Carta del Corno d'Africa nel periodo del colonialismo italiano con i relativi siti di rilievo. |
In Africa, nel 1.861, il
presidente del consiglio del regno d'Italia, Cavour, della destra
storica, fa un tentativo poco conosciuto e stroncato
prontamente da inglesi e francesi, di creare una piccola colonia
italiana, inizialmente commerciale, sulla costa della Nigeria e
nell'isola portoghese del Príncipe.
Il secondo tentativo di penetrazione
italiana in Africa, riuscito, risale al 2 ottobre
1.869, quando il governo italiano, guidato dal presidente
Luigi Federico Menabrea, membro della Destra parlamentare, stipula un
trattato segreto per comprare terreni sulle coste etiopi (nella
futura Eritrea), allo scopo di promuovere il colonialismo
italiano e il 15 novembre 1.869, Giuseppe Sapeto (un missionario,
esploratore e agente del governo italiano in Dancalia) acquista dai
sultani fratelli, Ibrahim e Hassan ben Ahmad, un territorio lungo
circa 6 km, tra il monte Ganga e il capo Lumah, ad Assab. La
città sorge tra due baie, quella di Buia a sud e quella di Lumah a
nord. Il prezzo del terreno corrisponde a seimila talleri di Maria
Teresa, da versare entro 100 giorni. Per ragioni politiche venne
scelto di far apparire la Società di navigazione Rubattino di Genova
l'acquirente e non il governo italiano. L'11 marzo 1.870 viene
definitivamente concluso l'affare e il 13 marzo vengono acquistate (o
prese in gestione) da Berehan Dini, sultano di Raheita, anche due
isole vicine (Omm el Bahar e Ras el-Raml).
L'Italia, fino al 1.876 è stata
governata dalla destra storica dello schieramento
parlamentare. Favorevoli alla cosiddetta "Italietta",
i conservatori cercarono di favorire lo sviluppo interno del paese,
tenendolo lontano da pericolose ambizioni espansionistiche e
da alleanze scomode. Il ministro degli esteri Visconti Venosta, nel
1.873 aveva affermato: «Se l'Italia fosse aggredita dalla Francia
sarà la Germania a correrle spontaneamente in aiuto, perché ciò è
nel suo interesse. Legata da patti alla Germania, l'Italia potrebbe
invece essere costretta ad una guerra d'aggressione, non in qualità
di alleato, ma di sgherro». Nel 1876, la destra storica cade,
lasciando spazio ad un'aggressiva sinistra che, guidata da
Francesco Crispi, vuole portare il paese allo stesso livello delle
grandi potenze. Le spese militari subiscono un'improvvisa
impennata e cominciano a profilarsi le prime mire colonialistiche
in nord Africa, auspicate da un crescente movimento
politico-sociale che spinge per espandere le aree di influenza
italiane in Africa,
dal momento che altri paesi europei si sono già mossi in questa
direzione, mentre l'Italia è rimasta al palo, a parte
l'acquisizione, fra l'altro non ufficiale, di Assab, sul Mar Rosso.
Nella situazione di grave carenza di
capitali e di gravi problemi economici in cui versa il
paese, la Somalia viene considerata appetibile, più che per
le sue risorse primarie, per i suoi porti e per le regioni a
cui questi danno accesso. La Società geografica italiana, nella
persona del suo presidente, Cesare Correnti, organizza una spedizione
in Africa nel 1.876. L'anno successivo viene pubblicato da
Manfredo Camperio "L'Esploratore ", il diario di quel
viaggio. Nel 1.879 venne costituita la Società di
Esplorazioni Commerciali in Africa, con il coinvolgimento
dell'establishment industriale italiano del tempo e nello stesso anno
venne istituito in Somalia il "Club Africano", che tre anni
più tardi divenne la "Società Africana d'Italia".
In quegli anni, l'Italia punta
inoltre a stabilire il proprio dominio sulla vicina Tunisia,
paese sulla sponda opposta mediterranea, in cui si era stabilita da
qualche anno una nutrita comunità di connazionali. Tuttavia, la
Francia se ne impadronsce nel 1.881, provocando un'indispettita
reazione del governo Depretis con relatia svolta nella politica
estera italiana. Fu proprio per l'azione improvvisa della Francia che
l'Italia intraprese i contatti diplomatici con la Germania e
l'Austria-Ungheria che portarono alla firma del trattato della
Triplice Alleanza nel 1.882, determinando così
l'interruzione del processo politico di riunificazione nazionale con
il Trentino e la Venezia Giulia ancora in mano all'impero austriaco,
ora alleato.
Il 10 marzo 1.882 il governo
italiano acquisisce ufficialmente il possedimento etiopico di
Assab (nella futura Eritrea,
acquistato nel 1.869 per il governo italiano dalla compagnia
genovese Rubattino) che il 5 luglio dello stesso anno diventa
ufficialmente italiano. Con i governi di sinistra di
Agostino Depretis e in seguito di Francesco Crispi,
la politica italiana si rivela decisamente
colonialistico-aggressiva e si
organizzeranno almeno tre tentativi ufficiali del governo per
l'acquisizione di porti nel mar Rosso, che possano fungere da base
verso un futuro impero coloniale in Asia o in Africa.
Il Chedivato (o Khedivato)
d'Egitto, stato
tributario dell'Impero ottomano,
che si estendeva dall'attuale Egitto fin verso il corno d'Africa,
comprese le sponde etiopica del mar rosso, in seguito ad una guerra,
il cui esito fu decretato dalla battaglia di Tell el-Kabir del 14
settembre 1882, viene sottomesso a Londra dal 1.883. Quando
nel 1.884 il Khedivato si ritira dal Corno d'Africa, i diplomatici
italiani stipulano un accordo con la Gran Bretagna per
l'occupazione del porto di Massaua,
che assieme ad Assab formeranno i cosiddetti “Possedimenti
italiani nel Mar Rosso”, la futura Eritrea. Massaua diventa
la capitale provvisoria del possedimento d'oltremare e il controllo
italiano si estende nell'entroterra.
L'occupazione italiana di Massaua
segna l'inizio di una
lunga e dispendiosa guerra contro l'Etiopia, in cui la finale
annessione dell'Eritrea e della Somalia non potranno compensare le
enormi spese militari che ritarderanno inevitabilmente
il decollo industriale italiano: quel cattivo utilizzo dei
capitali avrà inevitabili ripercussioni in tutto il paese.
Inoltre, mentre l'Eritrea ha da
sempre ha fatto parte dell'Etiopia, fino alla sua colonizzazione da
parte dell'Italia, che l'ha inventata sia come unità
politica che come nome, come succederà poi per la Libia,
l'Etiopia, come entità
politica, ha avuto una lunga storia alle spalle. Il
nome Etiopia, dal greco Aithiops, 'un etiope', appare due volte
nell'Iliade e tre volte nell'Odissea. Lo storico greco Erodoto usava
questo nome per tutte le terre a sud dell'Egitto, tra cui il Sudan e
la moderna Etiopia. Durante il periodo coloniale europeo, era
chiamata Abissinia, da "Ḥabaśāt", parola
derivata dagli Habesh, una delle prime popolazioni semitiche etiopi.
La forma moderna di Habesha è il nome nativo per i suioi abitanti
mentre il paese è stato chiamato "Ityopp'ya", in alcune
lingue. L'Etiopia è ancora indicata come Al-Ḥabashah, "Abissinia",
nella lingua araba moderna.
