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giovedì 21 febbraio 2019

Storia dell'Europa n.28: dal 27 p.e.v. (a.C.) al 50 e.v. (d.C.)

Cartina di Roma antica con i nomi dei 7 colli fino alle mura
serviane del VI sec. a.C., e l'espansione della Roma
Repubblicana e Imperiale fino alle mura aureliane del
III sec. d.C.. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Nel 27 a.C. - Il 16 gennaio  Ottaviano, che da qui in avanti sarà chiamato Augusto (degno di  venerazione), restituisce formalmente nelle mani del senato e del popolo romano i poteri  straordinari assunti per la guerra contro Marco Antonio e riceve:
- il titolo di console da rinnovare annualmente,
- una potestas con maggiore auctoritas rispetto agli altri magistrati (consoli e proconsoli), poiché aveva diritto di veto in tutto l'Impero, a sua volta non assoggettato ad alcun veto da parte di qualunque altro magistrato;
- l'imperium proconsolare decennale, rinnovatogli poi nel 19 a.C., sulle cosiddette province "imperiali" (compreso il controllo dei tributi delle stesse), vale a dire le province dove fosse necessario un comando militare, ponendolo di fatto a capo dell'esercito;
- il titolo di Augusto (su proposta di Lucio Munazio Planco), cioè "degno di venerazione e di onore", che sancisce la sua posizione sacra che si fondava sul consensus universorum di Senato e popolo romano;
- l'utilizzo del titolo di Princeps ("primo cittadino");
- il diritto di condurre trattative con chiunque volesse, compreso il diritto di dichiarare guerra o stipulare trattati di pace con qualunque popolo straniero.

Province senatorie e imperiali nell'impero romano, da: https
://it.wikipedia.org/wiki/Provincia_imperiale#/media/Fi
le:Senatorial_and_Imperial_provinces_in_14_AD.png
- Nello stesso 27 a.C., Augusto effettua la suddivisione dell'impero in province senatorie e imperiali.
- Alcune province, in genere quelle di più antica annessione e ormai pacificate, nelle quali non era necessaria la presenza di legioni, sono affidate al controllo del Senato (province senatorie) e rette, secondo il modello dell'epoca repubblicana, da proconsoli (Proconsul provinciae) o propretori, eletti annualmente, a capo delle truppe lì stanziate a cui il senato stesso avrebbe potuto in qualunque momento emanare un senatus consultum limitandone o revocandone i poteri conferiti. A questi si affiancavano i proquestori per l'amministrazione finanziaria e i procuratori imperiali, che si occupavano dell'amministrazione delle proprietà del principe (res Caesaris). La Numidia, l'Africa proconsolare, l'Asia, l'Acaia e l'Epiro, l'Illyricum, la Macedonia, la Sicilia, Creta e Cirene, Bitinia e Ponto, Sardegna e Corsica, Hispania Baetica erano province senatorie e a partire dal 22 a.C. Augusto cedette al Senato le province della Gallia Narbonense e di Cipro ottenendo in cambio quella dell'Illyricum.
- Le province imperiali erano quelle in cui il governatore era nominato direttamente ed unicamente dall'imperatore. Queste province erano spesso province di confine, strategicamente e militarmente importanti per la sicurezza dell'Impero o comunque quelle non del tutto pacificate o nelle quali erano da poco scoppiate guerre o rivolte; lo scopo ultimo, non troppo celato, era il controllo della pressoché totalità delle legioni da parte dell'imperatore. Si trattava delle province (esclusa l'Africa proconsolare) che si trovavano lungo il limes romano, in cui erano presenti delle legioni, soprattutto nei suoi tratti renano-danubiano-orientale. A questo sistema, faceva eccezione, già al tempo di Augusto, la prima provincia imperiale per costituzione, ovvero l'Egitto, che era assegnata ad un Praefectus Aegypti di rango equestre e di nomina imperiale, l'unico fra i governatori equestri che avesse al proprio comando una o più legioni. La Hispania Tarraconensis, la Hispania Lusitania, la Gallia Comata (o Tres Galliae), la Gallia Narbonensis (divenuta poi provincia senatoria dal 22 a.C.), la Siria (a cui fu unita la Cilicia e Cipro fino al 22 a.C.) e l'Egitto erano province imperiali. A partire dal 22 a.C. Augusto cedette al Senato le province della Gallia Narbonense e di Cipro ottenendo in cambio quella dell'Illyricum. Il potere  dell'imperium consentiva all'imperatore di assumere direttamente il comando delle  legioni  stanziate nelle province "non pacatae" e di avere così costantemente a disposizione una forza militare a garanzia del suo potere, nel nesso inscindibile tra esercito e proprio comandante che era stato creato dalla riforma di Gaio Mario, ormai vecchia più di un secolo. L'imperium gli garantiva inoltre, la gestione diretta dell'amministrazione e la facoltà di emanare decreta, decisioni di carattere giurisdizionale, ed edicta, decisioni di carattere legislativo.

Il Pantheon visto dall'alto.
- Nel 27 a.C., anno in cui Ottaviano ottenne il titolo di Augusto, Marco Vipsanio Agrippa rivestì per la terza volta il consolato insieme all'amico e futuro suocero Augusto. Quello stesso anno Vipsanio Agrippa costruì e dedicò il Pantheon, ricostruito in seguito sotto l'imperatore Adriano, che ripeté sulla trabeazione il testo dell'iscrizione dell'edificio eretto da Agrippa durante il suo terzo consolato (M·AGRIPPA·L·F·COS·TERTIVM·FECIT, ovvero"Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, fece"). Il Pantheon, il tempio dedicato al culto di tutti gli dei (dal greco Pan= tutti e Theon=divinità) che sorge in piazza della rotonda, vicino a piazza Minerva, era stato concepito come Augusteum, ossia come luogo sacro dedicato al divinizzato imperatore Augusto e tempio di tutte le divinità protettrici della sua stirpe. Danneggiato nell’incendio di Roma dell’80 d.C., fu restaurato da Domiziano ed è giunto a noi quasi integro nella ricostruzione eseguita da Adriano nel 130 d.C.. Quasi tutto quello che vi si può ammirare risale all'epoca romana. La cupola, che ha un diametro interno di 44.30 m, è tuttora la più grande mai realizzata in muratura ed è costruita in un conglomerato particolarmente leggero formato da malta e da scaglie di travertino, sostituite man mano che si sale, da lapilli (pozzolana vulcanica) e pietra pomice. Alta 43,4 metri, dalla cupola la luce filtra attraverso l’oculus, l’apertura circolare con un diametro di 9 metri sulla sua sommità, illuminando l’intero edificio. In caso di pioggia, l’acqua che cade all'interno sparisce nei 22 fori quasi invisibili del pavimento, anche se nell'antichità probabilmente la pioggia veniva deviata dalle forti correnti ascensionali prodotte dalle torce accese all'interno. La massiccia porta di bronzo risale all'età romana, così come l'esterno, iscrizione compresa, del 27 a.C.
Il Pantheon all'interno.
Il porticato all'interno è decorato da pregiati marmi policromi e presenta nella facciata 16 colonne monolitiche, alte ben 14 metri, di granito grigio e rosa dotate di capitelli corinzi in marmo e coronato da un frontone con timpano, originariamente decorato da un fregio di bronzo. Di bronzo era coperto anche il soffitto del porticato, ma tale rivestimento fu rimosso nel 1625 per volontà di Urbano VIII Barberini quindi utilizzato dal Bernini per realizzare il Baldacchino in San Pietro. L'interno presenta una pianta circolare caratterizzato dalla maestosità della cupola a cassettoni e l'unica apertura è l'oculus al suo centro, che crea un effetto luminoso che esalta la grandiosità e l'armonia del monumento. Nel 609 il tempio fu donato dall'imperatore Foca a papa Bonifacio IV e fu trasformato in chiesa, dedicata a Santa Maria dei Martiri, cosa che favorì la sua ottima conservazione fino ai giorni nostri. Dopo il 1870, demoliti i due campaniletti laterali, le cosiddette “orecchie d’asino”, fatti realizzare da Urbano VIII al Bernini, il Pantheon venne trasformato nel sacrario dei re d’Italia, e accolse le spoglie di Vittorio Emanuele II, Umberto I e Margherita di Savoia, le cui tombe si affiancarono a quelle di Baldassarre Peruzzi e di Taddeo Zuccari. Inoltre vi è il sepolcro di Raffaello Sanzio, ad ornamento del quale si trova la famosa Madonna del Sasso realizzata da Lorenzetto nel 1520, commissionatagli dallo stesso Raffaello. Nelle cappelle dell'interno si trovano distribuite numerose opere d'arte.

Dal 26 a.C. - L'imperatore Augusto inaugura una serie di campagne militari, fino all'8 a.C., per occupare tutti i territori alpini della Vindelicia e della Rezia al fine di conquistare la Germania Magna fino all'Elba.

Giulia, Altes Museum
di Berlino, di Anagoria
- Opera propria,
CC BY 3.0, QUI.
Nel 25 a.C. - All'età di quattordici anni, Giulia maggiore, figlia di Augusto, sposa il cugino Marco Claudio Marcello (figlio di Ottavia minore, sorella di Augusto), che aveva tre anni più di lei. Sebbene la sua vita sociale fosse tanto controllata che poteva parlare solo con alcune persone autorizzate dal padre, Giulia era stata una bambina molto attraente, ed era stato difficile evitarle l'attenzione della gente. Ottaviano aveva un grande amore per la figlia e Macrobio riferisce un suo commento: «Augusto affermava dinanzi ad alcuni amici che aveva due figlie dilette di cui occuparsi: la Repubblica e Giulia». La vita di Giulia fu in qualche modo legata alla carriera politica del padre. Augusto non era presente al matrimonio poiché era in Hispania, impegnato nelle guerre cantabriche ed era ammalato, così alla cerimonia presenziò il suo amico e collaboratore Agrippa. Marcello, riguardo al quale girava la voce che fosse stato designato erede di Augusto, che organizzò degli splendidi giochi, finanziati dallo stesso imperatore, ma che morì nel settembre 23 a.C.: la coppia non aveva avuto figli, probabilmente perché Giulia, che all'epoca della morte del marito aveva sedici anni, era ancora molto giovane.

Marco Claudio Marcello
di Siren-Com, da QUI.
- Marco Claudio Marcello (Roma, 42 a.C. - Baia (Napoli), 23 a.C.) è stato un politico e militare romano, membro della dinastia giulio-claudia, nipote prediletto e successore designato di Augusto, a cui però premorì. Era figlio di Gaio Claudio Marcello, console nel 50 a.C., e di Ottavia minore, sorella dell'imperatore Augusto. Il suo bisnonno paterno era Marco Claudio Marcello, console per tre volte nel 166, 155 e nel 152 a.C.; questi era a sua volta bisnipote del più celebre Marco Claudio Marcello, il conquistatore di Siracusa durante la seconda guerra punica. La madre era invece figlia di Gaio Ottavio e di Azia maggiore, quest'ultima pronipote materna del dittatore Gaio Giulio Cesare. Ottavia minore, dopo la morte del padre di Marcello, si risposò con il triumviro Marco Antonio, dal quale ebbe Antonia maggiore e Antonia minore. Marcello aveva due sorelle, Claudia Marcella maggiore, moglie di Marco Vipsanio Agrippa, Iullo Antonio e Sesto Appuleio, e Claudia Marcella minore, moglie di Lucio Emilio Lepido Paolo e Marco Valerio Messalla Appiano. Ancora giovanissimo, nel 39 a.C., Marcello viene fatto fidanzare con Pompea Magna, per siglare la pace tra il padre di lei, Sesto Pompeo, con Marco Antonio e Ottaviano. Nel 29 a.C. Marcello apparve insieme allo zio Ottaviano nel suo trionfo per la vittoria su Antonio e Cleopatra e due anni dopo, nel 27 a.C., Ottaviano ottenne il titolo di "Augusto", dando definitivamente inizio all'Impero romano. Nel 26-25 a.C. Marcello militò in Spagna, come tribuno militare, insieme a Tiberio sotto il comando dello stesso Augusto. La sua importanza accrebbe quando fu chiaro che era uno dei primi candidati alla successione di Augusto, il quale gli concesse nella primavera del 25 a.C. di sposare la sua unica figlia, Giulia. Marcello fu istruito in campo militare da Ateneo di Seleucia, che lo accompagnò anche in Spagna, e si racconta che la madre Ottavia avesse scelto per lui un importante pedagogo come Nestore di Tarso, uno dei filosofi dell'accademia degli stoici. Sempre nel 25 a.C. potrebbe essere stato uno dei fondatori del collegio degli Arvali. Il cursus honorum di Marcello fu "accelerato" di 10 anni per decreto del Senato nel 24 a.C., in modo da scavalcare Tiberio nella linea di successione e diventare un concorrente di Agrippa. A Marcello, infatti, era concesso il diritto di diventare senatore tra gli ex pretori e di candidarsi al consolato con dieci anni di anticipo. Nel 24 a.C. fu nominato Edile e diede giochi magnifici, ma alla fine dell'anno successivo morì (nel 23 a.C.) probabilmente vittima di un'epidemia che si abbatté su Roma in quell'anno. Cassio Dione ci racconta anche che prima di morire: «[...] quando Augusto si accorse che Marcello, per via della scelta precedente [Augusto aveva consegnato ad Agrippa l'anello, simbolo del potere imperiale, all'inizio dell'anno, quando si era ammalato gravemente e disperava di poter guarire], era animato da rivalità nei confronti di Agrippa, inviò quest'ultimo con grande celerità in Siria, per scongiurare che, entrambi presenti a Roma, potesse nascere qualche contesa tra i due.» (Cassio Dione, LIII, 32, 1.). Agrippa tornò a Roma subito dopo la morte di Marcello e Augusto lo fece sposare con la figlia Giulia appena rimasta vedova di Marcello, designandolo così a essere suo successore. Scrisse Cassio Dione a proposito dei funerali di Marcello: «Augusto gli diede una sepoltura pubblica, dopo i consueti elogi lo seppellì nella tomba che fece costruire (l'Augusteo) [...] E egli ordinò anche che fossero portati nel teatro [di Marcello] una sedia curule, un ritratto e una corona d'oro durante i Ludi Romani» (Cassio Dione, LIII, 30, 5; 31, 3.). Marcello fu il primo membro della dinastia giulio-claudia a essere sepolto nel Mausoleo di Augusto, come da volontà dello zio. Livia Drusilla, moglie dell'imperatore Augusto e madre di Tiberio e Druso, fu sospettata della morte di Marcello, sulla base del movente secondo cui questi era stato preferito ai figli della stessa, insieme al nuovo erede designato Agrippa; è più plausibile che Marcello fu vittima di un'epidemia che si abbatté su Roma in quell'anno provocando molte morti. Egli fu comunque celebrato da Virgilio nel VI libro dell'Eneide e da Properzio; alla sua memoria fu intitolata la biblioteca del portico di Ottavia. Si racconta che quando Virgilio lesse ad Augusto in anteprima i versi dell'Eneide che parlavano del defunto Marcello, Ottavia svenne per l'emozione. Nel 13 a.C., quando Augusto completò il teatro iniziato da Giulio Cesare per contrapporlo a quello del rivale Pompeo, la nuova struttura prese il nome di teatro di Marcello, in onore dell'amato nipote dell'imperatore morto prematuramente.

- Se Tiberio dovette molto della sua ascesa politica alla madre Livia Drusilla, terza moglie di Augusto, restano indubbie le sue capacità militari di comandante e stratega: rimase imbattuto nel corso di tutte le sue lunghe e frequenti campagne, tanto da divenire, nel corso degli anni, uno dei migliori luogotenenti del patrigno. Data la mancanza di vere e proprie scuole militari che permettessero di fare esperienza, nel 25 a.C. Augusto decise di inviare in Hispania i sedicenni Tiberio e Marcello, in qualità di tribuni militari. Lì i due giovani, che Augusto vedeva come suoi possibili successori, parteciparono alle fasi iniziali della guerra cantabrica, iniziata dallo stesso Augusto nell'anno precedente, e portata a termine, nel 19 a.C., dal generale Marco Vipsanio Agrippa.

Nel 23 a.C. - Anno con cui generalmente si intende l'inizio del principato di Augusto, in cui gli si conferisce la tribunicia potestas a vita (già attribuita nel 28 a.C.), che diventa la vera base costituzionale del potere imperiale: comporta infatti l'inviolabilità della persona e il diritto di intervenire in tutti i rami della pubblica amministrazione, e tutto questo senza i vincoli repubblicani della collegialità della carica e della sua durata annuale. Particolarmente significativo fu il diritto di veto, che garantì ad Augusto la facoltà di bloccare qualunque iniziativa legislativa che considerasse pericolosa per la propria autorità. Nello stesso anno l'imperium di cui già godeva divenne imperium proconsolare maius et infinitum, in modo da comprendere anche le province senatorie: tutte le forze armate dello Stato romano dipendevano ora da lui.

Finisce così la Repubblica di Roma, dove il potere era condiviso fra:
- tribuni della plebe e comizi che eleggevano i consoli, e proponevano leggi da parte del popolo,
- il senato che decideva ogni altra cosa, a cui però i tribuni della plebe potevano opporre un veto, per gli ottimati (aristocratici).
Da qui in poi, nell'impero il popolo non avrà più una rappresentanza politica e il senato degli aristocratici non avrà a disposizione la forza militare primaria, le legioni. Ora tutto il potere era nelle mani di chi disponeva dell'imperium, l'autorità sulla forza militare. L'ambizione di Augusto era quella di essere fondatore di un optimus status, facendo rivivere le più antiche tradizioni romane e nel contempo tenendo conto delle problematiche dei tempi. Il mantenimento formale delle forme repubblicane, nelle quali si inseriva il nuovo concetto della personale auctoritas del princeps (Augusto definiva il princeps come il primo degli uguali, cioè i senatori), permise di risolvere i conflitti per il potere vissuti nell'ultimo secolo della Repubblica.  
Augusto non schiacciò affatto l'antica aristocrazia, ma le affiancò, in una più vasta cerchia del privilegio, il ceto degli uomini d'affari e dei funzionari, organizzati nell'ordine equestre, i cui membri furono spesso utilizzati dall'imperatore per controllare l'attività degli organi repubblicani e per il governo delle province imperiali. Augusto, una volta ricevuti i necessari poteri da parte di Senato e Popolo romano, cominciò ad assumere misure atte a dare all'Italia e alle Province il sospirato benessere dopo oltre un decennio di guerre civili: riordinò il cursus honorum delle magistrature repubblicane, ne creò di nuove (come la figura del curator o quella del praefectus Urbis), ripristinò la carica magistratuale del censore, aumentò il numero dei pretori e promosse leggi che frenavano il diffondersi del celibato e incoraggiavano la natalità, emanando la lex Iulia de Maritandis Ordinibus del 18 a.C. e la lex Papia Poppaea del 9 d.C. (a completamento della prima legge).

