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sabato 13 dicembre 2014

Storia dell'Europa n.2: da 2.500.000 a 130.000 anni fa

L' Homo abilis africano, presunto
antenato dell'Homo Erectus.
2.500.000 anni fa - A questa data, all'inizio del Pleistocene, risalgono sia i primi ominidi della specie Australopithecus Garhi che l'Homo habilis, il primo appartenente al genere Homo, il cui olotipo (esemplare su cui si basa la descrizione originale della specie) è il fossile OH 7 trovato da Jonathan Leakey, il 4 novembre 1960, nella Gola di Olduvai, in Tanzania, nella regione dei laghi africani. Coprotagonista della cultura Olduvaiana, è convinzione scientifica che per un certo periodo l'habilis, che pare aver convissuto con varie specie di australopitechi, con l'Australopithecus Garhi abbia condiviso il primato della produzione e utilizzo di strumenti litici. Homo habilis possedeva abilità manuali e coniugava intelletto con l'uso delle mani. Misurava poco più di un metro di altezza, aveva braccia lunghe come quelle di "Lucy" (Australopithecus afarensis). La caratteristica di questo gruppo di ominidi, ritenuti più socievoli degli australopitechi, sarebbe stata la condivisione e consumazione dei cibi insieme al gruppo di appartenenza. È comunemente accettato che l'Homo habilis avesse una significativa capacità di comunicazione, anche se il suo osso ioide (si trova alla radice della lingua, a livello della terza vertebra cervicale) e la struttura delle sue orecchie non erano in grado di supportare un linguaggio parlato. E' all'incirca in questa data quindi, che si iniziano ad utilizzare i primi utensili per produrre manufatti e armi. L'uso di utensili non è in assoluto una prerogativa della sola specie umana, ma solo l'uomo sarà in grado di procedere oltre, creando con tali strumenti, altri strumenti per creare ulteriori strumenti, in un circolo virtuoso. Nasce quindi un'industria litica preistorica chiamata Paleolitica, il cui periodo più antico è il Paleolitico inferiore.

Tabella con le fasi, le epoche, tecnologie e glaciazioni del
Paleolitico, da 2,5M a 12ka fa.

Tabella con le caratteristiche del Paleolitico
inferiore, da 2,5M a 300/120ka fa.

