- Da https://ilbolive.unipd.it/it/news/cambiamenti-climatici-territorio-terramare: "Nella fase finale dell'età del bronzo recente, che va dalla fine del XIII all'inizio del XII a. C., c'era una provincia del mondo terramaricolo, ovvero quella della bassa pianura veronese, il cui centro fondamentale è il Fondo Paviani, che metteva in rapporto diretto i navigatori egei e levantini. Quest'ultimi, in un momento storico che corrisponde al collasso della civiltà micenea, arrivarono fino al delta del Po, e risalendo il fiume entrarono in contatto con i gruppi terramaricoli delle pianure veronesi. Il loro scopo non era tanto l'approvvigionamento del metallo, materiale di cui si rifornivano sull'isola di Cipro, bensì quello dell'ambra. Si tratta di una resina fossile che si trova soprattutto sulle coste del Mar Baltico e del Mare del Nord. È una materia prima inutile, ma di grande lusso. Poiché la civiltà delle terramare controllava l'afflusso di queste materie prime fondamentali, aveva raggiunto il suo apice anche dal punto di vista della pressione insediativa. Tutta la pianura e le fasce collinari, pedemontane, pedeappenniniche e appenniniche erano state completamente occupate grazie agli avanzatissimi sistemi di gestione delle acque. La deforestazione aveva raggiunto un punto limite. L'abbattimento della copertura forestale per far spazio ai campi, ai pascoli e agli insediamenti aveva causato problemi di carattere geomorfologico, come il degrado dei suoli e il ruscellamento. I terreni venivano ipersfruttati anche dal punto di vista della produzione, poiché c'era un'enormità di gente da sfamare, e ciò aveva provocato un impoverimento dei suoli. Tutto questo ha innescato una sorta di effetto domino che ha progressivamente reso il sistema delle terramare non più sostenibile. A questo si è aggiunto anche un aspetto di carattere climatico non dipendente dall'impatto antropico, al contrario di ciò che invece accade oggi. Sulla base dei dati archeologici, archeobotanici e geomorfologici possiamo osservare che nella Pianura padana e nell'intera Europa, intorno al 1200 a.C. si verificò un'oscillazione climatica in senso arido piuttosto rapida, la quale determinò anche l'abbassamento delle falde acquifere.
Il sito di Frattesina prende lo spazio commerciale che prima aveva il fondo Paviani. |
Carta con le antiche Micene,Troia, Sparta e l'isola di Chio. |
Carta con l'antica Troade. |
Carta con la Grecia antica e i territori occupati dai Dori, fra cui è evidenziata l'isola di Milo. |
Hippos fenicia, da cui l'errata traduzione "cavallo di Troia", da QUI. |
Genealogia degli dei dell'Olimpo nei poemi omerici. |
Il viaggio di Odisseo (Ulisse) al ritorno dalla guerra di Troia verso Itaca, immortalato nell'Odissea. |
Il viaggio di Enea da Troia al Lazio immortalato da Virgilio nell'Eneide. |
Sicilia arcaica con Elimi, Sicani e Siculi. |
L'antica Grecia con le invasioni di Ioni e Achei dal 2000 a.C. e dei Dori dal 1200 a.C. I monti: Olimpo, Parnaso, Elicona, Taigeto. |
La Grecia dei primordi, con gli
stanziamenti di Ioni, Eoli e Dori.
I Dori del nord sono distinti
dagli altri. Sono distinti gli
Arcadi, discendenti dei Pelasgi.
|
L'antica Grecia con l'invasione dei Dori del 1200 a. C. e i conseguenti spostamenti a est di Ioni ed Eoli. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Il Tempio dorico di Era (o Hera),
detto anche Tempio di Poseidon oTempio di Nettuno, eretto a Paestum, l'antica Poseidonia, intorno alla metà del V secolo a.C. |
Regioni, isole, città e dialetti
dell'antica
Grecia o Ellade. I dialetti parlati:
Nord
occidentale, Acheo, Arcado cipriota,
Dorico, Ionico, Eolico, Attico.
|
Carta del 700 a.C. con gl'insediamenti e limiti dell'influenza di Tartesso segnalati in verde brillante, le colonie greche in blu, le colonie fenicie in verde-oliva. Da: QUI. |
- Gli Umbri furono un popolo giunto dal nord in Italia nel XII secolo a.C., che si sovrappose e si sostituì a quelli presenti (in Umbria la presenza dell'uomo è attestata sin dal primo Paleolitico).
I dialetti centro-Italici nel 400 a.C. |
QUI.
Carta con gli insediamenti degli Euganei, Carni, Veneti (Venetici), Reti, Camuni e Celti Leponzi e Cenomani. |
Reitia, divinità dei Veneti (e dei Reti) dell'Italia nord-orientale. |
Per eventuali approfondimenti vedi "Storia dell'Europa n.13: dal 1.200 al 1.150 p.e.v. (a.C.)" QUI.
Le 12 tribù d'Israele e la migrazione in Arcadia di quella di Beniamino. Da "Il Santo Graal" di Baigent, Leigh e Lincoln. Vedi anche QUI |
Rembrandt: Re Saul e David che suona l'arpa. |
Dal 1.100 a.C. - Le culture kurganiche indoeuropee, che allevavano cavalli fin dal 4.000 a.C., sia per mangiarli che come animali da soma, verso il 2.100-2.000 a.C. avevano imparato ad usarli per trainare agili carri da caccia, corsa e guerra e a cavalcarli in maniera incontrollata (con nasiere e senza sella o sottopancia) e finalmente, dopo circa un millennio di tentativi e di selezioni del cavallo, riuscirono a montarlo in maniera utile per poterlo impiegare in battaglia, controllandolo quindi con una mano o con le gambe e contemporaneamente poter brandire un'arma. La scoperta della cavalcabilità del cavallo (tra il 1100 e il 1000 a.C.) sarà una rivoluzione che metterà in moto le steppe occidentali mentre forse ad est degli Altaj, con l'addomesticazione della renna, si era verificato un fenomeno analogo.
Cartina della Fenicia intorno al 1000 a.C. con Biblo, Sidone e Tiro. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
La stele di Nora,
vicino a Cagliari, con antiche iscrizioni
in alfabeto fenicio
IX - VIII sec. a.C. |
Alfabeto Fenicio arcaico e gli alfabeti derivati dal Fenicio: Greco orientale e occidentale: dal Greco occidentale deriveranno l'Etrusco e il Latino. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Dal 1.080 - A seguito degli accordi fra le popolazioni italiche di origine indoeuropea (definiti Aborigeni dagli storici antichi), con gli Umbri in prima fila, e i Pelasgi, dopo le campagne vittoriose contro i Liguri (chiamati Siculi), avvenute orientativamente alla fine dell'età del bronzo, gli Italici avrebbero concesso ai Pelasgi il popolamento dell'Etruria, che era stata dei Liguri, dove si sarebbero insediati e da cui sarebbe scaturita la civiltà Etrusca. Complessivamente, si è attribuita ai Pelasgi una vocazione migratoria e, in particolare, marinara: Eusebio, nel "Chronicon", considerava quella dei Pelasgi una "talassocrazia" che potrebbe essere stata la protagonista dell'avvicendamento al governo della Tartesso iberica, appannaggio dei liguri arcaici, che passerà poi sotto il controllo dei Cartaginesi nell'VIII secolo a.C., e gli riconosceva il dominio del Mar Mediterraneo, in un periodo che sarebbe iniziato novantanove anni dopo la caduta di Troia (quindi intorno al 1080 a.C.) e sarebbe durato altri ottantacinque, quindi fino al 995 a.C. circa (secondo la cronologia di Eratostene di Cirene, tra il 1082 e il 997 a.C.). Non a caso l'alfabeto adottato a Tartesso ha ispirato i 5 alfabeti nord-italici del V secolo, che vennero invece attribuiti a nuove adozioni dell'alfabeto etrusco: se i Pelasgi, considerati "Tirreni", avevano sottomesso Tartesso intorno al 1200 a.C. e da loro erano derivati gli Etruschi italici, il cerchio si chiude. Vedi anche QUI.
Carta delle Popolazioni italiche nel 1000 a.C. |
Atene, Areopago visto dall'Acropoli. |
Area degli insediamenti degli Sciti dal 1.000 a.C. |
Area in cui erano stanziate le tribù germaniche durante il I millennio a.C. |
- Come si desume dai ritrovamenti archeologici, a partire dal X secolo a.C., fra le genti che formavano quella che noi chiamiamo Cultura di Golasecca, viene a crearsi la necessità di avere una élite guerriera ben equipaggiata, come testimoniato dall’armamentario ritrovato all’interno delle tombe della necropoli di Morta in provincia di Como. Tale necessità è motivata dalla ricchezza che si viene a produrre in queste zone, ricchezza dovuta all’ubicazione geografica che consentì il controllo delle vie commerciali tra il versante nord e sud delle Alpi. Tutto ciò consentì lo sviluppo, in una zona omogenea, di una società diversificata rispetto ai vicini, nonché la nascita di una delle più antiche città europee al di fuori della zona mediterranea. Al periodo di benessere appena descritto segue per tutto il IX sec. e metà del l’VIII sec. un calo, probabilmente dovuto a mutazioni climatiche che portarono un periodo di forte piovosità, come dimostrato dai livelli dei laghi svizzeri sulle cui sponde, da secoli, sorgevano abitazioni abbandonate in seguito all’innalzamento del livello dell’acqua. E’ presumibile che tali innalzamenti dovuti alle copiose precipitazioni abbiano influenzato anche la vita ed i commerci in pianura padana, rendendo difficile l’utilizzo delle vie d’acqua. La situazione migliorerà verso la fine dell’ VIII secolo.
La situla Benvenuti della cultura d'Este, o Atestina. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Alfabeto Venetico d'Este. |
- Fin da circa il 1.000 a.C. la regione corrispondente all'attuale Portogallo è abitata dalla popolazione iberica dei Lusitani.
- Nel 1.000 a.C. circa, il linguaggio delle popolazioni celtiche si distingue in quattro sub-famiglie. Le lingue celtiche sono idiomi che derivano dal proto-celtico o celtico comune, una branca della grande famiglia linguistica indoeuropea. Durante il I millennio a.C., queste venivano parlate in tutta l'Europa, dal Golfo di Guascogna al Mar del Nord, lungo il Reno ed il Danubio fino al Mar Nero e al centro della penisola anatolica (Galazia). Oggi le lingue celtiche sono limitate a poche zone ristrette in Gran Bretagna, nell'Isola di Man, in Irlanda, in Bretagna (in Francia) e persistono nei dialetti dell'Italia settentrionale, Venezie escluse. Il proto-celtico si divide apparentemente in quattro sub-famiglie: il gallico ed i suoi parenti più stretti, il lepontico, il norico ed il galato. Queste lingue venivano parlate in un vasto spazio che andava dalla Francia fino alla Turchia, dal Belgio fino all'Italia settentrionale, dove sopravvive nei dialetti di Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria; il celtiberico, anticamente parlato nella penisola iberica: nell'area del Portogallo centro-meridionale e in Spagna nella Galizia, nelle Asturie, in Cantabria, in Aragona e nel León; il goidelico, che include l'irlandese, il gaelico scozzese, il mannese; il brittonico che include il gallese, il bretone, il cornico, il cumbrico, l'ipotetico ivernico e forse il pittico. Alcuni studiosi distinguono un celtico continentale da un celtico insulare, argomentando che le differenze tra le lingue goideliche e quelle brittoniche si sono originate dopo la separazione fra lingue continentali e insulari. Le lingue celtiche continentali sono quelle lingue celtiche che non sono né goideliche né brittoniche (celtico insulare). Sebbene sia verosimile che i Celti abbiano parlato dozzine di lingue e dialetti diversi attraverso l'Europa in tempi pre-romani, solo quattro di queste lingue sono realmente attestate e sopravvivono nei dialetti locali: Lingua leponzia (dal VII al III secolo a.C.) generalmente considerata una variante del Gallico; Lingua gallica (dal III secolo a.C. al II secolo d. C.); Lingua galata (dal III secolo a.C. al IV secolo d. C.) generalmente considerata una variante del Gallico; Lingua celtiberica (intorno al I secolo a.C.). Molti ricercatori concordano sul fatto che il celtico insulare sia un ramo distinto del celtico, avendo subìto innovazioni linguistiche. Le lingue celtiche insulari sono le lingue celtiche parlate ancora oggi in Gran Bretagna, Irlanda, Isola di Man, Bretagna e sulla costa atlantica della Francia, che si contrappongono alle lingue celtiche continentali. Complessivamente si stima che le lingue celtiche insulari siano parlate da circa 900.000 persone. La più diffusa è la lingua gallese, con 526.000 locutori censiti nel Regno Unito nel 2011. Segue la lingua bretone, che contava 206.000 locutori nel 2007. La lingua gaelica irlandese, o semplicemente lingua irlandese, è parlata da 106.210 persone, di cui 72.000 censite nel 2006 nella Repubblica d'Irlanda. Per la lingua gaelica scozzese si stimano 63.130 locutori. La lingua cornica e la lingua mannese, un tempo considerate estinte, al censimento del Regno Unito del 2011 risultavano essere la lingua principale, rispettivamente, di 557 e 33 persone. La lingua gaelica iberno-scozzese era diffusa in Irlanda e Scozia, ma è ritenuta estinta dal XVIII secolo. Secondo Ethnologue, la classificazione delle lingue celtiche insulari è la seguente: Lingue brittoniche: lingua bretone [codice ISO 639-3 bre], lingua cornica [cor], lingua gallese [cym]. Lingue goideliche o gaeliche: lingua gaelica iberno-scozzese [ghc], lingua gaelica irlandese [gle], lingua gaelica scozzese [gla], lingua mannese [glv]. Altri studiosi distinguono invece un celtico-Q da un celtico-P, a seconda dello sviluppo della consonante indoeuropea kʷ. La lingua bretone è brittonica, non gallica. Quando gli anglo-sassoni si trasferirono in Gran Bretagna, alcuni dei nativi gallesi (welsh, dalla parola germanica Welschen che designa gli "stranieri", parola che deriva dal nome della tribù celtica dei Volci Tectosagi che erano appunto confinanti e talvolta in guerra con tribù germaniche e pertanto stranieri per questi ultimi) attraversarono la Manica e si stabilirono in Bretagna, portandosi la loro lingua madre che diventò in seguito il bretone, che rimane ancora oggi parzialmente intelligibile con il gallese moderno ed il cornico. Per tutte, il sistema di scrittura è l'alfabeto latino.
Particolare del sarcofago degli Sposi opera etrusca del VI sec. a.C. |
Ubicazione dell'isola di Lemnos e luoghi in cui sorgevano i principali santuari della Grecia antica, con indicata la divinità specifica che vi si venerava |
Cartina dell'espansione degli Etruschi dal 750 a.C. al 500 a.C. con i nomi delle loro città appartenenti
alla Lega (dodecapoli) e
altri insediamenti. |
Alfabeto fenicio arcaico da cui derivano gli alfabeti greci. Dall'alfabeto greco di Calcide portato a Cuma dai coloni greci, gli Etruschi trarranno i loro alfabeti, e da loro i Latini. |
Particolare della Tomba dei Leopardi a Tarquinia |
Tomba Etrusca dei Leopardi del 480 a.C. che sorge, insieme ad altre, nei pressi di Tarquinia. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Tomba dei Tori del 530 a.C., nella necropoli di Monterozzi, a Tarquinia. |
Gli Etruschi scrivevano con un loro alfabeto, derivato dall'alfabeto greco definito poi "greco occidentale", adottato dagli Eubei di Calcide e introdotto in Italia centrale nell'VIII secolo a.C dai coloni greci di Cuma.
Particolare della Tomba dei Tori:
il toro in alto a sinistra, durante uno
strano rapporto etero-sessuale a tre,
guarda altrove, disinteressato.
|
Particolare della Tomba dei Tori: il toro a destra invece, attacca due praticanti un rapporto omosessuale, in cui quello dietro è stranamente voltato indietro e guarda altrove. |
Tarquinia: particolare dell'immagine che dà il nome alla Tomba della Fustigazione, del 490 a.C. |
Particolare della Tomba dei Tori: sfere con croci. Da http://www2.fci.unibo.it/~baccolin/tombat/tomba-tori.htm: "Penso, prima di tutto, che i simboli della sfera sormontati con una croce non siano certamente motivi ornamentali ne simboli della fertilità ne il cosiddetto segno di Venere, ma rappresentino il simbolo dell'Omphalos, la pietra Ovale o quasi sferica con incisa sulla punta , a volte, una croce, come nel Museo di Marzabotto." |
Velia Velcha, dalla Tomba dell'Orco di Tarquinia. |
Ricostruzione di Septimontium. |
Per eventuali approfondimenti vedi "Storia dell'Europa n.14: dal 1.150 all' 850 p.e.v. (a.C.)" QUI.
Carta del Mediterraneo e sud Europa
con le vie commerciali dei Fenici.
|
Cartina di Europa e Mediterraneo
nell'VIII sec. a.C. con i territori di
alcune popolazioni.
|
La Grecia arcaica, nel VII-VI sec.a.C.
|
Insediamenti Greci nell'VIII sec. a.C.,
con in verde le loro colonie nel Mar
Mediterraneo e nel Mar Nero fondate
dall'VIII al VI sec. a.C. Nel riquadro
la Magna Grecia (Grande Grecia)
italica.
|
- Nell'VIII secolo a.C. alcuni coloni greci che parlavano un dialetto ionico, provenienti dalla Focide, da Eretria e da Teos, fondano Focea nella Ionia, la parte occidentale dell'attuale Turchia.
Ubicazione dell'antica Teos. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Passo delle Termopili e a sud l'antica Focide con le sue città. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Ubicazione dell'antica Eretria, nell'isola Eubea. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Focea (greco antico: Φωκαία, Phōkaia; latino: Phocaea) fu fondata sul sito della odierna città di Foça (o Eskifoça) in Turchia, a circa 60 Km a Nord Ovest di Izmir (Smirne) ed era la città più settentrionale della Ionia.
Focea (Phocaea), Cuma Eolica (Cyme) e Smirne (Smyrna). Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Antica pentecontera attica. |
Carta della Grecia o Ellade arcaica, VII-VI sec. a.C., con i nomi in latino. In grassetto Focea (Phocea), l'ormai distrutta Micene (Mycenae) e Tirinto (Tirynthius). |
La concezione del mondo dei tempi
omerici: un disco circolare piatto
circondato completamente dalle
acque del fiume Oceano, che rimase
radicata nel mondo antico greco,
anche dopo che molti filosofi e
studiosi avevano accettato la
nozione della sfericità della Terra,
enunciata dai Pitagorici e da altri e
confermata, con prove teoretiche,
da Aristotele. Secondo la vecchia
concezione, subito al di sotto della
superficie si trovava la dimora
dell'Ade, il regno della Morte e
ancora al di sotto il Tartaro, il
regno dell'eterna oscurità.
All'esterno del fiume Oceano
si elevava la volta cristallina
(cioè solida) celeste. Da:
|
Carta della Grecia antica con i monti Olimpo e Parnaso, Tebe e Atene in Attica, Olimpia e Sparta nel Peloponneso, e Creta a sud. |
Carta con sottolineate le città Calcide, Cuma Eolica e Focea. |
Percorso via mare dall'isola Eubea all'isola di Ischia. |
Tabella con l'alfabeto fenicio, gli alfabeti greci derivati, l'alfabeto greco occidentale di Calcide usato dai coloni di Cuma in Campania, gli alfabeti etruschi e il latino derivati. |
Carta dell'antica Roma di Romolo. La cinta muraria esterna fu iniziata da Tarquinio Prisco e ultimata da Servio Tullio. |
I 7 colli di Roma, da ht tps://it.wikipedia.org/w iki/Campidoglio#/m edia/File:7Colli Schizzo.jpg. |
Schema dell'organizzazione sociale nella prima Roma monarchica. |
Denario con gli dèi Quirino e Ceres. Immagine di Classical Numismatic Group, Inc. http://www. cngcoins.com, CC BY-SA 3.0, https://commons. wikimedia.org/w/index.php?curid=4782551 |
Fra i cavalieri c'erano quindi gli "Equites Romani Equo Publico" e i semplici "Equites". Solo un numero ristretto di cavalieri, un quarto circa del totale, riusciva ad entrare nell'arruolamento di ordine pubblico, col privilegio del cavallo fornito e mantenuto dallo Stato, mentre i semplici Equites dovevano comprarlo e mantenerlo a proprie spese; ma soprattutto gli "Equites Romani Equo Publico" avevano il vantaggio di poter ottenere delle cariche pubbliche, sia giuridiche che senatoriali, che agli equites ordinari erano precluse.
Fin dai tempi dei Equites Romani Equo Publico quindi, con l'espressione "cavaliere" ci si poteva riferire sia ad una qualifica militare che ad una appartenenza politico-sociale.
Carta del Peloponneso con le sue regioni e città (Messenia e Sparta). |
Prospetto della Costituzione di Sparta. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Opliti Spartiati. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Gli Spartani fondavano la propria sicurezza interamente sull'affidabilità del proprio esercito, al punto che non vollero mai proteggere con mura la propria città pur essendo, alla lettera, circondati da nemici. In questo modo essi si guadagnarono la fama di essere grandi combattenti e Sparta veniva considerata la maggiore potenza militare della Grecia: rappresentava per i greci antichi un modello di virtù.
Ubicazione della Cultura celtica di Golasecca con le varie genti Liguri, Celto-Liguri e Celtiche stanziate in quei territori. |
La croce celtica con i 4 oggetti affini alle direzioni cardinali (fra cui il calderone) e gli alberi consacrati alle direzioni intermedie. |
Senza voler attribuire, in mancanza di prove concrete, la paternità della croce celtica a Golasecca, va detto però che una tipica decorazione della ceramica golasecchiana consisteva nel stampigliare una croce inscritta in un cerchio, decorazione che nel VI secolo a.C. valicò le Alpi per diffondersi in Europa, dove i ritrovamenti di questo vasellame vanno dall’est della Francia fino alla valle del Danubio.
Ciò può spiegare come l’oggettistica sia arrivata in quelle zone tramite i movimenti commerciali fatti dai golasecchiani, i quali dovevano procurarsi lo stagno proveniente dal nord, commercio che porterà tre secoli più tardi al ritrovamento di dracme padane in Cornovaglia (per le dracme padane vedi il 390 a.C.).
Che questo tipo di oggetti fossero il motivo trainate di questi commerci e delle conseguenti esportazioni stilistiche, si evince dal fatto che contemporaneamente alla stampigliatura armoricana, compare in Boemia la ceramica decorata a traslucido, una novità per il posto ma già ben conosciuta e diffusa a Golasecca; e la Boemia è un’altra zona stannifera, di vitale importanza per la produzione del bronzo.
Ogham su pietra, da Carn Enoch, Galles, UK. |
QUI, per "Croce Celtica" clicca QUI, per "Ogham: la scrittura rituale degli antichi Celti" clicca QUI.
Cartina dell'antica Lidia nel 700 a.C. |
Antiche monete della Lidia. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Carta con parte dell'antica Ionia con Sardi, Efeso e l'isola di Chio. |
Alfabeto di Lugano o Lepontico. |
Stele di Prestino con iscrizione nei caratteri dell'alfabeto di Lugano. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Alfabeto Etrusco Settentrionale. |
Alfabeto tartessico, dell'antica Tartesso. |
- Gli Stoni o Stoeni, in letteratura detti anche Stini o Steoni, furono un popolo dell'Italia antica, sottoclasse degli Euganei (che erano Liguri Ingauni), stanziato nel sud delle Alpi, nell'area geografica della Valle del Chiese, Valli Giudicarie in Trentino e della Val Sabbia e Val Vestino in provincia di Brescia. Il loro villaggio-capitale era Stonos che per alcuni ricercatori, tra questi Federico Odorici e Scipione Maffei, corrisponderebbe all'attuale Vestone, mentre per altri a Storo o a Stenico. Dal nome del popolo degli Stoni deriva lo stesso toponimo di Vestone, ma anche Bostone, monte Stino e Val Vestino.
Carta con gli insediamenti degli Euganei, Carni, Veneti (Venetici), Reti, Camuni, Leponzi e Cenomani. |
Alfabeto camuno, o di Sondrio. |
Carta con i territori dei Leponzi, Trumplini, Tridentini, Stoni, Euganei, Reti, Vindelici, il Norico; le Alpi centrali e orientali con i territori limitrofi. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Statuetta della dea Reitia. |
Alfabeto d'Este o Venetico. Clicca sulla immagine per ingrandirla. |
Cavallo dei Veneti. |
Il cavallo, chiamato Ekvo dai Veneti antichi, animale-totem della protostoria dell'Europa, giocò nella loro cultura un ruolo di prim'ordine. Questi animali erano allevati per la loro valenza economica e come simbolo di predominio aristocratico e militare. I cavalli dei Veneti erano noti per la loro abilità nella corsa ed erano spesso riprodotti negli ex voto, nelle aree più sacre. Centinaia di bronzetti a forma di cavallo o di cavaliere su cavallo provengono dai luoghi di culto dei Veneti. Al cavallo erano riservati appositi spazi di sepoltura nelle necropoli, e compare in vari manufatti come immagine simbolica o elemento decorativo.
Pallade Atena, la Dea Vergine, con lancia e l'"Egida", l'elmo. |
Franz von Stuck: "Amazzone ferita"
(1903)
|
Carta del 100 a.C. con la Scizia e Sarmazia oltre alla Partia. |
- Verso la metà del VII secolo a. C. i greci di Cuma fondarono Partenope (Παρθενόπη), sull'isoletta di
Carta del Mediterraneo nel 650 a.C.
con i nomi latini dei vari territori;
è evidenziato l'Illirycum.
|
- In Grecia nasce il pensiero filosofico-scientifico occidentale. Nelle trattazioni sulla storia del pensiero scientifico degli inizi, figura in genere la Scuola di Mileto, detta anche Scuola Ionica, i cui esponenti più importanti, Talete, Anassimandro e Anassimene diressero le loro indagini scientifiche principalmente verso interessi di ordine filosofico ma anche astronomico e cosmologico (a quell'epoca non esisteva una differenziazione delle discipline scientifiche). L’importanza della Scuola Ionica risiede nel fatto che lo studio si manifestò con una certa connotazione di vera e propria indagine scientifica per la qualità delle domande che gli studiosi si posero. In particolare si domandarono quale fosse il principio unico, arché, (sostanza fondamentale e causa prima che dava origine a tutta la materia). Ogni componente della Scuola diede una propria definizione di ciò che riteneva essere questo elemento fondamentale.
Talete di Mileto, 626 - 548 a.C. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Cartina degli Abruzzi con Capestrano. |
Il Guerriero di Capestrano. |
Solone, copia romana,
90 d.C. di un originale
greco del 110 a.C.
conservata al Museo
Archeologico, Napoli
(inv. 6143) da QUI.
|
Ecumene di Anassimandro, carta del mondo conosciuto nel 580 a.C. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Cartina dell'antica Roma nel 600 a.C. con le mura serviane. |
Lazio nel 600 a.C.. |
Statuetta romana di Mater Matuta. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Isola di Chio. |
D'altra parte, secondo le informazioni in nostro possesso, Chio fu la prima città in cui si acquistavano e vendevano schiavi. Nelle città greche nelle quali la libertà individuale raggiungeva le sue più alte espressioni (e in particolare Atene), fioriva il commercio di schiavi come beni mobili; i Greci scoprirono contemporaneamente l'idea della libertà individuale e della struttura istituzionale al cui interno poteva essere realizzata, e l'idea di far mercato della schiavitù, in cui gli uomini erano beni mobili, ridotti al rango di merce: comprati, venduti e trattati come bestie. L'antica Grecia fu perciò la prima società schiavistica della storia. Lo storico Teopompo, nativo dell'isola di Chio, afferma infatti: "Gli abitanti di Chio furono i primi tra i greci, dopo i Tessali e i Lacedemoni, a servirsi di schiavi. Ma essi non se li procuravano allo stesso modo di questi ultimi, perché i Lacedemoni e i Tessali avevano tratto i loro schiavi dai Greci che precedentemente abitavano il territorio che avevano conquistato e li avevano chiamati rispettivamente iloti e penesti, mentre gli abitanti di Chio possedevano schiavi barbari che avevano acquistato. Per quanto riguarda la monetazione nel mondo greco, il ricorso all'oro per la coniazione di monete è piuttosto raro. In Occidente il primo utilizzo di monete, in una lega di oro e d'argento chiamata "elettro" o "oro bianco" avviene in una zona geograficamente prossima al regno di Lidia.
Carta del 700 a.C. con insediamenti e
limiti di Tartesso segnalati in verde,
le colonie greche in blu, le fenicie in
verde-oliva. Si vedono il Lago
Ligustico, Asta Regia (Jerez de la
Frontera) e Gadir (Cadiz), da QUI.
|
- Numerosi sono miti e leggende associate a Tartesso, impero fondato da genti Liguri, dal toponimo Lago Ligur, oggi nome del distretto a sud-ovest di Siviglia in cui il lago si è interrato, ma di cui rimangono i toponimi in due località, Isla Mayor e Isla Minima. Fonti antiche testimoniano Tartesso, fra le nebbie del tempo.
Bacino dell'antico Lago Ligur, con
Isla Mayor e Isla Minima.
|
Carta dell'impero dei Medi, della Lidia, dell'impero Caldeo e dell'Egitto nel 612 a.C. |
Pisistrato, da QUI. |
Figura maschile
di
Ligure, fine del
VI
sec.a.C., con
copricapo a
forma
di testa di
cigno.
Parigi, Museo
del Louvre
|
Carta dell'antico mar Tirreno con la zona della battaglia di Alalia del 535 a.C. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Senofane di Colofone. |
Pitagora. |
In rosso, l'ubicazione dell'isola di Lemnos, in Grecia. |
Stele di Lemnos, VI sec.a.C. |
Carta con evidenziate Capua, Cuma e Napoli. |
Il logo della Repubblica di Roma: Senatus PopolusQue Romanus. |
Lucio Giunio Bruto. |
Consoli della Repubblica di Roma. |
Clistene, da QUI. |
Foro rurale ad Altilia, presso l'antica Sepino, in Molise. |
La massima espansione del commercio fenicio nel Mediterraneo, nel 500 a.C. |
- Dal V° secolo a.C. Tartesso, citata più volte nelle scritture ebraiche ('Tarshish', conosciuta anche come 'Tarsis' o 'Tarsisch'), non esisterà più: non ci è noto il motivo, se naturale o per assoggettamento da parte dei Cartaginesi. Nella Bibbia Tartesso è citata in ventuno paragrafi, undici volte nei libri dei Profeti e sei volte in altri libri. Sembra quindi che la parola Tartesso sia di origine semitica, e potrebbe significare "fine della terra". E' singolare il continuo rimando biblico alle cosiddette "navi di Tarsis", in cui si portavano enormi tesori e che riuscivano a fare viaggi lunghi e difficili. Ezechiele 27, 12 dice:
Nave da guerra assira di produzione
fenicia, VII secolo a.C., da Ninive,
Palazzo Sud-Ovest, stanza VII,
pannello 11 (Londra, British
Museum) da QUI, AssyrianWarship
.jpgCC BY-SA 3.0, QUI.
|
Carta delle popolazioni Celtiche in Europa. |
Carta della Venetia, X Regio della Roma Imperiale. |
Cavallo degli antichi Veneti o Venetici. |
- In Grecia, le due città greche più importanti, Atene e Sparta, erano divise quasi su tutto: avevano diversi interessi, diversi rapporti fra le classi, diversa concezione della vita e della cultura. E anche, naturalmente, una diversa concezione della guerra.
Opliti Spartiati |
Costituzione di Sparta |
Le armi di un oplita del 500 a.C.: elmo, corazza, lancia, di cui si vede solo la punta, spada. |
Costituzione di Atene. |
Modalità dell'ostracismo, praticato ad Atene. |
La falange greca, formazione serrata con cui combattevano gli Opliti dell'antica Grecia. |
- Ecateo di Mileto, (Mileto, 550 - 476 a.C.) è stato un geografo e storico greco antico. Visse attorno al 500 a.C. e fu tra i primi autori di scritti di storia e geografia in prosa del mondo greco. I logografi erano uomini che viaggiavano molto e descrivevano i paesi che visitavano nei loro vari aspetti: cultura, storia, geografia del luogo in cui vivevano, tradizioni, usi, costumi, religione. Grazie ai suoi numerosi viaggi lungo l'ecumene, la terra abitata conosciuta allora e formata dall'impero persiano, dalla Grecia, dall'Egitto, dal bacino del Mediterraneo, egli disegnò una carta geografica che perfezionava quella di Anassimandro e fu autore di una Periégesis, forse conosciuta da Erodoto. Essa rappresenta la fase intermedia tra poesia epica e storiografia. Figlio di Egesandro, aristocratico, si vantava, secondo quanto racconta Erodoto (Storie, II, 143), di avere avuto, nella propria genealogia, un dio per antenato della sedicesima generazione: i sacerdoti egiziani del dio Amon gli mostrarono nel tempio ben 345 statue di sacerdoti della stessa stirpe e il più antico di essi era ancora un uomo. Il senso dell'episodio sembra essere che egli cominciasse a considerare razionalmente i miti e a basarsi sui fatti per valutare le tradizioni. Sempre Erodoto (Storie, V, 36) racconta che al tempo della rivolta delle città ioniche contro i persiani (500 - 494 a.C.) Ecateo consigliò di costruire una flotta utilizzando il tesoro del tempio dei Branchidi per poter combattere con successo e fu poi tra gli ambasciatori che trattarono la pace col satrapo Artaferne; anche questo episodio mostrerebbe la sua spregiudicatezza e la sua noncuranza per ciò che allora era considerato sacro e inviolabile. Le Genealogie (Geneelogiai) sono una sua opera in 4 libri di natura storica, con un'esposizione di avvenimenti mitici ordinati cronologicamente per generazioni, in cui una generazione corrisponde a circa quarant'anni. Probabilmente Ecateo considerava il periodo dai deucalionidi, da Prometeo a Eracle. Restano una trentina di frammenti dai quali non si può ricavare carattere e distribuzione della materia trattata anche se sono considerate un tentativo di razionalizzare gli elementi mitici della storia primitiva della Grecia. Nel II libro erano narrati alcuni miti di Eracle e nel IV delle leggende milesie, del popolo degl'Itali e dei Morgeti. Restano frammenti anche del Giro della Terra (Periegesis), opera di natura geografica, pubblicata alla fine del VI secolo, in due libri riguardanti l'Europa e l'Asia, una descrizione di luoghi visitati, con indicazione delle distanze e osservazioni etnografiche: secondo Erodoto, disegnò una carta geografica che rappresentava la Terra come un disco rotondo circondato dall'Oceano, concezione del resto a lui anteriore.
Ecumene di Ecateo di Mileto. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Dal 499 a.C. - Iniziano gli eventi che porteranno in Grecia le Guerre Persiane: Creso, re di Lidia, che aveva sottomesso le città greche della costa ionica nel 546 a.C. è rovesciato da Ciro il Grande, re di Persia, che si annette anche le città greche dell'Asia Minore.
Bronzetto raffigurante un Guerriero Greco. |
- Nello stesso anno si verifica la prima ribellione delle città greche contro il potere persiano, fomentata dalla città ionica di Mileto, a cui Atene si allea e gli fornisce navi. I Greci milesi incendiano Sardi, vicino capoluogo della Satrapia Persiana: nell'incendio viene distrutto il tempio di Cibele. Anche Focea aderisce alla rivolta ionica contro Dario I di Persia e Dionisio di Focea comanda la flotta ionica nella battaglia di Lade (494 a.C.), in cui i Focesi poterono schierare solo tre navi su un totale di 350. I persiani vinsero la battaglia e poco dopo schiacciarono la rivolta. A Dario viene riferito che è stata Atene a fornire aiuto alle pòleis Greche ribelli.
Nel 494 a.C. - Il re di Persia Dario saccheggia Mileto e ristabilisce il controllo sulla Ionia, ma chiede ad un servitore di ricordargli, ogni giorno prima dei pasti, della pericolosità degli Ateniesi.
Nel 491 a.C. - A capo di una grande flotta, Dario si dirige su Atene, ma la flotta è distrutta da una tempesta.
Guerre Persiane con le spedizioni di
Dati - Ertafeme e Serse, (490- 480
a.C.)
itinerari e battaglie.
|
Dal 487 a.C. - Ad Atene si assiste al declino del potere dell'Areopago, grazie alla rivoluzione democratica già avviata nel 508/7 a.C. da Clistene, la cui costituzione aveva assegnato il potere a una Bulé composta da cinquecento membri, sorteggiati da una lista di candidati precedentemente eletti dalle tribù ateniesi.
Lazio, 482 a.C., da https://it.wiki pedia.org/wiki/Guerre_tra_Ro ma_e_Veio#/media/File:Carte_ GuerresRomanoVeies _482avJC.png |
Nel 481 a.C. - Il re persiano Serse I, figlio di Dario, attraversa l'Ellesponto (antico nome dello stretto dei Dardanelli) con un'armata composta da più di 200.000 uomini e fiancheggiata da centinaia di navi (seconda guerra persiana). Capendo che tutta la Grecia è a rischio, si costituisce una lega panellenica, a cui Sparta concederà Leònida, uno dei suoi due re e 300 opliti, il meglio della guardia reale.
Carta con le Termopili e altre battaglie con i percorsi dei persiani. |
Carta ottenuta dal Periplo di Scilace, parte tratta da: QUI. |
Parmenide di Elea. |
Filosofo greco da alcuni identificato come Eraclito. Roma, musei capitolini. |
Zenone di Elea. |
Un'antica trireme greca ricostruita.
Navi lunghe e strette, veloci e molto
manovrabili, l'impiego delle triremi
è stato decisivo nella battaglia
di Salamina.
|
Atene, Eretteo - Loggia delle cariatidi.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
|
Pericle. |
Anassagora. |
Empedocle. |
Nel 453 a.C. - La realizzazione della fortificazione di Genova, sembra rispecchiare una pressante esigenza di difesa, forse in relazione alla situazione di insicurezza determinata dalle incursioni dei greci Siracusani nell’alto Tirreno nel 453 a.C. contro l’isola d’Elba e la Corsica.
Le colonne del tempio di Saturno, nel Foro di Roma. |
Insediamenti europei dei Celti dopo Golasecca: Hallstatt, La Tène. |
Cartina dell'Europa intorno al 500 a.C.: le città e le vie dell'Ambra, in nero e rosso, i siti di rinvenimento di Ambra in rosso. |
L'Ecumene di Erodoto di Alicarnasso
che svolse la sua attività intorno
agli anni 440 - 425 a.C. I viaggi
che portò a termine gli consentirono
di allargare enormemente le
conoscenze geografiche dei suoi
contemporanei. Da https://digi
|
- In quegli anni, in Grecia, visse Democrito. La vita di Democrito di Abdera è collocabile tra gli anni 470 e 400 a.C. Discepolo di Leucippo, è considerato il più autorevole rappresentante della scuola atomistica. Ricollegandosi alla ricerca dell'arché, vide il principio originario del mondo in particelle di materia più o meno piccole, non ulteriormente divisibili: gli atomi.
