Potere
spirituale e temporale nello
stemma papale
con le chiavi della
cattedra di
Pietro. Parma, chiesa
di San Pietro.
|
La lotta diventa aspra tra il papa e l'imperatore di Germania Enrico IV, che raduna 24 vescovi tedeschi e 2 vescovi italiani a lui fedeli, i quali depongono il pontefice, che a sua volta scomunica l'imperatore.
La Riforma gregoriana riguardava inoltre l'assetto degli ordini monastici che mutava profondamente, per cui si assistette al tramonto dell'ordine cluniacense a favore di quello cistercense.
- Il primo documento in cui è
usato il termine ultra silvam, cioè ‘oltre la foresta’,
riferendosi alla Transilvania, risale al 1075. Il
termine Partes Transsylvanæ ‘zone oltre la foresta’
risale allo stesso secolo (nella Legenda Sancti Gerhardi) e
successivamente divenne l'espressione usata nei documenti in latino
del Regno d'Ungheria (come Transsilvania). Anche il nome ungherese
della Transilvania, Erdély, significa esattamente ‘oltre la
foresta’. I due nomi sono quindi la semplice traduzione uno
dell'altro. Nell'anno 1000 Vajk, principe d'Ungheria, aveva giurato lealtà al Papa e diventò re Stefano I d'Ungheria, adottando il Cristianesimo e cristianizzando gli ungheresi. Lo zio materno di Stefano, Gyula, reggente della Transilvania, si contrappose al nuovo re dando rifugio ai suoi avversari e mantenne anche il controllo delle importanti miniere di sale transilvane. Nel 1003, Stefano condusse un esercito contro Gyula il quale si arrese senza combattere. Ciò rese possibile l'organizzazione dell'episcopato cattolico in Transilvania, che si concluse nel 1009 quando il vescovo di Ostia, come legato del Papa fece visita a Stefano; assieme approvarono la divisione delle diocesi e i loro confini. Il potere dei re d'Ungheria sulla Transilvania fu consolidato nel dodicesimo e tredicesimo secolo.
Carta della Romania attuale con la Transilvania, da: https://commons .wikimedia.org/w/index.php? curid=581316 |
Da sinistra a destra:
Ugo di Cluny, Enrico IV e
Matilde di
Canossa. Ugo di
Cluny, detto Ugo
di Semur o
sant'Ugo il
Grande, fece da
mediatore a
Canossa fra papa
Gregorio VII e
l'imperatore
Enrico IV, del
quale era stato
padrino di
battesimo, episodio
per il quale è
stato largamente
ricordato, da: https://it.
wikipedia.org/wiki/Poteri_ universali#/media/File:Hugo -v-cluny_heinrich-iv_mathilde -v-tuszien_cod-vat-lat -4922_1115ad.jpg |
I domini in
Italia dei Marchesi
di Canossa.
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Nell'inverno fra il 1.076 e il 1.077 Enrico e la suocera, la contessa Adelaide di Susa, iniziarono la loro processione penitenziale a Canossa per ottenere la revoca della scomunica da parte di papa Gregorio VII. Con loro vi erano anche il cognato Amedeo II di Savoia e il marchese Azzorre d'Este. Per tre giorni e tre notti, dal 25 al 27 gennaio 1.077, Enrico fu costretto ad umiliarsi, dovendo attendere davanti al portale d'ingresso del castello della marchesa Matilde di Canossa d'essere ammesso al cospetto del papa: l'attesa ebbe luogo mentre imperversava una bufera di neve ed Enrico giaceva inginocchiato, a piedi completamente scalzi, vestito soltanto con un saio, il capo cosparso di cenere, di fronte al portale chiuso. Solo grazie all'intercessione del padrino, l'abate di Cluny, Ugo, e della marchesa Matilde, poté essere ricevuto dal papa il 28 gennaio. L'umiliazione di Canossa ebbe un forte effetto morale ma i risultati pratici furono presto di altro tipo. Rientrato in Germania, Enrico si accorse che qui non aveva più seguito. Il 15 marzo a Forchheim i principi tedeschi lo avevano deposto eleggendo in sua vece il cognato Rodolfo di Svevia, che fu incoronato a Magonza dall'arcivescovo Sigfrido. Enrico sconfisse due volte il rivale in battaglia e Gregorio VII, il 7 marzo 1.080 lo scomunicò nuovamente con l'accusa di non aver rispettato i patti di Canossa e di aver impedito lo svolgimento dell'assemblea ad Augusta. La lotta per le investiture proseguì con
- la sconfitta di Rodolfo di Svevia che perse la vita in battaglia,
- uomini fedeli ad Enrico che vennero investiti del titolo di vescovo,
- a Bressanone, in un concilio convocato da Enrico stesso il 25 giugno 1.080, venne considerato deposto papa Clemente VII e fu eletto come antipapa Guiberto, arcivescovo di Ravenna, che assunse il nome di Clemente III,
- la discesa di Enrico in Italia e la conquista da parte del suo esercito della città di Roma, con papa Gregorio VII asserragliato in Castel Sant'Angelo.
Quest'ultimo, per contrastare Enrico e l'antipapa, si alleò al normanno Roberto il Guiscardo, non prima di avergli tolto, il 29 giugno 1.080, a Ceprano, la scomunica che gli aveva comminato sei anni prima per aver invaso il territorio pontificio di Benevento.
- la sconfitta di Rodolfo di Svevia che perse la vita in battaglia,
- uomini fedeli ad Enrico che vennero investiti del titolo di vescovo,
- a Bressanone, in un concilio convocato da Enrico stesso il 25 giugno 1.080, venne considerato deposto papa Clemente VII e fu eletto come antipapa Guiberto, arcivescovo di Ravenna, che assunse il nome di Clemente III,
- la discesa di Enrico in Italia e la conquista da parte del suo esercito della città di Roma, con papa Gregorio VII asserragliato in Castel Sant'Angelo.
Quest'ultimo, per contrastare Enrico e l'antipapa, si alleò al normanno Roberto il Guiscardo, non prima di avergli tolto, il 29 giugno 1.080, a Ceprano, la scomunica che gli aveva comminato sei anni prima per aver invaso il territorio pontificio di Benevento.