- Il termine imperator è un titolo originariamente denso di significati religiosi e successivamente è stato conferito ai condottieri vittoriosi, poiché contiene in sé il riferimento all'imperium, un primato nell'ambito religioso, civile e militare. Il significato del termine imperatore, che deriva dal latino imperator, ha un'origine chiara: indica colui che vive un rapporto favorevole con gli dèi. Già in epoca regale la felicitas imperatoria indicava quel re che poteva vantare un tale rapporto favorevole (pius) con gli dèi. Questa relazione unica veniva stabilita il giorno dell'inauguratio, ovvero il giorno in cui gli àuguri verificavano tale condizione del re. Con Ottaviano, che creò la struttura ideologica del principato, a tale termine venne aggiunto anche quello di Augustus ovvero detentore dell'augus (lojas in indo-iranico), detentore cioè di quella forza che unica consente di adempiere alle funzioni sacrali rispetto agli dèi e quindi di rafforzare la stessa Roma. L'imperator, nella cultura profondamente religiosa quale fu quella romana, è ricco di felix, ovvero è possessore legittimo degli auspici e quindi votato alla vittoria purché sia sempre pius cioè collegato correttamente con il mondo sacro degli dèi. Sempre con Ottaviano ha ingresso nella Religione romana la figura dell'imperatore. Esso diviene il "re divino", monarca universale per volere degli dèi, ricevendo, inoltre, il doppio titolo di sacer e sanctus. Le qualifiche religiose della figura imperiale ricalcano i modelli ellenistici a cui si aggiungono le peculiarità della religiosità romana, per le quali ad un beneficio ricevuto dal dio deve corrispondere sempre un atto di culto. L'imperatore è quindi sacro e per le sue virtù e per la sua condotta di vita è anche santo. Ma i due termini, sacer e sanctus, finiscono per sovrapporsi, così Gallieno e Alessandro Severo vengono indicati come sanctissimi, mentre Domiziano, Adriano e Antonino Pio vengono invece appellati come sacratissimi. Dal 13 a.C. Augusto assume la carica di Pontefice massimo, carica che gli imperatori manterranno fino al 375. L'Imperatore, nella sua qualità di Pontifex Maximus esercitava il supremo ruolo di sorveglianza e governo sul culto religioso, presiedendo il collegio dei pontefici e gli altri collegi sacerdotali, nominando le Vestali, i Flamini ed il Rex sacrorum, regolando il calendario con la scelta dei giorni fasti e nefasti ed avendo il completo controllo sul rispetto del diritto romano, della cui interpretazione era custode. In tal senso poteva anche controllare la redazione degli annales pontificum, cioè delle cronache pubbliche, e della tabula dealbata, riportante la lista dei magistrati in carica. L'Imperatore stesso era oggetto di un culto imperiale, nel quale il genio del Principe diveniva oggetto di pratiche religiose, spesso affiancandosi nei templi ad altre forme divinizzate del potere imperiale dello Stato, come la dea Roma. Il culto del genius principis, sebbene spesso percepito nelle classi elevate come una forzatura della religione tradizionale, consentiva di rivolgere al sovrano cerimonie pubbliche di valenza religiosa senza per questo infrangere i principi che vietavano il culto di persone viventi. A questo si aggiungeva la possibilità di rivolgere poi un vero e proprio culto alla persona dell'Imperatore dopo la sua morte una volta che questi fosse pubblicamente divinizzato dal Senato con il riconoscimento della sua condizione di divus
Il complesso di tali pratiche durò sino all'anno 375, quando l'imperatore Graziano declinò l'onore del pontificato massimo perché incompatibile con la nuova religione cristiana, anche se Costantino I non rinunciò mai a tale potere. Tuttavia anche nel nuovo ambito cristiano l'Imperatore continuò a rivestire un ruolo preminente come vicario di Cristo e rappresentazione terrena dell'ordine celeste. Questo valse soprattutto per gli imperatori romani d'Oriente, che potevano, in qualità di vicari (rappresentanti) della divinità, manovrare patriarchi, papi e vescovi oltre ad emettere editti a carattere religioso e convocare concili. Ottaviano stesso inaugura l'epopea della Pax Romana, che vede l'impero come area di civiltà che si esprime nel diritto e al cui interno non vi sono conflitti, e ricorderà che si era ritrovato una Roma costruita di mattoni e la lascerà edificata di marmi.

Nel 21 a.C. - All'età di 18 anni, Giulia sposa in seconde nozze Marco Vipsanio Agrippa, che aveva ben venticinque anni in più di lei. Questo matrimonio tra la figlia di Augusto e il suo più fidato amico e generale, sarebbe stato suggerito anche da Mecenate, che riferendosi alla carriera di Agrippa iniziata in una famiglia di rango modesto, diceva ad Augusto: «Lo hai reso così grande che deve divenire tuo genero o essere ucciso». Al nome di Giulia vennero legati, sin da questo periodo, numerosi adulteri, il primo dei quali con un certo Sempronio Gracco, col quale pare abbia avuto una relazione duratura; altre voci girarono su una passione accesasi nei confronti del fratellastro, il figlio di Livia Drusilla da un precedente matrimonio e futuro imperatore Tiberio

Gli sposi andarono a vivere in una villa urbana, forse la casa della Farnesina ritrovata nei pressi della moderna Villa Farnesina a Trastevere. Giulia diede ad Agrippa cinque figli: Gaio Vipsanio Agrippa (Gaio Cesare), Vipsania Giulia Agrippina (Giulia minore), Lucio Vipsanio Agrippa (Lucio Cesare), Vipsania Agrippina (Agrippina maggiore) e Marco Vipsanio Agrippa Postumo (Agrippa Postumo, nato dopo la morte del padre). Dal giugno 20 a.C. alla primavera 18 a.C., Agrippa fu governatore della Gallia ed è probabile che Giulia lo abbia seguito nella provincia al di là delle Alpi. Subito dopo il loro arrivo in Gallia nacque Gaio, nel 19 a.C. nacque Giulia minore e dopo il ritorno della coppia in Italia nacque Lucio.

Marco Vipsanio Agrippa
al Louvre di Parigi, di
Shawn Lipowski QUI.
- Marco Vipsanio Agrippa (Arpino, 63 a.C. circa - Campania, 12 a.C.) è stato un politico, militare e architetto romano. Amico di Ottaviano, il futuro imperatore Augusto, è stato suo fedele collaboratore e anche suo genero. Agrippa è stato artefice di molti trionfi militari di Ottaviano, il più considerevole dei quali è stata la vittoria navale nella battaglia di Azio contro le forze di Marco Antonio e Cleopatra. Di origini modeste, era nato forse ad Arpino, in Campania, ma la questione è dibattuta: alcuni studiosi, tra i quali Victor Gardthausen, David Ridgway, e R. E. A. Palmer, sostengono che la sua famiglia fosse originaria di Pisa, nell'Etruria settentrionale. Era della stessa età di Ottaviano e i due erano amici intimi dall'infanzia. Ottaviano e Agrippa avevano servito come ufficiali di cavalleria sotto Cesare nella battaglia di Munda nel 45 a.C. Dopo la battaglia e il ritorno a Roma, Cesare adottò Ottaviano come suo erede legale. Mentre le fazioni senatoriali a Roma diventavano sempre più aggressive, Cesare inviò Ottaviano e Agrippa a studiare ad Apollonia con le legioni macedoni. Cesare inviò anche il figlio di uno dei suoi amici, Gaio Cilnio Mecenate, a studiare con loro, e anch'egli si legò in amicizia con Ottaviano e Agrippa. Agrippa ottenne grande favore tra i legionari macedoni e dimostrò notevoli capacità di comando. In Grecia si occupò inoltre di architettura, acquisendo le capacità che avrebbe usato più tardi nella sua vita. Ad Apollonia li raggiunse la notizia dell'assassinio di Giulio Cesare nel 44 a.C., quando Ottaviano partì immediatamente per Roma. Dopo il ritorno di Ottaviano a Roma, Agrippa in Grecia assunse il comando delle legioni macedoni (e principalmente la Legio IIII Macedonica) e le diresse a Roma in aiuto dell'amico. Con il sostegno delle legioni, Ottaviano poté concludere il patto con Marco Antonio e Lepido noto come "Secondo triumvirato" per contrastare gli assassini di Cesare. Agrippa combatté accanto a Ottaviano e ad Antonio come il più importante generale di Ottaviano nella decisiva battaglia di Filippi (42 a.C.). Dopo il ritorno a Roma, Ottaviano inviò Agrippa (nel 41 a.C.) a dirigere la guerra contro Lucio Antonio e Fulvia Antonia, rispettivamente fratello e moglie di Marco Antonio, che si concluse con la loro cattura a Perusia (Perugia) nel 40 a.C. Due anni più tardi, si recò nelle Tres Galliae come proconsole, dove represse prima una sollevazione tra gli Aquitani, poi attraversò il Reno per punire le aggressioni delle tribù germaniche e trasferire in territorio romano quella degli Ubii con il loro consenso. Al suo ritorno rifiutò il trionfo offertogli, ma accettò il suo primo consolato (nel 37 a.C.). In quel periodo Sesto Pompeo aveva il controllo del mare sulle coste dell'Italia, per cui la prima preoccupazione Agrippa fu quella di provvedere ad un porto sicuro per le sue navi, facendo collegare il lago d'Averno al lago Lucrino, che aveva uno sbocco verso il mare,  costruendo il portus Iulius. Nel 37 a.C. Agrippa sposò Pomponia, figlia di Tito Pomponio Attico, amico di Cicerone, dalla quale ebbe la sua primogenita Vipsania Agrippina. Ottaviano stesso combatté contro Sesto Pompeo, ma venne sconfitto nella battaglia navale di Messina nel 37 a.C. e di nuovo nell'agosto del 36 a.C.. Agrippa, nominato comandante in capo della flotta, sottopose i suoi equipaggi ad uno stretto addestramento finché nel 36 a.C. sconfisse Sesto Pompeo a Mylae e a Nauloco: in un mese distrusse completamente la forza navale di Sesto, ricevendo la corona navale per le sue vittorie in Sicilia. Nel 33 a.C. Agrippa è eletto edile, carica in cui farà uso delle sue conoscenze di architettura. In quanto curator aquarum, inizia la costruzione del monumentale acquedotto del Serino, una delle più grandi opere architettoniche dell'intero Impero Romano, destinato a rifornire la flotta imperiale ancorata a Miseno. Fece anche restaurare gli acquedotti più antichi e ne fece costruire due nuovi per rifornire la città di Roma (l'Aqua Iulia e nel 19 a.C., l'Aqua Virgo), collocando ovunque in città nuove fontane per distribuire l'acqua, fece restaurare e ripulire la Cloaca massima e attuò la politica edilizia di Augusto nel Campo Marzio, costruendo terme, portici e giardini. Questa politica procurò ampi consensi al partito di Augusto che così poté propagandare di essersi preoccupato del benessere della città e l'aver migliorato la vita della plebe. Agrippa fu richiamato di nuovo per prendere il comando della flotta quando scoppiò la guerra contro Antonio e Cleopatra. La vittoria di Ottaviano ad Azio nel 31 a.C., che gli diede il controllo di Roma, fu principalmente dovuta ad Agrippa. Per facilitare la sua ascesa al potere, Ottaviano lo assocerà alla famiglia imperiale, costringendolo a separarsi dalla moglie Claudia Marcella maggiore sposata nel 28 a.C., per sposarsi invece nel 21 a.C. con Giulia, la figlia di Augusto, rimasta vedova, ottenendo poi un secondo consolato con Ottaviano lo stesso anno. 
Intitolazione ad Agrippa
del Pantheon, da QUI.
Nel 27 a.C., anno in cui Ottaviano ottenne il titolo di Augusto, Marco Vipsanio Agrippa riveste per la terza volta il consolato insieme all'amico e quello stesso anno costruì e dedicò il Pantheon, ricostruito in seguito sotto l'imperatore Adriano, che ripeté sulla trabeazione il testo dell'iscrizione dell'edificio eretto da Agrippa durante il suo terzo consolato: M·AGRIPPA·L·F·COS·TERTIVM·FECIT, ovvero"Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, fece". Agrippa fece erigere anche il Campus Agrippae nella VII regio e a sua sorella compete invece l'erezione della Porticus Vipsania. Gli anni seguenti al suo terzo consolato, Agrippa li passò in Gallia, riformando l'amministrazione provinciale ed il sistema tributario ed occupandosi della costruzione di un efficace sistema di strade e di acquedotti. Sembra che la sua amicizia con Augusto si sia appannata a causa dei contrasti con il cognato Marco Claudio Marcello. Svetonio racconta infatti che, col pretesto di un lieve raffreddore, lasciò tutti e si ritirò a Mitilene, anche se la vera ragione era che l'imperatore gli preferiva Marcello. Nel 23 a.C., Agrippa ricevette l'imperium proconsolare e fu nominato governatore in Siria, che governò dall'isola di Lesbo tramite un legato. Alla morte di Marcello, fu richiamato a Roma da Augusto che, forse anche per consiglio di Mecenate, decise di legarlo alla famiglia imperiale rendendolo suo genero, per cui Agrippa divorziò da Marcella  per sposare  Giulia maggiore nel 21 a.C., da poco vedova di Marcello.

Nel 19 a.C. - Vipsanio Agrippa è impiegato sia per sedare alcune rivolte in Gallia Comata e difendersi dai Germani, sia per spegnere definitivamente una nuova rivolta dei Cantabrici in Hispania ed è nominato governatore della Siria una seconda volta nel 17 a.C. Lì la sua amministrazione giusta e a gestione prudente, gli fece guadagnare rispetto e benevolenza, particolarmente della popolazione ebraica. Agrippa inoltre ristabilì un efficace controllo romano sul Chersoneso Cimmerico (l'attuale Crimea) durante il suo governatorato. Tornato dalla Siria, Augusto gli conferì la tribunicia potestas per altri cinque anni. Nicola di Damasco e Giuseppe Flavio riportano che una volta che Giulia stava viaggiando per raggiungere Agrippa durante una campagna militare, un'improvvisa alluvione la colse vicino ad Ilio, causandone quasi la morte. Allora Agrippa, infuriato, decretò una multa di 100.000 dracme per la comunità locale: sebbene la somma fosse molto elevata, nessuno ardì presentare un appello presso Agrippa, finché il re di Giudea, Erode il Grande, non andò personalmente a chiedere il perdono per la città. 

Nel 18 a.C. - In occasione del conferimento di sacralità da parte del senato ad Augusto, questi decreta il mese di sestile (che da Augusto prenderà il nome di agosto, così come quintile da Giulio Cesare prenderà il nome di luglio) Feriae Augusti, vacanze di agosto; il nostro Ferragosto.


Nel 17 a.C. - Con l'avvento del principato di Augusto inizia un lungo periodo di pace interna. Restavano da pacificare la Spagna e alcune zone della Gallia e l'imperatore portò a termine il compito con decisione, guidando alcune campagne personalmente e affidandone altre ad Agrippa. Da quel momento gli eserciti furono impegnati solo nell'allargare i confini dell'Impero. Per decreto del senato, nel 17 a.C. si celebra l'inizio di una nuova epoca, un nuovo saeculum di pace e si riprese la tradizione dei ludi saeculares, che durante la repubblica si erano tenuti ogni cent'anni. «...ripristinò alcune antiche tradizioni religiose che erano cadute in disuso, come l'augurio della Salute, la dignità del flamine diale, la cerimonia dei Lupercalia, i Ludi Saeculares e quelli Compitali. Vietò ai giovani imberbi di correre ai Lupercali e sia ai ragazzi, sia alle ragazze di partecipare alle rappresentazioni notturne dei Ludi Saeculares, senza essere accompagnati da un adulto della famiglia. Stabilì che i Lari Compitali fossero adornati di fiori due volte all'anno, in primavera ed estate.» (Svetonio, Augustus, 31). Con la Pax Romana, l'impero si impone come area di civiltà che si esprime nel diritto e al cui interno non sussistono conflitti. Augusto stesso ricorderà che si era ritrovato Roma costruita di mattoni e la lascerà edificata di marmi.

Cartina dell'Impero Romano da Ottaviano Augusto in arancione-ocra,
Tiberio, Claudio,Vespasiano e Domiziano fino a Traiano, che nel
117 d.C. lo portò alla sua massima estensione.
- Nel 17 a.C. in Gallia, la tribù dei germani   Sigambri, sotto il comando di un certo Melo (il cui fratello si chiamava Betorige, riferisce Strabone in Geografia, VII  Germania, 1.4), insieme alle tribù alleate dei germani Usipeti e Tencteri, battono un esercito romano nella Germania Magna e dopo aver catturato un certo numero di armati, impalano ben 20 centurioni (un terzo del numero complessivo di centurioni presenti in una legione), come se fosse "un giuramento o una speranza di vittoria" (Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC libri duo, 30, 23-25; Cassio Dione, Storia romana LIV, 20). Poi, dopo aver attraversato il Reno, invadono la vicina Gallia saccheggiandone i territori e provocando il pronto intervento della cavalleria romana, mandata in soccorso alle guarnigioni del limes renano. L'esito sarà disastroso per i Romani  poiché non solo la cavalleria fu sorpresa e distrutta in un agguato, ma cosa ben più grave, l'esercito accorrente del governatore della provincia, Marco Lollio, fu battuto  mentre una delle sue legioni, la V Alaudae, perdeva l'Aquila, con grande disonore per le armate romane (Velleio Patercolo,  Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo, 97; Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 23; Tacito, Annales, I, 10). Le popolazioni germaniche avevano più volte tentato di passare il Reno con grave danno per le province galliche: nel 38 a.C. (anno in cui gli alleati germani, Ubi, furono trasferiti in territorio romano), nel 29 a.C. da parte dei Suebi e nel 17 a.C. ad opera di Sigambri e dei loro alleati Tencteri ed Usipeti. È forse a questo periodo che si può attribuire la costruzione di alcuni castra militari come quelli di Folleville e Mirebeau-sur-Bèze all'interno della Gallia oppure Castra Vetera e Mogontiacum (Magonza) lungo il fiume Reno. Augusto stesso, in seguito a questi eventi, decise di partire per il fronte germanico, fermandosi in Gallia per due interi anni, per rendersi conto sul da farsi e programmando per gli anni a venire l'occupazione della Germania Magna, portando così i confini imperiali (il limes) dal fiume Reno all'Elba. D'altra parte le campagne di conquista dei territori alpini della Vindelicia e della Rezia erano state intraprese al fine di occupare la Germania Magna

Nel 16 a.C. - Sebbene Augusto, dopo la campagna in Oriente, avesse ufficialmente dichiarato in senato che avrebbe abbandonato la politica di espansione, ben sapendo che un'estensione territoriale eccessiva sarebbe stata letale per l'imperium romano, decise comunque di attuare altre campagne per rendere sicuri i confini dai Germani. Nel 16 a.C. Tiberio, appena nominato pretore, accompagnò Augusto in Gallia Comata, dove trascorse i tre anni successivi, fino al 13 a.C., per assisterlo nell'organizzazione e governo delle province galliche. Il princeps fu accompagnato dal figliastro anche in una campagna punitiva oltre il Reno, contro le tribù dei Sigambri e dei loro alleati, Tencteri ed Usipeti, che nell'inverno del 17-16 a.C. avevano causato la sconfitta del proconsole Marco Lollio e la parziale distruzione della legio V Alaudae e la perdita delle insegne legionarie.


L'Impero Romano da Ottaviano
Augusto, in arancione-ocra, fino
alla sua massima estensione
nel 117 d.C.
Nel 15 a.C. - Augusto sottomette i territori di Reti e Vindelici.

Nel 13 a.C. - L'ultimo servizio pubblico di Vipsanio Agrippa è stata la conquista dell'intero Illyricum. Agrippa infatti, dopo aver attaccato quello stesso inverno (13/12 a.C.), spaventò talmente i Pannoni da farli desistere dalla ribellione, tanto che il generale romano decise di tornare in Campania, dove nel marzo del 12 a.C. si ammalò e morì all'età di 51 anni. «E così morì Agrippa, che si era distinto come il più nobile dei suoi contemporanei e che aveva beneficiato dell'amicizia di Ottaviano, guardando al maggior vantaggio possibile per il suo princeps e per la res publica.» (Cassio Dione, LIV, 29.1.). Dopo la sua morte nacque da Giulia l'ultimo dei suoi figli Marco Vipsanio Agrippa Postumo. Augusto onorò la sua memoria con un funerale magnifico, dove pronunciò l'orazione funebre, per poi farlo seppellire nel suo mausoleo. Si racconta che passò poi più di un mese in lutto per l'amico scomparso. Successivamente Augusto adottò i figli di Agrippa e di sua figlia Giulia, Gaio Cesare e Lucio Cesare, come suoi successori designati. «Adottò Gaio e Lucio, comprandoli in casa del padre con rito privato, e, ancora bambini, li avviò alla cura dello Stato. Quando furono designati consoli, li mandò qua e là per le province e per gli eserciti.» (Svetonio, Augustus, 64.). Agrippa si era occupato anche di geografia: sotto la sua supervisione era stata redatta una completa mappa dell'impero, che più tardi fu fatta incidere su marmo da Augusto ed in seguito esposta in un colonnato dalla sorella di Agrippa, Polla. Fra i suoi lavori è citata ancora un'autobiografia, ora perduta. Alla sua morte, lasciò al popolo romano i suoi giardini (campus Agrippae) oltre alle terme che portavano il suo nome, in modo che potesse lavarsi in modo gratuito, oltre a 400 sesterzi da distribuire ai cittadini di Roma. Lasciò quindi dei poderi all'amico fraterno Augusto, il quale a sua volta li rese pubblici, usufruibili pertanto da tutti. Agrippa ebbe numerosi figli: dalla prima moglie Cecilia Attica, ebbe una figlia Vipsania Agrippina, che divenne la prima moglie dell'imperatore Tiberio. Dalla seconda moglie Claudia Marcella maggiore, ebbe Vipsania Marcella e infine da Giulia, figlia di Augusto, ebbe tre figli, Gaio Cesare, Lucio Cesare e Agrippa Postumo oltre a due figlie, Agrippina maggiore, futura moglie di Germanico e Vipsania Giulia Agrippina (Giulia minore), che sposò Lucio Emilio Paolo. Marco Vipsanio Agrippa, con Gaio Cilnio Mecenate ed Ottaviano, fu un personaggio centrale nella creazione del principato, il sistema di governo dell'Impero romano che perdurò fino alla crisi del III secolo e la nascita del sistema della dominatio.