Democrito |
Rappresentazione di Filosofo greco. |
Ricostruzione di come si doveva presentare il Partenone di Atena, in stile Ionico, progettato da Fidia, nell'antica Atene. |
Ordine Dorico. |
Ordine Ionico. |
Ordine Corinzio. |
"Hermes con Dioniso" di Prassitele: nella cultura greca l'eroe era rappresentato nudo. |
Tegola di Capua, museo di Berlino. |
- Nel 438 a.C. la colonia romana di Fidenae caccia la guarnigione romana e si allea con i vicini etruschi di Veio e successivamente con i Falisci e i Capenati, per contrastare i Romani. La guerra contro gli Etruschi e i loro alleati sarà cruenta, risolvendosi solo nel 437 a.C. con la presa e la distruzione della città.
Gorgia, un sofista dei sofisti. |
Guerra del Peloponneso, battaglie fra
Atene e Sparta (431- 404 a.C.).
|
- Il conflitto si concluse nel 404 a.C. con la supremazia di Sparta (Atene ebbe guide troppo scadenti come Cleone o troppo ambiziose come Alcibiade). Ad Atene fu imposto il regime oligarchico dei trenta tiranni.
- Nel 403 a.C. Trasibulo scacciò gli Spartani e restituì ad Atene gli istituti democratici e l'indipendenza.
L'Athena Parthenos di Fidia che porta sulla mano una "Nike", la Vittoria alata. |
Nel 429 a.C. - Morte di Pericle, infetto da peste. La strategia di Pericle contro Sparta, consisteva nell'abbandonare le campagne, distruggere i raccolti esterni alla città, e raccogliere tutti i cittadini all'interno delle mura di Atene... ma con il sovrappopolamento della città, si scatenò la peste.
Nel 426 a.C. - Come conseguenza della vittoria di Veio contro l'esercito romano condotto dai tribuni militari Tito Quinzio Peno Cincinnato, Gaio Furio Pacilo Fuso e Marco Postumio Albino Regillense, ottenuta ad inizio dell'anno, Fidene inizia un nuovo conflitto contro Roma, uccidendo i coloni romani mandati sul suo territorio. Ai fidenati si alleano gli Etruschi di Veio e così si giunge ad una nuova battaglia, combattuta sotto le mura della città. Lo scontro è durissimo, ma alla fine i romani hanno la meglio, prendono la città e ne riducono gli abitanti in schiavitù.
Mater Matuta rinvenuta a Capua. |
Carta della Campania "felix" e del Sannio. Clicca per ingrandire. |
Nel 412 a.C. - Durante la Guerra del Peloponneso, Focea si ribella con le altre città della Ionia, ma re Dario II, alleato di Sparta, la riconquista.
Dal 408 a.C. - Ad Atene si incontrano Socrate e Platone. Socrate (in lingua greca Σωκράτης, Sōkrátēs), nato ad Atene nel 470 o 469 a.C. e morto ad Atene nel 399 a.C., è stato un filosofo ateniese, uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale. Il contributo più importante che egli ha dato alla storia del pensiero filosofico consiste nel suo metodo d'indagine: il dialogo che utilizzava lo strumento critico dell'elenchos (= "confutazione") applicandolo prevalentemente all'esame in comune (exetazein) di concetti morali fondamentali. Per questo Socrate è riconosciuto come padre fondatore dell'etica o filosofia morale e della filosofia in generale. Per le vicende della sua vita e della sua filosofia che lo condussero al processo e alla condanna a morte è stato considerato il primo martire occidentale della libertà di pensiero. Il periodo storico in cui visse Socrate è caratterizzato da due date fondamentali: il 469 a.C. e il 404 a.C.
Socrate. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Carta della guerra del Peloponneso (431- 404 a.C.) con gli alleati di Sparta e Atene, le battaglie, le spedizioni, fra cui quella ateniese a Siracusa. |
Dal 404 a.C. - Egemonia di Sparta in Grecia. La guerra del Peloponneso si concluse nel 404 a.C. con la supremazia di Sparta (Atene ebbe guide troppo scadenti come Cleone o troppo ambigue e ambiziose come Alcibiade). A seguito della disastrosa spedizione ateniese, voluta da Alcibiade, contro Siracusa, alleata di Sparta, Atene perde l'autodeterminazione. Sparta le impone il regime oligarchico dei trenta tiranni, con a capo Krizia e Alcibiade, ex allievi di Socrate; motivo che scatenerà malumori nei confronti di Socrate stesso che verrà poi processato ed ostracizzato. Si evidenzia comunque la vocazione marinara navale di Atene, che le aveva consentito la costruzione di un'impero intorno al mar Egeo, e la supremazia terrestre di Sparta.
Per eventuali approfondimenti vedi "Storia dell'Europa n.20: dal 450 al 404 p.e.v. (a.C.)" QUI.
Nel 403 a.C. - Trasibulo scaccia gli Spartani e restituisce ad Atene gli istituti democratici e l'indipendenza.
Nel 396 a.C. - Dopo una guerra durata quasi un decennio, Roma conquista l'etrusca città-stato di Veio, estendendo la sua influenza su parte dell'Etruria meridionale. Fin dalla sua mitica fondazione ad opera di Romolo, Roma ebbe un nemico temibile e determinato in quella città etrusca. Le motivazioni dell'inimicizia secolare fra l'Urbe e Veio erano state di tipo economico, dove la ricchezza di una avrebbe significato la povertà dell'altra. Di quest'ultima e determinante guerra sappiamo che il dittatore romano, Marco Furio Camillo, alla presenza delle truppe (e della popolazione), pregò Apollo (il dio della Pizia di Delfi) e Giunone Regina, la protettrice di Veio: «Sotto la tua guida, Apollo Pitico, e stimolato dalla tua volontà, mi accingo a distruggere Veio e faccio voto di consacrare a te la decima parte del bottino. E insieme prego te Giunone Regina che ora siedi in Veio, di seguire noi vincitori nella nostra città che presto diventerà anche la tua perché lì ti accoglierà un tempio degno della tua grandezza.».
Carta degli insediamenti degli Slavi orientali. |
Carta degli insediamenti degli Slavi occidentali, i Venedi-Sclavini. |
Carta dei territori gallici dei Veneti Armoricani |
Dialetti centro-sud Italici nel 400 a.C. |
Busto di Brenno. |
Carta geografica delle Popolazioni stanziate nel nord e centro Italia nel IV sec. a.C., fra cui Celtoliguri e Celti. Clicca per ingrandire. |
Il fiume Montone. |
Musi di cinghiali inferociti costituivano la campana delle "carnix", temutissime trombe da guerra celtiche. |
Popolazioni del nord e centro Italia del IV sec. a.C.: nella tonalità più scura le popolazioni di Celti e Celtoliguri e le incursioni dei Senoni a Roma nel 390 a.C. |
Nel 389/386 a.C. - Nuova guerra fra Etruschi e Romani. Gli antichi scrittori riferiscono che nel 389, Etruschi, Volsci ed Equi si sollevano tutti insieme nella speranza di rovesciare il potere romano. Secondo Livio buona parte dell'Etruria si riunisce presso il santuario federale di Vertumna (Fanum Voltumnae) per formare un'alleanza ostile a Roma. Posti sotto assedio da più parti, i Romani nominano Marco Furio Camillo dittatore, che sceglie di marciare prima contro i Volsci, lasciando una forza comandata dal tribuno consolare, Lucio Emilio Mamercino nel territorio di Veio a guardia degli Etruschi. Nel corso delle due campagne militari, Camillo riesce a battere in modo schiacciante Volsci ed Equi lungo il fronte meridionale, risultando così pronto a combattere gli Etruschi lungo il fronte settentrionale. Mentre Camillo stava ancora combattendo contro i Volsci, gli Etruschi posero sotto assedio Sutrium, città alleata di Roma. I Sutrini chiesero aiuto ai Romani ma quando Camillo riusci a giungere a Sutrium, la città era già stata costretta ad arrendersi agli Etruschi e trovò il nemico ancora occupato a saccheggiare la città. Il dittatore romano ordinò allora di far chiudere tutte le porte della città e attaccò gli Etruschi prima che questi potessero riorganizzare le proprie forze ma quando seppero che sarebbe stata risparmiata la vita in caso di resa, abbandonarono le armi in gran numero e fecero atto di sottomissione. Sutrium venne quindi presa e dopo aver vinto tre guerre simultanee, Camillo tornò a Roma in trionfo. I prigionieri Etruschi furono venduti in un'asta pubblica e dell'oro ottenuto una parte fu restituito alle matrone romane (che avevano contribuito a riscattare Roma dai Galli di Brenno) e ne rimase a sufficienza per fonderne in tre coppe con inciso il nome di Camillo e collocate nel tempio di Giove Ottimo Massimo, ai piedi della statua di Giunone, mantenendo la promessa fatta nel conflitto con Veio.
Platone. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Le sfere di Eudosso. |
Bronzetto di guerriero
Ligure in assalto
con copricapo a
forma di testa di cigno
del VI-V secolo a.C.
Parigi, Bibliotheque
Nazionale.
|
Nel 382 a.C. - Sparta impone a Tebe un governo oligarchico.
Nel 371 a.C. - Poiché Sparta volle imporre a Tebe un governo oligarchico, i Tebani, guidati da Pelopida ed Epaminonda sconfissero Sparta a Leuttra. Allora Atene e Sparta si allearono contro Tebe.
Nel 370 a.C. - Agesilao, re spartano, prima della battaglia degli alleati greci contro i tebani, ascolta le lamentele degli alleati per l'esiguo numero di spartani nelle file alleate. Fa alzare artigiani e addetti ai servizi, e dimostra che il nerbo delle forze militari, sono spartane. Nella battaglia di Mantinea, quando l'"ordine obliquo" stava per dare la vittoria ai Tebani, il re tebano Epaminonda è colpito a morte e prima di morire, consiglia ai suoi la pace. Fu così la fine dell'egemonia tebana.
Nel 367 a.C. - A seguito di gravi tumulti verificatisi a Roma tra patrizi e plebei, sono emanate le Leggi Licinie Sestie (in latino Leges Liciniae Sextiae) proposte dai tribuni Gaio Licinio e Lucio Sestio Laterano, che rappresentano il culmine del lungo processo storico definito rivoluzione della plebe. Parte degli studiosi ritiene che le leges Liciniae Sextiae nascondano in realtà un vero e proprio accordo politico fra patrizi e plebei. Alla data di emanazione di dette leggi si riconduce convenzionalmente la fine del periodo arcaico della storia di Roma. Le leggi, scritte dopo la conquista da parte romana della città di Veio, sancirono che i territori di tale città venissero distribuiti tra la popolazione bisognosa, formando 4 nuove tribù. Prima delle guerre di conquista l'economia romana si basava soprattutto sull'agricoltura e sulla pastorizia. Si coltivavano, in modo particolare, cereali che servivano al sostentamento della popolazione. La vendita dei prodotti agricoli non era facile, vista la mancanza di una rete stradale di trasporti che permettesse l'arrivo di tali beni sui principali mercati. I trasporti all'epoca, avvenivano a mezzo di cavalli o buoi ed erano lenti e costosi. Quando era possibile si preferivano i trasporti fluviali e quelli marittimi, che permettevano di trasportare grandi quantità di merci a costi molto inferiori. Le attività industriali e commerciali erano molto limitate. Con le guerre di conquista, il nuovo fulcro economico di Roma, più che l'agricoltura, la pastorizia e i commerci, diventava lo sfruttamento economico dei nemici vinti, a cui erano sottratte le terre per essere assegnate ai propri coloni, di cui venivano utilizzate le forze armate come alleati (socii) per i propri fini ed erano legate al benessere dell'Urbe le classi aristocratiche e i possidenti delle città conquistate. La strategia romana si basava sulla capacità di rompere i legami di solidarietà tra popoli diversi o tra città, in modo tale da indebolire le capacità di resistenza dei nemici e a tal fine puntavano le fondazioni di colonie e la costruzione di vie di comunicazione per il dominio territoriale a cui aspirava sia l'intero senato che la plebe. Nelle nuove leggi si stabiliva inoltre la quantità massima di terreno che un privato potesse occupare (500 iugeri, circa 125 ettari). Pochi anni prima Brenno ed i suoi Galli avevano distrutto la città di Roma e molti plebei si erano indebitati per ricostruire le proprie case. Secondo le “leggi delle dodici tavole”, il creditore poteva rendere schiavo il debitore ed anche ucciderlo se questi non avesse ripagato il debito, dunque molti plebei rischiavano di diventare schiavi. La nuova legge prevedeva dunque che la cifra prestata potesse essere restituita in tre anni. Le Leggi Licinie Sestie rappresentano il più importante e cruciale sviluppo della costituzione romana: al vertice dello Stato ci sono due consoli, reintegrati completamente dopo l'abolizione dei tribuni militum consulari potestate, uno dei quali può essere plebeo (de consule plebeio). Viene riservata ai patrizi la carica di pretore (praetor) che amministra la giustizia (qui ius in urbe diceret). Viene istituita inoltre l'edilità curule (l'aggettivo curule, nell'antica Roma, era attribuito alle magistrature e ai magistrati che detenevano il potere giudiziario come i censori, i consoli, i dittatori, gli edili, i pretori ecc.). Le differenze tra la varie componenti della magistratura edile si affievolirono via via col tempo, sia pure mantenendo alcune competenze specifiche. I loro compiti comprendevano principalmente tre aree di competenza: 1) la prima era la cura urbis, la gestione delle strade cittadine, dei bagni pubblici e degli edifici; 2) la seconda era la cura annonae (l'annona è la politica di un paese per le proprie scorte di cereali e delle altre derrate alimentari) attraverso la gestione dei mercati; 3) la terza non era altro che la cura ludorum, la gestione dei giochi pubblici e circensi. I magistrati edili avevano inoltre dei compiti meno definiti relativi all'archivio di stato, all'ambito giudiziario (nella giurisdizione tribunizia) e alla capacità di elevare multe. Si ebbero tre rogazioni delle Leggi Licinie Sestie: 1) De aere alieno: che le usure pagate si computassero a diminuzione del capitale e che i debitori potessero soddisfare i loro creditori in tre rate annue uguali; 2) De modo agrorum: che fosse vietato di possedere più di 500 iugeri di ager publicus e di far pascolare sui terreni pubblici più di 100 capi di bestiame grosso e 500 di minuto e inoltre che ci si dovesse servire di una certa aliquota di lavoro libero, non servile o schiavile; 3) De consule plebeio: sicuramente la più importante, che ha consentito la possibilità ai plebei di accedere al consolato. In seguito ad una insurrezione, nel 342 a.C., i plebei ottennero che uno dei due seggi del consolato, magistratura sino ad allora tipicamente patrizia, fosse riservato alla classe plebea. Al fine di compensare la perdita subita, ai patrizi fu riservata la magistratura del praetor minor con funzioni essenzialmente giurisprudenziali; si stabilì, altresì l’ammissione dei patrizi alla carica plebea degli edili.
L'antica Grecia del 371-362 a.C. con le dinamiche che portarono la fine dell'egemonia di Sparta. |
Nel 362 a.C. - In Grecia, termina l'egemonia di Sparta.
Dal 359 a.C. - In Grecia inizia l'egemonia Macedone. Filippo II di Macedonia, salito al trono nel 359 a.C. nel giro di vent'anni pose fine all'indipendenza della Grecia. Nel 338 a.C. con la vittoria di Cheronea assume il controllo delle città greche, nel 336 a.C. venne assassinato. Filippo aveva mutato le tecniche di combattimento adottate fino a quel tempo. “Quest'individuo non solo non è un Greco, né è imparentato con i Greci, ma non è nemmeno un barbaro di una nazione degna di questo nome; no, egli è una pestilenza che viene dalla Macedonia, una regione dove non si può nemmeno comprare uno schiavo che valga qualcosa”: sono parole sprezzanti e volontariamente offensive della Prima Filippica di Demostene, l'ultimo grande oratore di Atene, e non è troppo difficile vedere attraverso il disprezzo che sembrano esprimere per il re macedone Filippo II la preoccupazione che vasti settori della classe dirigente ateniese nutrivano per l'ascesa tenace e apparentemente inarrestabile del nuovo protagonista della politica greca.
La Macedonia di Filippo II, con gli stati alleati, quelli assoggettati e le battaglie. |
La falange "pesante" Macedone |
Nel 358 a.C. - Roma è costretta ancora una volta ad intervenire contro Tarquinia.
Nel 356 a.C. - Secondo quanto racconta Livio, il console Marco Fabio Ambusto condusse i Romani contro Falisci e Tarquiniensi. L'esercito etrusco portò con sé anche i sacerdoti, armati di serpenti e torce, i quali causarono nei Romani un tale timore da indurli a fuggire in preda al panico verso i loro accampamenti, ma il console, allibito per il loro comportamento, li costrinse a riprendere la battaglia. Gli Etruschi, allora, furono dispersi e il loro campo catturato. Ciò indusse tutta l'Etruria a marciare, sotto la guida dei Tarquiniensi e dei Falisci, contro le saline romane della foce del Tevere. In questa situazione di emergenza i Romani nominarono dittatore Gaio Marcio Rutilo, la prima volta che un plebeo ottenesse quella nomina. Marcio portò le sue truppe attraverso il Tevere sopra delle zattere e dopo l'iniziale cattura di un certo numero di predoni etruschi, riuscì ad occupare l'accampamento etrusco e a fare ben 8.000 prigionieri mentre gli altri vennero uccisi o cacciati fuori del territorio romano. Il popolo di Roma premiò Marcio con un trionfo, anche se non ratificato dal Senato. I Fasti triumphales registrarono «C. Marcius Rutilus, dittatore, trionfò gli Etruschi il 6 maggio.». Secondo quanto aggiunge Diodoro Siculo, gli Etruschi saccheggiarono il territorio romano, razziando le rive del Tevere, prima di tornare a casa.
Nel 355 a.C. - Secondo quanto riportato da Livio, il console Gaio Sulpicio Petico avrebbe devastato il territorio di Tarquinia, mentre altri ritenevano che avesse condotto una campagna militare contro la città di Tibur, insieme al suo collega.
Nel 354 a.C. - I Romani costringono i Tarquiniensi alla resa, dopo la morte di un gran numero di loro in battaglia. I prigionieri sono tutti uccisi, ad esclusione di 358 nobili inviati a Roma dove saranno flagellati e decapitati nel Foro romano (secondo Diodoro Siculo, solo 260) come punizione per quei Romani uccisi dai Tarquiniensi nel 358 a.C..
Nel 353 a.C. - Livio, unica fonte degli anni finali della guerra romano-etrusca, scrive che a Roma giunsero voci che gli abitanti di Caere si fossero schierati con Tarquinia e gli altri alleati etruschi. Ciò venne confermato quando il console Sulpicio Petico, che stava devastando il territorio tarquiniese, riferì che le saline romane erano state attaccate e parte del bottino era stato inviato a Caere. I Romani allora nominarono dittatore Tito Manlio Imperioso Torquato, che dichiarò guerra a Caere. I Ceriti, amaramente pentiti per le loro azioni, inviarono ambasciatori a Roma per implorare la pace e in considerazione della loro antica amicizia, i Romani concessero a Caere un trattato di pace per 100 anni e concentrarono le loro forze sui Falisci, ma quando giunsero al loro accampamento lo trovarono abbandonato, tanto che l'esercito romano poté tornare a Roma dopo aver devastato il territorio falisco.
Nel 352 a.C. - A causa di voci che si rileveranno poi infondate, le dodici città dell'Etruria formano una Lega contro Roma, tanto che i due consoli romani sono costretti a nominare un nuovo dittatore: Gaio Giulio Iullo.
Nel 351 a.C. - Nel corso di quest'ultimo anno della guerra romano-etrusca, il console Tito Quinzio Peno Capitolino Crispino muove guerra contro Falerii, mentre il suo collega Gaio Sulpicio Petico contro Tarquinia. Non ci sarà nessuno scontro, poiché i Falisci e i Tarquiniensi, ormai stanchi della guerra, dopo aver subito continue devastazioni nei loro territori negli anni precedenti, chiedono la pace che i Romani concedono a ciascuna città, con una tregua di 40 anni.
- Prima delle guerre di conquista l'economia romana si basava soprattutto sull'agricoltura e sulla pastorizia. Si coltivavano, in modo particolare, i cereali, che servivano al sostentamento della popolazione. La vendita dei prodotti agricoli avveniva con difficoltà per la mancanza di una rete stradale di trasporti che permettesse l'arrivo dei prodotti sui principali mercati. I trasporti all'epoca avvenivano a cavallo o con buoi ed erano lenti e costosi. Quando era possibile si preferivano i trasporti fluviali e quelli marittimi, che permettevano di trasportare grandi quantità di merci a costi molto inferiori. In quel contesto le attività industriali e commerciali erano molto limitate. Con le guerre di conquista, il nuovo fulcro economico di Roma, più che agricoltura, pastorizia e commerci, diventerà lo sfruttamento economico dei nemici vinti, strappandone terre da assegnare ai propri coloni, utilizzandone le forze armate come alleati (socii) per i propri fini, legando al benessere dell'Urbe le classi aristocratiche e i possidenti delle città conquistate. La strategia romana si basava sulla capacità di rompere i legami di solidarietà tra popoli diversi o tra città (divide et impera), in modo tale da indebolire le capacità di resistenza dei nemici e a tal fine puntavano le fondazioni di colonie.
Nel 348 a.C. - Roma e Cartagine stipulano un secondo trattato in cui vengono riconosciuti, oltre agli interessi territoriali di entrambe anche le rispettive alleanze. Scullard aggiunge che con questo nuovo accordo, i mercanti romani erano esclusi dalla Sardegna, dalla Libia, dal Mediterraneo occidentale e dal golfo di Tunisi fino a Mastia in Spagna e rimanevano "aperte" ai loro traffici solo la Sicilia cartaginese e Cartagine. E così mentre Roma era concentrata sul suo entroterra, la futura rivale trasformava il Mediterraneo occidentale in un "lago" cartaginese. Brizzi ritiene che Roma, pur rinunciando ad ogni precedente diritto sulla Sardegna, otteneva così l'appoggio navale di Cartagine, mettendo così la città al riparo da possibili attacchi dal mare, ora che era esposta ad una nuova minaccia dei Celti, manovrati dai tiranni di Siracusa. A queste considerazioni si aggiunga che Roma, dopo 150 anni circa, era riuscita a conquistare buona parte dell'Etruria, eliminare Veio e ricacciare l'invasione dei Galli di Brenno nel 390 a.C., ma già nel 360 a.C. una seconda ondata stava sommergendo la pianura Padana creando apprensione. E soprattutto Roma era stata per anni - e continuava ad essere - squassata da lotte intestine fra i patrizi e i plebei per l'accesso alle cariche pubbliche e quindi alla gestione dei territori conquistati con le incessanti guerre. Per necessità o per scelta, Roma si stava battendo contro le popolazioni degli Ernici, dei Volsci, dei Tiburtini e degli Etruschi, e si stava preparando alla lotta con i Sanniti, che erano scesi dai monti per invadere la ricca Campania, cui mirava anche Roma stessa. Più che con i commerci, l'economia romana si sviluppava con lo sfruttamento economico dei nemici vinti, strappandone terre da assegnare ai propri coloni, utilizzandone le forze armate come alleati (socii) per i propri fini, legando al benessere dell'Urbe le classi aristocratiche e i possidenti delle città conquistate. In Sicilia e nel sud Italia, Dionisio il Grande (405-367 a.C.), non solo cercava di eliminare definitivamente i Cartaginesi dall'isola, ma andava creando un primo embrione di stato unitario greco in Italia, che Piganiol definisce "un regno delle due Sicilie" che avrebbe potuto fermare Roma. Dionisio il Giovane cercò, dopo la morte del padre, di ampliare il regno ereditato, scontrandosi con altre forze greche. Una situazione convulsa di alleanze, anche tra i Cartaginesi ed alcune città greche, fece disgregare il regno del giovane Dionisio, che fu deposto 344 a.C.. Taranto, che si era tenuta fuori dalle lotte, cresceva in influenza e commercio, pur non riuscendo a creare uno stato esteso. Cartagine, dopo aver posto un limite all'espansione cirenaica, stabilì il confine orientale del territorio punico in Sicilia con i Greci d'Occidente di Siracusa, per il controllo della Sicilia. Gli Etruschi, in precedenza alleati dei Cartaginesi contro i Greci, erano stati fermati dai Galli nell'Italia Settentrionale e da Roma nel Lazio, dopo aver perduto la Campania in precedenza, occupata dalle genti sannitiche.
Nel 343 a.C. - Inizia la prima guerra Sannitica. Le Guerre sannitiche sono una serie di tre conflitti combattuti dalla giovane Repubblica romana contro la popolazione italica dei Sanniti e numerosi loro alleati tra la metà del IV e l'inizio del III secolo a.C. Le guerre, terminate tutte con la vittoria dei Romani (tranne la prima fase della seconda guerra), scaturirono dalla politica espansionistica dei due popoli che a quell'epoca si equivalevano militarmente e combattevano per conquistare l'egemonia nell'Italia centrale e meridionale oltre che per la conquista del porto magnogreco di Napoli. All'epoca dei fatti i Romani dominavano già su Lazio, Campania settentrionale, sulla città etrusca di Veio ed avevano stretto alleanze con diverse altre città e popolazioni minori. I Sanniti dal canto loro erano padroni di quasi tutto il resto della Campania e del Molise, e cercavano di espandersi ulteriormente lungo la costa a discapito delle colonie della Magna Grecia e verso la Lucania nell'entroterra. Nel 354 a.C. Romani e Sanniti, venuti in contatto per la prima volta, avevano comunque preferito un patto di non belligeranza, così da potersi espandere tranquillamente in altre direzioni, ma il confronto era solo rimandato. La grande importanza che i Romani e i loro storiografi sempre diedero a questa lotta per la supremazia nell'Italia meridionale è sottolineata dal gran numero di episodi leggendari o colorati dalla storiografia, come la subjugatio delle Forche Caudine, la Devotio del Console Decio Mure nella terza guerra, e forse di suo padre nella prima, la Legio Linteata.
Guerrieri Sanniti da una tomba di Nola del IV sec. a.C. |
Dal 342 a.C. - A partire dalla seconda metà del IV secolo a.C., le città della Magna Grecia cominciarono lentamente a tramontare sotto i continui attacchi delle popolazioni sabelliche di Bruzi e Lucani. Le città più meridionali, di cui Taranto era la più importante grazie al commercio con le popolazioni dell'entroterra e la Grecia stessa, furono più volte costrette a chiedere soccorso a condottieri provenienti dalla madrepatria greca, come Archidamo III di Sparta negli anni 342-338 a.C. o Alessandro il Molosso negli anni 335-330 a.C., per difendersi dagli attacchi dalle popolazioni italiche che, con la nuova federazione dei Lucani, alla fine del V secolo a.C. si erano espanse fino alle coste del Mar Ionio. Nel corso di queste guerre i Tarantini, nel tentativo di far valere i propri diritti sull'Apulia, stipularono un trattato con Roma, di consueto collocato nell'anno 303 a.C. ma forse risalente già al 325 a.C., secondo il quale alle navi romane non era concesso di superare ad Oriente il promontorio Lacinio (oggi capo Colonna, presso Crotone). La successiva alleanza di Roma con Napoli nel 327 a.C. e la fondazione della colonia romana di Luceria (nel foggiano) del 314 a.C. e Venusia (nel potentino) del 291 a.C. preoccuparano non poco i Tarantini, che temevano di dover rinunciare alle loro ambizioni di conquista sui territori dell'Apulia settentrionale a causa dell'avanzata romana.
Nel 340 - Nella Guerra latina che oppone la Repubblica romana ai vicini popoli Latini, alleati ad alcune città dei Campani, dei Volsci, degli Aurunci e dei Sidicini, dal 340 al 338 a.C., Roma è alleata con la confederazione sannitica, dopo il rinnovo dell'alleanza al termine della prima guerra sannitica (343 - 341 a.C.). Si risolverà in una vittoria romana, una disfatta della Lega Latina, e la definitiva acquisizione dei loro territori sotto l'influenza romana: i primi passi verso la conquista romana dell'Italia.. I Latini, i Volsci e i Campani già sottomessi, ottennero in parte i diritti dei cittadini romani e furono obbligati a registrarsi per censo e a prestare il servizio militare a fianco delle legioni romane, per cui Roma ottiene una quantità enorme di ulteriori alleati.
Nel 338 a.C. - Roma concede la civitas sine suffragio, ovvero la cittadinanza senza l'esercizio del diritto di voto, a Capua. Poco più di vent'anni dopo inizierà la costruzione della via Appia, che stabilisce un saldo collegamento viario tra il centro campano e l'Urbe. Sul finire del III secolo a.C. il diritto alla cittadinanza fu tuttavia revocato in seguito alla sconfitta di Annibale nel corso delle guerre puniche, il territorio confiscato divenendo ager publicus, e la città sottoposta all'autorità di un prefetto. Contemporanea romanizzazione dell’area dei Campi Flegrei. L’area dei Campi Flegrei fu la prima ad entrare nell’orbita romana;
Cartina delle città dei Campi Flegrei da Cuma a Napoli nel 338 a.C. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
- nel 318 a.C. venne istituita la praefectura Capuam Cumas.
Cuma, in virtù di questa alleanza mantenne una sua indipendenza e nei secoli IV e III a.C. definì architettonicamente lo spazio pubblico con la realizzazione del foro, una piazza di 50×120 m. fiancheggiata sui lati lunghi da portici a due piani con fregio d’armi (risalenti alla fine del II sec.), dietro si aprivano delle tabernae. Al centro del lato occidentale del foro rimangono i resti del colossale tempio di Giove di tipo italico, su alto podio con una cella a tre navate e un pronao profondo. Sul fondo della cella è visibile un basamento su cui dovevano essere alloggiate le statue della triade capitolina, quando il tempio fu trasformato in Capitolium nel I sec. a.C.. La realtà economica di questo periodo, nella penisola italica, vede una fiorente ricchezza.
Aristotele. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Schema della visione della Fisica di Aristotele. |
Nel 343/42 fu chiamato da Filippo re di Macedonia a Pella come precettore del figlio Alessandro, decisione forse determinata dall'amicizia di Aristotele con Ermia, alleato di Filippo e dai precedenti rapporti di suo padre con la corte macedone.
Alessandro Magno Istanbul, Museo Archeologico. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Cartina geografica dell'impero di Alessandro Magno, il macedone con i paesi suoi alleati, il percorso delle conquiste e i luoghi delle maggiori battaglie. |
Alessandro Magno in una copia da Lisippo del I sec. conservata a Copenaghen. |
Cartina geografica dell'Egitto e delle sue materie prime nel 300 a.C., nel suo periodo ellenistico. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Lisippo: Alessandro Magno al Louvre di Parigi. |
Nel 326 a.C. - Seconda guerra sannitica (326-304 a.C.). Casus belli della seconda guerra sannitica fu una serie di reciproci atti ostili. Cominciarono i Romani fondando nel 328 a.C. una colonia a Fregellae presso l'odierna Ceprano, sulla riva orientale del fiume Liri, cioè in un territorio che i Sanniti consideravano propria esclusiva sfera di influenza. In più i Sanniti vedevano con preoccupazione l'avanzata dei romani in Campania, così quando Roma dichiarò guerra alla città greca di Palepolis, i Sanniti inviarono 4.000 soldati a difesa della città. I Romani, dal canto loro, accusarono i Sanniti di aver spinto alla ribellione le città di Formia e Fondi.
Carta con i territori teatro della seconda guerra sannitica. |
La divisione in nuove satrapìe dell'impero di Alessandro Magno, di cui la più estesa fu dei Seleucidi. |
Nel 316 a.C. - Agatocle sale al potere nella greco-spartana Siracusa e intraprende una campagna per liberare dai Cartaginesi la Sicilia. Nel 310 a.C. sbarca in Africa portandovi direttamente la guerra e nell'anno successivo elimina perfino l'alleata Cirene, dichiarandosi re dell'Africa. Agatocle dovette però rientrare in Sicilia dopo la sconfitta subita dal figlio Arcagato.
- Prima delle guerre di conquista l'economia romana si basava soprattutto sull'agricoltura e sulla pastorizia. Si coltivavano, in modo particolare, i cereali, che servivano al sostentamento della popolazione. La vendita dei prodotti agricoli avveniva con difficoltà per la mancanza di una rete stradale di trasporti che permettesse l'arrivo dei prodotti sui principali mercati. I trasporti all'epoca avvenivano a cavallo o con buoi ed erano lenti e costosi. Quando era possibile si preferivano i trasporti fluviali e quelli marittimi, che permettevano di trasportare grandi quantità di merci a costi molto inferiori. In quel contesto le attività industriali e commerciali erano molto limitate. Con le guerre di conquista, il nuovo fulcro economico di Roma, più che agricoltura, pastorizia e commerci, diventerà lo sfruttamento economico dei nemici vinti, strappandone terre da assegnare ai propri coloni, utilizzandone le forze armate come alleati (socii) per i propri fini, legando al benessere dell'Urbe le classi aristocratiche e i possidenti delle città conquistate. La strategia romana si basava sulla capacità di rompere i legami di solidarietà tra popoli diversi o tra città (divide et impera), in modo tale da indebolire le capacità di resistenza dei nemici e a tal fine puntavano le fondazioni di colonie e la costruzione della via Appia per il dominio territoriale a cui aderiva l'intero senato assieme alla plebe.
Dal 312 a.C. - A Roma inizia la costruzione delle strade e degli acquedotti. Il più esteso monumento dell'antichità, lungo quasi centomila chilometri, è senza dubbio la rete delle strade romane, dal Nord Africa all'Inghilterra e dalla Turchia al Portogallo, dove Roma era il punto di partenza verso le più lontane periferie dell'Impero. Plinio il Vecchio scriveva infatti: "I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che furono dai Greci neglette, cioè nell'aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache". La prima strada ad essere approntata è stata la Via Appia. La costruzione delle strade inizialmente era stata dettata dalla necessità di spostare rapidamente le truppe in qualsiasi regione conquistata, ed infatti le prime strade furono costruite proprio dai legionari. Anche se in principio avevano una funzione militare permisero un notevolissimo sviluppo al commercio dell'Urbe favorendo lo spostamento di merci e mercanti, oltre che della gente comune e dei messaggeri. In poco tempo le prime vie Consolari come: l'Appia, l'Aemilia, la Salaria, la Postumia ed altre, vennero prolungate, fino a formare un complesso sistema che permetteva di raggiungere qualsiasi punto dell'Impero in poco tempo; si calcola che furono costruite più di 29 strade che percorrevano oltre 120.000 Km (due volte il giro della Terra!). Le strade romane avevano il compito fondamentale di mettere in comunicazione Roma con il resto dello Stato nel modo più rapido effettuabile. Per questo venivano tracciate il più rettilinee possibile per evitare allungamenti, anche a costo di lasciare isolati i centri più piccoli, i quali venivano comunque collegati con vie secondarie. La necessità di superare ostacoli naturali come specchi d'acqua o colline per dare continuità al tracciato venne compiuta con la costruzioni di mirabili ponti, viadotti e gallerie in parte tuttora praticabili. Ricordiamo tra tutti il ponte più lungo dell'antichità costruito sul Danubio per volere di Traiano con una lunghezza di oltre 2,5 km! Questi sono solo alcuni dei segni più imponenti che questa civiltà ci ha lasciato, e che tra l'altro furono per secoli studiati per la loro perfezione: il Medioevo incapace di imitare le strade e i ponti romani li chiamò per questo "sentieri dei giganti" o "strade del diavolo".
La Via Sacra Romana. |
Le Vie e strade Romane in Italia. |
VII. Via Latina: collegava l'Urbe direttamente con Capua spercorrendo passando per Anagnia, Frusino, Casinum.
IX. Via Salaria: prende il nome dalla materia prima (il sale) che per secoli fu trasportata lungo il suo tracciato. Essa partiva da Roma e giungeva fino Castrum Truentinum (Porto d’Ascoli), passando per Reate e Asculum.
X. Via Postumia: passando per la Pianura Padana univa Genua con Aquileia, attraversando Cremona, Verona, Vicetia.
XII. Via Cassia: congiungeva l'Urbe al Nord Italia, passando attraverso Arretium, Florentia, Pistoia, Luca.
Gli strati in cui era costruita la strada romana. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Particolare con Roma della Tabula Peutingeriana. |
Le vie e strade costruite nell'Impero Romano. |
Ponte-acquedotto sul fiume Gard nell'attuale Francia, che riforniva la città di Nemasus l'odierna Nimes. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Patrizio Torlonia, identificato
invece come Marco Porcio
Catone (234-149 a.C.), il
più famoso dei censori.
|
- Fino all'avvento del cristianesimo, la mentalità dei Romani antichi era piuttosto pragmatica e libera da eventuali condizionamenti filosofico-religiosi. La locuzione latina Faber est suae quisque fortunae, tradotta letteralmente, significa "Ciascuno è artefice della propria sorte". L'espressione è caratteristica della teoria dell'homo faber, secondo cui l'unico artefice del proprio destino è l'uomo stesso; viene talvolta vista come un iniziale contrapporsi dell'uomo romano all'idea del fato (dominante nel mondo classico), per essere responsabile protagonista delle sue azioni o nella lotta contro il bisogno e la miseria. Questa teoria verrà in seguito sviluppata soprattutto durante l'Umanesimo e il Rinascimento, specialmente alla luce della riconsiderazione del rapporto tra virtù e fortuna intesa come destino dell'uomo in genere. Se, infatti, nel Medioevo l'uomo è considerato succube del destino, nell'Umanesimo e nel Rinascimento esso è visto come intelligente, astuto ed energico, e perciò capace di utilizzare al meglio ciò che la natura gli offre ed essere dunque artefice del proprio destino. Forte sostenitore di questa visione dell'uomo è stato il filosofo Giordano Bruno.