L'imperatore etiopico portava il
titolo di Negus Neghesti, che in amarico significa "Re
dei Re". Nonostante numerosi re di Axum avessero utilizzato
questo titolo, sino alla restaurazione della dinastia Salomonide ad
opera di Iecuno Amlac i sovrani dell'Etiopia utilizzarono il titolo
di Negus, anche se "Re dei Re" venne utilizzato sin
dall'epoca di Ezanà. La titolatura completa dell'Imperatore
d'Etiopia era Negust Neghesti e Seyoume Igziabeher ("Eletto del
Signore"). Il titolo Moa Anbessa Ze Imnegede Yehuda (Leone
Conquistatore della Tribù di Giuda) precedeva sempre i titoli
dell'Imperatore. Esso non era un titolo personale, ma piuttosto un
riferimento al titolo di Cristo, che veniva collocato prima del nome
dell'Imperatore in un atto di sottomissione imperiale. Fino al regno
di Giovanni IV l'Imperatore era anche Negus Tsion ("Re di
Sion"), la cui sede fu Axum, e che conferiva la sovranità sulla
maggior parte del nord dell'Impero.
Un Negus (dal Ge'ez: nəgus,
"re") era il sovrano ereditario di una provincia, che
governava autorizzato dal monarca ad utilizzare il suo titolo
imperiale. Il titolo di Negus era concesso a discrezione
dell'Imperatore a coloro che governavano importanti province, anche
se venne spesso trasmesso ereditariamente durante e dopo l'Era dei
Principi. I sovrani di Beghemder, Scioa, Goggiam e Uollò detennero
tutti il titolo di Negus per qualche tempo, come "Negus di
Scioa", "Negus di Goggiam", e così via. Durante o
dopo il regno di Menelik II, praticamente tutti questi titoli
confluirono nella corona imperiale o vennero aboliti. Nel 1914, dopo
che venne nominato "Negus di Sion" da suo figlio Ligg Iasù
(Iasù V), Mikael di Uollò, consapevole dei sentimenti ostili che
tale nomina attirava verso di lui dalla nobiltà del nord (in
particolare Leul Ras Sejum Mangascià, alla cui famiglia venne negato
il titolo da Menelik II), che era ora tecnicamente subordinata a lui,
scelse invece di utilizzare il titolo di Negus di Uollò. A Tafari
Makonnen, che in seguito divenne l'imperatore Hailé Selassié, venne
conferito il titolo di Negus nel 1928; fu l'ultima persona ad
ottenerlo. Nonostante ciò, le fonti europee si riferirono al monarca
etiopico come Negus sino al XX secolo, iniziando ad utilizzare la
parola Imperatore solo dopo la Seconda guerra mondiale, circa lo
stesso periodo in cui il nome Abissinia cadde in disuso a
favore di Etiopia.
Indice del blog "Storia":
Per "1992: Il meccanismo politico-economico che ha causato la formazione di questa UE con la conseguente
perdita della sovranità italiana" clicca QUI
Per "Le guerre coloniali del Regno d'Italia" clicca QUI
Leul (dal Ge'ez: lə'ul,
"principe") era un titolo principesco utilizzato dai figli
e dai nipoti dell'Imperatore. Conferiva al titolare il trattamento di
Altezza Imperiale. Esso venne usato la prima volta nel 1916, dopo
l'incoronazione dell'imperatrice Zauditù.
Abetohun o Abeto (dal Ge'ez:
abētōhun o abētō, "principe") era il titolo riservato
ai maschi di discendenza imperiale per linea maschile. Il titolo
cadde in disuso alla fine del XIX secolo. Ligg Iasù tentò di farlo
rivivere come Abeto-hoy ("gran principe"), e questo è il
titolo oggi usato dal pretendente iausuista Ligg Girma Giovanni Iasù.
Ras (dal Ge'ez: ras,
letteralmente "testa", come l'arabo Rais) era uno dei
potenti titoli non imperiali, paragonato
dallo storico Harold G. Marcus al titolo di duca.
Il titolo combinato di Leul Ras veniva conferito ai capi dei rami
cadetti della dinastia imperiale, come i principi di Goggiam, Tigrè
e Selalle.
Per i governi di Crispi, il porto della
città di Massaua, diventerà
il punto di partenza per un progetto che avrebbe dovuto
sfociare, con la spedizione
italiana del Mar Rosso del 1.885,
nel controllo dell'intero Corno d'Africa,
con inclusa la Somalia, zona abitata da popolazioni etiopiche,
dancale, somale e oromo, autonome o sottoposte formalmente a diversi
dominatori: vari sultanati (Harar, Obbia e Zanzibar i più
importanti), emiri e capi tribali.
Verso la fine dell'800, vi era un
enorme interesse sul Corno d'Africa
da parte di alcune potenze europee,
che si contendevano il controllo di quell'area (come Inghilterra,
Regno d'Italia e Francia) e si guadagnarono i loro primi punti
d'appoggio in Somalia attraverso la firma di accordi e contratti
con i vari sultani somali che controllavano la regione, come
Yusuf Ali Kenadid, Bouor Osman Mhamuud e Mohamoud Ali Shire. I
britannici realizzarono un Protettorato della Somalia Britannica,
futuro Somaliland, nel 1.886, dopo la ritirata del Chedivato
egiziano ed il trattato con il somalo clan Warsangeli. Una piccola
parte sul mare a nord-est del territorio somalo fu presa dalla
Francia, che vi stabilì la Somalia Francese, costituita dai
territori di Afars e Issas (l'attuale Gibuti).
In Etiopia, (o Abissinia)
regnava il Negus Neghesti (il titolo dell'imperatore,
che significa "Re dei Re") Giovanni IV, ma vi era
anche la presenza di un secondo Negus (titolo che significa “Re”)
nei territori del sud, di nome Menelik. Tramite gli studiosi e
i commercianti italiani che frequentavano la zona già dagli anni
sessanta dell'800, l'Italia cercava di provocare la separazione
dei territori dei due Negus al fine di penetrare, dapprima
politicamente e in seguito militarmente, nel Tigrai, verso l'interno
dell'altopiano etiopico. Inoltre, tra le tentate acquisizioni
italiane, vi furono l'occupazione della città santa etiopica di
Harar, l'acquisto di Zeila nella Somalia britannica e l'affitto del
porto di Chisimaio, posto nel Benadir, alla foce del Giuba, in
Somalia, lungo la costa di Mogadiscio. Tutti e tre i progetti non
si conclusero positivamente ed
in particolare la presa della città di Harar da parte delle
forze etiopiche di Menelik impedì la sua occupazione da parte degli
italiani. È senz'altro da ricordare, anche per l'eco suscitata in
patria, la disfatta nella battaglia di Dogali del 1.887,
durante un tentativo di espansione italiana verso l'altopiano
etiopico. Le milizie di Ras Alula Engida causarono 430 morti di cui
23 ufficiali alla colonna "De Cristoforis" e per contro gli
etiopi ebbero qualche migliaio di morti. Questo episodio provocò una
frattura nelle relazioni tra re Giovanni IV d'Etiopia e l'Italia e,
in patria, le competenze per la colonizzazione della futura Eritrea
passarono dal ministero degli Esteri a quello della Guerra, mentre il
governo italiano rafforzò il proprio appoggio a Menelik.
In luglio si verificano le dimissioni del Presidente
del Consiglio, Agostino Depretis e gli subentra Francesco
Crispi, che elabora nuovi piani per la creazione di nuove aree per
l'immigrazione per gli italiani.