Gaio Cilnio Mecenate,
di Cgheyne da QUI.
- Gaio Cilnio Mecenate (Arezzo, 15 aprile 68 a.C. - 8 a.C.) è stato un influente consigliere e alleato dell'imperatore Augusto e importante protettore della nuova generazione di poeti augustei, tra i quali Orazio, Vario Rufo e Virgilio. Durante il regno di Augusto, Mecenate prestò servizio come de facto ministro della cultura, ma nonostante la ricchezza e il potere accumulati scelse di non far parte del Senato capitolino, preferendo rimanere di rango equestre, la classe sociale intermedia fra patrizi e plebei introdotta da Gaio Sempronio Gracco nel 123 a.C. Secondo la testimonianza del poeta Properzio, sembra che Mecenate avesse partecipato alle campagne di Modena, Filippi e Perugia. L'aretino traeva vanto del suo antico lignaggio etrusco e rivendicò la propria discendenza dal principesco casato dei Cilnii, all'origine della gelosia dei suoi concittadini (in quanto era notevole la ricchezza ed influenza di quest'ultimi nell'Arezzo del IV secolo a.C.). Tacito lo chiama “Cilnio Mecenate” ed è possibile che “Cilnio” fosse il nome della madre, e Mecenate il cognome. Un Gaio Mecenate è altresì menzionato da Cicerone nel 91 a.C. come membro influente dell'ordine equestre. Dalle testimonianze di Orazio e dai testi letterari dello stesso Mecenate si deduce che egli avesse beneficiato dei più alti gradi d'istruzione del tempo. Le sue ingenti ricchezze potrebbero essere state in gran parte ereditate, ma dovette la sua posizione ed influenza grazie allo stretto legame con l'imperatore Augusto. Fece la sua apparizione nella vita pubblica nel 40 a.C., quando fu incaricato di chiedere per Ottaviano la mano di Scribonia in matrimonio; in seguito partecipò ai negoziati di pace a Brindisi ed alla riconciliazione con Marco Antonio. In quanto amico e consigliere agì sempre come delegato di Augusto quando si recava all'estero. Negli ultimi anni di vita, tuttavia, le relazioni tra i due divennero più fredde, in parte probabilmente perché Augusto aveva avuto un'avventura con la moglie Terenzia. Ciononostante, prima di morire Mecenate avrebbe nominato proprio Augusto quale unico erede. Nel "viaggio verso Brindisi", svoltosi nel 37 a.C., si dice che Mecenate e Marco Cocceio Nerva, bisnonno del futuro imperatore Nerva, avessero un'importante missione, dalla quale scaturì il Trattato di Taranto: un trattato di riconciliazione tra i due grandi nemici. Durante la guerra con Sesto Pompeo, nel 36 a.C., egli tornò a Roma, e gli fu concesso il supremo controllo amministrativo in Italia. Fu vicereggente di Ottaviano durante la battaglia di Azio, quando, con grande fermezza, soffocò in gran segreto la congiura di Marco Emilio Lepido il Giovane e durante le successive assenze di Ottaviano dalle province. Formò un circolo di intellettuali e poeti che protesse, incoraggiò e sostenne nella loro produzione artistica, tra cui spiccano Orazio, Virgilio e Properzio. Con questo suo atteggiamento egli diede un  efficace sostegno al regime che Augusto  stava instaurando: molte delle opere prodotte con il sostegno di Mecenate contribuirono infatti ad illustrare l'immagine di Roma ed a sostenere alcune azioni della politica dell'imperatore. Fu per molti anni il migliore amico di Augusto oltreché il suo più stretto collaboratore, e per molti aspetti contribuì alla creazione della struttura data da Ottaviano allo Stato romano, nel quale le istituzioni tradizionali (Senato e magistrature in primis) furono svuotate di significato e fu istituito un apparato amministrativo fondato sul coinvolgimento  degli equites, la classe sociale intermedia fra patrizi e plebei introdotta da Gaio Sempronio Gracco nel 123  a.C. Una sintesi del suo personaggio come uomo e statista proviene da Velleio Patercolo che lo descrive come "insonne nella vigilanza e nelle emergenze, lungimirante nell'agire, ma nei momenti di ritiro dagli affari più lussuoso ed effeminato di una donna". Da alcuni passi nelle Odi di Orazio si può dedurre che Mecenate non avesse la robustezza fisica richiesta alla maggior parte dei romani, e notoria fu l'intensa passione di Mecenate per un liberto di nome Batillo, un attore, poeta e mimo originario di Alessandria d'Egitto più giovane di lui di 15-20 anni. Su tale rapporto si hanno testimonianze dello pseudo Lucio Anneo Cornuto, Tacito e Dione Cassio, mentre Orazio si spinge fino a metter la vicenda in parallelo con quella dell'antico poeta lirico greco Anacreonte il quale bruciava d'amore per un altro Batillo, un efebo. Mecenate morì nell'8 a.C., lasciando tutte le sue ricchezze all'imperatore; gli imperatori successivi vollero continuare ad accumulare tesori e a patrocinare gli artisti, tanto che uno dei più importanti dipartimenti di corte – in effetti era quello del tesoro – divenne delle largitiones, letteralmente delle elargizioni, anche se la maggior parte delle spese avevano finalità più pragmatiche. Mecenate è celebre per il suo sostegno ai giovani poeti, tanto che il suo nome è divenuto nel tempo antonomasia per protettore degli artisti. Virgilio scrisse le Georgiche in suo onore e fu lui che, impressionato dalla poesia di Orazio, lo presentò a Mecenate, cosa che gli permise di iniziare la prima delle sue Odi (Odi, I,1) grazie alla direzione del suo nuovo protettore. Mecenate diede a costui pieno appoggio finanziario, come pure una proprietà nei monti della Sabina, in pieno spirito di Evergetismo. Furono altresì suoi protetti sia Properzio sia i poeti minori Lucio Vario Rufo, Cornelio Gallo, Aristio Fusco, Plozio Tucca, Valgio Rufo, Domizio Marso, Quintilio Varo, Caio Melisso e Emilio Macro. Per la sua munificenza, che rese il suo nome noto a tutti, ebbe la gratitudine degli scrittori, attestata anche dai ringraziamenti di scrittori di età successiva, come Marziale e Giovenale. Il suo patronato non fu una forma di vanità o di semplice dilettantismo letterario, ma fu interessato, vedendo nella genialità dei poeti del tempo non solo un ornamento letterario, ma un modo di promuovere e onorare il nuovo ordine politico. Il cambiamento di toni e di intenti di Virgilio tra le Ecloghe e le Georgiche fu proprio il risultato della direzione data da Mecenate al genio del poeta, così come alla luce dell'influsso di Mecenate va vista la differenza tra le prime odi di Orazio, nelle quali quest'ultimo dichiara il suo epicureismo ed una totale indifferenza per gli affari di stato, e le odi civili. Tentò inoltre di convogliare il femmineo genio di Properzio verso temi di interesse civile. Tutto ciò non minò l'affetto che provarono i suoi protetti per lui, poiché il fascino che esercitava sui letterati del suo circolo era cordiale e sincero: nella sua intimità, ammise sempre uomini di valore che trattò da eguali. Probabilmente molta della sagacia di Mecenate si può riscontrare nelle Satire e nelle Epistole di Orazio. Nessun altro patrono ebbe in sorte quello di legare il nome a delle opere eterne, come le Georgiche, i primi tre libri delle Odi, il primo libro delle Epistole. Mecenate scrisse anche opere letterarie, sia in prosa che in versi: ci sono rimasti venti frammenti che dimostrano come, in veste di autore, avesse meno successo che come protettore dei letterati. I suoi soggetti sono vari (Prometeo, Simposio - un ricevimento al quale erano presenti Virgilio, Orazio e Messalla Corvino), De cultu suo (una sorta di biografia) ed il poema In Octaviam ("Contro Ottavia") del quale non è chiaro il contenuto, ma che era stato ridicolizzato da Augusto, Quintiliano e Seneca per lo stile, l'uso di parole rare e per le goffe trasposizioni. Secondo Dione Cassio, Mecenate fu anche l'inventore di un sistema stenografico. Sebbene le opinioni sulla persona Mecenate fossero contrastanti, unanimi erano le testimonianze sulla sua capacità amministrativa e diplomatica, di fatti condivise il sogno di dare un nuovo ordinamento dell'impero, di conciliare le parti, di salvarlo dai pericoli. Gli storici ritengono che, grazie alla sua influenza, la politica di Ottaviano fosse diventata più umana dopo la sua prima alleanza con Antonio e Lepido. L'atteggiamento assunto da Mecenate è divenuto un modello: numerosi sono i regimi che si sono avvalsi dell'opera di artisti e di intellettuali per migliorare la propria immagine politica. Un esempio di mecenatismo fu quello di Cosimo il Vecchio de' Medici (1389-1464) e di suo nipote Lorenzo il Magnifico (1449-1492), che raccolsero attorno a sé i più grandi talenti dell'epoca. Il termine mecenate, in paesi come l'Italia, Francia (mécène) o Spagna (mecenas), indica una persona dotata di potere o risorse che sostiene concretamente la produzione creativa di certi letterati e artisti. Si parla di mecenatismo anche per il sostegno ad attività come il restauro di monumenti o il sostegno ad attività sportive e si usa inoltre il termine mecenate d'impresa per indicare un finanziatore di iniziative imprenditoriali con caratteristiche innovative e di rischio dalle quali non si aspetta un ritorno finanziario diretto.

Nel 13 a.C. - Augusto invia in Gallia, nel 13 a.C., uno dei suoi due figli adottivi, il generale Druso maggiore.

Augusto nell'Ara Pacis.
- Nel 13 a.C., dopo la morte di Marco Emilio Lepido (figlio),  Augusto ne assume il titolo di Pontefice massimo divenendo così anche il capo religioso di Roma. «[divenuto pontefice massimo] radunò tutte le profezie greche e latine che [...] erano tramandate tra il popolo, circa duemila, e le fece bruciare. Conservò solo i libri sibillini e, dopo un'attenta selezione, li pose in due armadi dorati ai piedi della statua di Apollo Palatino.» (Svetonio, Augustus, 31). «Ebbe il massimo rispetto per i culti stranieri, ma solo per quelli che erano stati consacrati dal tempo, tutti gli altri li disprezzò. Così, ricevuta l'iniziazione ad Atene, quando in seguito a Roma, davanti al suo tribunale si trattò di una questione relativa al privilegio dei sacerdoti della Cerere Ateniese e si cominciò a svelare alcuni segreti, egli congedò il consiglio dei giudici e tutti gli assistenti e da solo seguì il dibattito. Al contrario, quando visitò l'Egitto si guardò bene dal fare la minima deviazione per andare a vedere il bue Api, e lodò vivamente suo nipote Gaio perché, attraversando la Giudea non era andato ad offrire sacrifici a Gerusalemme.» (Svetonio, Augusto, 93).

Nel 12/11 a.C. - Il generale Druso avanza nel territorio germanico, battendo i Sigambri e molte delle popolazioni germaniche loro alleate come: Usipeti e Tencteri. Nerone Claudio Druso (Roma, 14 gennaio 38 a.C. - Mogontiacum, 9 a.C.), nato come Decimo Claudio Druso o Decimo Claudio Nerone, fratello di Tiberio e meglio conosciuto come Druso maggiore, per distinguerlo dal nipote Druso minore, figlio di Tiberio, era appartenente alla dinastia giulio-claudia in quanto figlio della terza moglie di Augusto, Livia Drusilla e di Tiberio Claudio Nerone (85 a.C. - 33 a.C.). È proprio ad una di queste campagne che fanno cenno Floro e Cassio Dione Cocceiano, ricordando un episodio di questa guerra, quando CherusciSuebi e Sigambri, dopo aver accerchiato Druso nelle fitte foreste della Germania (di ritorno dalla campagna dell'11 a.C.), ormai sicuri del successo, pensavano già a come spartirsi il bottino. La battaglia però volse, alla fine, a favore dei Romani che fecero dei barbari, dei loro cavalli ed armenti, bottino da vendere al mercato degli schiavi (Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC libri duo, 30, 23-25; Cassio Dione, Storia romana LIV, 33). A partire dalle campagne di Druso, la popolazione dei Sigambri  cominciò a fornire truppe ausiliarie all'interno dell'esercito romano, anche se una volta occupati tutti i territori delle popolazioni germaniche compresi tra i fiumi Reno e Weser, i Sigambri si dimostrarono i più restii a sottomettersi al giogo romano, anche dopo essere stati battuti pesantemente nel corso delle campagne di Tiberio dell'8-7 a.C. insieme ai vicini Suebi, e ad essere stati deportati, in parte, in Gallia. Per questi motivi Augusto, una volta ricevutane una loro ambasceria (da parte del loro re Melo), decise con l'inganno di mandare tutti i loro membri in esilio in alcune città della Gallia (nell'8 a.C.). I Sigambri, però, mal sopportando questa situazione di prigionia, si diedero la morte volontariamente, covando un profondo sentimento di rancore verso i Romani. L'occasione del riscatto si concretizzò pochi anni più tardi (nel 9 d.C.), quando 3 intere legioni ed il loro comandante, Publio Quintilio Varo, furono annientate nella foresta di Teutoburgo. Pertanto, contro i Sigambri ed i loro alleati, furono condotte sanguinose campagne da parte dei generali romani, Tiberio (nel 10-11 d.C.) e Germanico (nel 14-16 d.C.), per vendicare l'onta subita dagli eserciti romani. Di loro parla Cornelio Tacito a proposito della guerra contro i Traci del 26, condotta da un certo Gaio Poppeo Sabino (console del 9). Sembra che in quella circostanza una loro coorte ausiliaria prese parte alla guerra dell'area balcanica.

Nel 12 a.C. - In marzo, quando Giulia è incinta per la quinta volta, mentre si trovava in Campania, Agrippa muore improvvisamente all'età di 51 anni e le sue ceneri trovarono riposo nel Mausoleo di Augusto. Il figlio postumo di Agrippa ricevette il nome del padre, divenendo noto come Agrippa Postumo. Subito dopo la nascita dell'ultimo figlio, Augusto adottò e dichiarò suoi eredi Gaio e Lucio, che entrarono a far parte della gens Iulia, e fece inoltre fidanzare Giulia, prima della fine del lutto, per poi sposarlo, il suo fratellastro Tiberio, allo scopo di legittimarne la successione.

Nell'11 a.C. - Per poter sposare Giulia e perseguire gli interessi politici della famiglia,Tiberio divorzia da Vipsania Agrippina, la figlia di primo letto di Marco Vipsanio Agrippa, che amava profondamente e da cui aspettava un secondo figlio (dopo Druso minore), che lei perse per via dello shock del divorzio. 

Nel 10 a.C. - Tiberio sposa dunque Giulia maggiore, figlia dello stesso Augusto e quindi sua sorellastra, vedova di Agrippa. Il sodalizio con Giulia, vissuto dapprima con concordia e amore, si guastò ben presto, dopo la morte del figlio ancora infante che era nato loro ad Aquileia. Il carattere di Tiberio, particolarmente riservato, si contrapponeva inoltre a quello licenzioso di Giulia, circondata da numerosi amanti. Il figlio che ebbero morì durante l'infanzia; alla scarsa opinione che il marito aveva del carattere della moglie, Giulia rispondeva considerando Tiberio non alla sua altezza, lamentandosi di questo fatto persino attraverso una lettera, scritta da Sempronio Gracco e  destinata all'imperatore.

Nel 9 a.C. - Per celebrare il nuovo saeculum di pace decretato dal senato nel 17 a.C., è costruito nel Campo Marzio un grande altare alla Pace di Augusto, l'Ara Pacis Augustae.


Le tribù germaniche migravano facilmente, si scomponevano e ricomponevano assumendo nomi nuovi, o scomparivano in lotte fra loro: perciò l'etnografia della Germania variò nelle varie epoche. Queste migrazioni non erano totali, e le tribù muovendosi lasciavano parte dei loro membri nell'antica sede; e oggi non si ammette più che il nord-est della Germania sia rimasto deserto in seguito alle migrazioni.
Suebi, potente confederazione di tribù, cominciarono all'inizio del I secolo a lasciare le loro sedi a oriente dell'Elba, ove rimase la tribù sueba dei Semnoni, e occuparono la regione fra l'Elba, il Meno e la Selva Ercinia. I Marcomanni (uomini della marca) erano Suebi che, valicato il Meno, avevano preso possesso del paese fra il Reno e il Danubio superiore, sgombrato dagli Elvezi, che divenne così una marca di confine sueba. Fra il 9 a.C. e il 2 a.C. essi, guidati dal re Maroboduo, passarono nella Boemia, sgombrata dai Galli Boi, e vi fondarono un potente regno, che, dopo aver dominato su molte delle circostanti tribù germaniche, si sfasciò presto in seguito alle lotte coi Cherusci.

Nell' 8 a.C. - Si emana la Lex Iulia maiestatis, con cui per la prima volta viene punita l'offesa alla "maestàdell'imperatore, in seguito foriera di conseguenze negative per tutto il periodo successivo, soprattutto per i futuri cristiani.

- Nell' 8 a.C., una volta occupati tutti i territori delle popolazioni germaniche compresi tra i fiumi Reno e Weser, i Sigambri si dimostrarono i più restii a sottomettersi al giogo romano, anche dopo essere stati battuti pesantemente nel corso delle campagne di Tiberio dell'8-7 a.C. insieme ai vicini Suebi, oltre ad essere stati deportati, in parte, in Gallia (Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 21, Tacito, Annales XII, 39, R.Syme, L'aristocrazia Augustea, trad.it., Milano 1993, p.477). Per questi motivi Augusto, una volta ricevutane una loro ambasceria (da parte del loro re Melo), decise con l'inganno di mandare tutti i loro membri in esilio in alcune città della Gallia (nell'8 a.C.). I Sigambri, però, mal sopportando questa situazione di prigionia, si diedero la morte volontariamente, covando un profondo sentimento di rancore verso i Romani.

Immagine del Mandylion,
considerata la prima icona
di Gesù, da: http://www.inter
Nel 7 a.C. - Presumibile anno di nascita di colui che i cristiani chiamano  Gesù Cristo, il cui nome ebraico dovrebbe essere stato Yeshuah Ben Yossef, Gesù figlio di Giuseppe. Per il post "Gesù Cristo nel suo contesto storico" clicca QUI.