Sconfitti gli imperiali, i Normanni si abbandonarono al saccheggio della città, provocando una rivolta nella popolazione romana, che costrinse il Papa a fuggire rifugiandosi presso i Normanni a Salerno, dove risiedette fino alla morte, avvenuta nel 1085. Enrico IV morì invece nel 1106. Il successore di Gregorio VII fu papa Pasquale II, il quale nel 1105 appoggiò una congiura ordita da Enrico V, figlio di Enrico IV, contro il suo stesso padre. Infatti c'erano ancora ostilità tra il papato ed Enrico IV, pertanto il papa vide con favore l'ascesa al trono imperiale di un nuovo imperatore. Dunque Enrico IV fu costretto ad abdicare e alla sua morte, avvenuta nel 1106, divenne imperatore suo figlio, il quale instaurò rapporti di maggiore collaborazione col papa.
Dal 1.081 - Abbastanza netta è l'evoluzione verso forme comunali delle città legate al commercio marittimo. Lasciando da parte Venezia, dove uno stato autonomo cittadino esisteva già da secoli, diverse e assimilabili all'evoluzione delle città dell'interno sono le situazioni di Pisa e Genova.
A Pisa alla base dell'autonomia c'è la solidarietà tra i cittadini fondata sull'osservanza delle “consuetudini del mare”, che Enrico IV promette di rispettare (nel 1.081), nel medesimo tempo in cui riconosce ai pisani la possibilità di eleggere una sorta di consiglio straordinario di dodici cittadini, che prefigura evidentemente future magistrature comunali stabili; ampie sono le concessioni, politiche ed economiche, fatte in quest'occasione ai cittadini dall'imperatore. D'altra parte l'arcivescovo di Pisa – quel Daimberto che sarà il legato della prima crociata – non rinuncia alla sua autorità, come si vede dal giudizio pacificatorio fra le fazioni cittadine da lui pronunciato nel 1.088-92, con il quale stabilisce l'altezza massima delle torri, quelle case-fortezze dalle quali i membri dell'aristocrazia cittadina combattevano le loro guerre private.
Stemma della
Repubblica
marinara
di Pisa.
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A Pisa alla base dell'autonomia c'è la solidarietà tra i cittadini fondata sull'osservanza delle “consuetudini del mare”, che Enrico IV promette di rispettare (nel 1.081), nel medesimo tempo in cui riconosce ai pisani la possibilità di eleggere una sorta di consiglio straordinario di dodici cittadini, che prefigura evidentemente future magistrature comunali stabili; ampie sono le concessioni, politiche ed economiche, fatte in quest'occasione ai cittadini dall'imperatore. D'altra parte l'arcivescovo di Pisa – quel Daimberto che sarà il legato della prima crociata – non rinuncia alla sua autorità, come si vede dal giudizio pacificatorio fra le fazioni cittadine da lui pronunciato nel 1.088-92, con il quale stabilisce l'altezza massima delle torri, quelle case-fortezze dalle quali i membri dell'aristocrazia cittadina combattevano le loro guerre private.
Stemma della
Repubblica
marinara di
Genova.
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A Genova, ancora più nettamente che a Pisa, il comune nasce verso la fine dell'XI secolo dalle stesse strutture associative del commercio per mare. La “compagna”, questo è il nome della struttura portante del comune genovese, veniva rinnovata periodicamente, ogni tre o quattro anni (appunto come una società commerciale). La città appare tutta orientata verso il commercio con il Levante. Dalla metà circa del XII secolo la struttura comunale si assesta; i consoli pronunciano un giuramento al momento dell'entrata in carica che va a costituire il nucleo originario degli statuti comunali (il Breve).
- Nello stesso 1081, il 18 ottobre, ha luogo la battaglia di Durazzo che vede contrapposti da una parte l'Impero Romano d'Oriente (bizantino) guidato da Alessio I Comneno, asceso al trono quell'anno e dall'altra i Normanni di Roberto il Guiscardo. La battaglia di Durazzo costituì una pesante sconfitta per Alessio. Già con la battaglia di Manzikert del 1071, l'Impero aveva perso quella parte dell'Anatolia che rappresentava il cuore del dominio bizantino e ora anche i Balcani erano prossimi a cadere in mano straniera. Il Guiscardo conquistò Durazzo e nel giro di pochi mesi sottomise buona parte della Grecia settentrionale. Alessio prese accordi con l'imperatore Enrico IV al fine di attaccare i Normanni in Italia, ma mentre il Guiscardo rientrava in patria per scongiurare diplomaticamente questa evenienza, Alessio subì da Boemondo altre due sconfitte e riuscirà ad espellere i Normanni dai Balcani solo nel 1083. Nel maggio del 1081, Roberto il Guiscardo si era stabilito in Albania per pianificare la conquista dei Balcani a danno dell'Impero Bizantino. Già all'epoca era chiaro l'intento del Guiscardo di impossessarsi del trono di Bisanzio, rivendicato da Costantino Ducas, figlio del deposto Michele VII e genero di Roberto, in quanto marito della figlia Olimpia. Ma l'imperatore romano d'Oriente Niceforo III, che aveva deposto Michele nel 1078, era stato a sua volta spodestato e all'arrivo di Roberto nei Balcani, sul trono di Costantinopoli sedeva Alessio I Comneno. Per dar forza alle proprie rivendicazioni, il Guiscardo pensò di spacciare suo figlio Costantino come l'imperatore deposto, anziché come suo erede. Nel giugno di quell'anno il Guiscardo marciò verso nord e cinse d'assedio Durazzo, capitale della regione, i cui abitanti non furono per nulla impressionati dall'arrivo del falso Michele. La città, infatti, adagiata su una penisola protesa verso l'Adriatico, era ben preparata sia agli attacchi da terra che da mare. I Veneziani inviarono una flotta in aiuto di Alessio e bloccarono le navi del Guiscardo all'interno del porto, costringendo il Normanno