Il 2 maggio 1.889 Menelik II,
incoronato nuovo
imperatore d'Etiopia, firma con il regno d'Italia un equivocato
trattato di pace. A seguito della sconfitta e della morte del
Negus Neghesti (Re dei Re), Giovanni IV, in una guerra contro i
dervisci sudanesi, l'esercito italiano di stanza a Massaua
aveva occupato una parte dell'altopiano etiopico, compresa la
città di Asmara, sulla base di precedenti accordi intrapresi
con Menelik, quando era ancora Negus del sud etiopico il quale, con la
morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere come il nuovo
Negus Neghesti. Con il trattato che ne segue, Menelik accetta la
presenza degli italiani sull'altopiano e riconosce di utilizzare
l'Italia come canale di comunicazione preferenziale con i paesi
europei. Quest'ultimo riconoscimento viene interpretato dagli
italiani (e tradotto dalla lingua amarica di conseguenza) come
l'accettazione di un protettorato italiano, ma per i cinque anni
seguenti, quella interpretazione del trattato di pace sarà fonte
di discordie fra i due paesi.
Intanto
nell'area meridionale somala l'Italia ottiene dei
protettorati tramite un accordo da parte del console italiano di
Aden (nella penisola arabica) con i rispettivi governanti dei
sultanati, che rappresenteranno i germi di quella che sarà la
Somalia Italiana (dal 1.889 al 1.908 un protettorato e dal
1.908 una colonia italiana).
Alla fine del 1.888, il sultano
Yusuf Ali Kenadid stipula un trattato con gli italiani, rendendo il
suo Sultanato di Obbia un protettorato italiano
ed il suo rivale, Boqor Osman, firma un accordo simile per il
suo Sultanato della Migiurtinia l'anno successivo
(il 1.889). Entrambi
i sovrani avevano firmato i trattati di protettorato sperando così,
da una parte di evitare l'occupazione diretta dei loro territori,
dall'altra di accentuare i motivi di frizione fra le potenze europee
concorrenti.
Nel marzo 1.891 Vincenzo
Filonardi, console italiano di Zanzibàr occupa il villaggio costiero
somalo di Ataleh, che ribattezza Itala. Nel 1.892 il sultano
di Zanzibar (ora in Tanzania) concede in affitto per
25 anni i porti del Benadir (in Somalia, fra cui
Mogadiscio e Brava) alla società commerciale romana "Filonardi"
e poi alla Società Commerciale Italiana del Benadir. Il Benadir,
sebbene gestito da questa società privata, fu sfruttato dal Regno
d'Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso
le foci del Giuba, il maggiore dei fiumi somali e dell'Omo, in
Etiopia, nel tentativo di assumere un protettorato sulla città
somala di Lugh.
Gli italiani, dal canto loro,
erano interessati a questo paese in gran parte desertico
soprattutto per i suoi porti, dei quali i più settentrionali
potevano concedere loro l'accesso allo strategicamente importante
Canale di Suez ed al Golfo di Aden.
Dal 1.890, i possedimenti
italiani in Eritrea, i territori di Assab e Massaua, vengono
denominati Colonia Eritrea. L'Eritrea è uno Stato multilingue
e multiculturale, con due religioni prevalenti (Islam Sunnita e
Chiesa ortodossa eritrea) e nove gruppi etnici e fu l'Italia a
crearla come entità politica nel 1890 con il nome di Colonia
Eritrea. La parola "Eritrea" deriva etimologicamente dal
greco antico erythros, che significa "rosso". Il nome "Mar
Rosso" venne usato, fin dall'età ellenistica, come testimonia
anche il nome di una famosissima opera anonima di geografia, il
Periplus Maris Erythraei del I secolo, che significa appunto "Periplo
del Mar Rosso". Il fatto che l'odierna Eritrea si affacciasse su
questo mare fece guadagnare al paese il suo attuale nome, che le fu
perciò attribuito dagli italiani alla fine del XIX secolo, quando
costituirono quella colonia identificandola per la prima volta
come un'entità territoriale autonoma. Alcuni storici ritengono
che la denominazione "Eritrea" sia stata ideata e suggerita
a Francesco Crispi dallo scrittore scapigliato Carlo Dossi, suo
consigliere culturale negli anni della conquista della colonia.
La sconfitta dei mahdisti (Muhammad
Ahmad detto il Mahdi era il governatore dell'Egitto ottomano) ad
Agordat (in Eritrea), da parte delle truppe italiane ed ascare
(soldati mercenari eritrei inquadrati come componenti regolari dei
Regi Corpi Truppe Coloniali, le forze coloniali italiane in Africa),
spinge il generale Oreste Baratieri ad ordinare un'incursione oltre
il confine con il Sudan. Il 16 luglio 1.894, Baratieri conduce
personalmente una colonna di 2.600 tra ascari ed italiani verso la
città sudanese di Cassala, conquistandola dopo un breve
combattimento; a Cassala viene lasciato un presidio al comando del
maggiore Domenico Turitto, mentre Baratieri con il grosso delle
truppe rientra in Eritrea. Nelle intenzioni degli italiani, Cassala
doveva fare da trampolino di lancio per una campagna contro lo stato
mahdista da tenersi in collaborazione con i britannici, ma questi
ultimi rifiutarono l'aiuto italiano, temendo che esso celasse mire
espansionistiche in Sudan.
Con il protocollo del maggio 1.894
il Governo italiano e quello britannico si accordarono per
delimitare le rispettive zone di influenza in Somalia.
Nel 1.895, l'Italia scatena la
prima guerra italo-abissina contro l'Etiopia, attaccandola dai
suoi territori in Eritrea e Somalia. Le differenti interpretazioni
del trattato di pace stipulato
nel 1.889, avevano posto le basi per lo scoppio di un conflitto
e la successiva avanzata italiana in Abissinia (o Etiopia),
ma la pronta reazione delle truppe abissine costringono l'Italia a fermare l'avanzata. Dopo questa prima sconfitta, l'Italia subisce, il
1º marzo 1.896, la definitiva e pesante disfatta di Adua,
nella regione del Tigrai (o Tigré) dove i 15.000 soldati del
generale Oreste Baratieri sono travolti dagli oltre 100.000
guerrieri di Menelik II.
La battaglia di Adua in un celebre dipinto etiope. |
Il 26 ottobre 1.896 si conclude
la pace di Addis Abeba, con la quale l'Italia rinuncia alle
sue mire espansionistiche in Abissinia. La disfatta provoca forti
reazioni in tutta Italia, dove c'è chi propone un immediato rilancio
del progetto coloniale e chi, come una parte del partito socialista,
propone di abbandonare immediatamente le imprese colonialiste.
La guarnigione italiana di
Cassala, in Sudan, viene ritirata nel dicembre del
1.897, quando la città è restituita agli anglo-egiziani e la
rivolta madhista sarà infine schiacciata dagli anglo-egiziani con la
vittoria nella battaglia di Omdurman, il 2 settembre 1.898.
Nel 1.899, la rivolta
nazionalistica capeggiata da Mad Mullah agita la Somalia Britannica e
in parte il Benadir.
In Italia, tra il 1.898 e
il 1.899 la fame e la disoccupazione portano a
una situazione apparentemente rivoluzionaria.
Con l'ascesa al trono di Vittorio
Emanuele III, in seguito all'assassinio di Umberto I per mano
dell'anarchico Gaetano Bresci (il 29 luglio 1.900), ha inizio
un periodo di rapida evoluzione.
Durante la Rivolta dei Boxer in Cina
(1.899-1.901), l'Italia intervenne nel paese asiatico
con un corpo di spedizione, al fianco delle altre Grandi Potenze;
alla fine del conflitto, il governo cinese concesse all'Italia
una piccola zona nella città di Tientsin, il porto di
Pechino.