Nel 306 a.C. - Viene stipulato il terzo trattato fra Roma e Cartagine. Non se ne conosce il testo ma secondo lo storico Filino, che in genere si mostra filopunico, Roma accettò di non interferire negli affari in Sicilia, mentre Cartagine si impegnava a fare altrettanto nella penisola italica: di fatto un sodalizio contro i Greci della Magna Grecia. Roma era ormai diventata il primo stato in Italia e di conseguenza, motivo per cui Cartagine, desiderosa di evitare che Agatocle di Siracusa, potesse rivolgersi in Italia per chiedere aiuto, stipulò con l'Urbe il nuovo trattato e sebbene Roma non fosse ancora pronta a misurarsi con Cartagine, il suo territorio superava quello dell'impero siracusano di Agatocle. A Roma era utile questo trattato, poiché dopo aver posto sotto il proprio controllo buona parte dell'Etruria meridionale e del territorio costiero della Campania, si trovava nel pieno delle guerre sannitiche, che, scoppiate nel 343 a.C., si sarebbero concluse solo nel 290 a.C., guerre che denunciavano una rivolta delle popolazioni del Lazio, dell'Etruria e del Sannio al dominio romano. D'altra parte, dopo il superamento del pericolo costituito dalla presenza delle popolazioni galliche a Nord, le vittorie su Volsci ed Equi e gli accordi stipulati con Etruschi e Latini, Roma aveva avviato, nella seconda metà del IV secolo a.C., un intenso processo di espansione verso il Meridione della penisola italica. La vittoria romana nelle tre guerre sannitiche (343-341; 326-304; 298-290 a.C.) e nella guerra latina (340 a.C.-338 a.C.) assicurava all'Urbe il controllo di buona parte dell'Italia centro-meridionale, ma si perseguiva l'intento di espandersi verso il Meridione della penisola italica. La strategia romana si basava sulla capacità di rompere i legami di solidarietà tra popoli diversi o tra città, in modo tale da indebolire le capacità di resistenza dei nemici e a tal fine puntavano le fondazioni di colonie e la costruzione della via Appia per il dominio territoriale a cui aderiva l'intero senato assieme alla plebe. A sollecitare l'avanzata verso Sud erano infatti interessi di tipo economico e culturale, frenati dalle città della Magna Grecia, organizzate militarmente, politicamente e culturalmente, capaci quindi di resistere all'espansione romana. Contemporaneamente la strategia di Roma era quella di continuare la sua politica diplomatica con il mondo greco, accordandosi nel 306 a.C. con Rodi, città in forte espansione commerciale. Taranto, in un periodo di splendore e di espansione, riuscì perfino a limitare i traffici marittimi di Roma con il trattato del 303/302 a.C., che fissava il limite di navigazione di Roma al promontorio Lacinio (oggi Capo Colonna, presso Crotone). Il Mommsen aggiunge che, tra il Mediterraneo occidentale e quello orientale: «[...] si stabilirono solo relazioni economiche, così la repubblica di Rodi, che teneva il primo posto fra gli Stati marittimi della Grecia e che in quel tempo di continue guerre (guerre dei diadochi), era come la mediatrice universale del commercio, concluse un trattato con Roma, naturalmente un trattato commerciale, che poteva essere tra un popolo di mercanti e i padroni delle marine di Cere e della Campania.» Mommsen 1972, “Re Pirro contro Roma e l'unificazione d'Italia, vol. 2, cap. VII, p. 478.
Epicuro. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Nel 303 a.C. - Nuovi attacchi da parte dei Lucani, costringono ancora una volta i Tarantini a chiedere aiuto ai mercenari della madrepatria: è ingaggiato questa volta un certo Cleonimo di Sparta (303-302 a.C.), che sarà però, sconfitto dalle popolazioni italiche, forse sobillate dagli stessi Romani. Il successivo intervento di un altro paladino della grecità, Agatocle di Siracusa, portò di nuovo l'ordine nella regione con la sconfitta dei Bruzi (298-295 a.C.), ma la fiducia delle piccole città dell'Italia meridionale in Taranto e Siracusa inizierà a svanire a vantaggio di Roma, che nel contempo si era alleata con i Lucani e risulterà vittoriosa a settentrione sui Sanniti, Etruschi e Celti (nella terza guerra sannitica e nelle guerre tra Celti e Romani). Morto Agatocle di Siracusa nel 289 a.C., i Lucani, un tempo alleati di Roma, si ribellarono insieme ai Bruzi ed iniziarono ad avanzare nel territorio di Thurii (nei pressi di Sibari, in Calabria) devastandolo; gli abitanti della città, consci della propria debolezza inviarono due ambasciate a Roma per chiedere aiuto, la prima nel 285 a.C. e poi nel 282 a.C.. Solo in questa seconda circostanza Roma inviò il console Gaio Fabricio Luscino il quale, posta una guarnigione a Thurii, avanzò contro i Lucani sconfiggendo il loro principe Stenio Stallio, come riportano i Fasti triumphales. A seguito di questo successo, le città di Reggio, Locri e Crotone chiesero di essere poste sotto la protezione di Roma che inviò una guarnigione di 4.000 uomini a presidio di Reggio: Roma si proiettava ormai, verso il Meridione d'Italia.
Da https://www.slideshare.net /luigiarmetta/let-ellenistica |
Zenone di Cizio. |
- Nello stesso 300 a.C. la scuola matematica di Alessandria d'Egitto, che ha in Euclide il suo massimo esponente, studia la leva, il sifone, la vite e la carrucola. Euclide visse all'incirca dal 325 al 265 in Alessandria. Il suo capolavoro sono i tredici libri degli "Elementi", il culmine della geometria classica, una delle opere più studiate della storia del pensiero. Ne sono state stampate più di 1000 edizioni. La quasi totalità della geometria che ancora oggi viene appresa nelle scuole superiori di tutto il mondo è di origine euclidea. L'opera propriamente astronomica lasciataci da Euclide ha per titolo "Fenomeni".
Nel 298 a.C. - Terza guerra sannitica (298-290 a.C.). Nel 298 a.C. i Lucani, il cui territorio era fatto oggetto di saccheggi da parte dei Sanniti, inviarono ambasciatori a Roma, per chiederne la protezione. Roma accettò l'alleanza con i Lucani, e dichiarò guerra ai Sanniti. Il console Gneo (pronuncia Ghneo) Fulvio Massimo Centumalo cui era toccata la campagna contro i Sanniti, guidò i romani alla presa di Boviano e di Aufidena. Tornato a Roma, Gneo ottenne il trionfo. Nel 297 a.C., al comando dei consoli Quinto Fabio Massimo Rulliano e Publio Decio Mure, gli eserciti romani sconfissero un esercito di Apuli vicino a Maleventum, impedendo che questi si potessero unire agli alleati Sanniti, e uno Sannita nei pressi di Tifernum. L'anno seguente, il 296 a.C.,le operazioni si spostarono in Etruria, dove i Sanniti si erano recati per ottenere l'alleanza degli Etruschi; ma i romani sconfissero l'esercito Etrusco-Sannita. Nel 295 a.C. i Romani dovettero fronteggiare una coalizione nemica composta da 4 popoli: Sanniti, Etruschi, Galli ed Umbri, nella Battaglia di Sentino. Seppure nello scontro fu ucciso il console plebeo Publio Decio Mure, alla fine le schiere romane riportarono una completa vittoria. Sempre quell'anno Lucio Volumnio Flamma Violente, con poteri proconsolari, sconfisse i Sanniti nei pressi di Triferno, e successivamente, raggiunto dalle forze guidate dal proconsole Appio Claudio, sconfisse le forze sannite, fuggite dalla battaglia di Sentino, nei pressi di Caiazia. Nel 294 a.C., mentre l'esercito romano otteneva importanti vittorie sugli Etruschi, costringendoli a chiedere la pace, fu combattuta una sanguinosa ed incerta battaglia davanti alla città di Luceria, durata due giorni, alla fine dei quali i romani risultarono vincitori, ma la battaglia decisiva fu combattuta nel 293, quando i romani sconfissero i Sanniti nella battaglia di Aquilonia. Da Aquilonia, dove aveva combattuto la Legio Linteata, alcuni Sanniti superstiti si rifugiarono a Bovianum da dove riorganizzatisi condussero una resistenza disperata che durò fino al 290, con l'ultima, durissima campagna condotta dai consoli Manio Curio Dentato e Publio Cornelio Rufino. Con la vittoria sui Sanniti, i Romani conquistarono una posizione egemonica in tutto il centro sud, imponevano alle altre, ancora forti popolazioni italiche, le loro decisioni in politica estera, le riducevano a fornire contingenti di truppe e a finanziare campagne militari; Roma conquistava il potere che l'avrebbe condotta a scontrarsi nel giro di un secolo prima con Pirro e poi con Cartagine. Nell'ambito della terza guerra sannitica, i Galli Senoni dell'Italia settentrionale si allearono con gli Umbri, gli Etruschi e i Sanniti contro Roma. La coalizione, inizialmente vincitrice (con la presa di Arezzo), venne in seguito sconfitta dai Romani nella battaglia di Sentino. E ciò permise a Roma l'istituzione dell'Ager Gallicus e la fondazione della sua colonia a Sena Gallica, che ancora conserva, nel moderno toponimo di Senigallia, la duplice memoria dell'etnonimo e dell'origine di quel popolo celtico. Nel 283 a.C. si concludeva questa fase del conflitto celto-romano, dove Roma riusciva a occupare tutti i territori a sud degli Appennini, battendo ancora i Senoni nella battaglia del lago Vadimone, combattuta contro una coalizione celto-etrusca.
Nel 290 a.C. - Terminano ufficialmente le guerre fra Roma e i Sanniti, che continueranno comunque ad appoggiare ogni forma di resistenza a Roma da parte di altre popolazioni. L'azione di Roma nel territorio aveva alleggerito la pressione delle popolazioni italiche sulle città greche del sud Italia, in particolare su Taranto mentre Siracusa era continuamente in guerra con Cartagine e dopo la morte di Agatocle, era squassata da guerre civili. Durante le guerre sannite, il costo sociale dell'esercito romano era stato molto dispendioso. La leva standard consisteva nell'arruolare da due a quattro legioni e le campagne militari avvenivano ogni anno. Ciò implicava che il 16% di tutti gli adulti maschi romani fossero coinvolti nelle operazioni militari annuali, arrivando fino al 25% durante i periodi di emergenza.
Nel 283 a.C. - In Egitto muore il greco Tolomeo I Sotere. Sotto la guida e la protezione del sagace Tolomeo I e di suo figlio Tolomeo II, Alessandria d'Egitto era il centro letterario, matematico e scientifico dell’antico mondo occidentale e mediorientale, arrogandosi il ruolo in precedenza goduto da Atene. Ed in questo ruolo rimase per molte generazioni. Tolomeo I aveva abdicato a favore del figlio Tolomeo II nel 284 a.C. ed era morto pacificamente nel proprio letto, uno dei pochi sopravvissuti ad Alessandro ad esserci riuscito. Tra le opere tramandateci da Tolomeo I, si può ancora vedere il tempio di Kom Abu Billo, dedicato ad Hathor “Signora di Mefket”.
Nel 282 a.C. - L'aiuto accordato da Roma a Thurii fu visto dai Tarantini come un atto compiuto in violazione agli accordi che Roma non dovesse scendere oltre capo Lacinio, presso Crotone, inoltre nell'autunno del 282 a.C. Roma inviò una piccola flotta duumvirale composta da dieci imbarcazioni da osservazione nel golfo di Taranto che provocò i tarantini, che stavano celebrando in un teatro affacciato sul mare delle feste in onore del dio Dioniso e in preda all'ebbrezza, scorte le navi romane, le attaccarono: ne affondarono quattro e una fu catturata, mentre cinque riuscirono a fuggire. Tra i Romani catturati, alcuni furono imprigionati e gli altri messi a morte, poi i Tarantini marciarono contro Thurii, che fu presa e saccheggiata e la guarnigione Romana scacciata insieme agli esponenti dell'aristocrazia locale. Roma decise di inviare a Taranto un'ambasceria guidata da Postumio, per chiedere la liberazione di coloro che erano stati fatti prigionieri, il rimpatrio dei cittadini aristocratici espulsi da Thurii, la restituzione dei beni a loro depredati e la consegna di coloro che erano stati responsabili dell'attacco alle navi romane. I diplomatici romani, giunti a Taranto, furono ricevuti ma il discorso di Postumio fu ascoltato con scarso interesse da parte dell'uditorio, più attento alla correttezza della lingua greca parlata dall'ambasciatore romano che alla sostanza del messaggio.Vittime di risate di scherno da parte dei Tarantini, che si prendevano gioco dell'eloquio scorretto e delle loro toghe dalle fasce purpuree, gli ambasciatori furono condotti fuori dal teatro e mentre ne stavano uscendo, tuttavia, un uomo chiamato Filonide, in preda all'ubriachezza, si sollevò la veste e orinò sulla toga degli ambasciatori con l'intento di oltraggiarli. A tale atto Postumio visto che tutti coloro che erano presenti sembravano aver apprezzato l'atto di Filonide, li apostrofò, secondo la testimonianza di Dionigi di Alicarnasso, ammonendoli: "Ridete finché potete, Tarantini, ridete! In futuro dovrete a lungo versare lacrime!", poi gli ambasciatori rientrarono a Roma dove Postumio mostrò ai concittadini la toga sporcata da Filonide. Una parte dei politici romani e delle grandi famiglie, tra cui la gens Fabia, voleva l'espansione territoriale di Roma verso il sud Italia, per cui il nuovo console Lucio Emilio Barbula cominciò a devastare le campagne circostanti Taranto, tanto che i Tarantini, consci di non poter affrontare a lungo l'assedio romano, cercarono nuovi aiuti questa volta in Epiro, richiedendo l'intervento del re Pirro che accolse la richiesta di aiuto dei Tarantini poiché desideroso di ampliare il proprio regno ed incorporare nella propria sfera d'influenza la Magna Grecia, compresa la Sicilia (contesa fra i Cartaginesi e la città greca di Siracusa) fondando uno stato nell'Italia meridionale, e inviò Cinea per comunicare la sua decisione, poco prima che Taranto capitolasse. Pirro non avrebbe potuto respingere la richiesta di aiuto fatta da Taranto, che aveva dato un contributo importante per la conquista di Corfù e per la riconquista della Macedonia, persa nel 285 a.C..
Percorsi di Pirro nella penisola italica, da QUI. |
Dal 280 a.C. - Si combattono le Guerre pirriche fra la Repubblica romana e l'esercito di Pirro, re dell'Epiro, a capo di una coalizione greco-italica, che avranno luogo nell'Italia meridionale e coinvolgeranno anche le popolazioni italiche del posto, la Sicilia greca e Cartagine. Pirro (dal greco antico Pýrrhos, "il colore del fuoco, rosso biondo"; 318 a.C. - Argo, 272 a.C.) è stato re dell'Epiro tra il 306 e il 300 a.C. e di nuovo nel periodo 298-272 a.C. Appartenente alla casa degli Eacidi (che dichiarava di discendere da Neottolemo, figlio di Achille) e imparentata agli Argeadi e quindi ad Alessandro Magno, dal 306 a.C. fu re della sua gente, i Molossi, tribù preponderante dell'antico Epiro nei periodi 288-285 a.C. e 273-272 a.C. Nel 280 a.C. Pirro aveva 39 anni. Mandato come ostaggio nell'Egitto dei Tolomei da Cassandro di Macedonia, era stato insediato sul trono dell'Epiro nel 297 a.C. da Tolomeo I Sotere, che era stato generale e diadoco (successore) in Egitto di Alessandro Magno. Dopo due anni Pirro aveva sposato la figlia di re Agatocle di Siracusa, Lanassa, che come dote gli aveva portato le isole ioniche di Leucade e Corcira (Corfù). Chiamato in Italia dai tarantini, che stavano soccombendo all'attacco delle legioni di Roma, Pirro arrivò con un esercito di 25.000 uomini e 20 elefanti presentandosi come campione dell'Ellade contro l'avanzata dei barbari italici. Alcuni pensarono addirittura, in modo ottimistico, che egli avrebbe creato in Occidente un impero simile a quello che Alessandro aveva fondato in Oriente. L'attacco di Pirro a Roma fu, inizialmente, coronato da successo: la battaglia di Heraclea in Lucania contro le legioni guidate da Publio Valerio Levino fu vinta grazie agli elefanti, che i Romani non conoscevano ancora. Le perdite però furono elevate per entrambi i contendenti, tanto che Pirro inviò un ambasciatore a proporre la cessazione delle ostilità, ma la guerra continuò per l'azione di Appio Claudio Cieco e l'arrivo di una flotta cartaginese di 120 navi nel porto romano di Ostia, che ricordò ai Romani le clausole dei precedenti trattati di alleanza con la città punica. Scullard e Brizzi sostengono che Cartagine di fatto, offriva a Roma un aiuto militare (una flotta per bloccare Pirro) ed economico per continuare la guerra. Warmington aggiunge che la grande flotta, la maggiore che i Romani avessero mai visto prima d'ora, rafforzò il partito di coloro che non volevano cedere ad una pace con Pirro. Altro argomento assai persuasivo fu la consegna da parte dell'ammiraglio cartaginese, Magone, di un ricco dono in verghe d'argento, con il quale i Romani poterono pagare i rinforzi ricevuti dai loro alleati. Nel 279 a.C. una seconda grande battaglia ad Ausculum, sulle rive dell'Aufidus (battaglia di Ascoli di Puglia), vide la vittoria del re epirota sulle forze dei consoli Publio Sulpicio e Publio Decio Mure. Anche questa battaglia portò gravi perdite (3.500 soldati contro i 6.000 dei Romani), tanto da far diventare famose le "vittorie di Pirro", termine omologo a quello di Vittoria cadmea, in cui le perdite erano state così alte da essere in ultima analisi incolmabili, condannando l'esercito vincitore a perdere la guerra. Siracusa, in guerra permanente contro Cartagine, offrì al re dell'Epiro la corona di Sicilia per il figlio a patto che se l'andasse a conquistare, cacciando i Cartaginesi dall'isola. Pirro accettò di diventare campione della Grecia, dopo aver cercato di sbarazzarsi dei suoi impegni nell'Italia meridionale, stipulando forse un accordo con il console romano Fabrizio e pretendendo probabilmente per Taranto la sola immunità. Pirro partì quindi per l'avventura siciliana, riuscendo a cacciare i Cartaginesi fino al Lilibeo. L'alleanza tra Siracusa e Pirro costringerà Cartagine a rinnovare quella con Roma.
Aristarco di Samo in un
dipinto del 1646.
|
Nel 275 a.C. - Dopo la sconfitta di Maleventum (a cui verrà cambiato il nome in Beneventum), Pirro ritornò definitivamente in Epiro lasciando Roma padrona dell'intera penisola italica a sud dell'Appennino tosco-emiliano. Quasi avesse intuito quello che di lì ad una decina d'anni sarebbe accaduto alle due potenze del Mediterraneo occidentale, esclamò: «Amici, lasciamo questa palestra a Cartaginesi e Romani.» (Plutarco, Pirro, 23.). Roma è egemone sull'intera Magna Grecia, prossima al controllo della tecnica di costruzione e gestione delle navi e conscia della potenza delle proprie legioni, che non temevano più nemmeno gli elefanti. Non a caso la vittoria su Pirro diede a Roma un grande prestigio di fronte, non solo ai Tolomei d'Egitto che chiesero l'amicizia con il popolo romano, ma anche nei confronti dei re d'Oriente.
Carta geografica della Gallia Cisalpina. Popolazioni Liguri, Etrusche, Celtoliguri (Celto-Ligi) e Celtiche nel Centro-Nord italico attorno al 300 a.C.. |
Cartina della prima e seconda guerra punica con eventi, battaglie e percorsi di Annibale e Scipione nella seconda guerra. |
Eratostene di Cirene. |
Carta del III sec. a.C. con la distribuzione delle varie tribù Celtiche e la loro fusione con Liguri e Iberici. |
Carta con l'incursione a Telamon (Talamone) da parte delle popolazioni Celtiche e Celto-liguri degli Insubri, Gesati, Boi e Taurini che furono sconfitti nel 225 a.C. dai Romani. |
Archimede. |
Apollonio di Perga. |
La via Flaminia romana dalla Tabula Peutingheriana, da: http://www.prolocofano.it/itinerari-via-flaminia/. |
- Nell'intervallo di tempo fra la prima e la seconda guerra punica, Cartagine dovette subire e reprimere una rivolta delle truppe mercenarie che aveva impiegato. La rivolta era dovuta all'impossibilità dei punici di pagare le truppe stesse alla fine del conflitto. Dopo tre anni di battaglie i mercenari furono sgominati e Cartagine poté riprendere il suo percorso per riconquistare il vigore economico precedente, cercando di compensare le perdite economiche subite con la prima guerra punica grazie una sistematica penetrazione in Spagna, diretta da Amilcare Barca e poi da Asdrubale (il genero). Dopo acerrime lotte politiche fra le due principali fazioni cittadine, Amilcare Barca, padre di Annibale e capostipite dei cosiddetti Barcidi, partì per la Spagna con un piccolo esercito di mercenari e cittadini punici. Dopo aver perso isole fra cui la Sicilia, i cartaginesi cercavano una riscossa nel Mediterraneo e fonti di ricchezza per pagare le forti indennità di guerra dovute a Roma. Amilcare marciò per tutta la costa del Nordafrica e buona parte della costa spagnola sottomettendone molte popolazioni e alla sua morte fu sostituito dal genero Asdrubale che consolidò le conquiste fatte, fondò la città di Carthago Nova (oggi Cartagena) e stipulò un trattato con Roma che poneva i limiti dell'espansione punica in Iberia a sud del fiume Ebro. Quando anche Asdrubale fu ucciso, l'esercito scelse come capo Annibale, ancora ventisettenne. Cartagine accettò la designazione e dopo due anni, Annibale decise di portare la guerra in Italia, scatenando la seconda guerra punica.
Cartina della seconda guerra punica con itinerari e date di Annibale e Asdrubale e le principali battaglie. |
Annibale Barca
(Barca in cartaginese
significava Folgore).
|
Antica bireme Romana con rostro. |
Cartina della prima e seconda guerra punica con gli itinerari di Annibale, Asdrubale e Magone, Gneo e Publio Scipione e le principali battaglie, anche in Spagna. |
Nel 210 a.C. - Nell'ambito della seconda Guerra Punica si combatte la seconda battaglia di Erdonia, l'attuale Ordona (FG). La città di Erdonia era già stata teatro di una sconfitta romana nel 212 a.C., quando due anni dopo i romani provarono a riconquistarla. Annibale, che aveva invaso l'Italia ormai da otto anni, accerchiò e distrusse l'esercito romano. Dopo le continue sconfitte di Roma (su tutte, la Battaglia di Canne, ma anche quelle del lago Trasimeno e della Trebbia), la fedeltà degli alleati italici di Roma aveva iniziato a vacillare. Oltre ai Sanniti, ai Lucani, ai Greci del Sud Italia, anche in Apulia sorgevano le prime ribellioni. La pesante disfatta ebbe infatti ripercussioni fra Roma e i suoi gli alleati italici, che sembrarono sul punto di lasciarla a suo destino, viste le continue sconfitte di cui era stata vittima nel giro di pochi anni. I Romani però tennero duro e nel giro di tre anni riuscirono ad intrappolare Annibale nella parte sud-occidentale della penisola, riconquistando i territori persi e punendo le città italiche che avevano collaborato con l'invasore cartaginese.
Cartina con in verde i territori
della Repubblica di Roma
nel 201 a.C. e in arancio quelli
conquistati dal 201 al 146 a.C. |
Nel 201 a.C. - Con la vittoria di Scipione, detto poi l'Africano, a Zama, termina con la vittoria di Roma la seconda Guerra Punica. Fino al 200 a.C., l'esercito repubblicano non era costituito da forze militari professionali ma al contrario si provvedeva ad una leva annuale attraverso la coscrizione obbligatoria, come richiesto per ogni campagna miliare stagionale, per poi congedare tutti al termine della stessa (alcune unità potevano essere mantenute durante l'inverno). Per far parte dell’esercito romano si doveva avere un reddito (censo) che permettesse di pagarsi gli armamenti e i più numerosi componenti dell'esercito erano gli allevatori e i piccoli proprietari terrieri. Durante la seconda guerra punica Polibio stima che i cittadini romani iuniores (17-46 anni), escludendo gli alleati italici, fossero circa 231.000 nel 225 a.C., prima dell'inizio della guerra e dopo gli anni compresi tra il 218 e il 206 a.C. ne rimasero 180.000, di cui almeno 100.000 furono utilizzati continuativamente in Italia e nelle province nel periodo 214-203 (con un picco di 120.000) e altri circa 15.000 servirono nella flotta romana. Le nuove reclute che raggiugevano l'età minima, erano pareggiate dalle perdite subite durante la guerra, i due terzi degli iuniores prestarono in modo continuativo servizio durante la guerra. Quelli che furono lasciati a produrre cibo per sfamare le armate, risultarono appena sufficienti. Anche allora, furono spesso necessarie misure di emergenza per trovare un numero sufficiente di reclute. Livio dice che, dopo Canne, il censo minimo per il servizio legionario fu in gran parte ignorato. Inoltre, il normale divieto di arruolare nelle legioni, criminali, debitori e schiavi, venne revocato. Due volte la classe benestante fu costretta a contribuire con i propri schiavi per gli equipaggi delle flotte e per due volte anche i minorenni vennero arruolati nell'esercito. Dopo la battaglia di Canne, a causa della penuria dei soldati, vennero arruolati 8.000 servi. Quindi al termine della seconda guerra punica vi fu una nuova riduzione del censo minimo richiesto per passare dalla condizione di proletarii (o capite censi) ad adsidui, ovvero per prestare il servizio militare all'interno delle cinque classi, come aveva stabilito nel VI secolo a.C., Servio Tullio. Si era, infatti, passati nel corso di tre secoli da un censo minimo di 11.000 assi ai 4.000 degli anni 214-212 a.C. (pari alle 400 dracme argentee di Polibio alla fine del III secolo a.C.) fino ai 1.500 assi riportati da Cicerone e databili agli anni 133-123 a.C., a testimonianza di una lenta e graduale proletarizzazione dell'esercito romano, alla continua ricerca di armati, in funzione delle nuove conquiste nel Mediterraneo; molti dei proletari ex nullatenenti erano stati nominalmente ammessi tra gli adsidui.
- La presenza di eunuchi nell'antica Roma divenne sempre più frequente con l'espandersi delle conquiste romane nel Mediterraneo e con l'assimilazione delle culture e religiosità orientali come il culto della dea Cibele. A Roma questo culto fu agli inizi malvisto per il suo carattere orgiastico ma successivamente invece, la dea divenne una delle divinità protettrici di Roma in quanto le si attribuiva il fatto di aver distolto Annibale dall'invadere la città nel 204 a.C. Da quell'anno si tennero sempre grandi celebrazioni in onore della dea durante le quali i sacerdoti castrati (chiamati galli) e i fedeli si flagellavano, le donne si amputavano i seni e gli uomini si eviravano.
- A Pergamo, nella penisola anatolica, l'attuale Turchia, inizia la fabbricazione della pergamena.
- In quei tempi i Venedi-Sclavini (popolazione di Slavi) commerciano con la Gallia, la Pannonia, le province romane occidentali e alcuni centri del mar Nero. Che l'aristocrazia tribale dei Venedi-Sclavini fosse molto ricca, è documentato dal corredo funerario (vedi il sepolcreto di Vymysl nella Posnania).
- All'indomani della vittoria nella seconda guerra punica, Roma procedette alla definitiva sottomissione della pianura padana, che aprì un territorio vasto e fertile agli emigranti originari dell'Italia centrale e meridionale, nonostante le vittorie celtiche nella battaglia di Cremona, nel 200 a.C. e in quella di Mutina (Modena), nel 194 a.C.. Pochi decenni dopo, lo storico greco Polibio poteva già personalmente testimoniare la rarefazione dei Celti in pianura padana, espulsi dalla regione o confinati in alcune limitate aree subalpine. L'avanzata romana continuò anche nella parte nord-orientale con la fondazione della colonia di Aquileia nel 181 a.C., come raccontano gli autori antichi, nel territorio degli antichi Carni.
Mediterraneo nel 200 a.C. con tratteggiate le aree di influenza, da QUI. |
Nel 196 a.C. - In seguito alla battaglia di Cinocefale, il proconsole romano Tito Quinzio Flaminino proclama la libertà della Grecia dal dominio macedone. Durante i regni di Filippo V (221-179 a.C.) e di suo figlio Perseo, il regno di Macedonia si scontrò con la repubblica romana. Il casus belli fu, nel contesto della seconda guerra punica, l'alleanza di Filippo V con Annibale, vincitore a Canne sull'esercito romano. La prima guerra macedonica (215-205 a.C.) si risolse senza vincitori con la Pace di Fenice (nel 205 a.C.). La seconda guerra macedonica (200-196 a.C.) vide invece la netta vittoria romana nella battaglia di Cinocefale (197 a.C.) per opera del proconsole Tito Quinzio Flaminino e la conseguente proclamazione della libertà della Grecia dal dominio macedone da parte dello stesso magistrato (196 a.C.), mentre la potenza del regno di Macedonia e i suoi confini venivano notevolmente ridimensionati.
Nel 193 a.C. - A seguito della conquista romana della Gallia Cisalpina, conclusasi con la sottomissione dei Galli Boi intorno al 193 a.C., le popolazioni ribelli dei liguri Friniati e Apuani continuarono ad essere sovrane nelle montagne, al punto che i Friniati (da cui prenderà il nome il Frignano) riuscirono persino ad espugnare l'appena fondata colonia romana di Mutina (Modena). Come risulta dalle numerose iscrizioni friniate rinvenute nell'appennino modenese, i liguri Friniati si identificavano come "Umbrii" (da cui il toponimo di Montombraro, frazione di Zocca in provincia di Modena), nome comune a moltissime popolazioni indo-europee.
- Il re numida Massinissa occupa Emporia, nella Syrtis Minor, l'attuale golfo tunisino di Gabès, tanto ricca da rendere a Cartagine un talento al giorno. Alle lamentele di Cartagine, il re numida ribatté che i punici erano stranieri i quali, avuto il permesso di possedere tanta terra quanta ne comprendeva una pelle di bue, si erano impadroniti di molta parte dell'Africa. Ad ogni buon conto il Senato inviò a Cartagine una delegazione comprendente Publio Cornelio Scipione che però non decise alcuna mossa contro la Numidia.
La via Emilia sulla Tabula Peutingeriana. |
Marco Emilio Lepido il nonno, dal museo di Luni. |
Rimini, Ponte di Tiberio del I sec. da: QUI. |
Rimini, arco di Augusto del I sec., punto di partenza della via Emilia da: QUI. |
Savignano sul Rubicone, ponte consolare romano sul Rubicone da: QUI. |
Carta dell'anno 6 con la IX regio romana, la Liguria e dintorni, con i nomi delle varie popolazioni Liguri ormai romanizzate. |
Nel 180 a.C. - Il console romano Caio Claudio, nella battaglia del fiume Scoltenna, che con il Leo forma il Panaro, sconfigge i liguri Apuani che perderanno quindicimila e settecento uomini e 51 insegne militari (Tito Livio, Storia Romana, deca V, libro I, cap. II).
Dal 176 a.C. - Dopo sanguinose battaglie con migliaia di morti contro i romani, numerosi liguri Friniati sono deportati in pianura e definitivamente sottomessi dai romani.
Nel 174 a.C. - Il re numida Massinissa occupa Tisca e il territorio circostante. Per salvare le apparenze, Roma invia in Africa Catone il Censore alla guida di una nuova commissione. Tornato in Italia con ancora più radicata la convinzione che Cartagine stesse risorgendo economicamente e anche riarmandosi, Catone intensificò la sua martellante campagna per la distruzione della città. Famoso l'aneddoto del cestino di fichi che Catone, al suo ritorno, mostrò in Senato; erano ancora tanto freschi da rendere evidente "quanto" Cartagine fosse vicina e tanto buoni da far toccare con mano la concorrenziale qualità dei suoi prodotti.
Nel 171 a.C. - Fra Roma e il regno macedone si scatena la terza guerra macedonica. Perseo, il figlio di Filippo V dopo aver potenziato il proprio esercito aveva iniziato una politica aggressiva nei confronti della Grecia. I Romani reagirono scatenando la terza guerra macedonica (171-168 a.C.), che si concluse con la battaglia di Pidna e la disfatta delle truppe macedoni per opera del console Lucio Emilio Paolo Macedonico. Lo stesso Perseo si arrese ai Romani, fu deposto e deportato in territorio romano, dove morì in prigionia. La Macedonia fu suddivisa in quattro repubbliche fedeli a Roma.
Carta di Macedonia, Grecia e Ionia nel II secolo a.C. con i vari regni e regioni coinvolti nelle guerre dell'Egeo. |
Nel 150 a.C. - L'esasperata Cartagine, rompendo i patti, decide il riarmo. La fazione di Cartaginesi favorevole a Roma e addirittura a Massinissa aveva perso il potere e 40 dei loro membri erano stati esiliati. Rifugiatisi in Numidia, senza grande fatica avevano spinto l'ormai ottantenne Massinissa, ad inviare a Cartagine i suoi figli per chiedere il rientro degli esuli. Cartagine aveva rifiutato e Massinissa, per contro, aveva occupato la città di Oroscopa. Sapendo ormai di non poter ottenere giustizia da Roma, nel 150 a.C. l'esasperata Cartagine, rompendo i patti, decide il riarmo e appresta un esercito di 50.000 uomini (come sempre in massima parte mercenari) e cerca di riconquistare Oroscopa. Ma il re Numida, disponendo di forze militari di maggiore professionalità, ne riuscirà vincitore. Il rischio per Roma, a questo punto, era che Cartagine, ancor più indebolita, cadesse preda della Numidia. Naturalmente a Roma non si sarebbe visto di buon occhio il formarsi in Africa di uno stato economicamente potente, esteso dall'Atlantico all'Egitto e con notevoli masse umane da impiegare nelle inevitabili guerre.
Nel 149 a.C. - Macedonia contro Roma nella quarta guerra macedonica. Andrisco, proclamatosi re di Macedonia col nome di Filippo VI, solleva la Macedonia contro Roma ed intraprende la quarta guerra macedonica (149-148 a.C.) ma è sconfitto da Quinto Cecilio Metello Macedonico a Pidna (148 a.C.) e il regno di Macedonia perde definitivamente l'indipendenza diventando una provincia della repubblica romana.
- Nel 149 a.C. inizia la terza guerra punica. La rottura dei patti di Cartagine, riarmandosi contro Massinissa, era indiscutibile e fornì Roma di un pretesto perfetto per poter intervenire. Contrariamente ai desideri di Catone che parteggiava per un'immediata dichiarazione di guerra, all'inizio Roma mandò una missione diplomatica per far desistere i Cartaginesi dal riarmo, in cui il Senato chiedeva che la parte della città sul mare fosse demolita e che nessun edificio sorgesse a meno di 5 km dal mare. Giacché l'intera economia cartaginese si fondava sugli scambi commerciali sul Mediterraneo, questi non accettarono, cosicché, anche per evitare che Massinissa la conquistasse e diventasse così troppo potente e incontrollabile, dichiarò guerra all'eterna rivale, che si concluderà tre anni dopo con la vittoria di Roma e la distruzione di Cartagine. L'esercito romano sbarcò vicino a Utica, pochi chilometri a nord di Cartagine. Non appena si seppe che i romani erano forti di un esercito di 80.000 uomini e 4.000 cavalieri, Cartagine capitolò, inviando 300 ostaggi scelti fra gli adolescenti della nobiltà punica. I consoli ricevettero gli ambasciatori di Cartagine che dovettero accettare le condizioni poste: Cartagine consegnò armature, catapulte e altro materiale bellico. Resi inermi i cartaginesi, i Romani, attraverso Censorino, avanzarono la pretesa che la città fosse distrutta e ricostruita a 10 miglia dalla costa. Il popolo cartaginese si ribellò, uccise tutti gli italici presenti in città, liberò gli schiavi per avere aiuto nella difesa e furono richiamati Asdrubale e altri esuli. Fu chiesta una moratoria di 30 giorni per inviare una delegazione a Roma e in quei 30 giorni si ebbe una frenetica corsa al riarmo, già segretamente riavviato negli anni successivi alla sconfitta di Zama. Si dice che i cartaginesi riuscissero a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili per le ricostruite catapulte. Le donne offrirono i loro capelli per fabbricare corde per gli archi. Quando i romani arrivarono alle mura di Cartagine trovarono un intero popolo stretto a difesa della propria città. Fu posto l'assedio a Cartagine, che era estremamente ben difesa. La sosta aveva dato ad Asdrubale, posto a capo dell'esercito, la possibilità di raccogliere circa 50.000 uomini ben armati e l'assedio si protrasse. Nel 148 a.C. i nuovi consoli furono inviati in Africa ma si rivelarono ancora più incapaci dei predecessori. Gli insuccessi romani resero audaci i cartaginesi, Asdrubale prese il potere con un colpo di Stato e ordinò di esporre sulle mura i prigionieri orrendamente mutilati per cui i romani, inaspriti, non avrebbero concesso mercé.
Nel 147 a.C. - Publio Cornelio Scipione Emiliano (figlio di L. Emilio Paolo, poi adottato da P. Cornelio Scipione, figlio dell'Africano) era stato nominato console di Roma insieme a Gaio Livio Druso. Asdrubale, che difendeva il porto di Cartagine con 7.000 uomini, fu attaccato di notte e costretto a riparare a Birsa. Scipione bloccò il porto da cui arrivavano i rifornimenti per gli assediati ma questi scavarono un tunnel-canale e riuscirono a costruire cinquanta navi che Scipione distrusse e il tunnel-canale fu chiuso. Nel frattempo Nefari fu attaccata da truppe romane e cadde; questo portò la resa delle altre città. I romani si poterono concentrare su Cartagine. L'agonia della città si protrasse per tutto l'inverno, senza viveri e attaccata da una pestilenza.
Nel 146 a.C. - Scipione sferra l'attacco finale a Cartagine. Per quindici giorni i sopravvissuti impegnarono i Romani in una disperata battaglia per le strade della città, ma l'esito era scontato. Gli ultimi soldati si rinchiusero nel tempio di Eshmun altri otto giorni. Scipione abbandonò la città al saccheggio dei suoi soldati; Cartagine fu rasa al suolo, bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto e fu anche gettato del sale sulla terra per evitare la coltivazione dei campi e renderli ancora più aridi. Si disse che Scipione pianse nel vedere la città bruciare, perché gli sembrava di aver intravisto Roma in mezzo alle fiamme.
Cartina con in verde i territori della Repubblica di Roma nel 201 a.C. e in arancio quelli conquistati dal 201 al 146 a.C.. |
Carta delle isole Cicladi con
Delos, considerata sacra
poiché si credeva che vi
fosse nato il dio Apollo.
|
- Finisce così l'Età ellenistica, periodo che va dalla morte di Alessandro Magno fino alla riduzione della Grecia a provincia romana, nel 146 a.C.