ad inviare il figlio Boemondo a trattare con loro. Quando essi si rifiutarono di riconoscere il falso Michele e insultarono Boemondo, Roberto passò all'attacco. Le sue navi furono distrutte nel corso di una breve battaglia navale, mentre la guarnigione di Durazzo, guidata da Giorgio Paleologo, sconfisse i Normanni fuori dalla città e distrusse le loro torri d'assedio. A questa prima sconfitta seguì in breve un'epidemia che colpì le truppe normanne. Nonostante l'infelice esordio, il Guiscardo continuo l'assedio, mentre Alessio lasciava Costantinopoli e gli andava incontro con le sue armate. Secondo le cronache di Anna Comnena, figlia di Alessio I, Roberto aveva ai suoi ordini circa trentamila uomini, mentre Alessio disponeva di un esercito di circa ventimila soldati, molto composito per origini e formazione: tagmata della Tracia e della Macedonia, unità d'élite excubita e vestiaritae, una schiera di cosiddetti manichei (eretici bogomili organizzati in unità militari), cavalleria tessalica, mercenari franchi e turchi (questi ultimi comandati dal generale eunuco Taticius), coscritti balcanici, fanteria armena, alcuni Variaghi e altre truppe leggere. Il 18 ottobre, mentre l'imperatore marciava in testa all'esercito, un contingente di arcieri fu posizionato dietro le linee dei Variaghi, che di tanto in tanto si spostavano in modo da permettere alle frecce di colpire i Normanni, per poi richiudersi a difesa degli arcieri. Il Guiscardo tentò di rimuovere i Variaghi dalla loro posizione con una carica di cavalleria, che fu però respinta dagli arcieri. Il conte Amico caricò congiuntamente le ali di centro e di sinistra ma i Vairaghi tennero le loro posizioni e Pacuriano riuscì a rompere l'attacco facendo fallire l'offensiva. Le truppe di Amico, prese dal panico, fuggirono verso il mare, inseguite dai Variaghi. Fu a questo punto che comparve sul campo di battaglia Sichelgaita, terribile principessa guerriera sposa del Guiscardo, descritta da Anna come "una seconda Atena". Sichelgaita raggiunse e tenne sotto scacco le file dei Variaghi, che presi dalla foga della battaglia avevano dimenticato una delle regole fondamentali della strategia militare bizantina: mai inseguire le truppe in fuga, poiché gli inseguitori, tagliati fuori dal resto dell'esercito, risultano vulnerabili ad un attacco separato. Ed è infatti quello che accadde: il Guiscardo inviò contro di loro i suoi fanti, che approfittando della stanchezza dei nemici, fiaccati dall'inseguimento dei fuggiaschi, inflissero loro pesanti perdite. I superstiti trovarono riparo in una chiesa, che fu data alle fiamme dai Normanni. Nel rogo morirono tutti. Sebbene entrambi gli schieramenti avessero perso un intero fianco, il Guiscardo poteva contare ancora sulla propria cavalleria pesante, rimasta fuori dal campo come riserva. I cavalieri, lanciati contro Alessio e il centro del suo esercito, seminarono un terrore tale da indurre i mercenari turchi e bogomili alla diserzione. Lo stesso imperatore, sprovvisto di forze sufficienti, si diede alla fuga, inseguito prima da Amico, che riuscì a sconfiggere, poi dalle lance normanne. Anna Comnena racconta che solo l'intervento divino poté salvargli la vita - scusandosi in seguito coi lettori per aver dedicato così tanto spazio alle sofferenze del padre. Alessio perse in battaglia circa cinquemila uomini, compreso Costantino, figlio dell'imperatore Costantino X, mentre i Normanni occuparono il suo campo e depredarono le sue ricchezze. Le perdite subite dall'esercito del Guiscardo ci sono ignote: all'epoca, essi si vantarono di aver perso solo trenta uomini, il che è ovviamente impossibile.
-
Dal 1081, con l'ascesa al trono di Alessio I Comneno, si
avvia la rinascita dell'impero bizantino, espressione
utilizzata dagli studiosi della storia bizantina per indicare il
periodo di governo della dinastia comnena, durante il quale
l'impero attraversò una fase di grande ripresa economica e politica,
dovuta soprattutto alla ricostituzione dell'antica potenza bellica ed
alla vasta opera di espansione territoriale che ne seguì. Alla
vigilia dell'ascesa al trono di Alessio nel 1081, l'impero versava in
condizioni gravissime, circoscritto a Grecia e Macedonia,
finanziariamente sul lastrico e scosso da violente lotte intestine.
Mai in tutta la storia era stato così vulnerabile. La disastrosa
sconfitta di Manzicerta ad opera dei Turchi selgiuchidi, avvenuta
solo sette anni prima, aveva avuto pesanti strascichi: la perdita
dell'Asia minore (circa metà dei possedimenti imperiali) privava
Costantinopoli della vitale fonte di reclutamento per il suo
esercito, costituita dalle provincie anatoliche, la indeboliva
fortemente sul piano economico e lasciava la capitale direttamente
esposta agli attacchi dei nemici. Inoltre, i Normanni della Sicilia
avevano approfittato della temporanea debolezza militare dell'impero
per sferrare un'offensiva decisiva contro le roccaforti greche in
Italia, cacciando i Bizantini da tutto il meridione italico. Meno di
un secolo dopo aver raggiunto il suo apogeo
sotto Basilio II, l'impero bizantino era caduto in una situazione
che faceva temere addirittura il suo collasso. La
ripresa dell'impero bizantino sotto i Comneni è strettamente
collegata con la riforma dell'esercito voluta da Alessio e proseguita
dai successori, che permise alla macchina militare bizantina di
tornare potente e temuta, grazie ad una organizzazione
estremamente efficiente a dispetto delle scarse risorse disponibili.
Con essa gli imperatori cercarono di ritornare ad un esercito
fondato su truppe provenienti dai territori dell'impero,
piuttosto che su mercenari stranieri, spesso costosi ed inaffidabili.