Nel 1.902, cominciano le prime
trattative segrete tra Francia e Italia, che avrebbero preparato
quest'ultima alla guerra italo-turca combattuta tra il 1911 e il
1912. In tale modo l'Italia intraprendeva un doppio gioco
diplomatico: se da una parte nell'autunno del 1902 rinnovava la
Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria, dall'altra
assicurava alla Francia la neutralità nel caso in cui quei due
imperi centrali le avessero dichiarato guerra.
Nel 1.905 il governo italiano
assume direttamente la responsabilità di creare una colonia nel
sud della Somalia, a seguito delle accuse rivolte all'italiana
Società del Benadir di aver tollerato o addirittura collaborato alla
perpetuazione della tratta degli schiavi. L'organizzazione
amministrativa venne affidata al governatore Mercantelli, che
organizza la colonia nelle sei suddivisioni amministrative di
Brava, Merca, Lugh, Itala, Bardera e Jumbo.
Giuseppe Colli, dei marchesi di
Felizzano, torna ad Addis Abeba, da Firenze nel 1.907 per
succedere a Ciccodicola come incaricato d'affari a capo della
legazione italiana. Il 17 dicembre di quell'anno, i capitani
Bongiovanni e Molinari e gran parte del drappello di ascari periscono
a Berdāle, nell'entroterra del Benadir, in uno scontro con un gruppo
di armati abissini comandato dal Fitaurari (in Ge'ez: "comandante
dell'avanguardia") Asfau. Il ministro degli Esteri italiano,
Tittoni, pubblicizza l'incidente e incarica Colli di
presentare formale protesta al Negus, chiedendo la punizione
dei colpevoli e la restituzione delle armi. La definizione
dell'incidente si presenta difficoltosa in quanto su quel territorio,
di fatto occupato dagli italiani, il trattato di pace del 1.896 aveva
riconosciuto la sovranità etiopica. Colli ottiene piena
soddisfazione alle sue richieste, ma l'incidente di Berdāle ed altri
incidenti minori danno all'Italia l'occasione per sollecitare una
nuova e più favorevole delimitazione della frontiera
somalo-etiopica, con particolare riguardo all'entroterra del Benadir.
La delimitazione fissata nel precedente accordo, stabiliva il confine
a circa 180 miglia dalla costa dell'Oceano Indiano e tale accordo
lasciava in sospeso la condizione della stazione commerciale italiana
di Lugh e la garanzia delle vie di comunicazione della stessa col
mare. Le sollecitazioni italiane per ottenere il possesso di Lugh
erano state da ultimo rinnovate in occasione della visita di Martini,
governatore dell'Eritrea, ad Addis Abeba, nel 1906. Menelik, pur
dando assicurazioni circa lo statu quo, aveva rifiutato una modifica
formale dei confini del '96. Un discorso del ministro Tittoni alla
Camera del 13 febbraio 1.908, ripropone ora ufficialmente la
questione, e Colli è incaricato di intavolare ad Addis Abeba un
negoziato che preveda una sostanziale modifica della frontiera del
Benadir: si richiede una linea che partendo da Dolo per il quarto
parallelo raggiunga lo Uebi Scebeli, per seguire da questo punto la
linea parallela alla costa fino al confine italo-britannico del 5
maggio 1894. Si chiede inoltre la costituzione di una zona
neutra a monte di Lugh. Colli era conscio dell'importanza
commerciale e politica dei nuovi territori richiesti: "Vittorio
Bottego, - scriveva nella citata relazione - nel propugnare la
stazione commerciale di Lugh aveva di mira i traffici coi Borana e,
per mezzo di questi, quelli con le tribù più occidentali dei laghi
Margherita e Rodolfo, dell'Orno. La conquista amhara non si era
ancora estesa a queste regioni che, benché rozze e incivili, erano
libere e propense ad avviare i loro prodotti verso l'Oriente e
scambiarli con le mercanzie provenienti dalla Costa. Piena di
speranze e di illusioni, apportatrice di civiltà per le tribù
Galla, feconda di vantaggi economici e morali per noi, si apriva la
via del Giuba". Tanto più che nel febbraio 1.908 si erano
conclusi i negoziati anglo-etiopici per la frontiera del Kenia, ed il
Negus aveva accettato,
in quella contrattazione, la linea di confine partente da Dolo.
Colli conduce rapidamente a termine il negoziato e con una
convenzione del 16 maggio 1.908 si sistema "definitivamente"
la frontiera tra Somalia ed Etiopia, come da richieste italiane.
Un'altra convenzione, di pari data, sistema la frontiera fra la
Dancalia eritrea e l'Etiopia. Infine, un atto addizionale mette a
disposizione del governo etiopico la somma di tre milioni di
lire quale "compenso per il notevole spostamento di frontiera".
Nel presentare le tre convenzioni all'approvazione del Parlamento, il
16 giugno 1908, il ministro degli Esteri italiano, Tittoni, si
sofferma diffusamente sulla condotta delle trattative, elogiando
l'opera del Colli. Il nuovo confine assicurato alla colonia del
Benadir, dice, "oltre d'includere nell'effettivo dominio
dell'Italia le stazioni sul Giuba di Lugh e di Dolo
assicura all'Italia il tracciato completo delle carovaniere che,
dagli scali del Benadir, fanno capo a Lugh, garantendo il progressivo
sviluppo commerciale della nostra Colonia" (Atti parlamentari,
Camera, legisl. XXII, 1904-09, Docum., vol. XXX, n. 1076).
I nuovi territori a cui il regno
d'Italia aveva ora accesso, includevano la regione di Baidoa,
chiamata il "granaio della Somalia".
Quindi, nel 1.908, a seguito
dell'incidente di Lugh, si arriva a una delimitazione approssimativa
dei confini somali con l'Etiopia, e la colonia del Benadir,
ribattezzata Somalia Italiana,
è ufficialmente una colonia del regno d'Italia.
Il 5 aprile 1.908 il Parlamento
italiano approva la legge che riunisce tutti i possedimenti italiani
nella Somalia meridionale in un'unica entità amministrativa chiamata
"Somalia Italiana". Tale legge stabilisce inoltre le
competenze in materia coloniale tra il Parlamento, il Governo del
Regno ed il governo della colonia. Quest'ultimo viene notevolmente
potenziato: il governatore civile controlla i diritti di
esportazione, regola il tasso di cambio, stabilisce la tassazione
sulle attività dei nativi e regolamenta tutti i servizi e le materie
civili relative alla caccia e alla pesca, oltre a detenere il comando
delle forze di polizia. Il controllo italiano rimane effettivamente
limitato alle sole zone costiere fino al 1.920, anno che vide la fine
della guerra anglo-somala, chiamata anche campagna del Somaliland o
guerra del Mullah, un lungo conflitto di guerriglia svoltosi tra il
1900 e il 1920 nei territori corrispondenti all'attuale Somalia e
nelle zone di confine tra questa e l'odierna Etiopia: il leader
islamista somalo Mohammed Abdullah Hassan, soprannominato dai
britannici "il Mullah Pazzo" (Mad Mullah), riuscì
nell'intento di unire svariati clan e tribù nel suo paese in un
unitario movimento di opposizione al colonialismo di stampo europeo,
dando inizio a una campagna di guerriglia e razzie ai danni del
possedimento della Somalia britannica (o Somaliland) e, in misura
minore, della Somalia italiana e delle zone dell'Ogaden, rivendicate
dall'Impero d'Etiopia.