- Prima delle guerre di conquista l'economia romana si basava soprattutto sull'agricoltura e sulla pastorizia. Si coltivavano, in modo particolare, cereali che servivano al sostentamento della popolazione. Al termine delle guerre di conquista, la repubblica di Roma si trovava ad affrontare grandi cambiamenti: il degrado delle campagne, l'aumento degli schiavi e le grandi ricchezze che giungevano a Roma come bottino di guerra dalle province. Il dominio incontrastato nell'Italia continentale ed insulare, sul Mediterraneo occidentale ottenuto grazie alla vittoria sui Cartaginesi e su quello orientale ottenuto con la conquista dei regni ellenisti, portava allo sfruttamento della manodopera schiavile nei latifondi. Dato che si trattava di migliaia di schiavi, Roma era costretta a portare avanti continue guerre di conquista per averne sempre di più, mentre venivano esautorati dal lavoro braccianti e piccoli proprietari. A Roma, fino al 200 a.C., l'esercito repubblicano, così come quelli precedenti, non era costituito da forze militari professionali ma al contrario era composto da una leva annuale, attraverso il meccanismo della coscrizione obbligatoria, come richiesto per ogni campagna miliare stagionale, per poi congedare tutti al termine della stessa (sebbene in alcuni casi alcune unità potevano essere mantenute durante l'inverno e anche per alcuni anni consecutivi, durante le maggiori guerre). Dopo che Roma conquistò dei territori oltremarini in seguito alle guerre puniche, le armate cominciarono ad essere posizionate nelle province chiave in modo stabile, anche se nessun soldato poteva essere mantenuto sotto le armi per più di sei anni consecutivi. Per far parte dell’esercito romano si doveva avere un reddito (censo) che permettesse di pagarsi gli armamenti e i più numerosi componenti delle milizie erano i piccoli proprietari terrieri, che durante queste guerre erano stati costretti, dovendosi arruolare, a lasciare incolti i loro terreni. Mal pagati per il servizio militare prestato ed esclusi dagli aristocratici dalla divisione del bottino, al loro ritorno si ritrovavano sommersi dai debiti che le loro famiglie avevano contratto per sopravvivere e secondo le leggi delle “dodici tavole”, nella Roma antica il creditore poteva rendere schiavo il debitore ed anche ucciderlo se questi non avesse ripagato il suo debito; dunque molti piccoli proprietari terrieri rischiavano di diventare schiavi. Per ripagare i debiti, molti di loro finirono o per svendere i loro possedimenti o a lavorare come braccianti. In ogni caso il grano prodotto dai piccoli proprietari terrieri nella Repubblica non era più conveniente: dalla Sicilia e dall'Africa giungevano cereali a prezzi molto contenuti ottenuti con la manodopera degli schiavi, fenomeno che si stava affermando anche nel suolo italico. Per potersi risollevare i piccioli agricoltori avrebbero dovuto smettere di coltivare grano e convertire le piantagioni in vigne e uliveti ben più redditizi, ma non disponevano dei capitali necessari per effettuare queste trasformazioni. In alcuni casi restavano a lavorare i campi come braccianti con paghe bassissime e in altri si trasferivano in città in cerca di fortuna, dando così vita al fenomeno dell'urbanesimo. In città conducevano una vita molto misera, ricevendo delle elargizioni di grano dallo Stato (le frumentazioni) o vivendo grazie all'appoggio di qualche famiglia potente e vendendo il proprio voto al miglior offerente. Al contrario, la classe dei grandi proprietari si arricchiva, appropriandosi della quasi totalità della ricchezza che proveniva dalle regioni conquistate. La maggior parte di loro comprava così terreni a prezzi molto bassi facendoli lavorare a servi o schiavi e non pagando di conseguenza la manodopera. L’impoverimento dei piccoli proprietari terrieri determinava grandi problemi a Roma poiché la maggior parte di loro erano stati i principali componenti delle legioni e diventando nullatenenti l'esercito si ritrovava con sempre meno forze a disposizione e gradualmente si dovette abbassare il censo delle nuove leve dell'esercito fino ad arruolare i proletarii. Roma contava sulle proprie forze armate e su quelle degli alleati, non di certo su contingenti di mercenari, come invece aveva fatto Cartagine.
- Lo storico romano-orientale Procopio di Cesarea (Cesarea marittima in Palestina, 490 circa - Costantinopoli, 560 circa) riferisce che gli eunuchi affluivano a Roma in maggior numero dal paese sul Mar Nero degli Abasgi, dove i capi potevano prelevare i giovanetti più attraenti per farli evirare e vendere come schiavi. Quando gli Abasgi cominciarono a convertirsi al cristianesimo Giustiniano vietò questa pratica stabilendo che «mai più alcuno, in quella regione, fosse privato della virilità violentando la natura col ferro». Da Procopio: «I romani conoscevano tre classi di eunuchi: gli spadones, cui erano state tagliate le gonadi; i thlasiae (dal greco θλάω, "schiaccio"), ai quali esse erano state schiacciate; infine i castrati, cui era stata praticata l'ablazione totale di verga e testicoli.».La diffusione della cultura ellenistica orientale incrementa a Roma, specie presso le classi alte, l'usanza di servirsi delle prestazioni sessuali degli eunuchi, in particolare di quelle dei cosiddetti spadones che, privi della potentia generandi non avevano perso la potentia coeundi cosicché erano in grado di offrire, quasi come strumenti sessuali viventi, appagamenti di natura diversa dall'usuale. Questa particolarità degli spadones sembra essere stata apprezzata dalle donne romane che, visti i rischi della pratica dell'aborto, preferivano usare gli eunuchi spadones che garantivano di non rimanere incinte. Questo è lo scopo, secondo il poeta romano Marziale (Marco Valerio Marziale, Augusta Bilbilis, 1º marzo 38 o 41 - Augusta Bilbilis, 104), di Gellia, in un suo epigramma: «Vuoi sapere Pannichio, come va che la tua Gellia intorno alle sottane non ha che dei castrati? Teme la levatrice, adora i peccati.».
Nel 140 a.C. - Il greco Ipparco determina con una certa precisione la distanza fra Terra e Sole.
Ipparco di Nicea. |
- E' in questi anni che in Grecia si costruisce il "meccanismo di Antikythera".
Grecia e isole greche con l'ubicazione di Antikythera. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
La Macchina di Antikythera. |
Modello del meccanismo di Antikythera. |
- Nelle province romane d'Hiberia, la guerriglia scatenata dal capo lusitano Viriato culmina con la presa della città celtibera di Numanzia nel 133 a.C. Solo al termine di tali eventi bellici (a cavallo fra la fine del II e i primi anni del I secolo a.C.), che si salderanno poi con le guerre civili della tarda età repubblicana, combattute in parte in Iberia, il potere romano sulle due province (Lusitania e Tarraconiensis) poté considerarsi pienamente consolidato, anche se si estenderà a tutta la penisola solo dopo l'assoggettamento dei Cantabri in età augustea.
Le province iberiche romane con
indicati gli anni delle conquiste da:
|
Nel 134 a.C. - Il romano Gaio Mario si distingue per le notevoli attitudini militari dimostrate in occasione dell'assedio di Numanzia, in Spagna, tanto da farsi notare da Publio Cornelio Scipione Emiliano (in seguito soprannominato Emiliano o Africano Minore). Non è dato sapere con certezza se venne in Spagna al seguito dell'esercito di Scipione oppure se si trovasse già in precedenza a servire nel contingente che, con scarso successo, da tempo cingeva d'assedio Numanzia. Sta di fatto che Mario parve fin dall'inizio molto interessato a far carriera politica in Roma stessa. Infatti si candidò per la carica di tribuno militare di una delle 4 prime legioni (in tutto i tribuni elettivi erano 24, mentre tutti gli altri venivano nominati dai magistrati preposti agli arruolamenti). Lo storico Sallustio ci informa che il suo nome era del tutto sconosciuto agli elettori, ma che alla fine i rappresentanti delle tribù lo elessero per merito del suo eccellente stato di servizio e su raccomandazione di Scipione Emiliano. Successivamente si ha notizia di una sua candidatura alla carica di questore ad Arpino. È probabile che egli utilizzasse le posizioni di comando ad Arpino per raccogliere dietro di sé un consistente numero di clienti su cui fare affidamento per le successive mosse che aveva in animo di compiere. Tuttavia sono solo congetture in quanto nulla si conosce della sua attività come questore.
Territori di Roma nel II sec.a.C. con Numanzia in Hispania, da https://people.unica.it/federica falchi/files/2020/03/Cicerone.pdf. |
- Le grandi conquiste produrranno a Roma profonde trasformazioni economico-sociali: 1) Prima delle guerre d'oltremare, i terreni conquistati venivano distribuiti ai soldati ma nel caso delle guerre puniche, in cui erano stati occupati territori vasti e molto importanti, i senatori e gli ufficiali, approfittando del proprio potere, si riservarono i terreni più vasti e fertili, divenendo così latifondisti, violando una disposizione a favore dei plebei. Inoltre poterono acquistarono terreni a basso prezzo dai piccoli proprietari, rovinati dalla loro partecipazione a lunghe guerre. A Roma, fino al 200 a.C., l'esercito era formato leve annuali, attraverso il meccanismo della coscrizione obbligatoria, per poi congedare tutti. Per far parte dell’esercito romano si doveva avere un reddito (censo) che permettesse di pagarsi gli armamenti e i più numerosi componenti delle milizie erano allevatori e piccoli proprietari terrieri, che durante queste guerre erano stati costretti, dovendosi arruolare, a lasciare incolti i loro terreni. Mal pagati per il servizio militare prestato ed esclusi dagli aristocratici dalla divisione del bottino, al loro ritorno si ritrovavano sommersi dai debiti che le loro famiglie avevano contratto per sopravvivere e secondo le leggi delle “dodici tavole”, nella Roma antica il creditore poteva rendere schiavo il debitore ed anche ucciderlo se questi non avesse ripagato il suo debito; dunque molti piccoli proprietari terrieri rischiavano di diventare schiavi. Per ripagare i debiti, molti di loro finirono o per svendere i loro possedimenti o a lavorare come braccianti. In ogni caso il grano prodotto dai piccoli proprietari terrieri nella Repubblica non era più conveniente: dalla Sicilia e dall'Africa giungevano cereali a prezzi molto contenuti ottenuti con la manodopera degli schiavi, fenomeno che si stava affermando anche nel suolo italico. Per potersi risollevare i piccioli agricoltori avrebbero dovuto smettere di coltivare grano e convertire le piantagioni in vigne e uliveti ben più redditizi, ma non disponevano dei capitali necessari per effettuare queste trasformazioni. In alcuni casi restavano a lavorare i campi come braccianti con paghe bassissime e in altri si trasferivano in città in cerca di fortuna, dando così vita al fenomeno della proletarizzazione urbana. In città conducevano una vita molto misera, ricevendo delle elargizioni di grano dallo Stato (le frumentazioni) o vivendo grazie all'appoggio di qualche famiglia potente, delinquendo e/o vendendo il proprio voto al miglior offerente. 2) Per contro, questi nuovi proletari non potevano legalmente entrare nell'esercito, poiché non possedevano il censo per accedervi e questo, insieme alla mancanza di suolo pubblico da assegnare in cambio del servizio militare e agli ammutinamenti avvenuti nella guerra Numantina, causava problemi di reclutamento e la carenza di truppe. Per questo i fratelli Gracchi avrebbero mirato alla bonifica delle terre pubbliche incolte da parte dei membri benestanti della classe senatoria, il loro affidamento agli ex militari e ai contadini sfollati, sovvenzionare la produzione di grano per i bisognosi e per avere la paga Repubblica per l'abbigliamento dei suoi soldati più poveri affinchè potessero far parte dell'esercito. 3) L'afflusso di sempre più schiavi e le prime rivolte. Dopo la conquista dell’Epiro ,150.000 abitanti furono venduti come schiavi. Con la conquista della Grecia, potevano giungere anche 10.000 schiavi in un solo giorno da Delo, dove il mercato degli schiavi era gestito da cittadini romani e da italici senza cittadinanza romana. Da Cartagine sconfitta definitivamente, furono condotti a Roma 50.000 prigionieri. I latifondisti, oltre alle nuove conquiste potevano così acquistare i terreni dei piccoli proprietari indebitati a basso prezzo e facevano coltivare i loro terreni dagli schiavi, al posto dei contadini e piccoli proprietari, generando così la «proletarizzazione» di una vasta mole di persone, costrette a riversarsi nella città in cerca di espedienti ed elargizioni pubbliche. 4) Alle popolazioni italiche federate con Roma, che occupavano il resto della penisola, pur avendo partecipato come socii ai vari conflitti, non era stata riconosciuta la cittadinanza romana, che avrebbe permesso loro gli stessi diritti dei Romani e inferiori spese daziali e tributarie. Il risentimento nei confronti del dominatore romano cresceva tra gli alleati italici, poiché erano trattati come una classe sociale di seconda scelta nel sistema romano. In particolare, non avendo la cittadinanza romana, non potevano usufruire dei benefici dei cittadini romani, come la distribuzione su larga scala dei terreni pubblici (ager publicus), sia nei confronti del grande e del piccolo proprietario terriero, sulla base delle riforme agrarie portate avanti dai fratelli Gracchi a partire dal 133 a.C.. Non a caso le riforme portarono a chiedere da parte di molte popolazioni italiche tra i socii che fosse loro concessa la cittadinanza romana. Ma sembra dalle fonti frammentarie che la maggioranza conservatrice del Senato romano riuscì, anche attraverso l'eliminazione degli stessi Gracchi, a bloccare qualsiasi significativa espansione della cittadinanza tra i socii nel periodo successivo alla legge agraria del 133 a.C.
I fratelli Gracchi. |
Il Regno di Pergamo nel 133 a.C. |
Nel 123 a.C. - Gaio Sempronio Gracco (Roma, 154 a.C. - Roma, 121 a.C.), dieci anni dopo la morte del fratello maggiore Tiberio, è eletto tribuno della plebe, carica nella quale sarà confermato anche l'anno seguente. Gaio Sempronio Gracco avrebbe voluto da tempo riprendere l'opera di riforma sociale del fratello Tiberio, ma gli ottimati invece, lo avevano nominato questore, inviandolo in Sardegna ad amministrare le finanze, in modo che la sua distanza da Roma, unita al fatto di ricoprire già un incarico politico, lo dissuadesse dal candidarsi a tribuno della plebe. Gaio era rimasto nella provincia sarda per due anni, per poi tornare a Roma a candidarsi ed essere eletto tribuno della plebe. Gaio cercò di opporsi al potere esercitato dal senato romano e dall'aristocrazia attuando una serie di riforme favorevoli ai Populares, ovvero la plebe, che si erano riversati nell'Urbe dopo l'espansione territoriale delle guerre puniche, composti in parte dagli abitanti delle nuove province conquistate e dai piccoli agricoltori italici e romani che non potevano competere con i bassi prezzi delle derrate provenienti dalle provincie (Sicilia, Sardegna, Nord Africa). Durante il suo secondo tribunato, Gaio Gracco proseguì la politica agraria del fratello, permettendo la vendita di grano a prezzo ridotto. Promosse inoltre varie colonie ma la rilevanza storica di Gaio è legata tuttavia essenzialmente alle sue leges Semproniae, approvate tramite plebisciti, tra le quali: Lex Sempronia agraria che dava maggior vigore a quella del fratello mai abrogata, assegnando ai cittadini romani indigenti porzioni dell'agro pubblico romano in Italia, compreso quello dei privati proprietari di terre oltre i 500-1000 iugeri; Lex de viis muniendis, piano di costruzioni di strade per agevolare i commerci e dare lavoro alla plebe con un programma di opere pubbliche; De tribunis reficiendis, con cui si stabiliva la rieleggibilità dei tribuni della plebe; Rogatio de abactis, con cui si toglieva l'elettorato passivo al tribuno destituito dal popolo. Era questa una legge indirizzata a colpire il tribuno Caio Ottavio che si era opposto alla lex Sempronia agraria, ma lo stesso Gaio ritirò questa legge; Lex de provocatione, che vietava la condanna capitale di un cittadino senza regolare processo; Lex frumentaria, che disponeva la distribuzione di grano a basso prezzo ai cittadini bisognosi di Roma; Lex iudiciaria, che trasferiva la carica di giudice dai senatori ai cavalieri. Gaio Sempronio Gracco introduceva così tra le due classi di patrizi e plebei, la terza, l'Ordo Equestris; Lex de coloniis deducendis per la deduzione di nuove colonie; Lex de provinciis consularibus, che imponeva al senato di stabilire prima delle elezioni dei consoli quali provincie dovessero essere loro assegnate per impedire che un console avverso al senato fosse allontanato da Roma; Lex militaris, che stabiliva che l'equipaggiamento dei soldati fosse a carico dello Stato e vietava l'arruolamento prima dei 18 anni; Lex Sempronia de capite civis, che era tesa a vietare la formazione di corti straordinarie (quaestiones extraordinariae) per Senatus consultum riportando la decisione su tale materia al popolo (provocatio ad populum); Lex Sempronia de provincia Asia, che mirava a cercare l'appoggio dei cavalieri. Rendeva infatti i terreni della provincia d'Asia ager publicus populi romani e sottraeva l'appalto delle tasse ai governatori assegnandolo a pubblicani facenti parte dell'ordine equestre. Poi, in seguito all'introduzione dei comizi tributi (in cui si riunivano i cittadini ripartiti per le 35 tribù, 4 urbane e 31 rustiche, in cui ognuna esprimeva un voto. Eleggevano i magistrati minori, come questori e edili e avevano competenza giudiziaria per reati che prevedessero multe) ed all'assegnazione delle province, Gaio Gracco propose nel maggio del 122 a.C. la concessione della cittadinanza romana ai latini e di quella latina agli italici. L'opposizione al suo disegno di legge trovò concordi il Senato (che trovava così il modo di liberarsi di lui), la maggior parte dei cavalieri e pressoché tutta la plebe, gelosa dei propri privilegi.
- La principale divisione politico-sociale a Roma era stata quella tra patrizi e plebei, ma nel 123 a.C. Gaio Sempronio Gracco introduce tra le due classi una terza, l'Ordo Equestris.
Lapide di eques da QUI. |
Nel 121 a.C. - Gaio Sempronio Gracco aveva perso molta della sua popolarità, non era stato rieletto al tribunato e dovette difendersi da accuse pretestuose, come quella di aver dedotto nuovamente Cartagine, atto che gli indovini avevano dichiarato come infausto. Gaio il giorno della votazione relativa all'abrogazione proposta dal senato della legge riguardante la fondazione delle colonie, si presentò all'assemblea per difenderla. I nobili, capeggiati da Publio Cornelio Scipione Nasica Corculo gli gettarono contro il collega Marco Livio Druso e il triumviro Gaio Papirio Carbone.
Jean-Baptiste Topino-Lebrun, 1782 "Morte di Gaio Sempronio Gracco". Licenza http://commons.wikimedia .org/wiki/File:Death_of_Gaius_ Gracchus.jpg#/media/File:Death _of_Gaius_Gracchus.jpg |
La provincia romana narbonense, da cui nascerà il nome Provenza. |
Nel 120 a.C. - Gaio Mario è eletto tribuno della plebe per il 119 a.C. A quanto sembra si era già candidato alla carica nel 121 a.C., ma senza successo. Un ruolo determinante ebbe, nell'occasione, il sostegno della potente famiglia dei Cecilii Metelli, verso i quali probabilmente aveva un rapporto di clientela. Durante il suo tribunato Mario perseguì una linea vicina alla fazione dei popolari, facendo in modo che venisse approvata, fra l'altro, una legge che limitava l'influenza delle persone di censo elevato nelle elezioni. Negli anni intorno al 130 a.C. si era introdotto il metodo del ballottaggio scritto nelle elezioni per le nomine dei magistrati, per l'approvazione delle leggi e per l'emanazione delle sentenze legali, in sostituzione del metodo tradizionale di votazione orale. Poiché i nobiles o optimati cercavano sistematicamente di influenzare l'esito dei ballottaggi con la minaccia di controlli ed ispezioni, Mario fece approvare un'apposita legge per far costruire uno stretto corridoio da cui i votanti dovevano passare per depositare il proprio voto nell'urna al riparo dagli sguardi indiscreti degli astanti. In conseguenza di ciò Mario si alienò la potente famiglia dei Metelli, che da quel momento in poi diventarono suoi fieri oppositori. Successivamente Mario si candidò per la carica di edile plebeo, ma senza successo.
- Nello stesso 120 a.C. la tribù dei Cimbri abbandona lo Jutland e anche i loro vicini Teutoni decidono di spostarsi a sud, attraverso la Germania. La fortezza romana di Teutoburgium, circa 19 chilometri a nord della città moderna di Vukovar, viene spesso citata come prova della loro presenza. Non è tuttavia chiaro se i Teutoni si fossero subito uniti ai Cimbri o se li seguissero ad una certa distanza. I Cimbri erano una tribù germanica, anche se alcuni ritengono che fosse di origine celtica, la cui sede originaria pare fosse nel nord dello Jutland, nell'attuale Danimarca, che nell'antichità era chiamata penisola cimbra. Probabilmente sia Ambroni che Cimbri avevano radici miste celto-germaniche, infatti durante il loro breve e sanguinario attraversamento dell'Europa, i Cimbri erano guidati da Boiorix, un nome celtico che significa "Re dei Boi". I Tèutoni erano secondo fonti romane un popolo germanico che originariamente viveva nello Jutland. Il nome Teutones o Teutoni tramandato dalle fonti greche e romane non permette di riconoscerne una provenienza certa, potrebbe essere tanto di origine celtica quanto protogermanica poiché esisteva una grande quantità di lessemi simili e non è possibile tracciare un collegamento ad una località precisa. Il termine è stato spesso collegato con l'etnonimo Deutsche ("tedeschi"), che risale ai termini in alto tedesco antico "theodisk" e "diutsc", che possedevano la radice germanica "theoda", che significa "popolo" o "tribù" ma che significava originariamente "appartenente al popolo" e "che parla la lingua del popolo". I geografi antichi riconoscevano nella denominazione "Teutoni" un nome collettivo per gli abitanti non celtici della costa del Mare del Nord o anche per l'interezza dei Germani. L'autore romano Plinio il Vecchio è stato il primo a riportare che i Teutoni vivessero sulla costa occidentale dello Jutland, verosimilmente a sud dei Cimbri e che in quei luoghi praticavano il commercio dell'ambra; da notare che il prefisso Amb è usuale in molti nomi tribali celtici. Secondo gli autori antichi, una devastante marea costrinse i Teutoni ad abbandonare le loro aree di insediamento. La tribù degli Ambroni (o Ambrones) appare brevemente nelle fonti romane relative al II secolo a.C.. La loro posizione originaria pare fosse lungo la costa dell'Europa settentrionale, a nord del Rhinemouth (la foce del Reno), nelle Isole Frisone, regione oggi occupata dai resti dello Zuider Zee e dallo Jutland, che gli Ambroni condivisero con i propri vicini Cimbri e Teutoni. Lo Zuiderzee (in italiano Mare del Sud) era un golfo dei Paesi Bassi, lungo le coste del Mare del Nord dove in epoca romana c'era il Lago Flevo, separato dal mare dalla presenza di dune. Nel XIII secolo, a seguito di inondazioni il mare aveva invaso il lago, trasformandolo in golfo marino. Al fine di ampliare e garantire il loro territorio, gli olandesi all'inizio nel XIX secolo avviarono un grande progetto per la creazione di polder (i Zuiderzeewerken), tratti di mare asciugato artificialmente attraverso dighe e sistemi di drenaggio dell'acqua. Il prefisso Amb è usuale in molti nomi tribali celtici, per cui si potrebbe pensare che gli Ambroni fossero di origine celtica, ma esistono prove a sostegno dell'ipotesi che Ambroni e Cimbri avessero radici miste celto-germaniche. Queste etnie miste, probabilmente in origine celtiche ma assimilate dai Germani, suggeriscono d'altra parte come in quel periodo le tribù germaniche fossero pesantemente influenzate dalla cultura celtica. La potenza dei Celti in Europa stava declinando nel corso del II - I secolo a.C. mentre i Germani cominciavano a premere per attraversare i due grandi fiumi europei, il Reno ad occidente per invadere la Gallia e la penisola iberica ed il Danubio a sud sud-est per poi spingersi fino ai Balcani, in cerca di una nuova sistemazione. La grande migrazione delle genti germaniche che ne seguì comportò lo spostamento di intere popolazioni, comprese donne, bambini ed anziani, carriaggi e mandrie, mentre un buon numero di Celti erano scacciati dai loro insediamenti nel centro europeo, come i Boi che prima erano in Boemia e poi erano passati in Baviera (Baiovara), dove erano ricordati in quei toponimi, per cui di Celti ne rimarranno in Italia Settentrionale, alcuni fondendosi con gli antichi Liguri, in Francia, nella Galizia iberica mischiati agli Iberici, in tutta la Britannia (Scozia inclusa) e Irlanda, alcuni fino all'Asia Minore (i Galati). Secondo gli autori antichi, una devastante marea aveva costretto i Teutoni ad abbandonare le loro aree di insediamento e forse gli Ambroni erano stati convinti ad emigrare dalle recenti alluvioni dello Zuider Zee; comunque Cimbri, Teutoni e Ambroni in una prima fase, non miravano a scontrarsi coi Romani, al contrario il loro disegno originario potrebbe essere stato quello di attraversare il fiume Danubio per stanziarsi nei Balcani. Si trattava di circa 300.000 uomini delle tre tribù, dei quali 30.000 erano Ambroni. La migrazione si trasformò ben presto in razzie. Mentre puntavano verso la Boemia, vennero bloccati dai Boi, che in quel periodo abitavano le terre che ancora oggi portano il loro nome e si creò forte preoccupazione nelle genti alleate ai Romani del Norico, che ne richiesero l'intervento a propria salvaguardia.
Nel 116 a.C. - Gaio Mario riesce, di stretta misura, a farsi eleggere pretore per l'anno successivo (a quanto pare si classificò solo al sesto posto su sei), ed è immediatamente accusato di brogli elettorali (il termine latino è ambitus.) Riuscito a malapena a farsi assolvere da questa accusa, esercitò la carica senza che si verificassero avvenimenti degni di particolare menzione. Terminato il mandato ricevette il governatorato della Spagna ulteriore, dove fu necessario intraprendere alcune campagne militari contro le popolazioni celtiberiche mai del tutto sottomesse. Il governatorato e le guerre gli fruttarono ingenti ricchezze personali, come sempre accadeva ai comandanti romani. Le vittorie ottenute gli permisero, tornato a Roma, di richiedere ed ottenere il trionfo.
Dal 113 a.C. al 101 a.C. - Si combattono le guerre cimbriche fra la Repubblica romana e la coalizione delle tribù germanico-celtiche di Cimbri, Teutoni ed Ambroni, che si riveleranno una questione assai ben più seria del recente conflitto celtico del 121 a.C. e generarono un grande timore a Roma che, per la prima volta dopo la seconda guerra punica, si sentiva seriamente minacciata. All'inizio dei conflitti, i Romani subirono pesanti perdite anche a causa della rivalità tra i consoli al comando. La prima sconfitta avvenne con il console Gneo Papirio Carbone (Perseus, Carbo No. 4). Strabone racconta che i Celti Boi avevano respinto, in Boemia, gli attacchi dei Cimbri, che avevano poi proseguito la loro marcia, insieme a Teutoni ed Ambroni, girando attorno ai Boi ed entrando in Serbia ed in Bosnia, oltrepassando il Sava e la Morava. Ben presto però avevano lasciato quei territori montuosi seguendo un tragitto che passava a nord delle Alpi e dei pericolosi Romani, verso la Pannonia e il Norico. Il console Gneo Papirio Carbone vista l'avanzata delle genti germaniche, di cui egli stesso sapeva poco, temendo che potessero invadere l'Italia come era accaduto tre secoli prima con il sacco di Roma, decise di sorprendere gli invasori, ma subì un'autentica disfatta nei pressi di Noreia (l'attuale Krainburg) nel 113 a.C., battaglia che segnò così l'esordio delle guerre romano-germaniche che si susseguirono per i sei secoli successivi fino alla caduta dell'Impero romano d'Occidente. La partecipazione dei Teutoni alla battaglia di Noreia nel 113 a.C. è attestata in diverse fonti antiche. Dopo il successo nella battaglia di Noreia, Cimbri, Teutoni ed Ambroni attraversano poi il Reno e i territori degli Elvezi per poi giungere nei verdi pascoli della Gallia, devastandola, come riporterà Cesare nel suo "De bello Gallico". La seconda sconfitta romana avverrà con Marco Giunio Silano Torquato (Perseus, Silanus, Junius No. 17) in Gallia nel 109 a.C., una terza con Gaio Cassio Longino nel 107 a.C. ed una quarta con Quinto Servilio Cepione e Gneo Mallio Massimo nel 105 a.C. (Battaglia di Arausio). Le forze romane che si alternarono negli anni del conflitto furono ingenti: 4 legioni (composte di 5 000÷6 000 armati ciascuna) nel 109 a.C.; 6 legioni e 6.000 cavalieri nel 107 a.C.; 8 legioni nel 106 a.C.; 9 nel 105 a.C. oltre a 5.000 cavalieri circa; 7 legioni e 3.000 cavalieri con Gaio Mario nello scontro di Aquae Sextiae. Riguardo alle forze germaniche, sulla base di quanto ipotizzato da Gaio Giulio Cesare nella conquista della Gallia, i guerrieri potevano essere attorno ai 25/30.000 per singolo popolo mentre secondo altre fonti gli uomini delle tre tribù erano circa 300.000, dei quali 30.000 erano Ambroni.
Nel 110 a.C. - La carriera di Gaio Mario non sembrava destinata a grandi successi fino al 110 a.C., quando gli fu proposto un matrimonio con una giovane esponente dell'aristocrazia, Giulia Maggiore, sorella del senatore Gaio Giulio Cesare il vecchio e futura zia di Giulio Cesare. Mario accettò, divorziando dalla sua prima moglie Grania di Pozzuoli. La gens Iulia era una famiglia patrizia di antichissime origini (faceva risalire la propria discendenza a Iulo, figlio di Enea, e a Venere, dea della bellezza), ma nonostante ciò, i suoi appartenenti avevano, per ragioni finanziarie, notevoli difficoltà a ricoprire cariche più elevate di quella di pretore (solamente una volta, nel 157 a.C. un Giulio Cesare era stato console). Il matrimonio permise alla famiglia patrizia di rimettere in sesto le proprie finanze e diede a Mario la legittimità per candidarsi al consolato. Il figlio che ne nacque, Gaio Mario il Giovane, vide la luce nel 109 (o 108) a.C., quindi il matrimonio probabilmente fu contratto nel 110 a.C.. La famiglia di Mario era per tradizione cliente dei Metelli e infatti Cecilio Metello aveva appoggiato la campagna elettorale di Mario per il tribunato. Sebbene i rapporti con i Metelli si fossero in seguito deteriorati, la rottura non dovette essere definitiva, tanto è vero che Q. Cecilio Metello, console nel 109 a.C., prese con sé Mario come suo legato nella campagna militare contro Giugurta.
Nel 109 a.C. - La migrazione di Cimbri, Teutoni ed Ambroni viene affrontata dal proconsole romano Marco Giunio Silano, al comando di 4 legioni (composte di 5 000÷6 000 armati l'una) ma è sconfitto nelle terre dei Sequani, evento che provoca un inizio di ribellione da parte delle tribù celtiche che erano state di recente assoggettate dai Romani nella parte meridionale del paese. La coalizione celto-germanica subisce poi una sconfitta da parte dei Celti Belgi.
Nel 108 a.C. - Gaio Mario si convince che i tempi siano maturi per candidarsi alla carica di console. A quanto pare chiese a Metello il permesso di recarsi a Roma per portare a termine il proprio proposito, ma Metello gli raccomandò di astenersi, e probabilmente gli consigliò di aspettare il tempo necessario per potersi candidare insieme al figlio ventenne dello stesso Metello, cosa che avrebbe rimandato tutto di almeno venti anni. Mario fu costretto a fare buon viso a cattivo gioco, ma nel frattempo, durante tutta l'estate del 107, fece in modo di guadagnarsi il favore della truppa, allentando notevolmente la rigida disciplina militare e di accattivarsi anche i commercianti italici del posto, ansiosi di intraprendere i propri lucrosi traffici, assicurando a tutti che, se avesse avuto mano libera, avrebbe potuto, in pochi giorni e con la metà delle forze a disposizione di Metello, concludere vittoriosamente la campagna con la cattura di Giugurta. Entrambi questi influenti gruppi si affrettarono a inviare a Roma messaggi in appoggio di Mario, con cui si suggeriva di affidargli il comando, e si criticava Metello per il modo lento e inconcludente con cui stava conducendo la campagna militare. In effetti la strategia di Metello prevedeva una lenta, metodica e capillare sottomissione di tutto il territorio. Alla fine Metello dovette cedere, rendendosi conto, a ragione, che non gli conveniva mettersi contro un subordinato tanto influente e vendicativo. In queste circostanze è facile immaginare il modo trionfale con cui Mario, alla fine del 108 a.C., fu eletto console per l'anno successivo. La sua campagna elettorale fece leva sull'accusa, rivolta a Metello, di scarsa risolutezza nel condurre la guerra contro Giugurta. Viste le ripetute sconfitte militari subite negli anni fra il 113 e il 109, nonché le accuse di spudorata corruzione rivolte a molti esponenti dell'oligarchia dominante, è facile comprendere come l'onesto uomo fattosi da sé, e affermatosi percorrendo faticosamente tutti i gradini della carriera, fu eletto a furor di popolo, essendo visto come l'unica alternativa ad una nobiltà divenuta corrotta e incapace. Tuttavia il Senato aveva ancora un asso nella manica. Infatti la lex Sempronia stabiliva che il Senato avesse facoltà di decidere ogni anno quali province dovessero essere affidate ai consoli per l'anno successivo. Alla fine dell'anno e appena prima delle elezioni, il Senato decise di sospendere le operazioni contro Giugurta e di prorogare a Metello il comando in Numidia. Mario non si perse d'animo e si servì di un espediente già sperimentato nell'anno 131 a.C.. In quell'anno c'era stato infatti disaccordo su chi avrebbe dovuto comandare la guerra contro Aristonico in Asia e un tribuno aveva fatto approvare una legge che autorizzava un'apposita elezione per decidere a chi affidare il comando (e per la verità c'era stato un'ulteriore precedente in occasione della seconda guerra punica). Mario fece approvare una legge simile anche in quell'anno (il 108 a.C.), risultando eletto a grande maggioranza. Metello ne fu profondamente offeso, tanto che, al suo ritorno, non volle nemmeno incontrarsi con Mario, dovendosi accontentare del trionfo e del titolo di Numidico che gli vennero generosamente concessi. Mario riformò l'esercito dell'epoca allargando il reclutamento a tutti i cittadini romani: aveva un estremo bisogno di raccogliere truppe fresche e, a questo scopo, introdusse una profonda riforma del sistema di reclutamento, foriera di conseguenze di un'importanza di cui lui stesso, al momento, probabilmente non comprese la portata. Tutte le riforme agrarie attuate dai Gracchi si basavano sul tradizionale principio secondo cui erano esclusi dal servizio di leva i cittadini il cui reddito era inferiore a quello stabilito per la quinta classe di censo. I Gracchi, con le loro riforme, avevano cercato di favorire i piccoli proprietari terrieri, che da sempre avevano costituito il nerbo degli eserciti romani, in modo da fare aumentare il numero di quelli che avessero i requisiti per essere arruolati. Nonostante i loro sforzi, tuttavia, la riforma agraria non risolse la crisi del sistema di arruolamento, che aveva avuto lontana origine dalle sanguinose guerre puniche del secolo precedente. Si cercò quindi di trovare una soluzione semplicemente abbassando la soglia minima di reddito per appartenere alla quinta classe da 11.000 a 3.000 sesterzi, ma nemmeno questo fu sufficiente, tanto che già nel 109 a.C. i consoli erano stati costretti a derogare dalle restrizioni sugli arruolamenti imposte dalle leggi graccane.
Nel 107 a.C. - Gaio Mario ruppe ogni indugio e decise l'arruolamento senza alcuna restrizione riguardo al censo e alle proprietà fondiarie dei potenziali soldati. D'ora in avanti le legioni di Roma saranno composte prevalentemente da cittadini poveri, il cui futuro, al termine del servizio, dipendeva unicamente dai successi conseguiti dal proprio comandante, che era solito loro assegnare parte delle terre frutto delle vittorie riportate. Di conseguenza i soldati avevano il massimo interesse ad appoggiare il proprio comandante, anche quando si scontrava con i voleri del Senato, composto dai rappresentanti dell'oligarchia dominante, ed anche quando andava contro il pubblico interesse, che, a quell'epoca, veniva di fatto impersonato dal Senato stesso. Va notato che Mario, persona fondamentalmente corretta e fedele alle tradizioni, non si avvalse mai di questa potenziale enorme fonte di potere, ma passeranno meno di vent'anni che il suo ex questore Silla, lo farà per imporsi contro il Senato e contro lo stesso Mario. Ben presto Mario si rese conto che concludere la guerra non era così facile come egli stesso si era in precedenza vantato di poter fare. Dopo essere sbarcato in Africa verso la fine del 107 a.C. costrinse Giugurta a ritirarsi in direzione Sud-Ovest verso la Mauritania. Nello stesso 107, suo questore era stato nominato Lucio Cornelio Silla, rampollo di una nobile famiglia patrizia caduta economicamente in disgrazia. A quanto pare Mario non fu contento di avere alle proprie dipendenze un simile giovane dissoluto ma, inaspettatamente, Silla dimostrò sul campo di possedere grandi qualità di comandante militare. Nel 105 a.C. Bocco, re di Mauritania e suocero di Giugurta, nonché suo riluttante alleato, si trovò di fronte l'esercito romano in avanzata. I romani gli fecero sapere di essere disponibili ad una pace separata e Bocco invitò Silla nella sua capitale per condurvi le trattative. Anche in questa circostanza Silla si dimostrò particolarmente abile e coraggioso; in effetti, Bocco rimase a lungo dubbioso se consegnare Silla a Giugurta oppure, come poi avvenne, Giugurta a Silla. Alla fine, Bocco fu convinto a tradire Giugurta, che fu subito consegnato nelle mani dello stesso Silla. La guerra era così conclusa. Poiché Mario era il comandante dotato di imperium e Silla militava alle sue dirette dipendenze, l'onore della cattura di Giugurta spettava interamente a Mario, ma era chiaro che gran parte del merito andava riconosciuto personalmente a Silla, tanto che gli fu consegnato un anello con un sigillo commemorativo dell'evento. Al momento la cosa non fece particolarmente scalpore, ma in seguito Silla si vanterà di essere stato il vero artefice della conclusione vittoriosa della guerra. Mario, intanto, si guadagnava fama di eroe del momento. Il suo valore stava per essere messo alla prova da un'altra grave emergenza che incombeva su Roma e sull'Italia. L'arrivo in Gallia del popolo dei Cimbri e la vittoria da loro conseguita su Marco Giunio Silano nel 109 a.C., il cui esercito era stato totalmente annientato, aveva provocato un inizio di ribellione da parte delle tribù celtiche che erano state di recente assoggettate dai romani nella parte meridionale del paese, la Gallia Narbonense. Nel 107 a.C. il console Lucio Cassio Longino venne completamente sconfitto da una tribù locale, e l'ufficiale di grado più elevato fra quelli sopravvissuti (Gaio Popilio Lenate), figlio del console dell'anno 132, riuscì a mettere in salvo quanto restava delle forze romane solo dopo aver ceduto metà degli equipaggiamenti ed aver subito l'umiliazione di far marciare il proprio esercito sotto il giogo, in mezzo allo scherno dei vincitori.