- Nello stesso 1081, il 18 ottobre, ha luogo la battaglia di Durazzo che vede contrapposti da una parte l'Impero Romano d'Oriente (bizantino) guidato da Alessio I Comneno, asceso al trono quell'anno e dall'altra i Normanni di Roberto il Guiscardo. La battaglia di Durazzo costituì una pesante sconfitta per Alessio. Già con la battaglia di Manzikert del 1071, l'Impero aveva perso quella parte dell'Anatolia che rappresentava il cuore del dominio bizantino e ora anche i Balcani erano prossimi a cadere in mano straniera. Il Guiscardo conquistò Durazzo e nel giro di pochi mesi sottomise buona parte della Grecia settentrionale. Alessio prese accordi con l'imperatore Enrico IV al fine di attaccare i Normanni in Italia, ma mentre il Guiscardo rientrava in patria per scongiurare diplomaticamente questa evenienza, Alessio subì da Boemondo altre due sconfitte e riuscirà ad espellere i Normanni dai Balcani solo nel 1083. Nel maggio del 1081, Roberto il Guiscardo si era stabilito in Albania per pianificare la conquista dei Balcani a danno dell'Impero Bizantino. Già all'epoca era chiaro l'intento del Guiscardo di impossessarsi del trono di Bisanzio, rivendicato da Costantino Ducas, figlio del deposto Michele VII e genero di Roberto, in quanto marito della figlia Olimpia. Ma l'imperatore romano d'Oriente Niceforo III, che aveva deposto Michele nel 1078, era stato a sua volta spodestato e all'arrivo di Roberto nei Balcani, sul trono di Costantinopoli sedeva Alessio I Comneno. Per dar forza alle proprie rivendicazioni, il Guiscardo pensò di spacciare suo figlio Costantino come l'imperatore deposto, anziché come suo erede. Nel giugno di quell'anno il Guiscardo marciò verso nord e cinse d'assedio Durazzo, capitale della regione, i cui abitanti non furono per nulla impressionati dall'arrivo del falso Michele. La città, infatti, adagiata su una penisola protesa verso l'Adriatico, era ben preparata sia agli attacchi da terra che da mare. I Veneziani inviarono una flotta in aiuto di Alessio e bloccarono le navi del Guiscardo all'interno del porto, costringendo il Normanno ad inviare il figlio Boemondo a trattare con loro. Quando essi si rifiutarono di riconoscere il falso Michele e insultarono Boemondo, Roberto passò all'attacco. Le sue navi furono distrutte nel corso di una breve battaglia navale, mentre la guarnigione di Durazzo, guidata da Giorgio Paleologo, sconfisse i Normanni fuori dalla città e distrusse le loro torri d'assedio. A questa prima sconfitta seguì in breve un'epidemia che colpì le truppe normanne. Nonostante l'infelice esordio, il Guiscardo continuo l'assedio, mentre Alessio lasciava Costantinopoli e gli andava incontro con le sue armate. Secondo le cronache di Anna Comnena, figlia di Alessio I, Roberto aveva ai suoi ordini circa trentamila uomini, mentre Alessio disponeva di un esercito di circa ventimila soldati, molto composito per origini e formazione: tagmata della Tracia e della Macedonia, unità d'élite excubita e vestiaritae, una schiera di cosiddetti manichei (eretici bogomili organizzati in unità militari), cavalleria tessalica, mercenari franchi e turchi (questi ultimi comandati dal generale eunuco Taticius), coscritti balcanici, fanteria armena, alcuni Variaghi e altre truppe leggere. Il 18 ottobre, mentre l'imperatore marciava in testa all'esercito, un contingente di arcieri fu posizionato dietro le linee dei Variaghi, che di tanto in tanto si spostavano in modo da permettere alle frecce di colpire i Normanni, per poi richiudersi a difesa degli arcieri. Il Guiscardo tentò di rimuovere i Variaghi dalla loro posizione con una carica di cavalleria, che fu però respinta dagli arcieri. Il conte Amico caricò congiuntamente le ali di centro e di sinistra ma i Vairaghi tennero le loro posizioni e Pacuriano riuscì a rompere l'attacco facendo fallire l'offensiva. Le truppe di Amico, prese dal panico, fuggirono verso il mare, inseguite dai Variaghi. Fu a questo punto che comparve sul campo di battaglia Sichelgaita, terribile principessa guerriera sposa del Guiscardo, descritta da Anna come "una seconda Atena". Sichelgaita raggiunse e tenne sotto scacco le file dei Variaghi, che presi dalla foga della battaglia avevano dimenticato una delle regole fondamentali della strategia militare bizantina: mai inseguire le truppe in fuga, poiché gli inseguitori, tagliati fuori dal resto dell'esercito, risultano vulnerabili ad un attacco separato. Ed è infatti quello che accadde: il Guiscardo inviò contro di loro i suoi fanti, che approfittando della stanchezza dei nemici, fiaccati dall'inseguimento dei fuggiaschi, inflissero loro pesanti perdite. I superstiti trovarono riparo in una chiesa, che fu data alle fiamme dai Normanni. Nel rogo morirono tutti. Sebbene entrambi gli schieramenti avessero perso un intero fianco, il Guiscardo poteva contare ancora sulla propria cavalleria pesante, rimasta fuori dal campo come riserva. I cavalieri, lanciati contro Alessio e il centro del suo esercito, seminarono un terrore tale da indurre i mercenari turchi e bogomili alla diserzione. Lo stesso imperatore, sprovvisto di forze sufficienti, si diede alla fuga, inseguito prima da Amico, che riuscì a sconfiggere, poi dalle lance normanne. Anna Comnena racconta che solo l'intervento divino poté salvargli la vita - scusandosi in seguito coi lettori per aver dedicato così tanto spazio alle sofferenze del padre. Alessio perse in battaglia circa cinquemila uomini, compreso Costantino, figlio dell'imperatore Costantino X, mentre i Normanni occuparono il suo campo e depredarono le sue ricchezze. Le perdite subite dall'esercito del Guiscardo ci sono ignote: all'epoca, essi si vantarono di aver perso solo trenta uomini, il che è ovviamente impossibile.
Alessio I Comneno da: https:// it.wikipedia.org/wiki/Alessio _I_Comneno#/media/ File:Alexius_I.jpg |
Tuttavia
ciò non avvenne attraverso il ripristino del controllo della
burocrazia imperiale sull'aristocrazia, ma attraverso
l'alleanza con essa e l'affermazione di un modello simile a
quello dell'Occidente feudale: il sistema dei themata restò
formalmente in vigore, ma gli imperatori si rassegnarono ad affidare
il comando di ciascuno di essi ai membri più eminenti
della nobiltà locale piuttosto che a funzionari di propria
esclusiva scelta. L'alleanza coll'aristocrazia permise una rapida
ricostituzione delle forze bizantine, ma favorì le spinte
disgregatrici: i primi Comneni furono in grado di tenerle sotto
controllo (grazie anche alle proprie doti personali), ma nel lungo
termine esse portarono al declino dell'impero. Le
battaglie più importanti che segnarono le perdite e le riconquiste
di gran parte dei territorio precedentemente perduti furono:
- prima
battaglia di Manzicerta del 1054 tra l'esercito bizantino guidato da
Basilio Apocapa ed i Turchi Selgiuchidi guidati dal sultano Toghrul
Beg, vinta dai i Bizantini.