Dopo il crollo del movimento di
resistenza di Hassan, i vari clan della Somalia settentrionale
tornarono a scontrarsi tra di loro per controversie di confine. Il
governo della colonia italiana lavorò per cercare di mantenere la
pace tra i vecchi clan, pur mantenendo uno stretto controllo militare
sulla regione.
Dalla seconda metà dell'800, l'enorme
Impero ottomano era in piena crisi politica dovuta alla
ingente quantità di territori che lo costituivano. I domini
extraeuropei erano governati con relativa facilità, determinata
dall'Islam, la comune fede che univa l'Arabia, la Mesopotamia, la
Palestina, la Siria e zone del litorale nordafricano. Nelle provincie
europee, invece, sorgevano in continuazione ribellioni a causa di
spinte indipendentiste e religiose. La situazione era resa ancora più
insostenibile dalla ferocia del dominio turco, che domava senza pietà
qualsiasi insurrezione. Costantemente minacciata a nord dal colosso
russo, la Turchia stava ormai crollando a causa del cattivo governo e
della sua arretratezza in campo economico e militare. Solo la
Gran Bretagna sembrava nutrire simpatia nei confronti dell'impero
ottomano, sentimento ampiamente giustificato dall'eterna concorrenza
coloniale che la legava alla Russia che, senza l'ostacolo turco,
avrebbe ottenuto facilmente uno sbocco sul mare Mediterraneo,
danneggiando, ovviamente, l'economica britannica. Nel 1.907,
nell'impero ottomano, i vari gruppi che costituivano l’opposizione
al governo sultaniale, capeggiati dal Comitato “Unione e Progresso”
e dalla società “Patria e Libertà” guidata da Mustafa Kemal (il
futuro Atatürk) si fusero nel Partito che ordinariamente venne
denominato “dei Giovani Turchi”, con un programma
fortemente nazionalista e modernizzatore ispirato principalmente al
nazionalismo tedesco e alle tesi teistico-scientiste care agli
ambienti massonici (le logge massoniche erano penetrate nel mondo
musulmano già dalla fine del Settecento, sull’onda dell’entusiasmo
suscitato in Egitto dal proclama che il giovane generale Bonaparte
aveva pubblicato in Alessandria il 2 luglio del 1798).
In Europa, la crescente rivalità tra
gli stati modificò il significato del nazionalismo: l’idea
di nazione cessò di essere legata all’aspirazione all’unità di
valori nel continente europeo ma si trasformò invece nell'
esaltazione del “sacro diritto” di ogni popolo a coltivare
l’egoismo nazionale.
Mentre la questione serba, soprattutto a partire dal 1.908, diventava sempre più problematica poiché l'Austria-Ungheria, nonostante le proteste turche, annetteva ai propri territori la
Bosnia-Erzegovina, che fra l'altro era abitata da una popolazione di soli serbocroati e non vi era nessuna enclave di austro-ungarici, l’amicizia del Kaiser Guglielmo II, il più potente
sovrano d’Europa, non bastava a proteggere
il sultano ottomano dai suoi giovani militari e intellettuali che erano,
fra l'altro, a loro volta dei sinceri ammiratori della giovane e
fiera Germania imperiale. La rivolta militare di Salonicco,
capeggiata da un gruppo di giovani ufficiali (i Giovani Turchi)
tra i quali si distingueva il leader Enver Bey, nel luglio del 1.908,
aveva come scopo immediato il ristabilimento della costituzione del
1.876, che era stata sospesa dal sultano: ma rappresentava in
realtà la generale sconfessione del governo del sultano
Abdül-Hamit, che nonostante la sua accettazione del reintegro
costituzionale, sarà deposto meno di un anno dopo. Il nuovo
sultano Mehmet V dovette affrontare una serie di sollevazioni,
dall’Albania alla penisola arabica.
Nel settembre del 1908, la Grecia si
annette Creta e nell’ottobre di quell'anno, Ferdinando I di
Sassonia-Coburgo si proclama czar di Bulgaria. Si andava preparando,
con l’accordo almeno provvisorio di Austria-Ungheria e Russia - con la riserva
di un loro futuro scontro per l’egemonia - la definitiva
deturchizzazione, anche formale, dell’intera penisola
balcanica.
Deluso dall'annessione
all'Austria-Ungheria della Bosnia-Erzegovina (dove vivevano 825.000
serbi di fede cristiano-ortodossa e vi abitavano molti altri sostenitori
della causa serba) e costretto a riconoscere tale annessione nel
marzo 1909, mettendo così un freno alle agitazioni dei nazionalisti
serbi, il governo serbo rivolse le sue mire espansionistiche verso
sud, in quella che era la "Vecchia Serbia" (il Sangiaccato
di Novi Pazar e la provincia del Kosovo). Alle mire serbe si
aggiunsero quelle bulgare: dopo aver ottenuto l'appoggio della Russia
nell'aprile 1909, la Bulgaria desiderava infatti annettere i
territori ottomani di Tracia e Macedonia. Nel frattempo, il 28 agosto
1909 in Grecia, un gruppo di ufficiali (Stratiotikos Syndesmos)
chiesero una riforma costituzionale, la rimozione della famiglia
reale dalla guida delle forze armate e una politica estera più
decisa e nazionalista con cui poter risolvere la questione cretese e
ribaltare l'esito della sconfitta del 1897. A questi avvenimenti si
aggiunse l'insurrezione del marzo 1910 della popolazione albanese in
Kosovo (appoggiata dai Giovani Turchi) e, nell'agosto 1910, il
Montenegro diventò a sua volta un regno autonomo.
In seguito, l'impero ottomano
subisce l’aggressione dell’Italia che, pur alleata della
Germania, amica dell'impero ottomano, tra 1.911 e 1.912 gli conquista le ultime residue province nordafricane che
ancora, almeno formalmente, controllava: Tripolitania e
Cirenaica.
Carta delle ex-province ottomane nell'attuale Libia. |
Gli italiani occupano anche Rodi
e il Dodecaneso e giungono a forzare lo stretto dei
Dardanelli. Il 12 ottobre del 1.912, turchi e italiani giungono
alla faticosa pace di Losanna. Il sultano avrebbe ceduto volentieri la Tripolitania e la Cirenaica all’Italia in cambio di un suo
governo nella sostanza coloniale ma che formalmente rispettasse la
sovranità ottomana, così come era già stato accettato
dall’Inghilterra per l’Egitto e dalla Francia per l'Algeria e la Tunisia, ma il governo di Giolitti, che aveva accettato di scatenare la guerra per distogliere l’attenzione degli
italiani da forti difficoltà interne, aveva bisogno di
un’affermazione piena, non di una transazione che sarebbe parsa un
ripiego se non una mezza sconfitta. Così la guerra continuò per
approdare alla costituzione di una “Libia italiana”.
All'inizio del conflitto, il governo di
Giolitti era stato esortato anche dal poeta romagnolo e socialista di
estrazione romantica Giovanni Pascoli, che reclamava un
posto al sole per l'Italia
“La grande proletaria si è mossa”
è il discorso pronunciato da Giovanni Pascoli nel novembre 1.911 a
Barga, in occasione della campagna di Libia. E’ molto interessante
leggere le parole del poeta in riferimento a questo avvenimento
storico poiché svelano un Pascoli nazionalista e fortemente
interventista, difficile da conciliare con il “socialista
dell’umanità”, quale si definiva egli stesso. Questa guerra
coloniale è presentata dal poeta come un’esigenza necessaria alla
sopravvivenza dei cittadini italiani che, dopo anni trascorsi come
lavoratori emigrati oltremare e oltralpe, dopo anni di sfruttamento e
ingiurie, dovevano assolutamente procurarsi terre fertili da cui
trarre il proprio sostentamento. Inoltre il paese aveva bisogno di
dimostrare il proprio valore militare, e la campagna di Libia
sembrava un’occasione ideale per potersi riscattare agli occhi
dell’Europa: “Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in
patria erano troppi e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava
oltre Alpi e oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar
terrapieni, a gettar moli, a scavar Carbone, a scentar selve, a
dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad animare
officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a fare tutto ciò
che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è più umile e
perciò più difficile ancora”. Questo tentativo di presentare la
campagna di Libia come una guerra difensiva e non di attacco, unica
modalità accettata dai socialisti, ignorava completamente il fatto
che i libici avevano diritto alla autodeterminazione.
