello del mare, si trova nei pressi della Città di Isernia (Molise). Scoperto nel 1978 (Peretto et al., 1983) in seguito agli sbancamenti per la costruzione della superstrada Napoli-Vasto, a partire dal 1979 fu oggetto di scavi sistematici che continuarono interrottamente fino ai nostri giorni, fatta eccezione per il periodo che va del 1993 al 2000 a causa dei lavori per la costruzione del Padiglione degli scavi che oggi fa parte dell’area archeologica con annesso il Museo nazionale del Paleolitico. Gli scavi sistematici, lo studio delle sezioni stratigrafiche poste in luce dai lavori di sbancamento e i sondaggi a carotaggio continuo permettono di affermare che l’estensione del giacimento archeologico è dell’ordine di alcune migliaia di metri quadrati.
La stratigrafia - I livelli archeologici sono ricompresi nei sedimenti fluviolacustri del bacino infra-appenninico di Isernia. Lo scavo sistematico ha posto in luce una serie stratigrafica che contempla dal basso verso l’alto limi lacustri di colore biancastro dello spessore di molti metri; su di essi si imposta una bancata di travertino di spessore decimetrico alterato dalla pedogenesi. Segue l’Unità 3 con limi (3b) e sabbie con forte componente limosa (3a), sepolta da apporti più grossolani di natura anche fluviale (Coltorti et al., 2005). Seguono fino alla sommità depositi più recenti che si raccordano a quelli olocenici. La serie stratigrafica contiene una significativa componente vulcanica che si rinviene nelle Unità 4 e 3 e che ha permesso di datare i livelli archeologici con metodi radiometrici. I materiali archeologici sono distribuiti su quattro archeosuperfici (3c, 3a, 3s10 sett. I, 3a, sett. II); (Cremaschi & Peretto, 1988; Peretto 1999). 
Il livello più antico (3c) si imposta sul travertino (Unità 4) ed è stato esplorato su circa 70 mq; esso è dislocato da fratture di natura tettonica che hanno compromesso l’integrità di parte dei resti paleontologici. Il materiale identificato è rappresentato da frammenti ossei di grandi mammiferi appartenenti a bisonterinoceronteippopotamoorsoelefante, associati in misura variabile a manufatti litici in selce e in minor misura in calcare. La paleosuperficie 3a è la più ricca di materiali tra quelle esplorate avendo restituito ampie concentrazioni di reperti litici e faunistici anche di grandi dimensioni che consentono di approfondire aspetti comportamentali dell’uomo preistorico e quelli di ordine cronologico e paleoecologico (figg. 2-3) (Arzarello et al., 2003; Ferrari et al., 1991; Lembo, 2015; Peretto, 2003, 2006, 2010, 2013; Peretto & Minelli, 2006).
L’età dell’insediamento - A più riprese l’insediamento è stato datato con metodi radiometrici, in particolare con 39Ar/40Ar (Coltorti et al. 1982, 2005; Garcia, 2011; Peretto et al., 2015). L’affinamento delle metodiche ha consentito di attribuire all’Unità 4 una data di 586 ± 1 ka e ai livelli 3 colluvio, 3s10 e 3s6-9 rispettivamente le date di 583 ± 2 ka, 583 ± 2 ka e 586 ± 2 ka corrispondenti allo stadio isotopico 15. 
Gli animali e le piante dell’antico ambiente naturale - Le faune di questo giacimento sono state presentate più volte alla stampa con aggiornamenti (Sala, 1983, 1987, 1990, 1996, 2006). Resti di alcuni grandi mammiferi sono stati oggetto di studi approfonditi, quali il bisonte (Sala, 1987), il leone (Sala, 1990), il rinoceronte (Fortelius et al., 1993, Sala & Fortelius, 1993) e quattro specie distinte di cervidi (Abbazzi & Masini, 1997; Breda et al., 2015). L’indagine interdisciplinare dei resti paleontologici e del contenuto pollinico dei sedimenti consentono di tracciare un quadro esauriente dell’antico ambiente naturale. Il lavaggio del terreno di scavo e il successivo vaglio del residuo solido hanno consentito di raccogliere reperti appartenenti a resti di animali di taglia minuta come vertebre di pesci, ossa di anfibi, frammenti di carapace di tartaruga palustre e di uccelli acquatici quali il tuffetto e il germano reale (Tonon, 1989) (tab. 1). Essi testimoniano la presenza di ambienti umidi nelle immediate vicinanze dell’accampamento. Sono stati inoltre identificati piccoli mammiferi (tab. 1). La presenza principalmente di Sorex aff. Runtonensis, Pliomys episcopalis, Microtus (Terricola) arvalidens, Micotus (Iberomis) brecciensis e Arvicola mosbachensis (Sala, 1983, 1996, 2006; Lopez-Garcia et al., 2015) ha permesso di riferire questa fauna al Toringiano inferiore, che si colloca nella parte centrale del Pleistocene medio. Questi insettivori e roditori inducono a ritenere che il clima, nel periodo di deposizione della paleosuperficie 3a, fosse più arido e meno caldo di adesso e che favorisse prevalentemente un ambiente di steppa arborata. I resti ossei più voluminosi ammontano ad alcune decine di migliaia. In gran parte appartengono ai grandi erbivori (tab. 1), soprattutto a bisonti, rinoceronti e cervidi e in minor misura a elefanti e ippopotami. Lo scheletro dei grandi erbivori non è presente nella sua interezza, ma prevalgono le porzioni che nel vivente sono più ricche di carne o che, fratturate opportunamente, restituiscono consistenti porzioni di midollo. Il motivo di questa selezione è dovuta all’uomo che ha trasportato nell’accampamento solo le parti più produttive in termini alimentari. Da questo contesto si differenziano i segmenti ossei dell’orso che portano sulla superficie tracce riconducibili all’attività di spellamento che ne giustificano, per questo motivo, l’alta frequenza. Fatta eccezione per l’orso, testimoniato da un numero consistente di reperti, rara è la presenza di carnivori  (iena bruna, leone, leopardo) che frequentavano l’area in modo occasionale. Questi episodici ritrovamenti contribuiscono a confermare che l’accumulo delle ossa di grandi mammiferi è di origine antropica. L’alta frequenza degli erbivori informa sulla presenza di una vegetazione aperta a steppa arborata, ricca di pascoli che permettevano la vita a mandrie di bisonti e ai numerosi pachidermi. Un ambiente così caratterizzato si era formato in un clima a due stagioni, una lunga arida, l'altra breve in cui si concentravano le precipitazioni annuali. Nelle aree più umide, dove trovava il suo naturale habitat diurno l’ippopotamo, la vegetazione arborea si infittiva procurando rifugio a cinghiali e cervidi.
Nelle aree pianeggianti o collinari aperte pascolavano bisonti, megaceri e pachidermi mentre in quelle più scoscese vivevano capre selvatiche (tar). Il rinvenimento di un primate, la bertuccia, nei livelli più recenti (3S1-9) fa supporre una evoluzione del clima verso condizioni più calde e interglaciali. Questa ipotesi è confermata anche dalla presenza del castoro che è legato ad aree riparie più boschive. Si tratterebbe quindi di un ambiente più temperato e meno arido del precedente. Le analisi palinologiche (Accorsi, 1985; Lebreton, 2002) consentono di avere un quadro sufficientemente esaustivo della vegetazione presente nell’area di Isernia. L'ambiente, nelle vicinanze dell’archeosuperficie 3a, era caratterizzato da un'alta frequenza di graminacee e da poche piante arboree fra le quali vi erano salici, pioppi, platani e sporadici pini, querce e cedri. Sono state riconosciute anche specie palustri quali ad esempio Typha e Plantago. La presenza e le frequenze di queste specie segnalano un ambiente caratterizzato da praterie piuttosto estese e da un corso d'acqua, lungo il quale crescevano pioppi, salici, ontani e platani e alla cui dinamica si legano acquitrini con tife e carici. In lontananza, sui rilievi, vi erano boschi di conifere e di latifoglie. Questo paesaggio bene si raccorda con le indicazioni delle specie faunistiche rinvenute, in particolare con l’alto numero di erbivori che necessitano di ampi pascoli dove trovare nutrimento. Lo sfruttamento delle risorse Le principali attività umane documentate (Peretto, 1996, 2013; Thun Hohenstein et al., 2009) sono la macellazione e soprattutto la fratturazione intenzionale delle ossa lunghe, dei crani e della mandibola. In particolare sono state identificate strie di macellazione in aree anatomiche compatibili con azioni di macellazione (es. inserzioni tendinee o in prossimità delle epifisi), che si presentano anche appaiate e subparallele tra loro, spesso con un orientamento trasversale rispetto all’asse longitudinale delle ossa lunghe. La fratturazione intenzionale è ben documentata in tutti i livelli archeologici. Soprattutto i crani, le mandibole e le ossa lunghe si presentano sistematicamente fratturati (Peretto, 2013).
I resti umani Nel 2014 è stato scoperto nel livello 3 colluvio un dente umano (Peretto et al., 2015), un incisivo superiore sinistro da latte con radice in parte riassorbita appartenente ad un bambino di 5-6 anni, probabilmente appartenente alla specie Homo heidelbergensis.
I reperti litici I manufatti litici (figg. 6-9) provengono da tutte le archeosuperfici esplorate e ammontano a molte migliaia. 
Nella maggioranza dei casi sono in selce e in minor misura in calcare. Questi ultimi sono assenti nel II settore di scavo (Peretto, 1994).
I manufatti in selce - Il loro stato di conservazione è ragguardevole, confermato dalla presenza di
rimontaggi che avallano la tesi che la scheggiatura dei materiali sia avvenuta nell’accampamento umano. L’uomo ha utilizzato frammenti di liste di medie e piccole dimensioni per lo più di cattiva qualità, interessati da piani di fratturazione naturali che condizionano la morfologia dei prodotti all’atto della scheggiatura. I materiali sono stati raccolti nelle immediate vicinanze dell’insediamento in depositi fluviali di fondo valle, ricchi di ciottoli di calcare e di frammenti di liste. La scheggiatura delle lastrine è stata realizzata con la percussione diretta, spesso bipolare. La sperimentazione (Peretto, 1996) ha confermato queste modalità di lavorazione che consente la produzione di una elevata quantità di schegge, spesso di piccole dimensioni, di sezione e di forma varia, sovente subtriangolari. La produzione di un numero elevato di schegge è riconducibile al loro impiego nella macellazione e nella riduzione di porzioni di carcasse animali. Numerose sono le testimonianze di questa attività, documentate non solo dalle incisioni presenti su molti dei segmenti ossei rinvenuti sui suoli di abitato, ma anche dallo studio al microscopio a scansione dei margini attivi e delle superfici delle schegge in selce che portano inequivocabili politure e strie dovute al taglio della carne (Longo et al., 1997; Vèrges, 2002). La necessità di un’alta produzione di schegge ha condizionato la morfologia dei residui, caratterizzati in maggioranza da frammenti litici indeterminati (débris), per lo più di piccole dimensioni e di difficile classificazione con facce di distacco ad orientazione caotica, spesso fratturate e indeterminate per forma e tipologia. Una particolare categoria di manufatti rientra nel gruppo definito, su base tipologica, come denticolati, sovente spessi e per lo più di piccole dimensioni. Presentano bordi subparalleli o convergenti, con estremità che assumono in rari casi forma arrotondata, a muso; presentano distacchi per lo più profondi, isolati (incavi) o in serie continua, spesso scalariformi. Si è avanzata, in più occasioni, l’ipotesi che questi oggetti costituiscano il residuo finale dell’intenso sfruttamento dei supporti di selce. Una conferma di questa possibilità proviene dall’attività sperimentale eseguita a più riprese (Peretto, 1996). I nuclei sono di forma varia, anche piramidale o poliedrica, ad uno o più piani di percussione. Presentano generalmente dimensioni ridotte a testimonianza dell’intenso sfruttamento delle lastrine. I più recenti dati relativi all’analisi dell’industria litica di Isernia La Pineta, rivelano l’esistenza di aspetti tecnologici innovativi in termini di gestione del débitage, come la padronanza del metodo discoide indipendente dalla natura della materia prima (Gallotti & Peretto, 2014). 
Ciottolo con distacchi
unidirezionali.
I manufatti in calcare - I reperti in calcare provengono soltanto dalle archeosuperfici del I settore di scavo. Il supporto è costituito da ciottoli spesso ovalari piano-convessi, anche se non mancano esempi dell’utilizzo di blocchi non regolari, talvolta sub-quadrangolari. Hanno durezza piuttosto varia, passando da calcari massivi microcristallini ad esemplari meno compatti e più friabili (calcare marnoso, marna). I manufatti in calcare presentano dimensioni decisamente più grandi di quelli in selce, solitamente comprese tra 4 e 12 cm. 
In genere si caratterizzano per una lavorazione non marcata evidenziata dal ridotto numero di schegge distaccate, per cui nella maggioranza dei casi è possibile ricostruire l’originaria morfologia del ciottolo.  Questa constatazione è confermata dallo studio delle schegge che presentano spesso la faccia dorsale parzialmente o totalmente corticata. Alcune schegge presentano ritocchi sui margini ad andamento prevalentemente denticolato, di difficile lettura a causa della qualità della materia prima. I manufatti su ciottolo hanno una certa variabilità di forme tra le quali riconosciamo schegge, choppers (fig. 10), rabots, nuclei e incudini. Frequenti sono i nuclei che presentano un basso numero di distacchi, quasi sempre piuttosto ampi e in qualche caso tra loro sovrapposti. Un riferimento particolare si deve a blocchi di calcare di medie e anche grandi dimensioni, sovente di forma poliedrica e quadrangolare con stacchi ortogonali lungo i bordi, spesso sovrapposti e ripetitivi.

L'uro (Bos primigenius) era un
 grosso bovino particolarmente
aggressivo, diffuso in tutta
Europa estintosi nel 1627.
500.000 anni fa - I reperti che sono stati rinvenuti presso l’attuale porto di Nizza, nel sito detto di Terra Amata, testimoniano la presenza nella zona di alcuni gruppi di uomini specializzati nella caccia agli elefanti e collocabili in un periodo compreso tra 500.000 e 300.000 anni fa, durante la glaciazione di Mindel, avvenuta da circa 455.000 a 300.000 anni fa. Si tratta delle tracce più antiche di capanne costruite da cacciatori. La stratigrafia ha mostrato diversi periodi insediativi, con resti di capanne ovali a focolare centrale, ciottoli scheggiati, raschiatoi e animali catturati quali cinghiali, tartarughe, rinoceronti di Merk, elefanti meridionali, uri, uccelli vari.

Da 455.000 a 300.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Mindel, la seconda glaciazione avvenuta in Europa nel Pleistocene, il primo periodo dell'era Quaternaria, in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.

450.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, su Nibiru, un membro lontano del nostro sistema solare, la vita va lentamente estinguendosi a causa dell'erosione dell'atmosfera del pianeta. Deposto da Anu, il sovrano Alalu fugge a bordo di una navetta spaziale e trova rifugio sulla Terra. Qui scopre che sulla Terra si trova l'oro che si può utilizzare per proteggere l'atmosfera di Nibiru.

445.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, guidati da Enki, figlio di Anu, gli Anunnaki arrivano sulla Terra, fondano Eridu - la Stazione Terra I - per estrarre l'oro dalle acque del Golfo Persico.

430.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, il clima della Terra si fa più mite. Altri Anunnaki arrivano sulla Terra, e tra loro Ninharsag, sorellastra di Enki e capo ufficiale medico.

416.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, poiché la produzione d'oro scarseggia, Anu arriva sulla Terra con Enlil, il suo erede. Viene deciso di estrarre l'oro vitale attraverso scavi minerari nell'Africa meridionale. Le nomine avvengono per estrazione: Enlil conquista il comando della missione sulla Terra, Enki viene relegato in Africa. Anu, mentre si accinge a lasciare la Terra, deve fronteggiare la minaccia del nipote Alalu.

400.000 anni fa - Scoperta del fuoco. Le prime tracce di utilizzazione del fuoco vengono rinvenute in Cina. Dapprima l'uomo impara a conservare quello provocato dai fulmini o da altri disastri naturali, in seguito il fuoco verrà ottenuto con mezzi rudimentali e la conservazione del fuoco talora avrà anche carattere rituale.
Secondo Zecharia Sitchin, 400.000 anni fa tra i sette insediamenti funzionali della Mesopotamia meridionale figurano il porto spaziale (Sippar), il Centro di controllo della missione (Nippur), un centro metallurgico (Badtibira), un centro medico (Shuruppak). I metalli arrivano per mare dall'Africa; una volta raffinati, vengono poi inviati agli Igigi rimasti in orbita, poi trasferiti su navette spaziali che arrivano periodicamente da Nibiru.

380.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, appoggiato dagli Igigi, il nipote di Alalu cerca di ottenere il dominio della Terra. Gli Enliliti vincono la Guerra degli Antichi Dèi.

300.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, gli Anunnaki che lavorano nelle miniere d'oro si ammutinano. Enki e Ninharsag creano dei Lavoratori Primitivi attraverso la manipolazione genetica degli ovuli di donne-scimmia; le nuove creature sostituiscono gli Anunnaki nelle attività manuali. Enlil fa irruzione nelle miniere e porta i Lavoratori Primitivi all'Eden in Mesopotamia. Avendo ottenuto la capacità di procreare, l'Homo sapiens comincia a moltiplicarsi.

Ricostruzione di Homo sapiens.
- 300.000 anni fa circa, secondo nuovi ritrovamenti rinvenuti nel 2017 in Marocco, (QUI) risalirebbe l'origine dell'Homo sapiens. Da analisi, condotte con tecniche statistiche, della forma di reperti trovati nel 2017 a Jebel Irhoud (in Marocco), si è rilevata la massima somiglianza con quelli dei moderni H. sapiens. Questa somiglianza è vera in particolare per il frammento di mandibola, se si eccettua per la maggiore larghezza. Il cranio invece, esternamente presenta caratteri intermedi tra quelli arcaici e quelli moderni, ma è abbastanza simile a quello di H. sapiens scoperto nel sito di Laetoli in Tanzania e al più recente cranio ritrovato a Qafzeh, in Israele. Di grande interesse la forma interna della teca cranica, la cui struttura sembra già preludere all'evoluzione verso la forma globulare del cranio di H. sapiens delle epoche successive. Secondo Hublin e colleghi, i fossili di Jebel Irhoud rappresentano la migliore prova paleoantropologica trovata finora dell'esistenza di di una fase “pre-moderna” nell'evoluzione di H. sapiens. I risultati dell'analisi, condotta con una tecnica di termoluminescenza, dei resti di utensili scoperti nel sito marocchino, sono attribuiti al Paleolitico Medio (da 300.000 anni fa) mentre i resti di animali ritrovati negli stessi strati mostrano una manipolazione umana e i resti di carbonella indicano un probabile controllo del fuoco. L'Homo sapiens è una specie monotipica. Alcuni antropologi invece la considerano costituita da due diverse sottospecie: Homo sapiens sapiens, l'uomo moderno e Homo sapiens idaltu, paleosottospecie estinta. Nel corso del tempo sono state proposte come paleosottospecie di Homo sapiens sia Homo sapiens heidelbergensis (uomo di Heidelberg) che Homo sapiens neanderthalensis (uomo di Neanderthal). Per ora entrambe vengono definite come specie, anche se sono in corso indagini con l'utilizzo di tecniche di biologia molecolare per la verifica di eventuali riapparentamenti genetici. Al 2011, gli studi basati sull'analisi matrilineare del DNA mitocondriale, mostravano una scarsa possibilità di passata ibridazione, mentre le analisi del genoma nucleare, anche stimolate dal progetto Neanderthal genome project del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology tedesco e del 454 Life Sciences statunitense di sequenziamento del genoma neandertaliano, indicano una certa ibridazione per alcune popolazioni euroasiatiche. Con l'apparizione dell'Uomo di Denisova,  definizione provvisoria di una popolazione di Homo vissuto in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa in aree popolate principalmente da sapiens e in parte da neanderthal, si stanno cercando relazioni genetiche fra le specie attraverso analisi del DNA cellulare e mitocondriale. Quindi si può rilevare che alcuni ominidi appartenenti al genere Homo, anziché partecipare al processo Out-of-Africa di 1.000.000 di anni fa da parte di gruppi di H. erectus, fossero rimasti in Africa e da loro si sarebbe poi originato l'Homo sapiens. I resti più antichi di umani indubbiamente moderni, dopo quelli di Jebel Irhoud (in Marocco), sono quelli ritrovati nel sito di Kibish, nei pressi del fiume Omo, in Etiopia e nel sito Qafzeh-Skhul (Qafzeh e Es Skhul), in Israele. La specie sapiens si è evoluta culturalmente in terra africana, in cui sono numerosi i ritrovamenti di fossili e manufatti. Il più antico ritrovamento di un oggetto, dalle indubbie caratteristiche artistiche, risale a 80.000 anni fa, in prossimità di Cape Agulhas, nella Caverna di Blombos, in Sud Africa.
Artefatti ritrovati nella caverna di
Blombos, in Sudafrica, da: http://scie
L'evoluzione a tutto tondo, fisica, tecnologica e culturale del sapiens, si verificherà alla fine del paleolitico, nel paleolitico superiore. Negli ultimi anni si è rafforzata la teoria che vede neanderthal e sapiens (a cui apparteneva il tipo di Cro-Magnon), come due specie diverse evolutesi in modo quasi parallelo. L'H. sapiens ha di fatto sostituito in Europa l'uomo di Neanderthal (che pare si sia estinto circa 28.000/22.000 anni fa) in un arco di tempo relativamente breve, ma con una certa sovrapposizione  di alcune migliaia di anni, anche se non è ancora possibile stabilire che tipo di  relazioni  (collaborazione, indifferenza o guerra) si siano stabilite tra i due gruppi umani. Pare indubbio, comunque, che le pulsioni artistiche  furono comuni ad entrambe le specie. Con il ritrovamento dell'Homo di Denisova o donna X, nome dato ad un ominide i cui scarsi resti (una falange, ritrovata nel 2008 a Denisova, nella Siberia meridionale) sono stati ritrovati nei Monti Altaj in Siberia, si sta cercando di ricostruire apparentamenti ed eventuali derivazioni fra hidelbergensis, neanderthaliensis e sapiens. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis di 400.000 anni fa, proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella di Denisova e studi genetici indicano che approssimativamente il 4% del DNA dell'Homo sapiens non africano sia lo stesso trovato nell'Homo neanderthalensis, suggerendo così un'origine comune. Invece, dal 4 al 6% del genoma dei melanesiani (rappresentato dagli uomini dell'isola di Bougainville), deriva dalla popolazione di Denisova. Questi geni sono stati verosimilmente introdotti durante la prima migrazione umana degli antenati dei melanesiani nel sud-est asiatico ed è verosimile ipotizzare un'ibridazione tra Homo di Denisova e Homo sapiens, che abbia interessato le popolazioni del sud-est asiatico antico e quelle, loro dirette discendenti,  australiane. L'apporto genetico denisoviano alle altre popolazioni di sapiens asiatiche è limitato e, come in quelle europee e amerindie, deriva in buona parte dall'ibridazione, avvenuta in precedenza, con i  Neanderthal  (ibridati  con i Denisova). Da analisi mitocondriali si è concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza, che gli uomini di Denisova e i Neanderthal abbiano condiviso un ramo comune ancestrale  che  porta ai moderni esseri umani africani, il che accumunerebbe il loro colore scuro della pelle con i Denisoviani.

- 300.000 anni fa inizia la cultura del Paleolitico medio.

Tabella con le caratteristiche del Paleolitico 
medio, da 300ka fa a 36ka fa.

230.000 anni fa - Nella grotta dei Balzi Rossi in prossimità di Ventimiglia, sono stati ritrovati resti di Homo Erectus datati a oltre 230.000 anni fa, oltre a tracce di uomo di Neanderthal (da 130.000 anni fa) e resti di Homo Sapiens assimilabili all'Uomo di Cro-Magnon.
Grimaldi, falesia con grotte dei Balzi Rossi.
Le Grotte dei Balzi Rossi sono situate in prossimità del confine Italo-Francese, in Liguria nel comune di Grimaldi, a pochi chilometri da Ventimiglia. Le grotte si aprono ai piedi di una barriera rocciosa composta da calcare Jurassico-Dolomitico la cui altezza è di circa 100 metri. Il nome del luogo deriva dal colore delle rocce, che nel dialetto locale vengono indicate come "Baussi Russi" (Pietre Rosse). Il sito consiste di 7 grotte chiamate: Grotta del Costantini, Grotta dei Fanciulli, Grotta del Florestano, Grotta del Caviglione, Barma Grande (Barma vuol dire grotta), Barma du Bausu da Ture (che nel dialetto vuol dire Grotta della rocca della torre) e Grotta del Principe. Le grotte risultano essere state abitate dal Paleolitico inferiore, all’inizio dell’interglaciazione di Mindel-Riss, 300.000 anni fa circa, da cacciatori, della cui attività sono rimasti alcuni strumenti in calcare locale, un gran numero di strumenti litici e ossei, resti ossei di animali, oltre ad un frammento del bacino appartenuto ad una femmina di Homo erectus di età assoluta oltre i 230.000 anni, vissuta quindi prima della Glaciazione di Riss.

200.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, la vita sulla Terra regredisce durante una nuova era glaciale.

Da 200.000 a 130.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Riss, la terza glaciazione in Europa avvenuta nel Pleistocene, il primo periodo dell'era Quaternaria, in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.

Ricostruzione di Uomo
di Neanderthal.
200.000 anni fa circa - Durante il periodo culturale del Paleolitico medio, appare la specie Homo neanderthalensis, comunemente detto uomo di Neanderthal, che pare fosse una specie discesa da H. heidelbergensis ed estintasi intorno a 28.000/22.000 anni fa. Prende il nome dalla valle di Neander (Neandertal) presso Düsseldorf in Germania, dove vennero ritrovati i primi resti fossili nell'agosto del 1856 da scavatori di calcare, in una grotta denominata "Kleine Feldhofer", nei pressi della località di Feldhof. Con una dominanza nel periodo della cultura del musteriano, la presenza dell'Uomo di  Neanderthal è documentata da pratiche di arte  sepoltura da 130.000 anni fa per le forme arcaiche fino a 30.000 anni fa con reperti fossili e secondo alcuni fino a 22.000 anni fa, pur in assenza di fossili e con discusse prove culturali, principalmente in Europa e Asia e limitatamente in Africa. Fu un "Homo" molto evoluto, in possesso di tecnologie litiche elevate e dal comportamento sociale piuttosto avanzato, al pari dei sapiens, con cui ha convissuto nell'ultimo periodo della sua esistenza. L'Homo neanderthalensis scomparve in un tempo relativamente breve, evento che costituisce un enigma scientifico oggi attivamente studiato. Alcuni studi del 2010 suggeriscono, tra alcune ipotesi probabili relative alla vicinanza genetica tra Homo neanderthalensis e Homo sapiens, che  ibridazioni fra i due possano avere avuto luogo nel Vicino Oriente all'incirca tra 80.000 e 50.000 anni fa, per la presenza nell'uomo contemporaneo di una percentuale tra 1 e il 4% di materiale genetico specificamente neandertaliano.
Ricostruzione di Uomo
di Neanderthal.
Tali tracce genetiche sono presenti negli eurasiatici e nei nativi americani, ma non negli africani moderni. Un sequenziamento genomico infatti, ha consentito un confronto dettagliato con i Neanderthal e gli umani moderni. Da questa analisi si è concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza mitocondriale, che gli uomini di Denisova e i  Neanderthal  abbiano condiviso un ramo comune ancestrale che porta  ai  moderni esseri umani africani, il che accumunerebbe il loro colore scuro della pelle con i denisoviani. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis (probabile antenato del neanderthaliensis) di 400.000 anni fa, proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella di Denisova. Secondo una teoria pubblicata nel 2016 da alcuni ricercatori delle università di Cambridge e Oxford Brookes sull'”American Journal of Physical Antropology”, l'uomo di Neanderthal si sarebbe estinto a causa di malattie portate dai sapiens.
Homo neanderthaliensis di Claudio
Tuniz da https://www.ansa.it/scienza
/notizie/rubriche/biotech/2013/
12/19/uomo-Neanderthal-aveva-
linguaggio-complesso_
9804243.html
Secondo la biologa Charlotte Houldcroft di Cambridge, prima firma dello studio, gli umani che migrarono dall'Africa all'Eurasia portarono con sé una quantità di agenti patogeni che potrebbero essere stati catastrofici per la popolazione neandertaliana, adattata solo alle malattie infettive tipiche del vecchio continente.
La teoria si fonda su due cardini. In primo luogo le malattie infettive sarebbero molto più antiche di quanto creduto in precedenza: si pensava infatti che queste patologie fossero emerse con il passaggio da caccia-pesca-raccolta ad allevamento e agricoltura, circa 8.000/12.000 anni fa, quando gli esseri umani hanno cominciato a vivere in gruppi folti e a contatto con gli animali, mentre le ultime ricerche sul DNA e sul genoma di alcuni patogeni sembrano dimostrare che siano molto più antiche. In secondo luogo, è dimostrato come gli antichi Homo sapiens si siano mescolati con i Neandertaliani, che avevano dominato la scena continentale per decine di migliaia di anni, e si siano scambiati geni patogeni, così come avevano fatto con altri ominidi prima di migrare dall'Africa. I nostri antenati potrebbero quindi essere stati vettori di malattie letali per gli uomini di Neanderthal, fino a portarli all'estinzione.  

140.000 anni fa - Secondo le ricerche condotte con lo studio genetico del DNA, a questa data risale il più recente progenitore comune a tutta l'umanità. In genetica umana, gli aplogruppi del cromosoma Y sono raggruppamenti di combinazioni di marcatori (aplotipi) definiti dalle differenze nella regione non-ricombinante del DNA del cromosoma Y (chiamato NRY da Non-Recombining Y-chromosome). Queste differenze fanno riferimento a polimorfismi biallelici (SNPs, Single Nucleotide Polymorphisms). Il YCC Y Chromosome Consortium ha stabilito un sistema per definire gli aplogruppi del cromosoma Y basato sulle lettere da A a T, con ulteriori divisioni usando numeri e lettere in pedice. Il cromosoma Y ancestrale (scherzosamente definito dagli studiosi di "Adamo") è quello appartenuto ad un maschio teorico che rappresenta il più recente progenitore comune (MRCA Most Recent Common Ancestor) di tutti i maschi attuali lungo la linea patrilineare, visto che il cromosoma Y è unicamente trasmesso dal padre ai figli maschi. La stima di quando questo individuo teorico sia vissuto varia a seconda degli studi. Gli umani moderni, secondo gli studi del cromosoma Y, sono originari dell'Africa subsahariana e hanno poi colonizzato l'Eurasia, circa 70.000 anni fa, seguendo la costa meridionale dell'Asia. I gruppi che partirono dall'Africa, si sarebbero successivamente distribuiti secondo la seguente mappa:

Carta delle migrazioni umane nel mondo dall'Africa, mappate seguendo le
evoluzioni degli aplogruppi del cromosoma Y nel DNA.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Da Y si sarebbero poi generati aplogruppi specifici nel percorso delle migrazioni:
Y ,     il cosiddetto "'Adamo ancestrale'"
A0    : incontrato nel Camerun, nell'Algeria e nel Ghana.
A1    : presente nell'Africa subsahariana, specialmente tra i Boscimani (dell'etnia Khoisan)
          e i popoli nilotici (Sudan del Sud).
B      : diffuso in gran parte dell'Africa subsahariana, particolarmente tra i Pigmei e gli Hadza.
DE    : poco diffuso in Nigeria.
D      : proprio dell'Asia orientale, specialmente nel Giappone, Tibet e isole Andamane.
E      : Copre la parte più vasta dell'Africa. Presente anche nel Vicino Oriente e nell'Europa meridionale.
C      : presente nell'Eurasia orientale.
C1    : poco diffuso in Giappone.
C2    : presente nelle isole del Pacifico, ivi compresa la Polinesia, la Micronesia e la Melanesia.
C3    : presente in una vasta area geografica compresa fra l'Asia centrale, l'Asia orientale, la Siberia e fra i
           Nativi americani dell'America del Nord.
C4    : presente in alta frequenza negli Australiani aborigeni.
C5    : presente nell'Asia meridionale. Anche nell'Asia centrale e nel Vicino Oriente.
C6    : presente nella Nuova Guinea.
E      : il sub-clade E1b1b è di origine africana e si disperse per tutto il Mediterraneo raggiungendo la
         frequenza del 27% in Grecia.
F    : presente specialmente nei popoli tribali indigeni dell'India.
        Gli aplogruppi che discendono dall'aplogruppo F rappresentano il 90% della popolazione mondiale,
        ma si distribuiscono quasi esclusivamente fuori dall'Africa sub-sahariana.
G    : Le maggiori frequenze si riscontrano nel Caucaso. Presente anche tra i Mediorientali e nell'Europa
         meridionale. L'aplogruppo G, originatosi anch'esso in Medio-Oriente, o forse più a Est in Pakistan,
         intorno a 30.000  anni fa, secondo alcuni studi potrebbe essersi diffuso in Europa nel Neolitico,
         oppure, vista la sua forte discontinuità, aver raggiunto l'Europa già nel Paleolitico.
H     : diffuso principalmente nel Subcontinente indiano e negli zingari.
IJ     : IJ corrisponde probabilmente a una ondata migratoria dal Medio-Oriente o all'Asia occidentale a
         partire da 45.000 anni fa, che si è poi diffusa in Europa con l'uomo di Cro-Magnon.
I      : (M170, M258, P19, P38, P212, U179): diffuso maggiormente e quasi esclusivamente in Europa,
        disceso da tribù proto europee. L'aplogruppo I rappresenta circa un quinto dei cromosomi Y
        europei. È quasi esclusivo dell'Europa pertanto si ritiene che si sia originato in quest'area prima
        dell'ultima glaciazione. È probabile che sia stato confinato nel rifugio balcanico durante la glaciazione e
        che poi si sia ridiffuso verso nord con il ritiro dei ghiacciai. Nonostante sia relativamente frequente negli
        Scandinavi, nei Sardi e nelle popolazioni balcaniche, questi popoli presentano subcladi differenti
        dell'aplogruppo I. Questo suggerisce che ognuna delle popolazioni ancestrali è oggi dominata da un
        particolare subclade che ha marcato una indipendente espansione della popolazione lungo diversi
        percorsi migratori durante e immediatamente dopo la glaciazione.
I1   : (L64, L75, L80, L81, L118, L121/S62, L123, L124/S64, L125/S65, L157.1, L186, L187, M253,
        M307.2/P203.2, M450/S109, P30, P40, S63, S66, S107, S108, S110, S111): ramo
        europeo settentrionale/nordico con le più alte frequenze in Scandinavia, Islanda, e Europa
        nord-orientale. Nelle Isole britanniche la mutazione I1-M253 è spesso usata come marcatore delle
        invasioni vichinghe o anglosassoni.
I2   : (L68, M438/P215/S31) ramo europeo meridionale/balcanico;
        I2b  raggiunge discrete frequenze lungo le coste nord-occidentali dell'Europa continentale e in
        Sardegna. Dalla linea I2b è derivato I2b1a (M284) in Europa nord-occidentale ed Isole Britanniche.
J     : (12f2.1, M304, P209, S6, S34, S35): il più importante tra i popoli del Vicino Oriente.
J1    : ramo mediorientale meridionale/arabico
J2    : ramo mediorientale settentrionale/anatolico
K     : diffuso specialmente nell'Oceania.
L      : diffuso principalmente nell'Asia meridionale.
T       (M70, M184/USP9Y+3178, M193, M272) diffuso nell'Europa, nel Vicino Oriente, nell'India,
          nel Corno d'Africa e altre regioni.
M     : prevalente nella Melanesia.
N     : presente fino all'Estremo Oriente ed in Siberia, comune tra i popoli uralici.
O     : prevalente nell'Asia orientale e nel Sud-est asiatico, con una frequenza prossima al 75%.
Q     : è l'aplogruppo principale in quasi tutti i Nativi americani.
R      : disceso da tribù eurasiatiche. Tutti gli aplotipi afferenti all'aplogruppo R condividono le mutazioni
         M207 (UTY2), M306 (S1), S4, S8, S9 e possono essere suddivisi in tre principali linee evolutive:
         R1a, R1b e R2. Per R1 = (M173)
R1a  (L62, L63): è prevalente nelle popolazioni slave dell'Europa orientale e nella regione del Pamir
         fra l'Asia centrale e meridionale. La R1a potrebbe essersi originata nelle steppe euroasiatiche a nord
         del Mar Caspio e del Mar Nero. È associato alla cultura kurgan, nota per la domesticazione del
         cavallo (circa 5000 anni fa). Questa linea è attualmente presente in Asia centrale e occidentale, India,
         e nelle popolazioni slave dell'Europa orientale.
R1b  (M343): è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun
         settentrionale. La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale
         raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si è
         concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi del
         clima a partire da 14.000 anni fa. Presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale.
R2    : è importante nel Subcontinente indiano.
S      : presente principalmente nella Papua Nuova Guinea.

Strombo giga, da https://pixnio
.com/it/animali/regina-strombo-
conchiglia-strombus-gigas
130.000 anni fa - Durante l’interglaciazione Riss-Würm (da 130.000 a 110.000 anni fa) la zona dei Balzi Rossi è stata interessata da una fase di trasgressione del livello marino che aveva riportato la costa a lambire le caverne, sulla cui spiaggia il mare depositava anche caratteristiche conchiglie, gli strombi, grandi molluschi della classe dei Gasteropodi (Strombus gigas) e lungo la fascia costiera, dove erano accampati, in ripari e numerose capanne, gruppi di cacciatori-raccoglitori, pascolavano elefanti, ippopotami e rinoceronti.

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.2: da 2.500.000 a 130.000 anni fa" QUI.

Da 110.000 a 12.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Würm, effetto prodotto dalla precedente glaciazione di Riss su zone specifiche come le Alpi e la Sierra Nevada (complesso montuoso della Spagna meridionale, nella regione dell'Andalusia), ma per convenzione viene estesa anche a livello globale come l'equivalente di ultimo periodo glaciale nell'attuale era glaciale, avvenuto nel Pleistocene (110.000 anni fa - 11.700 anni fa). Su tutto il pianeta Terra si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata, con diversi mutamenti tra l'avanzamento e l'arretramento dei ghiacciai. La massima estensione della glaciazione avvenne approssimativamente 18.000 anni fa. Durante questa glaciazione i livelli dei mari si abbassarono di oltre 120 m. e solo alla fine della glaciazione, la temperatura e le precipitazioni raggiunsero gradualmente i valori attuali, dall'inizio del periodo chiamato Olocene, 11.000 anni fa. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.

100.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, il clima torna a riscaldarsi. Gli Anunnaki (i biblici Nefilim), con crescente disappunto di Enlil, sposano sempre più spesso le figlie dell'Uomo.

75.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, comincia la "maledizione della Terra"- una nuova era glaciale. Tipi regressivi di uomo vagano per la Terra. Sopravvive l'uomo di Cro-Magnon.

Il lago Toba, nell'isola di Sumatra.
75.000/70.000 anni fa - La teoria della catastrofe di Toba sostiene che tra 75.000 e 70.000 anni fa l'esplosione di un supervulcano al di sotto del Lago Toba (un lago vulcanico di 100 km di lunghezza e 30 km di larghezza situato nella parte settentrionale dell'isola di Sumatra in Indonesia), probabilmente il più grande evento eruttivo negli ultimi 25 milioni di anni, rese ancora più rigido il clima del pianeta che già stava attraversando una glaciazione. Da studi filogenetici sul DNA mitocondriale umano alcune ricerche suggeriscono che circa 75 000 anni or sono la specie umana fu ridotta a poche migliaia di individui. Questo collo di bottiglia nella numerosità della popolazione umana spiega in parte la scarsa variabilità genetica nella nostra specie. Alcuni ricercatori fanno risalire all'eruzione del Toba la causa di quella drastica riduzione. Questa teoria per ora non appare in contraddizione con le datazioni matrilineari dell'Eva mitocondriale e patrilineari dell'Adamo Y-cromosomiale. Secondo questa teoria un evento simile lasciò delle conseguenze molto gravi in tutto l'ecosistema mondiale del tempo portando molti organismi sull'orlo dell'estinzione. Questa teoria è stata proposta nel 1998 da Stanley H. Ambrose, dell'Università dell'Illinois, all'Urbana-Champaign. L'effetto collo di bottiglia dovuto all'eruzione di Toba si troverebbe anche per altre specie di mammiferi. Le popolazioni di scimpanzè dell'Est africano, degli orangutan di Borneo, dei macachi dell'India, dei ghepardi e delle tigri hanno tutte recuperato a partire da un numero molto basso di esemplari circa 70.000-55.000 anni fa. L'evento, fra l'altro, spiegherebbe la separazione genetica fra gorilla, che si stima essere avvenuta circa 77.000 anni fa.

Ubicazione di Denisova, in Siberia
e di Dmanisi in Georgia.
70.000 anni fa - L'Homo di Denisova o donna X è il nome dato ad un ominide i cui scarsi resti (una falange, ritrovata nel 2008 a Denisova, nella Siberia meridionale) sono stati ritrovati nei Monti Altaj in Siberia. La scoperta è stata annunciata solo nel marzo 2010, quando al termine della completa analisi del DNA mitocondriale (mtDNA) è stato ipotizzato che potesse trattarsi di una nuova specie. Questo esemplare di ominide è vissuto in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa in aree popolate principalmente da sapiens e in parte da neanderthal; ciononostante, la sua origine e la sua migrazione apparirebbero distinte da quelle delle altre due specie, e il mtDNA del Denisova risulterebbe differente dai mtDNA di H. neanderthalensis e H. sapiens. L'uomo di Denisova è strettamente imparentato con l'uomo di Neanderthal: le due specie si sarebbero separate circa 300.000 anni or sono. L'analisi del mtDNA ha inoltre suggerito che questa nuova specie di ominidi sia il risultato di una migrazione precoce dall'Africa, distinta da quella successiva, associata a uomini di Neanderthal e umani moderni (sapiens), ma anche distinta dal precedente esodo africano di Homo erectus. Pääbo ha rilevato che l'esistenza di questo ramo lontano, crea un quadro molto più complesso del genere umano nel tardo Pleistocene. Studi genetici indicano che approssimativamente il 4% del DNA dell'Homo sapiens non africano sia lo stesso trovato nell'Homo neanderthalensis, suggerendo un'origine comune. I test che mettano in comparazione il genoma dell'Homo di Denisova con quello di 6 differenti Homo sapiens come un ǃKung dal Sudafrica, un nigeriano, un francese, un Papua della Nuova Guinea, un abitante dell'isola di Bougainville (una delle più grandi isole dell'arcipelago delle Isole Salomone, nel sud-ovest dell'Oceano Pacifico, che politicamente fa parte di Papua Nuova Guinea) e uno della stirpe Han, dimostrano che dal 4 al 6% del genoma dei melanesiani (rappresentato dagli uomini dell'isola di Bougainville), derivano dalla popolazione di Denisova. Questi geni sono stati verosimilmente introdotti durante la prima migrazione umana degli antenati dei melanesiani nel sud-est asiatico. Quindi, concludendo, è verosimile ipotizzare un'ibridazione tra Homo di Denisova e Homo sapiens, che ha interessato le popolazioni del sud-est asiatico antico e quelle, loro dirette discendenti,  australiane. L'apporto genetico denisoviano alle altre popolazioni asiatiche è limitato e, come in quelle europee e amerindie, deriva in buona parte dall'ibridazione, avvenuta in precedenza, con i Neanderthal (che a loro volta si erano ibridati con i Denisova). Nel 2019, un team internazionale di ricercatori, dopo aver analizzato il genoma completo di 161 persone provenienti da 14 gruppi differenti in Indonesia e Papua Nuova Guinea, suggerisce l'ipotesi che un gruppo di denisoviani si sia ibridato tardivamente con le popolazioni locali di Homo sapiens circa 15.000 anni fa. Come affermato nello studio, gli abitanti della Papua Nuova Guinea recano infatti tracce nel dna di due popolazioni denisoviane differenti, denominate D1 e D2, e divergenti tra loro di circa 283.000 anni. Mentre la seconda tipologia è molto più diffusa, la prima è identificabile unicamente negli abitanti dell'isola. Non tutto il mondo accademico tuttavia si è detto convinto delle conclusioni della ricerca. Un altro scenario ipotizzato prevede un primo incontro tra umani moderni e denisoviani. Dopo un'ibridazione iniziale, il gruppo si sarebbe separato portando con sé due differenti "set" di geni denisoviani. Infine, le due popolazioni sarebbero venute nuovamente a contatto, incrociando nuovamente il dna. Data l'estrema limitatezza dei reperti, ben poco si sa sulle caratteristiche fisiche di questi individui. Il sequenziamento del genoma estratto dalla falange ritrovata nel 2008 a Denisova (Siberia meridionale) ha permesso di definire che il soggetto esaminato, una femmina, avesse carnagione scura con occhi e capelli castani. Dalle ultime analisi del mtDNA e del DNA nucleare risulta che l'Uomo di Denisova si sarebbe separato dal comune antenato di Neanderthal e uomo moderno circa 1.000.000 di anni fa e che in seguito si sarebbe incrociato con l'Homo sapiens progenitore dei moderni abitanti della Papua Nuova Guinea, con i quali condivide il 4-6% del genoma; provando così (come già con l'uomo di Neanderthal) l'Ipotesi multiregionale di interscambio genetico tra antichi e moderni Homo sapiens. Nello stesso studio del 2010, gli autori hanno effettuato l'isolamento e il sequenziamento del DNA nucleare dell'osso del dito del Denisova. Questo esemplare ha mostrato un insolito grado di conservazione del DNA e un basso livello di contaminazione. Sono stati in grado di raggiungere quasi il completo sequenziamento genomico, consentendo un confronto dettagliato con i Neanderthal e gli umani moderni. Da questa analisi hanno concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza mitocondriale, che gli uomini di Denisova e i Neanderthal hanno condiviso un ramo comune ancestrale che porta ai moderni esseri umani africani, il che accumunerebbe il loro colore scuro della pelle con i denisoviani.. Il tempo medio stimato di divergenza tra le sequenze dei denisoviani e dei Neanderthal è di circa 640.000 anni fa, mentre il tempo di divergenza tra le sequenze di ciascuno di essi e le sequenze degli africani moderni è di 804.000 anni fa. Ciò suggerisce che la divergenza dei risultati mitocondriali del Denisova derivi o dalla persistenza di un lignaggio epurato dagli altri rami attraverso deriva genetica oppure da un'introgressione di un lignaggio di un ominide più arcaico. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo  heidelbergensis di 400.000 anni fa, proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella di Denisova.

- Vicino a Loano, nel savonese, sono state trovate tracce dell'Uomo di Neandertal di questo periodo, e anche ai Balzi Rossi.
Iscrizione rupestre ritrovata
nei Balzi Rossi.
Graffito di equide nella grotta
del Caviglione, ai Balzi Rossi.
Nelle grotte dei Balzi Rossi, come le acque si ritirarono, circa 70.000 anni fa, durante la glaciazione di Würm, l'uomo riprese a frequentare le caverne, lasciandovi tracce di focolari e iscrizioni rupestri come mostrato dalle immagini. Nell'iscrizione rupestre qui a destra, è ancora possibile scorgere il profilo di un cavallo. Gli uomini che vissero ai Balzi Rossi durante il Medio Paleolitico non lasciarono scheletri ma si suppone che appartenessero all'Uomo di Neanderthal.

49.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, Enki e Ninharsag elevano alcuni umani imparentati con gli Anunnaki al ruolo di comandanti di Shuruppak. Enlil, furioso, trama la rovina del genere umano.

Dente da latte del più antico esemplare
di Homo Sapiens (di 45.000 anni fa)
ritrovato in Europa, nel Salento.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
45.000 anni fa - L'Homo sapiens è presente in Europa, dove già vive l'Homo neanderthalensis. Di 45.000/43.000 anni fa è la datazione dei fossili venuti alla luce nel 1964 all’interno della grotta del cavallo, in Salento, nel sud della Puglia, appartenenti a soggetti di Homo sapiens, fino ad ora i resti più antichi dei nostri progenitori vissuti in Europa. Lo studio di questi fossili ha consentito di retrodatare l'arrivo dell'homo sapiens in Europa. Che l’homo sapiens più antico d’Europa vivesse in Romania 35.000 anni fa, è quanto abbiamo sempre saputo e ciò che gli scienziati credevano e sostenevano, fino ad oggi, ma i recenti studi pubblicati da “Nature”, ad uno dei quali ha collaborato anche l’Università di Pisa, infatti, hanno sorprendentemente retrodatato la presenza dei nostri antenati in Europa, sulla base delle analisi condotte su alcuni fossili ritrovati decenni addietro in Italia e Gran Bretagna. Da una parte c’è un frammento di mascella superiore a cui sono attaccati tre denti, ritrovata nel 1927 nella Kent’s Cavern nel Devon in Gran Bretagna, ritenuta appartenente fino a poco tempo fa ad un uomo di Neanderthal e che studi più recenti ed approfonditi esami hanno attribuito, invece, ad un esemplare di homo sapiens vissuto in un arco di tempo compreso tra 44.000 e 41.000 anni fa; la scoperta è stata effettuata dai ricercatori dell’Università di Oxford.
La penisola italiana alla fine della glaciazione
di Würm, in cui la massima estensione dei
ghiacci è avvenuta circa 18.000 anni fa.
Dall’altra due denti da latte (di cui un’immagine nella foto sopra), venuti alla luce nel 1964 all’interno della salentina grotta del cavallo, anch’essi ritenuti di un Homo neanderthalensis: analisi condotte con l’ausilio di modelli digitali in tre dimensioni hanno rivelato che anche questi fossili appartenevano, in verità, a degli Homo sapiens e, grazie al radiocarbonio, è stato possibile stabilirne la datazione: tra 45.000 e 43.000 anni addietro. Essi sono, dunque, fino ad ora, i resti dei più antichi, tra i nostri progenitori, che vissero in Europa e sono italiani. Alla ricerca hanno contribuito ben 13 enti internazionali, tra cui l’Università di Pisa; l’antropologo dell’ateneo, Francesco Mallegni, ha fornito dettagli sui due dentini, rinvenuti a due metri e mezzo di profondità: «Il primo dei denti trovati spunta tra 15 ed i 18 mesi dalla nascita e, siccome è senza usura, il bambino alla morte poteva avere 18 mesi; il secondo spunta a due anni ed essendo usurato in questo caso il bambino alla morte poteva avere dai 3 ai 4 anni o forse leggermente di più». Un dente consumato perché, molto probabilmente, questo popolo di cacciatori-raccoglitori che abitava le nostre terre, pur conoscendo il fuoco, non cuoceva ancora i propri cibi. Al tempo, le terre emerse occupavano una superficie maggiore di quella attuale, il clima era fresco ed asciutto e l’epoca era quella della glaciazione Würm: insomma, il panorama dinanzi a questi giovanissimi italiani doveva essere molto differente da quello che siamo abituati a vedere noi. Morti presumibilmente per caso in quella grotta e non sepolti appositamente lì, di essi sono sopravvissuti i denti perché ricoperti dalla durezza dello smalto: accanto ad essi «strumenti ricavati da ossa o conchiglie usate per ornamento», gli oggetti della vita quotidiana, più di 40.000 anni fa. Da 40.000 a 10.000 anni fa è il periodo denominato Paleolitico Superiore, che terminerà prima dell'avvento dell'agricoltura, e corrisponde a parte del Pleistocene superiore comprendente parte del periodo glaciale di Würm, durato da 70.000 a 15.000 anni fa.  

Mappa degli aplogruppi Y del DNAeuropei.