-
seconda battaglia di Manzicerta del 1071 fra l'esercito del sultano
selgiuchide Alp Arslān e quello bizantino dell'imperatore Romano IV
Diogene dove i bizantini subiranno la peggiore sconfitta della loro
storia.
- la
battaglia di Durazzo del 1081, che vede contrapposti da una parte
l'Impero Romano d'Oriente (bizantino) guidato da Alessio I Comneno,
asceso al trono quell'anno e dall'altra i Normanni di Roberto il
Guiscardo, costituisce una pesante sconfitta per l'impero romano
d'Oriente (bizantino).
- la
battaglia di Levounion del 1091 dove un grande esercito invasore di
Peceneghi (un ramo dei turchi oghuz) è sconfitto pesantemente dalle
forze dell'esercito bizantino sotto il comando dell'Imperatore
Alessio I Comneno e dai Cumani, alleati dei bizantini, la prima
vittoria decisiva per i Bizantini nella rinascita dell'Impero sotto i
Comneni.
- la
battaglia di Beroia del 1122 fra i Peceneghi e l'imperatore bizantino
Giovanni II Comneno nell'attuale Bulgaria, presso la città di Beroia
(oggi Stara Zagora) che provocherà la scomparsa dei Peceneghi
come popolo indipendente.
- la
battaglia di Sirmio del 1167 tra gli eserciti dell'Impero bizantino e
del Regno di Ungheria con la decisiva vittoria dei bizantini.
- la
battaglia di Miriocefalo del 1176 tra turchi selgiuchidi e
bizantini, la cui sconfitta toglie ogni speranza all'imperatore
romano d'Oriente di riprendersi l'intera Anatolia.
Matilde di
Canossa, da: https:
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Matilde di
Canossa.
|
40 anni di regno: il 18 aprile 1.076 muore Beatrice, la madre di Matilde, e da questo momento, anche se prima aveva già regnato affiancata alla madre, diviene a 30 anni l'unica sovrana incontrastata di tutte le terre che vanno dal Lazio al lago di Garda. Nel 1.073 era salito al soglio pontificio Ildebrando di Soana, col nome di Gregorio VII. Nello stesso anno il nuovo imperatore Enrico IV, dopo aver riorganizzato il territorio tedesco, si era rivolto verso i suoi possedimenti in Italia. Cominciò tra i due personaggi un duro duello, che vide contrapposta l'autorità della Chiesa a quella dell'Impero (lotta per le investiture). Nel 1.076 il papa decise di scomunicare l'imperatore che da questa iniziativa papale subì un doppio danno, vedendosi estraniato dai riti religiosi e trovandosi con sudditi non più sottomessi. Matilde si ritenne libera di agire secondo la sua completa volontà e si schierò con decisione al fianco di papa Gregorio VII, nonostante l'imperatore fosse suo secondo cugino. La scomunica indusse Enrico IV a venire a patti col papa. L'imperatore scese in Italia per parlare personalmente col pontefice. Gregorio VII lo ricevette nel gennaio 1.077 mentre era ospite di Matilde nel castello di Canossa. In quell'occasione l'imperatore, per ottenere la revoca della scomunica da parte del papa, fu costretto ad attendere davanti al portale d'ingresso del castello per tre giorni e tre notti inginocchiato col capo cosparso di cenere. Il faccia a faccia si risolse con un compromesso (28 gennaio 1.077): Gregorio revocò la scomunica a Enrico, ma non la dichiarazione di decadenza dal trono. Nel 1.079 Matilde donò al papa tutti i suoi domini, in aperta sfida con l'imperatore, visti i diritti che il sovrano vantava su di essi, sia come signore feudale, sia come parente prossimo. Ma in due anni le sorti del confronto tra papato ed impero si ribaltarono: nel 1080 Enrico IV convocò un Concilio a Bressanone in cui fece deporre il papa. L'anno seguente decise di scendere una seconda volta in Italia per ribadire la sua signoria sui suoi territori. Decretò Matilde deposta e bandita dall'impero. Ma la Grancontessa non se ne diede per vinta e, mentre Gregorio VII era costretto all'esilio, Matilde resistette e il 2 luglio 1.084 riuscì a sbaragliare inaspettatamente l'esercito imperiale nella famosa battaglia di Sorbara, presso Modena, essendo riuscita a formare una coalizione favorevole al papato a cui aderirono i bolognesi e contrapposta alla lega imperiale. Nel 1088 Matilde si trovò a fronteggiare una nuova discesa dell'Imperatore Enrico IV e si preparò al peggio con un matrimonio politico, dato che l'attuale pontefice disgiungeva il potere vaticano da quello canossiano, com'era stato sino a quel momento, per ultimo Gregorio IV. Matilde scelse il Duca diciannovenne Guelfo V (in tedesco Welf), erede della corona ducale di Baviera. Le nozze facevano parte di una rete di alleanze di cui faceva parte anche il nuovo papa, Urbano II, allo scopo di contrastare efficacemente Enrico IV. La quarantatreenne Matilde inviò una lettera al suo futuro sposo: « Non per leggerezza femminile o per temerarietà, ma per il bene di tutto il mio regno, ti invio questa lettera accogliendo la quale tu accogli me e tutto il governo della Longobardia. Ti darò tante città tanti castelli tanti nobili palazzi, oro ed argento a dismisura e soprattutto tu avrai un nome famoso, se ti renderai a me caro; e non segnarmi per l'audacia perché per prima ti assalgo col discorso. È lecito sia al sesso maschile che a quello femminile aspirare ad una legittima unione e non fa differenza se sia l'uomo o la donna a toccare la prima linea dell'amore, solo che raggiunga un matrimonio indissolubile. Addio. ». La Gran Contessa inviò migliaia di armati al confine della Longobardia a prendere il Duca, lo accolse con onori, organizzò una festa nuziale di 120 giorni con un apparato di fronte al quale sarebbe impallidito qualunque sovrano medioevale. Cosma di Praga, autore del Chronicon Boemorum, riporta che dopo il matrimonio, per due notti, il duca aveva rifiutato il letto nuziale ed il terzo giorno Matilde si presentò nuda su una tavola preparata ad hoc su alcuni cavalletti dicendogli tutto è davanti a te e non v'è luogo dove si possa celare maleficio. Ma