La guerra italo-turca (nota in
italiano anche come guerra di Libia e per i turchi come Guerra di
Tripolitania) fu combattuta dal Regno d'Italia contro l'Impero
ottomano tra il 29 settembre 1.911 e il 18 ottobre 1.912, per
conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania
e della Cirenaica. Le ambizioni coloniali spinsero l'Italia ad
impadronirsi delle due province ottomane che nel 1934, assieme al
Fezzan, avrebbero costituito la Libia, dapprima come colonia italiana
ed in seguito come Stato indipendente. Durante quel conflitto fu
occupato anche il Dodecanneso, arcipelago nel Mar Egeo;
che avrebbe dovuto essere restituito ai turchi alla fine
della guerra ma rimase sotto amministrazione provvisoria da parte
dell'Italia fino a quando, con la firma del trattato di Losanna nel
1923, la Turchia rinunciò a ogni rivendicazione e riconobbe
ufficialmente la sovranità italiana sui territori perduti nel
conflitto.
Carta con il Dodecaneso. |
Nel corso della guerra, l'Impero ottomano si trovò
notevolmente svantaggiato, poiché avrebbe potuto rifornire il suo
piccolo contingente in Libia solo attraverso il Mediterraneo e la
flotta turca non fu in grado di competere con la Regia Marina italiana e così gli ottomani non riuscirono ad inviare rinforzi alle loro province
nordafricane. Pure se minore, questo evento bellico fu un
importante precursore della prima guerra mondiale. Osservando
la facilità con cui gli italiani avevano sconfitto i disorganizzati
turchi ottomani, i membri della Lega Balcanica attaccarono l'Impero ottomano ancor prima della fine del conflitto italo-turco.
Nella guerra italo-turca si
registrarono numerosi progressi tecnologici nell'arte militare da parte italiana, tra
cui, in particolare, l'impiego dell'aeroplano (furono
schierati in totale 9 apparecchi) sia come mezzo offensivo che come
strumento di ricognizione. Il 23 ottobre 1911 il pilota Carlo Maria
Piazza sorvolò le linee turche in missione di ricognizione, e il 1º
novembre dello stesso anno l'aviatore Giulio Gavotti lanciò a mano
la prima bomba aerea (grande come un'arancia, si disse) sulle
truppe turche di stanza in Libia. Altrettanto significativo fu
l'impiego della radio con l'allestimento del primo servizio
regolare di radiotelegrafia campale militare su larga scala,
organizzato dall'arma del genio sotto la guida del comandante della
compagnia R.T. Luigi Sacco e con la collaborazione dello stesso
Guglielmo Marconi. Infine, il conflitto libico registrò il primo
utilizzo nella storia di automobili in una guerra: le
truppe italiane furono dotate di autovetture Fiat Tipo 2 e
motociclette SIAMT.
Resta il fatto che la Libia,
così come l'Eritrea,
sarà un'unità inventata dall'Italia, poiché non era mai stata
un'entità politica unita, antefatto che potrebbe motivare
l'attuale crisi libica. La Libia infatti non ha mai posseduto un
tessuto sociale comune fra le varie tribù.
Guidata dalla forte personalità di
Giovanni Giolitti, l'Italia fa progressi notevoli, coronati
anche dalla fortunata guerra italo-turca. Tra il 1910 e il
1914, si consegue la massificazione dell'istruzione
secondaria e l'ingresso della donna del mondo del lavoro qualificato
(con la "rivoluzione" della macchina da scrivere). Alla
vigilia della prima guerra mondiale l'Italia, passando da un'economia
prevalentemente agricola a una di stampo industriale, è la
settima potenza industriale del mondo e nel conflitto contro la Turchia dimostra di possedere buone capacità militari
Al termine del primo conflitto
mondiale, una delle richieste italiane durante la stesura del
trattato di Versailles del 1.919, è quella di ricevere la
Somalia francese e il Somaliland Britannico in cambio della rinuncia
alla ripartizione delle ex colonie tedesche tra le forze dell'Intesa.
Sarà l'ultimo tentativo dello stato liberale di perseguire la politica
di penetrazione nel Corno d'Africa, ma alla fine del trattato, l'Italia ottiene solo l'Oltregiuba dalla Gran Bretagna, da
annettere alla Somalia Italiana ed una ridefinizione dei confini
della Libia, che viene così ampliata. Negli anni Venti, l'Italia fascista conclude la pacificazione del territorio libico, alla quale
seguono l'insediamento di coloni e lo sfruttamento delle terre più
fertili per coltivazioni di tipo intensivo.
Nel 1.919 e nei primi anni venti
si verifica l'occupazione italiana di Adalia in Anatolia, che
finisce dopo soli tre anni con un nulla di fatto una volta che Kemal
Atatürk riconosce la sovranità italiana nel Dodecaneso.
L'Albania è sotto la sfera di
influenza italiana dagli anni venti, e l'isola di Saseno, davanti a
Valona è parte integrante del Regno d'Italia dai tempi della pace di
Parigi (1.919).
Il 25 febbraio 1.922 in Italia
cade il governo Bonomi e gli succede Luigi Facta ma il 24 ottobre, il
governo Facta non riesce ad arginare lo strapotere delle squadre
fasciste. Mussolini dichiara: "O ci daranno il potere o lo
prenderemo calando su Roma". Il 28 ottobre avviene la Marcia su
Roma, dove Mussolini, con i quadrumviri Bianchi, Balbo, De Bono e De
Vecchi, guida 14.000 camice nere nella capitale. Il 31 ottobre,
Mussolini presenta al Re la lista dei ministri e il suo Governo
ottiene la fiducia del parlamento, votato anche dalle forze moderate
ed ottiene addirittura l'assenso di Giolitti. Mussolini diventa
capo del governo italiano. Il 16 novembre, Mussolini tiene alla
camera il famoso "discorso del bivacco". Le squadre
fasciste vengono trasformate nella Milizia Volontaria.
Nel 1.923, in Turchia
viene deposto l'ultimo sultano ottomano e proclamata la repubblica.
Si procede, da parte del nuovo governo dei "Giovani Turchi",
all'olocausto degli Armeni.
Nel 1.924,
il 6 aprile, il "listone" fascista
ottiene 374 rappresentanti alla camera: è il partito di
maggioranza assoluta.
Il regime fascista rilancia
quindi il colonialismo italiano.
Mussolini manifesta l'intenzione di dare un Impero all'Italia
e l'unico territorio africano rimasto libero da ingerenze
straniere è l'Abissinia, nonostante fosse membro della
Società delle Nazioni.
Il fascismo cercò inizialmente di
presentarsi in maniera propositiva nei confronti dell'Etiopia,
allora chiamata dagli
italiani Abissinia, cercando di attuare un trattato di
amicizia con l'amministrazione del reggente
Hailé Selassié e tale accordo si concretizzò nel
1.928.