Secondo la storia genetica, circa 45.000 anni fa, i primi esseri umani moderni sarebbero entrati in Europa da sud. Per storia genetica si intende l'insieme delle scoperte effettuate tramite la genetica delle popolazioni, una branca della genetica che analizza la costituzione genetica delle popolazioni mendeliane in termini qualitativi (varianti alleliche presenti all'interno di una popolazione) e quantitativi (frequenze alleliche e genotipiche). Tali scoperte hanno permesso, mediante l'analisi delle parentele e delle differenze geniche, a livello sia delle etnie che delle popolazioni umane, di ricostruire i flussi migratori, gli incroci, l'emersione o l'eliminazione dei caratteri che contraddistinguono le attuali etnie e popolazioni umane, sia nello spazio sia nel tempo, aiutando a ricostruire la storia dell'uomo sin dalla sua comparsa. Principali aplogruppi del cromosoma Y (lettere A - T) correlati filogeneticamente in un albero. Adamo cromosomico Y = Progenitore comune patrilineare. In genetica umana, il cromosoma Y viene suddiviso in aplogruppi definiti sulla base della mutazione di un singolo nucleotide nella sequenza non ricombinante del cromosoma Y chiamata NRY. Ogni mutazione corrisponde ad un aplotipo e il cromosoma Y viene ereditato di padre in figlio. Dal momento che la mutazione colpisce una sequenza non ricombinante (cioè che non subisce modificazioni quando viene ereditata), è possibile risalire, andando a ritroso di generazione in generazione, alla linea di discendenza maschile.
Aplotipi europei legati alla linea paterna Y-DNA. Lo studio degli aplotipi ovvero della combinazione delle varianti alleliche lungo un cromosoma o lungo un segmento cromosomico contenente loci strettamente associati tra di loro, e che in genere, vengono ereditati insieme, ha permesso di identificare due aplotipi europei definiti Eu18 e Eu19 i quali hanno permesso, tramite metodiche di comparazione delle sequenze, di identificare tracce di migrazioni di popolazioni Europee risalenti all'epoca paleolitica, si ritiene che le migrazioni delle popolazioni europee siano dovute a fenomeni ambientali, quali glaciazioni, competizione fra popolazioni e ricerca di cibo, essendo gli aplotipi ereditati insieme, sono stati identificati due nuclei isolati di popolazioni, rispettivamente: Eu18 i nuclei nella penisola Iberica e Eu19 i nuclei in Ucraina.
Questi aplotipi costituiscono il 50% dei cromosomi Y europei. L'aplotipo Eu19 è diffuso anche nel Pakistan settentrionale e nell'Asia centrale a supporto dell'ipotesi che queste due popolazioni siano migrate sia verso il centro Europa che verso l'Asia.
Aplotipi italiani legati alla linea paterna Y-DNA. Distribuzione percentuale degli aplotipi del  cromosoma Y italiani:
Regione:                 I1    I2a     I2b     R1a    R1b    G2a      J2        J1    E1b1b  T + (L)   Q
Italia settentrionale 6%  2.5%  2.5%  3.5%  55%    2.5%  11.5%  0.5%  11%     4.5%    0%
Italia centrale          3%   2%     5%    3.5%  43%    8.5%  19.5%   2%    10%     3.5%    0%
Italia meridionale  2.5% 2.5% 2.5%   2.5%  29%    8.5%   23.5%   5%    18%     5.5%    0%
Sicilia                      3%   1%    1%     4.5%  30%    5.5%   26.5%   4%   17.5%    6%     1%
Sardegna               0%   37%   0%      0%    22%   15%      10%   2.5%   10%    1.5%    2%
di cui:
I1        : ramo europeo settentrionale/nordico con le più alte frequenze in Scandinavia, Islanda, e Europa
L'aplogruppo I in Europa.
Clicca sull'immagine per ingrandirla
             nord-orientale. Nelle Isole britanniche la mutazione I1-M253
             è spesso usata come marcatore delle invasioni vichinghe o
             anglosassoni.
I2a      : è la forma più comune nei Balcani e in Sardegna (dove
             rappresenta l'aplogruppo più cospicuo nella variante I2a1  
I2b      : raggiunge discrete frequenze lungo le coste nord-occidentali
             dell'Europa continentale e in Sardegna.
             Dalla linea I2b è derivato I2b1a (M284) in Europa nord-
             occidentale ed Isole Britanniche.
R1a     : è prevalente nelle popolazioni slave dell'Europa orientale e
             nella regione del Pamir, fra l'Asia  centrale e meridionale.
             La R1a potrebbe essersi originata nelle steppe euroasiatiche a nord del Mar
             Caspio e del Mar Nero. È associato alla cultura kurgan, nota per la domesticazione del cavallo
             (circa 5000 anni fa). Questa linea è attualmente presente in Asia centrale e occidentale, India,
             e nelle popolazioni slave dell'Europa orientale.
R1b     : è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun
             settentrionale. La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale
             raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si
             è concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi
             del clima a partire da 14.000 anni fa. Presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale.
             L'Aplogruppo R1b (Y-DNA), viene ritenuto essere la più antica linea genetica europea,
             associata ad un effetto del fondatore verificatosi nell'Europa centro occidentale. Le popolazioni
             stanziatesi in Italia dal Mesolitico sono caratterizzate da alte frequenze di R1 (xR1a1), condizione
             che si ritrova ad oggi nelle popolazioni basche, ritenute le più somiglianti geneticamente ai primi
             europei, durante il Neolitico i migranti introducono le varianti E3B1 e J2, il 27% delle variazioni
             genetiche totali, basate sull'analisi dei polimorfismi indicano un chiaro gradiente di distribuzione
             della  popolazione italiana sull'asse nord-sud della penisola.
Frequenza dell'aplogruppo R1b in Italia.
             Le variazioni introdotte nel Neolitico non sembrano
             essere dovute a flussi migratori provenienti dalla
             Spagna, ma si configurano come migrazioni
             provenienti dall'Asia o dall'Anatolia attraverso
             l'attuale area Balcanica; diversi autori hanno
             suggerito che l'asse di distribuzione Nord-Sud delle
             differenze genetiche fra le popolazione italiana siano
             dovute agli eventi di colonizzazione greca nel Sud,
             tuttavia nuovi studi suggeriscono che in epoca
             Neolitica fu l'influenza delle popolazioni provenienti
             dall'Anatolia la causa principale delle differenze nel
             bacino genetico italiano, assegnando ai greci un ruolo
             di secondaria importanza; attualmente si assume che
             durante il Neolitico si consolidò l'aplotipo principale
             R1(xR1a1) mentre gli aplotipi HGS, E3B1 e J2
             risultano assenti o presenti a bassa frequenza, in
             particolare nel nord d'Italia si ritrova a bassissima
             frequenza E3b2 di origine africana.
G         : Le maggiori frequenze si riscontrano nel Caucaso, ma è
             presente anche tra i Mediorientali e nell'Europa meridionale.
             L'aplogruppo G, originatosi in Medio-Oriente, o forse più a Est in Pakistan, intorno a
             30.000 anni fa, secondo alcuni studi potrebbe essersi diffuso in Europa nel Neolitico, oppure, vista
             la sua forte discontinuità, aver raggiunto l'Europa già nel Paleolitico. La maggiore frequenza di
             questo cromosoma si ha oggi nel Caucaso, in Ossezia del nord (60%) e nella Georgia (30%), un'alta
             frequenza si ha poi in Sardegna (15%), Iran, Pakistan, India (21%), nel Tirolo austriaco (15%),
             nell'isola di Creta (11%), fra gli ebrei (10%), nella Germania alpina, in Boemia e Ungheria (7%).
            Si ritiene che il cromosoma sia stato portato nell'area europea con le invasioni dei Sarmati i quali si
            dividevano probabilmente in 4 tribù: Roxolani (o Rossolani), Iazigi, Aorsi e Alani ed erano tutti popoli
            discendenti dagli iraniani Sciti. È inoltre presente nell'8-10% dei maschi spagnoli, sardi, tirolesi, corsi,
            italiani peninsulari, greci, e turchi. L'aplogruppo G ha due sub-aplogruppi principali: G1 (comune in
            Iran) e G2 (più diffuso nell'Europa occidentale).
J2       : ramo mediorientale settentrionale/anatolico. La diffusione dell'aplotipo J2 nel bacino del Mediterraneo
            viene spesso associata all'espansione dei popoli agricoli durante il periodo Neolitico. La comparsa
            di J2 è stimata a circa 18.500 anni fa con scarto di 3.500 anni.  Taluni studiosi lo inseriscono fra
            gli aplogruppi dell'Asia occidentale e sud-orientale, associandolo alla presenza di reperti archeologici
            del neolitico, come statuette e ceramiche dipinte è stata avanzata l'ipotesi che il subclade J2a-M410
            appartenga ai primi agricoltori. Tuttavia altri studiosi ipotizzano un possibile evento di dispersione nel
            post-neolitico, in particolare legato alla dominazione della Grecia antica. In Europa, la frequenza di
            aplogruppo J2 scende drammaticamente muovendosi verso nord dal Mediterraneo.
            In Italia, J2 si presenta con frequenze regionali che variano tra il 9% e il 36%.
            È stato proposto che il subclade J2a-M410 sia collegato alle popolazioni dell'antica Creta.    
            L'aplogruppo J2b-M12 è stato associato con la Grecia del Neolitico (ca. 8500 - 4300 aC) ed è 
            stato segnalato all'interno di siti Cretesi (3,1%).
J1       : ramo mediorientale meridionale/arabico. Negli studi meno recenti viene denominato UE10, questo
            aplogruppo si trova con frequenze importanti nel Medio Oriente, Caucaso, Nord Africa, Corno
            d'Africa. Si trova anche meno frequentemente, ma ancora occasionalmente in quantità significative, in
            Europa e in Estremo Oriente come il subcontinente indiano e nell'Asia centrale.
            J1 viene diviso in diversi sub-cladi, alcuni dei quali sono stati riconosciuti prima ancora di J1, per
            esempio J-M62. Con la sola eccezione di J1c3, la maggior parte dei subcladi non risultano comuni.
            La frequenza e la diversità di J1 (e anche di J2) rendono questo aplotipo uno dei marcatori candidati
            tramite i quali si ipotizza che si possa ricostruire la diffusione della tecnologia agricola durante il
            Neolitico.
E1b1b: il sub-clade E1b1b è di origine africana e si disperse per tutto il mediterraneo raggiungendo
            la frequenza del 27% in Grecia. Si ritine che l'aplogruppo compaia in Africa orientale circa 22.400
            anni fa. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che questa mutazione possa rappresentare il marcatore di
            un'antica migrazione avvenuta nel tardo Pleistocene dal Nord Africa verso l'Europa, Sinai ed Egitto.
T + (L): Aplogruppo T (Y-DNA) Africa del nord, Corno d'Africa, Asia sudovest, Mediterraneo, Asia del
             sud, precedentemente noto come aplogruppo K2.
             Aplogruppo L (Y-DNA) Asia centrale, del sud, del sudovest, Mediterraneo
Q        : Aplogruppo Q (Y-DNA) verificatosi 15.000-20.000 anni fa. Riscontrato in Asia e nelle Americhe.
Cronologia del popolamento da parte materna (mtDNA) in Italia. Similarmente al cromosoma Y, il DNA mitocondriale (mtDNA) contenuto nei mitocondri, viene ereditato da parte materna, consente quindi di risalire alla via patrilineare femminile, l'aplogruppo mitocondriale U5b3 ha permesso di identificare un effetto del fondatore verificatosi circa 10.000 anni fa in Italia, si ritiene che le femmine portatrici siano successivamente migrate in Provenza, probabilmente fra i 9.000 e 7.000 anni fa, dove si sviluppò la variante U5b3a1. Fenomeni di migrazione successivi avrebbero poi permesso l'introduzione dell'aplotipo U5b3a1 dalla Provenza alla Sardegna, presumibilmente seguendo i commerci di ossidiana, ad oggi circa il 4% della popolazione femminile in Sardegna appartiene a questo aplotipo.
Aplotipi legati all'mtDNA in Europa. L'aplogruppo più comune in Europa e in Italia risulta essere l'aplogruppo H originatosi probabilmente circa 20.000 anni fa in Europa meridionale e nel Vicino Oriente, sempre in Europa circa 15.000 anni fa in Spagna si differenzia l'aplogruppo V. L' aplogruppo J si ritiene essersi originato nel Vicino Oriente o nel Caucaso mentre nel nord-est circa 25.000 anni fa si origina l'aplogruppo W, l'aplogruppo T si origina in Mesopotamia circa 17.000 anni fa, l'aplogruppo U si origina in Asia occidentale circa 60.000 anni fa, l'aplogruppo I circa 30.000 anni fa probabilmente in Europa, l'aplogruppo K circa 16.000 anni fa nel Vicino Oriente, l'aplogruppo X2 oltre 30.000 anni fa nel nord-est europeo.
Mappa Genetica dell'Europa. Recentemente diversi ricercatori hanno contribuito allo sviluppo di una mappa genetica dell'Europa, questa mappa mostra un evidente grado di somiglianza strutturale alla mappa geografica. Le principali differenze genetiche si sono riscontrate fra le popolazioni del nord e del sud. I ricercatori ipotizzano tre principali eventi di colonizzazione a partire da sud, avvenuti circa 45.000 anni fa, i primi esseri umani moderni entrerebbero in Europa da sud, dopo questo ingresso si verificò un'interruzione dei flussi migratori dovuto ad un massimo glaciale, circa 20.000 anni fa, la seconda colonizzazione avvenuta al ritiro dei ghiacci risalirebbe a circa 17.000 anni fa a partire da popolazioni di ritorno dalle zone di rifugio a sud, l'ultima colonizzazione si ebbe intorno ai 10.000 anni fa con l'espansione, dal Vicino Oriente, dell'agricoltura. Sono state individuate due barriere genetiche all'interno dell'Europa. La prima divide i finlandesi dal resto degli europei e si ritiene che questa barriera sia dovuta al fatto che i finlandesi siano derivati da un piccolo e recente nucleo che conteneva individui molto simili geneticamente e la seconda barriera si colloca fra le popolazione italiana e il resto dell'Europa, e si ritiene che sia dovuta all'effetto delle Alpi che avrebbero separato geneticamente l'Italia dal resto d'Europa.

Cartina con la ricostruzione dei limiti dei ghiacci in Europa durante la
glaciazione di Würm e la colonizzazione delle genti Homo di Neanderthal,
di cui sono segnalati i siti di ritrovamento di reperti fossili.
Nel 40.000 a.C. - In Europa, mentre sono presenti gli Homo neanderthalensis,  si diffondono gli Homo sapiens, che si ipotizza appartenenti ad un ipotetico gruppo linguistico mediterraneo (secondo le teorie di Alain Danielou, antenati di Iberi, Pelasgi, Etruschi, Berberi, Minoici di Creta, Ciprioti, Egiziani, Ittiti, Sumeri e Dravidi) diffusi, da ovest a est, dalla Spagna alle rive del Gange, mentre alcuni tipi del gruppo sinodenecaucasico (antenati dei Baschi) sono già presenti, come i protoliguri, dello stesso ceppo linguistico basco. Si hanno inoltre le prove dei primi insediamenti dell'uomo moderno in Grecia settentrionale: Tracia, Penisola Calcidica e Tessaglia (forse da parte degli antenati dei Pelasgi).

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.3: da 130.000 anni fa al 40.000 p.e.v. (a.C.)" QUI.

Nel 34.000 a.C. - Inizia il periodo più recente del Paleolitico, il Paleolitico superiore. E’ stato stabilito che in questa fase storica fosse ancora presente l'Homo neanderthalensis, che condivideva con Homo sapiens, a cui era accomunato culturalmente, la produzione di sculture antropomorfe (che nella quasi totalità, sono semifrontali o laterali) e quindi pratiche spirituali e religiose. Nella scultura rupestre e nei menhir del Paleolitico le raffigurazioni di neanderthaliani sono frequenti (e precedenti), mentre quelle di Homo sapiens sono meno frequenti.

Tabella del Paleolitico superiore, da 36ka fa a 12ka fa.

Ricostruzione di femmina con
bambino di Cro-Magnon.
Dal 30.000 a.C. circa - Termina la lunga convivenza tra vari tipi di ominidi. Da questo momento in poi i paleoantropologi hanno rinvenuto quasi esclusivamente reperti di Homo sapiens, unico discendente degli ominidi sopravvissuti. L'uomo di Cro-Magnon è una antica forma, ascrivibile a popolazioni umane moderne (Homo sapiens), largamente diffusa nel paleolitico superiore in Europa, Asia, Nordafrica, Nord America. È rappresentato da quattro scheletri provenienti dal riparo sottoroccia di Cro-Magnon, presso Les Eyzies-de-Tayac-Sireuil in Dordogna (in Francia) e da sette scheletri raccolti nelle Grotte dei Balzi Rossi (Liguria), definiti a suo tempo come cromagnonoidi.
Carta della Francia con l'ubicazione
di Cro-Magnon a Les Eyzies-de-
Tayac-Sireuil in Dordogna, in
rosso, a nord-est di Montferrand
du Périgord, in rosso.
I resti più antichi, scoperti dal geologo francese Louis Lartet, sono datati intorno al 30.000 a.C., anteriori quindi all'Uomo di Combe-Capelle, i cui ritrovamenti più antichi risalgono al 25.000 a.C.. Antropologicamente, le caratteristiche cromagnonoidi sono essenzialmente di tipo europoide: 
Ricostruzione dell'Uomo
di Cro-Magnon.
Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
- alta statura (media 1,80 m per gli uomini, con punte oltre 1,90 m) con gambe lunghe e braccia corte;
- faccia larga e bassa con cranio lungo dalla fronte all'occipite (dolicocefalia e cameprosopia), spesso denotata come disarmonica;
- orbite basse e rettangolari;
- naso prominente e spesso aquilino;
- grande capacità cranica (1.650 cm3).
È stato proposto che i tipi Cro-Magnon fosse essenzialmente di Rh negativo (come i Baschi odierni), ipotesi non comprovata. La sequenza del DNA mitocondriale eseguita nel 2003 da un team italo-spagnolo diretto da David Caramelli, su due fossili di Cro-Magnon identificati come Pelosi 1 e 2, risalenti rispettivamente a 23 e 24.000 anni fa, ha identificato il DNA mitocondriale come aplogruppo N. Questo aplogruppo si ritrova nelle moderne popolazioni del Medio Oriente, Nord Africa e Asia centrale, mentre gli aplogruppi derivati si trovano anche in popolazioni eurasiatiche, polinesiane e tra i nativi americani. Secondo Bryan Sykes, professore di genetica umana presso l'università di Oxford, nel suo libro pubblicato nel 2001 "The Seven Daughters of Eve", l'uomo di Cro-Magnon si sarebbe accoppiato con sette tipi di donne successivamente, che in base al loro DNA mitocondriale vengono nominate: Ursula (aplogruppo U) trovata in Siberia, Xenia (aplogruppo X), Tara (T) e Helena (H) trovate in Europa nel paleolitico e poi Katrine (K) e Velda(V) evolutesi nel mesolito e infine Jasmine (J) venuta dal levante nel neolitico, per dare origine ai principali aplogruppi mitocondriali diffusi nelle popolazioni europee moderne. Per quanto riguarda gli aplogruppi del cromosoma Y, si hanno a disposizione meno dati visto che solo gli individui di sesso maschile ne possiedono uno e inoltre si degrada più facilmente nel tempo rispetto all'mtDNA. In Siberia, è stato rinvenuto uno scheletro di un bambino di 3-4 anni appartenente alla Cultura di Mal'ta-Buret', il cui aplogruppo Y-DNA è risultato essere l'R, antenato dei moderni R1 (da cui R1a e R1b, gli aplogruppi più diffusi in Europa) e R2. Mentre la mandibola di Oase 1 ritrovata in Romania, risulta invece appartenere all'aplogruppo F, antenato degli aplogruppi Y-DNA che rappresentano il 90% della popolazione mondiale. Analisi genetiche effettuate sugli scheletri dei cromagnoidi cacciatori-raccoglitori mesolitici della cava di Loschbour in Lussemburgo e Motala in Svezia, hanno rivelato che gli uomini di Cro-Magnon hanno contribuito anche al genoma autosomico degli odierni Europei, assieme agli agricoltori neolitici e un terzo ceppo ancestrale correlato ai Siberiani paleolitici. Si definisce autosoma un cromosoma che non contiene informazioni genetiche specifiche alla caratterizzazione sessuale dell'individuo ed è solitamente presente in duplice copia negli individui di entrambi i sessi. Attualmente, le popolazioni europee che hanno più DNA autosomico correlato ai cacciatori-raccoglitori europei (Cro-Magnon) sono gli abitanti dei Paesi Baltici.
Dalle moderne indagini genetiche sembra potersi affermare che i cromagnonoidi entrarono in Europa dall'Asia centrale verso il 30.000 a.C., portando il particolare marcatore genetico M173, derivato da M45, che pare fosse diffuso in popolazioni asiatiche del paleolitico da cui sarebbero derivate anche alcune popolazioni siberiane e amerinde (marcatore M242 e discendenti).
L'arte nel Paleolitico.
I Cro-Magnon avevano una dieta di carne, grano, carote, cipolle, rape ed altri alimenti; nel complesso, una dieta molto bilanciata. Tra gli artefatti Cro-Magnon giunti fino a noi vi sono capanne, pitture murali, incisioni e sembra inoltre che fossero in grado di intrecciare vesti. Le capanne erano costruite in roccia, argilla, ossa, rami e pelo di animali.
Grotta delle mani, in Patagonia
(nel sud dell'Argentina), 10.000 a.C.,
immagini create a spruzzi di colore
con la tecnica del negativo.
Utilizzavano manganese e ossido di ferro per le loro pitture rupestri e potrebbero aver creato, circa 15.000 anni fa, il primo calendario. I Cro-Magnon devono essere entrati in contatto con gli uomini di Neanderthal e sono spesso indicati come la causa dell'estinzione di questi ultimi; in realtà, sembra che umani moderni dal punto di vista morfologico, abbiano convissuto con i Neanderthal per circa 60.000 anni nel Levante (ampia area del Sudovest asiatico a sud delle Montagne del Tauro, delimitata ad ovest dal Mar Mediterraneo, a sud dal deserto Rub' al-Khali e ad est dalla Mesopotamia, che non include l'Anatolia, le montagne del Caucaso e la Penisola Arabica) e per più di 10.000 anni in Francia. Nella località di Oberkassel, presso Bonn in Germania, sono stati ritrovati nel 1914 due scheletri in una doppia sepoltura, datati al 10.000/15.000 a.C. e riferibili al Maddaleniano, uno maschile e uno femminile con caratteristiche piuttosto diverse tra loro. Il cranio maschile è molto capace (1.600 cc), leggermente dolicocefalo e con faccia fortemente cameprosopa e orbite molto basse, in qualche modo accentuando le caratteristiche cromagnoidi, mentre il cranio della donna è più alto e più stretto, evidentemente non cromagnoide e ricorda invece il tipo di Brünn (Brno in Moravia). La statura è di 166 cm nell'uomo e 147 cm nella donna. Fossili di uomini di Cro-Magnon sono stati ritrovati anche a Monaco, nel Bayern, in Germania.
L'Europa 18.000 anni fa, nella
massima estensione dei ghiacci
dell'ultima glaciazione, di Würm.
Il massimo della diffusione si ha intorno al 20.000 a.C.
Tra le varianti di Cro-Magnon si possono menzionare:
- le popolazioni di Mechta-Afalou (Berberi), in Nord-Africa
- la popolazione maglemosiana (proto-nordici della varietà dalo-falica) in Scandinavia,
- le popolazioni neolitiche delle culture del Dneper-Donets e di Sredny-Stog (forse i proto-Indoeuropei) nella Russia meridionale,
- i Guanci delle isole Canarie, ormai estinti, probabilmente discendenti dei Berberi,
- i nativi americani Dakota in Nordamerica.
Poiché la depigmentazione compare (o compariva) con una certa frequenza in tutte le popolazioni menzionate eccetto, per quanto è noto, i Dakota, è stato anche suggerito che questa fosse una caratteristica piuttosto diffusa tra i Cro-Magnon. Invece non è chiaro come i Cro-Magnon abbiano contribuito alla genetica delle popolazioni odierne in Asia, ma è stato rilevato che in Asia i portatori delle culture siberiane Afanasevo e Tagar erano essenzialmente cromagnonoidi.

I Balzi Rossi, con a destra la grotta
del Caviglione.
- Ai Balzi Rossi, solo l'Homo sapiens ha usato le grotte come sepolcri, lasciandovi le testimonianze più interessanti. Le Grotte dei Balzi Rossi sono situate in prossimità del confine Italo-Francese in Liguria, nel comune di Grimaldi, a pochi chilometri da Ventimiglia, e si aprono ai piedi di una barriera rocciosa composta da calcare Jurassico-Dolomitico la cui altezza è di circa 100 metri. Il nome del luogo deriva dal colore delle rocce, che nel dialetto locale vengono indicate come "Baussi Russi" (Pietre Rosse). Il sito consiste di 7 grotte chiamate: Grotta del Costantini, Grotta dei Fanciulli, Grotta del Florestano, Grotta del Caviglione, Barma Grande (Barma vuol dire grotta), Barma du Bausu da Ture (che nel dialetto vuol dire Grotta della rocca della torre) e Grotta del Principe. Solo le grotte del Caviglione e Florestano possono essere visitate ma i due piccoli musei offrono ampie e dettagliate spiegazioni sul contenuto delle grotte e vi si trovano anche numerosi scheletri o calchi dei medesimi, foto e oggetti rinvenuti durante gli scavi archeologici. Le grotte sono state frequentate dall'uomo dal Paleolitico Inferiore, tracce di queste antiche presenze sono molto limitate a causa delle frequenti variazioni del livello dei mari, verificatesi nel corso delle fluttuazioni climatiche del Pleistocene. Le ossa più antiche ritrovate appartenevano ad una femmina di Homo Erectus (età assoluta oltre i 230.000 anni) vissuta durante la Glaciazione Riss. Come le acque si ritirarono, 70.000 anni fa, all'inizio della glaciazione di Würm, l'uomo riprese a frequentare le caverne, lasciandovi tracce di focolari e iscrizioni rupestri. Durante gli scavi, gli archeologi hanno scoperto molte sepolture paleolitiche: sette scheletri ascrivibili al tipo Cro-Magnon fra cui il cosiddetto "Uomo di Mentone", che si è poi rivelato essere una femmina. In particolare, quella sepoltura conteneva un singolo scheletro poggiato sul lato sinistro con le mani vicino al volto e le gambe leggermente piegate. Ossa e terreno attorno allo scheletro mostravano un intenso colore rosso, causato dalla polvere di ocra con cui la sepoltura venne cosparsa.
Ricostruzione di copricapo ottenuto
con conchiglie marine ai Balzi Rossi.
Il teschio era adornato con conchiglie marine e canini di cervo forati, una volta fissati tra loro in una sorta di copricapo. Il radio scomposto, una frattura ridotta, mostra che l'uomo era riuscito a superare un trauma osseo. Gli scheletri dei maschi misurano un'altezza dai circa 180 ai 190 centimetri, i più alti nella popolazione paleolitica europea. I tratti distintivi dell'Uomo di Cro-Magnon erano un viso corto con orbite rettangolari, la grande robustezza dello scheletro e l'alta statura. La qualità delle sepolture rinvenute sembrano mettere in luce l'importanza sociale dei quegli individui. Due scheletri di bambini la cui età si aggirava sui 2 e 3 anni, vennero scoperti dentro la Grotta dei Fanciulli. Furono deposti uno a fianco dell'altro; al livello dell'anca e del femore c'erano molte conchiglie marine forate (Nassa Neritea) che sembravano far parte di un ornamento funerario.
Ornamenti funebri della
triplice sepoltura ai
balzi rossi.
La sepoltura più interessante è senz'altro la Tripla Sepoltura. I tre individui sono stati sepolti nella stessa buca, uno al fianco dell'altro, cosparsi di ocra rossa e accompagnati da un ricco addobbo funebre. Due di loro erano individui giovani mentre il terzo era molto più vecchio. Le stesse peculiarità anatomiche riscontrate sul lato destro dell'osso frontale dei teschi, suggeriscono una relazione genetica tra i tre individui. Il più vecchio era alto circa 190 centimetri e possedeva una struttura scheletrica di ragguardevole robustezza. Gli ornamenti funerari consistevano di grosse lame di pietra, collane, elementi decorativi composti da spine dorsali di pesci, denti canini di cervo, pendenti di avorio decorato con linee incavate e conchiglie forate (Nassa Neritea).
Veneri dei Balzi Rossi, rappresentazioni
del culto della Dea Madre.
Tra le varie scoperte, l'ultima, più eccitante, è stata il ritrovamento dei cosiddetti Negroidi di Grimaldi. La tomba conteneva gli scheletri di un adolescente e di una donna adulta con tratti somatici differenti da quelli degli individui contenuti nelle altre sepolture. Il capo dell'adolescente era ornato da un copricapo fatto di conchiglie marine (Nassa Neritea), mentre la donna aveva le stesse conchiglie vicino al polso e al gomito sinistro, forse usate per un braccialetto.
Veneri ritrovate ai Balzi Rossi.
 La sepoltura dei due individui avvenne sicuramente in momenti successivi e gli scarsi riguardi avuti nel seppellire la donna suggeriscono un modello funerario atto a dare importanza alla figura maschile. Tutte le sepolture possono essere datate al periodo chiamato Gravettiano e Epigravettiano, un intervallo temporale tra 29.000 e 19.000 anni fa.
Venere di Willendorf.
Molteplici sono le Veneri ritrovate ai Balzi Rossi, piccole statue femminili prodotte durante l'era del Paleolitico Superiore, distinguibili grazie ad una particolare industria litica Gravettiana (tra 29.000 e 21.000 anni fa). Ricavate da ossi, pietre o in avorio, sono statuette la cui altezza è mediamente di circa di 10 centimetri. Profili e forma presentano un'esagerato volume di seni, ventre e fianchi, mentre le altre parti del corpo e le gambe sono sottodimensionate, un'accentuazione degli attributi fisici femminili abbinati alla procreazione, caratteristici del culto della Dea Madre. Alcune di queste statuette mostrano rilevanti riserve di adipe nei glutei, simili a quelle delle donne Ottentotte africane, per cui gli scheletri dei Negroidi e queste raffigurazioni femminili fanno pensare che fra gli stanziamenti più recenti ci possano essere state genti africane. Un'altra Venere di 34.000/24.000 anni fa, è la famosa Venere di Willendorf, tra le più antiche espressioni artistiche della scultura.

Carta dell'Europa nel Paleolitico con i siti di ritrovamenti di Veneri, effigi
della dea Madre, fra cui i Balzi Rossi. Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Osso di Les Eyzies-de-Tayac
-Sireuil, sito in cui era
presente il tipo Cro-Magnon.
- L'interesse per il cielo, unico stabile riferimento, dovette essere enorme per gli antichi. Noi oggi non possiamo capirlo, perché sommersi da una tecnologia e da oggetti che danno per scontato quasi tutto; ma come riusciremmo a stabilire un rapporto col fluire delle cose se non osservando lo spettacolo del cielo stellato e il sorgere e tramontare degli astri? Così facevano i nostri antenati 30.000 anni fa. Così continuarono a fare per millenni. Nel paleolitico il computo del tempo era scandito dalle fasi lunari, in particolar modo dai "pleniluni", molto importanti per la luminosità dell'astro. Questo vistoso mutamento dell'aspetto della Luna veniva già registrato intorno al 30.000 a.C. su un osso lavorato ritrovato nella regione di Les Eyzies de Tayac, nel Perigord francese. Ci sono gli ossi, poi, decorati con tacche trasversali, segni interpretati da alcuni archeologi come dei "giochi aritmetici" ma che non hanno avuto a tutt'oggi una chiara e definitiva spiegazione. Un'ipotesi assai accreditata vedrebbe questi segni non come semplici decorazioni ma come particolari "tacche per conteggi". Secondo Alexander Marshack, ricercatore associato del Peabody Museum dell'Università di Harvard, si tratterebbe delle prime testimonianze di registrazioni del mutamento dell'aspetto della Luna. Questa ipotesi pone in evidenza un probabile conteggio dei giorni che compongono le lunazioni (mese sinodico). Questo, probabilmente, perché tale periodo si prestava abbastanza bene a scandire le uscite per la caccia o per altre attività confortate dalla luce della luna piena. In età antica, pare che fosse in uso incidere su osso le prime osservazioni astronomiche.
Osso di
Abri Lartet.
Si conservano ancora: un osso inciso da tacche trasversali proveniente da Kulna, in Cecoslovacchia; un osso inciso da piccole tacche trasversali disposte su una linea continua a forma di "U", proveniente da Gontzi, in Ucraina; il già menzionato osso istoriato da incisioni di forma circolare proveniente da Abri Blanchard, regione di Les Eyzies de Tayac, sita nel Perigord francese. Ma quello che ci pare di maggiore interesse è un osso istoriato di tacche trasversali e da incisioni di forma circolare proviene da Abri Lartet, ancora regione di Les Eyzies de Tayac. Questo oggetto, appartenente al Periodo Aurignaziano (30.000 a.C.), presenta serie di incisioni di 29 e 30 segni abbinate a cinque gruppi di tacche. I segni circolari sembrerebbero, anche in questo caso, avere la forma delle varie fasi lunari, riprodotte con la medesima sequenza con cui appaiono nella realtà. Secondo A. Marshack il conteggio delle lunazioni su questo oggetto venne fatto più volte e rappresenterebbe i giorni contenuti in un mese sinodico. Insomma, l'interesse dell'uomo per il cielo è più antico di quanto si possa credere. Si creò così una casta di specialisti, scienziati-sacerdoti, che ebbe il compito di tramandare agli altri le enormi conoscenze acquisite. E da qui, poi, la cosa passò nelle mani dei poeti, degli scrittori, dei filosofi (che furono essenzialmente degli scienziati, privi di un metodo, ma che per primi si posero delle domande sul perché dei fenomeni).

Ricostruzione di
banda di cacciatori-
raccoglitori paleolitici
nel Finalese. Clicca
 sull'immagine
per ingrandirla.
Dal 26.000 a.C. - Nella grotta delle Arene Candide si effettuano sepolture, e tale pratica si protrarrà fino al VII secolo. La Caverna delle Arene Candide è un importante sito archeologico in grotta situato nel comune di Finale Ligure in provincia di Savona. Le Arene Candide erano una duna di sabbia quarzosa, bianca (candida) che i venti dell'ultima glaciazione, che soffiavano con potenza doppia di quella attuale, avevano addossato al versante occidentale del promontorio della Caprazzoppa. Ritratta in alcune fotografie dei primi anni venti del Novecento, la duna è stata completamente rimossa dall'industria degli abrasivi. La cava di sabbia di quarzo ha successivamente lasciato il posto ad una grande cava di calcare che ha determinato l'attuale (degradata) situazione paesaggistica. L'ampia caverna, localmente nota un tempo come "Armassa", (“Arma” in ligure antico, lo conferma la toponomastica locale, significa grotta, riparo) che si apriva presso uno dei vertici della duna, è entrata nella letteratura archeologica come Caverna delle Arene Candide dopo gli scavi che Arturo Issel, fondatore dell'Istituto di geologia dell'Università di Genova, vi condusse fra il 1864 e il 1876 per provvedere reperti al nascente Museo Nazionale Etnografico e Preistorico (ora Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini) di Roma - EUR. La caverna è ora ubicata sul margine superiore del ciglio ovest della ex- cava Ghigliazza, circa 90 metri sul livello del mare, verso il quale presenta tre grandi aperture che la rendono, oggi come nel passato, relativamente illuminata ed asciutta. Attualmente si accede alla caverna dall'alto, con un percorso via Borgio che implica circa 30 minuti a piedi. La celebrità internazionale deriva dai fortunatissimi scavi che Luigi Bernabò Brea (primo Soprintendente Archeologo della Liguria) e Luigi Cardini (membro dell'Istituto Italiano di Paleontologia Umana) condussero negli anni 1940-42 e 1948-50 nella porzione sud orientale della caverna. Come noto quegli scavi conseguirono quella che ancora oggi è la più articolata stratigrafia del bacino del Mediterraneo (dal Paleolitico superiore gravettiano fino all'epoca bizantina, dal 26.000 a.C. al VII secolo d.C), in un contesto ambientale di giacitura estremamente favorevole alla buona conservazione dei reperti, soprattutto delle ossa e del materiale combusto. I resti delle ben 19 sepolture paleolitiche rinvenutevi, oltre a costituire uno dei più consistenti complessi funerari paleolitici del mondo, sono senz'altro quelli di gran lunga meglio conservati, con tutte le implicazioni sulla qualità delle informazioni scientifiche che gli antropologi possono attingere. Si segnala in particolare la ricchezza del corredo funebre di un adolescente che lo farà definire il giovane principe. Si tratta di quindicenne rinvenuto su uno strato di ocra rossa a sette metri dalla superficie, rivolto a sud, con un copricapo di nasse dorate, monili di conchiglie, ossa, corna di cervo lavorate e una lunga selce in mano. La ferita mortale al mento risultava ricomposta con ocra gialla prima della sepoltura. Numerosi materiali ceramici, strumenti in pietra scheggiata, osso, conchiglia e altre materie prime impiegati dalle popolazioni del Paleolitico e del Neolitico che abitarono nella Caverna delle Arene Candide sono esposti presso il Museo Archeologico del Finale (Finale Ligure Borgo - SV).

Carta della Francia con l'ubicazione
di Montferrand du Périgord, in rosso.
Dal 25.000 a.C. - Dal Paleolitico Superiore, si diffonde in Europa l'odierno Homo sapiens, di cui l'Uomo di Combe-Capelle è un tipo o varietà, con reperti che risalgono al 25.000 a.C.. Secondo la tesi comunemente accettata, proveniva dall'Asia. Il tipo di Combe-Capelle è così chiamato dal luogo in cui è stato rinvenuto un suo scheletro, nel 1909, presso Monferrand (nel Perigord francese). Inizialmente datato al 40.000 a.C., in seguito ad analisi isotopiche il reperto è stato fortemente postdatato al 7.575 a.C., togliendolo di fatto dai sapiens più antichi d'Europa. Viene a volte considerato come paleo-mediterraneo e a volte anche come paleo-australoide. Le sue caratteristiche essenziali sono:
- Cranio di contorno pentagonoide-ellissoide, con fronte piuttosto sfuggente e volume di 1400 cc.;
- Arcate sopraciliari prominenti con orbite basse, ma meno dei Cromagnon;
- Volta abbastanza alta e rotondeggiante;
- Statura media o anche bassa;
- Faccia tendente alla leptoprosopia e quindi non larga come nei Cro-Magnon;
- Prognatismo totale e naso largo (camerrinia);
Al tipo di Combe-Capelle vengono attribuiti esemplari diversi, tutti accompagnati da cultura Gravettiana: due esemplari di Brünn (Brno in Moravia, del 25.000 a.C.), due esemplari di Pavlov nella Russia europea (del 25.000 a.C.) e con anche alcune caratteristiche cromagnonoidi, lo scheletro di un giovane delle Arene Candide in Liguria (del 18.000 a.C.) e lo scheletro di un giovane nella Grotta Paglicci nel Gargano (18.000 a.C.). Gli aborigeni dell'Australia e gli Ainu dell'isola di Hokkaidō, in Giappone (che però si distinguono per il fatto di avere la fronte piuttosto diritta), ricordano particolarmente il tipo Combe-Capelle, ma si sottolinea che a oggi, questa tipologia è abbastanza diffusa in tutte le popolazioni europoidi, giacché la morfologia di Combe-Capelle può essere considerata paleomediterranea.

Nel 18.000 a.C. - Si ha la massima estensione dei ghiacci durante la glaciazione di Würm. Si ritiene che in questo periodo sia avvenuta l'invenzione dell'arco, seguita all'invenzione della lancia, avvenuta diverse migliaia di anni prima, che permetterà la pratica abituale della caccia grossa.

- A Settepolesini di Bondeno (Ferrara) i ricercatori dell'Università di Ferrara hanno recuperato, a 30 m di profondità del paleoalveo del Po, numerosi resti fossili di animali che vivevano lungo il fiume.
Settepolesine di Bondeno, la
draga che aspira sabbia dal
paleoalveo del Po. Archivio
privato B. Sala.
Il sito fluviale contiene sedimenti alluvionali del Po dell’Ultimo Glaciale. Scavando la sabbia fino ad una trentina di metri di profondità per attività industriali, la ditta SEI dei signori Orpelli ha messo in luce numerosi resti fossili di animali che vivevano lungo il grande fiume padano le cui carcasse, dopo un periodo di galleggiamento e trasporto, finivano a brani sul fondo del fiume. Essendo un punto di stanca di corrente, l’area di Settepolesini è molto ricca di questi resti fossili perché presumibilmente le carcasse terminavano la loro corsa proprio lì. Grazie ad un consorzio di tre enti ferraresi, Provincia, Cassa di Risparmio e Università, è stato possibile, con il permesso dei proprietari della ditta di scavo, per alcuni anni seguire il vaglio del materiale di risulta e raccogliere i resti fossili sotto la direzione del prof. Sala. 
Megacero, ricostruzione in pelle
eseguita dall'IBC della Regione
Emilia-Romagna (archivio
privato B. Sala)
Si sono così collezionate alcune centinaia di ossa, anche intere. 
Esse sono state determinate e il loro studio ha permesso di ricostruire il popolamento a grandi mammiferi della Pianura Padana durante l’Ultimo Glaciale (Gallini & Sala, 1999; 2000; 2001; 2002; Sala, 2001; 2002; Sala & Gallini, 2002). La ricerca ha fornito inoltre la possibilità di ricostruire alcune fasi climatiche distinte, la più interessante delle quali è quella fredda, relativamente umida, che ha favorito nell’area della Pianura Padana e nell’Alto Adriatico, allora emerso, la formazione di una steppa arida a mammut (Rekovets, 2001). L’importanza di questo sito ha fornito l’occasione per la sua divulgazione con attività didattiche, mostre e la ricostruzione in grandezza naturale di cinque fra i più importanti mammiferi fossili presenti: il rinoceronte lanoso, il mammut, il bisonte, il megacero e l’alce. Le ricostruzioni sono state possibili grazie al generoso intervento della Regione Emilia Romagna (Sala, 2012; 2016; 2017).

Nel 15.000 a.C. - Alla fine della glaciazione di Würm, in cui l'estensione massima dei ghiacci risale a circa 18.000 anni fa, in concomitanza al ritiro dei ghiacci avviene la seconda colonizzazione dell'Europa  continentale da parte di popolazioni di ritorno dalle zone di rifugio nel sud europeo.

Menhir di Carnac.
- Alcuni menhir (come a Carnac in Bretagna, Francia) sono enormi. Mentre i menhir e i dolmen, nell’Europa occidentale, sono generalmente datati dal III° al II° millennio a.C. e sono perlopiù grandi pietre sbozzate e allungate con forme armoniose o accatastate nel caso del dolmen, altri megaliti sono antropomorfi o zoomorfi. In tutti e tre i casi è arte applicata al monumento a fini di culto, ma i menhir antropomorfi  sono molto più antichi rispetto agli altri e alcuni sono paleolitici, cioè hanno oltre 12.000 anni; questa è l’opinione degli archeologi che ricercano l'arte megalitica antropomorfica. I menhir antropomorfi e la sculture rupestri antropomorfe, rappresentano soggetti di culto a cui si ispiravano gli stessi che li producevano. Nelle zone in cui c’erano delle rupi, si scolpivano le rupi e dove non ce n’erano, si faticava di più, dovendo estrarre ed innalzare  i massi dal terreno oppure trasportarli nei luoghi di culto da lontano, ma con lo stesso risultato, applicando comunque una tecnica di costruzione, sbozzatura e logistica pesante, oltre alla determinazione di precisi equilibri. Al Paleolitico superiore sono attribuiti molti grandi menhir antropomorfi di Carnac. Nel Paleolitico superiore in Europa troviamo civiltà molto diverse da zona a zona, ma le due più importanti sono quella degli scultori della pietra con soggetti di culto antropomorfi (con forma umana) che non conoscevano la pittura, e quella dei pittori con soggetti zoomorfi (a forma di animali), che dipingevano nelle grotte (Francia, Spagna, ecc.) e che non scolpivano la pietra. Per interpretare il significato della scultura antropomorfa paleolitica è necessario fare parallelismi storici ed etnografici con civiltà che hanno avuto o che adottano ancora, la scultura antropomorfa. 

"Cavallo Cinese" delle Grotte di Lascaux.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- Al 15.000 a.C. risalgono i più antichi graffiti nelle Grotte di Lascaux, a proposito delle culture dei pittori con soggetti zoomorfi (a forma di animali), che dipingevano nelle grotte (come dai ritrovamenti in Francia, Spagna, ecc.) e che non scolpivano la pietra. Le Grotte di Lascaux sono un complesso di caverne che si trova nella Francia sud-occidentale. Le grotte si trovano vicino al villaggio di Montignac, nel dipartimento della Dordogna. Nelle grotte si trovano esempi di opere di arte parietale risalenti al Paleolitico superiore: molte di queste opere vengono fatte risalire ad una data compresa fra il 13.000 ed il 15.000 a.C. Il tema più comunemente rappresentato è quello di grandi animali dell'epoca (fra i quali l'uro, oggi estinto), resi con grande ricchezza di particolari. Il complesso di caverne venne scoperto il 12 settembre 1940 da quattro ragazzi francesi: Marcel Ravidat, Jacques Marsal, Georges Agnel e Simon Coencas. Dopo la fine della seconda guerra mondiale le caverne vennero aperte al turismo di massa, ma nel 1955 l'anidride carbonica prodotta da 1.200 visitatori al giorno aveva visibilmente danneggiato le pitture. Nel 1963 le caverne vennero chiuse al pubblico e i dipinti vennero restaurati al loro stato originale.
Insieme di pitture rupestri nelle Grotte
di Lascaux. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
Dal 1998, infestazioni fungine hanno invaso ampie parti del complesso e richiesto interventi straordinari di manutenzione; dal 2008, a seguito del peggioramento della situazione (con una nuova infestazione avviatasi nel 2007) e delle difficoltà per rimuoverne le tracce, le grotte sono state completamente chiuse al pubblico. È stato attivato un comitato scientifico internazionale, finalizzato a studiare le migliori modalità di tutela e ripristino ambientale del complesso. Oggi i dipinti sono monitorati regolarmente, per cercare di evitare il loro ulteriore deterioramento.
Grotta Ruffignac: pitture rupestri di
animali fra cui i mammuth.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Le sale più famose che compongono il complesso di grotte di Lascaux sono:
- la grande sala dei tori,
- il passaggio laterale,
- la lancia dell'uomo morto,
- la galleria dipinta,
- il diverticolo dei felini.
Nel 1983 è stata aperta Lascaux II, una replica della grande sala dei tori e della galleria dipinta, situata a circa 200 metri dalle grotte originali. Ad alcuni chilometri da Montignac, nel parco di Le Thot, sono esposte altre riproduzioni dei dipinti delle grotte di Lascaux.
La grotta di Lascaux viene anche chiamata la "Cappella Sistina del Paleolitico".
Scena del pozzo a Lascaux.
Di un interesse particolare è la cosiddetta "scena del pozzo" di Lascaux, la più antica rappresentazione della danza e del ballo in un graffito che rappresenta uno stregone nell'atto di svolgere una danza rituale. Qui, secondo Michael Rappenglück, della Facoltà di Matematica e di Scienze Informatiche dell'Università "Ludwig-Maximilians", a Monaco di Baviera, l'immagine dello sciamano che affronta lo spirito del bisonte è da porre in relazione ad alcune costellazioni che passavano in meridiano alla mezzanotte del solstizio d'estate del 16.500 a.C.

Grotte di Borgio Verezzi,
limitrofe alle grotte di Toirano.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- Nelle grotte di Toirano sono visibili segni di frequentazioni riconducibili a questo periodo.
Reperto di Orso delle caverne
alle grotte di Toirano.
Clicca sull'immagine per ingrandirla. 
Le grotte di Toirano, in provincia di Savona, sono un complesso di cavità carsiche di rilevanza turistica, particolarmente note per la varietà di forme di stalattiti e stalagmiti, per la loro estensione, per la perizia con cui le guide illustrano il percorso turistico lungo oltre un chilometro, per il ritrovamento di tracce dell'Homo Sapiens di oltre 12.000 anni fa e resti di ursus spelaeus di circa 25.000 anni di età.
Ricostruzione dello scheletro di
orso delle caverne. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
L’orso delle caverne che viveva in Liguria durante il grande freddo dell’ultima glaciazione, era più grande dell’orso bruno attuale e trascorreva nelle grotte il letargo invernale; si è estinto 10.000 anni fa per motivi ancora poco chiari. 
È stato ritrovato nelle grotte di Toirano, che sono uno dei più importanti complessi di cavità naturali in Italia, con oltre 50 caverne naturali attrezzate.
Impronte umane fossili nelle grotte
di Toirano. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
Le straordinarie grotte di Toirano sono di origine calcarea e si sono create da fiumi sotterranei ritiratisi nel corso dei secoli, formando eccezionali effetti scenici: ampi saloni con stalattiti e stalagmiti di ogni dimensione e fiori di cristallo rarissimi.
Uomo-bisonte, graffito alto 25 cm., da
Le Gabillou in Dordogna, Francia, del
13.000-12.000 a.C.. Di José-Manuel
Benito - Opera propria, Pubblico
=2050910 presa QUI
La Grotta del Colombo e la Grotta di S. Lucia, sono le cavità più note, con mille stalattiti affusolate.
Nella Grotta della Strega si susseguono incontri affascinanti, dal "cimitero degli orsi", dove si sono sovrapposte nel tempo ossa d'orsi delle caverne, al "corridoio delle impronte", caratterizzato dai calchi umani di mani annerite dall'uso di torce nelle pareti, graffi, unghiate e impronte d`orso e impronte di piedi umani a terra, alla "sala dei misteri", luogo probabilmente ad uso rituale.

Carta con antichi siti preistorici europei. In ordine cronologico: la
la Grotta del Vallonet a Mentone, i Balzi Rossi a Ventimiglia, Cro-
Magnon a Les Eyzies-de-Tayac-Sireuil, la Grotta delle Arene
Candide a Finale Ligure, le Grotte di Lascaux in Dordogna, le
Grotte di Toirano nel savonese e Combe-Capelle a Montferrand
du Périgord.

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.4: dal 40.000 al 15.000 p.e.v. (a.C.)" QUI.

Nell' 11.000 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, accortosi che il passaggio di Nibiru in prossimità della Terra provocherà un immenso maremoto, Enlil costringe gli Anunnaki a giurare di non rivelare all'umanità la catastrofe imminente. Enki rompe il giuramento e dà istruzioni a Ziusudra/Noè di costruire un'imbarcazione sommergibile. Il Diluvio spazza tutta la Terra; gli Anunnaki assistono alla distruzione totale dalla loro navicella rimasta in orbita.

Dal 10.800 al 9.500 a.C. - Brusco raffreddamento climatico (Younger Dryas). Il Dryas recente, chiamato così dal fiore selvatico alpino o della tundra, Dryas octopetala, riferito anche come il Grande Congelamento, è stato un periodo geologicamente breve (approssimativamente 1.300 ± 70 anni) di clima freddo, approssimativamente compreso tra 12.800 e 11.500 anni fa, e precedente il Preboreale del primo Olocene. Il Dryas recente vide un rapido ritorno alle condizioni glaciali alle latitudini più alte dell'Emisfero Settentrionale, in netto contrasto con il riscaldamento della precedente deglaciazione dell'interstadiale. Ogni transizione accadeva oltre il periodo di circa una decade. I dati raccolti indicano che in Groenlandia fosse ~15 °C più freddo ad oggi e per quanto riguarda le Isole britanniche suggeriscono che la temperatura media annuale si fosse abbassata approssimativamente di 5 °C, che nelle zone pianeggianti prevalessero condizioni periglaciali, mentre nelle aree montuose si formavano banchise e ghiacciai. Nell'Europa occidentale e Groenlandia, il Dryas recente è stato un periodo freddo e simultaneo ben definito.Da allora, non si è più verificato alcun periodo di cambiamento climatico improvviso di tale estensione e rapidità. Altre caratteristiche notate includono: sostituzione della foresta scandinava con la tundra glaciale (la quale è l'habitat della pianta Dryas octopetala), glaciazione o aumento di neve sulle catene montuose di tutto il mondo, formazione di strati di soliflussione (flussione del suolo, fenomeno franoso in cui i sedimenti superficiali saturi d'acqua si muovono lentamente lungo il pendio, al disopra di rocce impermeabili) e depositi di loess (sedimento eolico molto fine, delle dimensioni del limo nei fiumi) nell'Europa Settentrionale, più polvere nell'atmosfera originata dai deserti dell'Asia, siccità nel Levante che forse motivò la cultura natufiana a la scoperta dell'agricoltura, declino della cultura Clovis (detta anche cultura Llano, cultura preistorica nativa americana di circa 13.500 anni fa) ed estinzione di specie animali nel Nord America. Le glaciazioni precedenti probabilmente non hanno manifestato caratteristiche repentine simili al Dryas recente, suggerendo così che la sua causa sia stata scatenata da un evento fortuito. C'è l'evidenza che il cosiddetto impatto cosmico del Dryas recente, 12.900 anni fa nel Nord America avrebbe potuto fare iniziare il raffreddamento del Dryas recente e il collo di bottiglia genetico o l'estinzione imminente delle genti di Clovis. L'impatto cosmico del Dryas recente o l'ipotesi della cometa di Clovis si riferisce ad una presunta grande esplosione avvenuta nell'atmosfera terrestre, o ad un impatto di un oggetto o di più oggetti provenienti dallo spazio esterno, ai quali si attribuisce l'innesco di un periodo di freddo, diffuso su tutto il pianeta, chiamato Dryas recente, risalente a 10.900 anni fa. Gli oggetti provenienti dallo spazio, secondo la teoria, sarebbe stato un raro sciame di condriti carbonacee o comete che impattarono su vaste aree del continente nord americano, producendo numerosissimi incendi diffusi su tutta l'America del Nord causando, nella fase finale della Glaciazione Würm, l'ultima, l'estinzione degli animali più grandi e la fine della cultura Clovis. Questo sciame sarebbe esploso al di sopra o sul ghiacciaio continentale del Laurentide, situato a nord dei Grandi Laghi. Un'esplosione in quota di questo tipo di meteoriti, sarebbe stata simile, ma molto più potente, dell'evento di Tunguska in Siberia, avvenuto nel 1908, con il conseguente incendio delle foreste da costa a costa, che devastò tutta la superficie del continente nord americano, condannando alla fame i superstiti animale e umani.

Nel 10.500 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Enlil acconsente a concedere a ciò che resta del genere umano utensili e sementi; tra le montagne comincia l'agricoltura. Enki addomestica gli animali. I discendenti di Noè ottengono in sorte tre regioni. Ninurta, il più importante dei figli di Enlil, bonifica le montagne e drena i fiumi per rendere abitabile la Mesopotamia; Enki rivendica la valle del Nilo. Gli Anunnaki mantengono il possesso della penisola del Sinai per costruirvi un porto spaziale post-diluviano; un centro di controllo viene istituito sul Monte Moriah (la futura Gerusalemme).

Nel 10.000 a.C. - Secondo gli organi ufficiali della comunità scientifica finisce la PREISTORIA e inizia la PROTOSTORIA (fino al 3.500 a.C.).

Pietra focaia del Mesolitico, da https
://www.catawiki.it/l/26553541-preisto
rico-mesolitico-epipaleolitico-pie
tra-focaia-assi-centrali-oggetti-
perfetti-9-cm-2
Dal 10.000 a.C. - Verso la fine del Grande Congelamento (Younger Dryas), si avvia la terza e ultima grande colonizzazione dell'Europa e mentre sta nascendo nel Vicino Oriente l'agricoltura che segnerà la "rivoluzione neolitica", inizia il periodo culturale definito Mesolitico o epipaleolitico (epi significa ‘sopra’ o, più genericamente ‘sovrapposizione, aggiunta, ripetizione, successione’), il periodo intermedio dell'Età della pietra, l'età della pietra di mezzo, che inizia dalla fine del Pleistocene con l'Olocene e che sarà sostituito, nelle Culture stanziali che adotteranno agricoltura-allevamento-ceramica, dal Neolitico. Durante il Mesolitico si elaborano tecniche sofisticate di lavorazione della pietra, come quella della "microlitica", nella quale piccole schegge di selce fissate a manici in legno o in osso sono utilizzate per costruire utensili per la caccia e la raccolta dei vegetali spontanei. Si ha inoltre uno sviluppo delle armi da lancio e in particolare si generalizza l'impiego dell'arco e della freccia, soprattutto in Europa. Ciò è dovuto a rilevanti cambiamenti climatici che determinano la scomparsa di grandi animali come il mammut e la comparsa e proliferazione di boschi e foreste. Le abitazioni sono costituite da capanne che formano villaggi, mentre si assiste ad una crescita demografica senza precedenti. Nel Mesolitico l'Homo sapiens rappresenta sulla roccia nuove immagini, non più quelle raffiguranti uomini a caccia di mammiferi di grossa taglia, poiché questo periodo è caratterizzato dallo svilupparsi del bosco, ambiente non adatto alla sopravvivenza di tali animali, che migrano verso Nord. I cacciatori-raccoglitori dell'epipaleolitico, che in genere sono nomadi, costruiscono strumenti relativamente avanzati da piccole pietre o lame di ossidiana, conosciuti come microliti, abbinati a strumenti di legno (es. manici, archi, frecce) . Le tecniche principali dell'arte mesolitica sono, come sempre, il graffito e l'arte rupestre. Intanto la cultura natufiana del Levante stava adottato stanziamenti permanenti, anche perché vi si stava sviluppando una proto-agricoltura cerealicola, prodromi della "rivoluzione neolitica".
Il Levante, da https://it.wiki
pedia.org/wiki/Levante_
(regione_storica)
Il Levante è un'ampia area del Sudovest asiatico a sud delle Montagne del Tauro, delimitata ad ovest dal Mar Mediterraneo, a sud dal deserto Rub' al-Khali e ad est dalla Mesopotamia, che non include l'Anatolia. La cultura natufiana o natufita si era diffusa sulle coste orientali del Mar Mediterraneo, nella regione del Levante. Prende il nome dal sito dello Wadi el-Natuf (caverna di Shukbah) in Palestina. La datazione con il metodo del radiocarbonio colloca questa cultura alla fine del Pleistocene (tra 12.500 e 10.200 anni fa). È caratterizzata dalla creazione di insediamenti stabili prima dell'introduzione dell'agricoltura e fu probabilmente l'antenata delle culture neolitiche della regione, che sono ritenute le più antiche del mondo. Mentre certamente vi si faceva uso di cereali selvatici, alcuni elementi permettono di attribuire alla cultura natufiana le prime coltivazioni deliberate di cereali, probabilmente motivate dalla grande siccità nel Levante durante il Grande Congelamento del 10.800-9.500 a.C., che limitava il ritrovamento di vegetali spontanei.

- Nella regione finnico-baltica sono stanziate genti finniche fin dal 10.000 a.C. circa. Le tracce più antiche di insediamenti umani sono connesse con le culture di Suomusjärvi e di Kunda. L'antico insediamento mesolitico di Pulli è localizzato presso il fiume Pärnu, e risale all'inizio del XIX millennio a.C. La cultura di Kunda ricevette il suo nome dal sito dell'insediamento di Lammasmäe nell'Estonia settentrionale, che risale più di 8.500 anni fa. Manufatti in ossa e pietra simili a quelli trovati a Kunda sono stati scoperti altrove in Estonia, come pure nella Lettonia, Lituania settentrionale e Finlandia meridionale. Alcuni ricercatori hanno anche argomentato che una forma di lingua uralica possa essere stata parlata in Estonia e Finlandia fin dalla fine dell'ultima glaciazione.

- Alla fine del Gran Congelamento (Younger Dryas), iniziano ad affluire a più riprese in Europa orientale, dall'unico passaggio continentale ormai a clima temperato e quindi adatto a gruppi di cacciatori-raccoglitori, popolazioni di cultura kurganica progenitrici di varie popolazioni europee definite in seguito di provenienza indoeuropea.