il Duca rimase interdetto; Matilde, indignata, lo assalì a suon di ceffoni e sputandogli addosso lo cacciò con queste parole: Vattene di qua, mostro, non inquinare il regno nostro, più vile sei di un verme, più vile di un'alga marcia, se domani ti mostrerai, d'una mala morte morirai.... Il Duca fuggì; per questo fu soprannominato Guelfo l'impotente. Matilde e il giovane marito si separarono dopo pochissimi giorni; ovviamente i due non ebbero mai figli. Successivamente Matilde sobillò i due figli dell'imperatore, Corrado di Lorena ed Enrico e ne appoggiò le rivolte contro il padre; si appoggiò inoltre alla potente casata comitale dei Guidi in Toscana, per ostacolare un'altra dinastia, gli Alberti, fedeli all'impero. Dopo numerose vittorie, tra le quali quella sui Sassoni, l'imperatore Enrico si preparava nel 1.090 alla sua terza discesa in terra italica, per infliggere una sconfitta definitiva alla Chiesa. L'itinerario fu quello solito, il Brennero e Verona, confine coi possedimenti di Matilde che iniziavano dalle porte della città. La battaglia si accentrò presso Mantova. Matilde si assicurò la fedeltà degli abitanti esentandoli da alcune tasse come il teloneo ed il ripatico e con la promessa di essere integrati nello status di Cittadini Longobardi col diritto di caccia, pesca e taglialegna su entrambe le rive del fiume Tartaro. La città resistette fino al tradimento del giovedì santo, nel quale i cittadini cambiarono fronte in cambio di alcuni ulteriori diritti concessi loro dall'assediante Enrico IV. Matilde si arroccò nel 1.092 sull'appennino reggiano attorno ai suoi castelli più inespugnabili. Sin da Adalberto Atto, il potere dei Canossa si era basato su una rete di castelli, rocche e borghi fortificati situati nella Val d'Enza, che costituivano un complesso sistema poligonale di difesa che aveva sempre resistito ad ogni attacco portato sull'Appennino. Dopo alterne e sanguinose battaglie, il potente esercito imperiale venne preso in una morsa. Nonostante l'esercito imperiale fosse temibilissimo, fu distrutto dalla vassalleria matildica dei piccoli feudatari ed assegnatari dei borghi fortificati, che mantennero intatta la fedeltà ai Canossa anche di fronte all'Impero. La conoscenza perfetta dei luoghi, la velocità delle informazioni e degli spostamenti, la presa delle posizioni strategiche in tutti i luoghi elevati della val d'Enza, avevano avuto la meglio sul potente imperatore. Pare che la stessa contessa avesse partecipato, con un manipolo di guerrieri scelti e fedeli, alla battaglia, galvanizzando gli alleati all'idea di combattere una guerra giusta. L'esercito imperiale fu preso a tenaglia nella vallata, ma la sconfitta totale fu più di una guerra persa: Enrico IV si rese conto dell'impossibilità di penetrare quei luoghi asperrimi, ben diversi dalla Pianura Padana o dalla Sassonia: non si trovava più di fronte ai confini tracciati dai fiumi dell'Europa centrale, ma a scoscesi sentieri, calanchi, luoghi impervi protetti da rocche turrite, da casetorri che svettavano verso il cielo, dalle quali gli abitanti scaricavano dardi di ogni genere su chiunque si avvicinasse: lance, frecce, forse anche olio bollente, giavellotti, massi, picche infocate. Con queste armi chi si trovava più in alto aveva spesso la meglio. Dopo la vittoria di Matilde molte città come Milano, Cremona, Lodi e Piacenza si schierarono con la Contessa canossiana per sottrarsi al controllo imperiale. Nel 1.093 il figlio secondogenito dell'Imperatore, Corrado di Lorena, sostenuto dal papa, da Matilde e da una lega di città lombarde, veniva incoronato Re d'Italia. Matilde liberò e diede rifugio persino alla moglie dell'imperatore, Prassede, figlia del Re di Russia ed ex vedova del Marchese di Brandeburgo, che aveva denunciato al Concilio di Piacenza del 1.095 le inaudite porcherie sessuali che aveva preteso Enrico da lei e per le quali veniva relegata in una specie di prigionia-alcova a Verona. Si accese dunque una lotta all'interno stesso della famiglia imperiale, che indebolì sempre più Enrico IV, finché poi morì, ormai sconfitto, nel 1.106. Alla deposizione e morte di Corrado di Lorena nel 1.101, il figlio terzogenito del defunto imperatore Enrico IV e nuovo imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Enrico V, riprese a sua volta la lotta contro la Chiesa e l'Italia. Stavolta l'atteggiamento della Granduchessa nei confronti della casa imperiale dovette modificarsi e Matilde si conformò ai voleri dell'imperatore. Nel 1.111, sulla via del ritorno in Germania, Enrico V la incontrò al Castello di Bianello, vicino a Reggio Emilia. Matilde gli confermò i feudi da lei messi in dubbio quando era vivo suo padre, chiudendo così una vertenza che era durata oltre vent'anni. Enrico V conferì alla Granduchessa un nuovo titolo. Così il figlio del suo vecchio antagonista creò Matilde "Regina d'Italia" e "Vicaria Papale". Sembra che anche la fondazione della chiesa di S. Salvaro a Legnago (VR) sia dovuta a Matilde. Come donna di governo, Matilde dimostrò una grande sensibilità per i bisogni delle sue genti. Vista la grande povertà delle popolazioni appenniniche, la cui unica risorsa era la legna da ardere, Matilde introdusse, dal vicino oriente, il castagno, l'"albero del pane", dalle cui castagne si ottiene una farina ricca di proteine, e che innestato produce i marroni: grossi, gustosi e nutrienti. Fra l'altro, le piante di castagno si piantavano secondo quello che ancora si definisce "l'ordine matildeo", in una serie di cerchi inanellati, che permettevano alle piante di condividere la forza del cerchio. Da lì in poi, castagne, farina di castagne e marroni divennero la risorsa più comune delle popolazioni montane. Matilde morì di gotta nel 1.115. Venne prima sepolta in San Benedetto in