Nel 7/6 a.C. - Viene edificato il Trofeo delle Alpi (detto anche Trofeo di Augusto) imponente monumento romano sull'Alpe Summa (Alpis Summa), a 480 metri di altitudine, nell'attuale comune di La Turbie. Il monumento venne eretto, sulla via Julia Augusta, negli anni 7-6 a.C. in onore dell'imperatore Augusto per commemorare le vittorie riportate dai suoi generali (tra cui i figliastri Druso maggiore e Tiberio) e la definitiva sottomissione di 46 tribù alpine. L'Alpe Summa, detta anche Turbia (la Turbie in francese), che sorge nel dipartimento francese delle Alpi Marittime, a breve distanza dal Principato di Monaco, è contraddistinta da evidenti forze geomagnetiche, percepite da sempre e descritte anche nel racconto delle 12 fatiche di Ercole, quando il semidio ritorna dall'Hiberia con le mandrie di Gerione e ingaggia la battaglia dei Campi Lapidarii contro i liguri, guidati dai giganti Albione e Dercino, dove Zeus farà piovere sassi in soccorso al suo pupillo, in difficoltà nella lotta contro i liguri. Lo storico e viaggiatore greco Posidonio, vivente fino all'anno 50 e.V. nell’isola di Rodi, segnalava la presenza, fin dal secondo secolo prima di Cristo, di una strada tra Piacenza e Marsiglia, che valicava l’Alpis Summa, l’odierna Turbia, conosciuta col nome di Via Heraclea o Herculea, giacché si voleva tracciata dall’eroe greco nel corso del suo ritorno dalla decima fatica, quando andò a rapire la mandria di buoi a Gerione, nell’isola di Erizia, sulle sponde dell’Atlantico. Questo territorio d’eccezione dal punto di vista esoterico, fu eletto a sito della celebrazione di Augusto come imperatore di Roma, evocando ulteriormente la memoria di Ercole (il mitico semidio greco Heracle), oltre ai trionfi celebrati da Augusto il 12 agosto, giornata consacrata ad Heracles Invictus ed il giorno successivo, consacrato a Heracles Victor. Qui è stato edificato il Trofeo delle Alpi (detto anche Trofeo di Augusto) imponente monumento romano a 480 metri di altitudine, nel comune di La Turbie. Il monumento venne eretto, sulla via Julia Augusta, negli anni 7-6 a.C. in onore dell'imperatore Augusto per commemorare le vittorie riportate dai suoi generali (tra cui i figliastri Druso maggiore e Tiberio) e la definitiva sottomissione di 46 tribù alpine. Servì inoltre a demarcare la frontiera tra l'Italia romana e la Gallia Narbonese lungo la Via Julia Augusta. Questo trofeo nel tempo segue, nelle Gallie, il trofeo di Pompeo, in Summum Pyrenaeum, quello di Briot (ora al museo di Antibes) e altri. La costruzione, parte in marmo lunense e parte in pietra locale, concepita secondo il modello architettonico vitruviano sul modello del Mausoleo di Alicarnasso, consisteva di un piedistallo quadrato misurante 38 m di lato, sulla cui facciata occidentale era apposta un'iscrizione con la dedica ad Augusto. Ai lati dell'iscrizione c'erano dei trofei. Il secondo ordine era composto da un basamento, anche questo quadrato ma di dimensione minore, su cui poggiavano 24 colonne, con capitelli dorici, poste in cerchio e adornate da un fregio dorico con alternanza di metope e triglifi. All'interno del colonnato si trovava una torre cilindrica in cui, alternate alle colonne, si trovavano delle nicchie dove erano state collocate le statue dei comandanti militari che avevano partecipato alla spedizione, tra cui quella di Druso. Sulle colonne poggiava infine una copertura conica a gradoni, coronata da una imponente statua di Augusto in bronzo dorato raffigurato nell'atto di sottomettere due barbari inginocchiati ai suoi piedi. La solenne iscrizione, di cui rimanevano solo alcuni frammenti, è stata ricostruita completamente durante il restauro del monumento curato da Jules Formigé, grazie alla menzione fattane da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia (III, 133 segg.). Il testo riporta tutti e 46 i nomi delle tribù sconfitte in ordine cronologico e geografico ed è affiancato da due bassorilievi della Vittoria alata. Parimenti visibile è il "trofeo" in senso stretto, ossia una raffigurazione delle armi conquistate ai nemici e appese ad un tronco d'albero. Ai due lati del trofeo sono raffigurati coppie di prigionieri galli in catene. «All'imperatore Augusto, figlio del divo [Giulio] Cesare, pontefice massimo, acclamato imperatore per XIV volte, essendo investito per la XVII volta della potestà tribunizia, il senato e il popolo romano [eressero] poiché sotto la sua guida e i suoi auspici tutte le genti alpine, che si trovavano tra il mare superiore e quello inferiore sono state assoggettate all'impero del popolo romano. Genti alpine sconfitte: Triumpilini, Camunni, Venosti, Vennoneti, Isarci, Breuni, Genauni, Focunati, le quattro nazioni dei Vindelici: Cosuaneti, Rucinati, Licati e Catenati, gli Ambisonti, Rugusci, Suaneti, Caluconi, Brixeneti, Leponzi, Uberi, Nantuati, Seduni, Veragri, Salassi, Acitavoni, Medulli, Ucenni, Caturigi, Brigiani, Sogionti, Brodionti, Nemaloni, Edenati, Vesubiani, Veamini, Galliti, Triullati, Ecdini, Vergunni, Eguituri, Nematuri, Oratelli, Nerusi, Velauni, Seutri.». I lavori di riduzione in pristino sono stati resi possibili dagli studi dell'architetto Jules Formigé e dal generoso finanziamento del mecenate statunitense Edward Tuck. L'altezza del monumento misura oggi 35 metri, mentre originariamente, grazie alla statua, raggiungeva i 50 metri. Dalla sua terrazza panoramica è possibile godere d'un punto d'osservazione che, in giornate limpide, consente di spaziare visivamente dalla riviera ligure di ponente al golfo di Saint-Tropez.

Nel 6 a.C. - Augusto decide di conferire a Tiberio la tribunicia potestas (potestà tribunizia) per 5 anni, che rendeva sacra e inviolabile la persona di Tiberio oltre a conferirgli il diritto di veto. In questo modo Augusto sembrava voler avvicinare a sé il figliastro e poteva inoltre porre un freno all'esuberanza dei giovani nipoti, Gaio e Lucio Cesare, figli di Agrippa e Giulia, che aveva adottato e che apparivano come i favoriti nella successione. Malgrado questo onore, Tiberio decise di ritirarsi dalla vita politica e abbandonare la città di Roma, per andarsene in un volontario esilio sull'isola di Rodi, che lo aveva affascinato fin dai giorni in cui vi era approdato, di ritorno dall'Armenia. Alcuni, come il Grant, sostengono che fosse indignato e sconcertato dalla situazione, altri che sentiva la scarsa considerazione di Augusto nei suoi confronti per essere stato usato quale tutore dei suoi due nipoti, Gaio e Lucio Cesare, gli eredi designati, oltre ad un crescente disagio e disgusto nei confronti della nuova moglie Giulia. Per tutto il periodo della sua permanenza a Rodi (per quasi otto anni), Tiberio mantenne un atteggiamento sobrio e defilato, evitando di porsi al centro dell'attenzione o di prender parte alle vicende politiche dell'isola: se non in un unico caso, infatti, non fece mai uso dei poteri che gli derivavano dalla tribunicia potestas di cui era stato investito.


Nel 2 a.C. - Inaugurazione del tempio di Marte Ultore e del Foro di Augusto, in cui è conferito ad Augusto il titolo onorifico di "Padre della patria". «Molti abusi, particolarmente deprecabili e pericolosi per l'ordine pubblico, sussistevano ancora, o perché divenuti abitudine in seguito ai disordini delle guerre civili, o perché si erano introdotti durante la pace. Così un gran numero di briganti si mostrava in pubblico con un pugnale alla cintura, con il pretesto di difendersi; nella campagna si sequestravano i viaggiatori e si tenevano prigionieri, senza fare distinzione fra liberi e schiavi, nelle celle dei proprietari; si formavano, sotto il titolo di nuovi collegi, moltissime associazioni pronte a compiere insieme ogni sorta di azione criminosa. Augusto represse il brigantaggio collocando posti di guardia nei luoghi opportuni, fece ispezionare tutte le celle e disciolse tutte le associazioni, ad eccezione di quelle legittime e anticheFece bruciare le liste dei vecchi debitori dell'erario, fonte principale delle accuse calunniose; in Roma aggiudicò ai proprietari del momento i terreni che, con un diritto discutibile, lo Stato riteneva suoisoppresse i nomi di coloro che erano perennemente tenuti nella condizione di accusati e dei quali nessuno si lamentava se non i loro nemici con un certo qual sadismo; pose inoltre questa condizione, che se qualcuno avesse voluto nuovamente perseguitare uno di costoro, andasse incontro al rischio di subire la stessa pena. Per fare in modo che nessun delitto restasse impunito e che nessun affare venisse archiviato a furia di ritardi, accordò agli atti forensi più di trenta giorni, che erano consacrati ai giochi onorari. Alle tre decurie di giudici ne aggiunse una quarta, di censo inferiore, chiamata «dei ducenari», con il compito di giudicare intorno a somme inferiori. Mise a ruolo i giudici a trent'anni, vale a dire cinque anni prima del solito. Ma poiché la maggior parte dei cittadini cercava di sottrarsi alle funzioni giudiziarie, concesse che ciascuna decuria, a turno, facesse vacanza per un anno e permise che, contrariamente all'usanza, si interrompessero i lavori in novembre e in dicembre.» (Svetonio, Augusto, 32)

- Considerando importante conservare la purezza della razza romana, evitando potesse mescolarsi con sangue straniero e servile, Augusto fu molto restio nel concedere la cittadinanza romana, ponendo anche precise regole riguardo all'affrancamento. E così degli schiavi, una volta tenuti lontani dalla libertà parziale o totale, stabilì il loro numero, la condizione e la divisione in differenti categorie, in modo da stabilire chi potesse essere affrancato.

Aureo con Augusto
imperatore, da QUI
- Riorganizzò e ripulì l'ordine senatorio di quegli elementi giudicati deformi et incondita turbaNe ridusse poi il numero alla cifra di un tempo, pari a 600, e gli restituì la sua antica dignità attraverso due selezioni: la prima era generata dai senatori stessi, in quanto ognuno sceglieva un collega; la seconda era operata dallo stesso princeps e dal fedele Marco Vipsanio Agrippa. Elevò poi il censo senatoriale, portandolo da ottocentomila a un milione e duecentomila sesterzi e diede la differenza ai senatori che non ne avevano abbastanza.

- Augusto fece di Roma una monumentale città di marmo e istituì:
- due curatores aedium sacrarum et operum locorumque publicorum per preservare i templi e gli edifici pubblici;
- aumentò l'approvvigionamento idrico con la costruzione di due nuovi acquedotti e creando un corpo di tre curatores aquarum per l'approvvigionamento idrico;
- la divise in regiones per meglio amministrarla oltre a istituire cinque curatores riparum et alvei Tiberis, per proteggere Roma da eventuali inondazioni;
- curò personalmente gli approvvigionamenti di cibo necessari alla popolazione della capitale, con la creazione del praefectus annonae e di due praefecti frumenti dandi (di rango senatorio) per somministrare i sussidi.
Incrementò, infine, il livello di sicurezza cittadina ponendo a salvaguardia dell'Urbe tre nuove prefetture:
- la praefectura vigilum per far fronte agli incendi di Roma;
- la praefectura Urbi al fine di mantenere l'ordine pubblico;
- la Guardia pretoriana, quale guardia personale del princeps.

- Nel 2 a.C., Giulia, madre di due eredi di Augusto (Lucio e Gaio) e moglie del terzo (Tiberio), viene arrestata per adulterio e tradimento. Augusto le fa recapitare una lettera a nome di Tiberio in cui il loro matrimonio veniva dichiarato nullo. L'imperatore stesso afferma in pubblico che Giulia era colpevole di aver complottato contro la vita di suo padre. Molti dei complici di Giulia verranno esiliati, tra cui Sempronio Gracco, mentre Iullo Antonio, figlio di Marco Antonio e Fulvia, sarà obbligato a suicidarsi. Anche la liberta Febe, che aveva aiutato Giulia nella congiura, si suicidò. Augusto mostrò di essere a conoscenza da tempo delle manovre dei congiurati, che si incontravano al Foro Romano, come pure della relazione amorosa tra Iullo e Giulia, forse l'unica vera tra tutte quelle attribuite alla figlia dell'imperatore. Giulia rimarrà in esilio a Ventotene per cinque anni, a seguito dell'accusa di adulterio e tradimento mossale dal padre. Augusto tentennò sull'opportunità di mandare a morte la propria figlia, decidendo poi per l'esilio. Giulia fu confinata sull'isola di Pandateria (la moderna Ventotene), dove venne accompagnata dalla madre Scribonia. Le condizioni di vita erano disagevoli: sull'isola, di meno di due chilometri quadrati, non erano ammessi uomini, mentre eventuali visitatori dovevano essere prima autorizzati da Augusto, dopo che l'imperatore fosse stato informato della loro statura, carnagione, segni particolari o cicatrici; inoltre, non era concesso a Giulia di bere vino né alcuna forma di lusso. L'esilio di Giulia causò ad Augusto sia rimorso che vergogna e rancore, per il resto della sua vita. «[…] quando si trattò della figlia, informò il Senato in sua assenza attraverso la comunicazione di un questore, poi si astenne dal contatto con la gente per la vergogna e pensò perfino di farla uccidere.» (Svetonio, Augustus, 65). Ogni qual volta veniva fatto riferimento a lui e alla figlia, diceva, citando l'Iliade: «Vorrei essere senza moglie, o essere morto senza figli» (Svetonio, Augustus, 65). Inoltre, raramente faceva riferimento a Giulia senza chiamarla come uno dei suoi tre ascessi o cancri. Cinque anni dopo le fu permesso di tornare sulla terraferma in condizioni migliori, a Reggio Calabria, dove secondo la leggenda sarebbe stata ospitata nella Torre di Giulia. Augusto non accolse nessuna intercessione che potesse richiamarla presso di sé e quando il popolo romano gli implorò la grazia con insistenza, egli gli augurò di avere tali figlie e tali spose. Decretò che le ceneri della figlia non venissero inumate nel mausoleo di famiglia.

Tiberio, dal Museo di
Venezia QUI.
Nel 4 d.C. - Augusto adotta Tiberio e il suo nome muta in Tiberio Giulio Cesare mentre alla morte del padre adottivo, il 19 agosto 14, otterrà il nome di Tiberio Giulio Cesare Augusto e gli succederà ufficialmente nel ruolo di princeps, sebbene già dall'anno 12 fosse stato associato nel governo dell'impero. Tiberio era rientrato a Roma dall'isola di Rodi nel 2 e aveva condotto altre spedizioni nell' Illirico e in Germania. Il princeps costrinse però Tiberio ad adottare a sua volta il nipote Germanico Giulio Cesare, figlio del fratello Druso Maggiore, sebbene Tiberio avesse già un figlio, concepito dalla prima moglie, Vipsania, di nome Druso minore e più giovane di un anno soltanto. L'adozione di Tiberio, che nell'occasione prese il nome di Tiberio Giulio Cesare, è celebrata il 26 giugno del 4 con grandi festeggiamenti e Augusto ordina che si distribuiscano alle truppe oltre un milione di sesterzi. Il ritorno di Tiberio al potere supremo dava infatti, non solo al Principato una naturale stabilità, continuità e concordia interna, ma nuovo slancio alla politica augustea di conquista e gloria all'esterno dei confini imperiali.

- La successione è stata una delle più grandi preoccupazioni della vita di Augusto, spesso affetto da malattie che avevano fatto più volte temere una sua morte prematura. Il princeps aveva sposato nel 42 a.C. Clodia Pulcra, figliastra di Antonio, ma l'aveva poi ripudiata l'anno successivo (41 a.C.), per sposare prima Scribonia e, poco dopo, Livia Drusilla. Per alcuni anni Augusto sperò di avere come erede il nipote Marco Claudio Marcello, figlio di sua sorella Ottavia, che fece sposare con sua figlia Giulia, nel 25 a.C. Marcello fu così adottato, ma morì ancora in giovanissima età due anni più tardi. Augusto costrinse allora Agrippa a sposare la giovanissima Giulia, scegliendo dunque come successore il fidato amico, cui attribuì l'imperium proconsolare e la tribunicia potestas. Tuttavia anche Agrippa morì prima di Augusto, nel 12 a.C., mentre si distinguevano per le loro imprese Druso (fratello maggiore di Tiberio), favorito dello stesso Augusto, e Tiberio. Dopo la prematura morte di Druso, il princeps diede la figlia Giulia in sposa a Tiberio, ma adottò i figli di Agrippa, Gaio e Lucio Cesare: anch'essi morirono però in giovane età, non senza che si sospettasse un coinvolgimento di Livia Drusilla. Augusto, dunque, non poté che adottare Tiberio, poiché l'unico altro discendente diretto di sesso maschile ancora in vita, il figlio di Agrippa, Agrippa Postumo, appariva brutale e del tutto privo di buone qualità, ed era stato mandato al confino nell'isola di Pianosa. Secondo Svetonio, tuttavia, Augusto, per quanto affezionato al figliastro, ne biasimava spesso alcuni aspetti, ma scelse comunque di adottarlo per più motivi: «[...] E non ignoro nemmeno che, secondo alcuni, [...] acconsentì ad adottarlo solo per le preghiere di sua moglie, e anche spinto dal desiderio di farsi maggiormente rimpiangere, dandosi un simile successore. Non posso però credere che quel principe tanto circospetto e prudente abbia agito alla leggera in un caso di così grande importanza; credo piuttosto che abbia accuratamente pesato le virtù e i vizi di Tiberio e trovato maggiori le virtù, soprattutto tenendo conto che aveva giurato in assemblea di adottarlo nell'interesse dello stato, e che in molte sue lettere lo celebrò come un grande comandante militare e l'unico sostegno del popolo romano. [...]». (Svetonio, Vite dei Cesari, Tiberio, 21; trad. di Felice Dessì, Vite dei Cesare, BUR.)


Nel 4/5 d.C. - Tiberio, figlio adottivo dell'imperatore Augusto, completa la conquista della parte settentrionale della Germania e doma gli ultimi focolai di una rivolta dei Cherusci. I territori compresi tra i fiumi Reno ed Elba apparivano ai Romani come una vera e propria provincia, dopo una conquista durata quasi un ventennio.

Le 11 Regioni istituite da Augusto.
Nel 6 d.C. - Nell'ambito di una riorganizzazione amministrativa dell'Impero Romano, Ottaviano Augusto unifica i territori della penisola italica, assorbendo la Provincia della Gallia Cisalpina, sotto l'amministrazione diretta di Roma, e li suddivide in 11 Regio (Regioni).

Nel 9 - Si combatte la battaglia della Foresta di Teutoburgo, chiamata clades Variana (la disfatta di Varo) dagli storici romani, tra l'esercito romano guidato da Publio Quintilio Varo e una coalizione di tribù germaniche comandate da Arminio, ufficiale delle truppe ausiliarie di Varo, ma segretamente anche capo dei Cherusci. La battaglia ebbe luogo nei pressi dell'odierna località di Kalkriese, nella Bassa Sassonia, e si risolse in una delle più gravi disfatte subite dai Romani: tre intere legioni (composte di 5/6.000 armati ciascuna), la XVII, la XVIII e la XIX, furono annientate, oltre a 6 coorti di fanteria (di circa 600 uomini ciascuna) e 3 ali di cavalleria ausiliaria (di circa 500 armati l'una).
Strabone, in Geografia, VII Germania, scrive che a Roma si pensava che ormai fosse arrivato il momento di introdurre nella regione il diritto e le istituzioni romane. L'imperatore Augusto decise così di affidare a un burocrate, più che a un generale, il governo della nuova provincia. Scelse, dunque, il governatore della Siria, Publio Quintilio Varo. Augusto riteneva che un tale personaggio, certamente non noto per l'abilità bellica, potesse far cambiare le usanze secolari dei Germani, che non apprezzavano i modi rudi dei militari romani. Nel settembre dell'anno 9, finita la stagione di guerra (che per i Romani incominciava a marzo e finiva a ottobre), Varo si muoveva verso i tre campi invernali che si trovavano a Haltern, sul fiume Lippe (sede amministrativa della nuova provincia di Germania), a Castra Vetera (l'attuale Xanten, lungo il Reno) e il terzo a Colonia (anch'esso sul Reno).
Ubicazione della foresta di Teutoburgo, da: https://upload.
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Germania_7-9_Varo.jpg
 
Il percorso abituale sarebbe stato quello di scendere dal fiume Weser (presso l'attuale località di Minden), attraversare il passo di Doren (le cosiddette porte della Vestfalia) e raggiungere l'alto corso della Lippe presso Anreppen, per poi proseguire fino a Haltern (la romana Aliso) e di qui al Reno. Al comando di tre legioni (la XVII, la XVIII e la XIX), reparti ausiliari (3 ali di cavalleria e 6 coorti di fanteria) e numerosi civili, Varo si spinse in direzione ovest, affidandosi alle indicazioni degli indigeni, poiché non conosceva né il nuovo percorso, né la regione. Egli non sospettava che Arminio, principe dei Cherusci (il quale militava da anni nelle file dell'esercito romano tra gli ausiliari), stava progettando un'imboscata per sopraffare l'esercito romano in Germania: al contrario, si riteneva al riparo dai pericoli, considerando Arminio un fedele alleato. Sia Velleio Patercolo sia Dione raccontano che Varo non prestò fede ad alcuno, incluso Segeste, futuro suocero di Arminio, che lo aveva informato dell'agguato. Era stata simulata una rivolta nei pressi del massiccio calcareo di Kalkriese, nel territorio dei Bructeri, e Varo - senza dar credito alle voci sospettose circa un possibile agguato al suo esercito in marcia, su un percorso finora mai esplorato e all'interno di una folta foresta circondata da acquitrini - non utilizzò alcuna precauzione che lo mettesse al riparo da una possibile aggressione, facilitando il compito ad Arminio e ai suoi Germani. Varo disponeva di tre intere legioni: la XVII, XVIII e XIX, oltre ad alcune unità ausiliarie (3 ali e 6 coorti), pari a circa 15.000 legionari e 5.000 ausiliari (a ranghi completi). I Germani di Arminio potevano invece contare su circa 20.000/25.000 guerrieri delle tribù dei Cherusci, Bructeri, oltre probabilmente a Sigambri, Usipeti, Marsi, Camavi, Angrivari e Catti. «[...] il terreno era sconnesso ed intervallato da dirupi e con piante molto fitte ed alte [...] i Romani erano impegnati nell'abbattimento della vegetazione ancor prima che i Germani li attaccassero [...] portavano con sé molti carri, bestie da soma [...] non pochi bambini, donne ed un certo numero di schiavi [...] nel frattempo si abbatteva su di loro una violenta pioggia ed un forte vento che dispersero ancor di più la colonna in marcia [...] il terreno così diventava ancor più sdrucciolevole [...] e l'avanzata sempre più difficile [...] i barbari, grazie alla loro ottima conoscenza dei sentieri, d'improvviso circondarono i Romani con un'azione preordinata, muovendosi all'interno della foresta ed in un primo momento li colpirono da lontano [evidentemente con un continuo lancio di giavellotti, aste e frecce] ma successivamente, poiché nessuno si difendeva e molti erano stati feriti, li assalirono. I Romani, infatti, avanzavano in modo disordinato nel loro schieramento, con i carri e soprattutto con gli uomini che non avevano indossato l'armamento necessario, e poiché non potevano raggrupparsi [a causa del terreno sconnesso e degli spazi ridotti del sentiero che seguivano] oltre ad essere numericamente inferiori rispetto ai Germani che si gettavano nella mischia contro di loro, subivano molte perdite senza riuscire ad infliggerne altrettante [...]» (Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LVI, 20, 1-5.). Gran parte dei superstiti vennero sacrificati alle divinità germaniche e i restanti vennero liberati, o scambiati con prigionieri germanici o riscattati, se è vero che durante la spedizione del 15 (sei anni dopo la disfatta) Germanico si fece ricondurre sul campo di Kalkriese avvalendosi dell'aiuto dei pochissimi superstiti della battaglia (gli unici che fossero in grado di indicare il luogo), per dare degna sepoltura ai resti dei commilitoni morti sei anni prima. E qui vide lo scempio di un autentico massacro. «[Germanico giunse sul luogo della battaglia, ove] nel mezzo del campo biancheggiavano le ossa ammucchiate e disperse [...] sparsi intorno [...] sui tronchi degli alberi erano conficcati teschi umani. Nei vicini boschi sacri si vedevano altari su cui i Germani avevano sacrificato i tribuni ed i principali centurioni [...]» (Cornelio Tacito, Annali I, 61.). Contro quelle tribù germaniche furono pertanto condotte sanguinose campagne da parte dei generali romani, Tiberio nel 10-11 d.C. e Germanico nel 14-16 d.C., per vendicare l'onta subita dagli eserciti romani. I Romani diedero inizio a una guerra durata sette anni, al termine della quale rinunciarono a ogni ulteriore tentativo di conquista della Germania. Il Reno si consolidò come definitivo confine nord-orientale dell'Impero per i successivi 400 anni.