Diffusione delle popolazioni
proto-Liguri in Europa occidentale.
- Intanto l'Europa occidentale è abitata da una civiltà protoligure che parla una lingua di cui il basco rappresenterà una reliquia. Questa civiltà, autoctona e non indoeuropea, con vocazione megalitica, potrebbe essere derivata da gruppi del genere Cro-Magnon, i cui progenitori potrebbero essere migrati dall'Africa attraversando lo stretto di Gibilterra, come suggerisce l'analisi genetica degli europei e visto che l'area in cui si sono rinvenuti il maggior numero di antichi megaliti rimane nei pressi dello stretto, nel sud della penisola iberica. Secondo una mappatura dell'eredità genetica degli Europei, l'aplogruppo R1b è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun settentrionale.
Diffusione dell'aplogruppo R1b
in Europa. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si è concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi del clima a partire da 14.000 anni fa. E' presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale. L'Aplogruppo R1b (Y-DNA), viene ritenuto essere la più antica linea genetica europea, associata ad un effetto del fondatore verificatosi nell'Europa centro occidentale. Le popolazioni stanziatesi in Italia dal Mesolitico sono caratterizzate da alte frequenze di R1 (xR1a1), condizione che si ritrova ad oggi nelle popolazioni basche, ritenute le più somiglianti geneticamente ai primi europei. Durante il Neolitico i migranti introducono le varianti E3B1 e J2, il 27% delle variazioni genetiche totali, basate sull'analisi dei polimorfismi indicano un chiaro gradiente di distribuzione della popolazione italiana sull'asse nord-sud della penisola. Le variazioni introdotte nel Neolitico non sembrano essere dovute a flussi migratori provenienti dalla Spagna, ma si configurano come migrazioni provenienti dall'Asia o dall'Anatolia attraverso l'attuale area Balcanica: le migrazioni degli indoeuropei.

Carta fisica del nostro mondo, il pianeta Terra.

Carta che individua la collocazione
di Gobekli Tepe. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
- Nel 10.000 a.C. una comunità di cacciatori-raccoglitori della mezzaluna fertile, costruisce un tempio caratterizzato da elementi megalitici con sculture di animali. Göbekli Tepe (la cui traduzione è collina tondeggiante in turco), Portasar in armeno, Girê Navokê in curdo, è un sito archeologico a circa 18 km. a nord-est dalla città di Şanlıurfa nell'odierna Turchia, presso il confine con la Siria, risalente all'inizio del Neolitico, (Neolitico preceramico A) o alla fine del Mesolitico. Vi è stato rinvenuto il più antico esempio di tempio in pietra, iniziato attorno al 10.000 a.C., la cui erezione dovette interessare centinaia di uomini nell'arco di tre o cinque secoli. Le più antiche testimonianze architettoniche note in precedenza erano le ziggurat babilonesi, datate 5.000 anni più tardi. Intorno all'8.000 a.C. il sito venne deliberatamente abbandonato e volontariamente seppellito con terra di riporto.
Il sito archeologico di Gobekli Tepe.
 Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Il sito si trova su una collina artificiale alta circa 15 m. e con un diametro di circa 300 m. situato sul punto più alto di un'elevazione di forma allungata, che domina la regione circostante, tra la catena del Tauro e il Karaca Dağ e la valle dove si trova la città di Harran.
Il sito utilizzato dagli umani avrebbe avuto un'estensione da 300 a 500 m². Gli scavi hanno ridato alla luce un santuario monumentale megalitico, costituito da una collina artificiale delimitata da muri in pietra grezza a secco. Sono inoltre stati rinvenuti quattro recinti circolari, delimitati da enormi pilastri in calcare pesanti oltre 15 tonnellate ciascuno, probabilmente cavati con l'utilizzo di strumenti in pietra. Secondo Klaus Schmidt, il direttore dello scavo, le pietre drizzate in piedi e disposte in circolo, simboleggerebbero assemblee di uomini.
Carta che individua la collocazione
di Gobekli Tepe.  Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
Sono state riportate in luce circa 40 pietre a forma di T, che raggiungono i 3 m. di altezza. Per la maggior parte sono incise e vi sono raffigurati diversi animali (serpenti, anatre, gru, tori, volpi, leoni, cinghiali, vacche, scorpioni, formiche). Alcune incisioni vennero volontariamente cancellate, forse per preparare la pietra a riceverne di nuove. Sono inoltre presenti elementi decorativi, come insiemi di punti e motivi geometrici. Indagini geomagnetiche hanno indicato la presenza di altre 250 pietre ancora sepolte nel terreno. Un'altra pietra a forma di T, estratta solo a metà dalla cava, è stata rinvenuta a circa 1 km dal sito. Avrebbe avuto una lunghezza di circa 9 m. ed era probabilmente destinata al santuario, ma una rottura costrinse ad abbandonare il lavoro.
Nel sito di Gobekli Tepe.
  Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
Le raffigurazioni di animali hanno permesso di ipotizzare un culto di tipo sciamanico, antecedente ai culti organizzati in panteon di divinità delle culture sumera e mesopotamiche. Lo studio degli strati di detriti accumulati sul fondo del lago di Van in Anatolia ha prodotto importanti informazioni sui cambiamenti climatici del periodo, individuando una consistente crescita della temperatura intorno al 9.500 a.C. I resti di pollini presenti nei sedimenti hanno permesso di ricostruire una flora composta da querceginepri e mandorli. Fu forse il cambiamento climatico a determinare una progressiva sedentarizzazione delle genti che costruirono il sito. All'inizio degli anni novanta lo studioso di preistoria Jacques Cauvin ha ipotizzato che lo sviluppo delle concezioni religiose avrebbe costituito una spinta alla sedentarizzazione, spingendo gli umani a raggrupparsi per celebrare riti comunitari. La presenza di una struttura monumentale dimostra che anche precedentemente allo sviluppo dell'agricoltura e nell'ambito di un'economia di caccia e raccolta, gli uomini possedevano mezzi sufficienti per erigere strutture monumentali. Secondo il direttore dello scavo fu proprio l'organizzazione sociale necessaria alla creazione di questa struttura a favorire uno sfruttamento pianificato delle risorse alimentari e lo sviluppo delle prime pratiche agricole. Il sito si trova infatti nella regione della Mezzaluna fertile, dove era presente naturalmente il grano selvatico.
Nel sito di Gobekli Tepe. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Nessuna traccia di piante o animali domestici è stata tuttavia rinvenuta negli scavi, e mancano inoltre resti di abitazioni. A circa 4 m. di profondità, ossia ad un livello corrispondente a quello della costruzione del santuario, sono stati rinvenute tracce di strumenti in pietra (raschiatoi e punte per frecce, insieme ad ossa di animali selvatici (gazzelle e lepri), semi di piante selvatiche e legno carbonizzato, che testimoniano la presenza in questo periodo di un insediamento stabile. Klaus Schmidt in "Costruirono i primi templi", come proposta di tipo speculativo, lascia intendere che la civiltà sviluppata nella provincia di Urfa, che aveva qui uno dei suoi principali templi noti (definibile anche come archetipo di anfizonia, o "anfizonia dell'età della pietra"), sarebbe stata trasfigurata nel mito dei monti di Du-Ku della cosmogonia sumera: in questi monti sarebbero esistite le prime divinità (non dotate di nomi individuali, ma semplici spiriti, retaggio degli spiriti sciamanci) e i Sumeri ritenevano che gli umani vi avessero appreso l'agricoltura, l'allevamento e la tessitura (vi sono forti indizi che almeno i primi due di questi elementi siano effettivamente comparsi in questa zona verso la fine, o comunque durante, la costruzione del complesso megalitico).
Il pastore Curdo che si rese conto
dei tesori sepolti a Gobekli Tepe,
alle sue spalle. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
Ian Hodder, del programma archeologico della Stanford University, ha detto a proposito del sito: “Molte persone pensano che questo possa cambiare tutto. Cambia completamente le carte in tavola. Tutte le nostre teorie erano sbagliate. Le teorie sulla ‘rivoluzione del Neolitico’ hanno sempre sostenuto che tra 10 e 12 mila anni fa agricoltori ed allevatori hanno iniziato a creare villaggi, città, lavori specializzati, scrittura, e tutto ciò che sappiamo delle antiche civiltà. Ma uno dei punti salienti delle vecchie teorie è che sia nata prima la città, e solo dopo i luoghi di culto. Ora invece sembra che la religione sia apparsa prima della vita civilizzata ed organizzata in centri urbani, anzi, che sia stata quasi il motore primario per la creazione di città.”
Nel sito di Gobekli Tepe.
Clicca sull'immagine
 per ingrandirla.
La datazione al radiocarbonio mostra che il complesso è di almeno 12.000 anni, forse anche 13.000 anni fa. Ciò significa che fu eretto intorno al 10.000 a.C. A titolo di confronto, Stonehenge risale al 3.000 a.C. e le piramidi di Giza al 2.500 a.C.; Gobekli è quindi il più antico di tali siti nel mondo, con un ampio margine. E’ così vecchio che precede la vita sedentaria dell’uomo, prima della ceramica, della scrittura, prima di tutto. Gobekli proviene da una parte della storia umana che è incredibilmente lontana, nel profondo passato dei cacciatori-raccoglitori. Come poterono gli uomini delle caverne costruire qualcosa di così ambizioso? Schmidt pensa che bande di cacciatori si riunissero sporadicamente nel sito, durante i decenni di costruzione e vivessero in tende di pelle di animali uccidendo la selvaggina locale per nutrirsi. Le molte frecce di selce trovate presso Gobekli giocano a sostegno di questa tesi, e sostengono anche la datazione del sito.
Nel sito di Gobekli Tepe.
Clicca sull'immagine
 per ingrandirla.
Questa rivelazione, che i cacciatori-raccoglitori dell’Età della Pietra potrebbero avere costruito qualcosa come Gobekli, cambia radicalmente la nostra visione del mondo, perché mostra che la vita degli antichi cacciatori-raccoglitori, in questa regione della Turchia, era di gran lunga più progredita di quanto si sia mai concepito. Klaus Schmidt, sovrintendente agli scavi, ha detto che, a suo parere, questo era il sito del biblico giardino di Eden. Più in particolare: "Gobekli Tepe è un tempio dell’Eden.". Per capire come un rispettato accademico della statura Schmidt possa fare una tale affermazione da capogiro, è necessario sapere che molti studiosi vedono l'Eden storia come una leggenda, o allegoria. Vista in questo modo, la storia dell'Eden, nella Genesi, parla di un’umanità innocente e di un passato di cacciatori-raccoglitori che potevano nutrirsi con la raccolta delle frutta dagli alberi, la caccia e la pesca nei fiumi, e trascorrere il resto del tempo in attività di piacere. Poi l’uomo ‘precipitò’ in una vita più dura, con la produzione agricola, con la fatica incessante e quotidiana. E sappiamo dalle testimonianze archeologiche che la primitiva agricoltura è stata dura, rispetto alla relativa indolenza della caccia. Quando avvenne la transizione dalla caccia e dalla raccolta all’agricoltura stanziale, gli scheletri mutarono, e per un certo tempo crebbero più piccoli e meno sani, perché il corpo umano si doveva adattare a una dieta più povera di proteine e ad uno stile di vita più faticoso, e allo stesso modo, gli animali da poco addomesticati diventarono più piccoli di taglia.
Nel sito di Gobekli Tepe. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Ciò solleva la questione: perché l'agricoltura fu adottata da tutti? Molte teorie sono state proposte, a partire dalle concorrenze tribali, la pressione della popolazione, l'estinzione di specie animali selvatiche. Ma Schmidt ritiene che il tempio di Gobekli riveli un'altra possibile causa, e aggiunge: "Per costruire un posto come questo, i cacciatori devono essersi riuniti in gran numero. Dopo avere finito l’edificio, probabilmente rimasero riuniti per il culto. Ma poi scoprirono che non potevano alimentare tante persone con una regolare attività di caccia e raccolta. Penso, quindi, che abbiano iniziato la coltivazione di erbe selvatiche sulle colline. La religione spinse la gente ad adottare l'agricoltura."
Klaus Schmidt accanto alle sommità
di monoliti che attendono di essere
riportati alla luce. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Il fantastico mondo “animalista” di Gobekli Tepe si decompone con l’origine dell’agricoltura, che sappiamo provocò “gracilizzazione” nei neolitici, oltre all’insorgenza di nuove malattie e all'aumento del carico di lavoro. Benché tutto questo sia ampiamente bilanciato dal successo quantitativo della specie in termine di aumento della popolazione, tuttavia si può rilevare che l’origine dell’agricoltura è il più antico caso osservabile in cui all’aumento del PIL non corrisponde un miglioramento della qualità della vita. Il passaggio alla produzione agricola è accaduto prima proprio in questa regione, queste pianure dell’Anatolia sono state la culla dell'agricoltura.
Il primo allevamento di suini addomesticati del mondo era a Cayonu, a sole 60 miglia di distanza. Anche ovini, bovini e caprini sono stati addomesticati per la prima volta nella Turchia orientale. Il frumento di tutto il mondo discende da una specie di farro, prima coltivata sulle colline vicino a Gobekli. La coltivazione di altri cereali domestici, come segale e avena, è iniziata qui.
Klaus Schmidt nel sito di Gobekli Tepe.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Ma c'è stato un problema per questi primi agricoltori, che non è stato solo quello di aver adottato uno stile di vita più dura, anche se in ultima analisi più produttiva, ma hanno anche conosciuto una crisi ecologica. In questi giorni il paesaggio che circonda le misteriose pietre di Gobekli è arido e brullo, ma non è stato sempre così. Come le incisioni sulle pietre mostrano, e come resti archeologici rivelano, questa era una volta una ricca regione pastorale. C’erano mandrie di selvagginafiumi ricchi di pesce, e stormi d’uccelliverdi prati erano inanellati da boschi frutteti selvatici. Circa 10.000 anni fa, il deserto curdo era un "luogo paradisiaco", come dice Schmidt. Quindi, che cosa ha distrutto l'ambiente? La risposta è: l'uomo. Quando abbiamo iniziato a praticare l'agricoltura, abbiamo cambiato il paesaggio e il clima. Quando gli alberi sono stati tagliati, il suolo è stato dilavato via; tutto ciò che l'aratura e la mietitura hanno lasciato è stato il terreno eroso e nudo. Ciò che una volta era una piacevole oasi è diventata una terra di stress, fatica e rendimenti decrescenti. E così, il paradiso è stato perduto. Adamo il cacciatore è stato costretto ad allontanarsi dal suo glorioso Eden, come dice la Bibbia.
Nel sito di Gobekli Tepe.  Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Naturalmente, tali teorie potrebbero essere respinte in quanto speculazioni, tuttavia, vi sono abbondanti prove storiche per dimostrare che gli scrittori della Bibbia, quando parlavano dell’Eden, descrivevano questo angolo di Anatolia, ora abitato dai Curdi. Nel Libro della Genesi, è indicato che l’Eden è a ovest dell’Assiria: Gobekli si trova in tale posizione. Allo stesso modo, il biblico Eden è attraversato da quattro fiumi, tra cui il Tigri e l'Eufrate, e Gobekli si trova tra due di questi. In antichi testi assiri, vi è menzione di un "Beth Eden", una casa di Eden. Questo piccolo regno era a 50 miglia da Gobekli Tepe. Un altro libro dell'Antico Testamento parla dei "bambini di Eden, che erano in Thelasar", una città nel nord della Siria, vicino a Gobekli. La stessa parola "Eden" deriva dal sumerico e significa pianura; Gobekli si trova nella pianura di Harran. Così, quando si mette tutto insieme, la prova è convincente. Gobekli Tepe, infatti, è un "tempio nell’Eden", costruito dai nostri fortunati e felici antenati, persone che avevano il tempo di coltivare l'arte, l'architettura e il complesso rituale, prima che il trauma dell'agricoltura rovinasse il loro stile di vita, e devastasse il loro paradiso. È una splendida e seducente idea, eppure, ha un sinistro epilogo, dato che la perdita del paradiso sembra aver avuto un effetto strano e abbrutente sulla mente umana. Intorno all' 8.000 a.C., i creatori di Gobekli seppellirono la loro realizzazione e il loro glorioso tempio sotto migliaia di tonnellate di terra, creando le colline artificiali sulle quali il pastore curdo camminava nel 1994.
Nel sito di Gobekli Tepe. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Nessuno sa perché Gobekli fu sepolto. Forse fu una sorta di penitenza: un sacrificio alla divinità della collera, che aveva gettato via il paradiso dei cacciatori. Forse fu per la vergogna della violenza e dello spargimento di sangue che il culto della pietra aveva contribuito a provocare. Qualunque sia la risposta, i parallelismi con la nostra epoca sono notevoli. Quando contempliamo una nuova era di turbolenza ecologica, pensiamo che forse le pietre silenziose, buie, vecchie di 12.000 anni di Tepe Gobekli, stiano cercando di comunicare con noi, per metterci in guardia, perché stanno proprio dove abbiamo distrutto il primo Eden.

Nel 9.780 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Ra/Marduk, figlio primogenito di Enki, divide il dominio dell'Egitto tra Osiride e Seth.

Dal 9.5000 - Prime attestazioni di culture neolitiche nel Medio Oriente, con il Neolitico preceramico di Gerico, intorno alla metà del X millennio a.C. (circa 9.500 a.C.), derivato dalla cultura natufiana mesolitica, che nelle stesse regioni aveva ampiamente utilizzato i cereali selvatici a partire dalla metà del XIII millennio a.C. (12.500 a.C. circa), sviluppando uno stile di vita sedentario. All'inizio dell'XI millennio a.C., il progressivo utilizzo di vere e proprie pratiche agricole è stato collegato ad un brusco raffreddamento climatico (Younger Dryas) che si ebbe nel periodo tra il 10.800 e il 9.500 a.C. e che sembra aver determinato una diminuzione delle precipitazioni nell'area. Nella seconda metà del X millennio a.C. le popolazioni che praticavano l'agricoltura si diffusero in Asia Minore, in Africa settentrionale e nel nord della Mesopotamia. In questo periodo venivano coltivate poche piante, sia varietà selvatiche che domesticate (piccolo farro, miglio, spelta) e si allevavano cani, pecore e capre. Entro la fine del IX millennio a.C. si diffusero anche i buoi e i maiali, gli insediamenti stabili o stagionali e l'utilizzo della ceramica.
Nella cultura natufiana (12.000-10.000 a.C.), ancora nell'ambito del mesolitico, si introdussero i primi villaggi sedentari e la raccolta di cereali venne intensificata. La sedentarizzazione non sarebbe tuttavia stata favorita dall'introduzione di pratiche agricole ma dalla ricchezza delle risorse ambientali presenti nel territorio, in seguito all'innalzamento della temperatura seguite al Grande Congelamento. Nei siti natufiani sono state rinvenute prove dell'addomesticazione del cane.
Nella sequenza stratigrafica del sito di Tell es-Sultan, una collina formata dalla sovrapposizione di numerosi strati di abitato situata in prossimità della Gerico moderna, fenomeno comune nelle regioni del Medio Oriente e dell'Anatolia, si sono individuati due livelli neolitici privi di ceramica (Gerico I e Gerico II), che hanno portato all'identificazione delle due fasi A e B del Neolitico preceramico. È in questo periodo che si svilupparono prima la coltivazione di specie selvatiche di cereali (preparazione del terreno, drenaggio, estirpazione delle malerbe) e quindi la loro domesticazione (selezione e introduzione delle specie domestiche).
Nella fase del Neolitico preceramico definito A (9.500-8.700 a.C.) le contemporanee culture mureybetiana (sito di Mureybet, sul medio corso dell'Eufrate nell'attuale Siria, in cui avveniva una produzione di figurine in argilla), aswadiana (sito di Tell Aswad, nel bacino di Damasco, ancora nell'odierna Siria) e sultaniana (sito già citato di Tell es-Sultan/Gerico, Gerico I, 8.350-7.370 a.C.), eredi della cultura natufiana, introdussero le prime pratiche di coltivazione delle specie selvatiche. In questa fase l'industria litica abbandonò progressivamente la tecnica mesolitica dei microliti; le abitazioni nei villaggi erano a pianta circolare ed erano presenti pratiche funerarie e figurine femminili. A Gerico le case erano costruite con mattoni di fango di forma piano-convessa e venne realizzato uno spesso muro di cinta in pietra con una torre circolare, probabilmente utilizzato a protezione dalle inondazioni del vicino torrente, più che come difesa militare.
Ricostruzione museale di donna
preistorica durante la macinatura
di cereali, Museo delle Scienze di
Trento, imm Di Llorenzi, Opera
propria, CC BY- SA 3.0, da:
Nei siti del Vicino Oriente è stato individuato un ridotto numero di specie vegetali domestiche, che hanno sostituito, con l'introduzione dell'agricoltura, le più numerose varietà delle specie selvatiche raccolte. Le otto specie domestiche sono costituite da:
- farro (dalla specie selvatica del Triticum dicoccoides);
- piccolo farro (dalla specie selvatica del Triticum boeoticum);
- orzo (dalla specie selvatica del Hordeum spontaneum);
- lenticchia (dalla specie selvatica della Lens orientalis);
- pisello (dalla specie selvatica del Pisum humile);
- cece (dalla specie selvatica del Cicer reticulatum);
- veccia (dalla specie selvatica della Vicia ervilia);
- lino (dalla specie selvatica del Linum bienne).
La selezione avvenne probabilmente inizialmente in forma inconsapevole, con la raccolta preferenziale di esemplari che presentavano caratteristiche vantaggiose (semi più grandi e spighe ancora intere nei cereali, ad esempio) e per mezzo della scelta del momento della mietitura o raccolta (germinazione più rapida e contemporanea). Le mutazioni erano favorite dal fatto che si trattasse di specie autoimpollinanti e poterono conservarsi grazie alle pratiche di coltivazione, che annullavano la spontanea competizione evolutiva. Le specie domestiche furono quindi diffuse anche in zone dove mancavano i loro progenitori selvatici. L'usanza di macinare i semi delle piante selvatiche risale addirittura al Paleolitico inferiore; dopo un lungo periodo di "manipolazione" delle piante selvatiche, consistente nella loro raccolta e nell'immagazzinamento, si arrivò, intorno alla metà dell'VIII millennio a.C., alla domesticazione di cereali (soprattutto il farro) e leguminose, in una vasta area compresa tra l'Anatolia orientale, l'Iraq settentrionale, la Palestina e l'Iran occidentale.

Nel 9.330 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Seth cattura Osiride, lo fa a pezzi e diventa unico sovrano della valle del Nilo.

Nell' 8.970 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Horus vendica suo padre Osiride scatenando la Prima Guerra della Piramide. Seth fugge in Asia, si impadronisce della penisola del Sinai e di Canaan.

Dal 8.700 a.C. - Ulteriore fase del Neolitico preceramico, designato come B (8.700-7.000 a.C.) a Gerico (Gerico II), in cui si consolida l'economia agricola e probabilmente inizia la domesticazione di animali. Le case hanno piante rettangolari e sono costruite con mattoni di fango parallelepipedi
Antiche fondazioni residenziali a
Gerico, foto di Sobkowski. Licenza:
Un edificio con nicchia è stato interpretato ipoteticamente come tempio e sono attestate pratiche funerarie elaborate (modellazione in gesso delle fattezze del defunto sul cranio) e figurine antropomorfe. Viene edificata Gerico, ritenuta la più antica città del mondo. Nel Neolitico preceramico B medio, prima del 7.500 a.C. circa, si ha una rapida diffusione dell'economia agricola in tutta l'Anatolia e il Vicino Oriente, arrivando fino a Cipro.
Siti neolitici nel Vicino Oriente. Di Mi
ddle_East_topographic_map-blank
.svg: Sémhur (talk)derivative work:
PequoD76(talk) - Middle_East_top
ographic_map-blank.svgMario Liver
ani, Antico Oriente: storia, società, ec
onomia, Roma-Bari, Laterza, 2009, I
SBN 978-88-420-9041-0, p. 80, CC
Nell'isola di Cipro la cultura neolitica si diffonde con la prima occupazione del Neolitico preceramico B, mentre in epoca successiva si mantennero forme più tarde, come le abitazioni a pianta circolare di Choirokoitia (VII millennio a.C.) e anche la ceramica comparve tardivamente. Nel sito di Shilourokambos è tuttavia attestata già alla fine del IX millennio a.C. la presenza di specie animali importate, che venivano allevate.

- Il passaggio dell'organizzazione sociale da gruppi di cacciatori-raccoglitori nomadi ad agricoltori-allevatori stanziali, determinò la nascita di classi o ordini sociali, organizzati in sistemi piramidali, al cui vertice governava un monarca, affiancato e legittimato da una classe sacerdotale. Per "Le origini del nostro ordinamento economico: il governo dei ladri" clicca QUI.

Nell' 8.670 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, per contrastare il controllo di tutte le attrezzature spaziali nelle mani dei discendenti di Enki, gli Enliliti scatenano la Seconda Guerra della Piramide. Ninurta, vittorioso, svuota la Grande Piramide di tutto il suo equipaggiamento. Ninharsag, sorellastra di Enki ed Enlil, convoca una conferenza di pace. Viene riaffermata la divisione della Terra. Il dominio dell'Egitto passa dalla dinastia di Ra/Marduk a quella di Thoth. Come nuovo punto di riferimento viene costruita la città di Eliopoli.

Nell' 8.500 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, gli Anunnaki fondano degli avamposti presso i luoghi d'accesso alle attrezzature spaziali: uno di essi è Gerico.

Nell' 8.000 a.C. - Si stima che la popolazione mondiale nella sua totalità ammonti a circa 10 milioni di individui.

- La culla preistorica dei popoli Baltici, secondo le ricerche paleogenetiche e gli studi archeologici, fu la zona tra il mar Baltico e l'Europa centrale tra la fine dell'ultima era glaciale e l'inizio del mesolitico. Si diffusero nell'area dal Baltico fino al fiume Volga ad est. I Balti o popoli Baltici (anche baltici, in lettone: balti, in lituano: baltai, in latgolico: bolti), definiti come coloro che parlano una delle lingue baltiche, sono un ramo dei popoli di origine indoeuropea, discendenti di un gruppo di tribù indoeuropee che si stabilirono nell'area tra il basso corso della Vistola e la Daugava ed il Dnepr, sulle coste sud-orientali del mar Baltico. Secondo alcune vecchie teorie, l'area di formazione dei balti si trovava, fino alla fine del secondo millennio a.C. vicino all'alto e medio corso del Dnepr, nell'odierna Ucraina, dove si riteneva che si fosse stabilita un'ipotetica proto-comunità balto-slava, cioè un popolo comune che in seguito si fosse scisso e avesse dato origine agli odierni balti e slavi.

Cartina fisica del Mondo con l'ubicazione dell'Europa:
è un'appendice della più estesa fascia di territorio nel mondo
a clima temperato (12.000 km.). In questa fascia, più che da
ogni altra parte è stata favorita la trasmissione della cultura
dell'agricoltura e dell'allevamento di animali addomesticati.

La Mezzaluna Fertile.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- L' 8.000 a.C. è la probabile data in cui, dalla mezzaluna fertile del vicino oriente, viene introdotta in Europa l'agricoltura, (e per primi vennero coltivati grano, piselli e ulivi) e l'allevamento di animali  addomesticati: per prime pecore e capre, poi bovini e altri. La vita a contatto con gli animali determinò così la trasmissione di agenti patogeni dagli animali alle persone, determinando nuove malattie infettive per gli umani stessi.
Tabella con alcune delle malattie che si pensavano passate
all'umanità dagli animali domestici.
Questo aspetto diventò determinante nel momento della conquista di nuovi territori, dove le popolazioni che non avevano difese immunitarie alle nuove malattie venivano sterminate, molto più che dalle armi. Il passaggio a un'economia agricola segna anche il passaggio dal nomadismo al sedentarismo che in seguito con l'avvio dell'urbanizzazione si intensificherà ulteriormente. Con l'agricoltura si ha una maggior necessità di avere figli e anche molti, di conseguenza aumenta e acquista un valore maggiore la fertilità e la figura della donna-madre, più ancora di quanto lo fosse già nell'epoca basata su un'economia di caccia e raccolta.

- Dall'VIII millennio a.C., in alcune aree dell'Europa prende avvio un'Età del Rame.

Località di rilievo per le civiltà dei metalli: civiltà del Rame dall' 8000 a.C.,
 i cui maggiori centri n Europa sono Mittendorf, Troia e Cipro. Poi la civiltà
del Bronzo dal II millennio a.C. e civiltà del Ferro dal XII sec. a.C..

Dal 7.500 circa - Invenzione della ceramica nel Medio Oriente, probabilmente dovuta all'osservazione dell'indurimento in seguito all'azione del fuoco, delle superfici in terra battuta o degli intonaci argillosi, spesso adoperati come rivestimento interno delle abitazioni dell'VIII millennio a.C.. L'adozione di recipienti in terracotta venne preceduta dalla produzione di figurine in argilla, già documentate nel X millennio a.C. nel sito di Mureybat. Un altro precedente è attestato con la modellazione di recipienti in calce, non cotta (vaisselle blanche). Nel sito di Mureybet, sono conosciuti anche vasetti cilindrici in terracotta con decorazione incisa che però non ebbero né seguito, né diffusione, con livelli successivi ancora aceramici.

Nel 7.400 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, col proseguire dell'era di pace, gli Anunnaki consentono all'umanità di compiere altri passi avanti; comincia il periodo neolitico. Semidei governano l'Egitto.

Dal 7.250 a.C. circa - Nel sito di Çatal Hüyük (Turchia meridionale) è attestata la presenza di ceramica in tutti i livelli, tra la fine dell'VIII millennio a.C. e tutto il VII millennio a.C. L'alimentazione si basava su cereali e leguminose coltivati, sull'allevamento di capre e sulla caccia di alcune specie selvatiche. Il sito sfruttava i giacimenti di ossidiana anatolica. Le case quadrangolari e costruite in mattoni crudi erano tutte addossate le une alle altre senza strade intermedie e con ingresso probabilmente dal tetto. Alcuni spazi con pitture e rilievi o statuette sono stati interpretati come ambienti di culto. Altri siti di culture dell'epoca in zona, sono Çayönü (sito della Turchia meridionale, 7250 - 6750 a.C.), Hacilar (sito presso Burdur, sulla costa meridionale della Turchia, dal 7000 a.C. circa) e Tell Halaf (sito della Siria settentrionale, 6000-5300 a.C. circa).
Per quanto riguarda i primi animali domestici, la pecora sembra attestata già nel IX millennio a.C., il maiale agli inizi del VII millennio a.C., il bue sembra invece presente alla metà del VII millennio, in Tessaglia, una delle tredici periferie della Grecia, il suo capoluogo è Larissa. 
La Tessaglia, da Greece location map.
svg (di Lencer)., CC BY-SA 3.0,
https://commons.wikimedia.org/
w/index.php?curid=14520935
La regione è delimitata ad ovest dalla catena montuosa del Pindo, a nord dal massiccio dell'Olimpo, e ad est dal Mare Egeo ove si prolunga nella penisola del Pelio. Vi scorre il fiume Peneo con numerosi affluenti. Tra il VII e il VI millennio a.C. le stesse innovazioni compaiono nell'Africa settentrionale e iniziano a diffondersi nel continente europeo. Nell'Asia sudorientale, la coltivazione del riso compare in un'area compresa tra la Cina e la Thailandia, nel IV millennio a.C.; scavi condotti nella seconda metà del XX secolo hanno inoltre permesso di datare la comparsa del maiale domestico e le prime opere di irrigazione in Nuova Guinea allo stesso periodo. Nel Nuovo Mondo il passaggio a un'economia di produzione sembra compiersi, in alcune aree del Messico e del Perù, tra il VII e il IV millennio a.C.

Dal 7.000 a.C. circa - Si diffonde la cultura neolitica in Europa. La diffusione in Europa della cultura neolitica che si era sviluppata nel Vicino Oriente, e in particolare il passaggio dall'economia di caccia e raccolta alla pratica dell'agricoltura e dell'allevamento, sono avvenuti con modalità e tempi tuttora discussi. Vere Gordon Childe, ha ipotizzato già negli anni venti del '900, che le comunità autoctone di cacciatori e raccoglitori delle culture mesolitiche europee fossero state in parte sostituite da comunità di agricoltori migrate a nord-ovest dal Vicino Oriente, con un processo durato per più generazioni. Una prima corrente migratoria avrebbe seguito la via continentale lungo la penisola balcanica e il corso del Danubio, mentre una seconda, leggermente più tarda, si sarebbe diffusa attraverso la navigazione marittima lungo le coste del mar Mediterraneo da est ad ovest. L'affermazione delle tecniche di coltivazione e dell'allevamento che percorrono una via continentale,  attraversano terreni particolarmente favorevoli, come quelli formatisi per deposito di polveri portate dal vento (loess) dell'Europa centro-orientale, per poi percorrere delle vie fluviali, come il Danubio, fino a trovare un ambiente favorevole ad insediamenti permanenti nelle ampie vallate dei Balcani e della Grecia orientale, con inverni freddi e piovosi e con lunghe estati, ambiente ideale per la pastorizia e la transumanza, mentre ha difficoltà a diffondersi nelle fredde foreste dell' Europa centrale e nelle regioni poste ai bordi della catena alpina. Tra le popolazioni del mediterraneo si creano solidi legami sociali e culturali. La ceramica e i beni deperibili contenuti nel vasellame in terracotta, possono essere annoverati tra gli oggetti che sono veicolati via mare già dall’inizio del VII millennio a.C. In questo periodo si sviluppano ulteriormente i commerci via terra. In Liguria, attraverso i valichi dell'entroterra Finalese, conosciuti anche ai nostri giorni con gli attuali toponimi di Colle del Melogno, Madonna della Neve (o Giogo di Rialto), Colla di San Giacomo (collegata alla Colla di Magnone, che la metteva in comunicazione con la Val Ponci), dalle valli finalesi, uomini e merci possono raggiungere la Val Bormida e da lì, la Valle del Po. A partire dagli anni settanta e ottanta, Albert Ammerman e Luigi Cavalli-Sforza sulla base dei loro studi di genetica, hanno ipotizzato una massiccia migrazione di agricoltori, spinti dalla crescita demografica e dalla ricerca di nuove terre coltivabili, che avrebbe respinto e/o assorbito le precedenti comunità locali di cacciatori-raccoglitori mesolitiche, mentre un modello alternativo ipotizza invece una trasmissione delle nuove conoscenze per diffusione culturale, in seguito allo spostamento di piccoli gruppi, per la ricerca di materie prime o per i commerci, e sostengono come la cultura neolitica sia stata gradualmente adottata dalle locali comunità mesolitiche di cacciatori-raccoglitori, che utilizzavano già pratiche di sfruttamento e selezione di vegetali commestibili e vivevano in forme precoci di insediamenti stabili.

- Si ha notizia che nel 7.000 a.C. esistessero, nelle steppe comprese tra Mar Nero e Caucaso (steppe pontico-caspiche), popolazioni definibili come "indoeuropee" che possedevano un linguaggio comune. Il protoindoeuropeo, indicato anche comunemente come indoeuropeo, è la protolingua che, secondo la linguistica comparativa, costituisce l'origine comune delle lingue indoeuropee. Le somiglianze fra queste lingue, attestate a partire dal 2000 a.C. circa, impongono agli studiosi di assumere che esse siano la continuazione di una protolingua preistorica, parlata circa settemila anni fa e chiamata per convenzione proto-indoeuropeo. L'indagine sistematica fra le documentazioni più arcaiche delle lingue indoeuropee permette di ricostruire, sia pure in via ipotetica, la grammatica e il lessico della protolingua, grazie al metodo comparativo. In Germania, dove pure gli studi sull'indoeuropeo ebbero la loro prima formulazione coerente, viene preferito il termine "Indogermanisch" per indoeuropeo e "Urindogermanisch" per indicare la protolingua.

ESPANSIONE DEI POPOLI INDOEUROPEI
Le steppe pontico-caspiche.
La teoria kurganica è una teoria linguistica e archeologica che cerca di descrivere la diffusione delle lingue indoeuropee in Eurasia a partire da una patria originaria (chiamata Urheimat) individuata nelle steppe comprese tra Mar Nero e Caucaso (steppe pontico-caspiche), diffusione esercitata da popolazioni di ceppo indoeuropeo che esercitavano l'inumazione dei defunti che avevano detenuto potere, nei kurgan. Il kurgan è il tumulo funerario usato dagli Sciti per inumare i feretri della propria aristocrazia. Non solo monumento funebre ma, al tempo stesso, espressione del potere e della ricchezza raggiunti, simbolo distintivo in una società guerriera fortemente stratificata. Proposta per la prima volta, nelle sue linee generali, da Otto Schrader negli ultimi anni del XIX secolo, l'ipotesi dell'indoeuropeizzazione a partire dalle steppe venne in seguito ripresa da Vere Gordon Childe nel 1926 nel suo libro "The Aryans" e fu successivamente perfezionata da Marija Gimbutas dal 1952. A Gimbutas in particolare, va ascritta l'identificazione del processo di  indoeuropeizzazione con quello della diffusione della cultura kurgan, da lei approfonditamente studiata in numerosi saggi, raccolti nel 1997 nel volume postumo "The Kurgan Culture and the Indo-Europeanization of Europe: Selected Articles from 1952 to 1993". Nel 1989 le teorie di Gimbutas sono state riviste e aggiornate in base alle nuove scoperte archeologiche da vari studiosi, tra cui James Patrick Mallory. Nonostante le critiche ricevute, la teoria dell'invasione calcolitica (il calcolitico, sinonimo di Eneolitico in paletnologia, è la fase finale del neolitico, durante la quale continuava l’uso della pietra e incominciava quello di leghe di rame), nella forma proposta da Gimbutas, appare oggi una teoria fortemente accreditata e sostenuta da basi scientifiche. La teoria kurganica si può riassumere nei seguenti termini:
- le tribù indoeuropee erano società patriarcali, governate da un *hrḗǵs (un re che era un capo guerriero eletto, ben diverso dai re-dèi egizi e mesopotamici), e caratterizzate da una prima divisione gerarchica fra guerrieri, sacerdoti e lavoratori, con donne e schiavi relegati in secondo piano;
- gli Indoeuropei avevano una religione politeistica con al centro figure di dèi padri celesti, in opposizione alle religioni delle dee madri tipiche delle popolazioni preindoeuropee (i pantheon dei popoli indoeuropei storicamente noti sono frutto di una fusione con la religione di substrato, con gli dèi padri che faticano a tenere a bada le dee madri: vedi le scene da un matrimonio della coppia olimpica Zeus - Hera);
- gli Indoeuropei si imposero sulle popolazioni neolitiche in virtù della superiorità militare data dall'addomesticamento del cavallo; il prevalere dell'indoeuropeo sulle lingue che precedevano l'indoeuropeizzazione è il frutto dell'imposizione di una nuova lingua da parte di un'élite militare.
Ricostruzione del "cromlech"
di Stonhenge.
De Jubainville (Henri d'Arbois de Jubainville, docente e celtista francese; Nancy, 1827 - Parigi, 1910), pensava erroneamente che gli indoeuropei da cui erano derivati i proto-celti, chiamassero se stessi Ariani, dalla parola sanscrita Arya, i «fedeli», i «devoti», mentre erano stati soltanto i popoli iranici a chiamarsi così fra di loro (dal sanscrito ariyà, cioè "signore"). Nel 1800 il sanscrito veniva erroneamente ritenuto in Europa la lingua originaria dalla quale le lingue indoeuropee si fossero originate, portato in India da gruppi antropologicamente omogenei emigrati in epoca preistorica dall'Europa centrosettentrionale verso il Gange. Poiché i popoli di lingua indoiranica usavano chiamarsi Ari, l’uso del termine arisch fu esteso da parte dei teorici del nazismo a indicare la razza primigenia indoeuropea come ariana, ma si tratta di un falso storico, in quanto basato sull'erronea identificazione dell'antica lingua indoeuropea con la lingua indoiranica e inoltre sovrapponendo il concetto di razza all'insieme di popoli che adottarono tale lingua. Si è creato così il falso mito sull'esistenza di una razza e di una lingua pure, dall'idea che i popoli protoindoeuropei e i loro discendenti costituissero una "razza" distintiva della "razza Caucasica" (oggi indicata come Europoide), il tutto in un'erronea trasposizione sul piano biologico delle famiglie linguistiche. La parola "arianno" compare per la prima volta nel testo sacro degli Indoari Rigveda e nell'Avestā degli Iranici. I termini in lingua vedica e avestica sono derivati direttamente dall'"*arya" delle lingue indoiraniche, apparentemente  un'autodenominazione  dei proto-Indoiranici. Ad oggi la suddivisione della specie umana in razze diverse è ritenuta non scientifica, tanto che anche la "Dichiarazione sulla razza" dell'Unesco del 1950 riconosce il concetto di etnia e non quello di razza, come unica suddivisione possibile della specie umana in cui sia riscontrabile una vera omogeneità tra gli individui. Scientificamente il darwinismo è fondato sul principio che l’evoluzione in cui gli individui adatti si differenziano è basato sulla biodiversità di razze che poi nel tempo si differenziano in specie, come accade in molti animali e vegetali anche artificialmente, e nelle specie vegetali e animali il vocabolo è scientificamente accettato e largamente utilizzato (ad esempio razza canina, razza bovina, razza equina, razza ovina etc.), ma nell’ambito umano è considerato politicamente scorretto e scientificamente improprio. Aggiungo poi che nel passato la specie Homo sapiens aveva come sottospecie il genere Homo sapiens sapiens, suddivisione non condivisa dalla maggioranza della comunità scientifica, che non riconosce alcun tipo di sottospecie al genere Homo sapiens.

Prime culture kurganiche formatesi
dal 6000 a.C. circa.
- La cultura dei kurgan, formatasi nelle steppe pontico-caspiche a partire dal VI millennio a.C., ha prodotto le seguenti culture:
Cultura del Bug-Dnestr (VI millennio),
Cultura di Samara (V millennio),
Cultura di Chvalynsk (V millennio),
Cultura del Dnepr-Donec (dalla metà del V al metà del IV millennio a.C.),
Cultura di Sredny Stog (dal V al IV millennio a.C.),
Cultura di Majkop (dal IV al III millennio a.C.),
Cultura di Jamna (dal IV al III millennio a.C.).

Dal 6.850 - In Europa la cultura neolitica si diffonde precocemente nella penisola balcanica, ma non è chiaro se si sia trattato di colonizzazioni di zone precedentemente disabitate da parte di genti provenute da sud-est o di un'adozione della nuova cultura neolitica che prevedeva stanzialità, agricoltura e allevamento, ceramica ecc., da parte delle comunità indigene mesolitiche, innovazioni che possono anche essere state acquisite scaglionate nel tempo. Inoltre il processo di "neolitizzazione" potrebbe anche essersi verificato con modalità miste. Le più antiche Culture neolitiche europee sono:
- Sesklo (sito in Tessaglia, 6.850-4.400 a.C. circa) con sviluppo che sembra essere indipendente dai siti del Vicino Oriente, sia per la ceramica che per l'allevamento.
- Dimini (sito in Tessaglia, dal 4.800 a.C. circa).
- Cultura di Karanovo (dal sito di Karanovo, in Bulgaria, 6.200 - 5.500 a.C. circa), per le fasi del Neolitico antico (Karanovo I-II) e del Neolitico recente (Karanovo III-IV).
- Cultura di Starčevo-Körös (dal sito di Starčevo presso Belgrado in Serbia e del fiume Körös in Ungheria, 6.200-5.600 a.C. circa).
- Cultura di Vinča (dal sito di Vinča, ancora presso Belgrado, in Serbia, di datazione discussa, ma successiva alla precedente).
Lungo le coste del mar Mediterraneo la cultura neolitica (agricoltura-allevamento e ceramica) si diffonde rapidamente, facendo supporre una colonizzazione da oriente su rotte commerciali marittime già conosciute, visto che in tutta l'area sono note solo poche località mesolitiche, anche se non è da escludere che la trasmissione delle nuove conoscenze sia dovuta ad una diffusione culturale in seguito allo spostamento di piccoli gruppi da oriente, sia per la ricerca di materie prime che per instaurare commerci, e che quindi la cultura neolitica sia stata gradualmente assorbita dalle popolazioni locali.

Nel 6.000 a.C. - E' in corso la migrazione Indoeuropea  verso l'Europa, verso l'Iran, l'Afganistan e verso i fiumi Indo e Gange, in India. Nella penisola iberica, dall'Africa affluisce la stirpe camita-berbera.
Ricostruzione del
lago Ligustico.
E' dal Neolitico che abbiamo le testimonianze di una popolazione che verrà poi chiamata Ligure, nome derivato dalla parola indo-europea liga che significa «luogo paludoso» o «acquitrino», un termine che troviamo ancora oggi nel francese «lie» nel provenzale «lia», forse per l'ubicazione palustre del Lago Ligustico, situato presso la foce del fiume Guadalquivir (l'antico Betis o Tartesso), nel territorio dove oggi sorge Siviglia, in Spagna. Non sappiamo come i Liguri chiamassero se stessi: presumibilmente ogni tribù aveva il proprio nome, derivato da un capostipite, come nel caso dei Siculi o degli Ambrones, o da una zona geografica, come Ingauni e Intemeli, o ancora dalla loro divinità, come i Jenuensis da Jano (Giano).

INVASIONE O DIFFUSIONISMO?
Gimbutas sosteneva che le espansioni della cultura kurganica fossero essenzialmente una serie di incursioni militari attraverso le quali la nuova ideologia guerriera e patriarcale si fosse imposta sulla  pacifica  cultura matriarcale della Vecchia Europa, processo osservabile tramite la comparsa di insediamenti fortificati e delle tombe dei capi-guerrieri: «Il processo di indoeuropeizzazione è stato un processo di  trasformazione culturalenon fisica. Questo processo deve essere inteso come una vittoria militare attraverso la quale venne imposto un nuovo sistema amministrativo, la lingua e la religione ai gruppi indigeni.» Marija Gimbutas, p.309. Successivamente Gimbutas evidenziò sempre più la natura violenta di questo processo di transizione dal culto della Dea Madre a quello patriarcale esplicitato dal culto del dio celeste (Zeus, Giove, Dyauṣ Pitā). Molti studiosi che accettano lo scenario generale della teoria kurganica sostengono che il passaggio fu probabilmente molto più graduale e pacifico rispetto a quanto suggerito da Gimbutas. Le migrazioni non furono certo il frutto di operazioni militari studiate e concordate ma l'espansione durata generazioni di varie tribù e culture scollegate fra loro. Fino a che punto le culture indigene siano state amalgamate pacificamente o violentemente cancellate rimane ancora un punto controverso fra i sostenitori dell'ipotesi Kurgan. James Patrick Mallory ha accettato l'ipotesi Kurgan come teoria standard sull'origine dei popoli indoeuropei ma giustifica le critiche allo scenario dell'invasione militare proposto da Gimbutas: «Si potrebbe pensare in un primo momento che le evidenze a sostegno della soluzione Kurgan ci obblighino ad accettarla completamente. Ma i critici esistono e le loro obiezioni si possono riassumere molto semplicemente: Quasi tutti gli argomenti a sostegno di una invasione e trasformazione culturale sono maggiormente spiegabili escludendo l'espansione Kurgan e la maggior parte degli indizi presentati o sono contraddetti da altri indizi o sono il risultato di una sbagliata interpretazione della storia culturale dell'Europa orientale, centrale e settentrionale.». Un'ulteriore critica ad uno degli aspetti centrali della cultura kurganica come la intende Gimbutas proviene dagli storici militari. 
Cartina degli spostamenti e migrazioni degli
Indoeuropei dal 3.500 - 2.500 a.C..   
Questi fanno notare che fino al 1000 a.C. (o poco prima) i cavalli non erano cavalcabili, o meglio non erano cavalcabili in battaglia. La cultura kurganica allevava i cavalli, dal 4.000 a.C. fin verso il 2.100-2.000 a.C. sia per mangiarli che come animali da soma. Imparò in seguito ad usare cavalli per trainare agili carri da caccia, corsa e guerra e a cavalcarli in maniera incontrollata (con nasiere e senza sella o sottopancia); finalmente dopo circa un millennio di tentativi e di selezioni del cavallo, fu possibile montarlo in maniera utile per poterlo impiegare in battaglia, controllandolo quindi con una mano o con le gambe e contemporaneamente poter brandire un'arma. Inizialmente quindi, i kurganici non avrebbero avuto molta superiorità militare sui popoli privi di cavalleria, oltretutto fino alla scoperta del carro leggero e soprattutto a quelle del morso e dell'arte equestre. Nessun popolo fu "veramente" nomade e i Kurgan, in particolare, vanno interpretati come l'espressione di una civiltà dedita ad una pastorizia transumante con al centro insediamenti fluviali. La scoperta della cavalcabilità del cavallo (tra il 1100 e il 1000 a.C.) fu una rivoluzione che mise in moto le steppe occidentali mentre forse ad est degli Altaj, con l'addomesticazione della renna, si era verificato un fenomeno analogo anche se la renna, a differenza di buoi, pecore, capre e cavalli usati dai kurganici, poco si adatta a condizioni di vita semi stanziali e transumanti.

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.5: dal 15.000 al 6.000 p.e.v. (a.C.)" QUI.

Dal 5.600/5.500 al 4.500 a.C. circa - Si diffonde in Europa una Cultura della ceramica lineare a partire dal medio corso del Danubio e dal corso medio e superiore dell'Elba e del Reno, probabilmente originata dalle influenze dovute alla cultura di Starčevo-Körös dei Balcani. Nella sua prima fase ha un'estensione orientale, in quella intermedia sviluppa la "cultura della ceramica a note musicali", mentre nella sua fase tarda è nota come "cultura della ceramica decorata a punzone". La Cultura della ceramica lineare giungerà ad occupare l'area tra la Moldavia e la valle della Senna. Nello specifico:
- Dal 5.500/5.400 al 2.750/2.700 a.C. circa - Si sviluppa lungo il corso alto e medio del fiume Nistro (il Dniester), nell'attuale Moldavia, la Cultura di Cucuteni-Trypillian (dai siti di Cucuteni, in Romania, e di Trypillja o Tripolje, in Ucraina;), che si estende verso nord-est fino al fiume Dnepr (o Dnieper), nell'attuale Ucraina.
- Dal 4.900 al 4.000 a.C. circa - Appare la Cultura di Lengyel (sito dell'Ungheria centrale;), che si diffonde parallelamente alla cultura di Rössen in Slovacchia sud-occidentale e in Ungheria occidentale, mentre si propaga in Austria, Croazia e Polonia.
- Dal 4.600/4.500 al 4.300 a.C. circa - La Cultura di Rössen succede alla cultura della ceramica lineare in gran parte della Germania, nei Paesi Bassi sudorientali, nella Francia nord-orientale, nel nord della Svizzera e dell'Austria.
- Tra il 4.500 e il 3.500 a.C. - Cultura di Chassey (dal sito presso Chassey-le-Camp, Saona e Loira), che si diffonde nella valle della Senna e nell'alta Valle della Loira.

Dal 5.500 a.C. circa - Si diffonde la cultura della ceramica impressa dalle coste occidentali della penisola balcanica verso quelle adriatiche dell'Italia meridionale, espandendosi fino alla Sicilia e lungo le coste tirreniche. Una variante è la ceramica impressa detta "ligure", diffusa nell'Italia nord-occidentale e sulle coste francesi, con occupazione di aree differenti da quelle con tracce di frequentazione mesolitica, il che non fa intavvedere una continuità fra culture mesolitiche e neolitiche, perlomeno in queste aree.
- In Italia meridionale la cultura neolitica della ceramica impressa si è diffusa, tra la seconda metà del VI millennio a.C. e gli inizi del V, soprattutto nella regione del Tavoliere e nella valle dell'Ofanto, in Puglia, e in Basilicata, da dove si diffuse verso nord, verso l'interno e verso la costa tirrenica. Sono presenti insediamenti all'aperto lungo le coste e le valli dei fiumi ed è attestata un'economia basata sulla cerealicoltura e sull'allevamento, integrata dallo sfruttamento delle risorse spontanee. Si tratta di zone dove le comunità locali mesolitiche erano state probabilmente poco consistenti, in modo analogo a quanto sembra sia avvenuto in Grecia. Si susseguirono in quest'ambito varie facies, caratterizzate dallo stile della decorazione ceramica, prima impressa e incisa, poi dipinta. Una forma di comunicazione espressiva extralinguistica è rappresentata in Salento dall'arte pittorica parietale in grotta, il cui più importante esempio è costituito dai pittogrammi figurativi e simbolico-astratti presenti a migliaia nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco (nei pressi di Otranto), scoperta nel 1970 dal Gruppo Speleologico Salentino di Maglie.
- In Sicilia è presente una maggiore continuità rispetto alle locali comunità mesolitiche, in analogia a quanto si riscontra nell'area di diffusione della ceramica cardiale: il sito della grotta dell'Uzzo ha restituito stratigrafie che proseguono senza interruzione dal mesolitico, evidenziando una transizione più graduale, con un'accentuazione delle attività di pesca e raccolta di frutti spontanei nei livelli immediatamente precedenti a quelli neolitici. Anche in quest'area si svilupparono una serie di culture locali nell'ambito della ceramica impressa. L'isola di Lipari venne colonizzata all'inizio del V millennio a.C. da genti provenienti dalla Sicilia per lo sfruttamento dei suoi giacimenti di ossidiana.
- In Sardegna lo sfruttamento dei giacimenti di ossidiana del Monte Arci portò al precoce sviluppo delle culture neolitiche, introdotte con la cultura della ceramica impressa agli inizi del VI millennio a.C. Vi erano largamente diffusi diversi tipi di monumenti megalitici e si manifestarono diverse culture locali. Nell'ultima fase si introdusse nella parte nord-occidentale dell'isola la cultura del vaso campaniforme, transitata di seguito in Sicilia assieme ad aspetti culturali tipici dell'Occidente atlantico, tra cui la produzione di piccoli edifici funerari a forma di dolmen (fine III millennio a.C.) che raggiungeranno anche la vicina isola di Malta.
- In Italia centrale la presenza dell'Appennino ha determinato la formazione di aree culturali differenziate sul versante tirrenico e su quello adriatico, con diverse facies culturali che si susseguirono l'una all'altra, con parziali sovrapposizioni.
- In Italia settentrionale la variante della cultura della ceramica impressa ligure, si affermò sulla costa della Liguria nella prima metà del VI millennio a.C. Alla fine del millennio l'area della pianura padana era interessata da un mosaico di culture accomunate dalla decorazione ceramica. Alla colonizzazione degli agricoltori neolitici, che avevano probabilmente seguito percorsi commerciali già solidamente stabiliti in precedenza, si mescolò l'assimilazione delle pratiche neolitiche da parte delle comunità locali mesolitiche, portando ad attardamenti nell'industria litica e nel mantenimento degli usi di caccia e raccolta. All'inizio del V millennio a.C. il precedente mosaico culturale venne sostituito dall'unitaria cultura dei vasi a bocca quadrata, diffusa dalla Liguria al Veneto. Alla fine del millennio l'area venne progressivamente influenzata dalla cultura di Chassey (in Italia anche detta cultura di Lagozza), originaria della Francia, che finì con il sostituire la cultura precedente.