Polirone (San Benedetto Po), poi, nel 1.633, per volere del papa Urbano VIII, la sua salma venne traslata a Roma in Castel Sant'Angelo. Nel 1.645 i suoi resti trovarono definitiva collocazione nella Basilica di San Pietro a Roma, unica donna insieme alla regina Cristina di Svezia e alla polacca Maria Clementina Sobieski, consorte di Giacomo Francesco Edoardo Stuart. Sulla sua tomba, scolpita dal Bernini, è scolpito "Onore e Gloria d'Italia". Matilde non aveva lasciato eredi diretti; di conseguenza il suo immenso patrimonio andò disperso. Alcuni castelli rimasero in possesso di signori locali e Communi Militum, cioè cavalieri e mercenari; altri andarono ai discendenti di Prangarda, sorella di Tedaldo, il nonno di Matilde (come forse le famiglie che diedero vita alle dinastie parmensi dei Baratti e degli Attoni - o Iattoni - di Antesica e di Beduzzo, effettive castellanze matildiche). Per quanto riguarda i feudi appartenuti alla contessa, alcuni possedimenti vennero addirittura dimenticati in un vuoto di potere, altri semplicemente incamerati nei possedimenti papali. Dopo la sua morte, attorno a Matilde venne a crearsi un alone di leggenda. Gli agiografi ecclesiastici ne mitizzarono il personaggio facendone una contessa semi-monaca dedita alla contemplazione e alla fede. Lo stesso Dante Alighieri ne sentì parlare e la inserì nell'XI canto del Paradiso della Divina Commedia, ponendola nella cerchia dei militanti per la fede. Qualcuno sostiene che si sia trattato di un personaggio di forti passioni sia spirituali sia carnali. Ancora oggi nella popolazione di Carpi, si ricorda che Matilde veniva in carrozza per incontrare, intimamente, Pio, il signore di Carpi. Probabilmente Gregorio VII ed il monaco Anselmo, nipote di Anselmo da Baggio e padre spirituale di Matilde, condizionarono diverse sue scelte facendo leva sulla sua fede quasi incondizionata. Si narra che dopo la morte di Anselmo, Matilde, che soffriva di un eczema, per curarsi si coricasse senza vesti sul tavolo dove era stato lavato il monaco defunto. In realtà nel Medioevo il culto delle reliquie (e la certezza riguardante i loro poteri miracolosi) fu molto sentito. Si dice che Matilde conservasse tra le reliquie anche un anello vescovile, che utilizzava per calmare i frequenti attacchi di epilessia.
Nel 1.082 - Con la morte di Roberto il Guiscardo, il suo esercito abbandona le posizioni raggiunte per ritornare in Puglia e Venezia, salvando dai Normanni il caposaldo bizantino di Durazzo, riesce ad ottenere dall'imperatore romano d'oriente Alessio I Comneno quanto aveva desiderato: la Crisobolla (o "Bolla Aurea") del maggio 1082, con cui l'Imperatore d'Oriente concede ai mercanti veneziani ampi privilegi ed esenzioni in tutto l'Impero bizantino: questa iniziale concessione venne poi più volte ampliata ed affiancata da altri atti con cui gli imperatori via via premiarono e poi pagarono il sostegno navale dei loro ex-sudditi.
Nel 1.085 - Nella difesa comune
contro i Normanni l'imperatore romano d'oriente Alessio I
Comneno accorda larghissimi privilegi al commercio veneziano e
in cambio, i veneziani salvano dai Normanni il caposaldo bizantino di
Durazzo.
Dal 1.088 - Si fondano le prime Università: a Bologna nel 1.088, a Parigi nel 1.150, a Salerno nel 1.173. Già a Bologna si era inaugurato lo “Studium”, dove si praticava un insegnamento libero e indipendente dalle scuole ecclesiastiche.
Intorno alla fine del secolo XI infatti a Bologna maestri di grammatica, di retorica e di logica iniziano a studiare il diritto e la prima figura di studioso su cui ci sono notizie certe è quella di Irnerius, fondatore di un diritto europeo scritto, sistematico, comprensibile e razionale, sulla base del “Corpus Iuris Civilis “ di Giustiniano (da "Le crociate" di Franco Cardini), la cui notorietà superò presto i confini di Bologna. Considerata la più antica università propriamente detta del mondo occidentale, lo Studium nacque come libera e laica organizzazione fra studenti e docenti. Gli studenti, per compensare i docenti, iniziarono a raccogliere denaro (collectio), che nei primi tempi venne dato come offerta perché la scienza, dono di Dio, non poteva essere venduta, poi a poco a poco la donazione si trasformò in salario vero e proprio. In ogni caso non sempre gli studenti partecipavano alla collectio, e il Comune doveva intervenire per assicurare la continuità degli studi.
- I Nizariti sono la principale setta degli ismailiti, una corrente dell'islam sciita, seguaci dell'Aga Khan, conosciuti in passato anche come Setta degli Assassini oppure semplicemente Assassini, particolarmente attivi tra l''XI e il XIV secolo in Vicino Oriente come seguaci di Hasan. L'apice della loro attività si ebbe in Persia e in Siria a partire dall'XI secolo, in seguito ad un'importante scissione della corrente ismailita e proseguita in modo più organizzato qualche decennio più tardi nel 1094 grazie a Ḥasan-i Ṣabbāḥ, detto "il Vecchio della Montagna" (o anche "Veglio della Montagna", in realtà "capo della Montagna", dalla confusione del significato dell'arabo shaykh, che vuol dire sia "vecchio" sia "capo"), la cui roccaforte fu Alamūt, nel nord della Persia, fra Teheran e il mar Caspio. Alla fine del Medioevo questa setta scomparve, praticamente sommersa dal ramo principale dell'Ismailismo. Tra le caratteristiche più note del movimento si ricorda la completa e assoluta sottomissione dei seguaci al loro capo carismatico. Il loro principio fondamentale della sottomissione all'autorità rivelata spiega la devozione che essi nutrivano verso i loro maestri, ritenuti figure a metà strada tra il semi-divino e semi-umano. Aga Khan è
il titolo ereditario dell'Imam dei Nizariti, in
precedenza chiamati anche "Setta degli Assassini", o più
semplicemente "Assassini".