Nel 106 a.C. - Il console Quinto Servilio Cepione marcia da Narbona, alla testa di ben 8 legioni (composte di 5 000÷6 000 armati l'una), contro delle tribù ribellatesi a Roma stanziate nella zona di Tolosa. Si racconta che Cepione cercasse, all'interno della città di Tolosa e per diversi giorni, il tesoro di cui narrava una leggenda, un'enorme quantità di oro che pare fosse custodita nei santuari dei templi (il cosiddetto Oro di Tolosa o Aurum Tolosanum). Non trovando nulla, decise di prosciugare i laghi vicini alla città e ritrovò così sotto la melma 50.000 lingotti d'oro, 10.000 lingotti d'argento e macine interamente in argento, una fortuna incredibile. Durante il trasporto verso Massilia (l'odierna Marsiglia), nel tratto tra Tolosa e Narbona, dove avrebbe dovuto essere imbarcato), 1.000 predoni si impadronirono dei 450 carri che trasportavano i soli lingotti d'oro. A Roma si sospettò dello stesso Cepione, che però fu confermato nel comando anche per l'anno successivo, ma si unì a lui nelle operazioni in Gallia meridionale anche uno dei due nuovi consoli, Gneo Mallio Massimo. Al pari di Gaio Mario, anche Mallio era un uomo nuovo, che non faceva cioè parte di alcuna élite romana e la collaborazione fra i due si dimostrò fin da subito impossibile.
Nel 105 a.C. - Al pari di Gaio Mario, anche Mallio era un uomo nuovo, che non faceva cioè parte di alcuna élite romana e la collaborazione fra lui e Cepione si dimostrò fin da subito impossibile. Cimbri, Teutoni e Ambroni erano apparsi sul corso del fiume Rodano proprio mentre l'esercito di Mallio si trovava nella stessa zona. Cepione, che era accampato sulla riva opposta del fiume, si rifiutò in un primo momento di venire in soccorso del collega minacciato, decidendosi ad attraversare il fiume solo dopo che il Senato gli aveva ordinato di cooperare con Mallio. Tuttavia si rifiutò di unire le forze dei due eserciti mantenendosi a debita distanza dal collega. I Germani approfittarono della situazione e, dopo aver sbaragliato Cepione, distrussero anche l'esercito di Mallio il 6 ottobre del 105 a.C. presso la città di Arausio. I Romani dovettero combattere con il fiume alle spalle che impediva loro la ritirata e, stando alle cronache, furono uccisi 80.000 soldati e 40.000 ausiliari. Le perdite subite nel decennio precedente erano state molto gravi ma questa sconfitta, provocata soprattutto dall'arroganza della nobiltà che si rifiutava di collaborare con i più capaci capi militari non nobili, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non soltanto le perdite umane erano state enormi, ma l'Italia stessa era ormai esposta all'invasione delle orde barbariche. Il malcontento del popolo contro l'aristocrazia stava raggiungendo ormai l'esasperazione e così nell'autunno del 105, mentre si trovava ancora in Africa, il populares Mario fu rieletto console. L'elezione in absentia era una cosa abbastanza rara, e inoltre una legge successiva all'anno 152 a.C. imponeva un intervallo di almeno 10 anni fra due consolati successivi, mentre una del 135 a.C. sembra che proibisse addirittura che questa carica potesse essere rivestita per due volte dalla stessa persona. La grave minaccia incombente dal nord fece tuttavia passare sopra ad ogni legge e consuetudine, e Mario, ritenuto il più abile comandante disponibile, fu rieletto console per ben 5 volte consecutive (dal 104 al 100 a.C.), cosa mai avvenuta in precedenza.
Nel 104 a.C. - Al suo ritorno a Roma, il 1º febbraio 104 a.C., Gaio Mario vi celebrò il trionfo su Giugurta, che fu prima portato come un trofeo in processione e infine giustiziato in carcere. Nel frattempo i Cimbri si erano diretti verso la Spagna, mentre i Teutoni vagavano senza una meta precisa nella Gallia settentrionale, lasciando a Mario il tempo di approntare il proprio esercito, curandone in modo molto attento l'addestramento e la disciplina. Uno dei suoi legati era ancora Lucio Cornelio Silla, e questo dimostra che in quel momento i rapporti fra i due non si erano ancora deteriorati. Sebbene avesse potuto continuare a comandare l'esercito in qualità di proconsole, Mario preferì farsi rieleggere console fino all'anno 100 a.C., in quanto questa posizione lo metteva al riparo da eventuali attacchi di altri consoli in carica. L'influenza di Mario divenne in quel periodo talmente grande che era addirittura in grado di influenzare la scelta dei consoli che in ogni anno dovevano essere eletti insieme a lui e pare che facesse in modo che venissero scelti quelli che riteneva più malleabili.
Nel 103 a.C. - I Germani indugiavano ancora nelle proprie scorribande in Spagna ed in Gallia e questo fatto, insieme alla morte del console collega Lucio Aurelio Oreste, consentì a Gaio Mario, che stava già marciando verso nord contro i Germani, di rientrare a Roma per venirvi confermato console per l'anno 102 a.C., insieme ad un nuovo collega, Quinto Lutazio Càtulo.
Aquilifer con aquila, di Marten 253, da QUI. |
Carta geografica dell'invasione di Cimbri, Teutoni e Ambroni, con le relative battaglie, nel II sec. a.C. |
Nel 102 a.C. - I Cimbri dall'Hispania tornano in Gallia e insieme ai Teutoni e agli Ambroni, decidono un attacco congiunto alla Repubblica romana. Dalla Gallia, i Teutoni e gli Ambroni avrebbero dovuto puntare a sud-est dirigendosi verso le coste del Mediterraneo, mentre i Cimbri dovevano penetrare nell'Italia Settentrionale da nord-est attraversando il passo del Brennero. Infine i Tigurini, la tribù celtica loro alleata che aveva sconfitto Longino nel 107, progettava di attraversare le Alpi provenendo da nord-ovest. La decisione di dividere in questo modo le loro forze si sarebbe dimostrata fatale, poiché diede ai Romani, avvantaggiati anche dalle linee di approvvigionamento molto più corte, la possibilità di affrontare separatamente i vari contingenti, concentrando le proprie forze laddove era di volta in volta necessario. Così mentre Ambroni e Teutoni transitavano nella Gallia Narbonense (a est di Marsiglia) verso l'Italia, i Cimbri si dirigevano verso il passo del Brennero (”per alpes Rhaeticas”) per poi entrare da lì in Italia. Il console Gaio Mario decise di affrontare Teutoni e Ambroni, che si trovavano in quel momento nella provincia della Gallia Narbonense e si stavano dirigendo verso le Alpi alla volta dell'Italia, stabilendo un campo sul loro percorso. Gli Ambroni e i Teutoni, guidati dal loro re Teutobod, assaltarono il campo romano venendo respinti e decisero quindi di proseguire verso l'Italia aggirando il campo, ma Mario li seguì per poi accamparsi vicino a quella che sarebbe passata alla storia col nome di battaglia di Aquae Sextiae (l'attuale Aix en Provence), un insediamento fondato dal console nel 109 a.C. Gaio Sestio Calvo, in modo da sbarrare il cammino agli invasori. Gaio Mario aveva organizzato nel migliore dei modi la propria armata. I soldati erano stati sottoposti ad un addestramento che mai in precedenza si era visto, ed erano abituati a sopportare senza lamentarsi le fatiche delle lunghe marce di avvicinamento, dell'allestimento degli accampamenti e delle macchine da guerra, tanto da meritarsi il soprannome di muli di Mario. Ad Aquae Sextiae, alcuni contingenti di Ambroni, l'avanguardia dell'esercito dei Germani, si lanciarono avventatamente all'attacco delle posizioni romane, senza aspettare l'arrivo di rinforzi, attaccando i Romani mentre stavano attingendo acqua da un vicino fiume. I Liguri, alleati dei Romani, accorsero ad aiutarli ricacciando gli Ambroni al di là del fiume. Gli Ambroni seguivano i costumi celtici, urlando il nome della propria tribù durante le entrate in battaglia e secondo Plutarco, in occasione della battaglia di Aquae Sextiae del 102 a.C., quando i Liguri alleati dei romani urlarono "Ambrones!" come grido di battaglia ottennero in risposta lo stesso grido dal fronte opposto dei Celti Ambroni; da ciò deriva l'ipotesi di una origine comune coi Liguri (la cui originaria espansione si estendeva presumibilmente dalla penisola italica a quella iberica e nella Francia meridionale prima dell'espansione dei Celti, mentre i Romani consideravano gli Ambroni Germani, non Celti. Queste circostanze suggeriscono la presenza di etnie miste, probabilmente in origine liguri poi celtiche così come etnie celtiche assimilate poi dai Germani. Non solo gli Ambroni provenivano da una regione settentrionale recentemente germanizzata, ma in quel periodo le tribù germaniche venivano pesantemente influenzate dalla cultura celtica. Nella battaglia di Aquae Sextiae (Aix-en-Provence), i Romani ricompattarono i ranghi rigettando gli Ambroni che tentavano di nuovo di oltrepassare il fiume e lì gli Ambroni persero buona parte delle loro forze. Gaio Mario schierò poi un contingente di 30.000 uomini per tendere un'imboscata al grosso dell'esercito dei Teutoni che, presi alle spalle e attaccati frontalmente, furono completamente sterminati e persero 100.000 uomini, mentre quasi altrettanti ne furono catturati. Gli Ambroni furono annientati e fondendosi con i Celti locali, diedero vita ad una nuova tribù, gli Aduatuci, storia che si può trovare nella vita di Gaio Mario nell'opera "Vite Parallele" di Plutarco scritta nell'80. Dopo la battaglia i Teutoni non vengono più nominati nelle fonti romane. Le parti dell'esercito teutone sopravvissute alla sconfitta si stabilirono presso la Mosa sotto il nome, anch'essi, di Aduatuci. Verosimilmente, ancora nel II - III secolo d.C. essi risiedevano nei dintorni del Meno. Dalle loro prime vittorie contro gli eserciti romani, si creò un collegamento fra i Teutoni ed il terrore che avevano generato, così che gli storici romani parlavano di furor teutonicus, furore teutonico. A partire dalla tarda età carolingia, l'aggettivo latino teutonicus venne utilizzato per indicare la popolazione residente nell'Impero carolingio che non parlava una lingua romanza e nel corso del Medioevo, venne utilizzato come traduzione per deutsch, tedesco (ad esempio, Ordo Teutonicus, o ordine dei Cavalieri Teutonici, è la traduzione di Deutscher Orden). A volte, un "tedesco tipico" viene indicato anche come teutone o teutonico, o nel senso di "un uomo di forma possente e robusta", o di deutschtümelnd, ovvero un individuo che accenti eccezionalmente i propri tratti caratteriali di tedesco, concetti usati a scopo ironico.
- Il console collega di Mario, Quinto Lutazio Càtulo, console nel 102, non ebbe altrettanta fortuna, non riuscendo a impedire che i Cimbri forzassero il passo del Brennero e avanzassero nell'Italia settentrionale verso il finire del 102 a.C. Mario apprese la notizia mentre si trovava a Roma, dove fu rieletto console per l'anno 101 a.C. Il senato gli accordò il trionfo ma lui rifiutò perché ne voleva fare partecipe anche l'esercito, quindi lo posticipò ad una vittoria contro i Cimbri. Immediatamente si mise in marcia per ricongiungersi con Catulo, il cui comando fu prorogato anche per il 101 a.C. mentre i Cimbri proseguivano verso Vercellae.
Nel 101 a.C. - Nell'estate di quell'anno, a Vercelli, nella Gallia Cisalpina, in una località allora chiamata Campi Raudii, ebbe luogo lo scontro decisivo fra Romani e Cimbri. Ancora una volta la ferrea disciplina dei Romani ebbe la meglio sull'impeto dei barbari, e almeno 65.000 di loro (o forse 100.000) perirono, mentre tutti i sopravvissuti furono ridotti in schiavitù. I Tigurini, a questo punto, rinunciarono al loro proposito di penetrare in Italia da Nord-Ovest e rientrarono nelle proprie sedi. Catulo e Mario, come consoli in carica, celebrarono insieme uno splendido trionfo, ma, nell'opinione popolare, tutto il merito venne attribuito a Mario. In seguito Catulo si trovò in contrasto con Mario, divenendone uno dei più acerrimi rivali.
Denarius del 49/48 a.C. con nome e simbolo di Giulio Cesare, da: https://it.wikipedia.org/wiki/Gaio _Giulio_Cesare#/media/File :CaesarElephant.jpg |
Posidonio di Rodi. |
- Come ricompensa per avere sventato il pericolo dell'invasione barbarica, Gaio Mario viene rieletto console anche per l'anno 100 a.C. Gli avvenimenti di quell'anno, tuttavia, non gli furono propizi. Nel corso di questo anno il tribuno della plebe Lucio Appuleio Saturnino richiese con forza che si varassero riforme simili a quelle per cui si erano in passato battuti i Gracchi. Propose quindi una legge per l'assegnazione di terre ai veterani della guerra appena conclusasi e per la distribuzione da parte dello stato di grano a prezzo inferiore a quello di mercato. Il senato si oppose a queste misure, provocando così lo scoppio di violente proteste, che presto sfociarono in una vera e propria rivolta popolare, e a Mario, come console in carica, fu chiesto di reprimerla. Sebbene egli fosse vicino al partito popolare, il supremo interesse della repubblica e l'alta magistratura da lui rivestita gli imposero di assolvere, sebbene riluttante, a questo compito. Dopodiché lasciò ogni carica pubblica e partì per un viaggio in Oriente e Roma conobbe alcuni anni di relativa tranquillità.
Nel 95 a.C. - Nella Repubblica di Roma viene approvata una legge che decreta l'espulsione da Roma di chi non avesse la cittadinanza romana, che perlopiù erano coloro che provenivano da altre città italiche.
Nel 91 a.C. - Marco Livio Druso è eletto tribuno e propone una grande distribuzione di terre appartenenti allo Stato, l'allargamento del Senato e la concessione della cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi di tutte le città italiche. Il successivo assassinio di Druso provoca l'immediata insurrezione delle città-Stato italiche contro Roma e la Guerra sociale degli anni 91/88 a.C. in cui Gaio Mario sarà chiamato ad assumere, insieme a Lucio Cornelio Silla, il comando degli eserciti per sedare la pericolosa rivolta.
Bronzetto raffigurante un Guerriero Sannita. |
Tabella con la pronuncia del latino
classico e come invece la insegnano
a scuola. Clicca per ingrandire.
|
Il generale e più volte
console Gaio Mario.
|
- Nonostante le origini aristocratiche, la famiglia di Giulio Cesare non era ricca per gli standard della nobiltà romana, né particolarmente influente. Ciò rappresentò inizialmente un grande ostacolo alla sua carriera politica e militare, e Cesare dovette contrarre ingenti debiti per ottenere le sue prime cariche politiche. Inoltre, negli anni della giovinezza dello stesso Cesare, lo zio Gaio Mario si era attirato le antipatie della nobilitas repubblicana (anche se successivamente Cesare riuscì a riabilitarne il nome) e questo metteva anche lo stesso Cesare in cattiva luce agli occhi degli optimates. Il padre, suo omonimo, era stato pretore nel 92 a.C. e aveva probabilmente un fratello, Sesto Giulio Cesare, che era stato console nel 91 a.C. e una sorella, Giulia, che aveva sposato Gaio Mario intorno al 110 a.C. Sua madre era Aurelia Cotta, proveniente da una famiglia che aveva dato a Roma numerosi consoli. Il futuro dittatore ebbe due sorelle, entrambe di nome Giulia: Giulia maggiore, probabilmente madre di due dei nipoti di Cesare, Lucio Pinario e Quinto Pedio, menzionati insieme a Ottaviano nel suo testamento, e Giulia minore, sposata con Marco Azio Balbo, madre di Azia minore e di Azia maggiore, a sua volta madre di Ottaviano. Nell’antica Roma il nome individuale di una donna doveva rimanere segreto, infatti mentre gli uomini avevano il loro nome, poi il nome della gens ed infine il cognomen, le donne son indicate sempre con il nome della gens cui appartengono - cosa che spesso induce errori nelle trattazioni storiche - e vengono distinte con maior o minor in base all’anzianità o con un numero ordinale, secunda, tertia, ecc. ecc. La famiglia viveva in una modesta casa della popolare e malfamata Suburra, dove il giovane Giulio Cesare fu educato da Marco Antonio Gnifone, un illustre grammatico nativo della Gallia. Cesare trascorse il suo periodo di formazione in un'epoca tormentata da gravi disordini. Mitridate VI, re del Ponto, minacciava le province orientali; contemporaneamente era in corso in Italia la Guerra sociale e la città di Roma era divisa in due fazioni contrapposte: gli optimates, favorevoli al potere aristocratico e i populares o democratici, che sostenevano la possibilità di rivolgersi direttamente all'elettorato. Pur se di nobili origini, fin dall'inizio della sua carriera Cesare si schierò dalla parte dei populares, scelta sicuramente condizionata dalle convinzioni dello zio Gaio Mario, capo dei populares e rivale di Lucio Cornelio Silla, sostenuto da aristocrazia e Senato.
- Finite le guerre sociali in Italia si apre un nuovo fronte in Asia, dove Mitridate, re del Ponto, nel tentativo di allargare verso occidente i confini del suo regno, invade la Grecia, ormai provincia romana. Posto di fronte alla scelta se affidare il comando dell'inevitabile guerra contro Mitridate a Silla o Mario, il Senato, in un primo momento, sceglie Silla. In seguito, tuttavia, quando il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo, appoggiato da Mario cercò di far passare una legge per distribuire gli alleati italici nelle tribù cittadine, in modo da influenzare con il loro voto i comizi, ne nacque uno scontro nel quale il figlio del console Quinto Pompeo Rufo trovò la morte. Silla, per sfuggire alla confusione, si rifugiò nella casa dello stesso Mario. Intanto la legge venne approvata e le tribù che adesso contenevano anche i nuovi cittadini fecero passare una legge secondo la quale veniva affidata a Mario la guerra contro Mitridate. Intanto Silla raggiunse l'esercito a Nola e Mario fece mandare due tribuni per portare l'esercito a Roma, ma l'esercito uccise i tribuni e Silla fece marciare l'esercito su Roma. Mario, all'arrivo di Silla, abbandonò precipitosamente Roma, rifugiandosi in esilio. Gneo Ottavio e Lucio Cornelio Cinna furono eletti consoli nell'87 a.C., mentre Silla, nominato proconsole, si mise in marcia verso oriente con l'esercito.
Carta dei luoghi delle battaglie nella
Guerra Civile di Roma, 88/82 a.C. |
- Nell' 85 a.C., quando Cesare aveva solo quindici anni, muore suo padre Gaio Giulio Cesare il Vecchio.
- Nell'84 a.C. Giulio Cesare ripudia la sua promessa sposa Cossuzia per poi sposare in seguito Cornelia minore, figlia di Lucio Cornelio Cinna, alleato di Gaio Mario nella guerra civile. Nell’antica Roma il nome individuale di una donna doveva rimanere segreto, infatti mentre gli uomini avevano il loro nome, poi il nome della gens ed infine i cognomen, le donne son indicate sempre con il nome della gens cui appartengono - cosa che spesso induce errori nelle trattazioni storiche - e vengono distinte con maior o minor in base all’anzianità o con un numero ordinale, secunda, tertia, ecc. ecc. Il nuovo legame con una famiglia notoriamente schierata con i popolari, oltre alla parentela con Mario, causeranno problemi non indifferenti al giovane Cesare negli anni della dittatura di Silla, che cercherà di ostacolarne in tutti i modi le ambizioni, bloccando fra l'altro la sua nomina a Flamen Dialis, il sacerdote preposto al culto di Giove Capitolino, l'unico tra i sacerdoti che potesse presenziare nel Senato con il diritto alla sedia curule e alla toga pretesta.
- Nell'83 a.C. all'età di tredici anni, Cornelia (94 a.C. - 69 o 68 a.C.) ricordata anche come Cornelia Minore, sposa il diciottenne Gaio Giulio Cesare. Cornelia era figlia di Lucio Cornelio Cinna, uno dei maggiori leader del partito popolare mariano e sorella dell'omonimo Lucio Cornelio Cinna, pretore nel 44 a.C., che fu uno dei partecipanti all'omicidio di Giulio Cesare. Quando il dittatore Lucio Cornelio Silla comanderà allo stesso Cesare di ripudiare la moglie, lui si rifiuterà di farlo e riuscirà ad evitare la rappresaglia di Silla grazie all'intervento di alcuni personaggi particolarmente influenti appartenenti al partito degli ottimati.
Il generale e dittatore Lucio Cornelio Silla. |
- Per quanto poi emanerà una legge che proibisca tale gesto, dopo un quarantennio sarà il "populares" Gaio Giulio Cesare a stroncare definitivamente la repubblica in cui il Senato degli "ottimati" aveva sempre prevalso. Gaio Giulio Cesare, nipote di Giulia Maggiore, sorella del senatore Gaio Giulio Cesare il vecchio e moglie di Gaio Mario (dei populares), aveva sposato Cornelia, una delle figlie del console Lucio Cornelio Cinna, campione dei populares. Dopo il ritorno di Silla a Roma, in cui instaurò un regime di restaurazione perpetrando feroci repressioni, Giulio Cesare fuggirà in Cilicia, dove rimase fino alla morte di Silla, nel 78 a.C.
- Per Giulio Cesare la situazione a Roma si aggrava quando il dittatore campione degli ottimati Publio Cornelio Silla, avuta la meglio su Mitridate VI, nell'82 a.C. rientra in Italia, sconfigge i seguaci del campione dei populares Mario nella battaglia di Porta Collina e si autoproclama dittatore perpetuo al fine di riformare le leggi e restaurare i privilegi degli ottimati nel funzionamento della repubblica, cominciando ad eliminare i suoi avversari politici. Ordina a Cesare di divorziare da Cornelia poiché non è patrizia, ma Cesare rifiuta. Silla medita allora di farlo uccidere, ma deve poi desistere dopo i numerosi appelli rivoltigli dalle Vestali e da Gaio Aurelio Cotta, parente di Cesare. In quell'occasione esclama: «Abbiatela pure vinta, e tenetevelo pure! Un giorno vi accorgerete che colui che volete salvo a tutti i costi sarà fatale alla fazione degli Ottimati, che pure tutti insieme abbiamo difeso. In Cesare ci sono, infatti, molti Gaio Mario!» (Svetonio, Vite dei Cesari, Cesare, 1). Giulio Cesare, temendo comunque per la sua vita, lascia Roma, prima ritirandosi in Sabina (dove è costretto a cambiare domicilio ogni giorno) e poi, raggiunta la giusta età, partendo per il servizio militare in Asia, come legato del pretore Marco Minucio Termo che gli ordina di recarsi presso la corte di Nicomede IV, sovrano del piccolo stato della Bitinia. Di questa missione si parlò a lungo a Roma, ove si diffuse la voce che Cesare avesse avuto una relazione amorosa con il sovrano, come testimoniano i canti intonati dai legionari dello stesso Cesare oltre trentacinque anni dopo (Svetonio, Vite dei Cesari, Cesare, 1).
Nell' 81 a.C. - Nel diritto penale romano la castrazione è proibita dalla Lex Cornelia Sullæ de sicariis et veneficis del dittatore Lucio Cornelio Silla, provvedimento che colpiva tra l'altro chi preparava, vendeva, comprava, deteneva o somministrava un venenum malum necandi hominis causa (veleno che potesse causare la morte) e forse anche chi praticava arti magiche; in seguito la si applicò all'aborto volontario, alla castrazione e alla circoncisione, tranne quella degli Ebrei.
Patrizio Torlonia di profilo, da https://it.wiki pedia.org/wiki/Patrizio _Torlonia. |
Patrizio Torlonia, da https ://it.wikipedia.org/wiki/ Patrizio_Torlonia. |
Nel 76 a.C. - Da Gaio Giulio Cesare, Cornelia Cinna minore genera la figlia Giulia (76 a.C. - 54 a.C.), conosciuta come Giulia minore (Iulia minor) per distinguerla dalla zia Giulia maggiore, sorella di Cesare e nonna di Ottaviano. Rimasta orfana della madre, morta nel 69 o 68 a.C., Giulia fu educata dalla nonna Aurelia Cotta, madre di Cesare. Dopo una prima promessa di matrimonio con un Servilio Cepione, Cesare la diede in sposa nel 59 a.C. a Gneo Pompeo Magno. Morirà di parto ancora molto giovane nel 54 a.C. e il figlio o la figlia che dette alla luce visse solo pochi giorni. Che si sappia, gli unici figli di Cesare sono stati Giulia da Cornelia Cinna minore e Cesarione (Tolomeo XV), che ebbe da Cleopatra.
Gaio Giulio Cesare, I sec. museo archeologico di Napoli. |
Anfiteatro di Capua. |
Carta della Gallia con le popolazioni che la abitavano nel I sec. a.C. |
Nel 69 a.C. - Cornelia Cinna minore muore di parto all'età di venticinque o ventisei anni; dell'eventuale nascituro/a non si ha notizia, mentre si sa che e la laudatio funebris di Cornelia è pronunciata dal marito Cesare. In quello stesso anno Giulio Cesare è eletto questore per quell'anno. I questori erano magistrati minori dello Stato, la cui carica (quaestura) costituiva il primo grado del cursus honorum e richiedeva come età minima 30 anni (28 per i patrizi). All'inizio possedevano giurisdizione criminale (quaestores parricidii), in seguito competenze amministrative, supervisionando e gestendo il tesoro e le finanze. Dopo il consolato di Pompeo e Crasso, il clima politico romano si stava avviando al cambiamento, grazie al quasi totale smantellamento della costituzione sillana che i due consoli avevano operato. Nel 69 a.C. Cesare pronunciò dai Rostri del Foro, secondo l'antico costume, gli elogi funebri per la zia Giulia, vedova di Gaio Mario, e per la moglie Cornelia, figlia di Lucio Cornelio Cinna. Nel farlo, mostrò per la prima volta in pubblico dal periodo sillano le immagini di Gaio Mario e del figlio Gaio Mario il giovane e il popolo le accolse plaudente. Nell'elogio per Giulia, Cesare esaltava la discendenza della zia per parte di madre da Anco Marzio, evidenziando come negli esponenti della gens Iulia scorresse ora anche il sangue regale accanto a quello divino. «Da parte di madre mia zia Giulia discende dai re; da parte di padre si ricollega con gli dei immortali. Infatti i Marzii Re, alla cui famiglia apparteneva sua madre, discendono da Anco Marzio, ma i Giuli discendono da Venere, e la mia famiglia è un ramo di quella gente. Confluiscono, quindi, nella nostra stirpe, il carattere sacro dei re, che hanno il potere supremo tra gli uomini, e la santità degli dei, da cui gli stessi re dipendono.» (Svetonio, Vite dei Cesari, Cesare, 6, traduzione di Felice Dessì). L'elogio di Cornelia parve invece piuttosto insolito, perché non era uso pronunciare discorsi in memoria di donne morte giovani, ma fu fortemente apprezzato dal popolo. Sempre nel corso del 69 a.C., Cesare si recò nella Spagna Ulteriore, governata dal propretore Antistio Vetere dove si dedicò ad un'intensa attività giudiziaria e grazie al suo grande impegno poté accattivarsi le simpatie della popolazione, che liberò dai pesi fiscali che Metello aveva imposto.
Dal 65 a.C. - Roma conquista l'impero seleucide e l'Egitto, estinguendo così le ultime dinastie di stirpe macedone che si erano instaurate in quei territori come conseguenza della spartizione dell'impero di Alessandro Magno. La guerra di conquista terminerà nel 30 a.C..
Nel 63 a.C. - Giulio Cesare è eletto pontefice massimo, dopo la morte di Quinto Cecilio Metello Pio, che era stato nominato da Silla. Cesare, per quanto scettico, si era battuto perché il pontificato tornasse a essere, dopo la riforma sillana, una carica elettiva e comprendeva perfettamente quale aspetto avrebbe avuto la sua figura se insignita della carica di tutore del diritto e del culto romano. A sfidarlo c'erano però rappresentanti della fazione degli optimates molto più anziani e già da tempo giunti al culmine del cursus honorum, quali Quinto Lutazio Catulo e Publio Servilio Vatia Isaurico. Cesare allora, aiutato anche da Marco Licinio Crasso, si procurò grandi somme di denaro che usò per corrompere l'elettorato e fu dunque costretto a pagare un prezzo altissimo per la sua elezione: il giorno del voto, uscendo di casa, promise infatti alla madre che ella lo avrebbe rivisto pontefice oppure esule. La nettissima vittoria di Cesare gettò nel panico gli optimates, mentre costituì per il neoeletto pontefice una nuova acquisizione di prestigio, in grado di assicurargli la nomina a pretore per l'anno seguente. Con Giulio Cesare il numero dei Pontefici passerà da 9 a 16 e per evidenziare l'importanza della sua carica, lasciò la casa natale nella Suburra per trasferirsi sulla via Sacra, cominciando ad attuare una politica volta ad accattivarsi anche le simpatie di Pompeo Magno, mentre la moglie Pompea Silla lo seguirà nell'abitazione consacrata al capo del collegio sacerdotale sulla via Sacra.
Cesare Maccari: "Cicerone accusa Catilina" (1880) a Palazzo Madama. |
- Nel 63 a.C. nasce a Roma Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (Roma, 23 settembre 63 a.C. - Nola, 19 agosto 14), figlio di Gaio Ottavio, uomo d'affari che aveva ottenuto, primo della gens Octavia (ricca famiglia di Velitrae-Velletri), cariche pubbliche e un posto in Senato (era quindi un homo novus). La madre, Azia maggiore, proveniva invece da una famiglia da parecchie generazioni di rango senatorio e dagli illustri natali: era infatti imparentata sia con Cesare sia con Gneo Pompeo Magno. Azia era più precisamente la figlia della sorella di Cesare, Giulia maggiore, e di Marco Azio Balbo; Ottaviano, pertanto, era pronipote di Cesare. Nacque a Roma nove giorni prima delle Calende di ottobre prima dell'alba, in quella parte del Palatino denominata ad Capita Bubula («teste di bue»), dove dopo la sua morte venne costruito un santuario a lui dedicato. In seguito si trasferì, sempre sul Palatino, in una casa ugualmente modesta di non grande ampiezza e priva di lusso, visto che le colonne dei suoi portici piuttosto basse, erano di pietra del monte Albano, mentre nelle stanze non c'era né marmo, né mosaici. Dormì nella stessa camera per più di quarant'anni, anche d'inverno, sebbene considerasse poco adatto alla sua salute il clima invernale di Roma. Il suo nome alla nascita era Gaio Ottavio, cui fu aggiunto Turino quando era fanciullo (Gaius Octavius Thurinus), soprannome in ricordo di suo padre Ottavio, vittorioso contro gli schiavi fuggitivi (i resti delle bande di Spartaco e di Catilina) nella regione di Thurii, città panellenica fondata nel 444 a.C. accanto alle rovine dell'antica Sibari i cui resti si trovano nei pressi di Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza.
Marco Licinio Crasso da QUI. |
- Nel 59 a.C., a circa a quattro anni, Ottaviano perde il padre mentre Gneo Pompeo Magno sposa Giulia (Iulia, 76 a.C. - 54 a.C.), figlia di Gaio Giulio Cesare e della sua prima moglie Cornelia Cinna minore, conosciuta come Giulia minore (Iulia minor) per distinguerla dalla zia Giulia maggiore, sorella di Cesare e nonna di Ottaviano. Giulia era rimasta orfana della madre nel 69 o 68 a.C., ed era stata educata dalla nonna Aurelia Cotta, madre di Cesare. Dopo una prima promessa di matrimonio con un Servilio Cepione, Cesare la dà in sposa nel 59 a.C. a Gneo Pompeo Magno ma morirà di parto ancora molto giovane, nel 54 a.C. e il figlio o la figlia che darà alla luce vivrà solo pochi giorni.
- Durante il consolato del 59 a.C., grazie all'appoggio dei triumviri, Cesare ottiene con la lex Vatinia del 1º marzo, il proconsolato delle province della Gallia Cisalpina e dell'Illirico per cinque anni, con un esercito composto da tre legioni (VII, VIII e VIIII). Poco dopo un senatoconsulto gli affida anche la vicina provincia della Narbonense, il cui proconsole, Quinto Cecilio Metello Celere, era morto all'improvviso, e la X legione.
- Il Senato sperava con le sue mosse di allontanare il più possibile Cesare da Roma, proprio mentre egli stava acquisendo una sempre maggiore popolarità. Quando lo stesso Cesare promise di fronte al Senato di compiere grandi azioni e riportare splendidi trionfi in Gallia, uno dei suoi detrattori, per insultarlo, urlò che ciò non sarebbe stato facile per una donna, alludendo ai costumi sessuali dell'avversario; il proconsole designato rispose allora ridendo che l'essere donna non aveva impedito a Semiramide di regnare sulla Siria e alle Amazzoni di dominare l'Asia. Cesare seppe comprendere le potenzialità che l'incarico affidatogli presentava: in Gallia avrebbe potuto conquistare immensi bottini di guerra (con i quali saldare i debiti contratti nelle campagne elettorali), e avrebbe acquisito il prestigio necessario per attuare la sua riforma della res publica.
Nel 58 a.C. - Prima di lasciare Roma, nel marzo del 58 a.C., Cesare incarica il suo alleato politico Publio Clodio Pulcro (amante della moglie Pompea che aveva ripudiato), tribuno della plebe, di fare in modo che Cicerone fosse costretto a lasciare Roma. Clodio fece allora approvare una legge con valore retroattivo che puniva tutti coloro che avevano condannato a morte dei cittadini romani senza concedere loro la provocatio ad populum: Cicerone fu quindi condannato per il suo comportamento in occasione della congiura di Catilina, venne esiliato, e dovette lasciare Roma e la vita politica. In questo modo Cesare cercava di assicurarsi che, in sua assenza, il Senato non prendesse decisioni che compromettessero la realizzazione dei suoi piani. Allo stesso scopo, Cesare si liberò anche di un altro esponente dell'aristocrazia senatoriale, Marco Porcio Catone, che venne allontanato da Roma e inviato propretore a Cipro. Per evitare inoltre di divenire oggetto delle accuse legali dei suoi avversari, si appellò alla lex Memmia, secondo la quale nessun uomo che si trovava fuori dall'Italia a servizio della res publica poteva subire un processo giuridico. Infine, affidò la gestione dei suoi affari a Lucio Cornelio Balbo, un eques di origine spagnola; per evitare che i messaggi che gli spediva cadessero nelle mani dei suoi nemici, Cesare adoperò un codice cifrato, che prese il nome di cifrario di Cesare.
Cartina dei domini di Roma nel 58 a.C.
|
Gaio Giulio Cesare, da QUI. |
Carta con i Veneti in Armorica. |
Le Gallie nel 58 a.C., solo Cisalpina e Narbonensis erano Romane. |
Divisione della Repubblica di Roma nel primo Triumvirato. |
Prima della conquista della Gallia da parte di Gaio Giulio Cesare, spinte alle spalle dalla pressione dei Suebi, le tribù germaniche degli Usipeti e dei Tencteri avevano vagato per tre anni e si erano spinte a nord del fiume Meno, fino a raggiungere le regioni abitate dalla tribù celtico-gallica dei Menapi, alla foce del Reno. I Menapi possedevano, su entrambe le sponde del fiume, campi, casolari e villaggi e quindi, spaventati dall'arrivo di quella moltitudine di genti (Cesare sostiene fossero ben 430.000 persone), abbandonarono gli insediamenti a est del Reno e posero alcuni presidi lungo il fiume, per impedire ai Germani di passare in Gallia. Non riuscendo ad attraversare il fiume, Tencteri ed Usipeti simularono la ritirata per poi tornare improvvisamente di notte facendo strage dei Menapi che erano tornati nei loro villaggi. Si impadronirono quindi delle loro navi e passarono il fiume Reno, occuparono i loro villaggi in Gallia e si nutrirono per tutto l'inverno con le loro provviste.
Carta della Gallia Belgica con le popolazioni che la abitavano. |
I Germani Usipeti e Tencteri, che si trovavano in una località non molto distante dall'attuale città olandese di Nimega (in olandese Nijmegen), una volta venuti a conoscenza dell'avvicinamento dell'esercito romano decisero di inviare ambasciatori a Cesare, per chiedere al generale il permesso di stanziarsi in quei territori, offrendo in cambio la loro amicizia. Gli ricordarono il motivo per cui erano stati costretti a migrare ed il loro valore in battaglia, ma Cesare negò loro il permesso di occupare territori della Gallia sostenendo che non era giusto che i Germani si impadronissero delle terre di altri popoli, proprio loro che non erano stati capaci di difendere i propri territori dalle scorrerie dei Suebi. Cesare consigliò loro di riattraversare il Reno e di occupare i territori del popolo amico degli Ubi, che avevano chiesto a Cesare di intervenire oltre il grande fiume offrendogli la loro alleanza, per potersi liberare finalmente dal giogo dei vicini Suebi.
Gli Ubi (in latino Ubii) erano un'antica popolazione germanica che aveva abitato, fino al 38 a.C., la sponda destra del fiume Reno nei territori di fronte all'attuale città di Koeln (Colonia), territori che confinavano a sud con quelli dei Suebi, di cui gli Ubi dovettero diventare tributari. Appartenenti, secondo Tacito, agli Istaevones (i Germani occidentali), confinavano, nella Gallia al di là del Reno, con i Treveri, anch'esso popolo originariamente germanico. Nel 55 a.C., Giulio Cesare, poco prima di oltrepassare il Reno e compiere la prima incursione romana in territorio germanico, descriveva così questo popolo:
Nel frattempo era stata quindi stabilita una tregua fra Usipeti e Tencteri con Cesare, al fine di giungere ad una soluzione, ma durante la tregua, quei Germani si scontrarono con uno squadrone di cavalleria gallo-romana, e lo costrinsero alla fuga. Così, quando gli ambasciatori di Usipeti e Tencteri si recarono da Cesare per giustificarsi, lui li accusò di non aver rispettato l'accordo, li fece imprigionare, dopodiché con una mossa fulminea, piombò sull'accampamento germanico difeso solo da carri e bagagli, massacrò uomini donne e bambini (quasi 200.000 persone) e costrinse i superstiti alla fuga verso nord, in direzione della confluenza del Reno con la Mosa, lungo uno dei tratti finali del Reno, quello più occidentale, chiamato Waal. L'azione, particolarmente cruenta, suscitò la sdegnata reazione di Catone, che propose al senato di consegnare Cesare ai Galli, in quanto colpevole di aver violato i diritti degli ambasciatori. Il Senato invece, proclamò una lunghissima supplicatio di ringraziamento di ben quindici giorni.
Ricostruzione del ponte sul Reno fatto costruire da Gaio Giulio Cesare, tela di John Soane del 1814, da https://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_di_Cesare_sul_ Reno#/media/File:Il_ponte_di_Cesare_sul_Reno.jpg |
Scudo Celtico in bronzo del I sec. a.C. ritrovato nel Tamigi a Battersea, in Inghilterra. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
- Nel 55 a.C., all'età di sedici anni, Ottaviano indossa la toga virile e ottiene alcune ricompense militari in Africa, in occasione del trionfo del prozio Gaio Giulio Cesare, senza nemmeno aver partecipato alla guerra per la giovane età.