Dal 5.400 a.C. - Si diffonde sulle coste mediterranee della penisola iberica e fino a quelle atlantiche, la cultura della ceramica impressa cardiale, nella quale la decorazione a impressione era ottenuta mediante l'impressione del margine della conchiglia di Cardium.
La conchiglia Cardium.
In generale rimasero numerosi gli insediamenti in grotta e le testimonianze di uno stile di vita forse seminomade, che induce ad ipotizzare una diffusione, attraverso piccole comunità neolitiche, di agricoltori provenienti dal mare che andarono ad occupare le aree lasciate libere dalle comunità mesolitiche locali di cacciatori e raccoglitori, le quali vennero progressivamente, ma lentamente assimilate. Dalle coste si ebbe inoltre una lenta penetrazione verso l'interno continentale europeo (valle del Rodano, valle dell'Ebro).
Una variante della ceramica impressa è la ceramica impressa detta "ligure", diffusa nell'Italia nord-occidentale e sulle coste francesi, con occupazione di aree differenti da quelle con tracce di frequentazione mesolitica. In Liguria la Ceramica Impressa Ligure è stata ritrovata quasi esclusivamente in depositi in grotta che presentano frequentazioni dell'Epigravettiano ma non del Mesolitico. Alcuni autori (P. Biagi - R. Nisbet, Popolazione e territorio in Liguria tra il XII e il IV millennio b.c., in AA.VV., Scritti in ricordo di Graziella Massari Gaballo e di Umberto Tocchetti Pollini, Milano 1986, pp. 19-27) sostengono un'origine autonoma di tale cultura a seguito di una crisi economica e tecnologica di gruppi mesolitici. La Ceramica Impressa ligure è stata individuata in numerose grotte e in siti transappenninici all'aperto e posti nei pressi dei corsi d'acqua. Lo scavo nella grotta delle Arene Candide ha permesso di raccogliere una ricca documentazione.
Orcio in ceramica impressa cardiale
rinvenuta a Valencia, in Spagna.
Sono attestati dei collegamenti ad ampio raggio fra questa facies e altri ambienti culturali, in particolare padani, dalla circolazione di pietre verdi e giadeiti liguri per la realizzazione di manufatti levigati.
La ceramica si distingue in due classi: una d'impasto grossolano di colore grigio o rossiccio decorata ad impressioni e cordoni ed un'altra con impasto depurato e con superfici ben levigate.
Le forme tipiche della prima classe sono le tazze semisferiche e semiovoidali, ciotole a calotta, ollette globulari ad apertura ristretta, vasi a fiasco, orci ovoidali o troncoconici e vasetti con prese a linguetta forata e cordoni orizzontali.La decorazione impressa è eseguita con unghiate, con punzoni di vario tipo o con la conchiglia del Cardium (da cui ceramica cardiale). La fascia al di sopra delle prese può essere decorata con motivi angolari o a denti di lupo, mentre nella zona ventrale sono presenti fasce orizzontali interrotte da fasci verticali in corrispondenza delle anse.
Le forme tipiche della seconda classe sono vasi a fiasco, tazze, bicchieri e piccoli vasetti.
Antiche ceramiche prodotte intorno al I millenio
a.C. nel nord italico: di Canegrate (proto-
celtiche), proto-Golasecca (proto-celtiche),
Liguri, di Golasecca (celtiche) di Villanova e
d'Este. Per "Cultura di Golasecca" clicca QUI.
Diffuse sono le accette e le asce in pietra verde levigata. Tra gli oggetti di ornamento prevalgono le conchiglie forate; sono presenti anche metacarpali di lepre forati ad un'estremità e un canino di cervo. Dallo studio dei resti faunistici si deduce che in associazione agli animali selvatici (cervo, capriolo, orso) erano presenti, anche se in misura minore, gli animali domestici (ovicaprini, suini, bovini). Nell'economia infatti giocava ancora un ruolo importante la caccia, la pesca (attestata da vertebre, mandibole di pesce e due ami) e la raccolta dei molluschi (Trochus, Patella). Nello strato IIb della grotta della Pollera la ceramica recuperata è decorata quasi esclusivamente con una tecnica a graffito molto accurata, con incrostazioni di pasta gialla e rossa. I motivi decorativi sono costituiti da denti di lupo, triangoli e bande campiti prevalentemente a graticcio. Lo stile, denominato "stile della Pollera" è documentato anche nello strato 13 delle Arene Candide in cui sono presenti anche fasci di linee spezzate a zig-zag e il motivo a "bandierine". Tale orizzonte, in base alle datazioni radiocarboniche, si può datare alla seconda metà del V millennio a.C. Le datazioni radiocarboniche più antiche che provengono dalle Arene Candide e dalla Pollera si inquadrano tra la fine del VI e la prima metà del V millennio a.C.
Durante il Neolitico Antico c’era, presumibilmente, una circolazione via mare, a lunga distanza, di persone e merci (incluse le ceramiche). Il reperimento di un cilindro di terracotta,  con una serie (5×12) di incisioni lineari, sulla sua superficie, ortogonali fra loro, formanti 60 caselle quadrate, rappresenta un oggetto unico nel panorama del neolitico italico. Si tratta, probabilmente, di un “Token”: termine inglese che si può tradurre come “segno stampato”, “contrassegno stampato”, ma che in termini archeologici indica un sistema di registrazione numerica. Il manufatto presenta, in 8 delle 60 caselle, un punto, impresso prima della cottura e, verosimilmente, sarebbe un antichissimo sistema di numerazione. Reperti simili si trovano in aree archeologiche, di epoche contemporanee al sito in esame, situate, soprattutto, in Medio Oriente: l’oggetto sarebbe unico fra i reperti del Neolitico italiano e potrebbe dimostrare la vastità delle influenze culturali e commerciali con popoli ed aree distanti del Mediterraneo Orientale, a loro volta legate a popolazioni più lontane di quanto fino ad ora considerato.
- Nelle isole britanniche si ebbe probabilmente una lunga coesistenza di entrambe le culture: comunità di colonizzatori agricoltori neolitici e gruppi locali di cacciatori e raccoglitori di cultura mesolitica. In queste zone ebbero particolare sviluppo i monumenti megalitici di cui l'esempio più celebre è il sito di Stonehenge.
- La diffusione della cultura della ceramica lineare si è arrestata prima di raggiungere le coste dell'Atlantico e del Baltico, probabilmente a causa della presenza di comunità di cacciatori e raccoglitori mesolitiche che si limitarono a scambiare con le comunità neolitiche oggetti, materie prime e specie domestiche. In alcune culture comunque, vi furono produzioni di tipo neolitico:
- Dal 4.200/4.000 al 2.700 a.C. circa, preceduta dalla "cultura di Ertebølle", si diffonde dalla foce dell'Elba alla foce della Vistola e dalla Scandinavia meridionale, alla Danimarca, ai Paesi Bassi e alle coste tedesche e polacche, la Cultura del bicchiere imbutiforme, di cacciatori-raccoglitori.
- La Cultura di Narva, era diffusa nei paesi baltici, nella Prussia Orientale e nelle vicine aree della Polonia e della Russia. Successa alla mesolitica cultura di Kunda, si prolungherà fino alla prima età del bronzo, subendo l'influsso delle culture della ceramica cordata, del bicchiere imbutiforme e dell'anfora globulare.
- La Cultura dell'anfora globulare occupa, tra il 3.400 a.C. e il 2.800 a.C., la stessa area della cultura del bicchiere imbutiforme, ormai nella sua ultima fase, e si sovrappone alla zona di diffusione della cultura della ceramica cordata.
- A sud le è contemporanea la cultura di Baden e a nord-est la fase finale della cultura di Narva.
- Tra il 3.200/2.800 a.C. e il 2.300/1.800 a.C. si sviluppa nel tardo Neolitico, fiorendo nel calcolitico perdurando fino alla prima Età del bronzo, una Cultura della ceramica cordata o "dell'ascia da combattimento" o "della sepoltura singola", nell'area tra il Reno e il Volga e nella Scandinavia meridionale, arrivando a sud fino alla Repubblica Ceca e alla Slovacchia.
- La cultura del vaso campaniforme si diffonde tra il 2800 e il 1900 a.C. circa, dal Portogallo alle regioni della Germania fino al fiume Elba, all'alto corso del Danubio e in Ungheria e ancora nelle isole britanniche, in Sardegna e Sicilia. La sua origine è stata riconosciuta nei Paesi Bassi e nella regione renana.

Nel 5.300 a.C. - La produzione di ceramica interessa anche la Finlandia. Le ceramiche più rappresentative appartengono alle culture della ceramica a pettine, note per i loro caratteristici motivi decorativi.

Scrittura dei  Sumeri e Sumerico
cuneiforme, clicca per ingrandire.
Dal 5.000 a.C. - I Sumeri si stanziano in Mesopotamia.
I Sumeri (abitanti di Šumer, egiziano Sangar, biblico Shinar, nativo ki-en-gir, da ki = terra, en = titolo usualmente tradotto come Signore, gir = colto, civilizzato, quindi "luogo dei signori civilizzati") sono la prima popolazione sedentaria al mondo, dopo le civiltà della valle dell'Indo, che possa essere considerata "civilizzata". Prima grande civiltà della nostra storia, i Sumeri possedevano conoscenze matematiche, ingegneristiche e cosmiche tali da fare ipotizzare a Zecharia Sitchin una loro origine extraterrestre. Il biblico Abramo, patriarca per l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam, le 3 religioni monoteiste e patriarcali, era sumero, originario della città di Ur. I Sumeri appartenevano ad un'etnia della Mesopotamia meridionale (odierno Iraq sud-orientale), autoctona o stanziatasi in quella regione dal tempo in cui vi migrò (dal 5.000 a.C.) fino all'ascesa di Babilonia (attorno al 1.500 a.C.).
Il pannello "Faccia della guerra"
denominato "Stendardo di Ur"
rinvenuto nel Cimitero Reale
della città di Ur del 2600 a.C. circa:
h 20 cm,  di lapislazzuli, conchiglie
e bitume. Si vedono  i carri  sumeri
 trainati da onagri che travolgono
i nemici sconfitti. - Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
I Sumeri rivestono grande importanza per l'Europa e per il mondo anche perché introdussero la scrittura. La loro scrittura cuneiforme sembra aver preceduto ogni altra forma di scrittura codificata e compare attorno alla fine del IV millennio a.C.
Le antiche città di Sumer.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Il sistema di numerazione sumero era sessagesimale cioè in base 60, lo stesso che usiamo noi per misurare gli angoli. Le tavolette del 3.000 a.C. dimostrano che era presente un simbolo per l’1, uno per il 10, uno per il 60, uno per il 600 e uno per il 3.600. Il sistema era posizionale, dunque il numero si evinceva in base alla posizione dei simboli stessi. La civiltà sumerica praticava l'agricoltura organizzata e pianificata livello di massa, oltre all'allevamento. Solo l'agricoltura diffusa infatti, permette ad una popolazione di essere stanziale e di strutturare una società complessa, con classi sociali che non devono occupare il proprio tempo a procacciarsi il cibo e che possono invece interpretare, specializzandosi, nuovi ruoli sociali rispetto ai cacciatori-raccoglitori. L'oroscopo con le previsioni per il futuro aiutavano quindi gli agricoltori sumeri a prevedere anche il tempo meteorologico e i momenti più adatti per le semine e i raccolti, oltre ai tipi di colture idonee ai tempi. Da li si originò la ricerca del principio cosmico...l'archè dei greci, da cui derivare gli effetti terreni. Talete stesso, il primo filosofo greco, si era  arricchito in seguito ad una sua previsione astrologica inerente ad una super produzione di olive e quindi, potenzialmente, di olio, per cui prenotò l'uso di tutti i frantoi che poté e così guadagnò parecchio. Tutte le pratiche divinatorie cercano delle risposte fondandosi sul principio che nulla è casuale. La ricerca è infatti incentrata sul causale, nell'individuare quali cause potranno agevolare determinati effetti. I Sumeri assunsero quindi grandi conoscenze astronomiche, e per primi sovrapposero agli astri la valenza di divinità, scoprendo le meccaniche di causa ed effetto cosmiche, (l'Astrologia) influenzando per sempre la visione cosmologico-religiosa delle successive civiltà del Mediterraneo e del vicino Oriente.
Sigillo cilindrico sumero VA243
al Museo delle civiltà Mediorientali
di Berlino, con la rappresentazione
del sistema solare eliocentrico
e una divinità che consegna un aratro
ad un astante, da: https://www.
Si tratta di uno dei popoli più antichi, che fissò per primo la sfera delle idee morali e delle concezioni religiose, che per primo creò delle leggi (il Codice di Ur-Nammu fu redatto quasi tre secoli prima del Codice di Hammurabi), e soprattutto il popolo che per primo inventò la scrittura, ovvero una serie di simboli scritti (o meglio incisi) che avessero corrispondenza con le idee pronunciate, dando così 
inizio a quella che chiamiamo storia e alla prima letteratura. Il percorso che ci ha portato alla quasi completa comprensione della cultura sumera è stato lungo e tortuoso, spesso fuorviante, sicuramente complicato anche dalla differenza concettuale tra la nostra scrittura a lettere e la loro particolare scrittura, chiamata cuneiforme dalla forma appunto a cuneo dei caratteri utilizzati. È opportuno precisare che, concettualmente, la scrittura sumera è molto simile a quella cinese o giapponese: un ideogramma, o un cuneo nel caso sumero, poteva indicare non un solo oggetto, ma altri oggetti, idee o gesti correlati allo stesso.
Divinità solare alata di Sumer, il
Mazda zoroastriano, oppure
rappresentazione di astonave.
Ad esempio, il simbolo designato per indicare la parola "bocca", che ha una determinata pronuncia, poteva essere utilizzato in altri contesti, e con pronunce diverse, per indicare la sfera di concetti legati alla bocca: "parlare", "dente", "parola" e via dicendo. Questo fece cadere in errore i primi sumerologi, quando scoprirono le tavolette che descrivevano l'Epopea di Gilgamesh, re di Uruk: la prima traslitterazione del nome "Gilgamesh" fu infatti "Izdubar", errore che in seguito venne notato e corretto.
Carta della mezzaluna fertile con il
dominio di Sumer.  Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Questo non è che un esempio delle difficoltà che gli studiosi incontrarono nel catalogare e tradurre le tavole di Sumer. Man mano che gli studi procedevano si scopriva un mondo fatto di uomini, eroi e dei (gli Annunaki) strettamente legati gli uni agli altri e alla natura stessa. Ai giorni nostri ancora si discute se la mitologia sia un insieme di semplici favole, oppure un tentativo di spiegare i fenomeni naturali, oppure un insegnamento morale nato dalla coscienza collettiva di un popolo; per quanto riguarda i sumeri, tutte queste congetture sono probabilmente da ritenersi ugualmente valide. La civiltà sumera si è sviluppata intorno al 5.000 a.C., quando il mondo era giovane e l'uomo aveva appena preso coscienza di sé e della propria collettività. Per accostarsi correttamente alla mitologia sumera, occorre avere ben presente quale fosse la concezione che i sumeri avevano della vita stessa; ci si può basare sui fatti, senza dubbio, ma la sociologia e l'antropologia ci possono venire in aiuto nella comprensione di un popolo ormai scomparso. E queste scienze, insieme alle ottime traduzioni dei testi in nostro possesso, ci presentano un mondo in cui l'uomo non è completamente padrone del proprio destino: ovverosia, lo è nel momento in cui si rende consapevole del fatto che si trova sulla Terra con il solo ed unico scopo di servire gli dei. Egli non è ancora l'homo faber dei latini, e la morte è l'unica sorte che lo aspetta: solo gli dei sono immortali, e questa è la legge ineluttabile della vita. La locuzione latina Faber est suae quisque fortunae, tradotta letteralmente significa "Ciascuno è artefice della propria sorte". L'espressione è caratteristica della teoria dell'homo faber, secondo cui l'unico artefice del proprio destino è l'uomo stesso; viene talvolta vista come un iniziale contrapporsi dell'uomo romano all'idea del fato (dominante nel mondo classico), per essere responsabile protagonista delle sue azioni o nella lotta contro il bisogno e la miseria.

Ricostruzione di scenario del
 Neolitico di Zdenek Burian. Da:
http://www.thehistorytemple.com/
preistoria/neolitico-agricoltura
-e-allevamento-la-loro-nascita
-e-avvolta-nel-mistero/
- La civiltà agricola e dell'allevamento, comporta una nuova maniera di inquadrare la vita sociale: con la capacità di creare grandi riserve alimentari, attraverso l'agricoltura e l'allevamento, il nomadismo caratteristico delle bande e tribù di raccoglitori-cacciatori (società egualitarie) cessa, e nella stanzialità il tessuto sociale si suddivide in classi e categorie. Le riserve alimentari e la ricchezza in generale, vengono gestite dalle élite, che le ottengono sottoforma di tasse e tributi: per fare il rendiconto dei tributi serve la scrittura, e servono nuove corporazioni con nuove competenze per gestire le nuove tecnologie. Nascono quindi le cleptocrazie, società non egualitarie in cui alcuni gruppi sociali sottraggono la loro ricchezza dai redditi dei sottomessi.
Da "Armi, Acciaio e Malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni" di Jared Diamond:
"Cosa deve fare un'élite per avere il consenso popolare e allo stesso tempo mantenere il suo stile di vita?Nei secoli, le soluzioni preferite sono state queste quattro:
1Disarmare le masse e trasformare l'esercito in una casta elitaria. Questo è molto più facile oggi, perché si può avere il monopolio delle armi tecnologiche prodotte in modo industriale; in passato, chiunque poteva fabbricarsi da sé una lancia o un mazza.
2Rendere le masse felici ridistribuendo i tributi in modi a queste graditi. È un principio valido per i capi hawaiani come per i politici del giorno d'oggi.
3Usare il monopolio della forza per mantenere l'ordine pubblico e calmare la violenza, facendo contenti i bravi cittadini. Questo è un vantaggio delle società centralizzate che viene spesso trascurato. Gli antropologi un tempo pensavano che le società organizzate in bande e tribù fossero non violente, citando come esempio tipico gli studi di qualche collega che non aveva osservato alcun omicidio durante una permanenza di tre anni in un gruppo di 25 persone. Beh, è del tutto ovvio: è facile calcolare che una dozzina di adulti con una dozzina di bambini, soggetti alle normali cause di morte, si estinguono se iniziano ad uccidersi tra loro ad un ritmo di uno ogni tre anni. Studi più approfonditi condotti per periodi di tempo più lunghi rivelano che l'omicidio è una delle principali cause di morte nelle società tradizionali. Mi capitò di essere presente mentre un'antropologa intervistava alcune donne della tribù guineana degli iyau. Una dopo l'altra, alla domanda «come si chiama tuo marito» rispondevano con una serie di nomi e di morti violente. Ecco una risposta tipica: «Il mio primo marito fu ucciso in un attacco degli elopi. Il mio secondo marito fu ucciso da un uomo che mi desiderava e che divenne il mio terzo marito. Questo fu ucciso dal fratello del secondo marito, per vendetta». Biografie di questo tipo non sono rare tra i «pacifici» indigeni, e fanno capire perché l'accettazione di un'autorità centrale sia stata sempre più generalizzata.
4Fabbricare un'ideologia o una religione che giustifica la cleptocrazia. Gli uomini delle bande e delle tribù credevano già nelle entità soprannaturali, ma questo non giustificava l'esistenza dell'autorità o del trasferimento di ricchezze, e non bastava a frenare la violenza. Quando un insieme di credenze fu istituzionalizzato proprio a questo scopo, nacque ciò che chiamiamo religione. I capi hawaiani erano assai tipici in questo, visto che si proclamavano dei, o figli di dei, o per lo meno in stretto contatto con gli dei. Cosi potevano dire al popolo che lo servivano facendo da intermediari con il soprannaturale, recitando le formule rituali per ottenere la pioggia, un buon raccolto o una pesca abbondante. Nelle chefferies troviamo in genere un'ideologia che anticipa le religioni istituzionalizzate, e che serve a rafforzare l'autorità del capo. Il capo può essere un leader politico e religioso allo stesso tempo, o può mantenere una casta di sacerdoti che provvede alla bisogna. Ecco perché una così larga parte dei tributi serve per costruire i templi, che servono sia come luoghi di culto della religione ufficiale sia come segni visibili di potere. Oltre a fornire questo tipo di giustificazione, la religione porta due importanti vantaggi alle società centralizzate. 
Carta dei siti di rilievo per presenza
di costruzioni  megalitiche
databili dal 4800 a.C. al 1200 a.C.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Innanzitutto, aiuta a risolvere il problema della convivenza pacifica tra estranei, provvedendo a fornire un legame comune che va al di là della parentela. In secondo luogo, fornisce qualche motivazione di carattere idealistico per il sacrificio della vita: così, al prezzo di pochi soldati che muoiono in battaglia, una società diventa più efficiente nelle conquiste e nel resistere agli attacchi esterni." Per "Le origini del nostro ordinamento economico: il governo dei ladri" clicca QUI.

Vie di penetrazione in Europa della
 civiltà megalitica proto-ligure, da sud.
Dall'Atlante storico di Hermann
Kinder e Werner Hilgemann, 1964.
Dal 4.800 a.C. - Prende avvio la prima fase di costruzione di megaliti in numerose aree europee. Secondo alcuni studiosi, fra cui il prof. Adolf Schulten, sono opere, perlomeno in parte, di una civiltà proto-Ligure.

- Genti Liguri hanno iniziato a cospargere di petroglifi le vallate e i rilievi nei pressi del monte Bego. Nella Valle delle Meraviglie (in francese Vallée des Merveilles), che fa parte del massiccio del Mercantour, nei pressi del confine fra Liguria, Piemonte e Francia, sono state scoperte più di 35.000 incisioni rupestri preistoriche, tra le quali numerose figure di armi (pugnali e alabarde) risalenti soprattutto all'età del Rame (III millennio a.C.) e in misura minore all'antica età del Bronzo (2.200-1.800 a.C.). Sono presenti anche figure più antiche, in particolare reticolati e composizioni topografiche (nell'area di Fontanalba), databili al Neolitico (V e IV millennio a.C.).
Incisioni rupestri della Valle
delle Meraviglie.
La Valle delle Meraviglie si trova nel comune di Tenda.
Carta del Mercantour  con la Valle
delle Meraviglie.
Fino al 1861 faceva parte della Contea di Nizza sabauda, poi dal 1861 al 1947 ha fatto parte dell'Italia ed era compresa nella provincia di Cuneo, col Trattato di Parigi del 1947 passò alla Francia. A partire dal 1967 è stata avviata un'indagine sistematica della zona da parte di un gruppo di universitari, museisti e scienziati finanziato dal Ministero della Cultura francese e dal Consiglio Regionale delle Alpi Marittime. Ad oggi sono state registrate oltre 35mila incisioni preistoriche (50mila comprendendo quelle storiche), la maggior parte delle quali si trova intorno al Monte Bego, da molti considerata una montagna sacra per gli antichi Liguri al pari del Monte Beigua, fra le province di Savona e Genova (non a caso altra zona ricca di incisioni rupestri). La ripartizione dei graffiti è di circa metà nella Valle delle Meraviglie, situata a ovest del Bego e metà a nord, nella Valle di Fontanalba. Vi sono anche altre zone più a nord con presenza di incisioni, ma di minore importanza. Si possono quindi identificare i seguenti settori in ordine decrescente di importanza:
Riproduzione di alcuni petroglifi
della Valle delle Meraviglie.
- Valle delle Meraviglie,
- Valle di Fontanalba (in francese Fontanalbe),
- settore di Valauretta (in francese Vallaurette),
- settore del Colle del Sabbione (in francese Col du Sabion, situato tra Francia e Italia),
- settore del Lago di Santa Maria,
- settore di Valmasca (Valmasque),
- settore del Lago Vej del Bouc, in Italia.
Il tutto è compreso in un'area di 40 km².

Dalla fine del quinto millennio alla fine del terzo millennio a.C. (periodo che comprende il Neolitico e l'Età del Bronzo), si manifestarono in Europa delle civiltà che erigevano monumenti litici (in pietra) finalizzati al culto.  I Dolmen e i Menhir sono tra i più antichi monumenti esistenti, perlopiù databili al neolitico, anche se fanno pensare ad espressioni di culture più antiche, poiché non richiedono la manipolazione di materie prime al fine di creare nuovi prodotti, come ad esempio la ceramica, ma sottintendono invece a grandi conoscenze nell'arte della costruzione, necessaria allo spostamento e posta in loco di grandi masse di pietra, sbozzatura e sovrapposizioni con pesi enormi e precisi equilibri. Nessuno sa con certezza quale fosse la loro funzione ma ciò che li rende misteriosi è il fatto che, sebbene i più famosi dolmen e menhir del mondo si trovino in Irlanda, a Stonehenge in Inghilterra e nella bretone Carnac in Francia, sono sparsi per tutta l’Europa, specialmente nella parte occidentale. Il termine Menhir deriva da due parole bretoni, “men” (pietra) e “hir” (fitto o alto) e vuol dunque dire “pietra alta o conficcata”. L’etimologia della parola “dolmen”, invece, deriva dall’unione di due termini bretoni: “t(d)aol” (forse imparentato con il latino tabula), tavolo e “men” che significa pietra. Occorre però evidenziare che la parola è coniata e non appartiene alla lingua bretone. Il vero termine bretone per designare un dolmen è, infatti, “Liah vaen”, insieme con altre varianti. Altri dizionari etimologici rintracciano l’origine di dolmen nella lingua celtica parlata in Cornovaglia, precisamente nella parola “tolmen”, che avrebbe designato in origine un cerchio di pietre o una roccia scavata.
Altare sopra Arma Strapatente, in
provincia di Savona.
Di Alfredo Pirondini QUI : Vennero erette costruzioni megalitiche come Menhir semplici ed allineati, Dolmen, Cromlech (recinti megalitici), spesso vicino a rocce incise, considerate contemporanee dei megaliti limitrofi. Il significato di tale prossimità potrebbe essere spiegato come un segno della presenza del “sacro”. Le raffigurazioni di “oranti” avvalorerebbero, inoltre, questa ipotesi. Coppelle e canalette potrebbero, invece, essere state utilizzate come contenitori e collettori di liquidi (organici e/o meteorici) a scopi rituali. I “cruciformi” incisi su queste pietre sarebbero, invece segni di Cristianizzazione e, quindi, potrebbero essere considerati di epoca meno remota. Ciò indicherebbe una frequentazione di questi siti in periodo romano, medievale e, forse anche più recente, con finalità anche differenti da quelle originali (per cacciare o per allevare animali).
Menhir a Bric di Pianella, in
provincia di Savona.
Nella zona di Finale Ligure sono presenti strutture orientate astronomicamente: “Osservatorio” di Bric Pianarella (con annessa “casella”), Menhir e Dolmen di Verezzi, Dolmen di Monticello, Rocce Altare e Tavole in Pietra di Finale presenti sui maggiori rilievi della zona (Altari di Monte Cucco, di Bric Pianarella, della Rocca degli Uccelli, del Bric del Frate, dell'Arma Strapatente, del Bric di Sant'Antonino). Tutte queste strutture megalitiche sono in stretta vicinanza con rocce incise ampiamente conosciute  come il Ciappu de Cunche (o Ciappo delle Conche: il termine "ciappo", nel Finalese, indica una lastra di pietra), il Ciappu de Cunchette (Ciappo dei Ceci), il Ciappu du Sà (Ciappo del Sale), il Ciappo Pianarella, il Ciappo della Valle dei Frassini (per citare solo quelli più noti) con presenza di incisioni di oranti, croci, coppelle e canalette. La datazione dei reperti descritti costituisce un problema di difficile soluzione, in quanto i petroglifi si trovano in un luogo “aperto”, facilmente modificabile da fattori meteorici ed umani.
Dolmen "dei tre pè" di Castellermo,
in provincia di Savona.  
La presenza di altre strutture simili in area Europea è, comunque, ben conosciuta. Ricordiamo, infatti, quanto riportato in numerosi studi che fanno riferimento al santuario di Panoias, (Portogallo settentrionale). Qui, accanto ad una grande roccia con vasche, canali e coppelle, scalini scavati nella roccia, vi è la seguente iscrizione latina risalente al III sec. d.C.: "HUIUS HOSTIAE QUAE CADUNT HIC IMM(ol)ANTUR EXTRA INTRA QUADRATA CONTRA CREMANTUR - SAN(gu)IS LAC(i)CULIS (iuxta) SUPERFU(ndi)TUR" (traducibile con: “Qui sono consacrate agli dei le vittime che vi vengono abbattute: le loro interiora vengono bruciate nelle vasche quadrate e il loro sangue si diffonde nelle piccole vasche circostanti”). I grandi affioramenti rocciosi, con caratteristiche simili a quelle descritte per il santuario di Panoias, presenti nel Finalese, potrebbero, almeno per un certo periodo, avere avuto una funzione analoga.
Dolmen di Monticello, in provincia
di Savona.
Il fatto, inoltre, che le “pietre-altare” siano costruite su luoghi elevati indica, probabilmente, la volontà di scegliere un sito appropriato dal quale si potesse avere una sorta di controllo visivo del territorio sottostante, in rapporto anche alla sacralità delle postazioni di altura e delle cime montane, tipica delle popolazioni celto-liguri.
Dolmen e Menhir non sono, quindi, estranei all'area culturale del Finalese e subalpina come si pensava fino a poche decine di anni addietro. Si riteneva, infatti, che la cultura megalitica si fosse arrestata nella regione transalpina, senza  oltrepassare le Alpi. 
Dolmen di San Giovanni presso
Massafra, in provincia di Taranto.
Unica eccezione era l'area pugliese, i cui dolmen, pietre-fitte e specchie erano però attribuiti all'influsso di popolazioni provenienti dalla penisola balcanica, attraverso l'Adriatico, in quanto, nel restante bacino del Mediterraneo, il megalitismo è ben rappresentato. Il lavoro di Puglisi "La Civiltà Appenninica. Origine delle comunità pastorali in Italia " alla fine degli anni '50 del secolo scorso e la scoperta, negli anni '60, della necropoli megalitica di Saint Martin de Corléan, ad Aosta, dimostrarono l'infondatezza di questa tesi. Del tutto recentemente sono stati descritti reperti di possibile interesse megalitico anche in Val Ceresio, come menhir, dolmen, strade megalitiche, incisioni rupestri. La zona interessata dalle ricerche è poco conosciuta dal punto di vista archeologico, pur facendo parte dell'area golasecchiana. Con le dovute cautele, la datazione di tali reperti può essere fatta risalire al Neolitico ed all'Età del Bronzo, ad opera di popoli pre e/o protoceltici. Recenti studi, basati sulle nuove metodiche di ICP/OES o AAS (acronimi per Induced Coupled Plasma/Optical Emission Spectroscopy o Atomic Absorption Spectroscopy) hanno dimostrato che la metallurgia era ampiamente conosciuta, nell'area oggetto del presente studio, già nella Media Età del Bronzo (1.600 - 1.350 a.C.) e che l'attività estrattiva era praticata anche in località minerarie della Valle stessa. La Val Ceresio sarebbe stata, quindi, fin dall'Età del Bronzo, parte di vie di scambio dei metalli fra il Mediterraneo, la Val Padana e l'Europa Transalpina. Nella seconda metà degli anni '80 del secolo scorso, sono stati identificati a Nord di Sanremo (nella provincia di Imperia) due tumuli sepolcrali circolari. Uno di questi, studiato con metodi stratigrafici dalla locale sezione dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri, ha potuto essere attribuito alla fase finale dell'Età del Bronzo. [Alessi C. (2009) Sanremo (IM). Siti Archeologici a Monte Bignone. Archeomedia - Rivista di Archeologia On-line (settembre 2009)].
Menhir presso Carmo
dei Brocchi, Andagna,
in provincia di Imperia.
Percorrendo, per circa 15 Km, la strada provinciale che da Molini di Triora (provincia di Imperia) conduce a Rezzo, si raggiunge Passo Teglia (1.387 m. s.l.m). Dalla sommità del valico si prende il sentiero che conduce, percorrendo trasversalmente la faggeta del Bosco di Rezzo, al Passo della Mezzaluna. Fra Passo Teglia ed il Passo della Mezzaluna , lungo la "Via Marenca" (o Marenga, del mare) di origine e frequentazione millenaria, troviamo il "Sotto" di San Lorenzo. Qui possiamo ammirare un masso altare, probabilmente utilizzato per sacrifici animali, con una coppella e relativo canaletto di scolo. Il masso è situato ai margini di una depressione del terreno (ora una dolina, probabilmente sede di un laghetto), nel punto illuminato per ultimo dal sole prima del tramonto. Nei pressi un antico insediamento pastorale sottoroccia, ricavato in uno sfasciume di massi adattati a ripari. Nel punto più alto della valletta (Passo delle Porte, nei pressi della cima di Carmo dei Brocchi), dal quale è possibile vedere il mare, una pietra conficcata nel terreno, contrassegna un luogo di raduno di particolare significato. Il menhir è alto circa due metri, largo 60 cm e spesso 10, e si presenta oggi inclinato su un fianco. Anche se non è possibile attribuirgli un'età, si tratta evidentemente di una testimonianza del mondo pastorale, che rispecchia quindi schemi di vita e di pensiero protrattisi immutati nei secoli. E' curiosa l'analogia (luna e stelle) dei nomi delle località: Mezzaluna e San Lorenzo, la cui notte (10 agosto) è la notte delle stelle cadenti.  
Il dolmen di Verezzi, in provincia di
Savona.
Anche altri manufatti presenti in Liguria, come il Menhir ed il Dolmen di Verezzi, fino ad allora attribuiti, pur con riserve, alla civiltà contadina recente, hanno assunto un significato diverso e la scarsità di reperti megalitici in Italia, differentemente dalle regioni transalpine (specie nord-occidentali ed insulari), potrebbe spiegarsi con il maggiore avvicendamento di civiltà nel corso del tempo, fatto che avrebbe trasformato radicalmente l'aspetto del territorio, comportando la perdita di molti di questi artefatti. La presenza di Megaliti, può essere dunque considerata come un marcatore dei legami esistenti, già dal Neolitico, fra MediterraneoItalia Nord Occidentale ed Europa Transalpina. In questa prospettiva, la Liguria, grazie alle peculiarità geologiche, paleontologiche e paletnologiche descritte, può rappresentare un crocevia per tali scambi commerciali e culturali, già ampiamente documentati per le successive epoche preistoriche e protostoriche. La diffusione delle Culture della Ceramica Impressa e dei Vasi a Bocca Quadrata nell'Italia Settentrionale e nella restante Europa continentale, dimostra attivi scambi commerciali e culturali con il Nord. Il ritrovamento del “Token” di Pian del Ciliegio, prova rapporti culturali e commerciali, fin dal Neolitico Antico, con regioni Mediorientali, quali la Fenicia e la Mesopotamia. Da: Del Lucchese A. "Il Riparo di Pian del Ciliegio. Quaderni del Museo Archeologico del Finale. 2009" Il reperimento di un cilindro di terracotta con la una serie (5×12) di incisioni lineari, sulla sua superficie, ortogonali fra loro, formanti 60 caselle quadrate, rappresenta un oggetto unico nel panorama del neolitico italico. Si tratta, probabilmente di un “Token”: termine inglese che si può tradurre come “segno stampato”, “contrassegno stampato”, ma che in termini archeologici indica un sistema di registrazione numerica. Il manufatto presenta, in 8 delle 60 caselle, un punto, impresso prima della cottura e, verosimilmente, sarebbe un antichissimo sistema di numerazione. Reperti simili si trovano in aree archeologiche, di epoca contemporanee al sito in esame, situate, soprattutto, in Medio Oriente: l’oggetto in esame sarebbe unico fra i reperti del Neolitico italiano.

Dal 4.400 a.C. - Prime emigrazioni di genti indoeuropee (Cultura di Sredny Stog) dalle steppe pontico-caspiche nei Balcani ("Prima ondata Kurgan" 4400 - 4300 a.C.) dove emerge la Cultura di Cernavodă. Si sviluppano fra i proto-indoeuropei delle steppe le culture di Majkop (nel Caucaso settentrionale) e di Jamna.

Dal 4.000 a.C. - La cultura kurganica alleva cavalli, dal 4.000 a.C. fin verso il 2.100-2.000 a.C. sia per mangiarli che come animali da soma. Imparò in seguito ad usare cavalli per trainare agili carri da caccia, corsa e guerra e a cavalcarli in maniera incontrollata (con nasiere e senza sella o sottopancia); finalmente dopo circa un millennio di tentativi e di selezioni del cavallo, fu possibile montarlo in maniera utile per poterlo impiegare in battaglia, controllandolo quindi con una mano o con le gambe e contemporaneamente poter brandire un'arma. Inizialmente quindi, i kurganici non avrebbero avuto molta superiorità militare sui popoli privi di cavalleria, oltretutto fino alla scoperta del carro leggero e soprattutto a quelle del morso e dell'arte equestre. Nessun popolo fu "veramente" nomade e i Kurgan, in particolare, vanno interpretati come l'espressione di una civiltà dedita ad una pastorizia transumante con al centro insediamenti fluviali. La scoperta della cavalcabilità del cavallo (tra il 1100 e il 1000 a.C.) fu una rivoluzione che mise in moto le steppe occidentali mentre forse ad est degli Altaj, con l'addomesticazione della renna, si era verificato un fenomeno analogo anche se la renna, a differenza di buoi, pecore, capre e cavalli usati dai kurganici, poco si adatta a condizioni di vita semi stanziali e transumanti.

- Dal 4.000 a.C., secondo risultati degli scavi di Çatalhöyük realizzati da James Mellaart, nel 1955 e da Fritz Schachermeyr nel 1979, i Pelasgi sono emigrati dall'Asia Minore verso il bacino dell'Egeo. Altri studiosi hanno attribuito ai Pelasgi un certo numero di caratteristiche culturali e linguistiche non-indoeuropee:
In rosso l'isola di Lemnos, in Grecia.
- presenza di prestiti linguistici non-indoeuropei nel greco, introdotti nel suo sviluppo preistorico,
- presenza di toponimi non greci nella regione contenenti la sequenza "-nth-" (esempio Corinth), oppure "-tt-", in Attica, o "-ss-"(esempio Larissa),
- alcuni miti e divinità (spesso dee) che non hanno corrispondenza in altri popoli indoeuropei come Germani, Celti o Indiani,
- un piccolo numero di iscrizioni in una lingua non greca.
Quelle meglio conosciute provengono dall'isola di Lemnos, e sono affini all'etrusco.

Palafitta.
- Il sito palafitticolo di Fiavè, in Trentino, uno dei più importanti d’Europa è stato recentemente inserito nel Patrimonio mondiale dell'Unesco: le palafitte di Fiavè costituiscono un punto di riferimento di eccezionale importanza per la storia delle palafitte preistoriche in Europa. La loro rilevanza archeologica, già nota dalla seconda metà dell’800, emerge grazie agli scavi sistematici diretti da Renato Perini tra il 1969 e il 1975, che hanno portato alla luce diversi tipi di abitati palafitticoli. I ritrovamenti, nonché le analisi paleoambientali estese a tutto l’antico bacino lacustre, oggi completamente intorbato, permettono di ricostruire la storia del lago, che inizia circa 15.000 anni fa, e quella delle comunità umane che si avvicendarono lungo le sue sponde e che va dal Mesolitico (VII-VI mill.a.C.) fino all’età romana. L'insediamento stabile più antico, resti di capanne erette anche su una bonifica della sponda lacustre, è databile alla prima metà del IV millennio a.C.

Antica rappresentazione di Eingana.
Il ricordo degli Euganei si conserva
nelle leggende e nelle favole delle eingane
o anguane/angane/aivane, ecc. Gli antichi
Euganei abitavano palafitte lungo laghi
e fiumi e le Anguane sono la loro mitica
rappresentazione che ne determina il nome
nelle varianti etnonimiche: in retico Anauni,
in ligure Ingauni. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
- Una popolazione italica, ligure e preindoeuropea, fu quella degli Euganei. Gli Euganei furono un popolo insediatosi originariamente nella regione compresa fra il Mare Adriatico e le Alpi Retiche. Successivamente essi furono scacciati dai popoli Veneti in un territorio compreso tra il fiume Adige ed il Lago di Como, dove rimasero fino alla prima età imperiale romana. Catone il Censore, nel libro perduto delle Origines, annoverava tra le maggiori tribù euganee i Triumplini della Val Trompia ed i Camuni della Val Camonica. Si trattava probabilmente di un popolo preindoeuropeo di stirpe affine a quella dei Liguri Ingauni, come testimoniato dall'analogia dei nomi. Appartengono alla stessa stirpe degli Euganei, secondo Plinio il Vecchio anche gli Stoni in Trentino. Si dedicavano alla raccolta e alla caccia ed erano nomadi. Scoprirono l'agricoltura e l'allevamento e diventarono sedentari costruendo villaggi di capanne e palafitte e radunandosi in tribù. Già nei tempi antichi conoscevano l'uso dei metalli. Testimonianze apprezzabili risalgono al neolitico indicando una società piuttosto primitiva: tracce di abitazioni, ma soprattutto manufatti di osso, selce e vasi di terracotta ad uso religioso. Gli insediamenti principali sono stati ritrovati sulle colline vicine a Padova; scendevano in pianura per celebrare riti religiosi, in particolare in prossimità delle sorgenti termali dove adoravano varie divinità, fra cui forse il dio Apono, più tardi entrato a far parte dei culti delle popolazioni Venete. Ad essi si deve il termine "Venezia Euganea" usato in passato per definire la regione Veneto.
Resti di castellaro a Bric Camulà,
nel comune di Arenzano (GE).
Quando i Veneti raggiunsero il loro territorio fra il XII e l'XI secolo avanti Cristo, provenienti da un'imprecisata regione dell'Europa orientale, in parte spostarono verso Ovest gli Euganei ed in parte li assorbirono fondendosi con loro. Nel II secolo a.C. vennero sottomessi dai Romani e si fusero con i popoli vicini.

A partire dal IV millennio a. C. si accrescono le conoscenze riguardanti il trattamento dei minerali metalliferi e in seguito allo sviluppo della metallurgia, le società si organizzano in assetti sempre più complessi, con vere e proprie strutture gerarchiche.
Muro di cinta di castellaro a
Verezzi (SV).
Sono costruite fortificazioni di altura, note con il nome di castellieri o castellari.

Nel 3.800 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, a Sumer ha inizio la civiltà urbana quando gli Anunnaki vi rifondano le antiche città, a cominciare da Eridu e Nippur. Anu arriva in pompa magna sulla Terra. Una nuova città, Uruk (Erech), viene costruita in suo onore e lui del tempio ne fa la dimora della sua amata pronipote Inanna/Ishtar.

Nel 3.760 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, il genere umano ottiene la sovranità. La civiltà sboccia a Sumer (la Prima Regione) in cui Kish è la prima capitale, sotto l'egida di Ninurta. A Nippur viene creato il calendario.

- Il calendario ebraico pone nel 3.760 a.C. o p.e.v. il proprio anno 1, che era considerato quindi l'anno della Creazione.

- Dai ritrovamenti archeologici, sappiamo come Sumeri sostenessero che la loro civiltà fosse stata portata, già completamente formata, alla città di Eridu dal loro dio Enki (o Ea) o dal suo aiutante Adapa (chiamato Oannes da Berosso). Questa rivendicazione forse deriva dal fatto che Eridu si trovava allora sulla linea costiera del golfo Persico ed era la più antica città della Mesopotamia meridionale. Per quanto riguarda la ricostruzione cronologica delle più antiche dinastie sumeriche, ci possiamo basare sulla Lista Reale Sumerica, che annota i nomi dei primi re antidiluviani che sono contraddistinti da regni di durata lunghissima. La prima città ad assumere la regalità sarebbe stata, secondo la lista, Eridu, quindi a seguire Bad-tibira, Larak, Sippar e infine Šuruppak. Nel periodo di egemonia di Shuruppak la lista descrive l'avvento di un diluvio universale che mise fine al regno, riconosciuto dagli archeologi come fatto storico in quanto è stata confermata la presenza di uno spesso strato di limo (spesso 3 metri), depositato subito dopo l'oscillazione di Piora (un repentino periodo umido e freddo, di durata relativamente breve, nella storia climatica dell'Olocene. Viene generalmente datato tra il 3.200 e 2.800 a.C., periodo a cui viene datata anche la mummia del Similaun, il corpo dell'uomo ritrovato nel ghiacciaio del Similaun, al confine tra Italia e Austria), concentrato soprattutto sulla città di Šuruppak ed esteso fino a Kish. Il diluvio in questione sarebbe quindi avvenuto fra il 2900 e il 2700 a.C..
Il sito di Nippur fu oggetto di studio, da parte degli americani, per più di un secolo. Era il 1888 quando l'Università della Pennsylvania organizzò la sua prima spedizione. A dirigere le operazioni fu allora il dott. Robert F. Harper. Lo straordinario ritrovamento di più di 30.000 tavolette d'argilla in cuneiforme (più dell'80% di tutte le opere letterarie sumeriche conosciute sono state trovate a Nippur) spinse la spedizione a lavorare fino al 1900. Oltre alle tavolette furono individuate: la ziqqurat e il tempio di Enlil. Fra le tavolette furono trovate le versioni più antiche, fra quelle conosciute, della storia dell'inondazione (Diluvio), di Gilgamesh e dozzine di altre opere. Fu trovato un gruppo importantissimo di testi in lessico e parecchi documenti scritti in due lingue (Sumerico/Accadico) che permisero agli eruditi del tempo di fare enormi passi per la comprensione del sumerico.

- In questi anni compaiono i primi monarchi che accentrano nella loro persona poteri politico-militari e connessioni col divino, spesso considerati figli degli dèi o semidèi, come Narmer (o anche Meni e Menes), primo sovrano della I dinastia egizia che regnò dal 3150 a.C. al 3125 a.C., identificato con il faraone semi-leggendario che unificò l'Alto e il Basso Egitto. 
Fortificazioni liguri a monte Vallasa.

Dal 3.600 a.C. - Nel territorio Ligure, il nuovo uso delle risorse porta ad un miglioramento delle condizioni di vita, ad un aumento della popolazione e ad una società più complessa, in cui prendono a manifestarsi delle specializzazioni nei vari settori produttivi, che consentono attività quali il riconoscimento e lo sfruttamento dei giacimenti di minerali. Nella Liguria orientale (a Monte Loreto, nell'entroterra di Sestri Levante) sono state ritrovate le tracce delle più antiche miniere di rame finora note in Europa occidentale (3.600-2.400 a.C.). 

Rappresentazione della Storia.
Dal 3.500 a.C. - Secondo gli organi ufficiali della comunità scientifica finisce la  PROTOSTORIA e inizia la STORIA. Per convenzione, si considera Storia il periodo da cui esistono documenti scritti e in questo periodo la Civiltà di Sumer aveva già adottato un alfabeto e quindi una scrittura. In questo periodo inizia a diffondersi la civiltà dei metalli. La prima "civiltà dei metalli" inizia con l'uso dell'oro, si presume a scopi ornamentali anche se scarseggiano certezze e prosegue con l'età del rame, epoca in cui avvengono anche la domesticazione del cavallo e l'invenzione della ruota. Migliorando le tecniche di fusione, l'uomo impara a formare una lega del rame con lo stagno ottenendo così il bronzo, molto più duro ed utile per utensili ed armi.

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.6: dal 6.000 al 3.500 p.e.v. (a.C.)" QUI.

Cartina degli spostamenti e migrazioni degli Indoeuropei
nel 3.500/2.500 a.C. di Dbachmann (discussione contributi)
- Opera propria, CC BY-SA 3.0, QUI.  

- Seconda migrazione dalle steppe/caucaso (Cultura di Majkop) nei Balcani e in Europa centro-orientale ("Seconda ondata Kurgan" 3500 - 3000 a.C.) e conseguente diffusione della cultura di Baden e Coţofeni e della cultura delle anfore globulari che ricalca in parte l'area geografica occupata dalla precedente cultura del bicchiere imbutiforme (pre-indoeuropea).

- La cultura dell'ascia da combattimento (o della ceramica cordata) è considerata come la culla dei popoli germanicicelticibaltici e slavi. Per i sostenitori dell'ipotesi kurgan lo sviluppo iniziale di questo vasto complesso archeologico (derivante dalla cultura delle anfore globulari e da influssi della cultura di Jamna) è da attribuire agli immigrati indoeuropei giunti dalle steppe. A partire dal nucleo originario, localizzabile nell'Europa centro-orientale, si estenderà fino a raggiungere la Scandinavia e la Russia centrale e nord-orientale (cultura di Fatyanovo-Balanovo).

- Gli Ittiti emigrano in Anatolia dai Balcani (Cultura di Ezero) o dal Caucaso (Cultura di Majkop). In Siberia meridionale, presso i monti Altaj, si sviluppa la cultura di Afanasevo, imparentata con quella di Jamna e associata ai Tocari o proto-Tocari.

Nel 3.450 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, il primato a Sumer passa a Nannar/Sin. Marduk proclama Babilonia "Porta degli Dèi". Episodio della Torre di Babele. Gli Anunnaki confondono le lingue dell'uomo. Fallito il suo "golpe", Marduk/Ra torna in Egitto, depone Thoth e cattura il suo fratello minore Dumuzi, che si era fidanzato con Inanna. Dumuzi viene accidentalmente ucciso; Marduk viene imprigionato vivo nella Grande Piramide. Liberato poi attraverso un condotto di emergenza, va in esilio.

Dal 3.250 a.C. - Inizia la migrazione dall'India di quelli che noi chiamiamo Fenici e che erano gli stessi che abitavano sulle coste orientali dell’italia meridionale, che allora si chiamavano Yoni perchè portavano un bastone biforcuto per simbolizzare i genitali femminili (erano portatori di una cultura matriarcale).
La Y degli Ioni
Quando proseguirono per il medio oriente li chiamarono Pallis (palo, bastone, pastori), a causa del bastone, e dopo che si insediarono nel territorio circostante le rive del giordano denominarono quella terra “Pallis-tan (tan = terra), che signica “Terra dei Pastori”, italianizzato Palestina. Alcuni fra questi preferirono la vita nomade e si fusero con i popoli delle sabbie, ara-bac, quelli che gli Egizi chiamarono poi Hixos = capi pastori. Venivano dall’India, dopo la scissione del grande impero bianco, che gli Ari avevano sovrapposto al grande impero nero, a causa del conflitto sulla causa prima del mondo, maschile o femminile. Costoro erano i perdenti, cioè la feccia dell’India protostorica.  Erano i primi Hindi che si riversavano, a partire del 3250 a.C., in altre parti del mondo. Quelli che seguirono il principe Hirsou che aveva perso la sua battaglia per l’affermazione femminile, vennero chiamati Hirsity e poi Hittiti. Alcuni di questi si stanziarono in Hirpinia (capito il senso) e Malevento. Questi Hindi portarono con loro la scrittura che già da millenni usavano nella loro patria, l’India. Anche il colore delle proprie vesti, il rosso, era un simbolo matriarcale, il mestruo, da cui Fenici = rossi, mentre i patriarchi vincitori Hindi che rimasero nella loro terra adottarono il bianco, simbolo maschile derivante dal colore dello sperma, adottato dai Bramini. Tratto da http

Carta con le migrazioni indoeuropee dal 3.500 a.C.
Nal 3.100 a.C. - La cultura di Jamna si estende dall'Ucraina ai Balcani ("Terza ondata Kurgan" 3100 - 2900 a.C.). Le tombe a tumulo si propagano in tutta la penisola balcanica sino alla Grecia settentrionale, cambiamento culturale associato alla penetrazione degli Elleni (2300 - 2200 a.C.). È probabile che anche le altre lingue paleobalcaniche (oltre il greco), almeno in parte, siano da far risalire a questa terza ondata. Il kurgan è il tumulo funerario usato dagli Sciti per inumare i feretri della propria aristocrazia. Non solo monumento funebre ma, al tempo stesso, espressione del potere e della ricchezza raggiunti, simbolo distintivo in una società guerriera fortemente stratificata.

- Nel 3.100 a.C. secondo Zecharia Sitchin, dopo 350 anni di caos, il primo faraone egizio si installa a Menfi. La civiltà arriva nella Seconda Regione, la valle del Nilo.

Europa - Siti di rilievo per la
 presenza di costruzioni
  megalitiche databili dal
4800 a.C. al 1200 a.C.
  Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
Dal 3.000 a.C. - Prende avvio la seconda fase di costruzione di megaliti in numerose aree europee. I Dolmen e i Menhir sono tra i più antichi monumenti esistenti, perlopiù databili al neolitico, anche se fanno pensare ad espressioni di culture più antiche, poiché non richiedono la manipolazione di materie prime al fine di creare nuovi prodotti, come ad esempio la ceramica, ma sottintendono invece a grandi conoscenze nell'arte della costruzione, necessaria allo spostamento e posta in loco di grandi masse di pietra, sbozzatura e sovrapposizioni con pesi enormi e precisi equilibri. Nessuno sa con certezza quale fosse la loro funzione ma ciò che li rende misteriosi è il fatto che, sebbene i più famosi dolmen e menhir del mondo si trovino in Irlanda, a Stonehenge in Inghilterra e nella bretone Carnac in Francia, sono sparsi per tutta l’Europa, specialmente nella parte occidentale. I menhir e i dolmen dell’Europa occidentale sono generalmente datati dal III° al II° millennio a.C., e sono perlopiù grandi pietre sbozzate e allungate con forme armoniose (accatastate nel caso del dolmen); altri megaliti sono antropomorfi o zoomorfi e quelli antropomorfi possono risalire al Paleolitico superiore, secondo alcuni, ma  in tutti e tre i casi, si ritiene che siano state espressioni artistiche a fini di culto.
Menhir nei pressi di
Carmo dei Brocchi ad
Andagna, in provincia
di Imperia.
Il termine Menhir deriva da due parole bretoni, “men” (pietra) e “hir” (fitto o alto) e vuol dunque dire “pietra alta o conficcata”. L’etimologia della parola “dolmen”, invece, deriva dall’unione di due termini bretoni: “t(d)aol” (forse imparentato con il latino tabula), tavolo e “men” che significa pietra. Occorre però evidenziare che la parola è coniata e non appartiene alla lingua bretone. Il vero termine bretone per designare un dolmen è, infatti, “Liah vaen”, insieme con altre varianti. Altri dizionari etimologici rintracciano l’origine di dolmen nella lingua celtica parlata in Cornovaglia, precisamente nella parola “tolmen”, che avrebbe designato in origine un cerchio di pietre o una roccia scavata.
Dolmen a Roccavignale, in
provincia di Savona.
 In effetti i Dolmen sono costituiti da più pietre sistemate in modo da formare una sorta di grotta o di casetta di pietra. Alcuni, più profondi, possono perfino ospitare delle persone, mentre altri, molto più bassi, possono fungere da altari. Come i Menhir, i Dolmen sono precedenti alla cultura celtica, sebbene siano meno antichi. Anche sui Dolmen esistono differenti ipotesi, tra le quali che si trattasse di monumenti funerari. Secondo altre teorie, invece, svolgevano la funzione di altari e luoghi di culto. In realtà è possibile che, nel corso dei secoli, abbiano svolto entrambe le funzioni. Gli archeologi, infatti, hanno ritrovato all’interno o sotto i Dolmen, differenti ossa, chiare testimonianze di sepolture ed è dunque plausibile supporre che siano stati luoghi di culto.