- Nel 9, dopo aver brillantemente sconfitto i ribelli dalmati, Tiberio torna a Roma, dove decide di posticipare la celebrazione del trionfo che gli era stato tributato in modo tale da rispettare il lutto imposto per la disfatta di Varo. Il popolo avrebbe comunque desiderato che prendesse un soprannome, come Pannonico, Invitto o Pio, che ricordasse le sue grandi imprese; Augusto, tuttavia, respinge le richieste rispondendo che un giorno avrebbe preso anch'egli l'appellativo di Augusto, e quindi lo invia sul Reno, per evitare che il nemico germanico attaccasse la Gallia e che le province appena pacificate potessero rivoltarsi nuovamente ancora una volta in cerca dell'indipendenza. Giunto in Germania, Tiberio poté constatare la gravità della disfatta di Varo e delle sue conseguenze, che impedivano di progettare una nuova riconquista delle terre che andavano fino all'Elba. Adottò, dunque, una condotta particolarmente prudente, prendendo ogni decisione assieme al consiglio di guerra ed evitando di far ricorso, per la trasmissione di messaggi, a uomini del luogo come interpreti; sceglieva allo stesso modo con cura i luoghi in cui erigere gli accampamenti, in modo tale da fugare qualsiasi pericolo di rimanere vittima di una nuova imboscata; mantenne, infine, tra i legionari una disciplina ferrea, punendo in modo estremamente rigoroso tutti coloro che trasgredivano i suoi rigidi ordini. In questo modo poté ottenere numerose vittorie e confermare il confine lungo il fiume Reno, mantenendo fedeli a Roma i popoli germanici, tra cui Batavi, Frisi e Cauci, che abitavano quei luoghi.


Nel 14 - Augusto, quasi 76enne e ormai prossimo alla morte, chiama a sé Tiberio sull'isola di Capri: l'erede, che non c'era mai stato, ne rimane profondamente affascinato. Lì si decide che Tiberio si sarebbe nuovamente recato in Illirico per dedicarsi alla riorganizzazione amministrativa della provincia e i due ripartono assieme per Roma, ma Augusto, colto da un improvviso malore, è costretto a fermarsi nella sua villa di Nola, l'Octavianum, mentre Tiberio prosegue per l'Urbe per poi partire per l'Illirico, com'era stato concordato. Proprio mentre si avvicinava alla provincia Tiberio è urgentemente richiamato indietro perché il patrigno, che non si era più potuto spostare da Nola, era ormai in fin di vita. L'erede poté giungere da Augusto e i due tennero assieme ancora un ultimo colloquio, prima che il principe morisse (il 19 agosto). Secondo altre versioni, invece, Tiberio giunse a Nola quando Augusto era già morto. Tiberio annuncia dunque la morte di Augusto, mentre sopraggiunge anche la notizia del misterioso assassinio di Agrippa Postumo da parte del centurione addetto alla sua custodia. Temendo quindi eventuali attentati alla sua persona, Tiberio si attribuisce una scorta militare e convoca il senato per il 17 settembre, affinché si discutano le onoranze funebri da rendere ad Augusto e se ne leggesse il testamento: egli lasciava come eredi del suo patrimonio Tiberio e Livia Drusilla (che assumeva il nome di Augusta), ma assegnava numerosi donativi anche al popolo di Roma e ai legionari che militavano negli eserciti.

- A proposito della morte di Augusto: «L'ultimo giorno della sua vita, informandosi a più riprese se il suo stato provocava già animazione nella città, chiese uno specchio, si fece accomodare i capelli, rassodare le gote cascanti e, chiamati i suoi amici, domandò se sembrava loro che avesse ben recitato fino in fondo la farsa della vita, poi aggiunse anche la conclusione tradizionale: «Se il divertimento vi è piaciuto, offritegli il vostro applauso e tutti insieme manifestate la vostra gioia.» Poi li congedò tutti quanti e mentre interrogava alcune persone venute da Roma sulla malattia della figlia di Druso, improvvisamente spirò tra le braccia di Livia, dicendo: «Livia, fin che vivi ricordati della nostra unione. Addio!» Ebbe così una morte dolce, come aveva sempre desiderato. Infatti, quasi sempre quando gli si annunciava che la tale persona era morta rapidamente e senza soffrire, chiedeva agli dei per sé e per i suoi una simile «eutanasia» ( questo è il termine di cui era solito servirsi ). Prima di rendere l'anima mostrò soltanto un segno di delirio mentale, quando colto da un improvviso sudore, si lamentò di essere trascinato da quaranta giovani. Ma fu piuttosto un presagio che un effetto di delirio, perché proprio quaranta soldati pretoriani lo portarono sulla piazza pubblica.» (Svetonio, Augusto, 99). All'età di 55 anniTiberio succede ad Ottaviano Augusto  alla guida dell'impero Romano. Nell'anno 14 d.C. le province senatorie erano dieci, di cui due affidate a ex-consoli (Africa e Asia). I senatori decisero allora di tributare solenni onoranze funebri al princeps defunto, il cui corpo fu cremato nel Campo Marzio, e iniziarono poi a rivolgere preghiere a Tiberio perché assumesse il ruolo e il titolo che era stato di suo padre, e guidasse dunque lo Stato romano; Tiberio inizialmente rifiutò, secondo Tacito e Svetonio volendo in realtà essere supplicato dai senatori, perché non sembrasse che il governo dello Stato subisse svolte in senso autocratico e perché il sistema repubblicano rimanesse almeno formalmente intatto. Alla fine Tiberio accettò l'offerta dei senatori, prima di irritarne gli stessi animi, probabilmente essendosi reso conto che vi era l'assoluta necessità di un'autorità centrale: il corpo (l'Impero) aveva bisogno di una testa (Tiberio). Risulta, pertanto, più probabile la tesi sostenuta dagli autori filotiberiani, che raccontano che le esitazioni di Tiberio nell'assumere la guida dello Stato erano dettate da una reale modestia, più che da una premeditata strategia. Dopo la seduta del Senato del 17 settembre del 14, dunque, Tiberio divenne il successore di Augusto alla guida dello Stato romano, mantenendo la tribunicia potestas e l'imperium proconsulare maius insieme agli altri poteri di cui aveva usufruito Augusto, e assumendo il titolo di princeps. Rimase imperatore per quasi ventitré anni, fino alla sua morte, nel 37. Il suo primo atto fu quello di ratificare la divinizzazione di suo padre adottivo, Augusto (divus Augustus), come in precedenza era stato fatto con Gaio Giulio Cesare, confermandone inoltre il lascito ai soldati. Asceso al trono all'età di quasi 56 anni, Tiberio  (Roma,16 novembre 42 a.C. - Miseno, 16 marzo 37 d.C.) operò molte importanti riforme in ambito economico e politico e pose fine alla politica di espansione militare, limitandosi a mantenere sicuri i confini grazie anche all'opera del nipote Germanico Giulio Cesare. Dopo la morte di quest'ultimo, Tiberio favorì sempre più l'ascesa del prefetto del pretorio Seiano, allontanandosi da Roma per ritirarsi nell'isola di Capri. Quando il prefetto mostrò di volersi impadronire del potere assoluto, Tiberio lo fece destituire e uccidere, ma evitò ugualmente di rientrare nella capitale. Tiberio è stato duramente criticato dagli storici antichi, quali Tacito e Svetonio, che soprassedettero alle imprese militari che Tiberio aveva compiuto sotto Augusto e i provvedimenti politici che aveva preso nel primo periodo del suo principato, registrando invece tutte le critiche e le calunnie che i nemici gli riversavano, fornendone quindi di Tiberio una descrizione fondamentalmente negativa. Sicuramente non fu amato dal popolo romano, d'altro canto Tiberio non cercò mai di allontanare dalla sua figura critiche e sospetti, probabilmente infondati, a causa della sua personalità chiusa, malinconica e sospettosa. La sua figura però è stata rivalutata dalla storiografia moderna come quella di un politico abile e attento e impedì, con il suo governo fermo, ordinato e rispettoso delle regole poste da Augusto, che l'opera di quest'ultimo avesse un carattere di provvisorietà e andasse perduta. Egli infatti, riuscì nel corso del suo regno a dare quella continuità indispensabile al sistema del principato, ed evitare che la situazione degenerasse in nuove guerre civili, come era accaduto invece ai tempi di Mario e Silla, Cesare e Pompeo e Antonio ed Ottaviano.

- Nel 14 Tiberio, divenuto imperatore, toglie a Giulia le sue rendite, ordinando che sia confinata in una sola stanza e che le venga tolta ogni compagnia umana. Giulia morirà poco dopo. La morte potrebbe essere stata causata dalla malnutrizione, se Tiberio la volle morta come ritorsione per aver disonorato il loro matrimonio; è anche possibile che Giulia si sia lasciata morire dopo aver saputo dell'assassinio del suo ultimo figlio, Agrippa Postumo. La maggior parte degli scrittori antichi ricorda Giulia per la sua pubblica condotta promiscua. Così Velleio Patercolo la descrive come «inquinata dalla lussuria» (II.100), elencando tra i suoi amanti Iullo Antonio, Quinzio Crispino, Appio Claudio, Sempronio Gracco e il suo fratellastro Publio Cornelio Scipione. Lucio Anneo Seneca parla di «ammissione di molteplici adulteri»; Gaio Plinio Secondo la chiama «exemplum licentiae».

Nel 19 - Muore Germanico (il cui padre era Druso maggiore, fratello di Tiberio e figlio della terza moglie di Augusto, Livia Drusilla e la madre era Antonia Minore, figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Augusto, per cui attraverso la gens Iulia, Germanico era proclamato discendente di Venere ed Enea) e per il popolo il mandante di quella morte è Tiberio. Fin dall'inizio del suo principato, Tiberio si era trovato a dover convivere con l'incredibile prestigio  che Germanico, il figlio di suo fratello Druso maggiore, che egli stesso aveva adottato per ordine di Augusto, andava acquisendo presso tutto il popolo di Roma. Quando questi ebbe portato a termine le sue campagne sul fronte settentrionale, dove si era guadagnato la stima dei suoi collaboratori e dei legionari, riuscendo a recuperare due delle tre Aquile legionarie perdute nella battaglia di Teutoburgo, la sua popolarità era tale da consentirgli, se avesse voluto, di prendere il potere scacciando il padre adottivo Tiberio, che in alcuni contesti era già malvisto poiché la sua ascesa al principato era stata segnata dalla morte di tutti gli altri parenti che Augusto aveva indicato come eredi. Il risentimento spinse quindi Tiberio ad affidare al figlio adottivo uno speciale compito in Oriente, in modo da allontanarlo ulteriormente da Roma; il Senato decise di conseguenza di conferire al giovane l'imperium proconsulare maius su tutte le province orientali. Tiberio, tuttavia, non aveva fiducia in Germanico, che in Oriente si sarebbe trovato lontano da qualsiasi controllo ed esposto alle influenze dell'intraprendente moglie Agrippina maggiore, e decise dunque di affiancargli un uomo di sua fiducia: la scelta di Tiberio ricadde su Gneo Calpurnio Pisone, che era stato collega nel consolato dello stesso Tiberio nel 7 a.C., aspro e inflessibile. Germanico, dunque, partì nel 18 verso l'Oriente assieme a Pisone, che fu nominato governatore della provincia di Siria. Germanico, tornato in Siria nel 19 dopo aver soggiornato in Egitto durante l'inverno, entrò in aperto conflitto con Pisone, che aveva annullato tutti i provvedimenti che il giovane figliastro di Tiberio aveva preso; Pisone, in risposta, decise di lasciare la provincia per fare ritorno a Roma. Poco dopo la partenza di Pisone, Germanico cadde malato ad Antiochia e morì il 10 ottobre dopo lunghe sofferenze; prima di spirare, lo stesso Germanico confessò la propria convinzione di essere stato avvelenato da Pisone, e rivolse un'ultima preghiera ad Agrippina affinché vendicasse la sua morte. Officiati i funerali, dunque, Agrippina tornò con le ceneri del marito a Roma, dove grandissimo era il compianto di tutto il popolo per il defunto. Tiberio, tuttavia, evitò di manifestare pubblicamente i suoi sentimenti, e non partecipò neppure alla cerimonia in cui le ceneri di Germanico furono riposte nel mausoleo di Augusto. In effetti Germanico potrebbe essere deceduto di morte naturale, ma la popolarità crescente enfatizzò molto l'avvenimento, che comunque è anche ingigantito dallo storico Tacito. Subito, però, si manifestò il sospetto, alimentato dalle parole pronunciate da Germanico morente, che fosse stato Pisone a causarne la morte avvelenandolo. Si diffuse dunque anche la voce di un coinvolgimento dello stesso Tiberio, quasi fosse il mandante del delitto di Germanico, avendo lo stesso scelto personalmente di inviare Pisone in Siria: quando dunque lo stesso Pisone fu processato, accusato anche di aver commesso numerosi reati in precedenza, l'imperatore tenne un discorso particolarmente moderato, in cui evitò di schierarsi a favore o contro la condanna del governatore. A Pisone non poté comunque essere imputata l'accusa di veneficio, che appariva, anche agli accusatori, impossibile da dimostrare; il governatore, tuttavia, certo di dover essere condannato per gli altri reati che aveva commesso, decise di suicidarsi prima che venisse emesso un verdetto. La popolarità di Tiberio, dunque, uscì danneggiata dall'episodio, proprio perché Germanico era molto amato. Tacito scrisse così di lui, decenni dopo la sua morte: «[Germanico] ...giovane, aveva sentimenti liberali e una straordinaria affabilità, che contrastava con il linguaggio e l'atteggiamento di Tiberio, sempre arroganti e misteriosi...» (Tacito, Annales, I, 33). I due, infatti, avevano modi di fare particolarmente contrastanti: Tiberio si distingueva per la freddezza, la riservatezza e il pragmatismo, Germanico per la sua popolarità, la semplicità e il fascino.

- La morte di Germanico apriva la strada per la successione dell'unico figlio naturale di Tiberio, Druso, che aveva, fino a quel momento, accettato un ruolo secondario rispetto al cugino Germanico. Egli era soltanto di un anno più giovane del defunto, ma ugualmente abile, come risulta dal modo con cui fronteggiò la rivolta in Pannonia. Intanto, Lucio Elio Seiano, nominato prefetto del Pretorio insieme al padre nel 16, riuscì presto a conquistarsi la fiducia di Tiberio. Accanto a Druso, dunque, favorito per la successione, si andò a collocare anche la figura di Seiano, che acquisì un grande influsso sull'opera di Tiberio: il prefetto del Pretorio, infatti, che mostrava nel carattere una riservatezza del tutto simile a quella dell'imperatore, era invece animato da un forte desiderio di potere, e ambiva lui stesso a divenire il successore di Tiberio. Seiano vide inoltre crescere enormemente il suo potere quando le nove coorti pretoriane furono raggruppate nella stessa città di Roma, presso la Porta Viminalis. Tra Druso e Seiano si venne quindi a creare una situazione di aperta rivalità; il prefetto, allora, iniziò a meditare l'ipotesi di assassinare Druso e gli altri possibili successori di Tiberio, sedusse quindi la moglie dello stesso Druso, Claudia Livilla e intraprese con lei una relazione. Poco tempo dopo, nel 23, lo stesso Druso morì avvelenato; l'opinione pubblica arrivò a sospettare, pur senza alcun fondamento, che potesse essere stato Tiberio a ordinare l'assassinio di Druso, ma appariva più verosimile che vi fosse stata coinvolta Claudia Livilla. Otto anni più tardi Tiberio verrà a sapere che ad uccidere il figlio era stata proprio la nuora Livilla, insieme al suo più fidato consigliere, Seiano.


Le popolazioni germaniche nel 50, con Claudio imperatore.
Nel 26 - Cornelio Tacito scrive dei Sigambri a proposito della guerra contro i Traci del 26, condotta da un certo Gaio Poppeo Sabino (console del 9). Sembra che in quella circostanza una loro coorte ausiliaria prese parte alla guerra dell'area balcanica (Tacito, Annales IV, 47). A partire dalle campagne di Druso, (Nerone Claudio Druso, 39 - 9 a.C., conosciuto come Druso maggiore, militare e politico romano appartenente alla dinastia giulio-claudia in quanto figlio della terza moglie di Augusto, Livia Drusilla) la popolazione dei Sigambri aveva cominciato a fornire truppe ausiliarie all'interno dell'esercito romano. Sono citate le seguenti unità: I Claudia Sugambrorum tironum veterana, che fu prima in Mesia sotto Vespasiano (nel 77), poi in Mesia inferiore sotto Domiziano (nel 91), Nerva (nel 96-98) ed ancora sotto Antonino Pio nel 139 e nel 145. La troviamo in Siria nel 157; della II e III Sugambrorum se ne ipotizza l'esistenza in base alla presenza della IV; la IV Sugambrorum si trovava in Mauretania Caesariensis sotto Traiano nel 108. Il termine Sigambro rimase per indicare un guerriero valoroso. Secondo la tradizione il vescovo Remigio di Reims, nel battezzare Clodoveo I usò la seguente formula: "Fiero Sigambro, brucia ciò che hai adorato e adora ciò che hai bruciato!". Da "Il Santo Graal" di Michael Baigent, Richard Leigh, Henri Lincoln - 1982 Arnoldo Mondadori Editore: "...verso l'inizio dell'era cristiana, avrebbero risalito il Danubio e il Reno, imparentandosi per matrimonio con certe tribù teutoniche e generando i Franchi Sicambri: gli antenati dei Merovingi. Secondo i « documenti del Priorato », quindi, i Merovingi discendevano, attraverso l'Arcadia, dalla tribù di Beniamino. In altre parole i Merovingi e i loro discendenti, ad esempio le famiglie dei Plantard e dei Lorena, erano di origine semitica o israelita. E se Gerusalemme faceva parte dell'eredità dei Beniaminiti, Goffredo di Buglione marciando sulla Città Santa, avrebbe in pratica rivendicato la sua antica, legittima eredità. È significativo il fatto che Goffredo, unico tra i principi d'Occidente che intrapresero la Prima Crociata, cedesse tutte le sue proprietà prima della partenza, indicando così che non intendeva ritornare in Europa.".