In rosso, gli stanziamenti delle prime tribù dei Germani, poi le espansioni dal 50 a.C. al 300 d.C.. |
Statua di Vercingetorige, da QUI. |
Le Gallie dopo
la conquista di Gaio Giulio Cesare.
|
Marco Emilio Lerpido (figlio) il triumviro, da: https://comunitaoli vettiroma.files.wordpress.com /2015/11/lepido.jpg |
Domini di Roma dopo la
conquista
della Gallia, nel 50 a.C., da QUI.
|
Cleopatra, museo Altes di Berlino, da QUI. |
- Nel 47 a.C. a seguito di una relazione nata tra la regina egizia Cleopatra e il generale romano Gaio Giulio Cesare nel corso della guerra civile alessandrina, nasce Cesarione il cui nome completo è Tolomeo Filopàtore Filomètore Cesare (47 a.C. - agosto 30 a.C.), chiamato nella storiografia moderna Tolomeo XV ma meglio noto come Cesarione dal greco antico «piccolo Cesare» o Tolomeo Cesare, faraone egizio e ultimo sovrano, congiuntamente alla madre, del Regno tolemaico d'Egitto, l'ultimo regno dell'età ellenistica. La prima notizia di un incendio alla Biblioteca di Alessandria, che distrusse almeno parte del suo patrimonio librario, concerne proprio la spedizione di Giulio Cesare in Egitto. In seguito ai disordini scoppiati ad Alessandria, un incendio si sviluppò nel porto della città, danneggiando la biblioteca. Plutarco, nelle Vite parallele - Cesare, è l'unico che parla della distruzione della biblioteca riferita esplicitamente a Giulio Cesare (Vita di Cesare, 49.6). Alla nascita di Cesarione, Cleopatra regnava insieme a suo fratello minore Tolomeo XIV, di circa dodici anni. All'inizio del 46 a.C. la coppia reale si recò a Roma insieme a Cesarione, ospite in una villa di Cesare sul Gianicolo e i sovrani egizi erano ancora in città quando, il 15 marzo del 44 a.C., ebbe luogo l'assassinio di Cesare da parte di cospiratori repubblicani. La corte egizia tornò quindi ad Alessandria e poco dopo Tolomeo XIV morì, secondo alcune fonti fatto assassinare dalla stessa Cleopatra. Il 2 settembre del 44 a.C., a soli tre anni, Cesarione è nominato co-reggente dalla madre. La posizione di Tolomeo XV come sovrano d'Egitto sarà però riconosciuta dalla Repubblica romana solo nel 43 a.C. attraverso Publio Cornelio Dolabella, che combatteva i Cesaricidi in Medio Oriente.
Statua di Giulio Cesare,
che ricostruì il foro
romano nel 46 a.C., da:
QUI.
|
Marco Antonio da QUI. |
Andrea Camassei: Festa dei Lupercalia (1635), Museo del Prado, Madrid, da QUI.
|
Augusto, Denario, Hiberia: Colonia
Patricia , c. 18-16 a.C. AR (g 3,82;
mm 19; h 8); Testa nuda a d., Rv.
Capricorno verso s., tiene il globo
legato al timone e porta una
cornucopia sul dorso, da QUI.
|
Il "denario" fatto coniare da
Giulio
Cesare nel 44 a.C. In un lato c'è
il suo volto e nell'altro Venere che
sulla mano destra porta una Nike
(la Vittoria).
|
Marco Giunio Bruto, rinvenuto nel Tevere da QUI. |
- Tornando da Apollonia, dove aveva avuto la notizia dell'omicidio del prozio, verso Roma, Ottaviano sbarca a Brindisi, dove riceve il benvenuto dalle legioni di Cesare, lì acquartierate in attesa della spedizione che voleva Cesare in Oriente, contro i Parti, e si impossessa dei circa 700 milioni di sesterzi (nel I secolo d.C. 1 sesterzio valeva circa 2 €) di denaro pubblico destinati alla guerra contro i Parti, che utilizza a questo punto per acquisire ulteriore favore tra i soldati e tra i veterani di Cesare stanziati in Campania. «Ritenendo che la cosa più importante fosse quella di vendicare la morte di suo zio e di difendere ciò che aveva fatto, appena tornò da Apollonia, decise di essere estremamente duro con Bruto e Cassio, i quali non se lo aspettavano, e quando questi capirono di essere in pericolo, fuggirono; [allora Ottaviano] li perseguì con un'azione legale atta a farli condannare per omicidio.» (Svetonio, Augustus, 10)
Marco Tullio Cicerone (106 -43 a.C.), Musei Capitolini. |
Statua di Augusto di
Prima Porta, Musei
Vaticani, da QUI.
|
Aureo romano ritraente l'effigi di
Marco
Antonio (sinistra) e Ottaviano (destra)
emesso nel 41 a.C. per celebrare il
secondo triumvirato. Si noti
l'iscrizione
'III VIR R P C' (Triumviri Rei Publicae
Constituendae Consulari Potestate) su
entrambi i lati. Da QUI.
|
Nel 42 a.C. - Appena due anni dopo il suo assassinio, il Senato deifica ufficialmente Gaio Giulio Cesare, elevandolo a divinità. L'eredità riformatrice e storica di Cesare è quindi raccolta da Ottaviano Augusto, suo pronipote e figlio adottivo. Gaio Giulio Cesare ha avuto un ruolo fondamentale nella transizione del sistema di governo dalla forma repubblicana a quella imperiale. Probabilmente il continuo scontro fra le due anime della Repubblica, i pochi optimates aristocratici e i tanti populares che volevano partecipare alla vita pubblica, non garantiva una continuità del potere per la vastità dell'impero romano nascente, continuità che invece si perpetrerà nel principato.
Grecia, ubicazione di Filippi, da QUI. |
- Ottaviano, che in gioventù era stato fidanzato con la figlia di Publio Servilio Vatia Isaurico, sposa nel 42 a.C. la figliastra di Antonio, Clodia Pulcra. Clodia della gens Claudia Pulcra, nata nel 57 a.C., era figlia di P. Claudio (o Clodio) Pulcro detto “Pulchellus” e di Fulvia (donna di non nobili origini) i cui zio e cugino paterni erano stati rispettivamente consoli negli anni 79, 54 e 38 a.C. Una sua lontana cugina, nipote del console del 38 a.C., era Valeria Messalina, moglie dell’imperatore Claudio e nota per aver avuto l’alcova popolata da amanti. Quando, dopo la morte di Gaio Giulio Cesare, Marco Antonio e Ottaviano si riconciliarono dopo essersi scontrati a Modena, venne deciso, anche dietro la pressione dei soldati, di consolidare l'alleanza con un matrimonio, che avrebbe legato Ottaviano al generale di Cesare tramite la figlia acquisita. Clodia era all'epoca molto giovane. Dopo due anni di convivenza, Ottaviano rimandò indietro Clodia dalla madre, inviando con la ex-moglie anche uno scritto in cui affermava di non aver consumato il matrimonio e che Clodia era ancora vergine: da Clodia quindi, Ottaviano non ebbe figli. Ci furono voci riguardo alla mancata consumazione, tanto che alcuni sostennero che Ottaviano avesse intenzione sin dall'inizio di rompere con Marco Antonio. Subito dopo il divorzio, Ottaviano sposerà Scribonia.
- Nel 42 a.C. nasce Tiberio Giulio Cesare Augusto (Roma, 16 novembre 42 a.C. - Miseno, 16 marzo 37), il secondo imperatore romano, dal 14 al 37, appartenente alla dinastia giulio-claudia, Membro della gens Claudia, nato col nome di Tiberio Claudio Nerone (Tiberius Claudius Nero) poiché era figlio dall'omonimo Tiberio Claudio Nerone (85 a.C. - 33 a.C.), cesariano e pretore nell'anno della nascita di Tiberio, e di Livia Drusilla, di circa trent'anni più giovane del marito. Sebbene avesse combattuto con Cesare, Tiberio Claudio Nerone era un repubblicano convinto, sostenitore del partito degli ottimati e giunse anche a proporre di premiare gli assassini di Cesare nel 44 a.C., quando questi sembrava che prendessero il sopravvento. Malgrado ciò, i meriti acquisiti durante il servizio con Gaio Giulio Cesare gli permisero di venire eletto pretore nel 42 a.C.. Tanto dal ramo paterno che da quello materno, Tiberio apparteneva alla gens Claudia, un'antica famiglia patrizia giunta a Roma dalla Sabina nei primi anni della repubblica e distintasi nel corso dei secoli per il raggiungimento di numerosi onori e alte magistrature. Fin dall'origine, la gens Claudia si era divisa in numerose famiglie, tra le quali si distinse quella che assunse il cognomen Nero, che in lingua sabina significava "forte e valoroso"). Egli poteva dunque dirsi membro di una stirpe che aveva dato alla luce personalità di altissimo rilievo, come Appio Claudio Cieco e che annoverava tra i più grandi assertori della superiorità del patriziato, quindi del partito degli optimates. Tiberio padre, dopo l'omicidio di Gaio Giulio Cesare si era schierato dalla parte di Marco Antonio, luogotenente di Cesare in Gallia, entrando in contrasto con Ottaviano, erede designato dallo stesso Cesare. Dopo la costituzione del secondo triumvirato tra Ottaviano, Antonio e Marco Emilio Lepido e le conseguenti proscrizioni, i contrasti tra i sostenitori di Ottaviano e quelli di Antonio si concretizzarono in una situazione di conflitto, ma il padre di Tiberio continuerà ad appoggiare Marco Antonio. Allo scoppio del bellum Perusinum, suscitato dal console Lucio Antonio e da Fulvia, moglie di Marco Antonio, il padre di Tiberio si era unito agli antoniani, fomentando il malcontento che stava nascendo in molte regioni d'Italia. Dopo la vittoria di Ottaviano, che riuscì a sconfiggere Fulvia asserragliata a Perugia e a restaurare il proprio controllo su tutta la penisola italica, fu costretto a fuggire, portando assieme a sé la moglie e il figlioletto omonimo. La famiglia si rifugiò dunque a Napoli e partì poi alla volta della Sicilia, allora controllata da Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, il campione del partito degli optimates e zio di Scribonia, seconda moglie di Augusto. I tre furono poi costretti a raggiungere l'Acaia, dove si stavano radunando le truppe antoniane che avevano lasciato l'Italia. Il piccolo Tiberio, costretto a prendere parte alla fuga e a patire le insicurezze del viaggio, ebbe dunque un'infanzia disagevole e agitata, fino a quando gli accordi di Brindisi, che ristabilivano una pace precaria, permisero agli antoniani fuoriusciti di fare ritorno in Italia.
- Non è dato sapere il momento in cui venne dedotta la provincia romana della Gallia Cisalpina. La storiografia moderna oscilla fra la fine del II secolo a.C. e l'età sillana. Vero è che all'89 a.C. risale la legge di Pompeo Strabone ("Lex Pompeia de Gallia Citeriore") che conferisce alla città di Mediolanum, e ad altre, la dignità di colonia latina. Nel dicembre del 49 a.C. Cesare con la Lex Roscia concederà la cittadinanza romana agli abitanti della provincia, mentre nel 42 a.C. verrà abolita la provincia, facendo della Gallia Cisalpina parte integrante dell'Italia romana.
- Al 41 a.C. risale l'incontro di Cleopatra con un altro generale romano, il triumviro Marco Antonio e anche con lui la regina ebbe una relazione amorosa, che portò alla fine del 40 a.C. alla nascita di due fratellastri di Cesarione, i gemelli Alessandro Elio e Cleopatra Selene e più tardi, nell'estate del 36 a.C. nascerà Tolomeo Filadelfo.
- Nel 40 a.C. Gaio Giulio Cesare Ottaviano sposa quindi come sua seconda moglie Scribonia, nata nel 74 a.C. e della famiglia degli Scriboni, antica famiglia plebea che solo di recente, con il fratello di Scribonia, Lucio Scribonio Libone (Lucius Scribonius Libo; ... - 34 a.C.), militare e politico romano durante la Repubblica e coinvolto nelle guerre civili dalla parte di Gneo Pompeo Magno, suo consuocero, era diventata nobile. Non è noto cosa fece Lucio Scribonio Libone dopo la sconfitta e morte di Pompeo nella battaglia di Farsalo (48 a.C.), ma dopo la morte di Cesare (44 a.C.), Libone è in Spagna col genero Sesto Pompeo, ed è dunque ipotizzabile che non si fosse sottomesso a Cesare. Continuò a combattere con Sesto Pompeo e fu una delle figure di alto lignaggio che nel 40 a.C. Sesto Pompeo inviò dalla Sicilia in Grecia per scortare la madre di Marco Antonio, Giulia Antonia, che si era rifugiata presso Pompeo dopo la Guerra di Perugia. Ottaviano fu molto allarmato da questo evento, perché temeva un'alleanza tra Sesto Pompeo, che aveva il dominio sui mari, con Marco Antonio: dietro consiglio di Gaio Cilnio Mecenate e allo scopo di stringere un'alleanza con Libone e Pompeo, Ottaviano chiese la mano di Scribonia, la sorella di Libone che era molto più anziana di lui e si era già sposata due volte. Il matrimonio ebbe luogo poco dopo e aprì la strada per una pace tra i triunviri e Sesto Pompeo, che fu negoziata l'anno seguente a Miseno, in un incontro cui partecipò anche Libone. Quando la guerra riprese, nel 36 a.C., Libone si schierò ancora una volta dalla parte del genero Sesto Pompeo, ma quando capì che sarebbe stato sconfitto, lo abbandonò (nel 35 a.C.). In cambio del suo tradimento, nel 34 a.C. venne scelto dai triunviri per il consolato, da esercitare assieme a Marco Antonio, ma morì poco dopo essere entrato in carica. Pur di allearsi con Sesto Pompeo quindi, Ottaviano aveva accettato questo matrimonio anche se la moglie era molto più vecchia di lui e avesse già avuto due mariti precedenti (probabilmente un P. Cornelius ed un Marcellinus). Il matrimonio non durerà che un anno, Ottaviano ripudierà Scribonia nello stesso giorno della nascita della loro figlia Giulia, evento che genererà malumore e opposizione da parte di costei negli anni successivi del suo principato.
- Nel 38 a.C. Marco Vipsanio Agrippa, amico e futuro genero di Cesare Ottaviano (poi Augusto) divenuto governatore della Gallia, decide di passare il fiume Reno a causa delle continue razzie compiute da parte della tribù germanica dei Suebi che abitavano lungo la sponda destra del grande fiume. Il passaggio del fiume da parte delle armate romane avvenne nel territorio degli alleati Ubi, rimasti fedeli ai Romani fin dai tempi di Cesare e Agrippa compì così devastazioni nei territori germanici. Una volta date sufficienti dimostrazioni di forza con le armi, Agrippa tornò sulla sponda sinistra del grande fiume, permettendo agli alleati Ubi di trasferirsi in massa all'interno dei confini imperiali, garantendo così loro una maggiore protezione, riconoscente dei servigi prestati durante quell'anno di guerra e per tener lontani gli altri Germani. Una volta trasferiti all'interno dei confini dell'Impero romano, gli Ubi rimasero fedeli alleati dei Romani, fondando per l'occasione una nuova città: Ara Ubiorum, la moderna città di Köln (Colonia). In questa città, a partire dalla disfatta di Teutoburgo del 9 d.C. e almeno fino al 17-18, soggiornarono due legioni: la legio I Germanica e la legio XX Valeria Victrix.
Dal 35 a.C. - Campagne militari vittoriose di Ottaviano nell'Illirico. Quando Cesare era stato ucciso, i Dalmati tornarono a ribellarsi, pensando che il potere romano risiedesse nel dittatore appena morto e si erano opposti al pagamento del tributo al governatore dell'Illyricum, Publio Vatinio. In seguito tutte le risorse militari romane erano state impiegate nella guerra civile seguita al cesaricidio, ma ora per Ottaviano era necessario assicurarsi il controllo della strada che collegava l'Italia settentrionale (la Gallia cisalpina) con il medio/basso Danubio, fino alla frontiera orientale volendo rendere sicura l'intera area a sud del Danubio.
- Nel 33 a.C. Tiberio Claudio Nerone padre muore ed è il giovanissimo figlio Tiberio a pronunciarne la laudatio funebris dai rostri del Foro. Tiberio si trasferisce quindi nella casa di Ottaviano dov'erano la madre e il fratello, proprio mentre le tensioni tra Ottaviano e Antonio porteranno ad un nuovo conflitto, che si concluderà nel 31 a.C. con lo scontro decisivo di Azio.
Nel 32 a.C. - Il conflitto fra Ottaviano e Antonio era ora inevitabile, mancava solo il casus belli, che Ottaviano trovò Scriveva Svetonio: «La sua alleanza [di Ottaviano] con Antonio era sempre stata dubbia e poco stabile, mentre le loro continue riconciliazioni altro non erano che momentanei accomodamenti; alla fine si giunse alla rottura definitiva e per meglio dimostrare che Antonio non era più degno di essere un cittadino romano, aprì il suo testamento, da Antonio lasciato a Roma, e lo lesse davanti all'assemblea, dove designava come suoi eredi anche i figli che aveva avuto da Cleopatra.» (Svetonio, Augustus, 17). Ancora Svetonio aggiunge che Antonio aveva scritto ad Augusto in modo confidenziale, quando non era ancora scoppiata la guerra civile tra loro: «Che cosa ti ha cambiato? Il fatto che mi accoppio con una regina? È mia moglie. Non sono forse nove anni che iniziò [la nostra storia d'amore]? E tu ti accoppi solo con Drusilla? E così starai bene se quando leggerai questa lettera, non ti sarai accoppiato con Tertullia, o Terentilla, o Rufilla, o Salvia Titisenia o tutte. Giova forse dove e con chi ti accoppi?» (Svetonio, Augustus, 69.). Poiché il Senato non aveva visto di buon occhio il trionfo celebrato ad Alessandria e tantomeno la spartizione ai figli di terre che appartenevano a Roma e non ad Antonio, Ottaviano decise di forzare la mano ai senatori e, dopo aver corrotto alcuni funzionari, si impossessò del testamento del rivale e lo lesse pubblicamente all'assemblea senatoria: Antonio lasciava i territori orientali di Roma a Cleopatra VII d'Egitto e ai suoi figli, compreso Cesarione, figlio di Gaio Giulio Cesare. Si scatenò quindi la prevista reazione, per cui si dichiara Antonio nemico pubblico mentre Ottaviano gli manda i suoi parenti e i suoi amici, tra cui i consoli Gaio Sosio e Domizio Enobarbo. Poi il Senato di Roma dichiara guerra a Cleopatra, ultima regina tolemaica di Egitto, sul finire del 32 a.C.
Mappa della battaglia di Azio, da QUI |
Aureo del 27 a.C.
col consolidamento
al potere di
Augusto da: QUI.
|
Roma - Resti dei Fori Imperiali. |
Roma antica con i nomi dei 7 colli
fino alle mura serviane del VI sec.
a.C.,
l'espansione della Roma Repubblicana
e Imperiale fino alle mura aureliane
del
III sec. d.C.
|
Province senatorie e imperiali nella Roma di Augusto, da QUI |
Il Pantheon visto dall'alto. |
Il Pantheon all'interno. |
Dal 26 a.C. - L'imperatore Augusto inaugura una serie di campagne militari, fino all'8 a.C., per occupare tutti i territori alpini della Vindelicia e della Rezia al fine di conquistare la Germania Magna fino all'Elba.
Giulia, Altes Museum di Berlino, di Anagoria - Opera propria, CC BY 3.0, QUI. |
Marco Claudio Marcello di Siren-Com, da QUI. |
- Se Tiberio dovette molto della sua ascesa politica alla madre Livia Drusilla, terza moglie di Augusto, restano indubbie le sue capacità militari di comandante e stratega: rimase imbattuto nel corso di tutte le sue lunghe e frequenti campagne, tanto da divenire, nel corso degli anni, uno dei migliori luogotenenti del patrigno. Data la mancanza di vere e proprie scuole militari che permettessero di fare esperienza, nel 25 a.C. Augusto decise di inviare in Hispania i sedicenni Tiberio e Marcello, in qualità di tribuni militari. Lì i due giovani, che Augusto vedeva come suoi possibili successori, parteciparono alle fasi iniziali della guerra cantabrica, iniziata dallo stesso Augusto nell'anno precedente, e portata a termine, nel 19 a.C., dal generale Marco Vipsanio Agrippa.
Aureo di Augusto del 17/
16 a.C. con il Capricorno,
domicilio di Saturno: QUI
|
Nel 21 a.C. - All'età di 18 anni, Giulia sposa in seconde nozze Marco Vipsanio Agrippa, che aveva ben venticinque anni più di lei. Questo matrimonio tra la figlia di Augusto e il suo più fidato amico e generale, sarebbe stato suggerito anche da Mecenate, che riferendosi alla carriera di Agrippa iniziata in una famiglia di rango modesto, diceva ad Augusto: «Lo hai reso così grande che deve divenire tuo genero o essere ucciso». Al nome di Giulia vennero legati, sin da questo periodo, numerosi adulteri, il primo dei quali con un certo Sempronio Gracco, col quale pare abbia avuto una relazione duratura; altre voci girarono su una passione accesasi nei confronti del fratellastro, il figlio di Livia Drusilla da un precedente matrimonio e futuro imperatore, Tiberio. Gli sposi andarono a vivere in una villa urbana, forse la casa della Farnesina ritrovata nei pressi della moderna Villa Farnesina a Trastevere. Giulia diede ad Agrippa cinque figli: Gaio Vipsanio Agrippa (Gaio Cesare), Vipsania Giulia Agrippina (Giulia minore), Lucio Vipsanio Agrippa (Lucio Cesare), Vipsania Agrippina (Agrippina maggiore) e Marco Vipsanio Agrippa Postumo (Agrippa Postumo, nato dopo la morte del padre). Dal giugno 20 a.C. alla primavera 18 a.C., Agrippa fu governatore della Gallia ed è probabile che Giulia lo abbia seguito nella provincia al di là delle Alpi. Subito dopo il loro arrivo in Gallia nacque Gaio, nel 19 a.C. nacque Giulia minore e dopo il ritorno della coppia in Italia nacque Lucio.
Marco Vipsanio Agrippa al Louvre di Parigi, di Shawn Lipowski QUI. |
Intitolazione ad Agrippa del Pantheon, da QUI. |
Nel 19 a.C. - Vipsanio Agrippa è impiegato sia per sedare alcune rivolte in Gallia Comata e difendersi dai Germani, sia per spegnere definitivamente una nuova rivolta dei Cantabrici in Hispania ed è nominato governatore della Siria una seconda volta nel 17 a.C. Lì la sua amministrazione giusta e a gestione prudente, gli fece guadagnare rispetto e benevolenza, particolarmente della popolazione ebraica. Agrippa inoltre ristabilì un efficace controllo romano sul Chersoneso Cimmerico (l'attuale Crimea) durante il suo governatorato. Tornato dalla Siria, Augusto gli conferì la tribunicia potestas per altri cinque anni. Nicola di Damasco e Giuseppe Flavio riportano che una volta che Giulia stava viaggiando per raggiungere Agrippa durante una campagna militare, un'improvvisa alluvione la colse vicino ad Ilio, causandone quasi la morte. Allora Agrippa, infuriato, decretò una multa di 100.000 dracme per la comunità locale: sebbene la somma fosse molto elevata, nessuno ardì presentare un appello presso Agrippa, finché il re di Giudea, Erode il Grande, non andò personalmente a chiedere il perdono per la città.
Nel 18 a.C. - In occasione del conferimento di sacralità da parte del senato ad Augusto, questi decreta il mese di sestile (che da Augusto prenderà il nome di agosto, così come quintile da Giulio Cesare prenderà il nome di luglio) Feriae Augusti, vacanze di agosto; il nostro Ferragosto.
Nel 16 a.C. - Sebbene Augusto, dopo la campagna in Oriente, avesse ufficialmente dichiarato in senato che avrebbe abbandonato la politica di espansione, ben sapendo che un'estensione territoriale eccessiva sarebbe stata letale per l'imperium romano, decise comunque di attuare altre campagne per rendere sicuri i confini dai Germani. Nel 16 a.C. Tiberio, appena nominato pretore, accompagnò Augusto in Gallia Comata, dove trascorse i tre anni successivi, fino al 13 a.C., per assisterlo nell'organizzazione e governo delle province galliche. Il princeps fu accompagnato dal figliastro anche in una campagna punitiva oltre il Reno, contro le tribù dei Sigambri e dei loro alleati, Tencteri ed Usipeti, che nell'inverno del 17-16 a.C. avevano causato la sconfitta del proconsole Marco Lollio e la parziale distruzione della legio V Alaudae e la perdita delle insegne legionarie. Augusto riteneva fosse giunto il momento di annettere la Germania a Roma, come aveva fatto il suo padre adottivo, Gaio Giulio Cesare, con la Gallia, desiderando spingere i confini dell'Impero romano più ad est, spostandoli dal fiume Reno al fiume Elba. Il motivo era prettamente strategico, più che di natura economica e commerciale; del resto si trattava di territori acquitrinosi e ricoperti da interminabili foreste. Il fiume Elba avrebbe ridotto notevolmente i confini esterni dell'impero, permettendo una migliore distribuzione ed economia di forze lungo il suo tracciato. Questo significava che era necessario operare, parallelamente, sul fronte meridionale, portando i nuovi confini dell'Illirico al medio corso del Danubio. Per conquistare la Germania comunque, era necessario occupare prima i territori alpini della Vindelicia e della Rezia e a tal fine erano mirate le campagne militari iniziate fin dal 26 a.C.
Nerone Claudio Druso, noto come Druso Maggiore, a cui fu assegnato l'appellativo Germanicus, anche per i suoi discendenti, da QUI. |
Nel 15 a.C. - Roma sottomette i territori di Rezia e Vindelicia. Insieme al fratello Tiberio, Druso (maggiore) conduce una campagna militare contro le popolazioni dei Reti, stanziati tra il Norico e la Gallia Comata, e Vindelici. Druso aveva già in precedenza scacciato dal territorio italico i Reti, che si erano resi colpevoli di numerose scorrerie, ma Augusto decise di inviare anche Tiberio, affinché la situazione fosse definitivamente risolta. I due, nel tentativo di accerchiare il nemico attaccandolo su due fronti senza lasciargli vie di fuga, progettarono una grande "operazione a tenaglia" (risultata fondamentale nelle successive campagne germaniche del 12-9 a.C.), che misero in pratica anche grazie all'aiuto dei loro luogotenenti: Tiberio mosse dalla Gallia Comata (da Lugdunum, Lione), passando per l'Elvezia, mentre il fratello minore da Aquileia (nella Gallia cisalpina) e raggiunta Tridentum (Trento), divise l'esercito in due colonne. Una prima colonna percorse la valle dell'Adige e dell'Isarco (alla cui confluenza costruì il Pons Drusi, presso l'attuale Bolzano), risalendo fino all'Inn; la seconda percorse quella che diventerà sotto l'imperatore Claudio la via Claudia Augusta (tracciata pertanto dal padre Druso maggiore) che attraverso la val Venosta ed il passo di Resia, raggiungeva anch'essa il fiume Inn. Tiberio, che avanzava da ovest, sconfisse i Vindelici nei pressi di Basilea e del lago di Costanza. In quel luogo i due eserciti poterono riunirsi e prepararsi a invadere la Vindelicia. Druso nel frattempo aveva sconfitto e sottomesso i popoli dei Breuni e dei Genauni. L'azione congiunta permise ai due fratelli di avanzare fino alle sorgenti del Danubio, dove ottennero l'ultima e definitiva vittoria sui Vindelici. Questi successi permisero ad Augusto di sottomettere le popolazioni dell'arco alpino fino al Danubio e gli valsero una nuova acclamazione imperatoria, mentre Druso maggiore, figliastro prediletto di Augusto, per questa vittoria ottenne gli ornamenta praetoria e il rango pretorio.
L'Impero Romano da Ottaviano
Augusto, in arancione-ocra, fino
alla sua massima estensione
nel 117 d.C.
|
Gaio Cilnio Mecenate, di Cgheyne da QUI. |
Ottaviano Augusto nell' Ara Pacis. |
Nel 12 a.C. - In marzo, quando Giulia è incinta per la quinta volta, mentre si trovava in Campania, Agrippa muore improvvisamente all'età di 51 anni e le sue ceneri trovarono riposo nel Mausoleo di Augusto. Il figlio postumo di Agrippa ricevette il nome del padre, divenendo noto come Agrippa Postumo. Subito dopo la nascita dell'ultimo figlio, Augusto adottò e dichiarò suoi eredi Gaio e Lucio, che entrarono a far parte della gens Iulia, e fece inoltre fidanzare Giulia, prima della fine del lutto, per poi sposarlo, il suo fratellastro Tiberio, allo scopo di legittimarne la successione.
Nell'11 a.C. - Per poter sposare Giulia e perseguire gli interessi politici della famiglia,Tiberio divorzia da Vipsania Agrippina, la figlia di primo letto di Marco Vipsanio Agrippa, che amava profondamente e da cui aspettava un secondo figlio (dopo Druso minore), che lei perse per via dello shock del divorzio.
Nel 10 a.C. - Tiberio sposa dunque Giulia maggiore, figlia dello stesso Augusto e quindi sua sorellastra, vedova di Agrippa. Il sodalizio con Giulia, vissuto dapprima con concordia e amore, si guastò ben presto, dopo la morte del figlio ancora infante che era nato loro ad Aquileia. Il carattere di Tiberio, particolarmente riservato, si contrapponeva inoltre a quello licenzioso di Giulia, circondata da numerosi amanti. Il figlio che ebbero morì durante l'infanzia; alla scarsa opinione che il marito aveva del carattere della moglie, Giulia rispondeva considerando Tiberio non alla sua altezza, lamentandosi di questo fatto persino attraverso una lettera, scritta da Sempronio Gracco e destinata all'imperatore.
Nell' 8 a.C. - Si emana la Lex Iulia maiestatis, con cui per la prima volta viene punita l'offesa alla "maestà" dell'imperatore, in seguito foriera di conseguenze negative per tutto il periodo successivo, soprattutto per i futuri cristiani. Nell' 8 a.C., una volta occupati tutti i territori delle popolazioni germaniche compresi tra i fiumi Reno e Weser, i Sigambri si dimostrarono i più restii a sottomettersi al giogo romano, anche dopo essere stati battuti pesantemente nel corso delle campagne di Tiberio dell'8-7 a.C. insieme ai vicini Suebi, oltre ad essere stati deportati, in parte, in Gallia (Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 21, Tacito, Annales XII, 39, R.Syme, L'aristocrazia Augustea, trad.it., Milano 1993, p.477). Per questi motivi Augusto, una volta ricevutane una loro ambasceria (da parte del loro re Melo), decise con l'inganno di mandare tutti i loro membri in esilio in alcune città della Gallia (nell'8 a.C.). I Sigambri, però, mal sopportando questa situazione di prigionia, si diedero la morte volontariamente, covando un profondo sentimento di rancore verso i Romani.
Immagine del Mandylion, considerata la prima icona di Gesù, da QUI. |
La Turbie e il Trofeo delle Alpi, immagine di Berthold Werner da https://it.wikipedia.org/wiki /Trofeo_delle_Alpi#/media/ File:La_Turbie_BW_1.JPG |
Nel 6 a.C. - Augusto decide di conferire a Tiberio la tribunicia potestas (potestà tribunizia) per 5 anni, che rendeva sacra e inviolabile la persona di Tiberio oltre a conferirgli il diritto di veto. In questo modo Augusto sembrava voler avvicinare a sé il figliastro e poteva inoltre porre un freno all'esuberanza dei giovani nipoti, Gaio e Lucio Cesare, figli di Agrippa e Giulia, che aveva adottato e che apparivano come i favoriti nella successione. Malgrado questo onore, Tiberio decise di ritirarsi dalla vita politica e abbandonare la città di Roma, per andarsene in un volontario esilio sull'isola di Rodi, che lo aveva affascinato fin dai giorni in cui vi era approdato, di ritorno dall'Armenia. Alcuni, come il Grant, sostengono che fosse indignato e sconcertato dalla situazione, altri che sentiva la scarsa considerazione di Augusto nei suoi confronti per essere stato usato quale tutore dei suoi due nipoti, Gaio e Lucio Cesare, gli eredi designati, oltre ad un crescente disagio e disgusto nei confronti della nuova moglie Giulia. Per tutto il periodo della sua permanenza a Rodi (per quasi otto anni), Tiberio mantenne un atteggiamento sobrio e defilato, evitando di porsi al centro dell'attenzione o di prender parte alle vicende politiche dell'isola: se non in un unico caso, infatti, non fece mai uso dei poteri che gli derivavano dalla tribunicia potestas di cui era stato investito.
Nel 2 a.C. - Inaugurazione del tempio di Marte Ultore e del Foro di Augusto, in cui è conferito ad Augusto il titolo onorifico di "Padre della patria". «Molti abusi, particolarmente deprecabili e pericolosi per l'ordine pubblico, sussistevano ancora, o perché divenuti abitudine in seguito ai disordini delle guerre civili, o perché si erano introdotti durante la pace. Così un gran numero di briganti si mostrava in pubblico con un pugnale alla cintura, con il pretesto di difendersi; nella campagna si sequestravano i viaggiatori e si tenevano prigionieri, senza fare distinzione fra liberi e schiavi, nelle celle dei proprietari; si formavano, sotto il titolo di nuovi collegi, moltissime associazioni pronte a compiere insieme ogni sorta di azione criminosa. Augusto represse il brigantaggio collocando posti di guardia nei luoghi opportuni, fece ispezionare tutte le celle e disciolse tutte le associazioni, ad eccezione di quelle legittime e antiche. Fece bruciare le liste dei vecchi debitori dell'erario, fonte principale delle accuse calunniose; in Roma aggiudicò ai proprietari del momento i terreni che, con un diritto discutibile, lo Stato riteneva suoi; soppresse i nomi di coloro che erano perennemente tenuti nella condizione di accusati e dei quali nessuno si lamentava se non i loro nemici con un certo qual sadismo; pose inoltre questa condizione, che se qualcuno avesse voluto nuovamente perseguitare uno di costoro, andasse incontro al rischio di subire la stessa pena. Per fare in modo che nessun delitto restasse impunito e che nessun affare venisse archiviato a furia di ritardi, accordò agli atti forensi più di trenta giorni, che erano consacrati ai giochi onorari. Alle tre decurie di giudici ne aggiunse una quarta, di censo inferiore, chiamata «dei ducenari», con il compito di giudicare intorno a somme inferiori. Mise a ruolo i giudici a trent'anni, vale a dire cinque anni prima del solito. Ma poiché la maggior parte dei cittadini cercava di sottrarsi alle funzioni giudiziarie, concesse che ciascuna decuria, a turno, facesse vacanza per un anno e permise che, contrariamente all'usanza, si interrompessero i lavori in novembre e in dicembre.» (Svetonio, Augusto, 32). Considerando importante conservare la purezza della razza romana, evitando potesse mescolarsi con sangue straniero e servile, Augusto fu molto restio nel concedere la cittadinanza romana, ponendo anche precise regole riguardo all'affrancamento degli schiavi, di cui stabilì il numero, la condizione e la divisione in differenti categorie, per decidere chi potesse essere affrancato.
Denario con
Augusto da QUI.
|
- Nel 2 a.C., Giulia, madre di due eredi di Augusto (Lucio e Gaio) e moglie del terzo (Tiberio), viene arrestata per adulterio e tradimento. Augusto le fa recapitare una lettera a nome di Tiberio in cui il loro matrimonio veniva dichiarato nullo. L'imperatore stesso afferma in pubblico che Giulia era colpevole di aver complottato contro la vita di suo padre. Molti dei complici di Giulia verranno esiliati, tra cui Sempronio Gracco, mentre Iullo Antonio, figlio di Marco Antonio e Fulvia, sarà obbligato a suicidarsi. Anche la liberta Febe, che aveva aiutato Giulia nella congiura, si suicidò. Augusto mostrò di essere a conoscenza da tempo delle manovre dei congiurati, che si incontravano al Foro Romano, come pure della relazione amorosa tra Iullo e Giulia, forse l'unica vera tra tutte quelle attribuite alla figlia dell'imperatore. Giulia rimarrà in esilio a Ventotene per cinque anni, a seguito dell'accusa di adulterio e tradimento mossale dal padre. Augusto tentennò sull'opportunità di mandare a morte la propria figlia, decidendo poi per l'esilio. Giulia fu confinata sull'isola di Pandateria (la moderna Ventotene), dove venne accompagnata dalla madre Scribonia. Le condizioni di vita erano disagevoli: sull'isola, di meno di due chilometri quadrati, non erano ammessi uomini, mentre eventuali visitatori dovevano essere prima autorizzati da Augusto, dopo che l'imperatore fosse stato informato della loro statura, carnagione, segni particolari o cicatrici; inoltre, non era concesso a Giulia di bere vino né alcuna forma di lusso.
Tiberio, dal Museo di Venezia QUI. |
- La successione è stata una delle più grandi preoccupazioni della vita di Augusto, spesso affetto da malattie che avevano fatto più volte temere una sua morte prematura. Il princeps aveva sposato nel 42 a.C. Clodia Pulcra, figliastra di Antonio, ma l'aveva poi ripudiata l'anno successivo (41 a.C.), per sposare prima Scribonia e, poco dopo, Livia Drusilla. Per alcuni anni Augusto sperò di avere come erede il nipote Marco Claudio Marcello, figlio di sua sorella Ottavia, che fece sposare con sua figlia Giulia, nel 25 a.C. Marcello fu così adottato, ma morì ancora in giovanissima età due anni più tardi. Augusto costrinse allora Agrippa a sposare la giovanissima Giulia, scegliendo dunque come successore il fidato amico, cui attribuì l'imperium proconsolare e la tribunicia potestas. Tuttavia anche Agrippa morì prima di Augusto, nel 12 a.C., mentre si distinguevano per le loro imprese Druso (fratello maggiore di Tiberio), favorito dello stesso Augusto, e Tiberio. Dopo la prematura morte di Druso, il princeps diede la figlia Giulia in sposa a Tiberio, ma adottò i figli di Agrippa, Gaio e Lucio Cesare: anch'essi morirono però in giovane età, non senza che si sospettasse un coinvolgimento di Livia Drusilla. Augusto, dunque, non poté che adottare Tiberio, poiché l'unico altro discendente diretto di sesso maschile ancora in vita, il figlio di Agrippa, Agrippa Postumo, appariva brutale e del tutto privo di buone qualità, ed era stato mandato al confino nell'isola di Pianosa. Secondo Svetonio, tuttavia, Augusto, per quanto affezionato al figliastro, ne biasimava spesso alcuni aspetti, ma scelse comunque di adottarlo per più motivi: «[...] E non ignoro nemmeno che, secondo alcuni, [...] acconsentì ad adottarlo solo per le preghiere di sua moglie, e anche spinto dal desiderio di farsi maggiormente rimpiangere, dandosi un simile successore. Non posso però credere che quel principe tanto circospetto e prudente abbia agito alla leggera in un caso di così grande importanza; credo piuttosto che abbia accuratamente pesato le virtù e i vizi di Tiberio e trovato maggiori le virtù, soprattutto tenendo conto che aveva giurato in assemblea di adottarlo nell'interesse dello stato, e che in molte sue lettere lo celebrò come un grande comandante militare e l'unico sostegno del popolo romano. [...]». (Svetonio, Vite dei Cesari, Tiberio, 21; trad. di Felice Dessì, Vite dei Cesare, BUR.)