- Nel 3.000 a.C. l'Europa occidentale è abitata da una civiltà proto-Ligure che parla una lingua di cui il basco è una reliquia, secondo Adolf Schulten. Questa civiltà, autoctona e non indoeuropea, con vocazione megalitica, potrebbe essere derivata da gruppi del genere Cro-Magnon. Sono i Greci che ci danno una prima descrizione di chi aveva abitato l'Europa prima dei loro stanziamenti: la fonte più antica è rappresentata da una discussa versione di un frammento di Esiodo (fine VIII inizi VII secolo a.C.), riportato da Strabone, che cita i Liguri insieme agli Etiopi e agli Sciti come i più antichi abitanti dell’Europa.
Vie di penetrazione e di traffici in
Europa da parte della civiltà
 megalitica proto-ligure, da
"Atlante storico" di Hermann
Kinder e Werner Hilgemann, 1964.
Nel "V Simposio Internazionale di Preistoria Peninsulare: Tartesso 25 anni dopo" tenuto a Jerez de la Frontera nel 1995, vennero illustrate le ipotesi contenute nei testi di O. Arteaga , H.D. Schulz e A.M. Roos sul tema: "Il problema del Lacus Licustinus. Ricerca geoarcheologica intorno alle paludi del Basso Guadalquivir". Ecco uno stralcio della relazione: "Il Professor Schulten, considera ligure l'intera penisola spagnola prima dell'invasione della stirpe iberica (camita-berbera) dall'Africa, e pensa che la lingua basca sia una reliquia ligure.". Da notare che il popolo basco è stato da lunghi decenni oggetto di numerosi studi, sia dal punto di vista etnico, linguistico e biologico, con l'intento di chiarire l'antica origine di questa popolazione, e dal punto di vita biologico è stata riscontrata la presenza, in una forte percentuale della popolazione (circa il 30% - 35%), del fattore Rh negativo. Gli studi condotti portano ad ipotizzare che l'origine del popolo basco sia da ricondurre alle antiche popolazioni umane che, autoctone, abitavano l'Europa durante il paleolitico e che, a seguito dell'ultima glaciazione, si sono insediate nell'attuale area dei Paesi Baschi. Prosegue la relazione "L'affermazione che le popolazioni primitive della penisola iberica fossero liguri, poggia su un brano di Esiodo del VII secolo a.C., chiamante ligues (ligure n.d.r.) tutta l'Europa occidentale. Scriveva Esiodo che l'Europa era stata abitata da Etiopi, Liguri e Sciti allevatori di cavalli, e sappiamo che gli Etiopi erano africani e gli indoeuropei Sciti migrarono in Europa nel 1.700 a.C. Eratostene, che riunì nella sua geografia le principali notizie conosciute nel suo secolo (III a. C.), nell'accennare alle tre grandi penisole del Mediterraneo, dopo l'ellenica e l'italica nomina come terza (la penisola iberica) la ligustica, cioè ligure, che diceva estendersi fino alle colonne d'Ercole, osservando inoltre che il mare ad occidente della Gallia fu chiamato ligustico per il fatto che le sponde meridionali della Gallia stessa furono anticamente occupate dai Liguri, indicati generalmente come i primi abitatori storici e popolo prevalente in quella regione prima dei Celti. Anche Eratostene chiama Ligustica l'intera Europa occidentale e Avieno (nell'Ora maritima), descrivendo l'attuale Andalusia, cita il lacus Ligustinus, e chiama la Galizia e il Portogallo Oestrimnios, nome identico a quello ligure per Bretagna.
Ricostruzione del Lago Ligur,
Ligustinus per i romani, alla
foce dell'antico Tartesso, il
Guadalquivir.
I caratteri della civiltà proto-Ligure presuppongono una popolazione dedita alla metallurgia." La penisola iberica aveva infatti giacimenti di rame e stagno, metalli necessari alla produzione del bronzo, nonché d'argento, che si trovava in grandi quantità, oltre a oro e ferro. Per i suoi metalli, Tartesso diventerà famosa in tutto l'Oriente. L'estrazione del rame veniva effettuata generalmente all'aperto, utilizzando principalmente martelli da minatore come strumenti di lavoro. I principali giacimenti e città minerarie coinvolti nell'estrazione e di fusione del rame sono stati trovati nei comprensori di Huelva e di Cordova. Forni metallurgici venivano utilizzati per l'estrazione del rame dal suo minerale (la malachite). I tunnel di drenaggio rinvenuti, ci raccontano di un'iniziale scarsa specializzazione industriale nell'estrazione del rame, con produzioni di carattere domestico, poi la domanda aumentò considerevolmente.
Cassiterite, minerale contenente
stagno.
Per ottenere il bronzo, talvolta si aggiungeva il minerale che conteneva lo stagno (la cassiterite) al rame, direttamente nei crogiuoli, in modo da semplificare il processo. A volte la cassiterite si trovava nei letti dei fiumi, ma per la forte domanda di bronzo da parte dei popoli orientali, i depositi di stagno che i Liguri avevano nel territorio iberico non furono più sufficienti a soddisfare la domanda e questo li costrinse alle importazioni dalle isole Cassiteriti (le attuali isole di Scilly).
Carta con i 7 fiumi importanti per la
storia dei popoli Liguri, dal
Guadalquivir all'Arno.
Prosegue la relazione: "Tra le altre prove di insediamenti liguri in Galizia, vi sono le somiglianze di nomi galiziani nella popolazione con riferimenti alla costa ligure della Francia meridionale e del nord-ovest dell'Italia; anche se i nomi di origine ligure compaiono in diverse parti della penisola iberica, in particolare sembrano essere concentrati in Galizia. Inoltre, in Portogallo, la penisola più occidentale (Cáceres) e il fiume Sado hanno nomi tipici delle persone che occupano l'intera penisola occidentale ligure e in particolare le sue coste. Questo documento fornisce una nuova serie di ipotesi conseguenti ai risultati ottenuti dal Professor Schulten. Per questo ricercatore, l'etnia ligure è stato il principale substrato della popolazione nativa e popolazione dominante nella regione centrale della Andalusia prima della fondazione della città di Tartesso. Per noi, questo giustifica il nome del lago ligure che viene dato nel VI a. C. all'ambiente palustre che esiste nell'enclave stesso territoriale nella capitale e città portuale di Tartesso. Si noti anche l'esistenza di una città vicina chiamata Tartesso Ligustina. Per noi c'era una intesa commerciale tra i popoli Liguri ancestrali, originariamente associata alla diffusione della cultura megalitica. I Liguri, sparsi nel Mediterraneo occidentale e sulle coste atlantiche, su entrambe le vie commerciali marittime dell'Europa occidentale, hanno permesso la circolazione delle merci, minerali e prodotti in metallo. Il nostro contributo in questo documento si propone di evidenziare il fatto che la popolazione Ligure pre-tartessica ha raggiunto una parte prevalente in questa intesa, grazie alla sua posizione strategica e la straordinaria ricchezza di metalli nella sua area di influenza.
Carta con l'enclave dell'impero tartessico ed i suoi confini
in verde. Sono segnate anche le colonie greche e
cartaginesi sorte durante il primo millennio a.C.
Da  http://es.wikipedia.org/wiki/Tartessos.
In particolare è stato dominante il flusso di metalli pesanti dall'Atlantico, a nord (principalmente stagno e piombo) verso il Mediterraneo occidentale.  La longevità della civiltà dei Liguri è dovuta al ruolo decisivo che hanno avuto, dall'età del Bronzo in poi, nel reperimento di metalli preziosi e di minerali (come la cassiterrite, da cui si ricava lo stagno che, legato al rame, da il bronzo), nella conoscenza delle tecnologie metallurgiche per la produzione di metalli (bronzo, argento) e la commercializzazione stessa di bronzo, piombo, sale, oro, argento e l'ambra delle coste baltiche. Questo ha permesso loro di gestire i commerci in ambito mediterraneo e atlantico fino al 1.200 circa a.C., quando i di Tirreni occuparono la Tartesso Ligustica (nel delta acquitrinoso del Tartesso, il Guadalquivir, navigabile fin dopo l'attuale Cordova, territori ricchi di metalli fino alla Sierra Morena) e i fenici monopolizzarono il Mar Mediterraneo occidentale, difendendo con spaventosi racconti e, dove non bastavano, con la violenza, la conoscenza geografica e l'ubicazione delle materie prime delle terre oltre le colonne d'Ercole.".

- La civiltà pre-tartessica sarebbe stata costituita dal substrato culturale di diversi popoli: principalmente liguri, ma anche iberici e coloni orientali arrivati da Creta  intorno al  3.000 a.C. I Liguri di gestirono i commerci in ambito mediterraneo e atlantico fino al 1.200 a.C., quando i di Tirseni, o Tirreni, da cui derivarono gli Etruschi occuparono la Tartesso Ligustica (nel delta acquitrinoso del Tartesso, il Guadalquivir, navigabile fin dopo l'attuale Cordova, in territori ricchi di metalli fino alla Sierra Morena) e i fenici, dopo aver edificato Gadir, l'attuale Cadiz, dopo 200 anni monopolizzarono il Mar Mediterraneo occidentale, difendendo con spaventosi racconti e dove non bastavano, con la violenza, la conoscenza geografica e l'ubicazione dei metalli delle terre oltre le colonne d'Ercole. Per il post "Liguri: storia e cultura" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: i Miti e le Fonti storiche" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: le Datazioni e le Fonti storiche" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: dai Primordi ai Megaliti" clicca QUI, per il post "Il Lago Ligure nella mitica Tartesso" clicca QUI, per il post "Tartesso: prima i Liguri, poi Fenici e Greci" clicca QUI, per il post "Ercole e altri miti a Tartesso" clicca QUI, per il post "Tartesso: l'Economia" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: Alleanza e fusione con i Celti" clicca QUI.

Cartina dell'isola di Creta con
foto dei vari siti e città.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- A Creta si sviluppa una cultura del bronzo. C'è chi pensa che fossero Fenici, provenienti dall'attuale Siria, gl'iniziatori della civiltà minoica di Creta.

- Secondo una delle tante teorie sull'origine dei Celti, tra il 3.000 e il 2.500 a.C., tre popolazioni indoeuropee:  i Kurganici  della zona del Volga, nell'alto Mar Caspio,  i Transcaucasici  del Caucaso e i Nordpontini della zona del Mar Nero, tutte di origine indoeuropea, si sarebbero mescolate e avrebbero proceduto ad una migrazione di massa che avrebbe coinvolto l'Anatolia (in cui sarebbero entrati in contatto con gli Ittiti), la Mesopotamia (in cui si sarebbero mescolati agli Arii), la Grecia Micenea e l'Europa centrale, dove avrebbero costituito contatto con la cultura di Unetice, in Boemia. Come gli Sciti, gl'indoeuropei che sarebbero divenuti i proto-celti erano  patriarcali, adoravano dèi solari e avevano in comune con essi  molte usanzel'uso delle tombe  tumulo (i kurgan), l'allevamento del cavallo, ritenuto sacro, il rito di tagliare e conservare  la testa del nemico a protezione della propria capanna, la suddivisione in classi sociali (guerrieri, sacerdoti e allevatori), in cui gli aristocratici erano coloro che possedevano più cavalli.

- L'Europa centro-orientale, ormai completamente indoeuropeizzata linguisticamente e culturalmente, diventa una seconda Urheimat (= casa originaria), il secondo centro dal quale si irradieranno tutte quelle culture protostoriche che favoriranno l'indoeuropeizzazione dell'Europa occidentale e meridionale. La divisione centum-satem è così completata.

Mappa diacronica che mostra gli areali centum (blu) e satem
(rosso), la cui probabile area di origine è in rosso scuro, da:
- La divisione centum-satem (bisogna specificare, per il lettore italiano abituato alla pronuncia scolastica del Latino, che Centum va inteso nell'antica pronuncia dura della C, come K, altrimenti la derivazione dal termine indoeuropeo *ḱṃtóm non si comprende), è un'isoglossa (una linea che delimita la zona di un territorio che condivide un tratto linguistico comune) delle famiglia delle lingue indoeuropee, legata all'evoluzione delle tre consonanti dorsali ricostruite per il proto-indoeuropeo: *[kʷ] (labiovelare), *[k] (velare), e *[ḱ] (palatoalveolare). I due termini provengono dalle parole adottate per esprimere il numero "cento" (dall'indoeuropeo *ḱṃtóm) in due lingue rappresentative dei due gruppi (in latino centum e in avestico satəm). Le lingue centum sono caratterizzate da articolazioni velari, mentre nelle lingue satem ad articolazioni velari corrispondono articolazioni anteriorizzate (affricate palatali) o nettamente anteriori (sibilanti). Quanto a geografia, la divisione si presenta grosso modo verticale, con le lingue centum prevalentemente ad ovest (lingue germanicheceltichelatino e lingue romanzegrecovenetico e macedone antico) e le lingue satem specificatamente ad est, tra Europa orientale ed Asia, da cui derivarono i linguaggi *arya indoari del Rigveda e iranici dell'Avestā. Il tocario combina tutte le occlusive dorsali in una singola serie di velari e anche se la cronologia del cambiamento è sconosciuta, manca delle sibilanti tipiche delle lingue satem, perciò viene considerata centum. Le lingue satem includono le lingue indoarie, le lingue iraniche, le lingue baltiche, le lingue slave, l'albanese, l'armeno e altre poche lingue ormai estinte o assorbite, come il tracio ed il daco. Questo gruppo ha unito le velari e le labiovelari indoeuropee in un unico gruppo di velari e ha cambiato le palatoalveolari in sibilanti. Anche se si considera l'albanese una lingua satem, le velari e le labiovelari non si sono fuse in albanese e inoltre le palatovelari diventano sempre velari davanti alle sonanti (caratteristica centum). A lungo si è creduto che questa partizione rispecchiasse uno stato di fatto già indoeuropeo, ossia che già l'indoeuropeo in fase unitaria si presentasse diviso in un ramo occidentale di tipo centum e un ramo orientale di tipo satem. Teoria smontata in seguito alla scoperta, agli inizi del Novecento, di due lingue fino ad allora sconosciute, convenzionalmente battezzate tocario A e tocario B, nel nord-ovest della Cina, che si sono rivelate lingue centum. Ciò suggerisce che le lingue indoeuropee fossero in origine tutte centum e che solo successivamente le varie lingue indoeuropee centro-orientali abbiano anteriorizzato le occlusive velari divenendo quindi satem. Il proto-anatolico apparentemente non ha subito nessuno dei due cambiamenti. La serie delle velari rimane separata in luvio, mentre l'ittita può aver subito in un secondo tempo un cambiamento di tipo centum, ma l'esatta fonetica non è chiara.

- Originatasi verosimilmente nella penisola Iberica (Gimbutas la faceva derivare invece dalla balcanica cultura di Vučedol), la cultura del vaso campaniforme, giunta nell'area dei Paesi Bassi e del Reno si fonde con la cultura dell'ascia da combattimento assorbendo tratti indoeuropei, forse proto-celtici. Durante il III e il II millennio a.C. il popolo del vaso campaniforme ricolonizza, in un movimento detto di riflusso, una vasta porzione dell'Europa occidentale tra cui le isole britanniche, la penisola iberica, l'Italia centro-settentrionale e le due isole maggiori, Sardegna e Sicilia. Si tratta probabilmente della seconda apparizione di popolazioni indoeuropee in territorio italiano; infatti una prima possibile avanguardia indoeuropea in Italia è stata più volte associata alle culture eneolitiche di Remedello, del Rinaldone e del Gaudo. In particolare le statue stele erette dai Remedelliani presenterebbero segni distintivi riconducibili all'"ideologia indoeuropea" ; questa supposizione si basa sul fatto che vi sono alcune similitudini con le steli antropomorfe ritrovate in Ucraina appartenenti alla cultura indoeuropea di Jamna.

- Dal III millennio a.C. si avranno nel Mar Mediterraneo orientale due aree culturali corrispondenti a due diverse civiltà: la Civiltà Minoica nell'isola di Creta e la Civiltà Cicladica nelle isole Cicladi.

Carta con le isole Cicladi e l'isola di Creta con le sue
proto-città. Micene è indicata ma nel 3000 a.C. non
esiste ancora. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Le isole Cicladi nel dettaglio,
con i loro nomi.


- I Germani furono il risultato dell'indoeuropeizzazione, nella prima metà del III millennio a.C., della Scandinavia meridionale e dello Jutland da parte di genti provenienti dall'Europa centrale, già indoeuropeizzata nel corso del IV millennio a.C.
Carta dei primi insediamenti dei
Germani in: Scandinavia meridionale,
penisola Jutland e nord Germania.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Sebbene la cronologia esatta di questa penetrazione sia ancora oggetto di disputa, è riconosciuto che entro il 2500 a.C. gli elementi culturali propri di questi popoli, quali la Cultura del vaso campaniforme (detta anche della ceramica a cordicella) e la Cultura dell'ascia da combattimento, avevano raggiunto un'ampia area dell'Europa settentrionale, dal Mar Baltico orientale all'odierna Russia europea, dalla Penisola scandinava alle coste orientali del Mare del Nord. Al momento del loro insediamento in quella che sarebbe divenuta la patria originaria dei Germani, gli elementi indoeuropei trovarono già sviluppata una civiltà agricola, autrice dei megaliti propri dell'Età della Pietra nordica. Non si conoscono i caratteri etnici propri di questi popoli, ma è possibile che fossero affini a quelli delle (relativamente) vicine genti finniche.
Ceramiche a cordicella
degli antichi Germani.
  Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
La fusione, più o meno pacifica, di questi elementi pre-indoeuropei con i gruppi indoeuropei provenienti da sud determinò la cristallizzazione dei Germani, che adottarono la lingua indoeuropea dei nuovi venuti. A partire soprattutto dal III secolo, numerose tribù germaniche migrarono in molteplici ondate verso ogni direzione, toccando gran parte del continente europeo e arrivando fino in Nordafrica e in Nordamerica. Dal III millennio, i Germani furono a lungo in contatto, linguisticamente e culturalmente, con i Celti e quei popoli che diventeranno Italici (sia Osco-umbri come Umbri, Volsci, Sanniti, Marsi e Sabini, sia proto-Latini che proto-Veneti) a sud e con i Balti a est. I rapporti con gli Italici, certificati dalla linguistica storica, si interruppero alla fine del II millennio a.C., quando questi popoli avviarono la loro migrazione verso sud e sarebbero ripresi soltanto a partire dal I secolo a.C., quando con Gaio Giulio Cesare l'espansione di Roma sarebbe arrivata fino al Reno.

- I Balti o popoli Baltici (anche baltici, in lettone: balti, in lituano: baltai, in latgolico: bolti), definiti come coloro che parlano una delle lingue baltiche, sono un ramo dei popoli di origine indoeuropea, discendenti di un gruppo di tribù indoeuropee che si stabilirono nell'area tra il basso corso della Vistola e la Daugava ed il Dnepr, sulle coste sud-orientali del mar Baltico. Secondo alcune vecchie teorie, l'area di formazione dei balti si trovava, fino alla fine del secondo millennio a.C. vicino all'alto e medio corso del Dnepr, nell'odierna Ucraina, dove si riteneva che si fosse stabilita un'ipotetica proto-comunità balto-slava, cioè un popolo comune che in seguito si fosse scisso e avesse dato origine agli odierni balti e slavi. La grande quantità di laghi e paludi in quest'area isolò i balti, e il risultato di questo isolamento è l'alto tasso di arcaicismi e di caratteristiche conservative nelle lingue baltiche. Tra i popoli baltici si annoverano i lituani, i lettoni ed i latgolici, tutti balti orientali, così come le culture baltiche occidentali dei prussiani antichi, gli jotvingi ed i galindi, al giorno d'oggi completamente estinti. Il termine balti fu creato dal linguista tedesco Georg Nesselmann nel 1845, per descrivere i gruppi etnici simili fra loro che vivevano vicino al mar Baltico. La culla preistorica dei popoli baltici, secondo le ricerche paleogenetiche e gli studi archeologici, fu la zona tra il mar Baltico e l'Europa centrale tra la fine dell'ultima era glaciale e l'inizio del mesolitico. Si diffusero nell'area dal Baltico fino al fiume Volga ad est.

- La culla dei popoli Slavi fu, molto probabilmente, la regione tra Cracovia ed il Danubio, vicina alle zone di origine dei balti. Gli slavi si espansero nella pianura ucraina del Dnepr nel VI secolo DC, dopo l'invasione degli avari, conquistando ed assimilando la maggior parte degli slavi orientali. Secondo alcune vecchie teorie, l'area di formazione dei balti si trovava, fino alla fine del secondo millennio a.C. vicino all'alto e medio corso del Dnepr, nell'odierna Ucraina, dove si riteneva che si fosse stabilita un'ipotetica proto-comunità balto-slava, cioè un popolo comune che in seguito si fosse scisso e avesse dato origine agli odierni balti e slavi.

- L'arrivo di popoli Finnici, gli antenati degli estoni, finlandesi, livoniani sulle rive del Mar Baltico intorno al 3.000 a.C., venne associato con la cultura della ceramica a pettine. Tuttavia, un tale collegamento di entità culturali archeologicamente definite a delle entità linguistiche non possono essere provate, ed è quindi stato suggerito che l'aumento di reperti degli insediamenti nel periodo è più probabilmente associato ad un boom economico correlato al riscaldamento del clima. Alcuni ricercatori hanno anche argomentato che una forma di lingua uralica possa essere stata parlata in Estonia e Finlandia fin dalla fine dell'ultima glaciazione. I popoli finnici (o fennici) sono un gruppo storico-linguistico di genti i cui discendenti parlano lingue finniche: i finnici del Baltico, che vivono vicino al Mar Baltico, finnici del Volga, nei pressi del fiume Volga, i permiani, nella Russia centro-settentrionale. Il termine finnico è stato precedentemente usato per descrivere i parlanti delle lingue finno-lapponi, oggi denominati Sami, un popolo originariamente non ugro-finnico che adottò una lingua finnica. I Permiani, inclusi i Komi e gli Udmurti sono talvolta pensati come appartenenti ai Finnici del Volga poiché, secondo alcune teorie, la loro antica patria si trova nella parte settentrionale del bacino del Volga. I principali rappresentanti odierni dei Finnici Baltici, che hanno mantenuto la loro lingua, sono i Finlandesi ed Estoni. Altri gruppi includono i Careliani, principalmente situati nella Carelia, in Finlandia e nella Russia nord-occidentale, i Finlandesi Ingriani, Votes, e Vepsi che abitano intorno al Golfo di Finlandia e i laghi Onega e Ladoga, e vicino ai Setos e Võros, i quali vivono nell'Estonia sud-orientale. Nelle zone della Svezia settentrionale, una lingua finnica o un dialetto (Meänkieli) ha una considerevole presenza, mentre la minoranza dei Kveni della Norvegia parla il finnico. I parlanti nativi nei gruppi più piccoli sono spariti. Nel XX secolo i gruppi parlanti il livoniano e il votico erano rispettivamente ridotti a non più di un centinaio di individui. Gli attuali rappresentanti dei Finlandesi del Volga sono i Mari (altrimenti detti Cheremis) i quali vivono nella Mari El e i Mordvini (includendo i Moksha e gli Erzya) della Repubblica di Mordovia della Federazione Russa. Altri gruppi finnici del Volga come Muromiani, Merya e Meshchera, di cui si hanno attestazioni, sono da lungo tempo scomparsi. Gli studi del DNA mitocondriale (mtDNA)hanno rivelato che i finlandesi-baltici e i finlandesi del Volga hanno la stessa origine genetica degli altri europei che non parlano lingue ugrofinniche. Nello stesso tempo gli studi genetici hanno mostrato che, per esempio, i Sami (che sono imparentati linguisticamente, ma geneticamente distinti dai finlandesi-baltici) hanno la più alta frequenza dell'aplogruppo V mtDNA in Europa (40.9%), seguiti da catalani (26.7%) e baschi (20.0%), facendo dei Sami un unico e antico sottogruppo di europei.

- La ricerca moderna, si è trovata in sostanziale accordo con quanto sostenuto già dalla storiografia latina: i Veneti condividono con i Latini una comune origine protostorica, anche se non attraverso quel comune legame con l'Antica Grecia (e con Troia in particolare) postulato dai Romani mediante il mito di Antenore. L'insieme indoeuropeo veneto-latino si era formato come gruppo a sé in un'area dell'Europa centrale, probabilmente ubicato entro i confini dell'odierna Germania e parte di un vasto continuum indoeuropeo esteso nell'Europa centro-orientale fin dagli inizi del III millennio a.C. Da qui mosse verso sud nel corso del II millennio a.C., probabilmente intorno al XV secolo a.C.; mentre una parte di queste genti proseguì fino all'odierno Lazio (i Latini), il gruppo che avrebbe dato origine ai Veneti si insediò a nord del Golfo di Venezia e lì si attestò definitivamente. Sempre di origine indoeuropea sono altri popoli che diventeranno poi Italici, gli Osco-umbri come Umbri, VolsciSannitiMarsi e Sabini.

Nel 2.900 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, a Sumer il potere regale passa alla città di Erech. Inanna ottiene il dominio sulla Terza Regione ed inizia così la civiltà dell'Indo.

Cnosso, a Creta. Resti del
palazzo di Minosse.
Dal 2.700 a.C. - Creta inizia la costruzione dei grandi palazzi minoici.

Creta - Resti del palazzo di Minosse a
Cnosso, con parziale ricostruzione.

Nel 2.650 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, la capitale reale di Sumer viene più volte spostata. L'autorità regale si deteriora. Enlil perde la pazienza per la disobbedienza delle moltitudini umane.

Valle Lagorara
(Maissana - SP)
Il fronte di estrazione;
le caratteristiche fratture
concoidi prodotte dai colpi
inferti con percussioni
come in primo piano.
Valle Lagorara
(Maissana - SP)
L'affioramento
di diaspro.
Dal 2.600 a.C. - Al periodo compreso fra 2.600 e 2.300 a.C. appartengono le cave di diaspro rosso in Valle Lagorara presso Maissana, in Liguria, nel territorio di La Spezia. Dal diaspro gli antichi Liguri ottenevano schegge che, opportunamente lavorate, diventavano taglienti punte di freccia.

Dal 2.500 a.C. - A Creta prospera la Civiltà Minoica, con grande diffusione nelle isole e coste dell'Egeo, in Grecia continentale, Peloponneso, e nel Mar Mediterraneo orientale. Questa civiltà prende il nome dal mitico re cretese Minosse. Si è appurato che "minosse" non fosse un nome proprio, ma l'antico nome cretese per re, così come "faraone" nell'antico Egitto. Nell'isola di Creta abbiamo i resti della prima grande reggia europea, che esprime in pieno l'assolutezza del potere politico in una sola persona, il monarca appunto, dal greco monos, unico.
Cnosso - Rappresentazione delle labris,
ascie bipenne, da cui il nome labirinto.
Creta - Interno del palazzo di
Minosse a Cnosso.
Nel palazzo di Minosse a Cnosso, nell'isola di Creta, c'erano 1.300 camere disposte su quattro piani, collegate fra di loro da chilometri di corridoi.
Il nome labirinto, attribuito al palazzo stesso, significa "la casa della scure" e deriva da labris, la scure bipenne. La labris, un'ascia a due tagli, simboleggiava il potere assoluto del monarca ed era utilizzata per i riti sacrificali: era rappresentata un po' ovunque nel palazzo.
Creta - Interno del palazzo di
Minosse a Cnosso.
Creta - Interno del palazzo di
Minosse a Cnosso.
Le protocittà della Civiltà Minoica sull'isola di Creta furono: Cnosso, Festo e Mallia, caratterizzate da grandiosi palazzi.
Creta arrivava certamente ad esercitare il proprio potere sul continente, e lo si può intuire leggendo fra le righe del mito greco. La leggenda di Teseo che si oppone al tributo di giovani a Creta da parte di Atene e che sfida il Minotauro uccidendolo, indica un antico ruolo di sottomissione a Creta da parte di Atene.
Taurocatapsia o Danza del Toro,
affresco nel Grande Palazzo
di Cnosso, a Creta.
Per quello che riguarda la raffigurazione delle corna di toro, nel periodo arcaico erano indubbiamente indice di divinità e quindi attributi degli dèi; la corona regale stessa supplisce alle corna.

Teseo che uccide il Minotauro,
da un antico vaso ateniese.
- Nel III millennio a.C. è fondata Atene, probabilmente un piccolo centro miceneo concentrato solo sull'attuale collina dell'Acropoli. La città riuscì in qualche modo a sfuggire alle invasioni doriche e durante il cosiddetto medioevo ellenico inizierà a svilupparsi. Secondo il mito di fondazione, Atene fu fondata nel III millennio a.C. da due dei, Poseidone e Atena, i quali però successivamente iniziarono a litigare su chi di loro avrebbe dovuto dare il proprio nome e la propria protezione alla città. Le due divinità decisero di mettersi al giudizio degli ateniesi: Poseidone donò loro del sale e un toro e promise il suo appoggio in battaglia, Atena invece offrì un magnifico ulivo e promise agli abitanti il dono della saggezza, dell'intelligenza e della pace. Gli ateniesi, dopo una lunga discussione, decisero di affidarsi proprio ad Atena, da cui derivò il nome della città.
Atene e il porto del Falero da:
https://www.loescher.it/Risorse
/DAN/Public/O_D4076/D4076
/Uomini_nel_Tempo_e_nello_
Spazio__Risorse_online/uni
ta2-capitolo5/atene.html
La dea della guerra nominò primo re l'egiziano Cecrope, che era mezzo uomo e mezzo serpente. Atene venne governata poi da dieci re (umani), tra cui Teseo e l'ultimo Codro che, avendo saputo dall'oracolo di Delfi che i Dori che stavano assediando Atene avrebbero perso solo se lo avessero ucciso, si intrufolò di nascosto fra di loro travestito ma questi, credendolo una spia, lo uccisero. Pare che ad Atene, in età "mitica", il comando fosse in mano al re, infatti Strabone, citando Filocoro, afferma che Cecropia era una delle dodici città fondate in Attica dal mitico re di Atene Cecrope. La sua ascesa, diversamente dalle altre polis, si concretizzò per "sinecismo", "abitare insieme", spontaneo processo di aggregazione di 12 villaggi fondati, secondo la leggenda, dal mitico re Cecrope e che in seguito Teseo aveva unito nella città di Atene. Cecropia fu proprio il nucleo iniziale di Atene. Si contano quattro re prima dell'eroe Teseo e altri sette fino alla calata dei Dori, poi altri sovrani. Atene si prodigò per la colonizzazione della Ionia non consentendo ad altre località di emergere, sfruttando così il porto del Falero e i contatti con le nuove colonie.

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.7: dal 3.500 (inizio della Storia) al 2.500 p.e.v. (a.C.)" QUI.

Nel 2.371 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Inanna si innamora di Sharru-Kin (Sargon). Egli fonda una nuova capitale, Agade (Akkad). Nasce l'impero accadico.

Nel 2.316 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, con l'obiettivo di governare tutte e quattro le province, Sargon preleva un po' di suolo sacro da Babilonia. Divampa di nuovo il conflitto Marduk-Inanna, e finisce solo quando Nergal, fratello di Marduk, si reca dal Sud dell'Africa a Babilonia, per convincere Marduk a lasciare la Mesopotamia.

Liguria - Tipici terrazzamenti liguri
Dal 2.300 a.C. - In Liguria cominciano ad essere costruiti i terrazzamenti, che diventeranno il segno distintivo del paesaggio ligure.

- Il 2.300 a.C. è la data che segna l'inizio generalizzato dell'Età del Bronzo in Europa, dopo Creta e dopo la civiltà proto-Ligure di Tartesso. La lega per cui si ottiene il bronzo è una semplice miscela dei due metalli fondamentali, rame e stagno, cui si aggiungono altri metalli, come il piombo, lo zinco, il ferro, ma in quantità insignificanti. Con bronzo (nome che forse deriva dal latino brundisium = di Brindisi) si definiscono tutte le leghe in cui entrano come componenti essenziali il rame, in proporzione sempre superiore al 70%, e lo stagno; leghe conosciute fin dalla più remota antichità e che prima della scoperta del ferro servirono a fabbricare attrezzi, armi, corazze e strumenti più resistenti e leggeri di quelli in pietra o in rame; ai metalli componenti veniva aggiunto, per lo più come impurità, anche arsenico, che contribuiva a rendere la lega ancora più dura.
Località di rilievo per le civiltà dei metalli in Europa: dopo la civiltà del Rame,
civiltà del Bronzo dal II millennio, i cui maggiori centri in Europa sono
Adlerberg, Unetice, Staubing, Halstatt, Tòszeg, Polada, El Algar, Troia.
Un grande utilizzo del bronzo si ebbe nel periodo Nuragico (1800 a.C.) in Sardegna, dove si colava e forgiava rame già dal 3000 a.C. Le fusioni restituiteci dalla ricerca archeologica consistono in oggetti votivi, navicelle nuragiche e statuette che rappresentano usi e costumi di tale periodo. Il bronzo primitivo era più resistente delle prime armi di ferro, ma nonostante questo l'età del bronzo cedette il passo all'età del ferro, dal momento che le spedizioni di stagno attraverso il mar Mediterraneo cessarono durante le grandi migrazioni di popolazioni che ebbero luogo nel periodo dal 1200 al 1100 a.C., rendendo estremamente difficile trovare la materia prima necessaria e causando un forte aumento dei prezzi di questo materiale. Il bronzo venne perciò usato solo per oggetti di particolare pregio, mentre per molti scopi il più debole ferro dolce era sufficientemente resistente da prenderne il posto. Dall'inizio del XX secolo venne introdotto il silicio come principale legante del rame e oggi la maggior parte del bronzo per usi industriali e artistici è in realtà una lega rame-silicio.

- In Europa centro-orientale si sviluppa la cultura di Unetice (le cui influenze si estenderanno in un ampio territorio) seguita dalla cultura dei tumuli (kurganica) e si diffonde l'usanza della  cremazione dei defunti. Nella pianura padana appare la civiltà delle terramare che alcuni studiosi associano ai protolatini (altri invece collegano i latini ai successivi campi di urne villanoviani).

Reperto della Cultura di Unetice.
La Cultura di Unetice, o più propriamente cultura di Únětice (in tedesco Aunjetitz), è una cultura dell'età del bronzo, derivata dalla cultura del vaso campaniforme, seguita dalla cultura dei tumuli. Il sito eponimo viene localizzato a Únětice, nel nord-ovest della città di Praga. Venne così denominata dai reperti trovati ad Aunjetitz, Boemia e i ritrovamenti di questa cultura sono concentrati fra la Repubblica Ceca, la Germania meridionale e centrale, e la Polonia occidentale. Viene datata dal 2.300-1.600 a.C. Secondo lo schema cronologico di Paul Reinecke, si può distinguere in due fasi: 2300-1950 a.C. per la produzione di pugnali triangolari, asce piatte, guardapolsi in pietra (inglese: stone wrist-guards), punte di freccia, e 1950-1700 a.C. per la produzione di pugnali con impugnature metalliche, asce flangiate, alabarde, spilli con testa sferica perforata e braccialetti massicci. Le date sono principalmente derivate dai reperti del cimitero di Singen, nei pressi del lago di Costanza (date fornite dal radiocarbonio) e dalle sepolture di Leubingen e Helmsdorf (datazione fornita dalla dendrocronologia). Secondo Marija Gimbutas un'alta percentuale delle necropoli contenevano ambra del Mar Baltico. Il Disco di Nebra, datato 1.600 a.C., può attribuirsi a questa cultura.

- Dalla cultura dei tumuli (kurganica) trae origine la cultura dei campi di urne che tra la tarda età del bronzo e la prima età del ferro si diffonde dall'Europa centrale in Italia, Francia, Catalogna, Inghilterra e nei Balcani. La cultura dei campi di urne è spesso associata ai Celti, Italici, Veneti ed Illiri. Più precisamente in Italia si possono riconoscere due gruppi di incineratori ascrivibili ai campi di urne, uno celtico fra la Lombardia e il Piemonte responsabile della nascita della cultura di Canegrate e poi di Golasecca e uno italico, riconducibile alla cultura protovillanoviana, che si estende dal Nord-est alla Sicilia orientale. A partire dal X secolo a.C. circa il "focolaio protovillanoviano" si suddivide in differenti facies regionali tra le quali la civiltà atestina  (Venetica) e villanoviana.

- I Frigi e gli Armeni si spostano dai Balcani all'Asia minore. I Dori lasciano le loro sedi originarie (verosimilmente l'Epiro o l'Illiria) e si espandono nel Peloponneso.

In generale, l'Età del Bronzo nell'Italia settentrionale può contraddistinguersi in diverse culture:
- Bronzo antico I, dal 2.300 al 1.900 a.C.: Cultura di Polada e Rodaniana.
Ceramiche con anse (manici) ad ascia
di Fiavè, in Trentino.
- Bronzo antico II, dal 1.900 al 1.650 a.C.: Cultura di Polada e Rodaniana. Reperti da Mercurago: ceramiche con anse (manici) ad ascia. Prime palafitte.
- Bronzo medio I, dal 1.650 al 1.550 a.C.: Prepotente sviluppo delle palafitte nel nord Italia.
Ceramica ad anse (manici) cornute di
Hallstatt, del 700 a.C.
- Bronzo medio II, dal 1.550 al 1.450 a.C.: Cultura di Viverone con ceramiche ad anse ad ascia, ceramiche ad anse cornute nelle zone più a est.
- Bronzo medio III, dal 1.450 al 1.340 a.C.: Palafitte nel nord e terramare in Lombardia meridionale ed Emilia.
- Bronzo recente I/II/III, dal 1.340 al 1.170 a.C.: Evoluzione del mondo palafitticolo. Sviluppo della cultura di Canegrate in nord-Italia, a sud-est del lago Maggiore.
- Bronzo finale, dal 1.170 al 950 a.C.: Degrado e abbandono delle terramare e delle palafitte. Sviluppo della cultura di Golasecca (proto-celtica), situata sul Ticino, presso la sua uscita dal Lago Maggiore.

- La divisione cronologica tra un’età del Rame e un'età del Bronzo trova origine nel tentativo di scandire l'evoluzione culturale umana nella preistoria secondo canoni tecnologici; la capacità di arricchire il rame nativo con piccole percentuali di stagno e arsenico (ottenendo il Bronzo) non deve essere stata sentita allora come una cesura importante e, per la gradualità della applicazione della scoperta e la limitatezza della sua applicazione, deve aver avuto riflessi graduali e limitati sul sistema di vita e sulla organizzazione socio-economica delle popolazioni. In ogni caso, effettivamente, il II millennio a.C. pare distinguersi per diversi aspetti da quello precedente, soprattutto nei secoli centrali, che segnano la comparsa in gran parte di Europa di una serie di innovazioni di grande portata quali la ruotail cavallo (e non limitatamente alla alimentazione ma con certezza per il traino di carri da lavoro e da guerra), un armamento diversificato e ottimizzato studiato in rapporto alle diverse tecniche da guerra e, non ultimo, il diffondersi del misterioso fenomeno della edificazione di villaggi in acqua che prendono il nome di "palafitte".

Carta con in rosso i siti in cui sono state ritrovate
testimonianze di palafitte. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- Le palafitte sono una tipologia costruttiva ampiamente conosciuta anche dal pubblico dei non addetti ai lavori, a partire dal 1854, quando il livello dei laghi svizzeri si abbassò oltremisura permettendo agli studiosi di riconoscere una selva di pali infissi sui fondali chiaramente pertinenti ad antichi villaggi sommersi. La scoperta ha dato il via ad una lunga serie di ricerche culminata nella scoperta di ampi villaggi costruiti in legno su specchio d'acqua anche e soprattutto in nord Italia tra cui, per la grandezza ed importanza, vale la pena ricordare le palafitte del lago di Garda e quelle di Ledro e Fiavè in Trentino.
Carta con l'ubicazione di Fiavè e del
lago di Ledro in Trentino. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Fiavè sono presenti strutture e testimonianze di vita con insediamenti su palafitte del periodo dal 2.300 al 1.200 avanti Cristo: l’imponente sito costituisce uno dei rinvenimenti preistorici più interessanti d’Europa, presentando un numero altissimo di resti di pali di pino, larice e abete e celando molte testimonianze dell’era preistorica. Il sito archeologico del Lago di Ledro è un vero e proprio punto di riferimento per gli studiosi dell’eta’ del Bronzo e per gli appassionati di archeologia, e l’adiacente museo conserva manufatti risalenti ad oltre quattromila anni fa, raccolti nell’insediamento palafitticolo del suggestivo Lago di Ledro. La conoscenza dei dati archeologici ci permette oggi di sfatare alcuni luoghi comuni sulle palafitte. Partiamo dunque dal dato archeologico: gli archeologi subacquei hanno ormai tracciato sulla carta con una serie successiva di immersioni la planimetria di queste selve di pali che dovevano un tempo sorreggere un impiantito di tavole ed assi ed elevarsi talora per alcuni metri, a costituire la struttura portante di edifici interamente costruiti in legno. Purtroppo nulla, aldilà delle fondazioni, si è conservato perché la materia lignea, a contatto con l'aria e gli agenti atmosferici, si è irrimediabilmente disintegrata dopo l'abbandono del villaggio; i pali sommersi invece, si sono conservati grazie all'ambiente acquatico anaerobico che impedisce l'attivazione di reazioni chimiche di ossidazione e decomposizione. E' possibile tentare una ricostruzione immaginaria degli edifici osservando la dislocazione geometrica dei pali che rispetta in genere l'andamento delle banchine di passaggio e il perimetro degli edifici. L'operazione è tuttavia complicata dal fatto che i villaggi palafitticoli sono rimasti in vita sino a cinque secoli consecutivi e hanno certamente necessitato di opere di manutenzione, poiché quando un palo era instabile si preferiva piantarne uno nuovo a poca distanza, il fondale appare generalmente sovrabbondante di pali che corrispondono a fasi costruttive diverse. Perché i costruttori dell'età del Bronzo si sono impegnati in un lavoro di carpenteria così intenso? Da cosa nasce l'esigenza di realizzare un villaggio acquatico quando sono disponibili ampi terreni edificabili sulla terraferma? Si ipotizza da tempo che i gruppi dell'età del Bronzo abbiano utilizzato l'acqua come difesa naturale contro eventuali aggressori. Questo è possibile, ma quali caratteri di difendibilità può avere un villaggio in legno davanti al fuoco appiccato e fatto propagare degli assalitori? Gli illustratori degli ultimi due secoli forniscono delle immagini idealizzate del villaggio palafitticolo: le stampe mostrano placidi villaggi composti di grandi capanne coperte con strame, sospese sull'acqua e unite da passerelle lignee a cui sono attraccate le barche che serviranno agli uomini per la pesca. Curiosamente non si vedono palizzate ed opere di fortificazione.
Ricostruzione di palafitte
sul lago di Ledro, in Trentino.
Ma quanto la fantasia si distacca dalla realtà? I dati raccolti nell'ultimo secolo dimostrano che le case dell'età del Bronzo non erano molto differenti da quelle del Neolitico finale. La struttura portante è ancora in grandi tronchi di legno uniti ed incastrati con abili opere di carpenteria, le pareti sono realizzate con incannicciato legato con argilla seccata al sole; le falde del tetto sono ampie e verticalizzate, ricoperte presumibilmente di paglia legata a fasci. L'interno, di ca. 3/4 x 6/7 metri ospita probabilmente un gruppo familiare di 6/7 persone ed è diviso da tramezzi deperibili in aree di cottura, filatura, tessitura.
L'edificio è certamente sufficientemente alto da permettere la realizzazione di un secondo piano, forse utilizzato come magazzino per le derrate alimentari o forse come giaciglio. Tipologie simili a queste sono note oltre 2.000 anni prima in svariati siti come Charavines (F) a Travo (I) e dunque non costituiscono una novità. Costituisce invece una novità, l'uso di costruire il villaggio sull'acqua con una moltiplicazione dei problemi connessi al taglio selettivo delle specie ad alto fusto da utilizzare per le fondazione, al loro trasporto, decorticamento e taglio geometrico fino a permettere l'incastro e il fissaggio delle tavole l'una con l'altra. Le comunità dell'età del Bronzo non sono molto grandi: un villaggio di buone dimensioni può ospitare qualche centinaio di persone e, in assenza di strumenti da costruzioni evoluti, una ingente quantità di forza lavoro deve essere stata sottratta all’agricoltura e all’allevamento per realizzare queste costruzioni. Alla radice di questa scelta vi deve dunque essere stata una ragione seria che non conosciamo ma che possiamo tentare di ricostruire attraverso qualche indizio. Innanzitutto il fenomeno palafitticolo è diffuso nell'età del Bronzo in vaste aeree d'Europa (Italia del Nord, Italia centrale, Svizzera, Francia...) e costituisce pertanto un fenomeno transculturale. E' tuttavia evidente che non si tratta di un fenomeno esclusivo dell'età del Bronzo perché sporadiche palafitte sono già costruite dall'uomo nei due millenni precedenti (ad es. in un settore del lago di Fiavè, a nord del Lago di Garda in Trentino, sin dal Neolitico). Alcune palafitte sono costruite con cassoni quadrati orizzontali su cui vengono appoggiati i pavimenti, altre sfruttano una palificazione verticale che costituisce l'ossatura dell'edificio e dei pontili; dunque la tecnologia non è univoca. È però singolare che edifici in legno simili a quelli palafitticoli siano stati scoperti anche in terraferma, ad es. in Svizzera a Padnal vicino a Savognin, nel canton Grigioni e a Zurigo-Mozartstrasse (con testimonianze del 1.600 a.C.). Infine è ormai chiaro che l'immagine del villaggio sospeso sull'acqua non è una regola. Recenti sondaggi e ricerche dimostrano ormai con chiarezza come alcuni impianti furono edificati sulle rive del lago e che quindi il villaggio non era affatto sospeso sull'acqua. Alcuni studiosi hanno quindi cercato di spiegare il diffondersi di questo criterio costruttivo rifacendosi a fattori esterni quali la variabilità climatica. Se lo scopo dell'impiantito ligneo è quello di proteggere le case dall'acqua alta, il diffondersi delle palafitte nell'età del Bronzo potrebbe manifestarsi in corrispondenza di un peggioramento climatico generale. Purtroppo la nostra conoscenza del clima nell'età del Bronzo è limitato e deriva dalla osservazione degli strati di ghiaccio sulle Alpi. La preistoria è divisa in 5 grandi periodi che corrispondono a consistenti variazioni del clima che possiamo così riassumere: Preboreale, 11.000-5.000 anni fa; Boreale, 9.000 -7.500 anni fa; Atlantico, 7.500 -5.500 anni fa; Subboreale, 5.500-2.800 anni fa e Subatlantico, 2.800 anni fa.
All'interno del Subboreale un deterioramento che può avere comportato un'avanzata dei ghiacciai si è verificato attorno al 1.500 a.C. in Svizzera e attorno al 1.280 a.C. in nord Italia. Questa fasi coincidono straordinariamente con quelle della scomparsa dei ritrovamenti archeologici di palafitte nelle rispettive regioni. Forse quando il clima Subboreale è stato più o meno rigido le coste lacustri sono state più intensamente abitate attuando uno stratagemma per mettere al riparo gli edifici dalle repentine e stagionali trasgressioni del livello dei laghi. D'altronde, gli scavi di Padnal vicino a Savognin, nel canton Grigioni e di Zurigo-Mozartstrasse, dimostrano che case lignee di grandi dimensioni furono costruite anche lontano dall'acqua. La palafitta pare dunque il punto di arrivo di una secolare tradizione architettonica lignea sviluppatasi in Europa continentale sin dal Neolitico grazie all'alto grado di forestazione e la disponibilità di materia prima. Se la palafitta è il prototipo della casa celtica o del casone medievale europeo è possibile che essa non sia esclusivamente lacustre e che anzi il problema stesso della "palafitta" sia sovrastimato se è vero che i resti di villaggi in legno in terraferma sono ben difficilmente riconoscibili per la dissoluzione esercitata sui materiali deperibili dai processi di decomposizione.

Nel 2.291 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Naram-Sin sale al trono di Akkad. Spinto dalla bellicosa Inanna, penetra nella penisola del Sinai e invade l'Egitto.

Nel 2.255 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Inanna usurpa il potere in Mesopotamia; Naram-Sin contamina Nippur. I Grandi Anunnaki fanno sparire Agade. Inanna fugge. Sumer e Akkad vengono occupate da truppe fedeli a Enlil e Ninurta.

Nel 2.220 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, la civiltà sumerica si eleva a nuove vette sotto i sovrani illuminati di Lagash. Thoth aiuta il suo re Gudea a costruire un tempio-ziggurat per Ninurta.

Una ricostruzione di palafitte costruite
su una bonifica di tronchi d'albero.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- La cultura di Polada (2.200-1.600 a.C. circa) è il nome con cui ci si riferisce ad una cultura dell'età del bronzo antica, diffusa in tutta l'Italia settentrionale. Vi sono alcuni punti in comune con la precedente cultura del vaso campaniforme tra cui l'uso dell'arco e una certa maestria nella metallurgia . In un sito di questa cultura presso Solferino è stato rinvenuto il più antico esempio di cavallo addomesticato in Italia. Il nome deriva dalla località di Polada, nel territorio del comune di Lonato del Garda, dove negli anni tra il 1870 e il 1875 si ebbero i primi ritrovamenti attribuiti a questa cultura in seguito a lavori di bonifica in una torbiera.
Reperti in stile "Ligure" della
 cultura di Polada (2.200 a.C.).
Altre stazioni importanti si ritrovano nell'area tra Mantova e il Lago di Garda e il lago di Pusiano. Gli insediamenti in zona di laghetti e paludi intermorenici sono a palafitte appoggiate su "bonifiche" di tronchi orizzontali, disposti in piattaforma stratificata o cassonata. Se la ceramica è di impasto ancora grossolano, le altre attività umane crescono e si sviluppano: industria litica, in osso e corno, legno, metalli. Gli strumenti e le armi in bronzo mostrano somiglianze con quelli della cultura di Unetice e di altri gruppi a nord delle Alpi.

Nel 2.193 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Terah, padre di Abramo, nasce a Nippur in una famiglia di alto rango sacerdotale-politico.

Nel 2.180 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, l'Egitto viene diviso: i seguaci di Ra/Marduk mantengono il Sud; i faraoni suoi awersari ottengono il trono del basso Egitto.

Nel 2.130 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, poiché Enlil e Ninurta sono sempre più spesso lontani, declina anche in Mesopotamia l'autorità centrale. Il tentativo di Inanna di riottenere la sovranità per Erech non dura a lungo.

Nel 2.123 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Abramo nasce a Nippur.

Nel 2.113 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Enlil affida le terre di Shem a Nannar; Ur viene dichiarata capitale del nuovo impero. Ur-Nammu sale al trono e viene chiamato Protettore di Nippur. Un sacerdote di Nippur - Terah, padre di Abramo - viene a Ur per stringere un legame con la corte reale.

Dal 2.100 a.C. - Popolazioni chiamate poi Fenici si insediano nelle coste orientali del Mediterraneo, nei pressi dell'attuale Libano. Dei Fenici si ha notizia fin dal XXI secolo a.C. La civiltà fenicia viene ricollegata ai Cananei dell'antica Palestina, che abitarono nel sud della stessa regione, essendo nei fatti i fenici indistinguibili per lingua (se non per variazioni dialettali) e cultura dal resto dei popoli cananei. Essi furono soprattutto un popolo di pescatori e navigatori: conoscevano e sapevano tracciare le rotte ed erano in grado di navigare di notte, prendendo come riferimento la Stella Polare. Praticavano la navigazione sottocosta, per poter attraccare in caso di difficoltà, fare rifornimento.
Cartina della Fenicia intorno al 1.000
a.C.  con Biblo, Sidone e Tiro. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Il termine "fenici" viene fatto risalire alla parola greca φοίνικες (Phoinikes) (attestata già in Omero come nome di questo popolo), che probabilmente era un termine per designarli e non la parola con cui essi designavano se stessi; d'altra parte non risulta che i Fenici si siano mai dati una denominazione "complessiva", oltre alle denominazioni delle singole città. L'origine di Phoinikes sarebbe da collegarsi al termine φοῖνιξ (phoinix, da murex, che era la conchiglia da cui i Fenici ottenevano il rosso porpora per tingere i tessuti), ossia "rosso porpora".
Antica imbarcazione fenicia, con
chimera dipinta sulla vela.
Phoinikes indicava il popolo e Phoinike la regione. Le fonti antiche rimarcano più volte come la lavorazione dei gusci dei murici (dai quali si otteneva il pigmento rosso-porpora) fosse una fiorente industria dei Fenici. Purtroppo l'archeologia non restituisce dati relativi a confermare quello che si può leggere nelle fonti perché gli stessi residui di lavorazione (costituiti dai gusci dei murici) venivano successivamente impiegati per la produzione di calce. È peraltro possibile che il nome comune ("porpora") derivi dal nome proprio. Analogo discorso per la parola "cananei", che veniva usata a Ebla (III millennio a.C.) e nell'Antico Testamento, forse connessa con l'accadico kinakhkhu, sempre per indicare la stessa tonalità di colore. I Fenici hanno abitato le coste orientali del mediterraneo dal 2.100 al 539 a.C. e la parte più a sud del loro territorio corrispondeva alla terra di Canaan, abitata anticamente dai Cananei, spesso nominati nella Bibbia.

- Le culture kurganiche indoeuropee, che allevavano cavalli fin dal 4.000 a.C., sia per mangiarli che come animali da soma, verso il 2.100-2.000 a.C. imparano ad usarli per trainare agili carri da caccia, corsa e guerra e a cavalcarli in maniera incontrollata (con nasiere e senza sella o sottopancia) e finalmente, dopo circa un millennio di tentativi e di selezioni del cavallo, sarà possibile montarlo in maniera utile per poterlo impiegare in battaglia, controllandolo quindi con una mano o con le gambe e contemporaneamente poter brandire un'arma. I kurganici non avrebbero quindi avuto una superiorità militare sui popoli privi di cavalleria fino alla scoperta del carro leggero e a quelle del morso e dell'arte equestre. Nessun popolo fu "veramente" nomade e i Kurgan, in particolare, vanno interpretati come l'espressione di una civiltà dedita ad una pastorizia transumante con al centro insediamenti fluviali. La scoperta della cavalcabilità del cavallo (tra il 1100 e il 1000 a.C.) sarà una rivoluzione che metterà in moto le steppe occidentali mentre forse ad est degli Altaj, con l'addomesticazione della renna, si era verificato un fenomeno analogo.

- Popolazioni indoeuropee delle steppe colonizzano l'Asia centrale dove nasce la cultura di Poltavka. La cultura di Poltavka venne seguita dalla cultura di Sintashta (2100-1800 a.C.) - che mostra forti legami anche con la cultura di Abaševo - e dalla cultura di Andronovo (2000-1200 a.C.), quest'ultima è vista come la cultura che diede origini ai popoli indoiranici e al carro da guerra. L'assoluta irreperibilità di reperti ascrivibili alla cultura di Andronovo in India ha fatto ipotizzare ad alcuni studiosi che gli Indoiranici durante la loro graduale discesa verso sud abbiano via via abbandonato le loro tradizioni nomadiche della steppa adottando lo stile di vita stanziale e urbanizzato del cosiddetto BMAC, complesso archeologico bactriano-margiano. Si conclude che le popolazioni indoiraniche di cultura di Andronovo, originariamente stanziate nel territorio dell'odierno Kazakistan, si spostarono verso sud nel territorio dell'odierno Turkmenistan/Tagikistan dove adottarono la cultura urbanizzata di BMAC, dopodiché a causa di avvenimenti sconosciuti (il prof. Viktor Sarianidi parla di catastrofi naturali a seguito di cambiamenti climatici) si spostarono ancora una volta stabilendosi definitivamente prima in India, dove introdussero alcuni aspetti culturali del BMAC, e successivamente in Iran.

Nel 2.096 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Ur-Nammu muore in battaglia. Il popolo considera la sua morte un tradimento di Anu ed Enlil. Terah, padre di Abramo, parte con la sua famiglia per Harran.

Nel 2.095 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Shulgi sale al trono di Ur e rafforza i legami imperiali. Mentre prospera l'impero, Shulgi cede al fascino di Inanna e diviene il suo amante. Concede Larsa agli Elamiti in cambio dei loro servigi come "legione straniera".

Nel 2.080 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, principi tebani fedeli a Ra/Marduk, durante il regno di Mentuhotep, si spingono a nord. Nabu, figlio di Marduk, fa proseliti per suo padre nell'Asia occidentale.

Nel 2.055 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, su ordine di Nannar, Shulgi manda truppe elamite a sedare la rivolta delle città cananee. Gli Elamiti arrivano alla porta della penisola del Sinai e del suo porto spaziale.

Nel 2.048 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Shulgi muore. Marduk si sposta nella terra degli Ittiti. Abramo viene mandato a Canaan con un corpo scelto di cavalieri.

Nel 2.047 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Amar-Sin (il biblico Amraphel) diventa re di Ur. Abramo va in Egitto, ci resta cinque anni, poi ritorna con altre truppe.

Nel 2.041 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Amar-Sin, spinto da Inanna, forma una coalizione di re dell'Oriente e lancia una spedizione militare a Canaan e nel Sinai, con a capo l'elamita Khedorla'omer. Abramo blocca la loro avanzata alle porte del porto spaziale.

Nel 2.038 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin,Mentre l'impero va disintegrandosi, Shu-Sin subentra ad Amar-Sin sul trono di Ur.

Nel 2.029 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, Ibbi-Sin subentra a Shu-Sin. Le province occidentali sono sempre più inclini a riconoscere Marduk come loro divinità.

Nel 2.024 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, alla testa dei suoi seguaci, Marduk marcia su Sumer e si incorona da sé sovrano di Babilonia. I combattimenti si estendono alla Mesopotamia centrale. Il tabernacolo di Nippur viene attaccato in maniera sacrilega. Enlil chiede che Marduk e Nabu vengano puniti; Enki si oppone, ma suo figlio Nergal sta dalla parte di Enlil. Mentre Nabu schiera i suoi seguaci cananei per impadronirsi del porto spaziale, i Grandi Anunnaki approvano l'impiego delle armi nucleari. Nergal e Ninurta distruggono il porto spaziale e le ribelli città cananee.