Logo
dell'università di Bologna.
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L'Impero Romano
d'Oriente (detto Bizantino) nel 1095, da:
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Nel 1.091 - Il 29 aprile si
combatte la battaglia di Levounion, la prima vittoria
decisiva per i Bizantini nella rinascita dell'Impero sotto i
Comneni, dove un grande esercito invasore di Peceneghi (un ramo dei turchi
Oghuz) è sconfitto pesantemente dalle forze dell'esercito
bizantino sotto il comando dell'Imperatore Alessio I Comneno e dai
Cumani, alleati dei bizantini.
Nel 1.092 - Nell'impero selgiuchide viene trucidato, da un aderente della Setta degli Assassini, il vizir di Malik Shah, Nizam al-Mulk. Dopo la morte di Malik Shah, si apre nell'impero dei selgiuchidi (che erano turchi Oghuz) un'aspra lotta di successione tra i suoi figli destinata a durare un decennio.
Nel 1095 poi, muore anche Tutush, sultano di Damasco, il cui regno sarà spartito tra i figli Duqaq, signore di Damasco, e Riḍwān, signore di Aleppo, che però faticavano a mantenere il controllo sui signori locali, mentre i Fatimidi riprendevano l'offensiva in Palestina, Tripoli si rendeva indipendente e l'atabeg di Mosul minacciava la stessa Aleppo. I resti del breve sultanato di Siria vennero travolti in pochi anni dalle nuove dinastie emergenti degli Artuqidi e dei Buridi, in parte vassalle dei Selgiuchidi di Persia, in parte degli Abbasidi di Baghdad che, col declinare della potenza turca, cercavano di sottrarsi alla tutela dei Grandi Selgiuchidi. Altra minaccia alla stabilità dell'impero era rappresentata poi dalla setta degli Ismailiti Nizariti, che, dopo essere stati al centro di numerose campagne militari di repressione durante il regno di Malik Shah, avviarono, sotto la guida di Ḥasan-i Ṣabbāḥ una campagna di esecuzioni terroristiche, mirate a colpire capi politici e militari selgiuchidi che essi ferocemente avversavano, anche perché sunniti. Ciò servì a renderli famosi come la Setta degli Assassini. Una delle prime vittime della setta era stato proprio il vizir di Malik Shah, Nizam al-Mulk, trucidato nel 1092.
L'impero
selgiuchide nel 1092, da: https://it.wikipedia.org/
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Calligrafia
sciita che simboleggia
Ali
come Tigre di Dio. Da: https://
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Il Vecchio
della Montagna o Veglio della Montagna è l'espressione
utilizzata da Marco Polo in un brano de "Il Milione" per indicare
al-Hasan ibn as-Sabbah, maestro della setta degli
"ismailiyyah". Il vocabolo "assassini", per
indicare i suoi fanatici seguaci sanguinari, venne usato in Occidente
fin dal XII secolo, ma nel generico significato di omicida,
"assassino" è utilizzato già da Dante nell'Inferno (Dante
Alighieri, La divina Commedia, Inferno, XIX, 50). Fonti arabe,
persiane e perfino cinesi illustrano la storicità della vicenda. Il
persiano al-Hasan ibn as-Sabbah fu iniziatore della diramazione
eretica musulmana sciita detta degli ismailiti; dopo esserne
diventato gran maestro nel 1107, nel 1109 s'impadronì della fortezza
di Alamūt, che diventò centro del suo potere.
Fra le
denominazioni usate dagli autori musulmani per i seguagi di al-Hasan
quella di "hashishiyyah" risulta rarissima, tuttavia è
quella che allude all'hashish e che dovette predonimare nell'uso
popolare così da dar origine al vocabolo europeo "assassino".
Le stesse fonti asiatiche riferiscono dell'inebriamento e
testimoniano del potere assoluto esercitato dal capo: la dottrina
ismailitica ammetteva del resto l'omicidio politico, con una
spregiudicatezza che consentì di allearsi persino con i crociati.
Nel 1256, sotto il regno del gran maestro Alaaddin, terzo successore
di al-Hasan, i mongoli di Hulagu espugnarono la fortezza ritenuta
imprendibile.
Il racconto di
Marco Polo descrive un luogo protetto da un castello fra le
montagne in cui il capo (Ḥasan-i Ṣabbāḥ) aveva creato un
paradiso terrestre con cibo e divertimenti come quelli descritti da
Maometto, con vino, latte e miele e dove i giovani da lui selezionati
provavano tutti i piaceri della vita. Da questo luogo i predestinati
potevano entrare e uscire solo profondamente addormentati. Quando il
Vecchio aveva bisogno di un assassino, faceva cadere in un sonno
profondo tramite hashish (da cui il termine "assassini")
oppure oppio un adepto e lo faceva svegliare fuori dal "paradiso".
Il malcapitato disperato e confuso, sarebbe potuto rientrare solo
dopo aver portato a termine la propria missione e quindi avrebbe
fatto tutto quanto richiestogli.
«Quando lo Veglio
ne facea mettere nel giardino a 4, a 10, a 20, egli gli facea dare
oppio a bere, e quelli dormía bene 3 dí; e faceali portare nel
giardino e là entro gli facea isvegliare. Quando li giovani si
svegliavano e si trovavano là entro e vedeano tutte queste cose,
veramente credeano essere in paradiso.» (Il Milione, capitolo
40 e segg.).
Nel 1.093 - Normanni in Galles. I Normanni, sotto Robert Fitzhamon, signore di Gloucester, occuparono il Glamorgan (ca 1.093). Nel 1.167, Dermot, re del Leinster, cacciato dall'isola, fu rimesso sul trono dai Normanni del Galles comandati da Riccardo di Clare, conte di Pembroke.
- Nel 1.093 Alfonso VI concede la contea del Portogallo a Enrico di Borgogna, promesso sposo di Teresa, figlia naturale di Alfonso VI.
- Nel 1.093 Alfonso VI concede la contea del Portogallo a Enrico di Borgogna, promesso sposo di Teresa, figlia naturale di Alfonso VI.
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