Nel 9 - Si combatte la battaglia della Foresta di Teutoburgo, clades Variana (la disfatta di Varo) per gli storici romani, tra l'esercito romano guidato da Publio Quintilio Varo e una coalizione di tribù germaniche comandate da Arminio, ufficiale delle truppe ausiliarie di Varo, ma segretamente anche capo dei Cherusci.
Ubicazione della foresta di Teutoburgo, da QUI. |
- Nel 9, dopo aver brillantemente sconfitto i ribelli dalmati, Tiberio torna a Roma, dove decide di posticipare la celebrazione del trionfo che gli era stato tributato in modo tale da rispettare il lutto imposto per la disfatta di Varo. Il popolo avrebbe comunque desiderato che prendesse un soprannome, come Pannonico, Invitto o Pio, che ricordasse le sue grandi imprese; Augusto, tuttavia, respinge le richieste rispondendo che un giorno avrebbe preso anch'egli l'appellativo di Augusto, e quindi lo invia sul Reno, per evitare che il nemico germanico attaccasse la Gallia e che le province appena pacificate potessero rivoltarsi nuovamente ancora una volta in cerca dell'indipendenza. Giunto in Germania, Tiberio poté constatare la gravità della disfatta di Varo e delle sue conseguenze, che impedivano di progettare una nuova riconquista delle terre che andavano fino all'Elba. Adottò, dunque, una condotta particolarmente prudente, prendendo ogni decisione assieme al consiglio di guerra ed evitando di far ricorso, per la trasmissione di messaggi, a uomini del luogo come interpreti; sceglieva allo stesso modo con cura i luoghi in cui erigere gli accampamenti, in modo tale da fugare qualsiasi pericolo di rimanere vittima di una nuova imboscata; mantenne, infine, tra i legionari una disciplina ferrea, punendo in modo estremamente rigoroso tutti coloro che trasgredivano i suoi rigidi ordini. In questo modo poté ottenere numerose vittorie e confermare il confine lungo il fiume Reno, mantenendo fedeli a Roma i popoli germanici, tra cui Batavi, Frisi e Cauci, che abitavano quei luoghi.
- Nel 14 Tiberio, divenuto imperatore, toglie a Giulia le sue rendite, ordinando che sia confinata in una sola stanza e che le venga tolta ogni compagnia umana. Giulia morirà poco dopo. La morte potrebbe essere stata causata dalla malnutrizione, se Tiberio la volle morta come ritorsione per aver disonorato il loro matrimonio; è anche possibile che Giulia si sia lasciata morire dopo aver saputo dell'assassinio del suo ultimo figlio, Agrippa Postumo.
Germanico Giulio Cesare, figlio di Druso, da QUI. |
Nel 19 - Muore Germanico (il cui padre era Druso maggiore, fratello di Tiberio e figlio della terza moglie di Augusto, Livia Drusilla e la madre era Antonia Minore, figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Augusto, per cui attraverso la gens Iulia, Germanico era proclamato discendente di Venere ed Enea) e per il popolo il mandante di quella morte è Tiberio. Fin dall'inizio del suo principato, Tiberio si era trovato a dover convivere con l'incredibile prestigio che Germanico, il figlio di suo fratello Druso maggiore, che egli stesso aveva adottato per ordine di Augusto, andava acquisendo presso tutto il popolo di Roma. Quando questi ebbe portato a termine le sue campagne sul fronte settentrionale, dove si era guadagnato la stima dei suoi collaboratori e dei legionari, riuscendo a recuperare due delle tre Aquile legionarie perdute nella battaglia di Teutoburgo, la sua popolarità era tale da consentirgli, se avesse voluto, di prendere il potere scacciando il padre adottivo Tiberio, che in alcuni contesti era già malvisto poiché la sua ascesa al principato era stata segnata dalla morte di tutti gli altri parenti che Augusto aveva indicato come eredi. Il risentimento spinse quindi Tiberio ad affidare al figlio adottivo uno speciale compito in Oriente, in modo da allontanarlo ulteriormente da Roma; il Senato decise di conseguenza di conferire al giovane l'imperium proconsulare maius su tutte le province orientali. Tiberio, tuttavia, non aveva fiducia in Germanico, che in Oriente si sarebbe trovato lontano da qualsiasi controllo ed esposto alle influenze dell'intraprendente moglie Agrippina maggiore, e decise dunque di affiancargli un uomo di sua fiducia: la scelta di Tiberio ricadde su Gneo Calpurnio Pisone, che era stato collega nel consolato dello stesso Tiberio nel 7 a.C., aspro e inflessibile. Germanico, dunque, partì nel 18 verso l'Oriente assieme a Pisone, che fu nominato governatore della provincia di Siria. Germanico, tornato in Siria nel 19 dopo aver soggiornato in Egitto durante l'inverno, entrò in aperto conflitto con Pisone, che aveva annullato tutti i provvedimenti che il giovane figliastro di Tiberio aveva preso; Pisone, in risposta, decise di lasciare la provincia per fare ritorno a Roma. Poco dopo la partenza di Pisone, Germanico cadde malato ad Antiochia e morì il 10 ottobre dopo lunghe sofferenze; prima di spirare, lo stesso Germanico confessò la propria convinzione di essere stato avvelenato da Pisone, e rivolse un'ultima preghiera ad Agrippina affinché vendicasse la sua morte. Officiati i funerali, dunque, Agrippina tornò con le ceneri del marito a Roma, dove grandissimo era il compianto di tutto il popolo per il defunto. Tiberio, tuttavia, evitò di manifestare pubblicamente i suoi sentimenti, e non partecipò neppure alla cerimonia in cui le ceneri di Germanico furono riposte nel mausoleo di Augusto. In effetti Germanico potrebbe essere deceduto di morte naturale, ma la popolarità crescente enfatizzò molto l'avvenimento, che comunque è anche ingigantito dallo storico Tacito. Subito, però, si manifestò il sospetto, alimentato dalle parole pronunciate da Germanico morente, che fosse stato Pisone a causarne la morte avvelenandolo. Si diffuse dunque anche la voce di un coinvolgimento dello stesso Tiberio, quasi fosse il mandante del delitto di Germanico, avendo lo stesso scelto personalmente di inviare Pisone in Siria: quando dunque lo stesso Pisone fu processato, accusato anche di aver commesso numerosi reati in precedenza, l'imperatore tenne un discorso particolarmente moderato, in cui evitò di schierarsi a favore o contro la condanna del governatore. A Pisone non poté comunque essere imputata l'accusa di veneficio, che appariva, anche agli accusatori, impossibile da dimostrare; il governatore, tuttavia, certo di dover essere condannato per gli altri reati che aveva commesso, decise di suicidarsi prima che venisse emesso un verdetto. La popolarità di Tiberio, dunque, uscì danneggiata dall'episodio, proprio perché Germanico era molto amato. Tacito scrisse così di lui, decenni dopo la sua morte: «[Germanico] ...giovane, aveva sentimenti liberali e una straordinaria affabilità, che contrastava con il linguaggio e l'atteggiamento di Tiberio, sempre arroganti e misteriosi...» (Tacito, Annales, I, 33). I due, infatti, avevano modi di fare particolarmente contrastanti: Tiberio si distingueva per la freddezza, la riservatezza e il pragmatismo, Germanico per la sua popolarità, la semplicità e il fascino.
- La morte di Germanico apriva la strada per la successione dell'unico figlio naturale di Tiberio, Druso, che aveva, fino a quel momento, accettato un ruolo secondario rispetto al cugino Germanico. Egli era soltanto di un anno più giovane del defunto, ma ugualmente abile, come risulta dal modo con cui fronteggiò la rivolta in Pannonia. Intanto, Lucio Elio Seiano, nominato prefetto del Pretorio insieme al padre nel 16, riuscì presto a conquistarsi la fiducia di Tiberio. Accanto a Druso, dunque, favorito per la successione, si andò a collocare anche la figura di Seiano, che acquisì un grande influsso sull'opera di Tiberio: il prefetto del Pretorio, infatti, che mostrava nel carattere una riservatezza del tutto simile a quella dell'imperatore, era invece animato da un forte desiderio di potere, e ambiva lui stesso a divenire il successore di Tiberio. Seiano vide inoltre crescere enormemente il suo potere quando le nove coorti pretoriane furono raggruppate nella stessa città di Roma, presso la Porta Viminalis. Tra Druso e Seiano si venne quindi a creare una situazione di aperta rivalità; il prefetto, allora, iniziò a meditare l'ipotesi di assassinare Druso e gli altri possibili successori di Tiberio, sedusse quindi la moglie dello stesso Druso, Claudia Livilla e intraprese con lei una relazione. Poco tempo dopo, nel 23, lo stesso Druso morì avvelenato; l'opinione pubblica arrivò a sospettare, pur senza alcun fondamento, che potesse essere stato Tiberio a ordinare l'assassinio di Druso, ma appariva più verosimile che vi fosse stata coinvolta Claudia Livilla. Otto anni più tardi Tiberio verrà a sapere che ad uccidere il figlio era stata proprio la nuora Livilla, insieme al suo più fidato consigliere, Seiano.
Nel 26 - Cornelio Tacito scrive dei Sigambri a proposito della guerra contro i Traci del 26, condotta da un certo Gaio Poppeo Sabino (console del 9). Sembra che in quella circostanza una loro coorte ausiliaria prese parte alla guerra dell'area balcanica (Tacito, Annales IV, 47), dopodicché i Sigambri non sono più menzionati. Ciò potrebbe significare che si fusero nella federazione di genti germaniche dei Franchi, costituitasi a ridosso del limes della Germania inferiore al principio del III secolo d.C.. A partire dalle campagne di Druso, (Nerone Claudio Druso, 39 - 9 a.C., conosciuto come Druso maggiore, militare e politico romano appartenente alla dinastia giulio-claudia in quanto figlio della terza moglie di Augusto, Livia Drusilla) la popolazione dei Sigambri aveva cominciato a fornire truppe ausiliarie all'interno dell'esercito romano. Sono citate le seguenti unità: I Claudia Sugambrorum tironum veterana, che fu prima in Mesia sotto Vespasiano (nel 77), poi in Mesia inferiore sotto Domiziano (nel 91), Nerva (nel 96-98) ed ancora sotto Antonino Pio nel 139 e nel 145. La troviamo in Siria nel 157; della II e III Sugambrorum se ne ipotizza l'esistenza in base alla presenza della IV; la IV Sugambrorum si trovava in Mauretania Caesariensis sotto Traiano nel 108. Il termine Sigambro rimase per indicare un guerriero valoroso. Secondo la tradizione il vescovo Remigio di Reims, nel battezzare Clodoveo I usò la seguente formula: "Fiero Sigambro, brucia ciò che hai adorato e adora ciò che hai bruciato!". Da "Il Santo Graal" di Michael Baigent, Richard Leigh, Henri Lincoln - 1982 Arnoldo Mondadori Editore: "I Franchi Sicambri erano gli antenati dei Merovingi che discendevano, attraverso l'Arcadia, dalla tribù di Beniamino".
- Nel 26 Tiberio si ritrova ancora una volta, all'età di 64 anni, privo di un erede, poiché i gemelli di Druso, nati nel 19, erano troppo giovani e uno di loro era morto poco dopo il padre. Scelse allora di proporre come suoi successori i giovani figli di Germanico, che erano stati adottati da Druso e che Tiberio pose sotto la tutela dei senatori. Seiano ebbe, allora, un potere sempre maggiore, tanto da poter sperare di divenire imperatore egli stesso dopo la morte di Tiberio e iniziò una serie di persecuzioni prima contro i figli e la moglie di Germanico, Agrippina, poi verso gli amici dello stesso Germanico; molti di loro furono infatti costretti all'esilio o scelsero di darsi la morte per evitare una condanna. Tiberio, addolorato per la morte del figlio ed esasperato per l'ostilità del popolo di Roma, nel 26 decise di ritirarsi prima in Campania e l'anno successivo a Capri su consiglio dello stesso Seiano, per non fare mai più ritorno nell'Urbe. Egli aveva già sessantasette anni e sembra che il piano di allontanarsi da Roma lo accarezzasse già da diverso tempo. Si racconta che dopo aver visto il figlio morire agonizzante, avesse parlato di abdicare. Non poteva più sopportare di vedere intorno a sé gente che gli ricordava Druso, senza dimenticare che la vicinanza della madre Livia era divenuta per lui insopportabile. Una malattia che gli sfigurava il viso ne aveva, infine, aumentato la sucettibilità e l'ombrosità del carattere. Ma il suo ritiro fu un errore molto grave, sebbene Tiberio non avesse diminuito la cura con cui affrontava i problemi dell'Impero dalla villa di Capri. Il prefetto del pretorio, intanto, godendo della totale fiducia dell'imperatore, prese il controllo di tutte le attività politiche, divenendo rappresentante incontrastato del potere imperiale. Egli era riuscito, inoltre, a convincere il princeps a concentrare tutte le nove coorti pretorie, in precedenza distribuite tra Roma e altre città italiche, nell'Urbe, (all'interno dei Castra Praetoria) a sua totale disposizione, ora che Tiberio aveva lasciato Roma. Tiberio, invece, si impegnò a mantenersi informato sulla vita politica di Roma, e riceveva regolarmente missive che lo informavano delle discussioni intraprese in senato; egli stesso, grazie all'istituzione di un vero e proprio servizio postale, poteva esprimere il proprio parere, ed era anche in grado di impartire ordini ai suoi emissari nell'Urbe. L'allontanamento di Tiberio da Roma, portò comunque a una progressiva esautorazione del senato a tutto vantaggio di Seiano. Il prefetto del pretorio, infatti, iniziò a perseguitare i propri oppositori accusandoli di lesa maestà ed eliminandoli, dunque, dalla scena politica; grande credito acquisirono i delatori, ovvero coloro che fungevano da accusatori, e permettevano la condanna dell'imputato. Una tale situazione portò alla creazione di un clima di generale sospetto, che, a sua volta, fomentò ulteriormente le voci sui coinvolgimenti dell'imperatore nei numerosi processi politici intentati da Seiano e dai suoi collaboratori.
Nel 29 - Quando Livia Drusilla, che con il suo carattere autoritario aveva sempre influenzato il governo, muore all'età di ottantasei anni, il figlio Tiberio si rifiuta di far ritorno a Roma per le esequie e ne proibisce la divinizzazione. Seiano, allora, poté procedere indisturbato in una serie di azioni contro Agrippina maggiore e il suo figlio primogenito Nerone: contro il giovane furono riversate numerose accuse infamanti, tra cui quelle di omosessualità e di tentata sovversione, ed egli fu dunque condannato al confino sull'isola di Ponza, dove morì nel 30 patendo la fame. Agrippina, invece, accusata di adulterio, fu deportata nell'isola Pandataria dove morì nel 33. Nei progetti di Seiano rientrava appunto il proposito di assicurarsi la successione nel ruolo di imperatore. Eliminati i discendenti diretti di Tiberio, il prefetto era ormai l'unico candidato alla successione: dopo aver già tentato inutilmente di imparentarsi con la famiglia imperiale sposando la vedova di Druso minore, Claudia Livilla, iniziò ad aspirare al conferimento della tribunicia potestas, che avrebbe formalmente sancito la sua successiva nomina ad imperatore, rendendo la sua persona sacra e inviolabile, e ottenne, intanto, nel 31 il consolato assieme allo stesso Tiberio. Contemporaneamente, però, la vedova di Druso maggiore, Antonia minore, facendosi portavoce dei sentimenti di gran parte della classe senatoriale, comunicò in una lettera a Tiberio tutti gli intrighi e i fatti di sangue di cui Seiano, che stava ordendo una cospirazione ai danni dello stesso imperatore, era responsabile; Tiberio, allertato decise allora di destituire il potente prefetto, e organizzò un'abile manovra con l'aiuto del prefetto dell'Urbe Macrone. Per non destare sospetti, l'imperatore nominò Seiano pontefice, promettendo di conferirgli al più presto la tribunicia potestas; contemporaneamente, però, lasciò anticipatamente la carica di console, costringendo così anche il collega a rinunciarvi. Il 17 ottobre del 31, infine, Tiberio, nominando segretamente il prefetto dell'Urbe prefetto del pretorio e capo delle coorti urbane, lo inviò a Roma con l'ordine di accordarsi con Grecinio Lacone, prefetto dei Vigiles, e col nuovo console designato Publio Memmio Regolo, affinché convocasse per il giorno successivo il Senato nel tempio di Apollo sul Palatino. In tal modo Tiberio, garantendosi il sostegno delle coorti urbane e dei vigili, si era premunito contro un'eventuale reazione dei pretoriani in favore di Seiano. Quando Seiano giunse in Senato, venne informato da Macrone dell'arrivo di una lettera di Tiberio annunciante il conferimento della potestà tribunizia. Così, mentre questi prendeva giubilante il proprio posto tra i senatori, Macrone, rimasto fuori dal tempio, allontanò i pretoriani di guardia facendoli sostituire dai vigili di Lacone. Poi, consegnata la lettera di Tiberio al console perché la leggesse al Senato, raggiunse i castra praetoria per annunciare la propria nomina a prefetto del pretorio. Nella lettera, volutamente molto lunga e vaga, Tiberio trattava di vari argomenti, di tanto in tanto intessendo le lodi di Seiano, a volte muovendogli qualche critica; solo alla fine, l'imperatore accusava all'improvviso il prefetto di tradimento, ordinandone la destituzione e l'arresto. Seiano, sbigottito per l'inatteso voltafaccia venne immediatamente condotto via in catene dai vigiles e poco dopo sommariamente processato dal Senato riunito nel tempio della Concordia: fu condannato a morte e alla damnatio memoriae. La sentenza venne eseguita nella stessa notte nel Carcere Mamertino per strangolamento, e il corpo esanime del prefetto fu poi lasciato al popolo, che ne fece scempio trascinandolo per le strade dell'Urbe. A seguito dei provvedimenti che Seiano aveva preso contro Agrippina e la famiglia di Germanico infatti, la plebe aveva sviluppato una forte avversione nei confronti del prefetto. Il Senato dichiarò il 18 ottobre festa pubblica, ordinando l'innalzamento di una statua alla Libertas con la seguente dedica: «Alla salute perpetua di Augusto e alla Libertà del popolo romano, per la Provvidenza di Tiberio Cesare, figlio di Augusto, per l'eternità della gloria di Roma, [essendo stato] eliminato il pericolosissimo nemico.». Pochi giorni più tardi furono brutalmente strangolati nel Carcere Mamertino i tre giovani figli del prefetto; la sua ex-moglie, Apicata, si suicidò dopo aver inviato una lettera a Tiberio rivelando le colpe di Seiano e Claudia Livilla in occasione della morte di Druso minore. Livilla fu dunque processata e, per evitare una sicura condanna, si lasciò morire di fame. Alla morte di Seiano e dei suoi familiari seguirono poi una serie di processi contro gli amici e i collaboratori del defunto prefetto, che furono condannati a morte o costretti al suicidio. Con la caduta di Seiano si riapriva la questione della successione.
Nel 31 - La corte imperiale va riducendosi in numero poiché Tiberio, temendo di essere al centro di continue congiure, ordina spesso esecuzioni sommarie. Quando anche Seiano è sospettato di voler aspirare al trono imperiale, Caligola entra in maniera più attiva nella vita di corte. Poco dopo la caduta di Seiano (nel 31), si riapre la questione della successione. Ed è in questa circostanza che Tiberio, ormai ritiratosi a Capri dal 26, vuole che a fargli compagnia sia il nipote Caligola. Giunto sull'isola, Gaio ricevette la toga virilis, senza che però gli fosse riservato alcun onore aggiuntivo. Il ragazzo, durante il soggiorno sull'isola, mostrò grande autocontrollo e sembrò dimenticare tutte le crudeltà che Tiberio aveva compiuto nei confronti della sua famiglia. In questa occasione l'oratore Passieno pronunciò la celebre frase: «Non c'è mai stato un servo migliore e un padrone peggiore». Svetonio racconta che, già in questo periodo, Gaio mostrò i primi segnali della sua natura crudele e viziosa, assistendo spesso e volentieri alle esecuzioni capitali, oltre a frequentare taverne e bordelli, mascherandosi per non farsi riconoscere. Tiberio che conosceva i vizi del nipote, ne tollerava la condotta e che in lui cercava la sua vendetta personale nei confronti del popolo romano, che ormai lo odiava, tanto da fargli pronunciare la frase: «Gaio vive per la rovina sua e di tutti; io educo una vipera per il popolo romano, un Fetonte per il mondo».
Nel 35 - Tiberio deposita il suo testamento in cui include il nipote Tiberio Gemello, figlio di Druso minore (nato come Nerone Claudio Druso, figlio di Tiberio Claudio Nerone e Vipsania Agrippina) e il nipote collaterale Gaio (Caligola), figlio di Germanico. Restava dunque escluso dal testamento il fratello dello stesso Germanico, Claudio, che era considerato del tutto inadatto al ruolo di princeps, in quanto debole di corpo e di dubbia sanità mentale, ma che diverrà in seguito imperatore. Il favorito nella successione apparve subito il giovane Gaio (figlio di Germanico) di venticinque anni, meglio noto come Caligola, poiché Tiberio Gemello, peraltro sospettato di essere in realtà figlio di Seiano (per le relazioni adulterine di questi con la moglie di Druso minore, Claudia Livilla), aveva dieci anni di meno, due ragioni sufficienti per non lasciargli il Principato. Il prefetto del pretorio Macrone, infatti, dimostrò subito la sua simpatia per Gaio, guadagnandosene con ogni mezzo la fiducia.
- Nel 35, in un’antica cronaca attribuita a Flavio Lucio Destro, senatore romano e prefetto del pretorio dell’Impero Romano d’Occidente, morto nella prima metà del V secolo, troviamo una notizia importante: “Gli ebrei di Gerusalemme, scagliatisi con violenza contro i beati Lazzaro, Maddalena, Marta, Marcella, Massimo, il nobile Giuseppe d’Arimatea e numerosi altri, li caricano su di una nave senza remi, né vele, né timone e li mandano in esilio. Ed essi guidati, attraverso il mare da una forza divina, raggiungono incolumi il porto di Marsiglia”. Anche il vescovo Equilino racconta lo stesso episodio che ancora oggi è molto noto nella Provenza in Francia.
Giotto - Barca con i santi che giunge in Francia. |
Gesù e Maria Maddalena da: http://www.prieure-de- sion.com/1/sang_real _1014525.html |
Nel 37 - Tiberio, ormai 77enne, lascia Capri forse con l'idea di rientrare finalmente in Roma per trascorrervi i suoi ultimi giorni; intimorito però dalle reazioni che il popolo avrebbe avuto, si ferma a sole sette miglia dall'Urbe e decide di tornare indietro verso la Campania. Qui è colto da malore e, trasportato nella villa di Lucullo a Miseno, dopo un iniziale miglioramento, il 16 marzo cade in uno stato di delirio in cui è creduto morto. Mentre molti già si apprestavano a festeggiare l'ascesa di Caligola, Tiberio si riprende ancora una volta, suscitando scompiglio tra coloro che avevano già acclamato il nuovo imperatore. Il prefetto Macrone, tuttavia, mantenendo la lucidità, ordina che Tiberio sia soffocato tra le coperte: era il 16 marzo del 37. Il vecchio imperatore, debole e incapace di reagire, spira. La plebe romana reagì con grande gioia alla notizia della morte di Tiberio, festeggiandone la scomparsa. Molti monumenti che celebravano le imprese dell'imperatore furono distrutti, così come numerose statue che lo raffiguravano. In molti tentarono di far cremare il corpo di Tiberio a Miseno, ma fu comunque possibile trasportarlo a Roma, dove fu cremato nel Campo Marzio e sepolto, tra le ingiurie, nel Mausoleo di Augusto il 4 aprile, presidiato dai pretoriani. Mentre l'imperatore defunto riceveva queste modeste onoranze funebri il 29 marzo, Caligola era già stato acclamato princeps dal senato.
Gaio Cesare Caligola da QUI. |
Caliga, da QUI. |
- Nell'ottobre del 37, l'imperatore Caligola è colpito da una grave malattia, notizia che turberà profondamente il popolo romano che farà voti per la salvezza del proprio princeps; Svetonio e Cassio Dione riportano il caso di un cavaliere, Atanio Secondo, che promise di combattere nell'arena come gladiatore in caso di sua guarigione: egli mantenne la promessa, combattendo, vincendo lo scontro e salvandosi la vita. Al contrario, un plebeo che fece un'identica promessa, in seguito alla guarigione di Gaio, pretese di sciogliere il voto, ma venne arrestato e morì dopo essere stato gettato dalle mura serviane. Caligola si riprese dalla malattia, anche se da questo momento in poi vi fu un netto peggioramento della sua condotta morale. Sulla malattia e sulle cause gli storici non concordano, ma tutti considerano questo evento come lo spartiacque tra il suo primo periodo di governo e il successivo, caratterizzato da una condotta folle. Osserva Filone di Alessandria: «[...] non passò molto tempo e l'uomo che era stato considerato benefattore e salvatore [...] si trasformò in essere selvaggio o piuttosto mise a nudo il carattere bestiale che aveva nascosto sotto una finta maschera» (Filone di Alessandria, De Legatione ad Gaium, 22). Per Filone, Dio si servì di Caligola, trasformandolo dopo la malattia da ottimo principe e fortunato erede di Tiberio in un pazzo carnefice destinato a compiere la vendetta divina contro i giudei e i romani, quella stessa che avrebbe poi punito il suo persecutore, liberando alla fine gli stessi israeliti. La malattia fu attribuita agli eccessi compiuti all'inizio del principato; in particolare Giovenale e Svetonio indicano come causa della pazzia di Caligola l'aver usato un afrodisiaco (poculum amatorium) a lui offerto dalla moglie Milonia Cesonia. Sono state ipotizzate dagli studiosi moderni, come cause degli sbalzi d'umore, delle allucinazioni, dell'insonnia e delle paranoie di cui soffriva l'imperatore, disturbi mentali veri e propri (schizofrenia, disturbo bipolare o altri), patologie come l'epilessia, l'ipertiroidismo (es. tiroidite di Hashimoto), l'encefalite erpetica, la neurosifilide e il saturnismo. In generale la politica giudiziaria di Caligola si può dividere in due periodi: il primo, molto liberale e filo-popolare, nel quale egli cercò anche il favore dell'ordine senatorio; il secondo, nel quale il princeps fece di tutto per accrescere il proprio potere, in una sorta di assolutismo monarchico, che egli sfruttò per accumulare ricchezze e per disporre del destino dei cittadini romani a suo piacimento, fino a nominare senatore, nel 41 d.c., Incitatus , il suo cavallo. L'imperatore massacrerà infatti numerosi oppositori interni e non risparmierà critiche nei confronti del Senato. Dato che l'ordine equestre si stava riducendo di numero, convocò da tutto l'impero, anche al di fuori d'Italia, gli uomini più importanti per stirpe e ricchezza e li iscrisse all'ordine; ad alcuni di loro, per assecondare l'aspettativa di diventare senatori, concesse di vestire l'abito senatoriale ancor prima di aver assunto cariche in quelle magistrature che davano accesso al Senato. Cercò di ristabilire, almeno formalmente, i poteri delle assemblee popolari, permettendo alla plebe di convocare nuovamente i comizi. Il fatto che Caligola appartenesse a una famiglia di importanti comandanti militari che si erano guadagnati gloria e onore con imprese belliche potrebbe aver destato in lui il desiderio di emularne le gesta. Se Druso maggiore, il nonno paterno, e Germanico, il padre, si erano concentrati in Germania, egli, per superare le loro gesta, credette di dover non solo conquistare in modo definitivo i territori compresi tra Danubio e Reno, ma anche varcare l'oceano e sbarcare in Britannia. A tal scopo, per prima cosa creò due nuove legioni, la XV Primigenia e la XXII Primigenia. Caligola assunse, subito dopo la malattia, atteggiamenti autocratici e provocatori. Fu accusato, infatti, di giacere con le mogli di importanti esponenti dell'aristocrazia romana e di vantarsene; di uccidere per puro divertimento; di dilapidare deliberatamente il patrimonio statale e di aver ordinato l'erezione di una statua colossale nel Tempio di Gerusalemme, sfidando le usanze religiose dei Giudei. Egli, al contrario, si rese popolarissimo con laute elargizioni alla plebe e costosi giochi circensi, ma anche il popolo gli si rivoltò contro quando alzò nuovamente le tasse. Se gli imperatori prima di lui avevano scelto, almeno nella parte occidentale dell'impero, di mantenere i legami con le tradizioni repubblicane, egli virò sensibilmente verso Oriente: non solo aveva in mente di trasferire la capitale imperiale ad Alessandria d'Egitto (come voleva il suo bisnonno Marco Antonio), ma anche di instaurare una forma di monarchia assoluta, a quel tempo ancora sconosciuta in Italia ma che di fatto fu posta in atto da Domiziano, Commodo e da tutti gli imperatori romani dal III secolo in poi. Adottò, pertanto, una politica volta a diventare un sovrano a cui si rendevano onori divini sul modello delle monarchie orientali, esasperando il noto processo di divinizzazione degli imperatori defunti. La sua inclinazione filo-ellenista gli fece, infine, programmare un lungo viaggio ad Alessandria, in Asia minore e Siria.
- Ad Anzio il 15 dicembre 37, da Agrippina Minore (figlia dell'acclamato condottiero Germanico e sorella dell'imperatore Caligola) e Gneo Domizio Enobarbo, nasce Lucio Domizio Enobarbo, il futuro imperatore Nerone, discendente diretto di Augusto e della Gens Giulia (dal lato materno e anche dal lato paterno, dato che il padre era un pronipote di Augusto tramite la sorella di quest'ultimo, Ottavia), e della famiglia di Tiberio, la Gens Claudia. Il padre apparteneva alla famiglia dei Domizi Enobarbi, una stirpe considerata di "nobiltà plebea", (cioè recente), mentre la madre era figlia dell'acclamato condottiero Germanico, nipote di Marco Antonio, di Agrippa e di Augusto, nonché sorella dell'imperatore Caligola che quindi era suo zio materno.
Nel 39 - Lasciata Roma all'inizio di settembre del 39, Caligola conduce il suo esercito lungo il Reno, ammassandovi numerose legioni, insieme ai relativi reparti ausiliari e un ingente quantitativo di vettovagliamenti. A ottobre, dopo aver passato in rassegna le truppe, fa uccidere Gneo Cornelio Lentulo Getulico, che era stato il governatore della Germania superiore per dieci anni, poiché ne invidiava l'ottimo rapporto che aveva con le proprie truppe. La sua impresa risultò quasi del tutto inutile, se non per il fatto che Adminio, figlio di Cunobelino re dei Britanni, scacciato dal padre, giunse nell'accampamento dell'imperatore e fece atto di sottomissione. Caligola rimase sul Reno senza però portare a termine alcuna operazione militare e rimproverò ai senatori di vivere tra i lussi mentre lui rischiava la vita in battaglia. Decise quindi di muovere le truppe verso l'Oceano, portando con sé numerose macchine da guerra. Ordinò ai suoi uomini di togliersi l'elmo e raccogliere le conchiglie sulla spiaggia, quasi fosse il bottino di una battaglia vinta contro il mare. Fece, infine, costruire in quel luogo una grande torre in memoria delle sue imprese vittoriose ed elargì ricompense ai suoi soldati. Gli storici moderni hanno avanzato alcune teorie per spiegare questo genere di azioni: il viaggio verso la Manica viene interpretato come un'esercitazione, una missione di esplorazione oppure per accettare la resa del capo britannico Adminio. Le "conchiglie" (in latino conchae) di cui racconta Svetonio, potrebbero rappresentare invece una metafora dei genitali femminili, in quanto alle truppe fu probabilmente concesso di frequentare i bordelli della zona; oppure i9ndicherebbero imbarcazioni britanne, che i soldati potrebbero aver catturato durante la breve spedizione.
- Nel 39 Caligola fa giustiziare Lepido ed esilia le proprie sorelle Agrippina minore (madre di Nerone) e Giulia Livilla. Lepido era figlio del console Marco Emilio Lepido e Vipsania Marcella, quindi fratello di Emilia Lepida (moglie di Druso Cesare), nipote di Marco Vipsanio Agrippa e bisnipote di Lucio Emilio Lepido Paolo (console nel 50 a.C. e fratello del triumviro Marco Emilio Lepido). Lepido sposò la sorella di Caligola, Drusilla, nel novembre o dicembre del 37. Drusilla, tuttavia, era già sposata con il console Lucio Cassio Longino dal 33, ma l'imperatore costrinse suo cognato a ripudiarla per poterle far sposare Lepido. A causa di ciò, Lepido divenne un amico intimo di Caligola e della sua famiglia. Dopo la morte di Tiberio Gemello nel 37, Lepido fu pubblicamente scelto da Caligola come suo erede. Alla fine del 38, quando fu arrestato il governatore dell'Egitto Aulo Avilio Flacco, Lepido persuase con successo Caligola ad esiliare Flacco ad Andros piuttosto che a Gyarus. Nel 39, tuttavia, Caligola rese pubbliche le epistole delle sorelle Agrippina minore e Giulia Livilla, nelle quali si rivelavano la loro relazione adulterina con Lepido e un complotto contro l'imperatore, a causa di ciò Lepido fu giustiziato nel 39 e le sorelle di Caligola furono esiliate. Agrippina ricevette le ossa di Lepido in un'urna e le portò a Roma, mentre Caligola inviò tre pugnali al Foro di Augusto per celebrarne la morte. Vespasiano fece una mozione in Senato, per decidere se gettare via i resti di Lepido invece che seppellirli, approvata dai senatori, i quali non concessero a Lepido una degna sepoltura. Agrippina Minore (figlia dell'acclamato condottiero Germanico e sorella dell'imperatore Caligola) madre di Lucio Domizio Enobarbo (il futuro imperatore Nerone), amante del potere e descritta da molti come spietatamente ambiziosa, è quindi scoperta coinvolta in una congiura contro il fratello Caligola e viene quindi mandata in esilio nell'isola di Pandataria nel mar Tirreno, nell'arcipelago pontino. In quegli anni il piccolo Lucio visse con la zia Domizia Lepida, che egli amò più della madre e dalla quale avrebbe imparato l'amore per lo spettacolo e per la danza. L'anno seguente il marito di lei, Gneo, morì e il suo patrimonio venne confiscato da Caligola stesso. Rimanendo la zia in una ristretta condizione economica, in questi primi anni i precettori di Nerone sono un barbiere ed un ballerino, che aiutano anch'essi Lucio a coltivare l'amore per le arti e la danza.
Nel 40 - La Mauretania era ormai da lungo tempo un regno cliente fedele a Roma, governato da Tolomeo di Mauretania, discendente di Antonio e Cleopatra e cugino di secondo grado del principe. Nel 40 Caligola invita Tolomeo a Roma e «quando venne a sapere che era ricco», lo manda a morte. Dopo l'uccisione del re di Mauritania scoppiò una rivolta guidata da un suo liberto, Edemone, che amministrava gli affari reali già dal 37, e che ebbe termine grazie all'intervento militare romano di Marco Licinio Crasso Frugi (nel 41). La Mauretania fu quindi annessa e successivamente divisa in due province, Mauretania Tingitana e Mauretania Cesariensis, separate dal fiume Mulucha (oggi Muluia). Se Plinio sostiene che la divisione fu operata da Caligola, Cassio Dione al contrario afferma che solo in seguito alla rivolta del 42, soffocata nel sangue dalle truppe romane poste sotto il comando di Gaio Svetonio Paolino e Gneo Osidio Geta, fu operata la scissione in due province indipendenti; questa confusione potrebbe essere stata generata dal fatto che fu Caligola a prendere la decisione di dividere la provincia, ma che la sua realizzazione venne rinviata a causa della successiva ribellione. Nel 40 Caligola inizia inoltre una politica molto controversa di affiancamento del titolo di principe al ruolo di divinità: inizia infatti ad apparire in pubblico vestito come i dei e semidei del pantheon romano, quali Ercole, Venere e Apollo ed inizia a riferirsi a sé stesso come dio, facendosi chiamare Giove nelle cerimonie pubbliche. Caligola cominciò a farsi adorare dai cittadini di Roma, compresi i senatori, come un dio vivente. Per quello che riguarda il rapporto con i suoi consanguinei, Caligola preferì ricevere la nonna Antonia non in privato ma alla presenza del prefetto del pretorio Macrone; successivamente secondo alcune fonti, la fece uccidere avvelenandola. Svetonio riporta che Antonia morì per una malattia causata dal trattamento ostile da parte di Caligola, anche se aggiunge che ci sono voci che sostengono che venne fatta avvelenare dal nipote, mentre secondo Dione Cassio Caligola la fece suicidare perché lo rimproverava. Fece uccidere anche il cugino Tiberio Gemello accusandolo falsamente di aver attentato alla sua vita e liberandosi così di questo scomodo rivale. Obbligò anche il suocero Marco Giunio Silano a suicidarsi, accusandolo anch'egli di aver attentato alla sua vita. In quest'ultimo caso sembra che furono "comprate" alcune testimonianze, tra cui quella del senatore Giulio Grecino, il quale però alla fine si rifiutò di confessare il falso e per questo fu messo a morte. Quanto allo zio Claudio, lo tenne in vita solo per farne un suo zimbello e oggetto di spasso. Con le tre sorelle ebbe un rapporto molto intimo, seppure complicato, in particolar modo con Drusilla; come riferisce Svetonio, si diceva che l'avesse deflorata e che fosse stato sorpreso nel letto di lei dalla nonna Antonia. Era infatti geloso di suo marito, Lucio Cassio Longino e li costrinse a divorziare; trattava la sorella Drusilla come se fosse sua moglie e quando si ammalò la nominò erede al trono imperiale. Intratteneva rapporti incestuosi con tutte e tre e non lo nascondeva pubblicamente. Quando Drusilla morì, sospese ogni genere di attività e le organizzò dei funerali pubblici, divinizzandola il giorno 23 settembre del 38 con un senatoconsulto. In seguito a questo lutto, il princeps rimase particolarmente addolorato tanto che le sue condizioni di salute peggiorarono. Riguardo invece alle altre due sorelle, non ebbe la stessa complicità che invece tenne con Drusilla. In occasione del processo di Marco Emilio Lepido, al quale aveva precedentemente promesso la successione, le condannò per adulterio e le mandò in esilio sulle Isole Ponziane.