Nel 2.023 a.C. - Secondo Zecharia Sitchin, i venti portano su Sumer la nube radioattiva. La gente muore di una morte terribile, gli animali periscono, l'acqua è avvelenata, la terra si inaridisce. La grande civiltà di Sumer si esaurisce. La sua eredità passa alla progenie di Abramo, poiché egli genera - all'età di cento anni - un erede legittimo: Isacco.

Carta delle regioni e isole della Grecia, con Creta a sud,
in viola, e le isole Cicladi al centro, in rosa.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Dal 2.000 a.C. - I Pelasgi, popolazioni migrate dall'Asia minore nel IV millennio a. C., furono probabilmente fra le prime a raggiungere l'Europa mediterranea da est, e svilupparono in Europa la loro cultura. Lo storico Eforo riferisce di un brano di Esiodo che attesta la tradizione di un popolo dei Pelasgi in Arcadia e sviluppa la teoria che fosse un popolo di guerrieri diffusosi da una "patria" che aveva annesso e colonizzato tutte le regioni della Grecia, e a loro fanno menzione gli autori antichi, da Dodona a Creta alla Triade fino in Italia, dove i loro insediamenti sono ben riconoscibili ancora nel tempo degli Elleni e sono in stretta relazione con i "Tirreni" (da cui derivarono gli Etruschi). La caratteristica struttura della muratura della cittadella di Atene ha fatto sì che tutte le costruzioni in blocchi non squadrati e senza l'uso di malta abbiano avuto il nome, di "muratura pelasgica" esattamente come talvolta sono dette "mura ciclopiche", cioè costruite dai Pelasgi. Probabilmente, la realtà storica dell'invasione ellenica della Grecia fu raccontata attraverso il mito della titanomachia: i fratelli Ade, Poseidone e Zeus impersonificano ioni, eoli e achei che soggiogano Crono e i suoi fratelli giganti Titani, ossia i Pelasgi adoratori delle divinità titaniche.

Antica imbarcazione egizia con vela.
- In questi anni, nel Mar Mediterraneo orientale entra in uso la vela nella navigazione, e non solo da parte dei minoici.

Antica nave cretese con vela,
per la navigazione d'altomare.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- A Creta prosegue l'edificazione di grandi palazzi minoici. Con la costruzione di natanti adatti a lunghi percorsi in altomare, i Cretesi attuano la loro Talassocrazìa, il dominio del mare, scambiando merci con le città più forti e razziando le città più deboli con veri e propri atti di pirateria.
Creta e la sua area di influenza
nel mar Egeo.
Intorno a 1700 a.C. avverrà la prima distruzione dei palazzi di Cnosso e Festo, non si sa se a causa di un terremoto o di un'invasione. I Cretesi reagiranno facendo fiorire rapporti commerciali con il Mediterraneo orientale e fondando numerose colonie nel mare Egeo. Poi fra il 1650 e 1600 a.C., l'eruzione che ne determinerà il declinio.
Intorno al 1628 a.C. vi fu la seconda grande distruzione, dovuta all'eruzione vulcanica dell'isola di Thera (l'odierna Santorini), e l'indebolimento conseguente a questo cataclisma favorirà la conquista degli Elladici-Micenei dal XV secolo a.C. Forse Platone ha derivato il mito della distruzione di Atlantide dall'eruzione di Thera, che faceva parte dell'impero di Creta. Vedremo poi perché nel 1.628 a.C.
Pianta del monumento
megalitico di Stonehenge.

Ricostruzione di come doveva essere
il "cromlech" di Stonhenge.
- A Stonehenge, nel Wessex,
in Inghilterra, viene edificato un 
grande monumento megalitico.

- La Civiltà Cicladica raggiunge il massimo splendore intorno al 2.000 a.C., quando viene edificato il santuario di Delo (nell'isola di Delos, vedi cartina qui sotto), dedicato ad Artemide.
La Civiltà Cicladica subirà poi l'influenza di Creta, che le imporrà con il tempo, il suo definitivo dominio.

Carta della Grecia nel 2000 a.C. con le isole Cicladi, Rodi e
Creta con le sue proto-città. Micene non esisteva ancora.
Le Cicladi con i nomi in greco.













- Nell'ambito di periodiche migrazioni di popoli nella penisola greca, dopo i Pelasgi, verso il 2.000 a.C. giunse in Grecia la popolazione guerriera degli Ioni, o Yoni.
Carta delle invasioni di Ioni e Achei nell'antica Grecia dal
2000 a.C., dei Dori dal 1200 a.C., con i monti Olimpo, Parnaso,
Elicona, Taigeto - Clicca sull'immagine per ingrandirla.
La Y degli
Ioni.
Erano chiamati Yoni poiché portavano un bastone biforcuto a forma della lettera Y per simbolizzare i genitali femminili (pare fossero infatti portatori di una cultura matriarcale). Gli Ioni (in greco antico Ἴωνες, Íōnes) sono la prima delle tre popolazioni elleniche che invasero l'antica Grecia nel II millennio a.C. Secondo la leggenda, il mitico capostipite degli Ioni fu Ione, secondo altre versioni erano figli di Io. Secondo alcuni studiosi, gli Ioni migrarono per dissidi con altre culture dall'oriente poiché erano matriarcali, e la loro lettera Y era scritta come nell'immagine qui sopra, a indicare il pube femminile, e tale era la forma del bastone portato da sacerdoti e sacerdotesse, che si vestivano di rosso porpora (il colore che determinò il nome Fenici) come riferimento al mestruo, contrariamente al colore bianco portato dai sacerdoti delle culture patriarcali, evocanti il seme maschile. Probabilmente, la realtà storica dell'invasione ellenica della Grecia fu raccontata attraverso il mito della titanomachia: i fratelli Ade, Poseidone e Zeus impersonificano ioni, eoli e achei che soggiogano Crono e i suoi fratelli Titani, ossia i Pelasgi adoratori delle divinità titaniche.
Carta delle regioni della penisola
Anatolica con in giallo la Ionia.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Il termine Ioni, forse originario dell'Asia minore, designa gli abitanti dell'Attica, in cui fu fondata Atene, e dell'Eubea, oltre che della Ionia vera e propria, la parte occidentale dell'Asia Minore colonizzata in tempi più recenti.
Verso la fine del II millennio a.C. gli Ioni, pressati dalle migrazioni di altre popolazioni, migrarono dal continente verso le coste dell'Asia minore, dove più tardi diedero vita ad una confederazione religiosa di dodici città, incentrata sul santuario di Posèidon a Panionion, presso Mycale. Dal VII secolo a.C. le città ioniche caddero sotto il dominio della Lidia e, dopo la sconfitta di Creso, sotto quello persiano. Nel 480 a.C., in seguito alle Guerre persiane, gli Ioni tornarono indipendenti, ma nella sfera d'influenza di Atene. Per liberarsi dal dominio ateniese, si schierarono con Sparta, nella guerra del Peloponneso, ma ricaddero sotto il dominio persiano per gli accordi della Pace di Antalcida, nel 386 a.C. La lega ionica fu poi ricostituita da Alessandro Magno. In seguito le città ioniche entrarono nella sfera d'influenza di Pergamo e dal 133 a.C. fecero parte della provincia romana d'Asia.

Nuraghe sardo.  Clicca sull'immagine
 per ingrandirla.
Dal 1.900 a.C. - In Sardegna vengono edificati i nuraghi.
Sardegna: Tomba dei Giganti.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Il nuraghe è un tipo di costruzione megalitica di forma tronco conica presente con diversa densità su tutto il territorio della Sardegna. Monumenti rappresentativi della Civiltà nuragica, i nuraghi furono costruiti nel II millennio a.C., a partire dal 1.900 a.C. Nello stesso periodo storico, sempre in Sardegna, venivano edificate le misteriose "Tombe dei Giganti".

- La prima menzione dei Popoli del Mare, databile dal 2.000 al 1.700 a.C., compare nell'obelisco di Biblo, dove viene nominato Kwkwn, figlio di Rwqq, transliterato Kukunnis figlio di Lukka.
Biblo, tempio fenicio
degli obelischi.
I Popoli del Mare sarebbero una presunta confederazione di predoni del mare provenienti dall'Europa meridionale, specialmente dall'Egeo, che navigando verso il Mar Mediterraneo orientale sul finire dell'età del bronzo invasero l'Anatolia, la Siria, Canaan, Cipro e l'Egitto. I "Popoli del Mare" sono documentati dalle fonti scritte egizie durante la tarda Diciannovesima Dinastia e in particolare durante l'ottavo anno di regno di Ramses III, della Ventesima Dinastia, quando tentarono di ottenere il controllo del territorio egizio. Nella Grande iscrizione di Karnak il faraone egizio Merenptah parla di "nazioni (o popoli) stranieri del mare".

Reperto con la scrittura
"Lineare A".
Nella Civiltà Minoica entra in uso la scrittura "Lineare A". La Lineare A è uno dei due sistemi di scrittura utilizzati nell'isola di Creta prima del sistema di scrittura dei greci micenei detto Lineare B, insieme ai geroglifici cretesi. Durante il periodo minoico, prima del dominio miceneo, la Lineare A fu utilizzata come scrittura ufficiale nei palazzi e per i riti religiosi, mentre i geroglifici venivano utilizzati soprattutto sui sigilli. Questi tre sistemi di scrittura furono scoperti da Arthur Evans, che gli dette il nome utilizzato attualmente. Nel 1952, Michael Ventris scoprì che la Lineare B veniva usata per mettere per iscritto una primitiva forma di greco, nota oggi come miceneo. Insieme ad altri utilizzò questa scoperta per decifrare la Lineare B, decifrazione tutt'oggi ampiamente accettata, anche se rimangono molti punti da chiarire. Il fallimento nel determinare la lingua trascritta con la Lineare A ha impedito lo stesso tipo di progresso fatto con la Lineare B nella sua decifrazione. Sembra che la Lineare A sia stata utilizzata come sillabario completo intorno al 1.900 - 1.800 a.C., anche se svariati segni apparvero già in precedenza. È possibile che la scrittura troiana rinvenuta da Heinrich Schliemann ed una iscrizione rinvenuta nella zona centrale di Creta, così come alcuni marchi su ceramica da Lahun, Egitto (12esima dinastia) provengano da un periodo precedente, circa 2.100 - 1.900 a.C., il quale è il periodo della costruzione dei primi palazzi. I sistemi di scrittura adottati a Creta e poi in Grecia prima dell'introduzione dell'alfabeto, vengono distinti con le designazioni di scrittura lineare A (dal 1600 a.C. al 1400 a.C.) e scrittura lineare B (dal 1450 a.C. al 1200 a.C.). La A, con 85 segni, è diffusa in tutta l'isola di Creta, mentre la B, con 88 segni, nell'isola è rinvenuta solo a Cnosso, ma si trova anche nella Grecia continentale, a Pilo e a Micene. La lineare A costituisce ancora notevoli problemi per la sua decifrazione, sembra inoltre che dietro questa scrittura si celi una lingua non indoeuropea. La lineare B, grazie all'opera di Michael Ventris, è ormai facilmente decifrabile e serviva per trascrivere un dialetto greco dalle caratteristiche molto arcaiche.

Carta con Fiavè, in Trentino.
 Clicca per ingrandire.
- Nel sito palafitticolo di Fiavè, in Trentino, nel corso del XVIII-XVI sec. a.C., vennero edificati almeno due nuclei d'abitato secondo il classico modello della palafitta in elevato sull'acqua di cui si conservano e sono visibili i pali portanti, alcuni di oltre 9 metri di lunghezza. A questi segue un nuovo abitato palafitticolo (XV-XIV sec.a.C.) costituito da capanne su pali ancorati ad una complessa struttura a reticolo adagiata lungo la sponda e sul fondo del lago. L'età del Bronzo recente (XIII sec. a.C.) segna la fine degli abitati palafitticoli e la costruzione di un insediamento sul Dos Gustinaci, rilievo morenico al margine meridionale del bacino. Lungo il percorso sono visibili i terrazzamenti e le tracce di muratura a secco relative ad alcune abitazioni a pianta rettangolare. L’antico lago Carera sembra essere stato frequentato anche in epoche successive, non più a scopo abitativo, ma forse funerario o rituale. Ne sono testimonianza i ritrovamenti, effettuati negli anni ’40 del secolo scorso, di resti scheletrici, armi e attrezzi in ferro, ceramiche ecc. datati agli ultimi secoli del I millennio a.C., fino all’età romana.

Il disco di Festo.
Il 3 luglio 1908, gli archeologi che stavano scavando nell'antico palazzo minoico di Festo, a Creta, si imbatterono in uno degli oggetti più sorprendenti nella storia della tecnologia: il disco di Festo. La scoperta dell'ubicazione di Festo fu dovuta allo spirito avventuroso di un militare inglese, il generale Spratt il quale, Strabone alla mano, rintracciò l'antica città cretese di cui parlarono anche altri autori classici quali Omero nell'Iliade (II, 648) e nell'Odissea (III, 296) e Diodoro. Il Disco di Festo è un manufatto in terracotta ancora immerso nella leggenda e nel mistero. Venne rinvenuto sotto un muro del palazzo di Festo da due archeologi, Luigi Pernier e Federico Halbherr e l’attribuzione di una data con il metodo stratigrafico lo pone intorno al 1.700 a.C. A una prima occhiata non sembrava niente di speciale: un disco piatto e non dipinto di terracotta del diametro di una quindicina di centimetri. Ma a un esame più attento, si vide che su entrambi i lati erano impressi i segni di una scrittura, disposti lungo una linea a spirale che in cinque giri convergeva verso il centro. Il disco sembrava progettato ed eseguito con cura, in modo che la scritta iniziasse sul bordo e finisse esattamente al centro, sfruttando tutto lo spazio disponibile. La prima particolarità che salta all’occhio sono le dimensioni del disco: 16 cm di diametro per 16 mm di spessore. In secondo luogo appare interessante il modo in cui il disco è stato decorato: si tratta di un motivo a spirale che si conclude esattamente nel centro del disco, su entrambi i lati. All’interno della spirale vi sono riportati 241 simboli divisi in gruppi con delle “stanghette” che chiudono lo spazio di scrittura. Il basso numero di simboli unici, 45 ha fatto ipotizzare un sistema sillabico, resta il fatto che ad oggi, dopo numerosi tentativi, il disco è rimasto indecifrato. Un’ultima curiosità: i simboli non sono stati incisi, bensì “stampati” sulla creta fresca del disco. Interessante è l'analisi di Rosario Vieni da: http://www.misteria

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.8: dal 2.500 al 1.900 p.e.v. (a.C.)" QUI.

Carta tolemaica del III secolo della Scizia (Scythia e Serica)
La Scizia è separata in due parti dai monti Imai (l'Himalaya)
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Nel 1.700 a.C. - Tra le tante specie animali addomesticate, il cavallo è forse quello che più ha fatto la differenza in termini di fruttuosa alleanza con l’uomo, soprattutto nell’ambito della vita bellica. E c’è un’intera regione geografica che, senza la domesticazione del cavallo, avrebbe avuto certamente una storia molto diversa. Il riferimento va alle ampie steppe eurasiatiche, terre selvagge e difficili per gli esseri umani, habitat naturali dei cavalli. In una schiera di popolazioni nomadi che hanno abitato nei secoli queste regioni ce n’è una che più di altre ha fatto del cavallo il suo principale mezzo di sussistenza: gli Sciti, che gli storici considerano generalmente di origine iranica, con un periodo di esistenza collocato generalmente tra il IX secolo a.C. al I secolo a.C. Le loro scorribande avvenivano in un’area piuttosto ampia, che andava dalla Siberia meridionale e al Kazakistan fino alle attuali Ucraina, Romania e Moldavia. La loro simbiosi con i cavalli era tale che non solo ne facevano il principale mezzo di trasporto, ma ne consumavano le carni e persino il latte, e credevano che i loro fedeli destrieri li avrebbero accompagnati anche nell’oltretomba. Le tracce più antiche di bardatura e uso della sella si ritrovano proprio nei siti archeologici attribuiti agli Sciti.
Secondo la teoria kurganica, nel 1.700 a.C. gli Sciti, popolazione indoeuropea di origine iranica formatasi dalla cultura di Srubna, si stanziano inizialmente nello Yenissei e proseguiranno poi verso l'Altaj ed il Caucaso, in direzione ovest, dilagando nelle steppe pontico-caspiche (costringendo i Cimmeri a migrare a sud del Caucaso) da dove si spingeranno successivamente in Europa orientale, spinti verso ovest delle tribù Hiung-nu (identificate con il popolo degli Unni), che muovendosi verso occidente mettevano in breve tempo in moto tutte le tribù nomadi delle steppe. Erodoto afferma che in origine gli Sciti sarebbero stati scacciati dagli Issedoni, un popolo del profondo nord. Gli Sciti avrebbero poi guadato il Volga e si sarebbero insediati negli antichi territori dei Cimmeri, poi chiamati Scizia, poiché erano stati braccati dai Massageti. L'invasione del regno dei Cimmeri lacerò quest'ultimi: la popolazione voleva semplicemente fuggire mentre i sovrani non volevano cedere all'invasione scita. Approssimandosi l'arrivo degli Sciti, i sudditi abbandonarono le loro terre senza combattere e i re, rimasti soli, si divisero in due gruppi e combatterono tra loro sterminandosi a vicenda. I loro corpi vennero seppelliti lungo le rive del fiume Dnestr. « Pare che i Cimmeri, in fuga dagli Sciti, si siano rifugiati in Asia (la penisola anatolica, N.d.R.) e abbiano colonizzato la penisola nella quale sorge attualmente la città greca di Sinope » (Erodoto, Storie, IV, 12, 2). Gli Sciti (o Scythi) furono una popolazione seminomade di origine iranica, mitologicamente nata o dall'unione tra Eracle ed Echidna, o tra Zeus ed il fiume Boristene, tra l'VIII ed il VII secolo a.C.
Cavaliere Scita della Cultura
Pazyryk, reperto in feltro.
Immagine da https://it.wiki
pedia.org/wiki/Sciti#/media/
File:PazyrikHorseman.JPG
.
Erodoto riferisce che il nome Sciti fu attribuito a tale popolazione dai Greci e che tale nome derivava da quello di uno dei re degli Sciti, Skules, ad esso direttamente correlato. Infatti gli Sciti chiamavano se stessi Skula. Erodoto sostiene che i Persiani chiamassero gli Sciti Saka. Assiri ed Ebrei trassero il nome aškuza/iškuza tramite gli Sciti stessi dopo l'invasione del Medio Oriente, da cui deriverebbe il nome originario Skuza, pressoché identico al greco Σκὺθης, mutuato dal prototipo iraniano Skuδa. Questo nome si formò dalla radice skeud, "gettare, tirare", traslata anche nelle lingue germaniche (lingua inglese: shoot); il suo significato sarebbe pertanto "arciere", come del resto confermato dalle fonti storiche che fanno dell'abilità con l'arco un tratto fondamentale degli Sciti. Principale fonte primaria sulle origini e la storia degli Sciti è il libro IV delle Storie di Erodoto. Lo storico greco riferisce, circa le origini del popolo scita, la tradizione greca e quella scita. Per i Greci, il popolo degli Sciti è nato dall'unione di Echidna con Eracle che, essendo giunto in Scizia, era stato costretto a giacere con il mostro affinché gli restituisse i suoi cavalli che lei gli aveva sottratto. I discendenti della loro unione furono sottoposti ad una particolare prova, come ordinato da Eracle ad Echidna: dovevano essere in grado di tendere l'arco e cingersi in vita la cintura così come faceva lui. Quelli che ne fossero stati in grado, avrebbero potuto dimorare nella Scizia, gli altri no. Solo il terzogenito, Scita, fu in grado di tendere l'arco e cingere la cintura come Eracle e così fu il primo re della Scizia. Altra tradizione riferita da Erodoto è un mito tramandato dagli stessi Sciti, che racconta di come il primo uomo nato in Scizia fu Targitao, figlio di Zeus e del fiume Boristene. Questi generò tre eredi: Lipossai, Arpossai e Colassai. Un giorno, dal cielo discesero tre oggetti d'oro: un'ascia bipenne (la labris degli antichi Cretesi), un aratro d'oro con giogo ed una coppa. Il primogenito, Lipossai, tentò di afferrare i doni divini, ma non appena vi provò, gli oggetti si fecero incandescenti. Dopo di lui, anche il secondogenito Arpossai provò a fare suoi i regali, ma anche questa volta gli oggetti divennero incandescenti e fu impossibile afferrarli. Solo l'ultimogenito, Colassai, riuscì ad appropriarsi dei tre manufatti d'oro; per questo motivo, i fratelli maggiori gli cedettero la loro parte di regno. Da Lipossai discese la tribù degli Aucati, da Arpossai i Catiari e i Traspi, da Colassai i Paralati.
Carta della Scizia, con le popolazioni
Scite in marrone, gli Agatirsi
assimilabili agli Sciti in verde e le
popolazioni limitrofe in ocra. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Secondo Erodoto, il territorio della Scizia è di forma quadrata, ed è delimitata a nord dai territori degli Agatirsi, ad est dal Mare d'Azov e ad ovest dal Ponto Eusino. La Tracia ne era una propaggine, mentre la Crimea non ne faceva parte. Erodoto descrive l'estensione della Scizia partendo da Olbia, colonia di Mileto fondata sulla foce del Bug Meridionale, affermando che, seguendo la costa, il territorio era abitato da una popolazione culturalmente greco-scita, i Callippidi; oltre di essi ve ne era un altro, gli Alizoni. Culturalmente ascrivibili ai costumi Sciti, questi popoli erano sostanzialmente sedentari, poiché coltivavano grano, cipolle, aglio, lenticchie e miglio. Oltre gli Alizoni vi erano poi gli Sciti "aratori", che coltivavano grano, non per il proprio sostentamento ma per commerciarlo; erano stanziati dopo il Dnepr, all'interno. Gli "Aratori" erano chiamati, dai greci del luogo, Boristeniti, ma loro chiamavano se stessi Olbiopoliti. A est degli Sciti agricoltori, dopo il fiume Panticape, vi erano gli Sciti nomadi, che occupavano un territorio del tutto brullo, esteso fino al fiume Gerro; oltre questo fiume, vi erano i territori "reali", dimora degli Sciti più valorosi che, a loro volta, ritenevano gli abitanti del resto della Scizia loro schiavi; i territori reali arrivavano fino alla Crimea e, verso oriente, fino al Mare d'Azov. Un breve tratto di questa regione arrivava a lambire anche il fiume Don. Di là dal Don non si era più in Scizia ma, oltrepassati i territori dei Budini, dei Tissageti e degli Iurci, ad est, vi erano altre tribù scite che si erano distaccate dall'originario insieme degli Sciti reali. Da fonti assire, sembrerebbe che gli Sciti provenissero dalla Media e dall'Iran, e che fossero strettamente imparentati con i Medi (cosa del resto probabile visto la comune origine nel ceppo linguistico iranico) e solo in seguito siano andati ad abitare nell'area pontico-caspica, provenienti da Sud e non da Nord. Secondo Tamara Rice, gli Sciti appartenevano al gruppo indoeuropeo di probabile ceppo iranico, oppure ugro-altaico. Il Dragan ritiene che gli Sciti fossero un popolo indo-iraniano. Recenti analisi fisiche hanno unanimemente scoperto che gli Sciti, anche quelli che vivevano nella zona di Pazyryk, avevano caratteristiche fisiche spiccatamente europee. Ulteriori conferme sono giunte dallo studio di antichi resti di DNA. Uno studio del 2002 ha analizzato la genetica materna di resti umani di un uomo e una donna risalenti al periodo Saka provenienti dal Kazakhstan, presumibilmente marito e moglie. La sequenza mitocondriale HV1 del maschio era simile alla sequenza Anderson, che è la più diffusa tra le popolazioni europee. Viceversa, quello femminile suggeriva origini asiatiche. Nel 2004, è stata analizzata la sequenza HV1 ottenuta dai resti di un maschio scita-siberiano proveniente dall'Altaj, rivelando che l'individuo apparteneva alla linea materna N1a. Il DNA mitocondriale estratto da altri due scheletri della medesima zona ha mostrato come entrambi i soggetti presentassero caratteristiche di origine euro-mongolide. Uno dei due scheletri apparteneva alla linea materna F2a e l'altro alla linea D, entrambe caratteristiche delle popolazioni eurasiatiche. Uno studio del 2009 ha preso in considerazione gli aplotipi e gli alfatipi di ventisei campioni di antichi resti umani dell'area di Krasnoyarsk, in Siberia, risalenti ad un periodo compreso tra la metà del II millennio a.C. e il IV secolo a.C.. Pressoché tutti i soggetti appartengono all'aplogruppo R1a1-M17. Gli autori dello studio ritengono che i dati mostrino come, tra l'età del bronzo e l'età del ferro, la costellazione di popolazioni variamente chiamate Sciti fosse geneticamente più vicina ai popoli dell'Europa orientale che non dell'Asia centrale e meridionale.
Corona reale rinvenuta a Tillia Tepe,
sito archeologico afgano, parte del
tesoro scita di Kul-Olba
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Un ruolo preponderante, nella religione degli Sciti, era svolto dall'oro, insediatosi nella cultura scita dopo la lunga permanenza in Medio Oriente. Esso è ben testimoniato da un mito fondativo scita riferito da Erodoto; grazie agli oggetti aurei, infatti, Colassai divenne il re-sacerdote della Scizia. L'oro veniva perciò considerato il tramite tra la dimensione umana e quella divina, elemento fondativo della società scita. Sempre secondo il mito originario scita, Colassai istituì tre regni per i suoi figli e il più vasto fu conferito a colui che aveva l'onere di custodire l'oro sacro. Anche per questo il re era considerato il custode dell'oro sacro, in onore del quale annualmente venivano celebrati particolari sacrifici propiziatori. Chi, durante tali feste, custodiva l'oro sacro beneficiava di particolari privilegi in quanto il compito era considerato piuttosto gravoso; infatti, gli Sciti ritenevano che chi si fosse addormentato mentre custodiva l'oro sacro sarebbe morto entro la fine dell'anno. Pertanto, chi doveva custodirlo riceveva in dono una porzione di terreno pari a quanto sarebbe riuscito a girarne a cavallo nell'arco di una giornata. Secondo gli Sciti, l'oro veniva custodito dai grifoni, che vivevano nel profondo nord.

La diffusione dei Celti in Europa. Nella zona rossa i primi insediamenti, i
quadratini gialli indicano la cultura proto-celtica di Canegrate del XIII sec.
a.C. e le culture celtiche successive: Golasecca dal XII sec. a.C.,
Hallstatt dal 700 a.C. e La Tène dal 450 a.C. In verde le espansioni
dal VI sec. a.C. e in verde più chiaro le successive espansioni.
I movimenti tribali sono indicati dalle linee rosse.

- Dal 1.700 a.C., la coda della migrazione degli indeuropei dall'oriente, ha contatti con gli Sciti, di origine indoeuropea essi stessi. Gli indoeuropei che sarebbero divenuti i proto-celti, oltre ad avere società patriarcali e culti di divinità maschili-solari, come gli Sciti, avevano con essi molte altre usanze comuni: l'uso delle tombe tumulo  (kurgan), l'allevamento del cavallo, ritenuto sacro, il rito di tagliare e conservare la testa del nemico a protezione della propria capanna, la suddivisione in tre classi sociali (guerrieri, sacerdoti e lavoratori) in cui gli aristocratici possedevano più cavalli. I Proto-Celti, diedero un grande impulso all'agricoltura dei cereali  ed ebbero il merito di diffondere in Europa l'uso dei metalli e del cavallo. L'ampia diffusione dei metalli e della loro lavorazione è testimoniata dalla presenza di lavoratori di metalli nei Balcani orientali e l'influenza esercitata da questi fu notevole per tutta l'Europa centrale, specialmente per la sostituzione delle asce neolitiche realizzate in pietra o in corno con quelle in rame e in bronzo. Una delle strade attraverso le quali si diffuse la conoscenza delle asce di metallo fu forse quella che percorreva le steppe del Ponto, provenendo dal Caucaso. Oltre alla lavorazione dei metalli o alle asce da battaglia, gli allevatori pontici ed europei avevano altre caratteristiche in comune. L'inumazione in tombe singole, spesso sotto un tumulo circolare, con il corpo accompagnato dalle armi e dalla mobilia posseduta in vita dal defunto, costituiva la forma di sepoltura maggiormente diffusa, mentre nel vasellame lo erano alcune forme particolari e diversi tipi di decorazioni. Queste popolazioni praticavano l'allevamento di suini e bovini, ma maggior interesse suscitano le tecniche di allevamento dei cavalli e il loro sfruttamento. Ossa di cavallo insieme a quelle di suini e bovini (tutti animali aventi forti valori simbolici legati all'Altromondo) sono state ritrovate frequentemente nelle tombe in tutta la zona culturale presa in esame. A quell'epoca le mandrie di tarpan, il piccolo cavallo eurasiatico, costituivano molto probabilmente un importante mezzo di trasporto e il loro valore come bestie da soma lascia pensare che non vennero utilizzate come carne da macello, a differenza di bovini e suini. Tuttavia si può supporre che i pastori del III e II millennio a.C. non utilizzarono il tarpan come mezzo di spostamento rapido, data la sua piccola taglia, e che questo antenato dei cavalli celtici venne considerato un animale da cavalcare solo in grazie a pasture migliori e allevamenti più selezionati. L'ipotesi di una grande invasione di popolazioni indoeuropee irrompenti in Europa dalle steppe eurasiatiche all'inizio del II millennio a.C. è basata sull'idea di utilizzo del cavallo come mezzo di spostamento rapido per gruppi di guerrieri armati di lance, spade, scudi, elmi e pugnali in metallo, anche se diversi studiosi oggi preferiscono pensare a un'espansione incruenta dovuta più alla diffusione di idee religiose, sociali e soprattutto tecnologiche che a una immigrazione consistente. La diffusione degli indoeuropei in Europa portò quindi nuove caratteristiche culturali e tecnologiche e determinò notevoli cambiamenti. Importante è sottolineare il fatto che le antiche culture europee cominciarono da questo momento ad abbandonare il matriarcato per accettare il patriarcato portato dai nuovi venuti, riducendo i riti per il culto della fertilità orientati verso la terra, per passare all'adorazione degli dèi solari. Gli studiosi sono ormai concordi nell'affermare che le tribù indoeuropee giunsero in Europa in un arco di tempo ampio compreso fra il 3500 e il 1200 a.C., apportando rilevanti innovazioni tecnologiche e contribuendo alla trasformazione profonda delle strutture sociali, culturali e religiose delle popolazioni neolitiche. Intorno al XIII secolo a.C., quando tutto il Mediterraneo stava vivendo un periodo caratterizzato da catastrofi naturali quali terremoti, siccità, maremoti e gelo, giunse l'ultima ondata di tribù indoeuropee che completò l'opera di mutamento culturale destinato a modificare per sempre il volto dell'Europa, con lo sviluppo del fenomeno celticoPer "Celti: storia e cultura" clicca QUI.

In rosso, gli stanziamenti delle prime tribù dei Germani.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
La cultura materiale che si sviluppò sulle rive del mar Baltico occidentale e nella Scandinavia meridionale durante la tarda età del bronzo europea (1700 a.C. - 500 a.C.), nota come età del bronzo nordica, è già considerata la cultura comune ancestrale del popolo Germanico. Esistevano a quel tempo insediamenti piccoli ed indipendenti, oltre ad un'economia fortemente incentrata sulla disponibilità di bestiame. Fu questa l'epoca in cui la lingua proto-germanica assunse, all'interno della famiglia linguistica indoeuropea, le proprie caratteristiche peculiari. Il germanico comune, da intendersi più come un insieme di dialetti affini che come una lingua completamente unitaria, rimase sostanzialmente compatto fino alle grandi migrazioni di Germani verso sud, iniziate già nell'800 a.C .- 750 a.C. Il grado di compattezza dell'insieme dei Germani è oggetto di dibattito storiografico. Comunemente si ritiene che, nonostante la scissione in numerose tribù e l'assenza di un endoetnonimo attestato, i Germani avessero coscienza della propria identità etnica, secondo quanto ampiamente attestato sia dalla storiografica coeva greca e romana, sia dalla stessa produzione germanica di poco successiva; tuttavia alcuni recenti filoni storiografici criticano tale impostazione e, interpretando la attestazioni di appartenenza come conseguenti alla descrizione etnografica classica, negano ogni forma di coscienza identitaria comune. Permane in ogni caso piena convergenza sia sul carattere etnicamente composito delle varie tribù germaniche, sia sulla contemporanea omogeneità sociale, religiosa e linguistica.

Carta degli stanziamenti iniziali delle tribù dei proto-Slavi
e della loro espansione a est.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- La culla dei popoli Slavi fu, molto probabilmente, la regione tra Cracovia ed il Danubio, vicina alle zone di origine dei balti. Gli slavi si espansero nella pianura ucraina del Dnepr nel VI secolo DC, dopo l'invasione degli avari, conquistando ed assimilando la maggior parte degli slavi orientali. Secondo alcune vecchie teorie, l'area di formazione dei Balti si trovava, fino alla fine del secondo millennio a.C. vicino all'alto e medio corso del Dnepr, nell'odierna Ucraina, dove si riteneva che si fosse stabilita un'ipotetica proto-comunità balto-slava, cioè un popolo comune che in seguito si fosse scisso e avesse dato origine agli odierni balti e slavi. All'inizio del primo millennio a.C., vari gruppi migrarono sulle coste del mar Baltico, e si stabilirono tra il fiume Pasłęka ed il fiume Nemunas. Non è chiaro se sia stata questa migrazione a dare origine alle tribù baltiche. Le più antiche popolazioni proto-Slave dell'Europa centrale, ancora prive di scrittura e dedite all'allevamento e all'agricoltura, probabilmente risiedevano nel corso medio-superiore della Vistola. Gli archeologi parlano di "cultura di Lausitz", ove sono state ritrovate delle urne funerarie. Questa cultura proto-slava si diffuse dal mar Baltico ai Carpazi, fino al Dnepr. Già dal II millennio a.C. si registrano alcune migrazioni di slavi dal bacino della Vistola e dell'Oder verso il Baltico orientale, là dove si mescolarono con le tribù ugro-finniche. Particolarmente studiato in Polonia è stato il villaggio di Biskupinsk, presso Poznan. La più antica civiltà euroslava che conosciamo, seppure parzialmente, è quella del bronzo e soprattutto del legno, almeno sino all'uso del ferro verso la metà del I millennio a.C. Non risulta fosse praticata la schiavitù. La maggior parte dei mezzi produttivi apparteneva a un collettivo, la tribù e soltanto dove i proto-slavi erano a contatto con Sciti, Traci e Celti, la proprietà di tali mezzi apparteneva a singole famiglie.

Alfabeti antichi: Egiziano antico, proto-Sinaico (Cananaico), Fenicio, Greco,
Etrusco e Latino.  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Dal 1.680 a.C. - I Fenici, probabilmente ispirati dalla scrittura degli Egizi, studiano per mettere a punto un alfabeto di 22 simboli fonetici. L'alfabeto fenicio è un'evoluzione dell'alfabeto protocananaico, e per convenzione è fatto risalire al 1.050 a.C., ma le iscrizioni nel sarcofago di Ahiram risalgono al XIII secolo avanti Cristo. L'idea di codificare un sistema di scrittura derivava dalla scrittura dei Sumeri della fine del IV millennio a.C., da cui provenivano il cuneiforme dei Babilonesi e i geroglifici Egizi. 
Rappresentazione
di Thot.
Secondo la tradizione, fu Thot a inventare la scrittura. Thot (vedi l'8.670 a.C.) è la divinità egizia della luna, sapienza, scrittura, magia, misura del tempo, matematica e geometria. È rappresentato sotto forma di ibis, uccello che vola sulle rive del Nilo, o sotto forma (meno frequente) di babbuino.
Thot in
geroglifico.
Il nome egizio del dio in geroglifico è:
Compagna di Thot fu Seshat che con lui divideva il compito di scrivere nomi ed imprese dei defunti sulle foglie dell'albero ished; secondo altre tradizioni sposa di Thot fu anche la dea-rana Heket. In quanto inventore della scrittura e patrono degli scribi fu tale ruolo che ebbe anche nei confronti del dio Ra di cui era segretario e visir.
Alfabeto Egiziano-ieratico dei geroglifici, quello da cui
probabilmente i Fenici ricaveranno il loro alfabeto fonetico.
 Clicca sull'immagine per ingrandirla.
I Libri di Thot sono dei mitici libri, 42 in tutto, redatti dal dio egizio Thot e lasciati sulla terra, nei quali si troverebbero i misteri dei cieli e predizioni di eventi planetari futuri. Questi libri profetici sarebbero stati nascosti in biblioteche egiziane segrete ed ora risulterebbero dispersi. Nell'antico Egitto l'arte era uno strumento al servizio della politica e della religione; rifletteva l'immutabilità del potere del faraone, il suo essere divinità vivente che continua a esistere nell'immagine dipinta o scolpita anche dopo la morte. Nella statuaria gli dèi, il faraone, i dignitari di corte furono rappresentati sempre in pose stilizzate, con lineamenti idealizzati che non conoscono i segni della vecchiaia o della malattia. Nella postura in piedi, hanno le braccia lungo i fianchi e muovono un passo in avanti come se camminassero lentamente; se vengono ritratti seduti appoggiano le mani sulle ginocchia. Tutto era previsto dal rigido cerimoniale di corte e agli artisti non rimaneva che seguire delle precise regole di rappresentazione.
Busto di Nefertiti, moglie
di Amenofi IV.
 Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
L'unica eccezione riguardò il regno di Amenofi IV: questo faraone promosse la massima rivoluzione religiosa della storia d'Egitto e durante il suo regno agli artisti venne concessa una maggiore libertà interpretativa, come testimonia il bellissimo busto-ritratto della regina Nefertiti, sua moglie. In un dialogo platonico, il "Fedro", Thot viene nominato (come Theuth), in un breve apologo proposto da Socrate per contestare l'importanza della scrittura, di cui il dio egizio sarebbe stato l'inventore, a favore dell'oralità, che all'epoca di Socrate era ancora molto sviluppata, la quale sola permetterebbe all'uomo di "possedere" nella propria memoria quello che la fredda scrittura fissa su supporti materiali. Un’ipotesi sull’origine dei Tarocchi fa riferimento al Libro di Thot, nel quale sarebbero contenute delle conoscenze antiche originariamente trasmesse all’uomo da questa divinità.
Ermes Trismegisto in una
rappresentazione nel
pavimento del duomo di Siena.
 Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Thot è stato a volte identificato con il dio greco Ermes o Hermes Trismegistus (Ermes o Ermete Trismegisto, dal greco Τρισμέγιστος «tre volte grandissimo»). Ermes Trismegisto sarà poi il padre del sistema di pensiero che da lui prende il nome: l'Ermetismo. Vedremo poi che le idee filosofiche che porranno le basi del pensiero scientifico, prendono avvio dalla riflessione sulle dinamiche cosmologiche ed astrali, da cui si cercò di spiegare tutti gli altri fenomeni: la prima "scienza" fu, così, l'Astrologia, che, fin dai Sumeri, raccordava i movimenti astrali, considerati "cause" agli eventi in terra, gli "effetti". Probabilmente fu l'agricoltura a stimolare la ricerca nelle previsioni meteorologiche, ma è anche vero che i risultati erano di tutto rispetto. Talete, il primo filosofo, si arricchì con previsioni astrologiche inerenti i raccolti di olive: prese in affitto tutti i frantoi che poté, e grazie agli abbondanti raccolti li fece lavorare oltre misura.
Testo tratto dalla Tavola Smeraldina di Ermes Trismegisto.
Se l'Astrologia è la più antica "scienza", Ermes Trismegisto introduce una nuova scienza, chiamata poi Alchimia (da cui la parola chimica), con la compilazione scritta della Tavola Smeraldina. Per queste e altre considerazioni su ermetismo e alchimia, vedi l'anno 90 d.C. di questi post. L'alfabeto fenicio è quindi un'evoluzione dell'alfabeto protocananaico, e usato presso i fenici per scrivere nella loro lingua, che era un idioma nord semitico. Quello fenicio era un'alfabeto puramente consonantico, il che significa che non erano indicate le vocali, mentre alcune evoluzioni di questo alfabeto iniziarono a rappresentare tutti i suoni del linguaggio, comprese le vocali.
 Particolare dell'iscrizione fenicia
nel sarcofago di Ahiram, XIII
sec.a.C.  Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
Questo alfabeto divenne uno dei maggiori sistemi di scrittura, diffuso dai commercianti fenici attraverso Europa e Medio Oriente, dove divenne impiegato per una grande varietà di linguaggi. L’alfabeto fenicio è la radice comune da cui si sono sviluppati quasi tutti i moderni alfabeti.

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.9: dal 1.900 al 1.680 p.e.v. (a.C.)" QUI.

Dal 1.650 a.C. - Apogeo della Civiltà Minoica nell'isola di Creta e nelle assoggettate isole Cicladi, con il leggendario re Minosse. Si è poi appurato che Minosse non è un nome proprio, ma il titolo di sovrano, come ad esempio "faraone".
Carta con Micene in Grecia, le isole Cicladi, Rodi e Creta
con le sue proto-città. Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Le terramare erano antichi villaggi dell'età del bronzo medio e recente (del periodo 1.650 - 1.150 a.C.) dell'Emilia e delle zone della bassa pianura padana, come le attuali provincie di Cremona, Mantova (l'alto Mantovano) e Verona. Mentre il termine fa pensare a edifici che spuntassero dal mare, come alcuni immaginano la pianura padana a quei tempi, ufficialmente per terramare si intendono quelle che  esprimevano le attività commerciali dell'età del bronzo. Sono insediamenti lungo una via che attraversava le Alpi nella Val Camonica e giungeva alle sponde del Po. Qui venivano costruite le terramare, che fungevano da depositi e punti di ripartenza delle merci, costituite da ambra dal Mar Baltico, e stagno dai Monti Metalliferi centroeuropei, dirette lungo il Po fino alla sua foce e all'Adriatico, verso il Mar Mediterraneo orientale, il Mar Egeo, Creta, l'Asia Minore, la Siria, l'Egitto. Il nome Terramare deriva da terra marna (dal dialetto emiliano = terra grassa) con riferimento alla terra, generalmente di colore scuro, tipica dei depositi archeologici pluristratificati, formatisi, attraverso i secoli, con il succedersi delle abitazioni che venivano ricostruite una sull'altra. Questi depositi formavano delle collinette, alte fino a 5 metri, che costituivano ancora nel XIX secolo un tratto caratteristico del paesaggio padano. Nel corso dell'Ottocento queste collinette furono per la massima parte distrutte dalla attività di cava volta al recupero del terriccio, che veniva venduto come concime. Il termine andò poi in disuso con la dismissione di queste cave e rimase ad indicare solamente i villaggi dell'età del bronzo.
Carta con la zona della civiltà delle
Terramare. Clicca sull'immagine per
ingrandirla.
Le popolazioni terramaricole sono forse strettamente imparentate con i successivi proto-villanoviani e gli Etruschi. Infatti la grande tecnica nel trattare le acque di scolo, la presenza di argini, canalizzazioni e fognature nelle città etrusche, potrebbe essere derivata dai terramaricoli che da sempre ebbero a che fare con tali opere. Il collegamento tra Terramaricoli e Villanoviani si riscontra anche nella pratica d'incinerazione dei defunti, diffusasi dal centro Europa lungo la via dell'ambra. Proprio i Villanoviani potevano rappresentare un ramo periferico di questa via che portava l'ambra fino in Sardegna dove era fiorente la Civiltà nuragica. La struttura delle terramare si concilia con la tecnica delle palafitte costruite sui laghi dell'Italia settentrionale e centrale. Queste strutture su palafitte in terra erano adatte per costruire villaggi permanenti lungo le sponde dei fiumi soggetti a straripamenti. Il motivo di costruire in zone così difficili è sicuramente legato al commercio fluviale. Per le fondamenta delle palafitte si utilizzava il frassino, per il pavimento assi di abete, travi di pioppo coperte di canne per il tetto, rami intrecciati di nocciolo per le pareti; per rendere il pavimento impermeabile lo si ricopriva di argilla, mentre le pareti, per proteggersi dal freddo, venivano rivestite di un composto di argilla e sterco di vacca. Se una terramare prendeva fuoco, veniva abbattuta e ricoperta di terra. Nei secoli seguenti le Terramare furono abbandonate in favore della formazione del sentiero pedemontano che sarà poi la via Emilia. Altro fattore di declino fu lo spostamento della via dell'ambra che prima passava per la Val Camonica e poi per il Tirolo, che favorì invece la comparsa della Civiltà Atestina (o d'Este) dei Veneti. I villaggi erano di forma generalmente quadrangolare, delimitati da un fossato, nel quale scorreva acqua derivata da un vicino fiume o canale, e da un terrapieno. Nel periodo iniziale le terramare avevano tutte dimensioni analoghe, comprese fra 1 o 2 ettari. Successivamente verso la fine del Bronzo Medio, tra il 1.400 e il 1.300 a.C., alcuni villaggi aumentano le loro dimensioni fino ad arrivare a 15/20 ettari di estensione, altri invece rimangono di dimensioni ridotte, mentre altri ancora vengono abbandonati. Tutto farebbe pensare ad un riassetto politico del territorio, con la formazione di distretti entro i quali i villaggi assumono diversa consistenza demografica e diversa importanza. Gli scavi archeologici del XIX secolo e quelli più recenti hanno dimostrato che internamente i villaggi avevano un'organizzazione molto regolare, con case allineate secondo uno schema ortogonale determinato dall'incrocio delle strade. Intorno al 1.150 a.C., le terramare furono completamente abbandonate e tutto il territorio della pianura, specialmente nel settore emiliano, fu abbandonato per vari secoli. Le motivazioni di questa crisi non sono ancora del tutto chiare, sembra possibile che a fronte di una forte popolamento (si calcolano circa 200.000 individui) e ad un depauperamento delle risorse naturali, una crisi climatica in senso più arido abbia innestato una profonda crisi economica che a suo volta determinò una carestia e conseguentemente sconvolgimenti di ordine politico, che causarono poi il collasso dell'intera società.

Nel 1.628 a.C. - Data approssimativa dell'eruzione vulcanica dell'isola di Thera, l'odierna Santorini, stimata comunque fra il 1.600 e 1.650 a.C. L'eruzione minoica di Thera, anche riferita come eruzione di Thera o eruzione di Santorini, fu una vasta e catastrofica eruzione vulcanica (indice di esplosività vulcanica VEI = 6 o 7, Roccia Densa Equivalente DRE = 60 km3), la quale si stima sia accaduta nella metà del secondo millennio a.C.
Ricostruzione dell'eruzione vulcanica
di Thera (Santorini).  Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
L'eruzione fu uno dei più grandi eventi vulcanici accaduti sulla Terra, documentata storicamente. L'eruzione devastò l'isola di Thera (Santorini), compreso l'insediamento minoico ad Akrotiri come pure aree comunitarie e agricole sulle isole vicine e sulle coste di Creta. L'evento generò anche uno tsunami alto da 35 m. a 150 m. che devastò la costa nord di Creta, distante circa 110 km. Lo tsunami ebbe un impatto sulle città costiere quali Amnisos, dove i muri degli edifici furono deformati nel loro allineamento. Sull'isola di Anafi, 27 km ad est, sono stati trovati strati di cenere profondi 3 m., come pure strati di pomice sui pendii a 250 m. sopra il livello del mare.
Posizione dell'antica Thera, la
Santorini di oggi. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Dove ha colpito l’onda? Certamente lo tsunami fu devastante, ma non è ancora completamente chiarito il suo sviluppo. Molti modelli, basati sulle conoscenze sempre più progredite, si sono succeduti ma le prove a conferma di queste teorie sono ancora scarse. Tuttavia proprio nell’ultimo lustro la caccia ai depositi di questo evento ha ottenuto buoni risultati. Sull’isola di Anaphi, una ventina di km ad est di Santorini, sono stati ritrovati livelli di pomici coperti da sedimenti alluvionali recenti a circa 350 metri dalla costa, ad un’altitudine di circa 50 metri sul livello del mare, per alcuni autori trascinati lì dall’onda di tsunami che avrebbe raggiunto quelle coste nel giro di dieci minuti. Altre evidenze simili sono state individuate a nord fino all’isola di Samotracia, ad est a Lesbo e Rodi, ancora più ad est sulle coste della Turchia, di Cipro e perfino di Israele, dalle parti di Jaffa, dove l’onda avrebbe avuto un’altezza di circa sette metri e sarebbe arrivata almeno un’ora e mezzo dopo l’inizio dello tsunami. Ipotesi quest’ultima tutta da verificare secondo altri autori, con i depositi che potrebbero essere dovuti ad altri tsunami dell’antichità. Tuttavia l’aspetto più interessante risiede a sud, in particolare nell’isola di Creta, distante circa 120 km da Santorini, dove l’onda di tsunami, viaggiando ad una velocità di circa 500 km/h, sarebbe giunta nel giro di 25-30 minuti, con un’altezza di 10-12 metri, colpendo (in modo differenziato a seconda della morfologia dei fondali) l’intera costa settentrionale. Molte evidenze, archeologiche e geologiche, portano a ritenere l’evento ormai assodato così come appare confermata l’ipotesi che l’economia della civiltà minoica, allora fiorente a Creta e nell’intero Egeo, abbia subito dal cataclisma un colpo praticamente mortale, vedendo distrutta gran parte della sua potente flotta navale e danneggiata sensibilmente l’agricoltura: proprio per questo si parla di tsunami minoico.
Come doveva presentarsi, vista dall'alto,
 la città principale di Atlantide.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Altrove nel Mediterraneo si sono trovati depositi di pomice causati probabilmente dall'eruzione di Thera. Gli strati di cenere nelle carote perforate sul fondale marino e dei laghi in Turchia, tuttavia, mostrano che la più abbondante caduta di cenere avvenne a est e a nord-est di Santorini. Adesso si sa che la cenere trovata su Creta è stata depositata in una fase precorritrice all'eruzione vera e propria, alcune settimane e mesi prima delle principali fasi eruttive, ed avrebbero avuto un'impatto sull'isola meno devastante di quello che si pensava. L'eruzione sembra avere ispirato certi miti greci e può avere causato scompiglio in Egitto.
Come doveva presentarsi la città
principale di Atlantide.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
In aggiunta, si è congetturato che l'eruzione minoica e la distruzione della città di Akrotiri avesse fornito la base o altrimenti l'ispirazione a Platone per la storia riguardo ad Atlantide. Platone, nel Timeo e nel Crizia, parlava di una favolosa isola, sede di una civiltà eletta, spazzata via da un’immane cataclisma del tutto simile ad un maremoto: molti autori hanno identificato la sua Atlantide proprio con Santorini. Quindi Platone ha derivato il mito di Atlantide da un'impero che si estendeva da Thera a Creta? E' probabile, visto che fu Solone a riportare il racconto di avere visionato documenti egizi che descrivevano Atlantide e la sua popolazione, i cui profughi si sarebbero poi rifugiati in Egitto. Il nome che gli egizi usarono per identificare quei profughi era "keptiu", lo stesso che usavano per indicare i Cretesi.

Carta delle invasioni di Ioni e Achei dal 2000 a.C., e Dori
 dal 1200 a.C., nell'antica Grecia.
 Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Dal 1.600 a.C. - Nella penisola greca, meta di periodiche migrazioni di popoli che consentiranno alla cultura greca di evolversi dall'iniziale cultura pelasgica, nel 2.000 a.C. giunge la popolazione guerriera degli Ioni, seguita nel 1.600  a.C. da Achei ed Eoli. Queste nuove migrazioni da nord, spingono gli Ioni nei territori dell'Attica e gli Achei in molte zone del Peloponneso (in Elide, nell'Acaia che da loro ha preso il nome, oltre che nell'Argolide, regione che verrà poi conquistata dai Dori), nelle isole attorno alla Grecia e nel resto del paese, mentre gli Eoli si stanziano prevalentemente nei territori della Beozia e della Tessaglia. Gli Achei (il cui nome deriva da Achille, da cui Acaia) sono quindi stati coloro che, seguiti dagli Eoli, sono riusciti a egemonizzare definitivamente le genti preelleniche (definite dai più Pelasgi). Son detti anche Argivi, dalla città di Argo, o Danai, cioè "figli di Danao", il fondatore di Argo, e quindi "occidentali" rispetto agli orientali Troiani.   
Carta delle regioni dell'antica Grecia con
le città che furono poi edificate
 Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Oggi li si associa più che altro ai Micenei, dalla città di Micene. Nell'Iliade con il nome Achei vengono indicati i popoli greci che presero parte alla Guerra di Troia. In età storica sono detti Achei gli abitanti dell'Acaia Ftiotide, nella Tessaglia meridionale, e dell'Acaia Egialea, corrispondente alla omonima regione denominata Acaia e parte dell'Arcadia. Per quanto riguarda la penetrazione di questo popolo nell'area greca si ritiene generalmente che queste genti di origine indoeuropea, attraverso i Balcani, occuparono il Peloponneso intorno al 1500 a.C., in coincidenza con la fine dell'era minoica.
Carta con Micene in Grecia, le isole
Cicladi, Rodi e Creta con le sue proto
-città. Clicca sull'immagine
 per ingrandirla.
Sono proprio gli Achei a intraprendere i primi contatti commerciali con l'avanzata civiltà Minoica cretese, e che subiscono l'influsso di questa cultura forte e civilizzata: dall'incontro di questi due popoli venne infatti a svilupparsi la fiorente civiltà Micenea, e definire quindi Achei e Micenei come se fossero la stessa cosa, è errato. Gli Achei potrebbero essere stati, in seguito, una concausa della capitolazione Minoica. Il ruolo degli Achei nello scacchiere politico del Mediterraneo orientale era di sicuro di fondamentale importanza.
Carta delle invasioni di Ioni, Eoli, Dori e Dori del
 Nord nell'antica Grecia. In Arcadia si rifugiano
 i Pelasgi, i primi indoeuropei arrivati in Grecia.
 Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Si parla di loro nei documenti ittiti, dove vengono chiamati Ahhiyawa, ed egiziani (Aqaivasa ) della seconda metà II millennio a.C.;  Omero usa come sinonimi Achei e Danai, mentre sembrerebbe che Argivi si riferisca solo ai nativi del Peloponneso o della Grecia continentale, ma è quasi un sinonimo, mentre usa il termine Elleni solo per gli abitanti del nord della Grecia. Le città achee, erano governate dall'aristocrazia e riunite in confederazione. Gli Eoli invasero l'antica Grecia nel II millennio a.C. e probabilmente, la realtà storica dell'invasione ellenica della Grecia fu raccontata attraverso il mito della titanomachia: i fratelli Ade, Poseidone e Zeus personificano Ioni, Eoli e Achei che soggiogano Crono e i suoi fratelli Titani, ossia i Pelasgi adoratori delle divinità titaniche. Il nome "Eoli" deriva dal fatto che essi furono considerati i discendenti di Eolo, figlio di Elleno, il mitico patriarca degli Elleni. Popolo originariamente stanziato in Tessaglia ed in Beozia, gli Eoli migrarono verso oriente verso l'XI secolo a.C., stabilendosi nell'isola di Lesbo e poi sulle coste anatoliche in Eolide. Secondo la tradizione tale migrazione, capeggiata da Oreste, sarebbe avvenuta sotto la spinta dei Dori, l'ultimo e quarto popolo (forse) ellenico, che soggiogò la civiltà micenea ormai decaduta. Il processo della decadenza micenea parrebbe iniziare con la guerra di Troia, intorno al 1.200 a.C. L'invasione dorica, di un secolo circa più tarda, invece ne sarebbe il colpo di grazia. 