- Nel 26 Tiberio si ritrova ancora una volta, all'età di 64 anni, privo di un erede, poiché i gemelli di Druso, nati nel 19, erano troppo giovani e uno di loro era morto poco dopo il padre. Scelse allora di proporre come suoi successori i giovani figli di Germanico, che erano stati adottati da Druso e che Tiberio pose sotto la tutela dei senatori. Seiano ebbe, allora, un potere sempre maggiore, tanto da poter sperare di divenire imperatore egli stesso dopo la morte di Tiberio e iniziò una serie di persecuzioni prima contro i figli e la moglie di Germanico, Agrippina, poi verso gli amici dello stesso Germanico; molti di loro furono infatti costretti all'esilio o scelsero di darsi la morte per evitare una condanna. Tiberio, addolorato per la morte del figlio ed esasperato per l'ostilità del popolo di Roma, nel 26 decise di ritirarsi prima in Campania e l'anno successivo a Capri su consiglio dello stesso Seiano, per non fare mai più ritorno nell'Urbe. Egli aveva già sessantasette anni e sembra che il piano di allontanarsi da Roma lo accarezzasse già da diverso tempo. Si racconta che dopo aver visto il figlio morire agonizzante, avesse parlato di abdicare. Non poteva più sopportare di vedere intorno a sé gente che gli ricordava Druso, senza dimenticare che la vicinanza della madre Livia era divenuta per lui insopportabile. Una malattia che gli sfigurava il viso ne aveva, infine, aumentato la sucettibilità e l'ombrosità del carattere. Ma il suo ritiro fu un errore molto grave, sebbene Tiberio non avesse diminuito la cura con cui affrontava i problemi dell'Impero dalla villa di Capri. Il prefetto del pretorio, intanto, godendo della totale fiducia dell'imperatore, prese il controllo di tutte le attività politiche, divenendo rappresentante incontrastato del potere imperiale. Egli era riuscito, inoltre, a convincere il princeps a concentrare tutte le nove coorti pretorie, in precedenza distribuite tra Roma e altre città italiche, nell'Urbe, (all'interno dei Castra Praetoria) a sua totale disposizione, ora che Tiberio aveva lasciato Roma. Tiberio, invece, si impegnò a mantenersi informato sulla vita politica di Roma, e riceveva regolarmente missive che lo informavano delle discussioni intraprese in senato; egli stesso, grazie all'istituzione di un vero e proprio servizio postale, poteva esprimere il proprio parere, ed era anche in grado di impartire ordini ai suoi emissari nell'Urbe. L'allontanamento di Tiberio da Roma, portò comunque a una progressiva esautorazione del senato a tutto vantaggio di Seiano. Il prefetto del pretorio, infatti, iniziò a perseguitare i propri oppositori accusandoli di lesa maestà ed eliminandoli, dunque, dalla scena politica; grande credito acquisirono i delatori, ovvero coloro che fungevano da accusatori, e permettevano la condanna dell'imputato. Una tale situazione portò alla creazione di un clima di generale sospetto, che a sua volta, fomentò ulteriormente le voci sui coinvolgimenti dell'imperatore nei numerosi processi politici intentati da Seiano e dai suoi collaboratori.

Nel 29 - Quando Livia Drusilla, che con il suo carattere autoritario aveva sempre influenzato il governo,  muore all'età di ottantasei anni, il figlio Tiberio si rifiuta di far ritorno a Roma per le esequie e ne proibisce la divinizzazione. Seiano, allora, poté procedere indisturbato in una serie di azioni contro Agrippina maggiore e il suo figlio primogenito Nerone: contro il giovane furono riversate numerose accuse infamanti, tra cui quelle di omosessualità e di tentata sovversione, ed egli fu dunque condannato al confino sull'isola di Ponza, dove morì nel 30 patendo la fame. Agrippina, invece, accusata di adulterio, fu deportata nell'isola Pandataria dove morì nel 33. Nei progetti di Seiano rientrava appunto il proposito di assicurarsi la successione nel ruolo di imperatore. Eliminati i discendenti diretti di Tiberio, il prefetto era ormai l'unico candidato alla successione: dopo aver già tentato inutilmente di imparentarsi con la famiglia imperiale sposando la vedova di Druso minore, Claudia Livilla, iniziò ad aspirare al conferimento della tribunicia potestas, che avrebbe formalmente sancito la sua successiva nomina ad imperatore, rendendo la sua persona sacra e inviolabile, e ottenne, intanto, nel 31 il consolato assieme allo stesso Tiberio. Contemporaneamente, però, la vedova di Druso maggiore, Antonia  minore, facendosi portavoce dei sentimenti di gran parte della classe senatoriale, comunicò in una lettera Tiberio tutti gli intrighi e i fatti di sangue di cui Seiano, che stava ordendo una cospirazione ai danni dello stesso imperatore, era responsabile; Tiberio, allertato decise allora di destituire il potente prefetto, e organizzò un'abile manovra con l'aiuto del prefetto dell'Urbe Macrone. Per non destare sospetti, l'imperatore nominò Seiano pontefice, promettendo di conferirgli al più presto la tribunicia potestas; contemporaneamente, però, lasciò anticipatamente la carica di console, costringendo così anche il collega a rinunciarvi. Il 17 ottobre del 31, infine, Tiberio, nominando segretamente il prefetto dell'Urbe prefetto del pretorio e capo delle coorti urbane, lo inviò a Roma con l'ordine di accordarsi con Grecinio Lacone, prefetto dei Vigiles, e col nuovo console designato Publio Memmio Regolo, affinché convocasse per il giorno successivo il Senato nel tempio di Apollo sul Palatino. In tal modo Tiberio, garantendosi il sostegno delle coorti urbane e dei vigili, si era premunito contro un'eventuale reazione dei pretoriani in favore di Seiano. Quando Seiano giunse in Senato, venne informato da Macrone dell'arrivo di una lettera di Tiberio annunciante il conferimento della potestà tribunizia. Così, mentre questi prendeva giubilante il proprio posto tra i senatori, Macrone, rimasto fuori dal tempio, allontanò i pretoriani di guardia facendoli sostituire dai vigili di Lacone. Poi, consegnata la lettera di Tiberio al console perché la leggesse al Senato, raggiunse i castra praetoria per annunciare la propria nomina a prefetto del pretorio. Nella lettera, volutamente molto lunga e vaga, Tiberio trattava di vari argomenti, di tanto in tanto intessendo le lodi di Seiano, a volte muovendogli qualche critica; solo alla fine, l'imperatore accusava all'improvviso il prefetto di tradimento, ordinandone la destituzione e l'arresto. Seiano, sbigottito per l'inatteso voltafaccia venne immediatamente condotto via in catene dai vigiles e poco dopo sommariamente processato dal Senato riunito nel tempio della Concordia: fu condannato a morte e alla damnatio memoriae. La sentenza venne eseguita nella stessa notte nel Carcere Mamertino per strangolamento, e il corpo esanime del prefetto fu poi lasciato al popolo, che ne fece scempio trascinandolo per le strade dell'Urbe. A seguito dei provvedimenti che Seiano aveva preso contro Agrippina e la famiglia di Germanico infatti, la plebe aveva sviluppato una forte avversione nei confronti del prefetto. Il Senato dichiarò il 18 ottobre festa pubblica, ordinando l'innalzamento di una statua alla Libertas con la seguente dedica: «Alla salute perpetua di Augusto e alla Libertà del popolo romano, per la Provvidenza di Tiberio Cesare, figlio di Augusto, per l'eternità della gloria di Roma, [essendo stato] eliminato il pericolosissimo nemico.». Pochi giorni più tardi furono brutalmente strangolati nel Carcere Mamertino i tre giovani figli del prefetto; la sua ex-moglie, Apicata, si suicidò dopo aver inviato una lettera a Tiberio rivelando le colpe di Seiano e Claudia Livilla in occasione della morte di Druso minore. Livilla fu dunque processata e, per evitare una sicura condanna, si lasciò morire di fame. Alla morte di Seiano e dei suoi familiari seguirono poi una serie di processi contro gli amici e i collaboratori del defunto prefetto, che furono condannati a morte o costretti al suicidio. Con la caduta di Seiano si riapriva la questione della successione.

Nel 31 - La corte imperiale va riducendosi in numero poiché Tiberio, temendo di essere al centro di continue congiure, ordina spesso esecuzioni sommarie. Quando anche Seiano è sospettato di voler aspirare al trono imperiale, Caligola entra in maniera più attiva nella vita di corte. Poco dopo la caduta di Seiano (nel 31), si riapre la questione della successione. Ed è in questa circostanza che Tiberio, ormai ritiratosi a Capri dal 26, vuole che a fargli compagnia sia il nipote Caligola. Giunto sull'isola, Gaio ricevette la toga virilis, senza che però gli fosse riservato alcun onore aggiuntivo. Il ragazzo, durante il soggiorno sull'isola, mostrò grande autocontrollo e sembrò dimenticare tutte le crudeltà che Tiberio aveva compiuto nei confronti della sua famiglia. In questa occasione l'oratore Passieno pronunciò la celebre frase: «Non c'è mai stato un servo migliore e un padrone peggiore». Svetonio racconta che, già in questo periodo, Gaio mostrò i primi segnali della sua natura crudele e viziosa, assistendo spesso e volentieri alle esecuzioni capitali, oltre a frequentare taverne e bordelli, mascherandosi per non farsi riconoscere. Tiberio che conosceva i vizi del nipote, ne tollerava la condotta e che in lui cercava la sua vendetta personale nei confronti del popolo romano, che ormai lo odiava, tanto da fargli pronunciare la frase: «Gaio vive per la rovina sua e di tutti; io educo una vipera per il popolo romano, un Fetonte per il mondo».


Nel 33 - A Gerusalemme viene crocifisso Yeshuah Ben Yossef, Gesù figlio di Giuseppe. Nell'impero romano anche Druso Cesare, il maggiore dei figli di Germanico rimasti in vita, muore di inedia dopo essere stato condannato al confino nel 30 con l'accusa di aver cospirato contro Tiberio. Alla morte del fratello, Gaio (Caligola) lo sostituisce prima come augure, poi come pontefice. Fin da giovane Caligola era soggetto a svenimenti improvvisi: «Divenuto adolescente, era abbastanza resistente alle fatiche, ma qualche volta, colto da un'improvvisa debolezza, poteva a mala pena camminare, stare in piedi, e a stento poteva ritornare in sé e reggersi. Lui stesso si era accorto del suo disordine mentale e più di una volta tanto che pensò spesso di ritirarsi e curare il proprio cervello.» (Svetonio, Gaio Cesare, 50). Nello stesso 33 Caligola sposa Giunia Claudia, figlia di Marco Giunio Silano, un personaggio di spicco dell'aristocrazia romana.

Nel 35 - Tiberio deposita il suo testamento in cui include il nipote Tiberio Gemello, figlio di Druso minore (nato come Nerone Claudio Druso, figlio di Tiberio Claudio Nerone e Vipsania Agrippina) e il nipote collaterale Gaio (Caligola), figlio di Germanico. Restava dunque escluso dal testamento il fratello dello stesso Germanico, Claudio, che era considerato del tutto inadatto al ruolo di princeps, in quanto debole di corpo e di dubbia sanità mentale, ma che diverrà in seguito imperatore. Il favorito nella  successione apparve subito il giovane Gaio (figlio di Germanico) di venticinque anni, meglio noto come Caligola, poiché Tiberio Gemello, peraltro sospettato di essere in realtà figlio di Seiano (per le relazioni adulterine di questi con la moglie di Druso minore, Claudia Livilla), aveva dieci anni di meno, due ragioni sufficienti per non lasciargli il Principato. Il prefetto del pretorio Macrone, infatti, dimostrò subito la sua simpatia per Gaio, guadagnandosene con ogni mezzo la fiducia.


Giotto: Barca con i santi che giunge in Francia.
Nel 35, in un’antica cronaca attribuita a Flavio Lucio Destro, senatore romano e prefetto del pretorio dell’Impero Romano d’Occidente, morto nella prima metà del V secolo, troviamo una notizia importante: “Gli ebrei di Gerusalemme, scagliatisi con violenza contro i beati Lazzaro, Maddalena, Marta, Marcella, Massimo, il nobile Giuseppe d’Arimatea e numerosi altri, li caricano su di una nave senza remi, né vele, né timone e li mandano in esilio. Ed essi guidati, attraverso il mare da una forza divina, raggiungono incolumi il porto di Marsiglia”. Anche il vescovo Equilino racconta lo stesso episodio che ancora oggi è molto noto nella Provenza in Francia.
La tradizione medioevale sintetizzata nella "Legenda aurea" di Jacopo da Varagine o Varazze, che fu arcivescovo di Genova (dove Legenda è un latinismo che sta per Testo che deve essere letto nel giorno della ricorrenza festiva), vuole che Pietro abbia affidato la Maddalena a Massimino, uno dei 72 discepoli di cui ci parla il vangelo di Luca. Massimino, la Maddalena, suo fratello Lazzaro, sua sorella Marta, la serva di Marta Martilla e Cedonio, cieco dalla nascita guarito dal Signore, catturati dagli infedeli sarebbero stati abbandonati su di una nave per farli morire, ma miracolosamente la nave sarebbe giunta a Marsiglia, in Francia. Nel 1.601, il cardinale Cesare Baronio, eminente bibliotecario del Vaticano, nei suoi "Annales Ecclesiasticae" afferma che Giuseppe di Arimatea si recò per la prima volta a Marsiglia nel 35 e di lì fu poi mandato a predicare in Inghilterra.

Gesù e Maria Maddalena da: http://
- In un libro del 1977, "Jesus died in Kashmir: Jesus, Moses and the ten lost tribes of Israel", Andreas Faber-Kaiser esaminò la leggenda secondo cui Gesù incontrò una donna del Kashmir, la sposò ed ebbe da lei diversi figli. L'autore intervistò anche il fu Basharat Saleem il quale dichiarava di essere un discendente kashmiro di Gesù. In effetti, fra i documenti in possesso del Priorato di Sion prima degli incendi della II guerra mondiale, risultava che un figlio di Gesù e Maria MaddalenaYeshuah-Joseph Yuz Asaf, Jésus le cadet, Joseph Harama Théo du Graal Ben Yeshuah, era nato nel 33 in Giudea e morto nel 120 in Srinagar, Cachemire, da: http://www.prieure-de-sion.com/1/genealogia_di_gesu_e_di_maria_1089786.html. Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln svilupparono e resero popolare l'ipotesi secondo cui una linea di sangue di Gesù e Maria Maddalena diede vita alla dinastia Merovingia nel loro controverso saggio del 1982 "Il santo Graal". Nel suo libro del 1992 "Jesus and the Riddle of the Dead Sea Scrolls: Unlocking the Secrets of His Life Story", anche Barbara Thiering sviluppò l'ipotesi di una linea di sangue di Gesù e Maria Maddalena, basando le sue conclusioni storiche sull'applicazione della cosiddetta tecnica Pescher al Nuovo Testamento. Nel suo libro del 1993 "The Woman with the Alabaster Jar: Mary Magdalen and the Holy Grail", Margaret Starbird sviluppò l'ipotesi che Santa Sara fosse la figlia di Gesù e Maria Maddalena e che questa fosse la fonte della leggenda associata con il culto a Saintes-Maries-de-la-Mer dove, secondo una tradizione riportata dalla Legenda Aurea, Maria Maddalena sarebbe sbarcata dopo avere lasciato la Palestina. Ella dichiarò anche che il nome "Sara" significa "Principessa" in ebraico, rendendola così la figlia dimenticata del "sang réal", il sangue reale del Re dei Giudei. Nel suo libro del 1996 "Bloodline of the Holy Grail: The Hidden Lineage of Jesus Revealed", Laurence Gardner presentò gli alberi genealogici di Gesù e Maria Maddalena come gli antenati di tutte le famiglie reali europee dell'Era volgare.
Da http://www.angolohermes.com/Approfondimenti/Graal/Arimatea.html: Gardner parte dall'ipotesi che Gesù fosse discendente diretto dalla linea di Davide e che, di conseguenza, il suo concepimento e quello dei suoi fratelli avesse seguito le normali regole di successione davidica. La sua analisi prosegue, vagliando attentamente ogni fonte disponibile, canonica o apocrifa, storica o letteraria, accettata dalla chiesa ufficiale o rifiutata, senza disdegnarne alcuna, con la ricostruzione della cosiddetta "Linea di Sangue", cioè la discendenza diretta di Gesù originata con il suo matrimonio con Maria Maddalena. L'analisi delle testimonianze porta Gardner a delineare la tesi che Gesù e Maria Maddalena ebbero tre figli: una primogenita femmina, che chiamarono Tamar, e due maschi: Joshua, ossia Gesù, detto "il Giusto" (chiamato Gais nei romanzi del Graal), il maggiore, e Josephes, il minore. Dopo la Crocifissione, la Maddalena e Giuseppe d'Arimatea lasciarono la Palestina e si imbarcarono diretti in Francia, dove l'apostolo Filippo era stato mandato ad annunciare la parola di Dio. Fu così che mentre Maria Maddalena rimase in Francia con Tamar e Josephes, Giuseppe portò con sé il piccolo Gesù Giusto in Britannia, e quindi le leggende su Gesù adolescente che giunge in Inghilterra al seguito di Giuseppe di Arimatea hanno un plausibile fondamento. Non solo: questa ipotesi spiega anche l'apparente dicotomia delle leggende sul Graal. Infatti, i due più grandi filoni sul Santo Graal sostengono che esso sia stato portato da Maria Maddalena in Francia, e contemporaneamente da Giuseppe di Arimatea in Britannia. Se il Graal metaforicamente indica la discendenza di Cristo, allora ecco spiegata l'apparente contraddizione! Vedi anche "Il Sangraal o sangue reale, Maria Maddalena moglie di Gesù e loro figlia, Sara la Nera" cliccando QUI.

Nel 37 - Tiberio, ormai 77enne, lascia Capri forse con l'idea di rientrare finalmente in Roma per trascorrervi i suoi ultimi giorni; intimorito però dalle reazioni che il popolo avrebbe avuto, si ferma a sole sette miglia dall'Urbe e decide di tornare indietro verso la Campania. Qui è colto da malore e, trasportato nella villa di Lucullo a Miseno, dopo un iniziale miglioramento, il 16 marzo cade in uno stato di delirio in cui è creduto morto. Mentre molti già si apprestavano a festeggiare l'ascesa di Caligola, Tiberio si riprende ancora una volta, suscitando scompiglio tra coloro che avevano già acclamato il nuovo imperatore. Il prefetto Macrone, tuttavia, mantenendo la lucidità, ordina che Tiberio sia soffocato tra le coperte. Il vecchio imperatore, debole e incapace di reagire, spira. La plebe romana reagì con grande gioia alla notizia della morte di Tiberio, festeggiandone la scomparsa. Molti monumenti che celebravano le imprese dell'imperatore furono distrutti, così come numerose statue che lo raffiguravano. In molti tentarono di far cremare il corpo di Tiberio a Miseno, ma fu comunque possibile trasportarlo a Roma, dove fu cremato nel Campo Marzio e sepolto, tra le ingiurie, nel Mausoleo di Augusto il 4 aprile, presidiato dai pretoriani. Mentre l'imperatore defunto riceveva queste modeste onoranze funebri il 29 marzo, Caligola era già stato acclamato princeps dal senato.

Gaio Cesare Caligola
da QUI.

- Alla morte di Tiberio, il 16 marzo del 37, Gaio (Caligola) era il più amato dal  popolo romano. Soldati e provinciali lo ricordavano quando, ancora bambino, aveva accompagnato il padre Germanico  durante le campagne militari e la plebe romana lo acclamava come unico figlio dell'amato generale. «[Si avveravano] i voti del popolo romano ed anzi del genere umano, perché era il principe sognato dalla maggior parte dei provinciali, dei soldati, molti dei quali lo avevano conosciuto da bambino, e dalla plebe romana, che era commossa dal ricordo di suo padre Germanico e di tutta la sua famiglia perseguitata». (Svetonio, Vite dei Cesari, Gaio Cesare, XIII; Aurelio Vittore, De Caesaribus, III, 2). 