Hailé Selassié (in lingua
ge'ez: "Potenza della Trinità"), al secolo Tafarì
Maconnèn, Ras Tafari per i fedeli rastafariani, (1892
- 1975) ultimo negus neghesti d'Etiopia dal 1930 al 1936 e dal 1941
al 1974, era l'erede della Dinastia Salomonide, che secondo la
tradizione ebbe origine dal re Salomone e dalla regina di Saba.
Quando l'Impero d'Etiopia fu invaso e conquistato dall'Italia
fascista nel 1936, scelse l'esilio volontario, fino al 1941, quando
il Regno Unito conquistò l'Africa Orientale Italiana e riconsegnò
il trono al negus. Verrà nuovamente detronizzato nel 1974, quando
Menghistu Hailè Mariàm rovesciò l'impero e trasformò l'Etiopia in
uno Stato socialista.
Carta con regioni ed etnie della Libia. |
Nel 1.934, con l'aggiunta del
Fezzan ai territori di
Tripolitania e Cirenaica, si costituisce per la prima
volta l'entità politica della Libia, dapprima come colonia
italiana ed in seguito come Stato indipendente.
Il progetto d'invasione
dell'Etiopia, inizia già all'indomani della conclusione degli
accordi sul trattato di amicizia del 1.928. Il 15 ottobre del 1.935
la città di Axum è occupata dalle truppe italiane al
comando del generale Emilio de Bono. Due anni dopo, nel 1.937, un
obelisco di Axum, alto 23,4 metri e risalente a 1700 anni
prima, già a terra e rotto in quattro pezzi da diversi secoli, fu
inviato a Roma dai soldati italiani per essere collocato in
Piazza di Porta Capena come bottino di guerra della Guerra d'Etiopia.
Questo obelisco è generalmente ritenuto uno dei più begli esempi di
questo tipo di costruzioni dell'impero axumita.
Nonostante un accordo
preso con le Nazioni Unite nel 1974 prevedesse la restituzione
dell'obelisco, l'Italia si attardò in una lunga disputa diplomatica
con il governo etiopico, che vedeva nell'obelisco un simbolo
dell'identità nazionale, nonché, nel suo ritorno, un atto
riparatorio 4,78 milioni di dollari, interamente
finanziati dal governo italiano. Il 4 settembre 2008,
si è tenuta ad Axum la cerimonia ufficiale di inaugurazione della
stele di Axum restaurata.
Per il loro valore storico, le rovine archeologiche presenti ad Axum sono state incluse nel 1980 dall'Unesco nella lista dei Patrimoni dell'umanità.
all'aggressione subita. Nel 2005 infine, l'Italia restituì l'obelisco all'Etiopia. L'Unesco è stata resa responsabile del restauro e della risistemazione dell'obelisco ad Axum, un'operazione piuttosto complessa. Nell'aprile di quell'anno la stele, che pesa 152 tonnellate, fu caricata su un aeromobile Antonov e trasportata in Etiopia. Il 4 giugno è iniziato il sollevamento e il posizionamento dei blocchi della stele con un intervento ingegneristico diretto dallo "Studio Croci e Associati" con il professore Giorgio Croci come capo progetto. Il bilancio economico complessivo è stato di
Stele di Axum. |
Per il loro valore storico, le rovine archeologiche presenti ad Axum sono state incluse nel 1980 dall'Unesco nella lista dei Patrimoni dell'umanità.
all'aggressione subita. Nel 2005 infine, l'Italia restituì l'obelisco all'Etiopia. L'Unesco è stata resa responsabile del restauro e della risistemazione dell'obelisco ad Axum, un'operazione piuttosto complessa. Nell'aprile di quell'anno la stele, che pesa 152 tonnellate, fu caricata su un aeromobile Antonov e trasportata in Etiopia. Il 4 giugno è iniziato il sollevamento e il posizionamento dei blocchi della stele con un intervento ingegneristico diretto dallo "Studio Croci e Associati" con il professore Giorgio Croci come capo progetto. Il bilancio economico complessivo è stato di
La battaglia di Amba Aradam fu
combattuta nel febbraio 1.936 durante la guerra d'Etiopia,
presso il monte Amba Aradam. La battaglia si articolò in attacchi e
contrattacchi delle forze italiane al comando del maresciallo Pietro
Badoglio contro le forze etiopi del ras Mulugeta Yeggazu. La battaglia venne combattuta
essenzialmente attorno all'area del monte Amba Aradam che includeva
gran parte della provincia di Endertà e si concluse con una netta
vittoria del maresciallo Badoglio; le forze abissine furono sconfitte
e in parte si disgregarono durante la ritirata. Il 3 ottobre 1935, il generale Emilio
De Bono avanzò nell'Etiopia dall'Eritrea senza che fosse stata
emanata una dichiarazione di guerra. De Bono poteva disporre
approssimativamente di una forza pari a 100.000 soldati italiani e
25.000 ascari. Nel dicembre di quell'anno, dopo un breve periodo di
inattività, De Bono venne esonerato dal comando e rimpiazzato alla
guida da Pietro Badoglio.
Il Negus Hailè Selassiè lanciò
l'offensiva di Natale in quello stesso anno per saggiare la forza di
Badoglio, ottenendo una stasi. Verso la metà di gennaio del 1936
Badoglio fece avanzare nuovamente le proprie truppe adoperando carri
armati CV33, artiglieria ed anche bombe all'iprite. Alle 8.00 del mattino del 10 febbraio,
Badoglio lanciò il primo attacco della Battaglia di Amba Aradam.
L'esercito era composto da soldati regolari del Regio Esercito e da
volontari delle camicie nere, mentre gli ascari formavano la riserva.
Il I e III corpo italiani si spostarono sulla piana di Calaminò e
quando calò la notte entrambi i corpi si accamparono lungo le rive
del fiume Gabat. Badoglio aveva avuto una formazione
come generale d'artiglieria e come tale era fortemente intenzionato a
promuovere l'utilizzo di questa arma. Il suo quartier generale
fungeva poi anche da posto di osservazione della battaglia e da luogo
di partenza degli aerei mandati in ricognizione sul fronte ogni
cinque minuti. Questi aerei identificarono le posizioni delle forze
etiopi per gli artiglieri italiani. Durante l'offensiva preparatoria,
le forze italiane usarono massicciamente gas venefici, in primis
granate all'arsina, di cui vennero sparati non meno di 1367 granate
da 105mm (su un totale di 22908 colpi sparati dall'artiglieria). Gli
aerei italiani, inoltre, mapparono l'area attorno all'Amba Aradam e
scoprirono le varie debolezze delle difese di Ras Mulugeta.
Fotografie aeree mostrarono che l'attacco dal piano di Antalo a sud
dell'Ambaradam sarebbe stato il migliore. Badoglio, pertanto, decise
di accerchiare l'Amba Aradam e di attaccare Mulugeta dal retro così
da forzare le sue truppe a spostarsi verso il piano di Antalo dove
sarebbero state distrutte dai restanti corpi d'armata italiani.
L'11 febbraio la 4ª Divisione CC.NN.