Carta con i siti in cui si sono originate le culture celtiche in Europa: nei
piccoli quadrati gialli la proto-celtica Canegrate poi le celtiche Golasecca,
Hallstatt e La Tène. In rosso i territori in cui, dall'età del bronzo, erano
stanziati i Celti: Elvezi,Volsci, Insubri e Leponzi oltre ai Liguri. In verde
più scuro le espansioni dei Boi, Britanni e Goideli, Trinovanti, Senoni,
Boi e Sequani, Celtiberi, i Celtoliguri in cui sono mutati molti Liguri
nei sec VI e V a,C. In verde più chiaro le successive espansioni dei
Norici, Boi, Senoni, Scordisci, Traci e Galati.
- Le tribù antenate dei Celti occupano le regioni dell'alto e medio Danubio  intorno al XV-XIV secolo a.C. e cominciano poi a espandersi verso ovest e successivamente, come il riflusso di un'onda, verso est. In questo periodo si possono riconoscere due diversi orientamenti a livello economico: nelle aree fluviali continuò la coltivazione dei cereali, anche se i villaggi cominciarono a situarsi su alture poco elevate (con un lento e costante abbandono dei villaggi su palafitte), mentre nei luoghi di maggior altitudine e nelle pianure centro-europee si assistette a uno sviluppo maggiore della pastorizia. I diversi tipi di insediamenti e organizzazioni economiche diedero luogo a differenti organizzazioni sociali e religiose.

- Di origine indoeuropea, gli Ausoni, esistevano già intorno al 1.600 a.C., cioè all'inizio del Bronzo medio. L'Ausonia era il loro territorio, si estendeva dal basso Lazio fino alla Calabria, abitavano le terre della Campania fino al fiume Sele; gli Enotri vivevano nel territorio a sud e gli Japigi nell'attuale Puglia (ad essi si affiancava un'altra popolazione enotria, quella dei Choni). Fra queste, quelle degli Ausoni e degli Enotri rappresentano, secondo le fonti, le più antiche popolazioni italiche dominanti ed avevano nell'VIII secolo a.C. ormai raggiunto una loro stabilità territoriale. Secondo la tradizione mitologica, verso il 1.400 a.C. un gruppo di Ausoni guidato da Liparo avrebbe raggiunto l'isola eoliana di Lipari e vi si sarebbe stabilito fondandovi una città chiamata Lipara (forse nel più volte riutilizzato sito del Castello di Lipari) ed uno stato che si mantiene lì dal 1.240 all'850 a.C., per poi essere distrutto violentemente e non più ricostituito. Attorno al 1.270 a.C. una parte del popolo ausonico (forse insieme ai Liguri Siculi) sarebbe emigrata dalla Campania in Sicilia.

Disco di Nebra. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
Il 1.600 a.C. è anche la data approssimativa della produzione del disco di Nebra, ritrovato a Mittelberg, una collina di 252 metri nel sud-ovest della foresta di Ziegelroda a 180 km di Berlino, in Germania. Da http://www.miste
%20di%204000%20anni.htm: Il disco di Nebra è un manufatto circolare in bronzo e oro datato 1600 a.C. circa, con un diametro di 32 cm. con raffigurati sole, luna e stelle tra le quali si distinguono le sette Pleiadi; o almeno il gruppo delle 7 stelle visibili ad occhio nudo che fanno parte della costellazione delle Pleiadi. Il disco di Nebra sembrerebbe, così, essere la più antica rappresentazione di stelle in assoluto. Questo singolarissimo ritrovamento archeologico, sembra corroborare gli stretti legami tra l'Europa centro-settentrionale e il mondo miceneo e poi omerico evidenziati dagli studi di Rosario Vieni, di Harald Haarmann, e di Felice Vinci. Il disco è il perfetto pendant dei versi del XVIII libro dell'Iliade in cui Omero illustra le decorazioni astronomiche fatte dal dio fabbro Efesto sullo strato in bronzo posto al centro dello scudo di Achille: "Vi fece la terra, il cielo e il mare, / l'infaticabile sole e la luna piena, / e tutti quanti i segni che incoronano il cielo, / le Pleiadi, le Iadi, la forza d'Orione". Il Disco di Nebra è stato attribuito alla cultura di Únětice (2.300 - 1.600 a.C.) in base ai pugnali in rame che presumibilmente erano associati al reperto.

Carta con l'ubicazione del Lago
di Viverone, in Piemonte.
Dal 1.550 a.C. - Nella Cultura di Viverone (1.550 - 1.450 a.C.), alcune costruzioni palafitticole sono costruite con cassoni quadrati orizzontali su cui vengono appoggiati i pavimenti, altre sfruttano una palificazione verticale che costituisce l'ossatura dell'edificio e dei pontili; dunque la tecnologia non è univoca. È però singolare che edifici in legno simili a quelli palafitticoli siano stati scoperti anche in terraferma, ad es. in Svizzera a Savognin Padnal o a Zurigo a Mozartstrasse. Infine è ormai chiaro che l'immagine del villaggio sospeso sull'acqua non è una regola. Recenti sondaggi e ricerche dimostrano ormai con chiarezza come alcuni impianti furono edificati sulle rive del lago e che quindi il villaggio non era affatto sospeso sull'acqua. Alcuni studiosi hanno quindi cercato di spiegare il diffondersi di questo criterio costruttivo rifacendosi a fattori esterni quali la variabilità climatica. Se lo scopo dell'impiantito ligneo è quello di proteggere le case dall'acqua alta, il diffondersi delle palafitte nell'età del Bronzo potrebbe manifestarsi in corrispondenza di un peggioramento climatico generale. Purtroppo la nostra conoscenza del clima nell'età del Bronzo è limitato e deriva dalla osservazione degli strati di ghiaccio sulle Alpi.
La preistoria è così divisa in 5 grandi periodi climatici che, a partire dall'ultima glaciazione (di Wurm, terminata 15.000 anni fa) corrispondono a consistenti variazioni delle temperature che possiamo così riassumere:
- Preboreale 11.000-5.000 anni fa (B.P. = prima del presente), improvviso innalzamento della temperatura ma comunque fredda, più del presente,
- Boreale 9.000 -7.500 anni fa, variazioni climatiche simili a quelle odierne, temperature più calde ed inverni miti,
- Atlantico 7.500 -5.500 anni fa, periodo più caldo e più umido, + 4°C rispetto al presente,
- Subboreale 5.500-2.800 anni fa, ritorno ad un clima più freddo e piovoso,
- Subatlantico da 2.800 anni fa, caratterizzato da temperature superiori a quelle attuali.
All'interno del periodo Subboreale, un raffreddamento rispetto al periodo precedente comportò l'avanzata dei ghiacciai e precisamente questo si verificò intorno al 1.500 a.C. in Svizzera e intorno al 1.280 a.C. in nord Italia. Queste fasi coincidono straordinariamente con quelle della scomparsa dei ritrovamenti archeologici di palafitte nelle rispettive regioni. Forse, durante le fasi più calde del periodo contraddistinto come Subboreale, le coste lacustri furono densamente abitate da genti che attuavano uno stratagemma per mettere al riparo gli edifici dalle repentine e stagionali trasgressioni del livello dei laghi.
Gli scavi di Savognid Padnal e Zurigo in Mozartstrasse, dimostrano che case lignee di grandi dimensioni furono costruite anche lontano dall'acqua. La palafitta pare dunque il punto di arrivo di una secolare tradizione architettonica lignea sviluppatasi in Europa continentale sin dal Neolitico grazie all'alto grado di forestazione e la disponibilità di materia prima. Se la palafitta è il prototipo della casa celtica o del casone medievale europeo è possibile che essa non sia esclusivamente lacustre e che anzi il problema stesso della "palafitta" sia sovrastimato se è vero che i resti di villaggi in legno in terraferma sono ben difficilmente riconoscibili per la dissoluzione esercitata sui materiali deperibili dai processi di decomposizione. La scoperta del villaggio palafitticolo di Viverone (in Piemonte) ha fornito contributo alla definizione del popolamento dell’Italia nord-occidentale alimentando alcune interessanti riflessioni sulle società dell'età del Bronzo. II villaggio di Viverone che occupa un area di 200 x 250 m, è stato identificato assieme ad altri 6 siti minori da archeologi subacquei volontari nel corso degli anni e ‘60 e successivamente scavato e rilevato dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte.
Monile bronzeo della
Cultura di Viverone.
Viverone ha restituito oltre 150 oggetti in bronzo in perfetto stato di conservazione, miracolosamente conservatisi sui fondali del lago. Si tratta in parte di oggetti da guerra (spade, coltelli, asce) e di abbigliamento (spilloni, pinzette, pettini e eccezionalmente due rasoi - i più antichi attualmente noti in Italia). Particolarmente raro un morso piuttosto primitivo per cavallo realizzato anch'esso in bronzo. Il morso, in particolare, è di grande interesse soprattutto se messo in relazione con la scoperta effettuata il secolo scorso di due ruote in legno pertinenti ad un carro sul fondo della torbiera di Mercurago. La prima è una massiccia ruota composta di tre parti legate tra loro e sembrerebbe adatta ad un carro da lavoro. La seconda più leggera e raggiata ricorda da vicino quelle scolpite sui rilievi egiziani, ittiti o micenei. Gran parte degli studiosi, pur in assenza di una stratigrafia o di dati radiocarbonici (i reperti con il tempo sono andati distrutti e non esiste che un calco) assegnano queste ruote all'età del Bronzo. Si potrebbe dunque immaginare che i guerrieri di Viverone facessero uso del carro trainato dal cavallo in guerra; le loro spade sono troppo fragili per sopportare colpi di fendente e sembrano più adatte per essere utilizzate di punta. Il materiale di Viverone è tuttavia un unicum e la cronologia dei materiali di Mercurago non è affatto certa. I reperti bronzei di Viverone sono stati in questi ultimi anni più chiaramente inquadrati culturalmente e paiono chiaramente esogeni, presumibilmente prodotti nell'area dell'altopiano Svizzero e del Baden Württemberg. L'analisi condotta dallo scrivente sul complesso della cultura materiale ha però permesso di escludere che le genti di Viverone provenissero da quelle regioni; il materiale bronzeo di Viverone sembra frutto di scambi o dell'immissione del Piemonte in un circuito metallurgico occidentale che, attraverso il passo del Gran San Bernardo ha intensificato i rapporti tra l’Europa centrale e il Mediterraneo. I problemi da risolvere sono allo stato attuale molti e stimolanti e riguardano non solo la genesi ma anche l'esaurimento del fenomeno palafitticolo.
Carta con l'ubicazione di Mercurago.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
In Emilia e Lombardia meridionale un fenomeno simile e leggermente sfasato cronologicamente passa sotto il nome di "terramare': il collasso dei due sistemi è tuttavia sincronico e allo stato attuale inspiegabile. Nell'area alpina piemontese i siti palafitticoli riconosciuti come Patrimonio dell’Umanità sono due: l’insediamento di Viverone, sulle sponde del lago omonimo, risalente all’età del Bronzo (1.550-1.400 a.C.), e quello di Mercurago, in un’area umida poco distante dal Lago Maggiore, di grande importanza per la quantità di materiali e utensili ritrovati al suo interno.

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.10: dal 1.680 al 1.550 p.e.v.(a.C.)" QUI.

Carta della Grecia o Ellade arcaica,
con i nomi in Latino. In grassetto
sono indicate Focea (Phocaea),
Micene (Mycenae) e Tirinto
(Tiryntus).
La Porta dei Leoni
dell'antica  Micene.
Clicca sull'immagine
 per ingrandirla.
Dal 1.500 a.C. - Ascesa della Civiltà Elladica (o Micenea). Dal 1.500 al 900 a.C. ha luogo l'ascesa e il declino della civiltà Elladico-Micenea. Fra i popoli indoeuropei che dalla fine del III  all'inizio del II millennio a.C. invadono il territorio greco, vi sono gli Achei, che si stabiliscono nel Peloponneso. Sono proprio gli Achei (il nome Achei deriva da Achille) a intraprendere i primi contatti commerciali con l'avanzata civiltà Minoica cretese, e subiscono l'influsso di questa cultura forte e civilizzata:  dall'incontro di questi due popoli venne infatti a svilupparsi la fiorente civiltà Elladico-Micenea. Achei e Micenei sono quindi definizioni che intendono persone diverse, appartenenti a diverse culture. La civiltà micenea (che è contraddistinta dal militarismo) si sviluppa quindi dall'incontro tra cultura elladica e cultura minoica da Creta (più pacifista e gioiosa), e prende il nome da Micene, città più importante del Peloponneso (i resti di Micene vennero portati alla luce da H. Schliemann nel 1878). I Micenei si sostituiranno poi ai Minoici nel commercio nel mare Mediterraneo (come narrato nel mito di Giasone e della nave Argo) e a partire dal XVI secolo a.C. conquistano le Cicladi e le coste dell'Asia Minore. Si avrà quindi un'espansione commerciale anche in Italia.

Civiltà Micenea, o Elladica, con Micene e le sue
maggiori città, sviluppatasi dal 1450 al 1200 a.C..

I valori della Civiltà Micenea, o Elladica, a confronto con quelli della
Civiltà Minoica Cretese.  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- Probabilmente l'eruzione di Thera del 1.628 a.C., che fondamentalmente aveva distrutto la Civiltà Minoica, favorì gli Elladici-Micenei, tramite spedizioni militari ed imprese piratesche, a conquistare quello che ne rimaneva, e si espansero inoltre verso le Cicladi meridionali, l'isola di Rodi e fino alle coste dell'Asia Minore. L'ennesimo cataclisma che si era abbattuto sulla Civiltà Minoica, pacifica e gioiosa, determinò quindi la supremazia definitiva della civiltà Micenea, fortemente guerriera. Nella tabella a lato sono indicate le caratteristiche profondamente diverse fra le due civiltà.

Alfabeto della scrittura sillabica "Lineare B".
- Nel 1.952, Michael Ventris scoprì che la scrittura sillabica "Lineare B" veniva usata per mettere per iscritto una primitiva forma di greco, nota oggi come Miceneo. Insieme ad altri utilizzò questa scoperta per decifrare la Lineare B, decifrazione tutt'oggi ampiamente accettata, anche se rimangono molti punti da chiarire. Il sillabario miceneo, esclusi alcuni ideogrammi, è costituito quasi esclusivamente da segni per vocali isolate e per sillabe del tipo consonante+vocale, le consonanti sonore G, B e aspirate KH, TH si scrivono sempre sorde (K, P, T), mentre è mantenuta l'opposizione T/D. I suoni R e L sono indicati da un unico suono R, con Q si designa un suono molto antico ("Koppa") conservato in latino e mutato nel greco classico (lat. quis, greco tis.gif); inoltre il sillabario si rivelava poco adatto a rendere sia le consonanti finali di parola che i gruppi consonantici interni. Gli espedienti grafici che l'ortografia micenea adotta per ovviare all'imperfezione della scrittura sono due:
I) omissione grafica delle consonanti finali;
II) notazione di entrambi gli elementi consonantici mediante una vocale di raccordo ("quiescente").
La prima norma si applica per le consonanti finali (lmn.gif); es.: KO-WO = korwos.gif. Questo primitivo sistema di trascrizione è da imputarsi non solo all'adozione della scrittura sillabica del tutto inadatta al greco, ma anche all'inettitudine degli scriventi a intendere rettamente i suoni della lingua suddetta.

- L'inizio dell'età del bronzo in Estonia viene fatta risalire approssimativamente al 1.800 a.C., mentre in Finlandia poco dopo il 1.500 a.C. Le regioni costiere della Finlandia furono influenzate della cultura del bronzo nordica, mentre nelle regioni dell'entroterra le influenze vennero dalle culture della Russia settentrionale che usavano il bronzo. Stava iniziando lo sviluppo delle frontiere fra i popoli finnici e i Baltici. Iniziarono ad essere costruiti i primi insediamenti fortificati, Asva e Ridala sull'isola di Saaremaa e Iru nell'Estonia settentrionale. Lo sviluppo delle costruzioni di navi facilitò la diffusione del bronzo. Ci furono dei mutamenti nelle usanze funebri; un nuovo tipo di cimitero si estese dalle aree germaniche ed estoni, tombe a cista in pietra e la cremazione divennero sempre più comuni a parte un piccolo numero di tombe in pietra a forma di barca.

- I primi abitanti degni di nota che si stabilirono nella zona dell'odierna Svizzera, furono alcune tribù di origine celtica, gli Elvezi (i Leponti in Ticino) verso l'anno 1.500 a.C. e i Reti, di probabile origine ligure (secondo Plinio il Vecchio), che si stabilirono nella zona ad Est, mentre gli Elvezi si stabilirono ad Ovest.

Cartina con le lingue parlate nella penisola
Italica preromana, dal 1.000 a.C.: Celtica,
Ligustica, Lepontica, Retica, Venetica,
Etrusca, Picena, Umbra, Falerica, Latina,
  Osca,  Messapica, Sicula, Greca.
 Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- I Veneti, a volte indicati anche come Venetici, antichi Veneti o Paleoveneti per distinguerli dagli odierni abitanti del Veneto, erano una popolazione indoeuropea che si stanziò nell'Italia nord-orientale dopo la metà del II millennio a.C. e sviluppò una propria originale civiltà nel corso del millennio successivo. Il nome "Veneti" ricorre frequentemente nelle fonti classiche. Erodoto ricorda gli Eneti tra le tribù illiriche, probabilmente i nostri Veneti italici; nell'Europa centrale Tacito localizza i Veneti, o Venedi e Venedae, distinguendoli dai Sàrmati, che sono gli Slavi Venedi-Sclavini; Pomponio Mela cita il lago di Costanza come Venetus lacus; infine Venetulani sono un popolo laziale scomparso citato da Plinio. Vi sono inoltre i Veneti Celti, della Bretagna francese, battuti poi da Giulio Cesare. La frequenza di questo etnonimo in diverse aree europee non va però spiegata con ipotetici legami storici e linguistici tra i diversi popoli che ne hanno fatto uso, quanto piuttosto con un'uguale derivazione, più volte ripetuta in modo indipendente, dalla medesima radice indoeuropea “wen” (amare). I Veneti (wenetoi) sarebbero pertanto gli "amati", o forse gli "amabili", gli "amichevoli". Agli antichi Veneti ci si riferisce talvolta con "Paleoveneti", "Veneti adriatici" o "Venetici" per distinguere il popolo dell'antichità dagli attuali abitanti della regione italiana del Veneto. Nel periodo antico vi erano rapporti culturali con la Civiltà villanoviana, con l'Egeo e l'Oriente, e successivamente anche con gli Etruschi. Caso unico tra i popoli dell'epoca nell'Italia settentrionale, si può stabilire l'identità tra la popolazione attuale e la cultura degli antichi, in questo caso i paleo-Veneti; è possibile infatti attribuire una precisa cultura materiale e artistica nel loro territorio di stanziamento, la Venezia. Questa cultura si sviluppò durante un lungo periodo, per tutto il I millennio a.C., anche se nel tempo subì diverse influenze. Di questa popolazione e identità la documentazione archeologica è particolarmente ricca. I Veneti si stanziarono inizialmente nell'area tra il Lago di Garda ed i Colli Euganei; in seguito si espansero fino a raggiungere confini simili a quelli del Veneto attuale, anche se bisogna considerare che la linea di costa del Mar Adriatico era più arretrata rispetto ad oggi. Secondo i ritrovamenti archeologici (che concordano anche con le fonti scritte), i confini occidentali del loro territorio correvano lungo il Lago di Garda, quelli meridionali seguivano una linea che parte dal fiume Tartaro, segue il Po e raggiunge Adria, lungo il ramo estinto del Po di Adria, mentre quelli orientali giungevano fino al Tagliamento. Oltre tale fiume erano insediate genti di ceppo illirico, anche se fino all'Isonzo la presenza veneta era tanto forte che si può parlare di popolazione veneto-illirica. I confini settentrionali erano invece meno definiti e omogenei; il territorio veneto risaliva soprattutto i fiumi Adige, Brenta e Piave verso le Alpi, che fungevano comunque da confine naturale. La presenza veneta sulle Alpi è attestata soprattutto nelle Dolomiti del Cadore, a Lagole.
Cavallo degli antichi Venetici.
La ricerca moderna, in questo modo, si è trovata in sostanziale accordo con quanto sostenuto già dalla storiografia latina: i Veneti condividono con i Latini una comune origine  protostorica, anche se non attraverso quel comune legame con l'Antica Grecia (e con Troia in particolare) postulato dai Romani mediante il mito di Antenore. L'insieme indoeuropeo veneto-latino si era formato come gruppo a sé in un'area dell'Europa centrale, probabilmente ubicato entro i confini dell'odierna Germania e parte di un vasto continuum indoeuropeo esteso nell'Europa centro-orientale fin dagli inizi del III millennio a.C. Da qui mosse verso sud nel corso del II millennio a.C., probabilmente intorno al XV secolo a.C.; mentre una parte di queste genti proseguì fino all'odierno Lazio (i Latini), il gruppo che avrebbe dato origine ai Veneti si insediò a nord del Golfo di Venezia e lì si attestò definitivamente. La civiltà o cultura Atestina o d'Este, diffusa nell'attuale territorio del Veneto e sviluppatasi tra la fine dell'età del bronzo (X-IX secolo a.C.) e l'età romana (I secolo a.C.) fu un'espressione di questa popolazione, i Venetici.

Antica rappresentazione di Eingana.
Il ricordo degli Euganei si conserva
nelle leggende e nelle favole delle eingane
o anguane/angane/aivane, ecc. Gli antichi
Euganei abitavano palafitte lungo laghi
e fiumi e le Anguane sono la loro mitica
rappresentazione che ne determina il nome
nelle varianti etnonimiche: in retico Anauni,
in ligure Ingauni. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
- Gli Euganei erano un popolo insediatosi originariamente nella regione compresa fra il Mare Adriatico e le Alpi Retiche. Successivamente essi furono scacciati dai popoli Veneti in un territorio compreso tra il fiume Adige ed il Lago di Como, dove rimasero fino alla prima età imperiale romana. Catone il Censore, nel libro perduto delle Origines, annoverava tra le maggiori tribù euganee i Triumplini della Val Trompia ed i Camuni della Val Camonica. Si trattava probabilmente di un popolo preindoeuropeo di stirpe affine a quella dei Liguri Ingauni, come testimoniato dall'analogia dei nomi. Appartengono alla stessa stirpe degli Euganei, secondo Plinio il Vecchio anche gli Stoni in Trentino.

- Nel sito palafitticolo di Fiavè, in Trentino, nel corso del XV-XIV sec. a.C. venne edificato un nuovo abitato palafitticolo costituito da capanne su pali ancorati ad una complessa struttura a reticolo adagiata lungo la sponda e sul fondo del lago.

- I Latini discesero in Italia nel corso del II millennio a.C., probabilmente nel XV sec. a.C., provenienti forse dall'Europa centrale danubiana o, secondo la storiografia greco-romana, dall'Asia minore, anche se teorie su una loro origine autoctona non sono da escludere. La migrazione Latina avvenne via terra, seguendo il percorso naturale dato dalla dorsale appenninica da nord a sud, seguendo il versante occidentale della penisola. Secondo l'ipotesi del Mommsen la migrazione del gruppo Latino, si sarebbe estesa dal Lazio fino all'attuale Calabria. In seguito ai successivi arrivi di Greci e Sanniti, la presenza di popolazioni Latine, si sarebbe contratta, fino a coincidere con il Lazio Antico. Anche le altre popolazioni italiche di epoca storica, quali UmbriVolsciSannitiMarsi  e Sabini, appartenevano al gruppo di popolazioni indoeuropee, stanziatesi in Italia, a seguito di migrazioni via terra, lungo la dorsale appenninica, seguendo un percorso da nord a sud, successive a quella dei Latini. I Latini diedero origine al popolo romano. Oggetto di dibattito è, oltre il luogo di provenienza del popolo latino, anche l'età in cui avvenne la sua migrazione nell'attuale Lazio. L'archeologia rileva che nella tarda età del bronzo il territorio a sud del Tevere era caratterizzato dalla cosiddetta facies laziale o cultura laziale (X-VIII secolo a.C.), regionalizzazione della precedente cultura protovillanoviana (collegabile con la civiltà dei campi di urne dell'Europa centrale) che uniformò l'area tirrenica della Toscana e del Lazio fra il XII e il X secolo a.C. sovrapponendosi alla cultura appenninica che dominava la regione nei secoli precedenti. Alla cultura laziale viene associata la formazione dell'ethnos latino che sul finire del secondo millennio a.C. si era già costituito in una serie di comunità (menzionate da Plinio il Vecchio) che avevano come centro principale Alba «Longa».

L'insediamento dei coloni greci sul suolo italico ebbe luogo in due fasi, di cui la prima, in ordine sparso e a opera di gruppi di Achei, (intesi come popolazioni che costituivano la civiltà Micenea n.d.r.) avvenne in età arcaica, tra i secoli XV e XIV a.C., e il ricordo sopravvisse nei racconti degli avventurosi viaggi verso l'Occidente favoloso (ciclo troiano) e nei santuari di divinità ctonie (divinità generalmente femminili legate ai culti di dèi sotterranei e personificazione di forze sismiche o vulcaniche n.d.r.) che ancora in epoca storica sorgevano al di fuori delle città (e ciò trova conferma nell'archeologia). Quel remoto flusso immigratorio si interruppe verso il sec. XII a. C., forse in conseguenza dell'invasione dorica della Grecia, che sospinse gli Achei verso l'Asia Minore. La seconda fase si verificò poi dall'VIII secolo a.C..

- Verso il 1500 a.C. le popolazioni indoariane emigrano dall'Asia centrale nel subcontinente indiano dove sottomettono i nativi ed impongono il sistema delle caste. È opinione abbastanza diffusa che le guerre e le battaglie narrate nei Veda, i testi sacri dell'induismo, riflettano più o meno fedelmente la conquista dell'India nord-occidentale (Punjab) da parte degli stessi Arii. La cultura di Yaz (iranica) si espande verso ovest, Medi e Persiani giungono in Iran occidentale agli albori del I millennio a.C., importando un caratteristico stile ceramico.

Ricostruzione dello sviluppo di una Terramara da
https://doi.org/10.3390/rs12162617
- La civiltà delle terramare era una delle più avanzate nell'Europa continentale durante l'età del bronzo. Rappresentava infatti l'anello di congiunzione tra l'area alpina e l'Europa centro settentrionale ed ebbe un'importanza storica fondamentale anche come snodo attivo con la Grecia micenea e il vicino oriente. I terramaricoli riuscirono a conquistarsi questo ruolo centrale in area mediterranea grazie alla loro abilità nella gestione dell'acqua e nella messa a coltura di tutte le fasce territoriali e al commercio di risorse fondamentali, come il rame e l'ambra.
Eppure, dopo aver dominato la Pianura padana per quasi cinque secoli, verso l'inizio del 1.200 a.C. questa civiltà collassò rapidamente, anche a causa di un impatto antropico incontrollato sull'ambiente naturale e dei cambiamenti climatici. Da https://ilbolive.unipd.it/it/news/cambiamenti-climatici-territorio-terramare. A raccontare questa storia è Michele Cupitò, professore di protostoria europea e protostoria dell'urbanizzazione in Italia settentrionale all'università di Padova, e direttore dal 2010 dello scavo nella terramara di Fondo Paviani, che rappresenta uno dei contesti più importanti per studiare le relazioni tra gli abitanti della Pianura padana sia con l'Europa centrale, sia con l'Egeo e il Mediterraneo orientale, e per ricostruire le dinamiche che portarono all'emergere dell'abitato protostorico di Frattesina, sul fiume Po. Il professor Michele Cupitò racconta la storia della civiltà delle terramare. Montaggio di Barbara Paknazar: “La civiltà delle terramare è una illustre sconosciuta per quanto riguarda le fasi più antiche della storia dell'Europa, ma in realtà fu una delle più importanti dell'età del bronzo europeo”, racconta il professore. “Si trovava nella Pianura padana tra la Lombardia orientale, il Veneto occidentale e l'Emilia, in un territorio che comprendeva anche le fasce pedecollinari, pedemontane, prealpine, alpine e appenniniche nel periodo compreso tra il 1600 e il 1200 a.C. La parola “terramara” ha molto a che fare con la terra, ma ben poco con il mare. Deriva infatti dalla distorsione del termine “terra marna”, con cui gli agronomi dell'Ottocento definivano le terre molto fertili ricavate da queste aree. Nella metà dell'Ottocento, momento di straordinario sviluppo dello studio della preistoria in Italia, gli archeologi scoprirono nella Pianura padana delle vestigia di abitati preistorici che venivano sfruttate come cave di terreno fertilizzante. Decisero di descriverle con il termine terramare riferendosi a quella “terra fortemente fertilizzata”, ovvero la terra marna, derivante da depositi antropici e quindi ricca di materiali organici, che caratterizzava la zona. Questo termine, quindi, indica un insediamento dalle dimensioni molto variabili (si va dalle terramare di un ettaro fino a quelle più grandi che raggiungono i 20 ettari) con tre caratteristiche fondamentali e costanti: una forma sub-quadrangolare, un sistema di perimetrazione costituito da un argine, ovvero un terrapieno di terra armata, e circondato da un fossato collegato a un corso d'acqua. Questi villaggi ospitavano delle case, che erano per lo più delle palafitte, quindi abitazioni sopraelevate e sostenute da pali, e anche delle infrastrutture come recinti per gli animali, granai e tutto ciò che serviva per la vita degli abitanti. A seconda delle differenze del territorio, pianure, colline e aree pedemontane accoglievano insediamenti diversi. In ogni caso i reperti di cultura materiale, come le ceramiche e i prodotti in metallo e in bronzo, sono molto omogenei in questo vastissimo territorio, e questa è la ragione per cui si parla di una civiltà”. E prosegue: “La grande forza della civiltà terramaricola, che progressivamente occupò tutta la pianura e anche tutte le fasce pedemontane e pedecollinari, fu la sua capacità di gestione dell'acqua, che rappresentava, naturalmente, una risorsa fondamentale non solo per la sopravvivenza degli abitanti, ma anche per l'agricoltura e l'allevamento”, continua il professor Cupitò. “La Pianura padana, soprattutto quella a nord del Po, è un'area ricchissima d'acqua, mentre a sud di questo fiume i corsi d'acqua hanno carattere torrentizio e sono più legati alle oscillazioni climatiche e ai regimi di pioggia meteorica. Nelle fasi più avanzate del suo processo di sviluppo i terramaricoli perfezionarono una tecnologia idraulica straordinariamente raffinata, con canalizzazioni e sistemi di irrigazione in grado di portare l'acqua dalle zone basse e umide a quelle dossive. Fu così che questa civiltà riuscì a colonizzare l'intera pianura. Con il tempo, da una situazione in cui gli insediamenti occupavano in modo omogeneo il territorio e non c'erano grosse differenze dimensionali o di rango tra i diversi insediamenti, si passò progressivamente alla costruzione di sistemi territoriali complessi, fortemente gerarchizzati e con dei siti chiave che gestivano, da una posizione dominante, tutto il territorio”.

Dal 1.450 a.C. - Pare che il centro di commerci  extra-territoriali rappresentato dalle Terramare padane, abbia attratto anche la più antica popolazione ellenica: "i Pelasgi... un popolo che occupava in antico tutto il bacino dell'egeo e tutta la Grecia continentale compreso il Peloponneso, e occupò in seguito vaste zone dell'Italia... nessuna altra stirpe pregreca viene descritta dagli storici antichi come colonizzatrice di estensioni così vaste, e l'opera di colonizzazione sembra partisse appunto dalle bocche del Po, con Spina, e di qui si irradiarono per tutta la pianura padana fondandovi le dodici città ricordate da Diodoro Siculo (XIV, 113, 1) che secondo lo storico preesistevano all'occupazione da parte degli Etruschi di almeno sette secoli" (da "La Tirrenia antica", opera in due volumi scritta da Claudio De Palma e pubblicata da Sansoni Editore: volume primo, pagine 214-215).
Ubicazione di Spina quando era ormai inserita nel mondo
etrusco. clicca sull'immagine per ingrandirla.
Spina era un'antica città situata nella bassura padana accanto alle sponde dell'Adriatico, la cui esistenza è attestata da varie fonti. Tra queste Dionisio di Alicarnasso (Antichità romane, I, 18, e 28, 3) secondo il quale schiere di Pelasgi, o per consiglio dell'oracolo di Dodona o per sottrarsi agli Elleni, passarono per mare in Italia, e presso il fiume Spinete (un ramo del Po, nei pressi dell'attuale Comacchio) fondarono un accampamento, che si trasformò nella florida città di Spina, che mandava doni votivi a Delfi; ai Pelasgi successero i barbari (cioè i Celti), poi i Romani. Spina, come riferiscono Strabone e Plinio, aveva un edificio per contenere doni votivi, nel santuario apollineo di Delfo. Era perciò considerata come città ellenica, e l'elemento ellenico dovette essere numeroso in Spina, specialmente quando nei primi tempi del secolo IV a. C. Dionisio il Grande, signore di Siracusa, fece sentire il suo potere alle foci del Po. Tale elemento ellenico si dovette distendere sull'elemento etrusco e sull'antico elemento etnico veneto o umbro; poi fu l'assoggettamento di Spina ai Galli (dall'inizio del sec. III a. C.). Ai tempi augustei Spina era ridotta a un semplice villaggio.

Il Cigno, la costellazione del popolo
ligure, il popolo del Cigno.
- Nel XIV/XIII sec. a.C. una frazione di Liguri si era stabilita nel Lazio, proprio nell'area dove verrà poi fondata Roma. Presumibilmente queste popolazioni avevano avuto il controllo della Toscana, Umbria (loro erano Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri,  Fescennio) e delle Marche, in cui avevano fondato Numana e Ancona. Questi Liguri erano denominati Siculi, e potrebbe trattarsi dei  Šekeleš, uno dei popoli del Mare. Dionigi di Alicarnasso nella sua storia delle antichità romane parla dei Siculi come della prima popolazione che abitò la zona di Albalonga, dove poi sorse Roma. Il nuovo confine territoriale fu il fiume Salso dove rimase fino all'arrivo dei Greci. Siculo (o Sikelòs o Siculos), è il presunto re che avrebbe dato il nome al popolo dei Siculi e alla Sicilia (Sikelia). La sua figura nella tradizione storiografica rimane costantemente legata alla storia dei Siculi, che dalla penisola italiana passarono in Sicilia, mentre si suppone che la tribù dei Siculi, così chiamati dal nome del loro condottiero Sikelòs, fosse di etnia Ligure. Antioco Senofaneo parla di un Siculo indistinto che sembra comparire dal nulla per dividere le genti, i Siculi dai Morgeti e dagli Itali-Enotri. Dei Siculi si fa menzione a proposito dell'arrivo dei Pelasgi in Italia. Così tramanda Dionigi di Alicarnasso: “Affrettatevi a raggiungere la Saturnia terra dei Siculi, Cotila, città degli Aborigeni, là dove ondeggia un'isola; fondetevi con quei popoli, ed inviate a Febo la decima e le teste al Cronide, ed al padre inviate un uomo.”. I Pelasgi accolto l'ordine di navigare alla volta dell'Italia, e di raggiungere Cotila nel Lazio vetus, allestirono numerose navi e si diressero come prima tappa verso le coste meridionali dell'Italia, che erano le più prossime. Lo schema narrativo seguito da Dionigi è identico a quello che Varrone aveva prodotto prima di lui, per cui ci si aspetterebbe che i Pelasgi, obbedendo all'oracolo che ingiungeva loro di recarsi a Cotila, andassero a sbarcare sulle coste del mar Tirreno dove lo stesso Varrone li aveva fatti approdare. “Ma”, dice Dionigi, “per il vento di Mezzogiorno, e per la imperizia dei luoghi, andarono a finire in una delle bocche del fiume Po, chiamata Spina. Qui lasciarono le navi, fondarono la città di Spina, si diressero verso l'interno e, superati gli Appennini, vennero a trovarsi sul versante occidentale della penisola italica nella regione dove a quel tempo abitavano gli Umbri.”. Ai Siculi, dice poi Dionigi, i Pelasgi tolsero Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio ed altre città che nel tempo saranno degli Etruschi, probabili discendenti dei Pelasgi stessi. In Dionigi di Alicarnasso leggiamo che i primi aggressori dei Siculi (o Liguri-Siculi), quando essi ancora si trovavano in Italia peninsulare furono i cosiddetti Aborigini che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lesbio in Dionigi, infine, stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia. Secondo Dionigi di Alicarnasso la città di Roma avrebbe avuto come primi abitatori indigeni dei barbari siculi successivamente espulsi dagli Aborigeni con l'aiuto dei Pelasgi. I Siculi, respinti, si sarebbero rifugiati in Sicilia e gli Aborigeni si sarebbero estesi sino al fiume Liris assumendo il nome di Latini, dal re che li avrebbe domati al tempo della guerra troiana. Altre località che poi divennero pelasgiche, come Antemnae, Fescennium, Falerii, Pisae, Saturnia ecc. sarebbero state in origine occupate dai Siculi mentre un quartiere di Tivoli, che ancor oggi conserva il nome di Siciliano, avrebbe avuto al tempo di Dionigi ancora dei Siculi. Varrone nel "De lingua latina" considerava i Siculi originari di Roma perché numerose erano le somiglianze tra la lingua loro e quella latina. Servio considerava addirittura i Siculi giunti dalla Sicilia a Roma, e cioè proprio al contrario di tutte le altre testimonianze. Invece Festo fa i Siculi respinti dai Sacrani o Sabini insieme con i Liguri. Infine Solino li considera tra le più antiche popolazioni dell'Italia con gli Aborigeni gli Aurunci i Pelasgi e gli Arcadi. Anche i Sicani sono ricordati nel Lazio (l'antico Latium vetus), in Solinosia in Plinio il Vecchio dove i Sicani sono considerati popoli della lega del Monte Albano. Questi stessi Sicani sono ricordati nell'Eneide di Virgilio come alleati dei Rutuli, degli Aurunci, dei Sacrani; Aulo Gellio e Macrobio li ricordano con gli Aurunci ed i Pelasgi. Evidentemente si tratta non di Sicani ma di Siculi che nella tradizione poetica latina sono stati confusi tra loro. L'altra tradizione di Filisto di Siracusa sarebbe quella che fa dei Siculi una popolazione ligure, ed i liguri sarebbero stati coloro che, secondo Tucidide e Dionigi di Alicarnasso, avrebbero scacciato le popolazioni sicane dall'Iberia, costringendole ad occupare la Sicilia. Questa tradizione dell'origine ligure dei Siculi si ritrova in Stefano di Bisanzio in cui si cita un passo di Ellanico, e anche in Silio Italico i Siculi sono considerati Liguri. In seguito a queste affermazioni si è rilevata dagli storici moderni la presenza di nomi di città come Erice, Segesta ed Entella in Liguria. « Anche il nome di Alba s'incontra spesso in Liguria. Un luogo di questo nome trovasi a occidente del Rodano nel territorio degli Elvii. A settentrione di Massalia (Marsiglia) conosciamo una popolazione montana ligure degli "Aλβιείς", Albienses o Albiei, e nel suo territorio Alba Augusta. Seguono in direzione orientale sulle coste italiane Albium Intemelium, Albium Ingaunum, Alba Decitia. Non lontana dal versante settentrionale degli Appennini trovasi sul Tanaro Alba Pompeia. Da ciò viene il quesito, se non sia la stessa voce ligure contenuta nel nome di Alba Longa. Al tentativo di spiegare questo nome con l'aggettivo latino "albus" contraddice non solo che da qualche attributo non siasi giammai formato un nome di luogo, ma anche la considerazione che l'aspetto di Alba Longa debba destare una impressione opposta all'aggettivo latino. Questo luogo è collocato sopra materiali vulcanici dei monti Albani, e il colore fondamentale della regione è grigioscuro. » (W. Helbig, Die Italiker in Der Poebene, 1879). G. Sergi facendo riferimento alle affermazioni di Helbig sulla strana natura del nome "Alba Longa", conviene che «il colore dei monti Albani è scuro, bluastro quasi, e va al nero in alcune ore del giorno». Quindi Alba Longa non poteva apparire molto "alba". Ma oltre Alba Longa si hanno nomi derivati da Alba come i monti Albani, il lago Albano, e il più importante di tutti il nome di Albula, già nome del Tevere. Sergi si chiede quindi se Alba Longa sia stato un abitato Ligure. Nel Lazio non c'è mai stata una tradizione che ricordi i Liguri, ma invece i Siculi, come leggiamo in Dionigi di Alicarnasso: « La città che dominò in terra e per tutto il mare, e che ora abitano i Romani, secondo quanto viene ricordato, dicesi tenessero gli antichissimi barbari Siculi, stirpe indigena; questi occuparono molte altre regioni d'Italia, e lasciarono sino ai nostri giorni documenti non pochi nè oscuri, e fra questi alcuni nomi detti Siculi, indicanti le loro antiche abitazioni » (Dionigi di Alicarnasso I, 9; II, 1, Trad. Sergi). Ed esaminando i caratteri fisici dei Liguri e dei Siculi, Sergi avrebbe stabilito la loro identità: anche da ricordi archeologici risulta esservi stato un simile comune costume funerario; e lo scheletro neolitico di Sgurgola presso Anagni era colorato in rosso come gli scheletri neolitici delle Arene Candide di Finale Ligure, (e dei Balzi Rossi, n.d.r.), grotte liguri. Liguri e Siculi sarebbero stati quindi due rami dello stesso ceppo umano, solo che, avendo differenti abitati, sarebbero stati erroneamente considerati come due razze diverse. La teoria è quindi che quando si parla di questi antichissimi barbari Siculi, primi abitatori della città che poi fu Roma, si tratti di una popolazione ligure-sicula condotta da Siculo. Troviamo effettivamente riscontro in Filisto di Siracusa che, riportato da Dionigi di Alicarnasso, sostiene che la gente, la quale passò dall'Italia in Sicilia, non era di Siculi, ma di Liguri condotti da Siculo. Servio scrive che la città da lui denominata "Laurolavinia", composizione delle due, Laurentum e Lavinium, che si fusero, sorse dove già abitasse Siculos. Antioco di Siracusa ci dice che: « La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (in Dionigi di Alicarnasso, 1,12). Nel Lazio e in altre regioni d'Italia questa identità di razza dei Siculi con i Liguri è rivelata da un altro fatto, cioè dai nomi dei luoghi, montifiumi, laghi, oltre che dalle forme nominali etniche dei rami differenti della stirpe. Le teorie che abbiamo visto sulle origini centro italiche prima, e liguri poi, si incontrano e si sposano perfettamente in questa terza teoria: Dionigi che aveva scritto che i Siculi fossero i più antichi abitatori della città che fu Roma, e del territorio latino, narra che i primi aggressori per occupare il loro abitato con lunga guerra furono i cosiddetti Aborigini che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lesbio in Dionigi, infine, stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia, che da loro avrebbe preso il nome. Non tutti i Liguri-Siculi avrebbero seguito Siculo in Sicilia e sarebbe per questo motivo che si riscontrano tracce liguri-sicule in tante regioni italiane. La fondazione di Alba, secondo la tradizione che vuol essere storia, così è descritta da Dionigi di Alicarnasso: « Nel trentesimo anno dopo fondata Lavinio, Ascanio, figlio di Enea, fondò un'altra città; e dai Laurentini e da altri Latini e da quanti altri desideravano una sede migliore, trasportò gente nella città recentemente costrutta, cui aveva posto nome "Alba", la quale in lingua greca vuol dire λευκή ("bianca" in italiano), ma per distinguerla da altra città che aveva lo stesso nome, vi aggiunse una parola, che con la prima forma un insieme, "Alba Longa", cioè, Λευκή μακρά » (Dionigi di Alicarnasso, I, 66). Quale fosse quest'altra "Alba", e dove, Dionigi non lo dice, né adduce il motivo per il quale la nuova sia detta "Longa" (μακρά). Livio, invece, scrive: « is Ascanius, ubicumque et quacumque matre genitus - certe natum Aenea constat - abundante Lavini multitudine florentem iam, ut tum res erant, atque opulentam urbem matri seu novercae relinquit, novam ipse aliam sub Albano monte condidit, quae ab situ porrectae in dorso urbis Longa Alba appellata est » (livio, I, 3). Qui c'è da osservare che la città si fondava sub monte Albano, vuol dire che già questo monte aveva un nome, che, potrebbe secondo Sergi essere ligure-siculo in quanto non potrebbe significare bianco, come sarebbe in lingua latina, per via della palese colorazione scura-bluastra tendente al nero dei monti Albani. Dionigi che aveva preso la tradizione dagli autori della tradizione romana, traduce infatti Alba per Λευκή, Bianca. Sergi dopo aver esaminato il nome "Alba Longa" passa ad osservare i suoi derivati e si sofferma su "Albula", antico e primitivo nome del Tevere, come Livio, Plinio, Virgilio (Albula nomen) scrissero. Si conclude che il nome non può aver a che fare con la colorazione in quanto Virgilio stesso chiama flavus il Tevere perché trasporta sabbia, poi ancora lo chiama "caeruleus", "ceruleo", e anche Orazio lo chiama flavum. Esiste un altro fiume Albula nel Piceno, ricordato da Plinio nell'enumerare abitati e fiumi della quinta regione italica, il Piceno; e nomina anche fra altre città "Numana", a Siculis condita. Ciò significa che la regione era occupata dai Siculi, i quali diedero i nomi dei fiumi e degli abitati secondo il loro linguaggio. Poi ancora abbiamo Albinia, nell'Argentario, territorio che fu etrusco, ancora una città Alba vicina al Fucino, e Alba in Piemonte, un monte Alburnus in Lucania, un fiume Alba in Sicilia, ricordato da Diodoro Siculo; e in Liguria Alba Pompeia, Alba Decitia, e Albium o Album o Alba Intemelium e Ingaunum, (Albenga da Albium Ingauna e Ventimiglia da Albium Intemelia); Albiei e Alba nella Provenza; Alba nella Betica in Spagna e Alba fiume a nord-est della Spagna. Ancor più sorprendente il ricordo di Strabone, che le Alpi prima avevano il nome di Albia, e Albius mons era detta la sommità delle Alpi Giulie. G. Sergi esamina attentamente i rapporti linguistici che potrebbero esserci fra i tratti linguistici siculi e quelli liguri, ma non solo. Inizia il suo studio ponendo lo sguardo su alcuni suffissi che egli ritiene caratterizzanti dei linguaggi liguri e siculi. Un suffisso caratteristico ligure accettato è quello delle parole terminanti in -sco, -asco, -esco, in nomi propri, dovuto alla scoperta di un'antica iscrizione latina dell'anno 117 a.C., dove trattasi di un giudizio in una controversia territoriale fra Genuenses e Langenses, liguri. Qui s'incontrano i nomi di Novasca, Tulelasca, Veraglasca, Vineglasca. Inoltre nella tabula alimentaris riferibile alla disposizione di Traiano imperatore, per soccorrere di viveri fanciulli e fanciulle, si trovano altri nomi liguri con la stessa terminazione. Il Zanardello Tito, in alcune sue memorie, tentò di mostrare l'espansione dei nomi con tale suffisso ligure e anche di altri similmente liguri non soltanto in Italia, ma ancora nell'antica Gallia compreso il Belgio; e calcola seguendo il Flechia, che il numero dei nomi italiani col suffisso -sco in alta Italia supera 250; e simili forme si sono trovate nella valle della Magra, nella Garfagnana e altrove. Abbiamo nomi etnici Volsci, Osci o Opsci, poi Graviscae, città tenuta dagli Etruschi, Falisci, un popolo o una tribù Japuzkum o Iapuscum delle Tavole icuvine; e poi Vescellium in Arpinia, Pollusca nel Lazio, Trebula Mutuesca nell'Umbria, Fiscellus, monte ai confini dell'Umbria, ed altri altrove. Poi ancora abbiamo il nome di Etrusci e Tusci, che adoperarono i Romani e dopo gl'Italiani e altri. Altri suffissi:
-la, -lla, -li, -lli, come in Atella, Abella, Sabelli, Trebula, Cursula;
-ia, -nia, -lia, come in Aricia, Medullia, Faleria, Narnia;
-ba, come in Alba, Norba;
-sa, -ssa, come in Alsa, Suasa, Suessa, Issa;
-ca, come in Benacus (Benaca), Numicus (Numica);
-na, come in Artena, Arna, Dertona, Suana;
-ma, come in Auxuma, Ruma, Axima, e forse anche Roma;
-ta, -sta, come in Asta, Segesta, Lista;
-i, come Corioli, Volci o Volsei.
A proposito della radice "Alb", è interessante ciò che è tratto da: http://www.unior.it/userfiles/workarea_477/LZ6%20Perono_pp102_128.pdf
che motiverebbe la successiva fusione dei Liguri con le popolazioni Celtiche. La famiglia toponimica paleoligure di Alba, connessa a idronimi paleoeuropei in Alb- e, apofonicamente, al tipo Olb- (anche Orb- in area ligure), non rappresenta una formazione diretta sull’aggettivo indoeuropeo albho- ‘bianco’, ma, insieme a questo, continua un radicale pre-protoindoeuropeo Hal-bh- ‘acqua’ attestato anche dal sumerico halbia, (accadico halpium, ‘sorgente, massa d’acqua, cavità d’acqua’) ed è ulteriormente analizzabile come ampliamento della radice protoindoeuropea Hal- ‘nutrire’. Simile diffusione ha la base indoeuropea HwaH-r- ‘acqua’. Alcuni toponimi e idronimi di area ligure (l’area linguistica e culturale di formazione di nomi quali Olbicella, appunto) e delineando l’esistenza di una “famiglia” di denominazioni di luoghi che ci piace definire (sulla base del radicale non solo indoeuropeo che è all’origine della loro formazione) “città d’acqua”. Esistono prove di elementi comuni, sia pure remoti (già dalla fase indoeuropea), in ambito culturale e linguistico, tra gli antichi Liguri e gli abitanti (ad essi contemporanei) dell’Europa occidentale storicamente noti, almeno in parte, come Celti. Una macroscopica similitudine toponimica riguarda la Britannia (forse solo quella meridionale, in origine). Si ritiene (e l’ipotesi è assai convincente) che Albiōn, il nome di origine ancestrale della Britannia, sia connesso con le forme toponimiche liguri Albium e Album. La radice della denominazione è comune ed è, appunto, alb indoeuropeo albh. Da Albium ed Album derivano nella toponomastica ligure antica e “contemporanea” tra gli altri, l’omologo (omofono ed omografo rispetto alla seconda forma) Album, Album, Inganum, Album, Ingaunum, Albingaunum, ‘Albenga’, Albium Intemelia ‘Ventimiglia’, Albuca (nelle Gallie ed in Aquitania), Alba in provincia di Cuneo, Alba Heluorum in Provenza, Alba, attuale Arjona, in Spagna. Giacomo Devoto segnala inoltre,come di possibile ascendenza (o influenza nella formazione onomastica ligure, il toponimo di Albona, città istriana che sorge a pochi chilometri di distanza dal mare. Tutte queste denominazioni sono riconducibili direttamente alla radice "alb" e a una forma simplex che è Album. Ma Album non è connesso primariamente (si appurerà in seguito come si tratti di uno spostamento di significato rispetto all’originale) al latino albus, ‘bianco’. Deriva, invece, dalla radice "albh" che è la base, ad esempio, dell’idronimo germanico Albis, il nome del fiume Elba. Tutti questi nomi indicano stanziamenti su canali, su fiumi o su mari, in pratica luoghi situati in prossimità dell’acqua (e anche idronimi, denominazioni, appunto, di referenti che coincidono con l’iconimo: corsi d’acqua). Quel che a noi interessa in questa sede è che come la radice "albh" viene a essere la base dell’idronimo Albis, nome di origine ancestrale (in quanto idronimo paleoeuropeo) del fiume Elba, così essa è la componente generativa di alcune delle numerosissime denominazioni (antiche e “contemporanee”) Olbia che denotano, come tutti i nomi formati dalla radice albh, luoghi situati su canali, fiumi o mari. Olbia, la più antica colonia di Mileto, sul Mar Nero, ad esempio, ebbe come nome epicorico Olbia (senza varianti), derivato dalla radice "albh" con apofonia vocalica della [a] iniziale nel grado atimbro [o] (il radicale olbh è equivalente sul piano lessicale e derivato a livello morfofonologico dalla base albh). Olbia si ritrova, come toponimo, in Britannia, sulla destra del fiume Bug (in Ucraina), in Provenza, in Sardegna e altrove , a latitudini moltodifferenti, dunque – in Licia e nell’Ellesponto; naturalmente, soprattutto nel caso delle colonie elleniche, è stata inevitabile una sovrapposizione motivazionale col beneaugurante aggettivo greco ólbios, (femminile olbía). Se si resta nell’ambito di denominazioni legate alla radice "albh" e al significato di‘acqua’, può essere interessante ricordare che Albula, fu l’antico nome del fiume TevereAlbiōn, il nome di origine ancestrale della Britannia, viene a denotare, dunque, la grande isola sul Canale della Manica, un locus, quindi, sull’acqua e circondato dall’acqua. La ricostruzione "albh" (con bh richiesta dal germanico b/inAlbiz, ‘Elba’) non è tuttavia l’unica presa in considerazione nella glossografia. Giovanni Semerano, tra gli altri sostenitori dell’origine della radice "alb" da una famiglia linguistica non indoeuropea (nella teoria dell’Autore questo è postulato per definizione, dato che viene rifiutata l’esistenza stessa dell’indoeuropeo), propone una derivazione dall’antichissima voce accadica "alpium" a sua volta dal sumerico "albia", ‘sorgente’,‘massa d'acqua’,‘cavità d'acqua’. Questa forma si sarebbe poi trasferita nel sistema toponimico delle lingue “indoeuropee”, da un lato mantenendosi immutata nella radice "alb". Dal Blog "Sanremo Mediterranea": "Dal Ligure al Celtico, dagli antichi alfabeti dell'Italia Settentrionale al Runico" QUI, "Antichi Liguri: dai Primordi ai Megaliti" QUI, "Antichi Liguri: Alleanza e fusione con i Celti" QUI, "Antichi Liguri: i Miti e le Fonti storiche" QUI e "Antichi Liguri: le Datazioni e le Fonti storiche" QUI.

Dal 1.350 a.C. - I villaggi terramaricoli della bassa pianura padana entrano in vasti circuiti commerciali che coinvolgono le coste del Baltico, l'area danubiano-carpatica, l'Egeo e il Mediterraneo orientale.

Maschera in oro del re miceneo
Agamennone.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Dal 1.320 a.C. - Apogeo della Civiltà Elladica, o Micenea. Nei miti e leggende della cultura micenea, l'epopea di Teseo, Arianna e del Minotauro, indica pesanti tributi imposti da Creta, nella fase minoica, ad Atene. Così, il mito di Giasone e degli argonauti alla ricerca del vello d'oro, indica l'esplorazione elladico-micenea delle coste del Mar Nero a bordo di natanti, nel mito rappresentati dalla nave Argo, probabilmente una pentecontera. La pentecontera era una nave a propulsione mista, essendo sospinta sia dalla vela che da remi e fu la prima imbarcazione adatta alle lunghe navigazioni. Il suo nome deriva proprio dai cinquanta vogatori disposti, venticinque per lato e in un unico ordine, sui due fianchi della nave.
Antica pentecontera greca.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
L'esemplare più famoso appartiene al mito: la nave Argo e i suoi (circa) cinquanta Argonauti. In seguito il termine andò a designare un'intera classe di navi, anche più potenti, sia a un ordine (monere) che a due (diere), dotate anche di più di 50 rematori. Si trattava sostanzialmente di una nave da guerra, a fondo piatto e dotata di un rostro per le manovre di speronamento. Le sue dimensioni sono stimate in circa 38 metri di lunghezza per 5 metri di larghezza.

Europa intorno al 1.300 a.C. con i territori dei Liguri, Celti, Italici (Umbri,
Opici, Ausoni, Japigi, Enotri, liguri Siculi e Sicani), Germani, Slavi
(Venedi-Sclavini e Orientali) Traci, Frigi, Illiri (fra cui i Venetici), Greci
(Elleni e Pelasgi), Baltici, Sciti (Indo-Iraniani, Sarmati e Alani) e Anatolici.

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.11: dal 1.550 al 1.320 p.e.v. (a.C.)" QUI.