- A proposito di rapporti, matrimoni e figli, dopo la morte della prima moglie, avvenuta intorno al 36, Caligola inizia una relazione intima con Ennia Trasilla, moglie del fedele prefetto del Pretorio Quinto Nevio Sutorio Macrone. Verso la fine del 37, durante la festa di matrimonio di Gaio Calpurnio Pisone e Livia Orestilla, Caligola ordina al marito di ripudiare la sposa per poterla risposare il giorno stesso. Accadde però che dopo pochi giorni la ripudiò, mandandola in esilio due mesi più tardi per non permetterle di risposarsi con Pisone. Nel 38 Caligola si sposa con Lollia Paolina, moglie del consolare e governatore provinciale Publio Memmio Regolo. Caligola, che aveva sentito dire che sua nonna Aurelia era stata in gioventù una donna bellissima, fece chiamare Paolina dalla provincia, la fece divorziare dal marito e la risposò. Divorziò presto anche da lei dichiarando che fosse sterile e la rimandò indietro, ordinandole però di non avere rapporti carnali con nessun altro. Sempre nel 38, quando Macrone fu nominato Prefetto d'Egitto, anche Ennia fu costretta a partire insieme al marito e ai figli. Poco prima di salpare per la nuova destinazione, Caligola, evidentemente addolorato per essersi sentito abbandonato dall'amante, ordinò a lei, al marito e ai loro figli di suicidarsi. Nel 39 Caligola inizia una relazione con Milonia Cesonia, che diverrà sua concubina e dopo aver divorziato da Paolina, la sposerà poiché era incinta. Milonia Cesonia non era né giovane né bella, ma Caligola provò per lei una vera passione. Dopo un mese di matrimonio nacque una bambina, alla quale venne dato il nome di Giulia Drusilla, in ricordo della sorella scomparsa e divinizzata alla sua morte.«Mentre tiranneggiava su tutto con la più grande avidità, licenziosità e crudeltà, fu assassinato nel Palazzo, nel ventinovesimo anno di età, nel terzo anno, decimo mese e ottavo giorno del suo regno.» (Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, VII, 12). L'assassinio dell'imperatore fu organizzato principalmente da tre persone, tra cui il tribuno Cassio Cherea, anche se molti cavalieri, senatori e militari ne fossero a conoscenza, come pure il potente consigliere imperiale Callisto e il prefetto del pretorio. Cherea, in particolare, aveva ragioni politiche e motivazioni personali per uccidere il suo princeps: Caligola infatti si racconta che spesso, a causa dei toni acuti della sua voce, lo sbeffeggiasse sostenendo che fosse effeminato e chiamandolo "checca" (gunnis), facendo gesti osceni alle sue spalle o costringendolo a utilizzare per il suo servizio parole d'ordine come "Priapo", "Amore" o "Venere". Altri importanti cospiratori furono Lucio Annio Viniciano, che si unì alla congiura per vendicare l'amico Lepido, e il senatore Marco Cluvio Rufo.
Nel 41 - Il 24 gennaio, durante l'annuale celebrazione dei ludi palatini, un gruppo di pretoriani, guidati dai due tribuni Cherea e Cornelio Sabino, misero in atto il loro piano per assassinare il princeps. L'occasione era favorevole, in quanto i congiurati avrebbero potuto mescolarsi agli spettatori accorsi al teatro mobile tradizionalmente allestito di fronte al palazzo imperiale. Caligola giunse in teatro, si sedette e iniziò ad assistere allo spettacolo. Quando verso l'ora settima o forse la nona a seconda delle fonti pervenuteci, egli decise di andarsene e mentre percorreva un criptoportico che congiungeva il teatro al palazzo, si fermò a conversare con un gruppo di attori asiatici che avrebbero dovuto esibirsi a breve. Fu a questo punto che il principe incontrò infine la sorte temuta. Al primo tumulto, accorsero in suo aiuto i portatori della lettiga, armati di bastoni, poi i germani della sua guardia che uccisero alcuni dei suoi assassini e anche qualche senatore estraneo al delitto. Durante lo scontro il ventottenne Caligola fu pugnalato a morte. Qualche ora dopo persero la vita anche sua moglie Milonia Cesonia, pugnalata da un centurione appositamente inviato da Cherea, e la figlia piccola, Giulia Drusilla, che fu scaraventata contro un muro. Secondo Svetonio il principe fu colpito da oltre trenta pugnalate. Il suo cadavere fu portato negli Horti Lamiani, semi-bruciato e frettolosamente ricoperto di terra. Quando le sorelle tornarono dall'esilio, disseppellirono il corpo del fratello e posero le sue ceneri nel Mausoleo di Augusto. Al momento della diffusione della notizia che Caligola era morto nessuno osò festeggiare, poiché i più credevano che l'imperatore avesse messo in giro la voce per capire di chi potesse fidarsi. Quando questa comunicazione fu però confermata, non avendo i congiurati nominato alcun altro imperatore, il Senato si riunì e dichiarò di voler ripristinare la Repubblica, cancellando di fatto il governo dei precedenti principes a partire da Augusto. Cherea provò a convincere l'esercito ad appoggiare i padri coscritti, ma senza successo. Alla fine i senatori si resero conto di dover nominare un nuovo successore, che Lucio Annio Viniciano, importante senatore e cospiratore, indicò in Marco Vinicio, suo parente e marito di Giulia Livilla. Alla morte di Caligola, i membri della famiglia imperiale rimasti ancora in vita erano pochi. Tra questi vi era il cinquantenne Claudio che, appena saputo della morte del nipote Gaio, corse a nascondersi nelle sue stanze; rintracciato da un pretoriano mentre era nascosto dietro una tenda, fu condotto nel loro accampamento per essere acclamato imperatore dalle guardie pretoriane stesse mentre il Senato era occupato tra Foro e Campidoglio. Claudio venne invitato a presentarsi davanti al popolo, ma prima decise di comprarsi la fedeltà della guardia pretoriana promettendo la somma di quindicimila sesterzi (1 sesterzio equivaleva a 4 assi e nel I secolo d.C. con un asse si potevano acquistare 542 grammi di grano, due chili di lupini, un quarto di vino comune, mezzo chilo di pane, o entrare alle terme; quindi 1 asse poteva valere all'incirca 0,5 € e un 1 sesterzio circa 2 €) per ciascun pretoriano che gli prestasse giuramento. Il nuovo princeps pose quindi il proprio veto a quanto il Senato aveva appena deliberato, e cioè condannare Caligola alla damnatio memoriae. Poi, su invito del popolo romano, fece imprigionare e condannare a morte tutti i congiurati, compreso Cassio Cherea.
- Claudio ottenne così il Principato con la forza delle armi; fu quindi il primo il fra gli imperatori a comprarsi la fedeltà dei pretoriani e sarà il primo princeps a non essere eletto dal Senato.
Claudio, Museo archeologico di Napoli, da QUI. |
Campagne romane in Britannia. |
Nel 48 - L'imperatore Claudio sposa la sua quarta e ultima moglie, Agrippina, di cui era lo zio e che era già madre di Nerone. Valeria Messalina, moglie di Claudio fin dalla sua ascesa al trono, gli aveva dato una figlia, Claudia Ottavia, e un figlio (nel 41) a cui il padre dette il soprannome di Britannico. Donna di grande crudeltà, aveva cospirato, insieme al suo amante, il console Gaio Silio, per uccidere Claudio e prenderne il suo posto. Ma la congiura era stata scoperta e la stessa fu messa a morte nel 48. La nuova moglie fu scelta, anche grazie al consiglio del liberto Pallante, sostenitore dei diritti di Agrippina minore, nipote di Claudio e figlia di Germanico e pronipote di Augusto. Agrippina aveva un figlio il cui nome era Lucio Domizio Enobarbo, il futuro imperatore Nerone. Il matrimonio con Claudio fu celebrato nel 48, ed Agrippina divenne la nuova Augusta, godendo ora di privilegi senza precedenti. Nello stesso tempo diede inizio ai suoi intrighi per generare discredito sul figlio di Claudio, Britannico, in favore di suo figlio Domizio Enobarbo. Ambiziosa e priva di scrupoli, Agrippina si macchiò di una serie di delitti, servendosi del veleno o di false incriminazioni. Ottenne la revoca dell'esilio di Seneca, allo scopo di servirsi del celebre filosofo quale nuovo precettore del figlio e inoltre, visto che il giovane Lucio dimostrava maggior affetto verso la zia Domizia Lepida, Agrippina, per gelosia, la fece accusare di avere complottato contro l'imperatore, ottenendone da Claudio la condanna a morte. Nell'occasione, l'undicenne Lucio fu minacciato e costretto dalla madre a testimoniare contro la zia. Poco dopo, gli fu imposto il fidanzamento con Ottavia, figlia di Claudio, di otto anni. Il figlio Lucio Nerone fu adottato da Claudio all'età di tredici anni (nel 50), quale tutore del più giovane Britannico (di cinque anni più giovane) e ottenne nel 51 la toga virilis, il titolo di Princeps Iuventutis, l'imperium proconsolare fuori Roma, mentre nel 53 sposava Claudia Ottavia, figlia di Claudio.
Le popolazioni Germaniche nel 50, con Claudio imperatore. Da QUI. |
Pietro e Paolo. |
Nerone, da QUI. |
Nel 59 - Muore Agrippina, madre di Nerone e Poppea è sospettata d'averne organizzato l'omicidio, mentre il marito Otone venne inviato come governatore in Lusitania, l'odierno Portogallo. La madre di Nerone era stata condannata a morte e uccisa da sicari, che precedentemente avevano tentato di simulare incidenti e suicidio, a causa delle sue trame: forse intendeva far uccidere il figlio, per poi mettere sul trono un futuro suo marito e diventarne la co-imperatrice; la condanna venne approvata anche da Seneca e da Burro, il quale ne incaricò Aniceto. Questi, alla fine, la fece pugnalare, raccontando poi che lei stessa si era uccisa, dopo la scoperta della sua congiura contro Nerone. È possibile che determinante fosse stato l'odio di Poppea per quella che sarebbe stata la sua futura suocera, che secondo Tacito aveva tentato anche l'incesto con Nerone, pur di estrometterla dal potere e garantirlo a se stessa. Nerone l'aveva così allontanata dalla corte, e, alla fine aveva approvato anche l'omicidio. Dopo un funerale nascosto e una sepoltura in un luogo non completamente noto del corpo di Agrippina, tuttavia, Nerone manifestò rimorso per la morte della madre, approvata a causa della debolezza del suo carattere e dell'ascendente che Poppea aveva su di lui. Confermò, con una lettera al Senato, "che avevano scoperto, con un'arma, il sicario Agermo, uno dei liberti più vicini ad Agrippina, e che lei, per rimorso, come se avesse preparato il delitto, aveva scontato quella colpa". L'imperatore sarà perseguitato da incubi su Agrippina per molto tempo.
Nel 62 - Infine Nerone sposa Poppea dopo aver ripudiato Claudia Ottavia per sterilità e averla relegata in Campania. Alcune manifestazioni popolari in favore della prima moglie, convinsero l'imperatore delle necessità di eliminarla e dopo averla accusata di tradimento, l'aveva costretta al suicidio. Lo stesso anno Burro morì, forse avvelenato per ordine di Nerone (secondo Svetonio) o di malattia secondo altri storici, e Seneca per un lungo periodo si ritirò a vita privata, a causa dei primi dissapori con Nerone e dell'odio del popolo che lo accusava della morte di Agrippina, che era rispettata dalla plebe e dai pretoriani in quanto figlia dell'amato Germanico. La carica di prefetto del Pretorio venne assegnata a Tigellino (già esiliato da Caligola per adulterio con Agrippina), uomo senza scrupoli, che non era nemmeno cauto come Burro nel nascondere i delitti di Stato. Tigellino, di umili origini, divenne quindi molto ricco e potente. Contemporaneamente vennero introdotte una serie di leggi sul tradimento, che provocarono l'esecuzione di numerose condanne capitali. Nel 63 Nerone e Poppea ebbero una figlia, Claudia Augusta, che tuttavia morì ancora in fasce.
Nel 63 - A Roma, prime persecuzioni contro i cristiani. Le persecuzioni contro i Cristiani non avevano un fondamento giuridico specifico, l'unico appiglio legale che l'autorità imperiale poteva impugnare era la lesa maestà dell'autorità divina all'imperatore, poiché rifiutandosi di offrire incenso all'immagine della sua persona, i Cristiani erano accusati di ateismo, in contrasto con i "mores", gli antichi costumi; inoltre con tale atteggiamento non potevano essere arruolati nell'esercito. Nella cultura antica, così come lo scritto era sacro, così l'immagine evocava la presenza fisica del rappresentato. Nei tribunali, le immagini dell'imperatore ne garantivano la presenza mentre nell'ebraismo erano proibite le raffigurazioni di immagini e idoli, come a scongiurarne l'esistenza. Nell'Islam si adotteranno le stesse misure, tanto che nel 730, l'imperatore Romano-orientale Leone III Isaurico, convinto della giustezza di tali misure, scatenerà nell'impero bizantino l'iconoclaustia, che provocherà la distruzione delle immagini sacre. I primi cristiani erano spinti a ricercare un rapporto individuale con una divinità individualizzata a sua volta. Le divinità di gruppi o popolazioni, comunemente usato nell'antichità (Atena per Atene, Venere per la corporazione dei mercanti Italici del Sannio, ecc.) lasciava posto alla ricerca individuale di una divinità che salvasse l'individuo nell'aldilà, aspetto che nelle religioni precedenti era riservato a esseri sopranaturali ed eroi. E' una tensione molto forte, che si ritrova anche nel Mitraismo, che ha somiglianze con il cristianesimo e nel culto del "Sol Invictus", la cui festività era il 25 dicembre. E' di questi tempi la raffigurazione di "Gesù Sol Invictus" che vede un giovane Gesù, raggiato, come il sole, alla guida del cocchio solare con 4 cavalli (Helios), oppure l'Iside che allatta Horus identica a quella che poi verrà chiamata Nostra Signora Madre di Gesù. Sono tempi che vengono avvertiti come gli ultimi prima di un evento che sovvertirà il mondo. In questo contesto il martirio è considerato il metodo più sicuro per salvare la propria anima nell'aldilà. Ma questa presa di coscienza individuale, di una divinità incarnata e che attraverso un martirio permettesse la salvezza della comunità non escludeva un senso di società cristiana. La comunità cristiana era ordinata, coesa, con propri vescovi e con liturgie comunitarie, ma il rapporto con il divino era mediato esclusivamente da se stessi e non da maestranze della Chiesa.
Il limes nel sud-est nell'80, in rosa gli stanziamenti delle legioni romane. Il nome Palestina apparirà nel 136 con Adriano imperatore, dopo la terza guerra giudaica. Da QUI. |
Giuseppe d'Arimatea. |
Nel 64 - Allo scoppio del grande incendio di Roma, l'imperatore si trovava ad Anzio, ma raggiunse immediatamente l'Urbe per conoscere l'entità del pericolo e decidere le contromisure, organizzando in modo efficiente i soccorsi, partecipando in prima persona agli sforzi per spegnere l'incendio. Nerone mise sotto accusa i Cristiani residenti a Roma, per evitare dicerie che lo accusassero direttamente. Dai duecento ai trecento cristiani vennero messi a morte. Tra i cristiani uccisi fra il 64/65 e il 67 ci saranno anche san Pietro e san Paolo: Nerone avrebbe ordinato la decapitazione di Paolo di Tarso e, più tardi (o prima), secondo la tradizione cattolica, anche la crocifissione di Pietro. Per quanto oramai gli studiosi siano abbastanza concordi nel ritenere che il grande incendio di Roma dell'anno 64 d.C. non fu causato da Nerone, che anzi si diede molto da fare per prestare soccorso alla popolazione colpita dalla tragedia e che in seguito si occupò personalmente della ricostruzione, la falsa immagine iconografica dell'imperatore che suona la lira dal punto più alto del Palatino mentre Roma bruciava è ancora assai radicata nell'immaginario collettivo. Uno studioso italiano, Dimitri Landeschi, attraverso una accurata ricostruzione storica dei drammatici avvenimenti che si svolsero a Roma negli anni 64 e 65 d.C., ha avanzato l'ipotesi che ad incendiare Roma non fosse stato Nerone ma, con ogni probabilità, un pugno di fanatici appartenenti alla frangia più estremista della comunità cristiana di Roma, con la complicità morale di taluni ambienti dell'aristocrazia senatoria, in mezzo a cui si celavano i veri ispiratori di quella scellerata operazione. L'ipotesi di Landeschi non è però condivisa dalla maggioranza degli studiosi. L'imperatore aprì addirittura i suoi giardini per mettere in salvo la popolazione e si attirò l'odio dei patrizi facendo sequestrare imponenti quantitativi di derrate alimentari per sfamarla. Gli storici antichi lo accusano o restano incerti, o criticano comunque il suo comportamento nell'accusare e punire i cristiani, pur essendo questi una setta detestata dall'opinione popolare e aristocratica. In occasione dei lavori di ricostruzione, Nerone dettò nuove e lungimiranti regole edilizie, destinate a frenare gli eccessi della speculazione (molto probabilmente furono proprio gli speculatori a causare l'incendio, forse alimentando un precedente incendio accidentale) e tracciare un nuovo impianto urbanistico, sul quale è tuttora fondata la città. In seguito all'incendio egli recuperò una vasta area distrutta, facendo realizzare il faraonico complesso edilizio noto come Domus Aurea, la sua residenza personale (sostituendo la Domus Transitoria), che giunse a comprendere il Palatino, le pendici dell'Esquilino (Oppio) e parte del Celio, per un'estensione di circa 2,5 km quadrati (250 ettari). Ciò non può essere un possibile movente, in quanto egli avrebbe potuto requisire comunque i terreni necessari e già molti erano in suo possesso. Le enormi spese per la ricostruzione della città e della dimora imperiale causarono il quasi fallimento dello Stato a cui l'imperatore cercò di rimediare ricorrendo tra l'altro a strumenti spregiudicati quali imporre alle più ricche famiglie romane la redazione di un testamento che nominasse lo Stato quale unico erede del patrimonio familiare e che veniva reso subito esecutivo con il suicidio forzato dei possidenti. «Di Nerone si diceva che, condannando a morte sei individui, fece sua mezza Africa.». Altri edifici pubblici neroniani furono il mercato del Celio (Macellum Magnum) e le Terme di Nerone del Campo Marzio, la cui pianta regolare e simmetrica fece da modello per tutti gli edifici termali futuri, inaugurando la tipologia di terme "imperiali". Si ipotizza anche una ricostruzione dopo il grande incendio del 64, contemporaneamente allo spostamento e ingrandimento della casa delle Vestali: il tempio venne infatti rappresentato in monete dell'epoca di Nerone e dei successivi imperatori Flavi. E ancora a Nerone si deve il taglio dell'istmo di Corinto e un canale lungo la costa dall'Averno a Roma. La prima opera, già tentata dal tiranno Periandro, dal Re di Macedonia Demetrio I Poliorcete, da Giulio Cesare e da Caligola sembrava non portare fortuna a chi la intraprendeva, tutti morti in modo violento. Gli scavi furono segnati da episodi nefasti e si interruppero con la morte dell'ideatore. Il canale dal lago Averno a Roma, lungo 160 miglia (237 km), ancora più mastodontico di quello di Corinto assorbì risorse umane e economiche immense e non fu mai completato a causa degli infiniti problemi tecnici e logistici. Le enormi spese per la ricostruzione della città e della dimora imperiale causarono il quasi fallimento dello Stato a cui l'imperatore cercò di rimediare ricorrendo tra l'altro a strumenti spregiudicati quali imporre alle più ricche famiglie romane la redazione di un testamento che nominasse lo Stato quale unico erede del patrimonio familiare e che veniva reso subito esecutivo con il suicidio forzato dei possidenti. «Di Nerone si diceva che, condannando a morte sei individui, fece sua mezza Africa.». Altri edifici pubblici neroniani furono il mercato del Celio (Macellum Magnum) e le Terme di Nerone del Campo Marzio, la cui pianta regolare e simmetrica fece da modello per tutti gli edifici termali futuri, inaugurando la tipologia di terme "imperiali". Si ipotizza anche una ricostruzione dopo il grande incendio del 64, contemporaneamente allo spostamento e ingrandimento della casa delle Vestali: il tempio venne infatti rappresentato in monete dell'epoca di Nerone e dei successivi imperatori Flavi. E ancora a Nerone si deve il taglio dell'istmo di Corinto e un canale lungo la costa dall'Averno a Roma. La prima opera, già tentata dal tiranno Periandro, dal Re di Macedonia Demetrio I Poliorcete, da Giulio Cesare e da Caligola sembrava non portare fortuna a chi la intraprendeva, tutti morti in modo violento. Gli scavi furono segnati da episodi nefasti e si interruppero con la morte dell'ideatore. Il canale dal lago Averno a Roma, lungo 160 miglia (237 km), ancora più mastodontico di quello di Corinto assorbì risorse umane e economiche immense e non fu mai completato a causa degli infiniti problemi tecnici e logistici. L'apocalisse del Nuovo Testamento della scuola evangelica giovannea, scritta in esilio nell'isola greca di Patmos durante una delle persecuzioni dei cristiani, probabilmente quella di Domiziano (intorno al 95-100 d.C.), alludeva però a Nerone come Anticristo. Secondo molti studiosi infatti, la persona rappresentata dal citato "Numero della Bestia" altri non è che il multi-gramma di gematria ebraica attribuibile all'imperatore Nerone, autore della persecuzione nella quale morirono sia Pietro che Paolo. Come in greco antico, così anche in alfabeto ebraico i numeri venivano scritti usando le lettere, secondo, appunto la cabala ebraica. Se quindi si utilizzano le consonanti ebraiche del nome QeSaR NeRON si ha: Q (qof) = 100, S (sameckh) = 60, R (resh) = 200, N (nun) = 50, R (resh) = 200, O (waw) = 6, N (nun) = 50 che sommate, danno appunto 666. Una sola nota merita la vocale O che è in realtà legata alla consonante W che è una mater lectionis, cioè una consonante che serviva a evitare equivoci nella lettura.
- Nerone era poco interessato alle campagne militari: se ne occupò lo stretto necessario (prese parte solo ad una spedizione in Armenia e non fu mai molto popolare nei ranghi dell'esercito. Sotto Nerone, l'Imperatore Partico Vologese I pose sul trono del regno d'Armenia il proprio fratello Tiridate, sul finire del 54. Questo avvenimento convinse Nerone che fosse necessario avviare preparativi di guerra in vista di un'imminente campagna. Domizio Corbulone fu inviato a sedare le continue scaramucce tra le popolazioni locali e sparuti gruppi di romani. In realtà non vi fu una vera guerra fino al 58 d.C. Dopo la conquista di Artaxata nel 58 e della città di Tigranocerta nel 59, pose sul trono dei parti re Tigrane VI, nel 60. Vologese, in preda all'ira, pretendendo che il trono fosse restituito a suo fratello, mosse guerra ai romani, i quali però riuscirono a prevalere ottenendo nel 66 la sottomissione di Tiridate come re cliente. Si spense così l'ultimo focolaio di guerra nell'Impero e Nerone poté fregiarsi del titolo di Imperator (Pacator) invitando a Roma il re Tiridate I. Inaugurò, nel contempo, solenni festeggiamenti per la ricorrenza del trecentesimo anniversario della prima chiusura delle porte del tempio di Giano Gemino (236 a.C.) per celebrare la "pace ecumenica" raggiunta, volendo emulare Alessandro Magno e, ancora, per far dimenticare al popolo il disastroso incendio della città del mese di luglio. Per le ingenti spese sostenute, Nerone attuò riforma del conio ed emise una nuova moneta sulla quale, nel dritto, appare la sua figura con il capo incoronato e l'aspetto fiero con la scritta: "IMP NERO CAESAR AVG GERM" e, sul rovescio, il tempio di Giano "a porte chiuse" con la scritta: "PACE P R UBIQ PARTA IANVM CLVSIT - S C -" (senatus consulto). Per la prima volta dunque, a Roma un principe si fregia del titolo ufficiale di Imperatore. Il re Tiridate, timoroso del mare, arrivò a Roma, dopo un viaggio via terra durato ben otto mesi, nell'inverno del 65 e nella primavera del 66 furono ripetuti i festeggiamenti alla presenza del popolo e dell'esercito. Nerone tolse la tiara dal capo di Tiridate, incoronandolo Re con un diadema e facendolo sedere alla sua destra. Nel corso del suo principato continuò la conquista della Britannia, anche se negli anni 60/61 fu interrotta da una rivolta capeggiata da Budicca, la regina della tribù degli Iceni. Infine, nonostante in patria fosse tollerante con gli ebrei ortodossi, su richiesta della filosemita Poppea inviò Vespasiano, che l'aveva seguito nel viaggio in Grecia e con cui aveva avuto malumori, insieme al figlio di questi Tito, a sedare le prime rivolte ebraiche nazionaliste in Giudea, convinto che solo lui ne avesse le capacità.
Nel 65/66 - Come scrive Tacito, Poppea, in attesa del secondogenito di Nerone, muore a Roma oppure nella sua villa di Oplontis, alle falde del Vesuvio, a causa di incidente di gravidanza e non a causa di un calcio sferratole dal marito come è opinione comune: difatti a quel tempo Poppea era ammalata. Secondo altri, invece, Nerone l'avrebbe ripudiata per sposare Statilia Messalina e Poppea, ritiratasi nella sua villa del Vesuviano, sarebbe morta nel 79 durante l'eruzione del Vesuvio. Svetonio lo accusa anche di numerosi altri crimini e depravazioni (come lo stupro della vestale Rubria, un crimine passibile di pena capitale) che molti storici moderni hanno ritenuto invenzioni propagandistiche. Dopo la morte di Poppea, nel 66 Nerone sposa Statilia Messalina, la sua terza e ultima moglie. Lo storico delle Vite dei Cesari attribuisce a Nerone anche alcune relazioni omosessuali. Secondo Cassio Dione (Epitome LXII, 12-13) e altri autori contemporanei, Nerone avrebbe contratto due matrimoni con maschi: il primo, con un liberto di nome Pitagora e il secondo con un liberto di nome Sporo, fatto castrare e sposato dopo la morte della moglie Poppea proprio perché straordinariamente somigliante all'imperatrice. Il matrimonio sarebbe avvenuto in Grecia e Nerone avrebbe affidato il giovincello alle cure di Calvia Crispinilla, come dama di camera. Secondo i contemporanei, "Pitagora sarebbe stato per lui un marito, Sporo sarebbe stato per lui una moglie". A Nerone sono anche attribuite frequentazioni di prostitute, tra cui Caelia Adriana, donna di cui fu perdutamente innamorato, e feste con grande dispendio di denaro pubblico, derivata dalla tassazione aumentata.
Nel 68 - Gaio Giulio Vindice, governatore della Gallia Lugdunense, si ribella dopo il ritorno dell'imperatore a Roma dalla Greca e ciò spinge Nerone ad una nuova ondata repressiva: fra gli altri ordina il suicidio al generale Servio Sulpicio Galba, allora governatore nelle province ispaniche e questi, privo di alternative e non intenzionato ad eseguire l'ordine, col sostegno del suo esercito, dichiara la sua fedeltà al Senato ed al popolo romano, non riconoscendo più l'autorità di Nerone. Si ribella quindi anche Lucio Clodio Macero, comandante della III legione Augusta in Africa, bloccando la fornitura di grano per la città di Roma. Nimfidio corruppe i pretoriani, che si ribellarono a loro volta a Nerone, con la promessa di somme di denaro da parte di Galba. Infine il Senato lo depose ufficialmente e Nerone fuggì dal suo palazzo dove era rimasto solo e senza protezione, e si suicidò il 9 giugno 68, nella villa suburbana del liberto Faonte, pugnalandosi alla gola con l'aiuto del suo segretario Epafrodito. Prima di morire, secondo Svetonio, pronunciò la frase "Qualis artifex pereo!" ("Quale artista muore con me!"). L'antichista Dimitri Landeschi fa notare, richiamandosi ad un interessante studio dello storico inglese Edward Champlin, che, diversamente da quanto affermato da alcuni storici moderni, Nerone non subì la cosiddetta damnatio memoriae, di cui non si trova traccia in alcuna opera antica, tant'è vero che furono permesse le esequie private, alla presenza di pochi fedelissimi rimasti, tra i quali l'ex amante e concubina Claudia Atte, liberta della famiglia dell'imperatore e le sue due nutrici Egloge e Alessandria. Inoltre continuarono ad affluire nel Foro anche dopo la sua morte busti e statue del defunto imperatore, senza che nessuna Autorità lo impedisse. Il corpo di Nerone fu cremato, avvolto nelle coperte bianche intessute d'oro da lui usate alle ultime Calende di gennaio e le sue ceneri deposte in un'urna di porfido sormontata da un altare di marmo lunense, nel mausoleo della famiglia paterna. Il luogo di sepoltura era il Sepolcro dei Domizi lungo la via Flaminia, sotto l'attuale basilica di Santa Maria del Popolo, ai piedi del colle Pincio. Nel XII secolo, Papa Pasquale II (1099 - 1118), superstizioso e suggestionato dai corvi che volteggiavano sul noce vicino al sepolcro, convinto di vedere in Nerone l’Anticristo descritto dalle profezie, ne fece disperdere le ceneri; in seguito, davanti alle proteste dei romani, fece diffondere la notizia di aver fatto trasferire i resti all’interno di un sarcofago lungo la Via Cassia in una zona che, da allora, prese il nome di “Tomba di Nerone”.
- Servio Sulpicio Galba Cesare Augusto (Terracina, 24 dicembre 3 a.C. - Roma, 15 gennaio 69) noto semplicemente come Servio Sulpicio Galba o anche col cognomen Galba, aveva percorso l'intero cursus honorum fino al consolato e agli incarichi di governatore in Germania superiore, Africa proconsolare e nella Hispania Tarraconensis. Sostenne la rivolta di Gaio Giulio Vindice, ufficiale dell'esercito romano che si era ribellato contro l'imperatore romano Nerone, alla cui morte e con l'investitura del senato Galba ascese al trono, primo a regnare durante l'Anno dei quattro imperatori. Dopo appena sette mesi di governo, il 15 gennaio del 69 fu deposto e assassinato dai pretoriani che elevarono Otone come imperatore.
- Marco Salvio Otone Cesare Augusto (Ferento, 28 aprile 32 - Brixellum, 16 aprile 69), meglio conosciuto semplicemente come Otone, è stato il settimo imperatore romano, in carica per circa tre mesi, dal 15 gennaio al 16 aprile del 69. Proveniente da una nobile famiglia etrusca, aveva iniziato la sua vita pubblica sotto il principato dell'imperatore Nerone, del quale diventò intimo amico. Il rapporto fra i due si ruppe quando Otone rifiutò di divorziare dalla moglie Poppea, che Nerone voleva appunto sposare. Otone venne quindi mandato come governatore nella lontana Lusitania, dove amministrò la provincia per dieci anni. Nel 68 aiutò Galba a rovesciare Nerone e a prendere il potere imperiale, ma quando vide le sue speranze di essere designato erede andare in fumo, si rivoltò contro Galba e prese lui stesso il potere. Dopo pochi mesi di tranquillità e ordinaria amministrazione, iniziò una guerra con il ribelle Vitellio. Questi scese in Italia dalla Germania e sconfisse gli eserciti di Otone, che si suicidò per non far continuare i conflitti.
- Aulo Vitellio Germanico Augusto (Nuceria Alfaterna, 6 o 24 settembre - Roma, 20 dicembre 69), conosciuto semplicemente come Vitellio, è stato l'ottavo imperatore romano. Secondo Svetonio, Vitellio avrebbe passato la sua giovinezza a Capri, dove sarebbe stato fra i giovani amanti di Tiberio, cosa che avrebbe accelerato la carriera al padre. In realtà, mentre la reale entità delle perversioni dell'imperatore è assai dubbia, è altrettanto improbabile che sia veramente accaduto qualcosa del genere, dato che gli sforzi nella carriera politica del padre vanno più probabilmente interpretati come quelli di un homo novus in cerca di affermazione. La sua ascesa al trono sarà ostacolata dalle legioni di stanza nelle province orientali, che avevano acclamato il loro comandante Vespasiano imperatore. Nella guerra che seguì, Vitellio riportò una sconfitta nella seconda battaglia di Bedriaco, località situata nell'attuale comune di Calvatone nei pressi di Cremona. Dopo questa battaglia, essendo stato abbandonato dai suoi seguaci, Vitellio abdicò in favore di Vespasiano, ma fu comunque ucciso a Roma dai soldati di Vespasiano, il 20 dicembre 69.
Vespasiano: Ny Carlsberg Glyptotek, Copenhagen, foto di Carole Raddato da QUI. |
Arco di Tito, trafugamento di Menorah e tesoro di Gerusalemme. |
Tito: Glyptotek, Munich, foto di Carole Raddato da QUI. |
Nell' 80 - L'imperatore Tito inaugura il Colosseo, l'anfiteatro flavio, costruzione iniziata durante il governo di suo padre Vespasiano.
Domiziano: Musei Capitolini, Roma, da QUI. |
Carta del limes germanico-dacico dell'Impero Romano nell'80. In rosa gli stanziamenti delle legioni. Da QUI. |
Carta del limes (confine) germanico -retico nel 90, sotto Domiziano. |
Carta del limes dell'Impero Romano a nord-ovest nell' 80. In rosa gli stanziamenti delle legioni. Da QUI. |
Carta del limes dell'Impero Romano nell'ovest del Mediterraneo nell' 80. In rosa gli stanziamenti delle legioni. Da QUI. |
Carta del limes dell'Impero Romano nell'est del Mediterraneo nell' 80. In rosa gli stanziamenti delle legioni. Da QUI. |
Legenda delle legioni romane e i loro siti di stanziamento. Da QUI. |
Carta delle migrazioni del III secolo con indicati gli Agri Decumates, Germania superiore e Germania inferiore. |
Claudio Tolomeo |
Da QUI. |
Indice del blog "Storia":
Per "1992: Il meccanismo politico-economico che ha causato la formazione di questa UE con la conseguente
perdita della sovranità italiana" clicca QUI
Per "Le guerre coloniali del Regno d'Italia" clicca QUI
Per "Occitani: storia e cultura" clicca QUI
Per "Celti: storia e cultura" clicca QUI
Per "Liguri: storia e cultura" clicca QUI
Per "Cristianesimo: da setta giudaica a religione di Stato" clicca QUI
Per "Ebraismo: origini, storia e cultura" clicca QUI
Per "Variazioni del clima dall'ultima glaciazione" clicca QUI
Per "Grande Storia dell'Europa - 5° - Dal 1.914 al 2.014 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Grande Storia dell'Europa - 3° - Dal 90 al 1.096 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Grande Storia dell'Europa - 2° - Dal 1.200 p.e.v. (a.C.) al 90 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Grande Storia dell'Europa - 1° - Dalla formazione della Terra al 1.200 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.77: dal 2.003 al 2.010 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.76: dal 1.992 al 2.003 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.75: dal 1.978 al 1.992 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.74: dal 1.948 al 1.978 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.73: dal 1.940 al 1.948 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.72: dal 1.922 al 1.940 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.71: dal 1.918 al 1.922 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.70: dal 1.913 al 1.918 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.69: dal 1.897 al 1.913 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.68: dal 1.861 al 1.897 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.67: dal 1.800 al 1.861 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.66: dal 1.776 al 1.800 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.65: dal 1.707 al 1.776 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.64: dal 1.642 al 1.707 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.63: dal 1.543 al 1.642 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.62: dal 1.519 al 1.543 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.61: dal 1.453 al 1.519 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.60: dal 1.416 al 1.453 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.59: dal 1.324 al 1.416 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.58: dal 1.251 al 1.324 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.57: dal 1.228 al 1.251 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.56: dal 1.204 al 1.228 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.55: dal 1.189 al 1.204 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.54: dal 1.145 al 1.189 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.53: dal 1.102 al 1.145 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.52: dal 1.095 al 1.102 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.51: dal 1.075 al 1.095 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.50: dal 1.034 al 1.075 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.49: dal 992 al 1.034 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.48: dall' 879 al 992 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.47: dall' 827 all' 879 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.46: dal 759 all' 827 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.45: dal 680 al 759 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.44: dal 600 al 680 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.43: dal 554 al 600 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.42: dal 538 al 554 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.41: dal 493 al 538 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.40: dal 452 al 493 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.39: dal 415 al 452 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.38: dal 391 al 415 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.37: dal 374 al 391 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.36: dal 326 al 374 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.35: dal 313 al 326 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.34: dal 286 al 313 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.33: dal 257 al 286 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.32: dal 193 al 257 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.31: dal 161 al 193 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.30: dal 90 al 161 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.29: dal 50 al 90 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.28: dal 27 p.e.v. (a.C.) al 50 e.v. (d.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.27: dal 49 al 27 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.26: dal 73 al 49 p.e.v. (a.C)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.25: dal 91 al 73 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.24: dal 146 al 91 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.23: dal 301 al 146 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.22: dal 367 al 301 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.21: dal 404 al 367 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.20: dal 450 al 404 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.19: dal 500 al 450 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.18: dal 540 al 500 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.17: dal 650 al 540 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.16: dal 753 al 650 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.15: dall' 850 al 753 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.14: dal 1.150 all' 850 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.13: dal 1.200 al 1.150 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.12: dal 1.320 al 1.200 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.11: dal 1.550 al 1.320 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.10: dal 1.680 al 1.550 p.e.v.(a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.9: dal 1.900 al 1.680 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.8: dal 2.500 al 1.900 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.7: dal 3.500 (inizio della Storia) al 2.500 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.6: dal 6.000 al 3.500 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.5: dal 15.000 al 6.000 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.4: dal 40.000 al 15.000 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.3: da 130.000 anni fa al 40.000 p.e.v. (a.C.)" clicca QUI
Per "Storia dell'Europa n.1: dalla formazione della Terra a 2.500.000 anni fa" clicca QUI
Da altri 7 blog:
Per i post "Il pensiero nell'Italia contemporanea" clicca QUI
a favore dell'Ue a guida franco-tedesca" clicca QUI
Per i post "Storia dell'Economia Politica" clicca QUI
Per i post "Astrologia evolutiva, progressiva, oroscopo, numerologia" clicca QUI
Per "Il Feg-Shui: Scuole della Bussola e del Ba Gua" clicca QUI
Per "I Chakra o Centri energetici fisici: dove sono e come si possono rilevare" clicca QUI
Per i post "Aforismi, Foto e Frasi dei Nativi Nord Americani (gl'Indiani d'America)" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Romani" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Ebrei" clicca QUI
Per "Antichi Liguri: a Tartesso prima di Fenici e Greci" clicca QUI
Per "L'oliva taggiasca, prodotto d'eccellenza" clicca QUI
Per "L'olio d'oliva taggiasca: parametri e unità di misura" clicca QUI
Per "Pista ciclo-pedonale nella Riviera dei Fiori" clicca QUI
Per "Sulle datazioni del manoscritto anonimo settecentesco e le fonti storiche sui Liguri" clicca QUI
Nessun commento:
Posta un commento