"3 gennaio" e la 5ª Divisione alpina "Pusteria"
del III corpo avanzarono da Gabat presso la parte ovest dell'Amba
Aradam. Nello stesso tempo, il I corpo si mosse a est del monte. Il
Ras Mulugeta si accorse troppo tardi dell piano degli italiani per
accerchiare le sue posizioni. Al mezzogiorno del 12 febbraio, gran
parte delle forze etiopi scese dal fianco occidentale dell'Amba
Aradam e attaccò la Divisione Camicie Nere che fu duramente provata,
ma così non fu per la divisione alpina Pusteria che continuò
l'avanzata verso Antalo. I continui bombardamenti d'aria e
d'artiglieria da parte degli italiani, colpirono duramente le
posizioni dei nemici. Alla sera del 14 febbraio, gli italiani avevano
raggiunto le posizioni desiderate e si raggrupparono con
l'artiglieria per l'assalto finale. Dalla mattina del 15 febbraio,
sotto la copertura dell'oscurità e di una densa nebbia, gli italiani
completarono l'accerchiamento della montagna. Quando giunse la luce
del giorno e le dense nubi si diradarono, gli etiopi decisero di
attaccare nuovamente ma senza successo. Al calar della sera la
battaglia poteva dirsi conclusa.
Il Ras Mulugeta, infatti, aveva pensato
che gli italiani avrebbero dapprima attaccato il "Cappello da
prete", ma si era sbagliato. Gli italiani attaccarono prima "La
spina di pesce" ove gli etiopi si sentivano più sicuri e dove
speravano di attendere l'attacco definitivo così da rendere
ulteriormente difficoltosa l'avanzata del nemico. Le camicie nere del
Duca di Pistoia piantarono per prime il Tricolore sulla cima
dell'Amba Aradam dopo un violento assalto all'arma bianca guidato dal
duca in persona. Le perdite, come dal comunicato di Badoglio, vedono
un totale, fra morti e feriti, di 36 ufficiali, 621 nazionali e 143
indigeni da parte italiana ed una stima di circa 20.000 uomini da
parte Etiope. Badoglio non lasciò scampo alle truppe etiopi che si
erano opposte agli italiani: per i quattro giorni seguenti egli fece
sganciare dagli aeroplani italiani delle bombe al gas sulle colonne
in rotta e inoltre la locale tribù di Azebu Galla si alleò con gli
italiani per attaccare gli etiopi in ritirata. Tadessa Mulugeta, figlio di Ras
Mulugeta, che era comandante della retroguardia durante la battaglia
di Amba Aradam, venne ucciso durante le azioni di retroguardia contro
la tribù dei Galla ed il suo corpo venne da questi ultimi mutilato.
Quando Ras Mulugeta ricevette la notizia di questo oltraggio, egli
ritornò nel villaggio per vendicarsi ma venne ucciso da una
mitragliata aerea. Badoglio, come ultime azioni tattiche,
si portò contro i Ras Kassa e Seyoum così da dare inizio alla
Seconda Battaglia del Tembien.
Esecuzioni ad Amba Aradam da: http://www.dolcevitaonline.it/amba -aradam-dove-il-fascismo-mostro -il-suo-volto-disumano-e-lo -copri-con-una-filastrocca/ |
Da http://www.dolcevitaonline.it/amba-aradam-dove-il-fascismo-mostro-il-suo-volto-disumano-e-lo-copri-con-una-filastrocca/: "In particolare ricorderei la battaglia
di Amba Aradam, un monte nelle cui grotte si rifugiò una compagine
dell’esercito etiope, con donne, anziani e bambini al seguito,
decisa a non darla vinta agli invasori. Mussolini ordina di stanarli
ma l’impresa risulta non priva di difficoltà. Così si decide di
fare intervenire i granatieri muniti della famigerata iprite, un gas
che provoca la morte fra indicibili sofferenze. I sopravvissuti,
circa 800 furono fucilati subito dopo. Ulteriori sopravvissuti,
specie donne e bambini rifugiatisi nei meandri delle molte caverne
che perforavano il monte furono sterminati a colpi di lanciafiamme.
L’episodio è stato di recente portato alla luce da un ragazzo,
dottorando in storia, partendo da un faldone rivenuto in un ufficio a
Roma. La conoscenza del massacro isolò il Duce sul piano
internazionale e lo portò all’alleanza con Hitler dal quale fu
subito convinto a promulgare le leggi razziali con le conseguenze che
tutti (o quasi) conosciamo. E pensare che qualcuno ancora lo
rimpiange…"
L'invasione italiana
dell'Etiopia si conclude con l'ingresso
dell'esercito italiano ad Addis Abeba il
5 maggio 1.936. Quattro giorni dopo viene proclamata la
nascita dell'Impero
italiano e l'incoronazione di Vittorio Emanuele III come
Imperatore d'Etiopia (con il titolo di Qesar, anziché quello
di "Negus Neghesti"). Con la conquista di gran parte
dell'Etiopia, si procede ad una ristrutturazione delle colonie del
Corno d'Africa e alla Somalia Italiana viene unito l'Ogadèn, abitato
da popolazioni somale. Somalia, Eritrea ed Abissinia vengono riunite
nel vicereame dell'Africa Orientale Italiana (AOI).
A seguito dell'uccisione di civili e
militari italiani in Libia ed Etiopia, negli anni venti e trenta,
nelle colonie italiane in
Africa, furono usate armi vietate, quali gas
asfissianti e iprite. La successiva pacificazione attuata dal
fascismo nelle colonie africane, talora brutale, fu totale
in Libia, Eritrea e Somalia, mentre in Abissinia, dopo meno di
cinque anni, nel 1.940, oltre il 75% del territorio era
completamente controllato dagli Italiani) e risultò in un
notevole sviluppo economico dell'area, accompagnato da una
consistente emigrazione di coloni italiani.
Dopo alterne vicende, l'Albania
venne occupata militarmente da truppe italiane nel 1.939.
Alla base di questa decisione, c'è fu il tentativo di Mussolini di
controbilanciare l'alleanza con la sempre più potente Germania
nazista di Hitler, dopo l'occupazione tedesca dell'Austria e della
Cecoslovacchia. L'invasione dell'Albania, iniziata il 7 aprile 1.939
è completata in cinque giorni. Il re albanese Zog si rifugia a
Londra mentre Vittorio Emanuele III ottiene la corona albanese e in
Albania si insedia un governo fascista guidato da Shefqet Vërlaci.
Le forze dell'esercito albanese vengono incorporate in quello
italiano.
Nel 1.941 vengono uniti all'Albania i
territori dove predomina l'etnia albanese: il Kosovo, alcune piccole
aree del Montenegro ed una parte della Macedonia (territori che erano
già appartenuti alla Iugoslavia). La resistenza albanese contro
l'occupazione italiana inizia nell'estate 1.942 e si fa più violenta
e organizzata nel 1.943: nell'estate del 1.943 le montagne interne
sono difatti sotto il controllo diretto della resistenza albanese,
guidata da Enver Hoxha. Nel settembre 1.943, dopo la caduta di
Mussolini, il controllo sull'Albania viene assunto dalla Germania
nazista.
L'Impero italiano tramonta
definitivamente nel corso del 1.943, dopo l'espulsione del
regio esercito ad opera delle forze britanniche e del Commonwealth,
prima dall'Africa orientale (Campagna Alleata in Africa Orientale),
nel novembre del 1.941 e successivamente dal Nord Africa (Campagna
del Nord Africa), nella primavera del 1.943. Le truppe italiane in Albania, nel
Dodecaneso e nelle altre isole greche, non senza episodi cruenti come
la Strage di Cefalonia, vengono ritirate a partire dal settembre
1.943 dopo la caduta di Mussolini e la successiva resa dell'Italia.
Formalmente l'Italia venne privata di tutti i propri possedimenti
coloniali con il trattato di Parigi del 1.947. Nel 1.950 le Nazioni
Unite riconoscono all'Italia l'amministrazione fiduciaria della
Somalia Italiana fino al 1.960.
Carta delle colonie italiane in Africa. |
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