Dal 1.300 a.C. - Tucidide (Alimunte in Attica, 460 a.C. circa - dopo il 404 a.C., o secondo altri, dopo il 399 a.C.) riferisce come i Sicani si sarebbero stabiliti in Sicilia scacciati dai Liguri dal loro territorio originario presso il fiume Sicano (l'attuale Xùcar, Jùcar in castigliano, a sud di Valencia, vedi la mappa dei 7 fiumi di seguito) nella penisola iberica, prima della guerra di Troia. I Sicani, avrebbero addirittura preceduto in Trinacria i Ciclopi e i Lestrigoni, e da più fonti risulta che fossero in realtà Iberi stanziati presso il fiume Sikanos in Iberia (Stefano di Bisanzio ed Ecateo di Mileto, 550 - 476 a.C., ricordavano anche una città iberica chiamata "Sikanè"), da dove i Liguri li avrebbero scacciati. Da loro l'isola, che prima si chiamava Trinacria, finì col prendere il nome di Sicania. 
Carta geografica dei sette fiumi importanti per la storia dei
Liguri e dei confini delle loro aree di influenza:
Guadalquivir (l'antico Tartesso o Betis) , Jùcar
o Axucar (l'antico Sicano), Ebro, Rodano, Var (Varo),
Magra e Arno. -  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Ai tempi di Tucidide i Sicani avrebbero abitato la parte occidentale della Sicilia. Dionigi di Alicarnasso, storico greco del I secolo a.C., nelle Antichità romane, parlando degli aborigeni italici, riporta l'opinione di alcuni secondo i quali essi sarebbero stati coloni dei Liguri e definisce questi ultimi "vicini degli Umbri", riportando che abiterebbero "molte parti dell'Italia e alcune parti della Gallia" ma che non si conosce il loro luogo di origine. Riferisce inoltre dei versi del "Trittolemo" di Sofocle, che enumera i Liguri lungo la costa tirrenica a nord dei Tirreni e ancora riprende la notizia di Tucidide, riferendo come i Sicani fossero una popolazione di origine iberica, scacciata dal loro originario territorio dai Liguri, mentre, secondo Filisto da Siracusa, gli stessi Siculi sarebbero stati Liguri, cacciati dalla loro terra dagli Umbri e dai Pelasgi, che passarono in Sicilia sotto la guida di Siculo, tre generazioni o ottant' anni prima della guerra di Troia, avvenuta presumibilmente nel 1.194/1.184 a.C. Infine riferisce che i Liguri occupassero i passi delle Alpi e avrebbero combattuto contro Ercole (o contro Prometeo, secondo il "Prometeo liberato" di Eschilo). Nell'Eneide i Liguri sono una delle pochissime popolazioni che combattono al fianco di Enea nella guerra contro i Rutuli. Virgilio nomina anche i loro due re, Cunaro e il giovane Cupavone, il figlio e successore di Cicno, figura già nota nella mitologia greca.

Sarcofago di Ahiram, tomba V del
XIII sec. a.C., ora al National Museum
di Beirut, e proveniente dalla
necropoli regale di Biblo.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- Sono del XIII secolo a.C. le prove che i Fenici adottarono, primi fra tutti, una scrittura alfabetica, usando un alfabeto fonetico.
Fenici hanno abitato le coste orientali del mediterraneo dal 2100 al 539 a.C. ed erano un popolo di navigatori e commercianti; il loro nome deriva dal colore rosso porpora, di cui erano esperti produttori. La parte più a sud del loro territorio corrisponde alla terra di Canaan, abitata anticamente dai Cananei, spesso nominati nella Bibbia. Inizialmente i fenici scrivevano in cuneiforme, ma poi, a partire dal XIII secolo a.C., svilupparono, primi fra tutti, una scrittura alfabetica.
Sarcofago di Ahiram, particolare
dell'iscrizione.  Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
I fenici scrivevano su righe da destra a sinistra. Il loro alfabeto comprendeva 22 segni consonantici, mentre per le vocali non si usava alcun segno (è un abjad, termine che indica un alfabeto solo consonantico);
Alfabeto Canaanita Fenicio, da cui il Greco,
il tardo Greco e il Latino
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
 in effetti la loro lingua, come del resto le lingue semitiche in genere, non aveva un vocalismo molto complesso e non era necessario scrivere le vocali perché si potevano facilmente dedurre dal contesto. Le lettere dell’alfabeto furono ricavate dagli antichi segni pittografici: si scelse una parola che iniziava con una determinata consonante; il suo simbolo venne poi semplificato e usato per rappresentare sempre quella consonante. Il sistema alfabetico era molto più semplice rispetto alle scritture pittografiche e ideografiche diffuse a quel tempo, come l’egiziano o il cuneiforme; permetteva di essere compreso e scritto più facilmente da tutti, non solo dagli scribi e dalla casta regale e sacerdotale.Il più antico reperto che riporta iscrizioni in alfabeto fenicio è il sarcofago di Ahiram, un'antico re fenicio, che fu ritrovato a Byblos nel 1923 e che risale al XIII° secolo a.C., ma non ci sono pervenuti molti documenti, a parte qualche iscrizione di carattere religioso e ufficiale; molto di ciò che hanno scritto i fenici è andato perduto. I fenici diffusero il loro sistema presso molte altre popolazioni con cui vennero a contatto durante i loro viaggi per mare: l’alfabeto Aramaico Greco mostrano chiari segni di derivazione dal fenicio; e perfino scritture dell’India e dell’Asia ne portano traccia. In pratica, l’alfabeto fenicio è la radice comune da cui si sono sviluppati quasi tutti i moderni alfabeti.

Carta del mondo con la diffusione dei caratteri degli alfabeti
usati: il Latino in azzurro, l'arabo in verde, il cirillico in viola,
il sanscrito in giallo ocra, altri caratteri indi in giallo, e
tutti i caratteri usati nel mondo.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.

Alcuni studiosi Albanesi sostengono come dai Pelasgi siano derivati Tirreni ed Etruschi oltre a Illiri Albanesi e come i linguaggi di questi popoli siano quindi affini. Seguono alcune ipotesi di uno di loro, Nermin Vlora Falaski da http://www.thelosttruth.altervista.org/SitoItalian/CasoPelasgico.html: "I Pelasgi adottano l'alfabeto fonetico fenicio, adattandolo alla loro lingua: si definirà poi alfabeto Etrusco. Diodoro Siculo ci informa che i poeti preomerici si esprimevano in lingua Pelasgica, e dalla stessa fonte, apprendiamo che almeno nel 1.000 a.C. si usava quella stessa scrittura. Inoltre Diodoro riferisce che furono i Pelasgi a portare per primi l’alfabeto in Italia e nel resto dell’Europa. Plinio il Vecchio conferma le informazioni di Diodoro. Virgilio (Eneide, VIII, V. 62-63), scrive: “Si dice che i primi abitatori della nostra Italia furono i Pelasgi”. Dagli autori dell’antichità abbiamo appreso che prima dell’arrivo delle popolazioni indoeuropee che sarebbero divenuti i Greci (Ioni, Achei, Eoli e Dori), il territorio dove si stabilirono si chiamava Pelasgia. Le varie fonti ci informano inoltre, che i Greci impararono dai Pelasgi non solo l’arte della lavorazione dei metalli, della costruzione delle mura, ma appresero, perfezionandolo, il loro modo di scrivere e facendo proprie le loro divinità. Varie popolazioni, ma in particolar modo quella pelasgica, hanno dato al paese il loro nome. Pausania (Arcadia, Libro VIII, 1,4,6) scrive: “Gli Arcadi dicono che Pelago fu il primo a nascere nella terra dell’Arcadia. Dato che Pelago divenne re, il paese si chiamò Pelasgia in suo onore”. Pindaro (Carminia, Fragmenta Selecta, I, 240) scrive: “Portando un bel dono, la Terra fece nascere per primo l’essere umano nell’Arcadia, il Divino Pelasgo, molto prima della luna”. La citazione di Pindaro potrebbe apparire valida solo come ispirazione poetica, forse perfino mitologica, però malgrado ciò, scienziati posteriori hanno dimostrato che la luna è un frammento staccato dal nostro globo. Omero menziona i Pelasgi fra gli alleati dei Troiani, (Illiade, II, 840-843) e narra che Achille pregava lo “ZEUS PELASGICO DI DODONA” (Iliade, XVI, 223). Omero li menziona anche come “POPOLI di CRETA” , (Odissea, XIX, 177). Lo storico Eforo riferisce di un brano di Esiodo che attesta la tradizione di un popolo dei Pelasgi in Arcadia e sviluppa la teoria che fosse un popolo di guerrieri diffusosi da una "patria" che aveva annesso e colonizzato tutte le regioni della Grecia in cui gli autori antichi fanno cenno a loro, da Dodona a Creta alla Triade fino in Italia, dove i loro insediamenti sono ben riconoscibili ancora nel tempo degli Elleni e sono in stretta relazione con i "Tirreni" (da cui derivarono gli Etruschi). La caratteristica struttura della muratura della cittadella di Atene ha fatto sì che tutte le costruzioni in blocchi non squadrati e senza l'uso di malta abbiano avuto il nome, di "muratura pelasgica" esattamente come talvolta sono dette "mura ciclopiche", cioè costruite dai Pelasgi: coloro che insegnarono ai greci i metodi delle costruzioni, il modo di scrivere e la cultura. Nermin Vlora Falaski, nel suo libro "Patrimonio linguistico e genetico", ha decifrato iscrizioni Etrusche e Pelasgiche con l'odierna lingua Albanese. Questo proverebbe che gli Albanesi (discendenti degli Illiri) siano discendenti dei Pelasgi, una delle più antiche stirpi che popolò l’Europa. Ecco alcune traduzioni di Falaski:
"Dunque, in Italia esiste la località dei TOSCHI (la Toscana), così come i Toschi abitano nella “Toskeria”, nell’Albania meridionale. (Molti autori sostengono che la parola Tosk, oppure Tok, sia il sinonimo di DHE, tanto che oggi in albanese si usa indifferentemente la parola DHE che quella TOK per dire “terra”).
In Toscana si trova un’antichissima città, verosimilmente fondata dai Pelasgi, che si chiama Cortona, (nota: in Albanese: COR= raccolti, TONA= nostri, cioè “i nostri raccolti”). Dalla vasta e fertile pianura della Val di Chiana si accede a una ripida collina, in cima alla quale si trova un bellissimo castello, trasformato in museo archeologico. In mezzo ad un grosso patrimonio epigrafico, vi è anche una iscrizione particolarmente bella e interessante, su un sarcofago con addobbi floreali.
Su questo sarcofago appare la seguente scritta:
Scritta Etrusca tradotta con la lingua albanese, che testimonia la
derivazione comune della lingua Etrusca con quella Illirico-Albanese.
  Clicca sull'immagine per ingrandirla.
La voce verbale â o âsht (in Italiano è) si usa ancora nel dialetto dell’Albania settentrionale e nel Kossovo, mentre nel sud e nella lingua ufficiale, che è quella dei Toschi, si impiega la voce ësht. Le varie fonti ci informano che i Greci impararono dai Pelasgi non solo l’arte della lavorazione dei metalli, della costruzione delle mura, ma appresero, perfezionandolo, il loro modo di scrivere e fecero proprie le loro divinità, come per esempio DE-MITRA (Dhe = terra, Mitra = utero, cioè la DEA MADRE TERRA), la greca Demetra, nonché AFER-DITA (Afer = vicino, Dita = Giorno), la greca Afrodite, più tardi chiamata Venus dai Romani, oggi Venere). I Pelasgi furono chiamati anche Popoli del Mare”, poiché erano abili e liberi navigatori. I geroglifici egizi di Medinet Habu, parlano dei Popoli del Mare, ed elencano fra gli invasori anche i Twrs, nome che è stato confrontato con il greco Turs-anòi (dorico) e Tyrs-enòi (ionico) e Tyrrh-enoi (attico) e con il latino Tus-ci (da Turs-ci) ed E-trus-ci. Tutte queste scoperte avvalorano l'ipotesi della derivazione di IlliriTirreni ed  Etruschi dai Pelasgi, le prime popolazioni indeuropee a raggiungere il Mediterraneo e l'Europa". L'Arcadia stessa rimase un territorio abitato dai discendenti dei Pelasgi.

- Queste ipotesi hanno scatenato discussioni anche violente, e riporto anche alcune considerazioni tratte da http://wikipedia.sapere.virgilio.it/wikipedia/wiki/Discussione:Pelasgi: "Un'affinità tra la lingua etrusca/lemnia con la lingua albanese è stata avanzata da Zacharia Mayani, e la stessa somiglianza è stata notata in precedenza da altri studiosi come G. I. Ascoli, 1877, É. Schneider, 1889, J. Thomopoulos, 1912, G. Buonamici, 1919. A mio avviso non bisogna mettere in discredito una teoria riconosciuta da molti eminenti studiosi. La spiegazione potrebbe essere molto semplice. Oggi molti linguisti riconoscono un'affinità dell'albanese più con la Lingua tracica che con le lingue dell'Illiria. La regione originaria degli albanesi potrebbe essere dunque la valle del fiume Strimone nel sudovest dell'attuale Bulgaria, dalla quale emigrarono nell'attuale Albania nel XI sec. d.C., a causa delle invasioni dei popoli slavi. Secondo lo storico tedesco G. Schramm gli albanesi potrebbero essere i discendenti della tribù tracia dei Bessi, sopravvissuta con la sua lingua fino almeno al VI sec d.C.. Sappiamo da Erodoto, che la regione Crestonia sulla costa alle foci dello Strimone, a nord del mare Egeo, era abitata ai suoi tempi dai pelasgi e dai tirreni. Quindi è abbastanza logico pensare che nella sua formazione la lingua albanese abbia preso in prestito molte parole da lingue affini all'etrusco."

- Con estremo interesse vanno lette le iscrizioni in geroglifico del tempio funerario del faraone Ramses III (1193-1155 a.C.) di Medinet Habu, che potrebbero contenere un chiaro riferimento, forse l'unico, archeologicamente documentato, dell'esistenza reale del popolo dei Pelasgi, chiamati dagli egizi: Peleset.
Antica raffigurazione dei Peleset,
i Pelasgi che si insediarono nel
Canaan, chiamati poi Filistei,
da cui il nome Palestina.
L’iscrizione descrive un attacco effettuato nell’8º anno di regno del faraone Ramses III (il 1186 a.C.) da un’alleanza di cinque popoli, stretta dopo che ebbero distrutto la città di Ugarit (in Siria): tra costoro compaiono i Peleset (i Pelasgi), oltre agli Šekeleš (probabilmente  i Siculi), i Tjeker, gli Wešeš e i Denyen, con al seguito donne, bambini e masserizie. I popoli vengono complessivamente denominati "Popoli del mare, del nord e delle isole". Secondo l'iscrizione, gli Egizi respinsero gli invasori a Djahy, una località nella terra di Canaan. L'origine egea dei Peleset (e quella dei Tjeker e dei Denyen) è attestata dall'iconografia dei guerrieri riprodotti, che indossano un elmo piumato, trattenuto alla gola da una fascetta di cuoio e hanno in dotazione spade di tipo acheo. L'elmo piumato, infatti, trova riscontri anche nell'ambito egeo dell'età del bronzo e nel cretese disco di Festo. I Peleset si sarebbero poi stabiliti nel Canaan, dove avrebbero formato il popolo dei Filistei.

- A seguito degli accordi delle popolazioni italiche di origine indoeuropea (anche se definiti Aborigeni dagli storici antichi), con gli Umbri in prima fila, con i Pelasgi, dopo le loro campagne vittoriose contro i Liguri (chiamati Siculi), avvenute orientativamente alla fine dell'età del bronzo, gli Italici avrebbero concesso ai Pelasgi il popolamento dell'Etruria, che era stata dei Liguri, dove si sarebbero insediati e da cui sarebbe scaturita la civiltà Etrusca. Complessivamente, si è attribuita ai Pelasgi una vocazione migratoria e, in particolare, marinara: Eusebio, nel "Chronicon", considerava quella dei Pelasgi una "talassocrazia" che potrebbe essere stata la protagonista dell'avvicendamento al governo della Tartesso iberica, appannaggio dei liguri arcaici, che passerà poi sotto il controllo dei Cartaginesi nell'VIII secolo a.C., e gli riconosceva il dominio del Mar Mediterraneo, in un periodo che sarebbe iniziato novantanove anni dopo la caduta di Troia (quindi intorno al 1080 a.C.) e sarebbe durato altri ottantacinque, quindi fino al 995 a.C. circa (secondo la cronologia di Eratostene di Cirene, tra il 1082 e il 997 a.C.). Non a caso l'alfabeto adottato a Tartesso ha ispirato i 5 alfabeti nord-italici del V secolo, che vennero invece attribuiti a nuove adozioni dell'alfabeto etrusco: se i Pelasgi, considerati "Tirreni", avevano sottomesso Tartesso intorno al 1200 a.C. e da loro erano derivati gli Etruschi italici, il cerchio si chiude. Per il post "Dal linguaggio ligure al celtico nell'Italia settentrionale antica, i 5 alfabeti usati e il runico germanico", clicca QUI

- Il XIII sec. a.C. vede la fine degli abitati palafitticoli a Fiavè, in Trentino e non se ne conosce il motivo. Il periodo interglaciale che stiamo attualmente attraversando (periodo postglaciale) è iniziato circa 10 - 12.000 anni fa e la sua analisi avviene per mezzo di cronologie molto accurate grazie soprattutto agli studi di dendroclimatologia, in particolare per l'Europa. La preistoria è così divisa in 5 grandi periodi climatici che, a partire dall'ultima glaciazione (di Würm, terminata 15.000 anni fa) corrispondono a consistenti variazioni delle temperature che possiamo così riassumere:
- Preboreale 11.000-5.000 anni fa (B.P. = prima del presente), improvviso innalzamento della temperatura ma comunque fredda, più del presente,
- Boreale 9.000 -7.500 anni fa, variazioni climatiche simili a quelle odierne, temperature più calde ed inverni miti,
- Atlantico 7.500 -5.500 anni fa, periodo più caldo e più umido, + 4°C rispetto al presente,
- Subboreale 5.500-2.800 anni fa, ritorno ad un clima più freddo e piovoso,
- Subatlantico da 2.800 anni fa, caratterizzato da temperature superiori a quelle attuali.
All'interno del periodo Subboreale, un raffreddamento rispetto al periodo precedente comportò l'avanzata dei ghiacciai e precisamente questo si verificò intorno al 1.500 a.C. in Svizzera e intorno al 1.280 a.C. in nord Italia. Queste fasi coincidono straordinariamente con quelle della scomparsa dei ritrovamenti archeologici di palafitte nelle rispettive regioni. Forse, durante le fasi più calde del periodo contraddistinto come Subboreale, le coste lacustri furono densamente abitate da genti che attuavano uno stratagemma per mettere al riparo gli edifici dalle repentine e stagionali trasgressioni del livello dei laghi. Il problema che ci si pone allo stato attuale, riguarda la motivazione dell'esaurimento del fenomeno palafitticolo. In Emilia e Lombardia meridionale il fenomeno delle costruzioni palafitticole è leggermente sfasato cronologicamente rispetto alle zone alpine, è più tardo e passa sotto il nome di "terramare': il collasso dei due sistemi è tuttavia sincronico e allo stato attuale inspiegabile.

Ubicazione della cultura proto-
celtica di Canegrate e di quella
propriamente celtica di
Golasecca, con indicati i nomi
delle genti liguri, celtoliguri
e celtiche stanziate in quei
territori e di quelle che si
stanziarono successivamente.
- Nel XIII secolo a.e.v., sulle sponde dell'Olona, fiorisce la cultura proto-celtica di Canegrate, che ispirerà la conseguente cultura di Golasecca. 

Nel 1.270 a.C. - Popolazioni Liguri chiamate Siculi, poiché guidate dal re Siculo, figlio di Italo, approdano in Sicilia, che da allora da loro prende il nome. Dalle popolazioni Liguri che rimasero nel continente, il cui re era stato Italo, l'Italia prenderà il suo nome. Tucidide narrava che dopo l'arrivo in Trinacria dei Sicani (che da loro prese il nome di Sicania) e successivamente degli Elimi dopo la caduta di Ilio (Troia), i Siculi, spinti dagli Opici sul continente, sarebbero giunti in Sicilia numerosi, e avrebbero vinto e respinto i Sicani nella parte meridionale e occidentale dell'isola, impadronendosi della parte migliore della Sicilia (che da loro prese il suo nome definitivo) 300 anni prima della colonizzazione greca. Gli Opici erano un antico popolo di ceppo latino falisco (o protolatino) stanziato nella Campania pre-romana, nella regione che da loro prese il nome di "Opicia". Probabilmente provenienti dalla Puglia e Lucania, si insediarono nell'area nel contesto del primo processo di indoeuropeizzazione dell'Italia peninsulare, quello che portò all'ingresso nella penisola dei Protolatini (II millennio a.C.) e comunque non dopo l'XI secolo a.C. Gli Opici arrivarono in Campania dopo aver in un primo momento sospinto i Siculi verso la Sicilia e a loro volta essere stati poi premuti dagli Enotri. Nei primi secoli del I millennio a.C. furono sopraffatti e assimilati dall'irruzione nella loro area da diverse popolazioni: dapprima gli Etruschi (verosimilmente derivati dai Pelasgi) e successivamente nuovi nuclei indoeuropei, questa volta di ceppo osco-umbro: gli Osci, originatisi dai Sabini attraverso un rito di "primavera sacra", una ricorrenza rituale di origine italica, praticata poi da diversi popoli dell'Italia antica, che comportava la deduzione di nuove colonie. Veniva celebrata in occasione di carestie e in momenti difficili, o per scongiurare un pericolo particolarmente grave. Un altro fattore importante era la pressione demografica, per cui tramite questo rituale si favorivano i processi migratori. E ancora: « La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (Antioco di Siracusa, in Dionigi di Alicarnasso 1, 12). Dionigi di Alicarnasso ricorda l’opinione di Ellanico di Lesbo e Filisto di Siracusa, i quali collocavano l’evento rispettivamente tre generazioni o ottant'anni anni prima della guerra di Troia, cioè intorno al 1270 a.C.; per Tucidide invece, la discesa dei Siculi in Sicilia sarebbe avvenuta 300 anni prima dello stanziamento dei coloni greci, quindi nell’XI sec. a.C.
Dionigi riferisce anche la testimonianza di Ellanico di Mitilene, che non soltanto localizza l'avvenimento del passaggio dei Siculi a tre generazioni (una generazione sono trent'anni) prima della guerra troiana (nel 26º anno del sacerdozio di Alcione ad Argo) ma indica anche che due flotte passarono in Sicilia a cinque anni di distanza l'una dall'altra, la prima degli Elimi cacciati dagli Enotri, la seconda degli Ausoni respinti dagli Iapigi; loro re sarebbe stato Sikelòs che avrebbe dato il nome all'isola.
Popoli della Sicilia dopo
la Guerra di Troia.
Allo stesso modo Filisto di Siracusa ha datato l'immigrazione dei Siculi in quella che allora si chiamava Sicania, nell'ottantesimo anno prima della guerra di Troia. In Filisto, Sichelo viene definito eponimo del popolo dei Siculi, che egli stesso guida verso la Sicilia. Afferma lo storico siracusano che Sichelo (o Siculo) era figlio del re Italo. Un ligure, poiché per Filisto i Siculi sono in realtà Liguri che, cacciati dagli Umbri e dai Pelasgi (coloro che fondarono Spina e che verosimilmente originarono gli Etruschi), mutano il loro nome dopo la traversata nell'isola mediterranea, avvenuta 80 anni prima della Guerra di Troia. (Filisto FGrHist 556 F 46)
E ancora: « La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (Antioco di Siracusa, in Dionigi di Alicarnasso 1, 12). Da altre fonti pare che, alla fine della guerra di Troia (svoltasi nel 1.194/1.184 a.C.) un gruppo di Troiani, scampati su navi e alla caccia di Achei, sarebbero approdati nelle coste occidentali della Sicilia e stabilita la loro sede ai confini con i Sicani, sarebbero stati tutti compresi sotto il nome di Elimi, e le loro città sarebbero state chiamate Erice e Segesta; inoltre si sarebbero stanziati presso di loro anche un gruppo di greci originari della Focide, reduci anch'essi da Troia.

Dal 1.250 a.C. - Per i coltivatori dell'epoca, bastava che qualcosa andasse storto nel precario equilibrio dell'agricoltura di sussistenza, che non si otteneva nessun raccolto e popoli interi subivano la fame e la disperazione. Fu per primo il classicista Rhys Carpenter ad elaborare una sconvolgente teoria, nel 1966, che successivamente è stata confermata dai climatologi Bryson, Reid e Lamb, studiando gli inverni greci degli anni '50. I minimi depressionari invernali sul Mediterraneo occidentale si portarono più ad ovest del normale, e sulla Turchia si rafforzava sempre più l'anticiclone. Le vie dei temporali, che normalmente portano pioggia alla Grecia meridionale, deviarono bruscamente verso nord. Atene e l'Attica ebbero quindi un clima più umido del solito; Peloponneso meridionale e Beozia avrebbero avuto, come buona parte dell'Anatolia e della Libia (con conseguenze anche su Sicilia e Sardegna), un crollo delle precipitazioni pari al 50-60%. In quei posti e in quei climi, questo significa solo una cosa: desertificazione. In Grecia, in estate, il sole ed il vento secco e asciutto di Melteni, sottopongono i terreni ad uno stress idrico molto violento, che normalmente le piogge e la neve (più frequente che da noi per quanto più meridionali) tendono a recuperare, ma in mancanza di questa è crisi, crisi finisce solo con il ritorno delle piogge, quando le comunità costrette al nomadismo dalla fame possono ritornare stanziali. Quello è stato l'inizio di una serie di gravi periodi di siccità succedutisi nell'arco di 150 anni, tra il 1.250 e il 1.100 a.C. circa. 
Dal National Geographic Italia: "Gli scienziati hanno notato che intorno al 1.250 a.C., nel levante dell'area mediterranea si è verificato un netto calo di querce, pini e carrubi, la tradizionale flora del Mediterraneo durante l'Età del Bronzo, e un aumento delle piante che si trovano di solito in regioni semi-aride. Si notava anche una grossa diminuzione degli ulivi, segno di una crisi dell'agricoltura. Tutto insomma faceva pensare che la regione fosse afflitta da siccità gravi e prolungate. Gli anni fondamentali per il crollo furono probabilmente quelli tra il 1185 e il 1130 a.C., ma si trattò di un processo che avvenne su un arco di tempo abbastanza lungo. Il cambiamento climatico agì come una scintilla che diede il via a una serie di eventi a catena. Il crollo dei raccolti costrinse alcuni gruppi che abitavano nelle regioni settentrionali a migrare in cerca di cibo, combattendo con altre comunità che a loro volta si spostarono per terra e per mare. Questa reazione a catena suscitò guerre e distruzioni e mise in crisi il delicato sistema commerciale dell'epoca. Le conclusioni raggiunte dagli scienziati, anche grazie alla datazione al radiocarbonio, coincidono quasi alla perfezione con i pochi resoconti storici del periodo, che appunto narrano di carestie, interruzioni delle rotte commerciali, tumulti, saccheggi e guerre per impadronirsi delle scarse risorse."  
Mario Liverani nel manuale Antico Oriente - Storia società economia: “...Guerre e deportazioni, spopolamento e crisi produttiva, portano carestie e pestilenze (...) particolarmente alla metà del XIV secolo e poi alla fine del XIII a.C. Gli affannati richiami degli ultimi re hittiti ai loro residui vassalli, per ottenere a qualunque costo del grano, o l'intervento dell'Egitto 'per mantenere in vita il miserabile paese di Hatti' mostrano una situazione di gravità eccezionale.
Le carestie nel Mediterraneo iniziate con una siccità locale che aveva coinvolto solo alcune zone del Peloponneso e dell'Anatolia, scatenarono una serie di guerre e di migrazioni a catena di interi  popoli
La struttura di comando della civiltà micenea ne fu spazzata via, i grandi palazzi di Pilo, Tirinto, Micene abbattuti e dati alle fiamme. Delle civiltà acquatiche delle Terramare padane rimarranno cumuli di terra mentre Peloponnesiaci, Libici, Anatolici occidentali, Siculi e Sardi formarono una lega di popoli, uniti dalla fame e dalla disperazione, che si lanciò come un colpo di maglio contro i più potenti imperi di allora: quello Ittita (che fu distrutto) e quello egiziano (che resse, dopo una serie di terribili battaglie nel Delta del Nilo).
La tarda Età del Bronzo è caratterizzata quindi da bande di predoni, detti "Popoli del mare" che attaccano e razziano le coste del Mediterraneo orientale.

Nel 1.208 a.C. - Nella "Grande iscrizione di Karnak", Merenptah, tredicesimo figlio di Ramesse II e faraone dal 1212 al 1202 a.C., ricorda la sua vittoria su una prima ondata di invasione dei cosiddetti "Popoli del Mare", nella quale avrebbe ucciso 6.000 nemici e fatto 9.000 prigionieri. L'attacco venne condotto da una coalizione composta da tre tribù Libiche (Libu, Kehek e Mushuash) e dai "popoli del mare", composti da cinque gruppi:
Grande iscrizione di Karnak.
- Eqweš o Akawaša,
- Tereš o Turša o Twrs o Twrshna o Tursha,
- Lukka,
- Šardana o Šerden e
- Šekeleš.
Nell'iscrizione, il faraone egizio Merenptah parla di "nazioni (o popoli) stranieri del mare". I Popoli del Mare erano una confederazione di predoni del mare provenienti dall'Europa meridionale che insidiavano il Mar Mediterraneo orientale. Sul finire dell'età del bronzo invasero l'Anatolia, la Siria, Canaan, Cipro e l'Egitto. Le tavolette egee in lineare B di Pylos risalenti alla tarda età del bronzo dimostrano la diffusione, in quel periodo storico, di bande di guerrieri mercenari e la migrazioni di popolazioni (alcuni autori si sono chiesti quali fossero i motivi). Tuttavia la precisa identità di queste "popolazioni del mare" è ancora un enigma per gli studiosi. Alcuni indizi suggeriscono che per gli antichi egizi l'identità e le motivazioni di queste popolazioni non erano sconosciute, infatti molte avevano cercato ingaggio presso gli Egiziani o avevano intrattenuto relazioni diplomatiche con essi a partire almeno dalla media età del bronzo. Per esempio alcuni Popoli del Mare, come gli Shardana, furono utilizzati come mercenari dal faraone Ramses II. Le iscrizioni in geroglifico del tempio funerario del faraone Ramses III (1193-1155 a.C.) di Medinet Habu, nei pressi di Tebe, racconta che, circa venti anni più tardi, Ramesse III dovette respingere una seconda invasione degli "Haunebu", i "Popoli del mare" in egizio. I popoli del mare si erano coalizzati questa volta con i Pelasgi-Filistei (i Peleset) ed erano composti da Peleset, Zeker o Tjeker, Šekeleš (Siculi), Danuna o Denyen, Šerden e Wešeš. Segue un'elenco dei presunti "Popoli del mare":

Bronzetto di
Guerriero Sardo
 nuragico.
Nave Shardana.
- I Shardana sono citati per la prima volta dalle fonti egizie nelle lettere di Amarna (1.350 a.C. circa) durante il regno di Akhenaton. Compaiono poi durante il regno di Ramses II, Merenptah e Ramses III con i quali ingaggiarono numerose battaglie navali.
Gli Shardana fecero parte della guardia reale del faraone Ramses II durante la battaglia di Qadeš e, sempre in qualità di mercenari, furono stanziati in colonie in Medio e Alto Egitto fino alla fine dell'età ramesside come testimoniato da vari documenti amministrativi databili al regno di Ramses V e di Ramses XI. Nelle raffigurazioni utilizzano lunghe spade triangolari, pugnali, lance e uno scudo tondo. Il gonnellino è corto, sono dotati di corazza e di un elmo provvisto di corna. Le generiche similitudini fra il corredo bellico dei guerrieri Shardana e quello dei nuragici della Sardegna, nonché l'assonanza del nome Shardana con quello di Sardi-Sardegna, hanno fatto ipotizzare, ad alcuni, che gli Shardana fossero una popolazione proveniente dalla Sardegna o che si fosse insediata nell'isola in seguito alla tentata invasione dell'Egitto.

- Šekeleš, un tempo anche scritto Sakalasa o, più correttamente, Shakalasha (Shklsh). Sono stati associati ai Siculi, popolazione di probabile etnia Ligure che si stanziò nella tarda età del bronzo in Sicilia orientale, scacciando verso occidente i Sicani. Questi Liguri erano denominati Siculi, dal nome di un loro capotribù, Siculo o Siculos o Sikelòs. "I Šekeleš erano uno dei popoli del Mare, che nel nome ricordano appunto il termine greco Sikelioi, i Siculi: questo popolo di pirati/invasori, coalizzato con altri Popoli del Mare, fu sconfitto e ricacciato dall’Egitto nel 1176 a.C. dal Faraone Ramses III ("Storica" del National Geographic, numero 42, agosto 2012, pagg. 45-56)".

Carta dei territori di Canaan
 occupati dalle 12 tribù di
Israele e del territorio
occupato dai Filistei:
l'attuale striscia di Gaza.
Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
- I Peleset (i Pelasgi) chiamati poi Filistei  dopo il loro insediamento nel Canaan, raffigurati con il caratteristico elmo piumato delle genti egee, documentati anche nella Bibbia, secondo cui provenivano da Kaftor, forse identificabile con Creta. I Filistei si insediarono sul finire dell'età del bronzo in Palestina dove costituirono varie città-stato; i ritrovamenti archeologici farebbero ipotizzare un'origine egea di questa popolazione, probabilmente micenea. Alcune recenti scoperte hanno permesso di stabilire una loro presenza in Sardegna in concomitanza (o in un periodo antecedente) ai Fenici. Secondo la Bibbia quindi, i Filistei sono uno dei popoli del mare, che probabilmente arrivavano da Creta, e secondo gli storici furono una popolazione molto antica, di origine indoeuropea, che si stanziò tra il 1200 e l'800 a.C. nell'attuale Palestina (nome che deriva da Philastinia); secondo altri invece, il nome Palestina deriva dalle popolazioni migrate dalla valle dell'Indo nel 3.250 a.C., quelli che noi chiamiamo Fenici e che erano gli stessi che poi abitarono sulle coste orientali dell’italia meridionale, che allora presero il nome di Yoni poiché portavano un bastone biforcuto a forma di Y per simbolizzare i genitali femminili (erano infatti portatori di una cultura matriarcale). Quando proseguirono per il medio oriente li chiamarono Pallis (palo, bastone, pastori), a causa del bastone, e dopo che si insediarono nel territorio circostante le rive del giordano denominarono quella terra “Pallis-tan” (tan = terra), che significa “Terra dei Pastori”, italianizzato in Palestina. Comunque sia, dopo la repressione della rivolta giudaica guidata da Bar Kochava nel 135, l'Imperatore Adriano intese cancellare il nome di Judea sostituendolo con quello di Palestina. Quando i Filistei, fondendosi con la popolazione cananea preesistente, ne adottarono il pantheon, scelsero (come tutti i popoli loro vicini) una divinità in particolare quale loro "dio nazionale": Dagon, il padre di Baal. Questa divinità, denominata Ba' al Zəbûl, Il signore della Soglia (dell'Aldilà), è entrata a far parte della mitologia ebraica, cristiana ed islamica con il nome con cui la definisce la Bibbia, tramite uno sprezzante gioco di parole: Ba' al Zebub, "Il signore delle mosche". Da qui deriva il nome dell'entità diabolica suprema: Belzebù, uno dei "sette prìncipi dell'Inferno", identificato anche dalla tradizione cristiana come un demone. La Bibbia parla di un tempio dedicato a Dagon ad Ekron (a soli 35 km da Gerusalemme), descrivendolo come un tempio cananeo puntellato da due pilastri centrali. La narrazione biblica descrive infatti l'atto di Sansone che, ottenuta da Yahweh una forza sovrumana, abbatte i due pilastri, provocando il crollo dell'intero tempio. Sansone muore schiacciato assieme ai filistei presenti nel tempio di Dagon. Da qui il celebre detto "Muoia Sansone con tutti i Filistei".

Zeker o Tjeker, menzionati anche dai documenti ittiti sembrano costituire insieme ai Peleset un gruppo omogeneo, distinti solo in quanto dediti alle attività marinare. Sono stati anche messi in relazione con i Teucri.

- I Libu, popolo identificato con nome Libici, si insediarono sotto la Cirenaica. Nelle rappresentazioni Egizie i "Libu/i" , vengono rappresentati con caratteristiche somatiche "europee" , carnagione rosea, occhi chiari e barba biondiccia (forse di derivazione Mechta-Afalou).

- I Lukka dovevano occupare la costa meridionale dell'Anatolia e l'isola di Cipro ed erano considerati nei documenti ittiti un vero e proprio stato con dominio sul mare. Successivamente si stanziarono forse nella regione anatolica della Licia. Con i Licii stessi vengono identificati, e si tratterebbe allora di una popolazione greco-indoeuropea. Il nome di tale popolazione viene fatto derivare dalla radice indoeuropea leuk- luk- ("luce").

- Gli Eqweš o Akawaša, forse identificabili con gli Ahhiyawa degli archivi ittiti di Ḫattuša e Ugarit, ossia probabilmente gli "Achei", micenei di stirpe greca, che dovevano essersi già stabiliti sulla costa occidentale dell'Anatolia: la Millawanda dei testi ittiti potrebbe essere identificata con Mileto, mentre Wiluša indicherebbe forse Ilio, Troia. Un ostacolo a questa identificazione tra Eqweš e Ahhiyawa, o Achei, consiste tuttavia nel fatto che i primi sembra praticassero la circoncisione e che quest'uso è piuttosto insolito tra le popolazioni indoeuropee, di cui gli Achei fanno parte.

- I Tereš Turša o Twrs (Twrshna, o Tursha) possono essere identificati con con le genti chiamate dai greci Turs-anòi (in dorico), Tyrs-enòi (in ionico), Tyrrh-enoi (in attico) e dai latini Tus-ci (da Turs-ci) ed E-trus-ci. Nelle lingue antiche la "c" e la "g" erano dure, come in cane e gallo, per cui Tusci si pronuncia "tuschi" ed Etrusci si pronuncia "etruschi". Questa identificazione sembra avvalorare il racconto di Erodoto circa l'origine anatolica di questo popolo, ma soprattutto la mitica parentela degli Etruschi con i Troiani cantata da Virgilio nell'Eneide. Rapporti dei Tirreni o Etruschi col mondo Mediterraneo orientale dell'isola di Lemno (che si trova a poche miglia dinanzi a Troia) sembrerebbero esistere in seguito al ritrovamento della cosiddetta Stele di Lemno, un'iscrizione rinvenuta nel 1885, in cui è attestata la Lingua lemnia un dialetto simile all'etrusco. Tale stele è comunque al vaglio degli studiosi in quanto sembrerebbe ascrivibile al VI secolo a.C. In alternativa alcuni studiosi mettono in relazione il loro nome con l'ebraico Taršiš e con l'iberico Tartessos. Tuttavia dei Tirreno-Etruschi, nei testi d'epoca Miceneo-Ittita e nei poemi classici Odissea e Iliade, non si trova traccia.

Danuna o Denyen, di provenienza anatolica, è stata proposta una loro identificazione con i Dauni e i Danai, altro nome dei Micenei di stirpe greca.

Wešeš, forse in relazione con la città di Wiluša, che a sua volta è forse identificabile con Troia.

Dal 1.200 a.C. - Si sviluppa in Europa un'Età del Ferro i cui maggiori centri sono Halstatt, Huttenberg e Cnosso.
- Mario Liverani in "Mutamenti climatici nell’antichità vicino-orientale e mediterranea", Torino 17-18 maggio 2012 afferma: "I dati climatici (in particolare le sequenze dendrocronologiche e polliniche) mostrano un episodio di brusca aridità, breve ma intensa, intorno al 1200 a.C. seguita poi da una fase di prolungata instabilità e aridità fino alla metà del IX secolo. I dati archeologici mostrano una serie di distruzioni dei centri urbani e palatini in Grecia (è il collasso della civiltà micenea), in Anatolia e nel Levante siro-palestinese all’inizio del XII secolo, e poi una prolungata fase di localismo, dimensione di villaggio e campi pastorali per tutta la prima età del Ferro, fino appunto alla metà del IX secolo. E i testi documentano bene sia la carestia alla fine del XIII secolo, sia la famosa invasione dei cosiddetti “Popoli del Mare” - genti di provenienza balcanica che si riversano dapprima nell’Egeo (è quella che le tradizioni classiche definivano l’invasione dorica) e poi in Anatolia e nel Levante - nel 1190 a.C., con il crollo dell’impero hittita e il restringimento di quello egiziano. Infine i testi documentano bene il successivo “effetto domino” anche nelle zone ad est dell’Eufrate (Assiria e Babilonia) ma con un décalage di un secolo buono rispetto all’invasione dei Popoli del Mare. In questo caso dunque le coincidenze sembrano già così ben documentate e circostanziate da renderci sicuri della spiegazione.
Località di rilievo nelle civiltà dei metalli europee: dopo la
civiltà del Rame, la civiltà del Bronzo dal II millennio,
civiltà del Ferro dal XII secolo a.C., i cui maggiori centri 
in Europa sono: Halstatt, Huttenberg e Cnosso.
Ovviamente la presentazione di questi casi andrebbe meglio articolata, e altri casi si potrebbero e dovrebbero aggiungere, sia per l’area circum-sahariana, sia per quella dell’Indo, sia per quella dell’Asia centrale. Ma l’esemplificazione mi pare già così sufficiente per chiarire come gli studi di proto-storia e di storia antica del mondo mediterraneo e vicino-orientale abbiano ormai ben superato il tabù della storiografia idealistica, si stiano attrezzando per metabolizzare le procedure (e comunque i risultati) di ambito scientifico, e stiano contribuendo alla costruzione di una storia delle società umane in cui il fattore ambientale e le variazioni climatiche occupano il posto che loro compete. Resta escluso, almeno spero, ogni riduzionismo: i processi e gli eventi messi in moto dai fattori climatici hanno una loro complessità di concause, di meccanismi e di effetti di natura sociale e tecnologica, economica e politica, culturale e simbolica, nonché le loro peculiarità regionali e diacroniche, che costituiscono il valore della storia nel suo senso più pieno."

- Il periodo che va  dal  1.200 a.C. al 1.000 a.C. è perciò abbastanza oscuro, ma ci si sta convincendo che la carestia del 1.200 a.C. sia stato l'evento scatenante il riassetto del quadro politico mediterraneo e mediorientale: secondo la ricerca di David Kaniewski, dell’Università Tolosa III - Paul Sabatier, effettuata assieme a colleghi di altre istituzioni e pubblicata sulla rivista on-line PlosONE, i ricercatori sono giunti alla conclusione che la crisi della tarda età del bronzo, piuttosto che imputabile ad una serie di eventi non correlati, sia stata provocata dal cambiamento radicale del clima, scatenante una siccità a cui sarebbero seguite carestie, inevitabili conflittualità politiche e invasioni dal mare da parte di popoli in cerca di fonti di sostentamento. Gli studiosi sottolineano anche che questo evento è in stretto rapporto con la sensibilità alle variazioni climatiche delle società dipendenti dalle proprie risorse agricole. Sensibilità e struttura economica, un binomio che, con il variare del clima, avrebbe portato inevitabilmente alla rovina. 
Pare del resto che la sequenza dendrologica di Gordion (la città, oggi turca di Gordio, del famoso nodo sciolto da Alessandro Magno con un colpo di spada) registri intorno al 1.200 a.C. un seguito di sette-otto anni particolarmente secchi: ciò che spiegherebbe la rovinosa carestia che investe una Anatolia già in difficoltà. Altrove, in bassa Mesopotamia, è stato il progressivo collasso della rete dei canali mettere in crisi l'agricoltura.
Tutto il Mediterraneo stava vivendo un periodo caratterizzato da catastrofi naturali con conseguenti migrazioni di popoli e da oriente giunse l'ultima ondata di tribù indoeuropee che, con lo sviluppo del fenomeno celtico, completò l'opera di mutamento culturale destinato a modificare per sempre il volto dell'Europa, in cui l'economia era ridotta a pastorizia e agricoltura.

- Dal National Geographic Italia: "Gli anni fondamentali per il crollo furono probabilmente quelli tra il 1.185 e il 1.130 a.C., ma si trattò di un processo che avvenne su un arco di tempo abbastanza lungo. Il cambiamento climatico agì come una scintilla che diede il via a una serie di eventi a catena. Il crollo dei raccolti costrinse alcuni gruppi che abitavano nelle regioni settentrionali a migrare in cerca di cibo, combattendo con altre comunità che a loro volta si spostarono per terra e per mare. Questa reazione a catena suscitò guerre e distruzioni e mise in crisi il delicato sistema commerciale dell'epoca. Le conclusioni raggiunte dagli scienziati, anche grazie alla datazione al radiocarbonio, coincidono quasi alla perfezione con i pochi resoconti storici del periodo, che appunto narrano di carestie, interruzioni delle rotte commerciali, tumulti, saccheggi e guerre per impadronirsi delle scarse risorse."

- Da https://ilbolive.unipd.it/it/news/cambiamenti-climatici-territorio-terramare: "Nella fase finale dell'età del bronzo recente, che va dalla fine del XIII all'inizio del XII a. C., c'era una provincia del mondo terramaricolo, ovvero quella della bassa pianura veronese, il cui centro fondamentale è il Fondo Paviani, che metteva in rapporto diretto i navigatori egei e levantini.
I principali centri di commercio delle Terramare
prima e dopo le carestie del 1.200 a.C.
Questi ultimi, in un momento storico che corrisponde al collasso della civiltà micenea, arrivarono fino al delta del Po, e risalendo il fiume entrarono in contatto con i gruppi terramaricoli delle pianure veronesi. Il loro scopo non era tanto l'approvvigionamento del metallo, materiale di cui si rifornivano sull'isola di Cipro, bensì quello dell'ambra. Si tratta di una resina fossile che si trova soprattutto sulle coste del Mar Baltico e del Mare del Nord. È una materia prima inutile, ma di grande lusso. Poiché la civiltà delle terramare controllava l'afflusso di queste materie prime fondamentali, aveva raggiunto il suo apice anche dal punto di vista della pressione insediativa. Tutta la pianura e le fasce collinari, pedemontane, pedeappenniniche e appenniniche erano state completamente occupate grazie agli avanzatissimi sistemi di gestione delle acque. La deforestazione aveva raggiunto un punto limite. L'abbattimento della copertura forestale per far spazio ai campi, ai pascoli e agli insediamenti aveva causato problemi di carattere geomorfologico, come il degrado dei suoli e il ruscellamento. I terreni venivano ipersfruttati anche dal punto di vista della produzione, poiché c'era un'enormità di gente da sfamare, e ciò aveva provocato un impoverimento dei suoli. Tutto questo ha innescato una sorta di effetto domino che ha progressivamente reso il sistema delle terramare non più sostenibile. A questo si è aggiunto anche un aspetto di carattere climatico non dipendente dall'impatto antropico, al contrario di ciò che invece accade oggi. Sulla base dei dati archeologici, archeobotanici e geomorfologici possiamo osservare che nella Pianura padana e nell'intera Europa, intorno al 1200 a.C. si verificò un'oscillazione climatica in senso arido piuttosto rapida, la quale determinò anche l'abbassamento delle falde acquifere
Questa sorta di “tempesta perfetta”, in parte autoindotta, perché dovuta all'autodistruzione a cui i terramaricoli erano andati incontro inconsapevolmente dopo aver raggiunto il loro apice, e in parte eteroindotta, derivante da questa oscillazione arida, determinò l'impossibilità di portare avanti un sistema che aveva funzionato per centinaia di anni.
C'è da dire, comunque , che la risposta a questa crisi fu diversa tra l'area a nord del Po e quella a sud. Quest'ultima, quella dell'Emilia, fu completamente spopolata. Ci sono evidenze che confermano che gli ultimi gruppi terramaricoli migrarono da questi territori, in cui era diventato difficile vivere, verso l'Italia centro-meridionale.
Nelle zone a nord del Po, invece, vennero messe in campo delle strategie di resilienza: il territorio era solcato infatti da grandi fiumi di risorgiva che subivano meno gli effetti negativi della transizione climatica in senso arido. Per questo, il sistema delle terramare nord padane non collassò, ma attraverso un processo di iperselezione e iperconcentrazione del popolamento, diede vita a un nuovo sistema, che vide nel Po e nell'Adige i due assi fluviali fondamentali, composto però da pochi insediamenti, il più importante dei quali fu quello di Frattesina di Fratta Polesine, che ereditò dal sito di Fondo Paviani e dall'area delle valli veronesi quella vocazione a diventare centro di scambio internazionale".

Per eventuali integrazioni vedi "Storia dell'Europa n.12: dal 1.320 al 1.200 p.e.v. (a.C.)" QUI.


Indice del blog "Storia":
Per "1992: Il meccanismo politico-economico che ha causato la formazione di questa UE con la conseguente
        perdita della sovranità italiana" clicca QUI
Per "Le guerre coloniali del Regno d'Italia" clicca QUI
Per "Le cause della prima guerra mondiale, che originò fra l'altro Israele e i conflitti nel mondo arabo" clicca QUI
Per "Occitani: storia e cultura" clicca QUI
Per "Celti: storia e cultura" clicca QUI
Per "Liguri: storia e cultura" clicca QUI
Per "Breve storia del Cristianesimo, da setta giudaica minore al primato nella Roma imperiale:
        cattolica, universale e teocratica" clicca QUI
Per "Cristianesimo: da setta giudaica a religione di Stato" clicca QUI
Per "Elenco degli storici antichi dell'Occidente" clicca QUI
Per "Evidenze storiche nel mito della fondazione di Roma" clicca QUI
Per "Ebraismo: origini, storia e cultura" clicca QUI
Per "Variazioni del clima dall'ultima glaciazione" clicca QUI
Per "Grande Storia dell'Europa - 5° - Dal 1.914 al 2.014 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Grande Storia dell'Europa - 4° - Dal 1.096 al 1.914 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Grande Storia dell'Europa - 3° - Dal 90 al 1.096 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Grande Storia dell'Europa - 2° - Dal 1.200 p.e.v. (a.C.) al 90 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Grande Storia dell'Europa - 1° - Dalla formazione della Terra al 1.200 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI 
Per "Storia dell'Europa n.78: dal 2.010 al 2.014 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.77: dal 2.003 al 2.010 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.76: dal 1.992 al 2.003 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.75: dal 1.978 al 1.992 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.74: dal 1.948 al 1.978 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.73: dal 1.940 al 1.948 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.72: dal 1.922 al 1.940 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.71: dal 1.918 al 1.922 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.70: dal 1.913 al 1.918 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.69: dal 1.897 al 1.913 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.68: dal 1.861 al 1.897 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.67: dal 1.800 al 1.861 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.66: dal 1.776 al 1.800 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.65: dal 1.707 al 1.776 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.64: dal 1.642 al 1.707 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.63: dal 1.543 al 1.642 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.62: dal 1.519 al 1.543 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.61: dal 1.453 al 1.519 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.60: dal 1.416 al 1.453 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.59: dal 1.324 al 1.416 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.58: dal 1.251 al 1.324 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.57: dal 1.228 al 1.251 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.56: dal 1.204 al 1.228 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.55: dal 1.189 al 1.204 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.54: dal 1.145 al 1.189 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.53: dal 1.102 al 1.145 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.52: dal 1.095 al 1.102 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.51: dal 1.075 al 1.095 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.50: dal 1.034 al 1.075 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.49: dal 992 al 1.034 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.48: dall' 879 al 992 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.47: dall' 827 all' 879 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.46: dal 759 all' 827 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.45: dal 680 al 759 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.44: dal 600 al 680 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.43: dal 554 al 600 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.42: dal 538 al 554 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.41: dal 493 al 538 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.40: dal 452 al 493 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.39: dal 415 al 452 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.38: dal 391 al 415 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.37: dal 374 al 391 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.36: dal 326 al 374 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.35: dal 313 al 326 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.34: dal 286 al 313 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.33: dal 257 al 286 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.32: dal 193 al 257 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.31: dal 161 al 193 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.30: dal 90 al 161 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.29: dal 50 al 90 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.28: dal 27 p.e.v. (a.C.) al 50 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.27: dal 49 al 27 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.26: dal 73 al 49 p.e.v. (a.C)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.25: dal 91 al 73 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.24: dal 146 al 91 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.23: dal 301 al 146 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.22: dal 367 al 301 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.21: dal 404 al 367 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.20: dal 450 al 404 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.19: dal 500 al 450 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.18: dal 540 al 500 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.17: dal 650 al 540 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.16: dal 753 al 650 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.15: dall' 850 al 753 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.14: dal 1.150 all' 850 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.13: dal 1.200 al 1.150 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.12: dal 1.320 al 1.200 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.11: dal 1.550 al 1.320 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.10: dal 1.680 al 1.550 p.e.v.(a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.9: dal 1.900 al 1.680 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.8: dal 2.500 al 1.900 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.7: dal 3.500 (inizio della Storia) al 2.500 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.6: dal 6.000 al 3.500 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.5: dal 15.000 al 6.000 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.4: dal 40.000 al 15.000 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.3: da 130.000 anni fa al 40.000 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.2: da 2.500.000 a 130.000 anni fa" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.1: dalla formazione della Terra a 2.500.000 anni fa" clicca QUI

Da altri 7 blog:
Per "Massoneria: storia, usi e costumi" clicca QUI
Per i post "Il pensiero nell'Italia contemporanea" clicca QUI
Per i post "Il pensiero nel mondo contemporaneo" clicca QUI
Per i post "La politica nell'Italia contemporanea" clicca QUI
Per i post "La politica nell'Europa contemporanea" clicca QUI
Per i post "Musica interpreti video testi e storia" clicca QUI
Per "Nell'ambito geopolitico, il processo italiano di svilimento della Costituzione e perdita della sovranità nazionale
        a favore dell'Ue a guida franco-tedesca" clicca QUI
Per "L'Unione Europea: le origini, i moventi, la storia, le politiche e le crisi" clicca QUI
Per i post "Storia dell'Economia Politica" clicca QUI
Per "Scienze: Informatica" clicca QUI
Per "Stelle e Costellazioni visibili nel nostro Cielo" clicca QUI
Per "La Precessione degli Equinozi" clicca QUI
Per i post "Astrologia evolutiva, progressiva, oroscopo, numerologia" clicca QUI
Per i post "Satir-Oroscopo" clicca QUI
Per "Il Feg-Shui: Scuole della Bussola e del Ba Gua" clicca QUI
Per "I Chakra o Centri energetici fisici: dove sono e come si possono rilevare" clicca QUI
Per i post "Pietre e Cristalli" clicca QUI
Per i post "Aforismi, Foto e Frasi dei Nativi Nord Americani (gl'Indiani d'America)" clicca QUI
Per i post "Nativi Americani: Personaggi di spicco" clicca QUI
Per "Elenco tribù, personaggi, eventi e culture dei Nativi Nord-Americani, gl'Indiani d'America" clicca QUI
Per "Culture e aree culturali dei Nativi Nord-Americani, gl'Indiani d'America" clicca QUI
Per "Oroscopo degli Alberi celtico" clicca QUI
Per "Croce Celtica" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Celti" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Ebraico-Cristiani" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Romani" clicca QUI
Per i post "Politica nell'antica Roma" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Greci" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Ebrei" clicca QUI
Per "Antichi Liguri: a Tartesso prima di Fenici e Greci" clicca QUI
Per "L'oliva taggiasca, prodotto d'eccellenza" clicca QUI
Per "L'olio d'oliva taggiasca: parametri e unità di misura" clicca QUI
Per "Pista ciclo-pedonale nella Riviera dei Fiori" clicca QUI
Per "Sulle datazioni del manoscritto anonimo settecentesco e le fonti storiche sui Liguri" clicca QUI
Per "Sanremo: favolose origini e tesori nascosti" clicca QUI
Per "Il passaggio di Ercole (Heràcle) dal ponente ligure" clicca QUI
Per "La vita nel Mar Ligure e nelle acque della Riviera dei Fiori" clicca QUI

Nessun commento:

Posta un commento