Caliga, da QUI.
Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico (Anzio, 31 agosto 12 - Roma, 24 gennaio 41), regnante con il nome di Gaio Cesare e meglio conosciuto con il soprannome di Caligola (da "piccola caliga", la calzatura dei legionari, affettuoso soprannome datogli in giovane età dai soldati del padre, ma che lui non voleva che si usasse), era il terzo figlio di Agrippina maggiore e di Germanico Giulio Cesare, generale molto amato dal popolo romano. La madre era figlia di Marco Vipsanio Agrippa (amico fraterno di Augusto) e di Giulia maggiore (figlia di primo letto di Augusto). Il padre era figlio di Druso maggiore (fratello di Tiberio e figlio di Livia Drusilla, terza moglie di Augusto) e di Antonia Minore (figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Augusto). Suo padre Germanico era stato inoltre adottato da Tiberio su richiesta di Augusto. Questa particolare situazione familiare (che attraverso Cesare e il bisnonno Augusto, ne faceva un discendente di Venere ed Enea, avevano reso Caligola il più probabile successore del prozio Tiberio. Caligola segue il corteo funebre di Tiberio e ne pronuncia l'elogio funebre. Subito dopo parte per le isole di Ventotene e Ponza, per riportare a Roma le ceneri della madre Agrippina (esiliata a Ventotene da Tiberio nel 29, che nel 33 si era lasciata morire di fame) e del fratello Nerone (relegato a Ponza da Tiberio e morto di inedia nel 31); poi salpa per Ostia e prosegue fino a Roma dove le posa nel mausoleo di Augusto. La folla al suo passaggio lo acclama, definendolo "nostra stella" e "nostro bambino". Il Senato proclama nuovo princeps Caligola il 18 marzo del 37. Nel periodo che seguì l'inizio del suo principato vennero spesso organizzate feste e banchetti gratuiti per l'intera cittadinanza di Roma (congiaria): Svetonio aggiunge che, nei tre mesi successivi alla proclamazione di Caligola, furono sacrificati oltre 160 000 animali, mentre Filone ricorda che durante i primi sette mesi del suo regno tutti i cittadini furono costantemente in festa. Per compiacere il popolo, uno dei suoi primi atti ufficiali fu concedere l'amnistia ai condannati, agli esiliati da Tiberio e a tutti coloro che erano imputati in un processo. Per tranquillizzare i testimoni nel processo di sua madre e dei suoi fratelli, fece portare nel Foro tutti gli incartamenti processuali e li bruciò. Dichiarò che i pervertiti sessuali, inventori di accoppiamenti mostruosi, fossero espulsi dall'Urbe e mandati in esilio; permise di ricercare, diffondere e leggere gli scritti, una volta banditi, di Tito Labieno, Cassio Severo e Cremuzio Cordo (che denunciavano in molti casi la classe senatoria). Attuò altre riforme per migliorare le condizioni della Repubblica, aumentare la libertà dei cittadini e combattere la corruzione. Organizzò banchetti pubblici e prolungò la festività dei Saturnalia di un giorno. Organizzò spesso spettacoli e giochi gratuiti per farsi benvolere dalla popolazione. Escogitò inoltre un nuovo tipo di spettacolo: tra Baia e Pozzuoli fece costruire un ponte, lungo più di due chilometri e mezzo, composto da due file di navi ancorate e ricoperte di terra, a somiglianza della Via Appia. A causa dell'enorme quantità di navi utilizzate, per alcuni giorni il cibo scarseggiò in tutta Roma, poiché insufficienti erano i mezzi addetti al rifornimento della città, che lungo il Tevere conducevano le derrate alimentari dalle province al porto di Ostia e da qui all'Urbe. Non solo nell'Urbe si organizzarono questo genere di manifestazioni, ma anche in Sicilia (in particolare a Siracusa) e in Gallia (a Lugdunum). Alla morte di Tiberio nelle casse del fiscus romano c'erano ben 2.700.000.000 di sesterzi, che Caligola riuscì a dilapidare in meno di un anno. Questo enorme fondo che ereditò dal suo predecessore venne dilapidato tra la fine del 38 e l'inizio del 39. Numerose furono infatti le elargizioni distribuite al popolo di Roma (congiaria), agli eserciti provinciali e alla guardia pretoriana (a cui distribuì un donativo doppio rispetto a quello promesso da Tiberio, pari a 2.000 sesterzi ciascuno), ai regni vassalli di Roma (il solo Antioco IV di Commagene ricevette 100.000.000 di sesterzi), oltre a spese a uso personale e della corte imperiale. Terminati i fondi statali iniziò ad accumulare denaro con truffe e imbrogli. Si racconta che organizzò aste obbligatorie di ogni genere; modificò testamenti per i motivi più disparati, nominandosi erede di sconosciuti; rifiutò di riconoscere la cittadinanza a moltissime persone, dichiarando che gli atti prima del principato di Tiberio fossero troppo antichi; incriminò chi aveva avuto una crescita del patrimonio da un censimento all'altro, processandolo e ottenendo enormi somme di denaro in pochissimo tempo; aumentò le tasse in modo esagerato e ne creò di totalmente nuove, come quelle sul cibo, sui processi, sulle cause, sulla prostituzione, sui matrimoni e sul gioco d'azzardo. Le nuove leggi non furono, infine, rese del tutto pubbliche in modo tale che, ignorandone l'esistenza, venivano violate, generando così pesanti multe che alimentavano le casse imperiali.

- Nell'ottobre del 37, l'imperatore Caligola è colpito da una grave malattia, notizia che turberà profondamente il popolo romano che farà voti per la salvezza del proprio princeps; Svetonio e Cassio Dione riportano il caso di un cavaliere, Atanio Secondo, che promise di combattere nell'arena come gladiatore in caso di sua guarigione: egli mantenne la promessa, combattendo, vincendo lo scontro e salvandosi la vita. Al contrario, un plebeo che fece un'identica promessa, in seguito alla guarigione di Gaio, pretese di sciogliere il voto, ma venne arrestato e morì dopo essere stato gettato dalle mura serviane. Caligola si riprese dalla malattia, anche se da questo momento in poi vi fu un netto peggioramento della sua condotta morale. Sulla malattia e sulle cause gli storici non concordano, ma tutti considerano questo evento come lo spartiacque tra il suo primo periodo di governo e il successivo, caratterizzato da una condotta folle. Osserva Filone di Alessandria: «[...] non passò molto tempo e l'uomo che era stato considerato benefattore e salvatore [...] si trasformò in essere selvaggio o piuttosto mise a nudo il carattere bestiale che aveva nascosto sotto una finta maschera» (Filone di Alessandria, De Legatione ad Gaium, 22). Per Filone, Dio si servì di Caligola, trasformandolo dopo la malattia da ottimo principe e fortunato erede di Tiberio in un pazzo carnefice destinato a compiere la vendetta divina contro i giudei e i romani, quella stessa che avrebbe poi punito il suo persecutore, liberando alla fine gli stessi israeliti. La malattia fu attribuita agli eccessi compiuti all'inizio del principato; in particolare Giovenale e Svetonio indicano come causa della pazzia di Caligola l'aver usato un afrodisiaco (poculum amatorium) a lui offerto dalla moglie Milonia Cesonia. Sono state ipotizzate dagli studiosi moderni, come cause degli sbalzi d'umore, delle allucinazioni, dell'insonnia e delle paranoie di cui soffriva l'imperatore, disturbi mentali veri e propri (schizofrenia, disturbo bipolare o altri), patologie come l'epilessia, l'ipertiroidismo (es. tiroidite di Hashimoto), l'encefalite erpetica, la neurosifilide e il saturnismo. In generale la politica giudiziaria di Caligola si può dividere in due periodi: il primo, molto liberale e filo-popolare, nel quale egli cercò anche il favore dell'ordine senatorio; il secondo, nel quale il princeps fece di tutto per accrescere il proprio potere, in una sorta di assolutismo monarchico, che egli sfruttò per accumulare ricchezze e per disporre del destino dei cittadini romani a suo piacimento, fino a nominare senatore, nel 41 d.c., Incitatus , il suo cavallo. L'imperatore massacrerà infatti numerosi oppositori interni e non risparmierà critiche nei confronti del Senato. Dato che l'ordine equestre si stava riducendo di numero, convocò da tutto l'impero, anche al di fuori d'Italia, gli uomini più importanti per stirpe e ricchezza e li iscrisse all'ordine; ad alcuni di loro, per assecondare l'aspettativa di diventare senatori, concesse di vestire l'abito senatoriale ancor prima di aver assunto cariche in quelle magistrature che davano accesso al Senato. Cercò di ristabilire, almeno formalmente, i poteri delle assemblee popolari, permettendo alla plebe di convocare nuovamente i comizi. Il fatto che Caligola appartenesse a una famiglia di importanti comandanti militari che si erano guadagnati gloria e onore con imprese belliche potrebbe aver destato in lui il desiderio di emularne le gesta. Se Druso maggiore, il nonno paterno, e Germanico, il padre, si erano concentrati in Germania, egli, per superare le loro gesta, credette di dover non solo conquistare in modo definitivo i territori compresi tra Danubio e Reno, ma anche varcare l'oceano e sbarcare in Britannia. A tal scopo, per prima cosa creò due nuove legioni, la XV Primigenia e la XXII Primigenia. Caligola assunse, subito dopo la malattia, atteggiamenti autocratici e provocatori. Fu accusato, infatti, di giacere con le mogli di importanti esponenti dell'aristocrazia romana e di vantarsene; di uccidere per puro divertimento; di dilapidare deliberatamente il patrimonio statale e di aver ordinato l'erezione di una statua colossale nel Tempio di Gerusalemme, sfidando le usanze religiose dei Giudei. Egli, al contrario, si rese popolarissimo con laute elargizioni alla plebe e costosi giochi circensi, ma anche il popolo gli si rivoltò contro quando alzò nuovamente le tasse. Se gli imperatori prima di lui avevano scelto, almeno nella parte occidentale dell'impero, di mantenere i legami con le tradizioni repubblicane, egli virò sensibilmente verso Oriente: non solo aveva in mente di trasferire la capitale imperiale ad Alessandria d'Egitto (come voleva il suo bisnonno Marco Antonio), ma anche di instaurare una forma di monarchia assoluta, a quel tempo ancora sconosciuta in Italia ma che di fatto fu posta in atto da Domiziano, Commodo e da tutti gli imperatori romani dal III secolo in poi. Adottò, pertanto, una politica volta a diventare un sovrano a cui si rendevano onori divini sul modello delle monarchie orientali, esasperando il noto processo di divinizzazione degli imperatori defunti. La sua inclinazione filo-ellenista gli fece, infine, programmare un lungo viaggio ad Alessandria, in Asia minore e Siria.

- Ad Anzio il 15 dicembre 37, da Agrippina Minore (figlia dell'acclamato condottiero Germanico e sorella dell'imperatore Caligola) e Gneo Domizio Enobarbo, nasce Lucio Domizio Enobarbo, il futuro imperatore Nerone, discendente diretto di Augusto e della Gens Giulia (dal lato materno e anche dal lato paterno, dato che il padre era un pronipote di Augusto tramite la sorella di quest'ultimo, Ottavia), e della famiglia di Tiberio, la Gens Claudia. Il padre apparteneva alla famiglia dei Domizi Enobarbi, una stirpe considerata di "nobiltà plebea", (cioè recente), mentre la madre era figlia dell'acclamato condottiero Germanico, nipote di Marco Antonio, di Agrippa e di Augusto, nonché sorella dell'imperatore Caligola che quindi era suo zio materno.

Nel 39 - Lasciata Roma all'inizio di settembre del 39, Caligola conduce il suo esercito lungo il Reno, ammassandovi numerose legioni, insieme ai relativi reparti ausiliari e un ingente quantitativo di vettovagliamenti. A ottobre, dopo aver passato in rassegna le truppe, fa uccidere Gneo Cornelio Lentulo Getulico, che era stato il governatore della Germania superiore per dieci anni, poiché ne invidiava l'ottimo rapporto che aveva con le proprie truppe. La sua impresa risultò quasi del tutto inutile, se non per il fatto che Adminio, figlio di Cunobelino re dei Britanni, scacciato dal padre, giunse nell'accampamento dell'imperatore e fece atto di sottomissione. Caligola rimase sul Reno senza però portare a termine alcuna operazione militare e rimproverò ai senatori di vivere tra i lussi mentre lui rischiava la vita in battaglia. Decise quindi di muovere le truppe verso l'Oceano, portando con sé numerose macchine da guerra. Ordinò ai suoi uomini di togliersi l'elmo e raccogliere le conchiglie sulla spiaggia, quasi fosse il bottino di una battaglia vinta contro il mare. Fece, infine, costruire in quel luogo una grande torre in memoria delle sue imprese vittoriose ed elargì ricompense ai suoi soldati. Gli storici moderni hanno avanzato alcune teorie per spiegare questo genere di azioni: il viaggio verso la Manica viene interpretato come un'esercitazione, una missione di esplorazione oppure per accettare la resa del capo britannico Adminio. Le "conchiglie" (in latino conchae) di cui racconta Svetonio, potrebbero rappresentare invece una metafora dei genitali femminili, in quanto alle truppe fu probabilmente concesso di frequentare i bordelli della zona; oppure i9ndicherebbero imbarcazioni britanne, che i soldati potrebbero aver catturato durante la breve spedizione.

Nel 39 Caligola fa giustiziare Lepido ed esilia le proprie sorelle Agrippina minore (madre di Nerone) e Giulia Livilla. Lepido era figlio del console Marco Emilio Lepido e Vipsania Marcella, quindi fratello di Emilia Lepida (moglie di Druso Cesare), nipote di Marco Vipsanio Agrippa e bisnipote di Lucio Emilio Lepido Paolo (console nel 50 a.C. e fratello del triumviro Marco Emilio Lepido). Lepido sposò la sorella di Caligola, Drusilla, nel novembre o dicembre del 37. Drusilla, tuttavia, era già sposata con il console Lucio Cassio Longino dal 33, ma l'imperatore costrinse suo cognato a ripudiarla per poterle far sposare Lepido. A causa di ciò, Lepido divenne un amico intimo di Caligola e della sua famiglia. Dopo la morte di Tiberio Gemello nel 37, Lepido fu pubblicamente scelto da Caligola come suo erede. Alla fine del 38, quando fu arrestato il governatore dell'Egitto Aulo Avilio Flacco, Lepido persuase con successo Caligola ad esiliare Flacco ad Andros piuttosto che a Gyarus. Nel 39, tuttavia, Caligola rese pubbliche le epistole delle sorelle Agrippina minore e Giulia Livilla, nelle quali si rivelavano la loro relazione adulterina con Lepido e un complotto contro l'imperatore, a causa di ciò Lepido fu giustiziato nel 39 e le sorelle di Caligola furono esiliate. Agrippina ricevette le ossa di Lepido in un'urna e le portò a Roma, mentre Caligola inviò tre pugnali al Foro di Augusto per celebrarne la morte. Vespasiano fece una mozione in Senato, per decidere se gettare via i resti di Lepido invece che seppellirli, approvata dai senatori, i quali non concessero a Lepido una degna sepoltura. Agrippina Minore (figlia dell'acclamato condottiero Germanico e sorella dell'imperatore Caligola) madre di Lucio Domizio Enobarbo (il futuro imperatore Nerone), amante del potere e descritta da molti come spietatamente ambiziosa, è quindi scoperta coinvolta in una congiura contro il fratello Caligola e viene quindi mandata in esilio nell'isola di Pandataria nel mar Tirreno, nell'arcipelago pontino. In quegli anni il piccolo Lucio visse con la zia Domizia Lepida, che egli amò più della madre e dalla quale avrebbe imparato l'amore per lo spettacolo e per la danza. L'anno seguente il marito di lei, Gneo, morì e il suo patrimonio venne confiscato da Caligola stesso. Rimanendo la zia in una ristretta condizione economica, in questi primi anni i precettori di Nerone sono un barbiere ed un ballerino, che aiutano anch'essi Lucio a coltivare l'amore per le arti e la danza.

Nel 40 - La Mauretania era ormai da lungo tempo un regno cliente fedele a Roma, governato da Tolomeo di Mauretania, discendente di Antonio e Cleopatra e cugino di secondo grado del principe. Nel 40 Caligola invita Tolomeo a Roma e «quando venne a sapere che era ricco», lo manda a morte. Dopo l'uccisione del re di Mauritania scoppiò una rivolta guidata da un suo liberto, Edemone, che amministrava gli affari reali già dal 37, e che ebbe termine grazie all'intervento militare romano di Marco Licinio Crasso Frugi (nel 41). La Mauretania fu quindi annessa e successivamente divisa in due province, Mauretania Tingitana e Mauretania Cesariensis, separate dal fiume Mulucha (oggi Muluia). Se Plinio sostiene che la divisione fu operata da Caligola, Cassio Dione al contrario afferma che solo in seguito alla rivolta del 42, soffocata nel sangue dalle truppe romane poste sotto il comando di Gaio Svetonio Paolino e Gneo Osidio Geta, fu operata la scissione in due province indipendenti; questa confusione potrebbe essere stata generata dal fatto che fu Caligola a prendere la decisione di dividere la provincia, ma che la sua realizzazione venne rinviata a causa della successiva ribellione. Nel 40 Caligola inizia inoltre una politica molto controversa di affiancamento del titolo di principe al ruolo di divinità: inizia infatti ad apparire in pubblico vestito come i dei e semidei del pantheon romano, quali Ercole, Venere e Apollo ed inizia a riferirsi a sé stesso come dio, facendosi chiamare Giove nelle cerimonie pubbliche. Caligola cominciò a farsi adorare dai cittadini di Roma, compresi i senatori, come un dio vivente. Per quello che riguarda il rapporto con i suoi consanguinei, Caligola preferì ricevere la nonna Antonia non in privato ma alla presenza del prefetto del pretorio Macrone; successivamente secondo alcune fonti, la fece uccidere avvelenandola. Svetonio riporta che Antonia morì per una malattia causata dal trattamento ostile da parte di Caligola, anche se aggiunge che ci sono voci che sostengono che venne fatta avvelenare dal nipote, mentre secondo Dione Cassio Caligola la fece suicidare perché lo rimproverava. Fece uccidere anche il cugino Tiberio Gemello accusandolo falsamente di aver attentato alla sua vita e liberandosi così di questo scomodo rivale. Obbligò anche il suocero Marco Giunio Silano a suicidarsi, accusandolo anch'egli di aver attentato alla sua vita. In quest'ultimo caso sembra che furono "comprate" alcune testimonianze, tra cui quella del senatore Giulio Grecino, il quale però alla fine si rifiutò di confessare il falso e per questo fu messo a morte. Quanto allo zio Claudio, lo tenne in vita solo per farne un suo zimbello e oggetto di spasso. Con le tre sorelle ebbe un rapporto molto intimo, seppure complicato, in particolar modo con Drusilla; come riferisce Svetonio, si diceva che l'avesse deflorata e che fosse stato sorpreso nel letto di lei dalla nonna Antonia. Era infatti geloso di suo marito, Lucio Cassio Longino e li costrinse a divorziare; trattava la sorella Drusilla come se fosse sua moglie e quando si ammalò la nominò erede al trono imperiale. Intratteneva rapporti incestuosi con tutte e tre e non lo nascondeva pubblicamente. Quando Drusilla morì, sospese ogni genere di attività e le organizzò dei funerali pubblici, divinizzandola il giorno 23 settembre del 38 con un senatoconsulto. In seguito a questo lutto, il princeps rimase particolarmente addolorato tanto che le sue condizioni di salute peggiorarono. Riguardo invece alle altre due sorelle, non ebbe la stessa complicità che invece tenne con Drusilla. In occasione del processo di Marco Emilio Lepido, al quale aveva precedentemente promesso la successione, le condannò per adulterio e le mandò in esilio sulle Isole Ponziane.

- A proposito di rapporti, matrimoni e figli, dopo la morte della prima moglie, avvenuta intorno al 36, Caligola inizia una relazione intima con Ennia Trasilla, moglie del fedele prefetto del Pretorio Quinto Nevio Sutorio Macrone. Verso la fine del 37, durante la festa di matrimonio di Gaio Calpurnio Pisone e Livia Orestilla, Caligola ordina al marito di ripudiare la sposa per poterla risposare il giorno stesso. Accadde però che dopo pochi giorni la ripudiò, mandandola in esilio due mesi più tardi per non permetterle di risposarsi con Pisone. Nel 38 Caligola si sposa con Lollia Paolina, moglie del consolare e governatore provinciale Publio Memmio Regolo. Caligola, che aveva sentito dire che sua nonna Aurelia era stata in gioventù una donna bellissima, fece chiamare Paolina dalla provincia, la fece divorziare dal marito e la risposò. Divorziò presto anche da lei dichiarando che fosse sterile e la rimandò indietro, ordinandole però di non avere rapporti carnali con nessun altro. Sempre nel 38, quando Macrone fu nominato Prefetto d'Egitto, anche Ennia fu costretta a partire insieme al marito e ai figli. Poco prima di salpare per la nuova destinazione, Caligola, evidentemente addolorato per essersi sentito abbandonato dall'amante, ordinò a lei, al marito e ai loro figli di suicidarsi. Nel 39 Caligola inizia una relazione con Milonia Cesonia, che diverrà sua concubina e dopo aver divorziato da Paolina, la sposerà poiché era incinta. Milonia Cesonia non era né giovane né bella, ma Caligola provò per lei una vera passione. Dopo un mese di matrimonio nacque una bambina, alla quale venne dato il nome di Giulia Drusilla, in ricordo della sorella scomparsa e divinizzata alla sua morte.«Mentre tiranneggiava su tutto con la più grande avidità, licenziosità e crudeltà, fu assassinato nel Palazzo, nel ventinovesimo anno di età, nel terzo anno, decimo mese e ottavo giorno del suo regno.» (Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, VII, 12).L'assassinio dell'imperatore fu organizzato principalmente da tre persone, tra cui il tribuno Cassio Cherea, anche se molti cavalieri, senatori e militari ne fossero a conoscenza, come pure il potente consigliere imperiale Callisto e il prefetto del pretorio. Cherea, in particolare, aveva ragioni politiche e motivazioni personali per uccidere il suo princeps: Caligola infatti si racconta che spesso, a causa dei toni acuti della sua voce, lo sbeffeggiasse sostenendo che fosse effeminato e chiamandolo "checca" (gunnis), facendo gesti osceni alle sue spalle o costringendolo a utilizzare per il suo servizio parole d'ordine come "Priapo", "Amore" o "Venere". Altri importanti cospiratori furono Lucio Annio Viniciano, che si unì alla congiura per vendicare l'amico Lepido, e il senatore Marco Cluvio Rufo.

Nel 41 - Il 24 gennaio, durante l'annuale celebrazione dei ludi palatini, un gruppo di pretoriani, guidati dai due tribuni Cherea e Cornelio Sabino, misero in atto il loro piano per assassinare il princeps. L'occasione era favorevole, in quanto i congiurati avrebbero potuto mescolarsi agli spettatori accorsi al teatro mobile tradizionalmente allestito di fronte al palazzo imperiale. Caligola giunse in teatro, si sedette e iniziò ad assistere allo spettacolo. Quando verso l'ora settima o forse la nona a seconda delle fonti pervenuteci, egli decise di andarsene e mentre percorreva un criptoportico che congiungeva il teatro al palazzo, si fermò a conversare con un gruppo di attori asiatici che avrebbero dovuto esibirsi a breve. Fu a questo punto che il principe incontrò infine la sorte temuta. Al primo tumulto, accorsero in suo aiuto i portatori della lettiga, armati di bastoni, poi i germani della sua guardia che uccisero alcuni dei suoi assassini e anche qualche senatore estraneo al delitto. Durante lo scontro il ventottenne Caligola fu pugnalato a morte. Qualche ora dopo persero la vita anche sua moglie Milonia Cesonia, pugnalata da un centurione appositamente inviato da Cherea, e la figlia piccola, Giulia Drusilla, che fu scaraventata contro un muro. Secondo Svetonio il principe fu colpito da oltre trenta pugnalate. Il suo cadavere fu portato negli Horti Lamiani, semi-bruciato e frettolosamente ricoperto di terra. Quando le sorelle tornarono dall'esilio, disseppellirono il corpo del fratello e posero le sue ceneri nel Mausoleo di Augusto. Al momento della diffusione della notizia che Caligola era morto nessuno osò festeggiare, poiché i più credevano che l'imperatore avesse messo in giro la voce per capire di chi potesse fidarsi. Quando questa comunicazione fu però confermata, non avendo i congiurati nominato alcun altro imperatore, il Senato si riunì e dichiarò di voler ripristinare la Repubblica, cancellando di fatto il governo dei precedenti principes a partire da Augusto. Cherea provò a convincere l'esercito ad appoggiare i padri coscritti, ma senza successo. Alla fine i senatori si resero conto di dover nominare un nuovo successore, che Lucio Annio Viniciano, importante senatore e cospiratore, indicò in Marco Vinicio, suo parente e marito di Giulia Livilla. Alla morte di Caligola, i membri della famiglia imperiale rimasti ancora in vita erano pochi. Tra questi vi era il cinquantenne Claudio che, appena saputo della morte del nipote Gaio, corse a nascondersi nelle sue stanze; rintracciato da un pretoriano mentre era nascosto dietro una tenda, fu condotto nel loro accampamento per essere acclamato imperatore  dalle guardie pretoriane stesse mentre il Senato era occupato tra Foro e Campidoglio. Claudio venne invitato a presentarsi davanti al popolo, ma prima decise di comprarsi la fedeltà della guardia pretoriana promettendo la somma di quindicimila sesterzi (un sesterzio equivaleva all'incirca a 2  € attuali) per ciascun pretoriano che gli prestasse giuramento. Il nuovo princeps pose quindi il proprio veto a quanto il Senato aveva appena deliberato, e cioè condannare Caligola alla damnatio memoriae. Poi, su invito del popolo romano, fece imprigionare e condannare a morte tutti i congiurati, compreso Cassio Cherea. 

- Claudio ottenne così il Principato con la forza delle armi; fu quindi il primo il fra gli imperatori a comprarsi la fedeltà dei pretoriani e sarà il primo princeps a non essere eletto dal senato.

Claudio, Museo
archeologico di
Napoli, da QUI.
- Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (Lugdunum, 1º agosto 10 a.C. - Roma, 13 ottobre 54), appartenente alla dinastia giulio-claudia e il primo a nascere fuori dalla penisola italiana, fu dunque il quarto imperatore romano, dal 41 al 54. Claudio era rimasto l'unico membro superstite della famiglia Giulio-Claudia a poter essere messo sul trono imperiale. Molti suoi famigliari erano stati assassinati da tempo, mentre Claudio era riuscito a scampare ad ogni congiura perché nessuno lo aveva considerato un avversario pericoloso. Suo zio Tiberio, non si era dimostrato nei suoi confronti più disponibile di quanto lo fosse stato Augusto in passato: quando Claudio gli chiese il permesso di iniziare il cursus honorum, Tiberio gli conferì gli ornamenta consularia, i simboli del rango consolare, ma quando Claudio chiese un ruolo più attivo glielo rifiutò. Se la sua famiglia non perdeva occasione per dimostrare di non averne grande stima, il popolo romano, al contrario, pare lo tenesse in una qualche considerazione: alla morte di Augusto, infatti, l'ordine equestre lo aveva scelto come proprio patrono, mentre il Senato romano aveva proposto di ricostruire a spese pubbliche la sua casa distrutta da un incendio e di permettergli di partecipare alle proprie sedute. Proposte, peraltro, che Tiberio aveva respinto. Di fronte a questo ostracismo, Claudio abbandonò ogni aspirazione alla carriera politica e si ritirò a vita privata, dedicandosi ai suoi studi di storia. Scrisse, infatti, un trattato sugli Etruschi, andato perduto, (celebre rimane il frammento di un'iscrizione di Lione, sua città natale, che trascrive un discorso pubblico di Claudio in cui lo stesso faceva riferimento alla storia degli Etruschi, da lui stesso amata e studiata per decenni, in particolare al periodo di Servio Tullio, il sesto re di Roma, da lui nominato Mastarna: CIL XIII, 1668) di cui studiò anche la lingua; una storia su Cartagine, una difesa di Cicerone, alcuni trattati sul gioco dei dadi e sull'alfabeto, tutti andati perduti. Sempre in questo periodo sposò (nel 15) Plauzia Urgulanilla, nobildonna di origine etrusca da cui ebbe due figli: Druso Claudio, morto in giovane età, e Claudia, che però Claudio non riconobbe, accusando Plauzia di adulterio e divorziando da lei nel 28. A partire da Claudio, indifferente al potere del senato, fu creata una nuova categoria di province, cosiddette procuratorie, nelle quali il principe inviava un procurator Augusti di rango equestre, e non senatoriale, che aveva piena giurisdizione in campo militare, giudiziario e finanziario. In queste province erano stanziate solamente truppe ausiliarie, che nel tempo prevarranno nell'impero, portandolo inevitabilmente al collasso. A questo sistema, faceva eccezione, già al tempo di Augusto, la prima provincia imperiale per costituzione, ovvero l'Egitto, assegnato ad un Praefectus Aegypti di rango equestre e di nomina imperiale che, unico fra i governatori equestri, aveva al proprio comando una o più legioni.

Le fasi della conquista romana della
Britannia (dal 43 all' 84) da: https://it.wiki
pedia.org/wiki/Conquista_della_Bri
tannia#/media/File:Roman.Britain.
campaigns.43.to.84.jpg
Nel 43 - Romani invadono l'isola Britannica. La conquista romana della Britannia iniziò sistematicamente nel 43 d.C., per volere dell'imperatore Claudio, tuttavia, l'attività militare romana era iniziata nelle isole britanniche già nel secolo precedente, quando nel 55 e nel 54 a.C. l'esercito di Gaio Giulio Cesare mosse dalla Gallia, dov'era impegnato nella sottomissione di queste regioni, alla volta della Britannia. Di fatto, queste operazioni militari non portarono a nessuna conquista territoriale, creando però una serie di clientele che avrebbe portato la regione, specie il sud dell'isola, nella sfera d'influenza economica e culturale di Roma. Da qui scaturirono quei rapporti commerciali e diplomatici che apriranno la strada alla conquista romana della Britannia. Il grosso delle truppe romane sarebbe salpato da Boulogne e sbarcato a Rutupiae (sulla costa orientale del Kent). Secondo Svetonio il resto delle truppe, sotto la guida dell'imperatore Claudio, salparono da Boulogne. La resistenza britannica fu guidata da Togodumno e Carataco, figli del re catuvellauno Cunobelino. Un consistente esercito britannico diede battaglia alle legioni romane vicino a Rochester, sul fiume Medway. La battaglia infuriò per due giorni e visto il ruolo decisivo da lui svolto, Osidio Geta fu insignito degli ornamenta triumphalia. I Britanni furono incalzati oltre il Tamigi dai Romani che inflissero loro gravi perdite. Togodumno morì poco dopo. In breve, i Romani dilagarono e conquistarono il sud-est dell'isola, ponendo la capitale a Camulodunum. Claudio tornò a Roma per celebrare la vittoria ed ottenere il titolo di Britannicus. Carataco scappò a ovest per continuare da lì la resistenza. Vespasiano marciò ad ovest, sottomettendo le tribù almeno fino all'Exeter, probabilmente raggiungendo Bodmin. Svetonio racconta infatti che Vespasiano sottomise l'isola di Wight (Vette) e penetrò fino ai confini del Somerset, in Inghilterra: «[...] [Vespasiano] venne trenta volte a battaglia con il nemico. Agli ordini prima di Aulo Plauzio e poi dello stesso Claudio, costrinse alla resa due fortissime tribù e più di venti oppida, conquistando l'isola di Vette, vicina alla costa della Britannia.» (Svetonio, Vita di Vespasiano 4.).

Nel 48 - L'imperatore Claudio sposa la sua quarta e ultima moglie, Agrippina, di cui era lo zio e che era già madre di Nerone. Valeria Messalina, moglie di Claudio fin dalla sua ascesa al trono, gli aveva dato una figlia, Claudia Ottavia, e un figlio (nel 41) a cui il padre dette il soprannome di Britannico. Donna di grande crudeltà, aveva cospirato, insieme al suo amante, il console Gaio Silio, per uccidere Claudio e prenderne il suo posto. Ma la congiura era stata scoperta e la stessa fu messa a morte nel 48. La nuova moglie fu scelta, anche grazie al consiglio del liberto Pallante, sostenitore dei diritti di Agrippina minore, nipote di Claudio e figlia di Germanico e pronipote di Augusto. Agrippina aveva un figlio il cui nome era Lucio Domizio Enobarbo, il futuro imperatore Nerone. Il matrimonio con Claudio fu celebrato nel 48, ed Agrippina divenne la nuova Augusta, godendo ora di privilegi senza precedenti. Nello stesso tempo diede inizio ai suoi intrighi per generare discredito sul figlio di Claudio, Britannico, in favore di suo figlio Domizio Enobarbo. Ambiziosa e priva di scrupoli, Agrippina si macchiò di una serie di delitti, servendosi del veleno o di false incriminazioni. Ottenne la revoca dell'esilio di Seneca, allo scopo di servirsi del celebre filosofo quale nuovo precettore del figlio e inoltre, visto che il giovane Lucio dimostrava maggior affetto verso la zia Domizia Lepida, Agrippina, per gelosia, la fece accusare di avere complottato contro l'imperatore, ottenendone da Claudio la condanna a morte. Nell'occasione, l'undicenne Lucio fu minacciato e costretto dalla madre a testimoniare contro la zia. Poco dopo, gli fu imposto il fidanzamento con Ottavia, figlia di Claudio, di otto anni. Il figlio Lucio Nerone fu adottato da Claudio all'età di tredici anni (nel 50), quale tutore del più giovane Britannico (di cinque anni più giovane) e ottenne nel 51 la toga virilis, il titolo di Princeps Iuventutis, l'imperium proconsolare fuori Roma, mentre nel 53 sposava Claudia Ottavia, figlia di Claudio.


Le popolazioni Germaniche nel 50,
con Claudio imperatore.
- Nel I secolo gran parte del territorio boemo (a cui storici di epoca romana si riferivano con Boiohaemum, terra dei Celti Boi) è teatro delle invasioni barbariche da parte sia di tribù  germaniche (probabilmente Suebi e Marcomanni) che ne conquistano la parte occidentale, che di Slavi. I Celti (Galli per i Romani) Boi si spostano per la maggior parte verso ovest, nei territori della moderna Svizzera e nel sud-est della Gallia, mentre alcuni si spingono a sud fino a conquistare Bononia, l'antica Félsina etrusca (Bologna).

Nel 50 - Primo concilio dei Cristiani a Gerusalemme. Il cristianesimo delle origini si presenta con il duplice aspetto di Giudeo-cristianesimo ed Etno-cristianesimo (o Cristianesimo dei Gentili, non Ebrei), come si desume dai racconti degli Atti di Luca e da alcune lettere di Paolo (come la Lettera ai Galati e le lettere ai Corinzi). Tuttavia mostra che le due anime convivono senza alcuna scissione e di avere raggiunta una formula di concordia con il Primo Concilio di Gerusalemme (Atti 15). I cristiani assunsero dal Giudaismo le sue Sacre scritture tradotte in greco ellenistico e lette non nella maniera degli ebrei (anche a causa della prevalente origine greco-romana della maggioranza dei primi adepti), dottrine fondamentali come il monoteismo, la fede in un messia o cristo, le forme del culto (incluso il sacerdozio), i concetti di luoghi e tempi sacri, l'idea che il culto debba essere modellato secondo il modello celeste, l'uso dei Salmi nelle preghiere comuni. Forse il Cristianesimo inteso come religione distinta da quella ebraica lo possiamo individuare a partire dalla seconda metà del II secolo, dove i cristiani, che credono negli insegnamenti di Gesù, sono quasi soltanto i non ebrei. Nel concilio di Gerusalemme, fra la Chiesa di Gerusalemme e Paolo di Tarso si giunse all'accordo ufficiale sulla ripartizione delle missioni:
- i gerosolimitani (i seguaci di Giacomo il Minore "fratello del Signore") e Pietro per i giudeo-cristiani circoncisi e
- Paolo per i gentili (non ebrei) provenienti dal paganesimo.
Il Concilio viene presieduto da Giacomo il Minore e da Pietro, quest'ultimo dopo un'accesa disputa tra le diverse fazioni:
- una che avrebbe voluto imporre la legge mosaica ai pagani convertiti e
- l'altra che considerava questa proposta iniqua e richiamò così tutto il collegio a rispettare la volontà di Dio, chiaramente manifestatasi in occasione della sua visita a Cornelio, dove lo Spirito Santo era disceso anche sui pagani non facendo «alcuna distinzione di persone». Dopo Pietro intervennero Paolo e Barnabai più attivi evangelizzatori dei Gentili (non circoncisi). Infine prese la parola anche Giacomo il Minore, capo della Chiesa di Gerusalemme (probabilmente, in un primo tempo, il leader di quanti volevano imporre la legge mosaica, come traspare anche nella lettera di S. Paolo ai Galati) che, richiamandosi a Pietro, aggiunse la proposta di una soluzione di compromesso che prevedeva la prescrizione ai pagani convertiti di pochi divieti tra cui l'astensione dal nutrirsi di cibi immondi e dalla fornicazione. Gli Atti degli Apostoli e la Lettera ai Galati presentano, da due punti di vista diversi, il primo problema dottrinale del cristianesimo nascente, che in sintesi può essere così espresso:
- Il cristianesimo è solo una filiazione, un ramo del giudaismo? Oppure è qualcosa di diverso, di discontinuo con la tradizione giudaica? (e dunque è qualcosa di nuovo).
- Di conseguenza, il cristianesimo è riservato a chi è divenuto un proselita del giudaismo? Oppure è possibile essere seguaci di Cristo senza osservare i rituali e le tradizioni della fede giudaica? Cioè per essere cristiani bisogna prima essere ebrei, oppure possono diventare cristiani anche i non ebrei?
È evidente che dalla risposta ai quesiti dipende l'universalità del messaggio di Cristo. E ancora:
- se un cristiano doveva essere circonciso, allora il sacrificio di Cristo perdeva di valore e la redenzione veniva drasticamente ridotta di significato e subordinata all'osservanza della Legge. Non si trattava più di Grazia ma del risultato delle opere legalistiche dell'uomo. Non si trattava del mettere in atto l'etica cristiana, ma del concetto che portava a ritenere opere meritorie quelle che attenevano ai rituali ed ai cerimoniali dell'ebraismo.  
Pietro e Paolo.
Quando Pietro ritornò da Ioppe a Gerusalemme, venne contestato dai Cristiani “circoncisi” (Atti 11:1-3) per il fatto di essere entrato in casa di pagani incirconcisi, e questo dimostra il persistere della diffidenza nei confronti degli esterni al mondo giudaico; pur tuttavia questi si rallegrarono quando egli spiegò loro che quelli avevano ricevuto la stessa Grazia e la stessa benedizione. Paolo di Tarso riferisce (Lettera ai Galati, 2) di un episodio avvenuto ad Antiochia nel corso di una visita di Pietro che, mentre prima manifestava comunione con i credenti gentili, appena arrivarono da Gerusalemme quelli provenienti da Giacomo, si intimorì e se ne stette in disparte provocando infine la dura reazione di Paolo. Nello stesso capitolo Paolo definisce Pietro apostolo dei circoncisi e se stesso quello degli incirconcisi, intendendo con ciò una vocazione più etnica che religiosa. Questo «scontro» tra Pietro e Paolo manifesta una dialettica interna alla Chiesa nascente, che andava necessariamente chiarita. Il concilio di Gerusalemme evidenzia chiaramente che tutta la problematica non nasceva da posizioni preconcette degli apostoli (che pur c'erano), ma era frutto del massiccio ingresso di Farisei convertiti nella comunità paleocristiana di Gerusalemme (Atti 15:5). Lo svolgimento del dibattito, pur nella sintetica relazione lucana, (Luca evangelista, Antiochia di Siria, 10 circa - Tebe?, 93 circa, venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che ne ammettono il culto, è autore del Vangelo secondo Luca e degli Atti degli Apostoli, il terzo ed il quinto libro del Nuovo Testamento) evidenzia tutto questo e dimostra inoltre come la comunità di Gerusalemme avesse una conduzione collegiale. E Pietro, pur sempre pronto a parlare per primo, non fosse comunque colui che tirava le somme o le conclusioni, cosa che invece faceva Giacomo. La formula di concordia del concilio di Gerusalemme di Atti 15 dimostra, comunque, che il problema venne superato solo in parte, perché di fatto una divisione rimase e ne troviamo traccia nella maggior parte delle Lettere di San Paolo, nelle quali risalta la sua continua lotta contro le problematiche create nelle Chiese dai Cristiani Ebrei che volevano salvaguardare la Legge ebraica. Agli inizi dell'era cristiana, a Roma si assistette alla conversione al giudaismo di parecchi romani, soprattutto donne, poiché la pratica della circoncisione scoraggiava le adesioni maschili. Successivamente, la Chiesa post apostolica lentamente si organizzò attorno ai cinque patriarcati di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme.


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