Ricostruzione di Homo ergaster.
2.000.000 di anni fa Homo ergaster è il nome di una specie estinta di ominide, vissuto in Africa tra 2 e 1 milione di anni fa. Pare che si fosse stanziato in numerose zone del continente africano, fra l'Africa orientale ed il Sudafrica. Forse condivise alcuni accampamenti con altre specie, come l'Homo habilis, che 1,8 milioni di anni fa era ancora presente presso la Gola di Olduvai, in Tanzania. I resti fossili più importanti di Homo ergaster sono principalmente due, entrambi  ritrovati in Kenya, tra il 1975 e il 1984. Il primo, KNM-ER 3733, scoperto da Bernard Ngeneo nel 1975 a Koobi Fora in Kenya, ha un'età stimata in 1,7 milioni di anni. Il cranio è completo, di volume 850 cc. e il teschio è molto simile all'uomo di Pechino, i cui resti vennero trovati fra il 1923 e il 1927 durante degli scavi condotti a Zhoukoudian (nei pressi di Pechino, da cui il nome), in Cina. Mentre gli esami condotti sui rapporti stilati a suo tempo sull'uomo di Pechino hanno portato a concludere che appartenesse allo stesso stadio evolutivo del genere Homo dell'uomo di Giava, nel 1985 Lewis Binford sostenne la teoria secondo cui l'uomo di Pechino fosse un mangiatore di carogne (come le iene) e non un cacciatore. Nel 1998 Steve Weiner rincarò la dose, annunciando di non aver trovato alcuna prova del fatto che l'uomo di Pechino usasse il fuoco. A questo punto la maggior parte degli antropologi ha eletto come diretta antenata dei moderni esseri umani, la popolazione africana di Homo ergaster, piuttosto che le popolazioni asiatiche rappresentate dall'uomo di Pechino e quello di Giava, mentre ora invece abbiamo anche i reperti di H. georgicus e H. di Denisova su cui ragionare. Tornando all'H. ergaster KNM-ER 3733, la scoperta di questo fossile nello stesso strato di ER406 (Australopithecus boisei) ha dato il colpo di grazia all'ipotesi dell'unica specie, l'idea cioè, che vi potesse essere un'unica specie di ominidi durante ogni periodo preistorico. Il secondo reperto, KNM-WT 15000, scoperto da Kamoya Kimeu (dell'èquipe di Richard Leakey) nel 1984 a Nariokotome, nei pressi del Lago Turkana in Kenia, è lo scheletro completo di un bambino di 11 o 12 anni a cui mancano solo mani e piedi chiamato, "Turkana Boy" o Ragazzo di Turkana. Molti scienziati pensano che gli erectus maturassero più in fretta degli uomini moderni e che quindi "Turkana Boy" avrebbe avuto in realtà soltanto 9 o 10 anni. È il più completo scheletro di H. ergaster conosciuto ed è anche uno dei più vecchi, 1,6 milioni di anni. Il volume del cranio è di 880 cc. ed è stato stimato che potesse arrivare a 910 cc. da adulto. Il ragazzo era alto 1,60 m. e sarebbe diventato 1,85 m. da adulto, un'altezza sorprendente, che indica come molti Erectus potessero essere più alti degli uomini moderni. Ad eccezione del teschio, lo scheletro è molto simile a quello di un ragazzo moderno, seppur con piccole differenze. Dai rilievi sui reperti sembra che Homo ergaster fosse carnivoro, a differenza degli altri ominidi e inoltre, insieme alle altre due varianti Homo erectus e Homo heidelbergensis, fosse in grado di articolare il linguaggio. Inizialmente si riteneva che questa capacità fosse limitata ad un'articolazione molto primitiva di suoni, a causa del restringimento delle vertebre cervicali che appariva dai fossili del "Turkana boy", ma uno studio più accurato ha rivelato che quell'individuo specifico aveva sofferto dell'arresto, durante lo sviluppo, delle vertebre cervicali, disfunzione che gli aveva pertanto ridotto la capacità respiratoria e di conseguenza anche la capacità di articolare i suoni. Il recente ritrovamento di una vertebra di H. ergaster normale a Dmanisi in Georgia, confrontata con quella del Turkana boy, ha dimostrato che le dimensioni delle vertebre cervicali sono paragonabili a quelle dell'uomo moderno, senza quindi restrizioni alla possibilità di articolazione dei suoni. È comunemente accettato che già l'Homo habilis avesse una significativa capacità di comunicazione, anche se il suo osso ioide e la struttura delle sue orecchie non erano in grado di supportare un linguaggio parlato e che l' H. ergaster avesse una forma più avanzata di neurologia comunicativa. È pertanto plausibile che, inieme alle altre due varianti Homo erectus e Homo heidelbergensis, avesse raggiunto la capacità di gestire una forma di linguaggio e ottenere un notevole balzo in avanti delle capacità cognitive. Secondo alcuni questo fenomeno era più eccentuato nei maschi che nelle femmine, soprattutto riguardo al senso dell'orientamento, alla capacità di ricordare luoghi o la posizione degli oggetti. Prima dei ritrovamenti dei siti con i resti degli ergaster in Kenya, i ritrovamenti di resti degli ominidi più antichi conosciuti erano quelli dell'uomo di Giava.

Ubicazione di Dmanisi, in Georgia.
1.800.000 anni fa - Homo georgicus è il nome proposto nel 2002 per descrivere una specie ominide di cui sono stati ritrovati un cranio fossile e una mandibola a Dmanisi, in Georgia, nel 1999 e nel 2001, anno in cui è stato ritrovato anche uno scheletro parziale. Questa specie sembra intermedia tra Homo habilis e Homo erectus. I fossili, che hanno un'età di circa 1,8 milioni di anni, sono stati scoperti dallo studioso georgiano David Lordkipanidze, che faceva parte di un  gruppo di ricerca e nelle loro vicinanze sono stati trovati anche utensili e ossa di animali. Gli studiosi pensarono dapprima che la mandibola e il cranio potessero appartenere a Homo ergaster, ma le notevoli differenze delle loro dimensioni con altri reperti di ergaster, li convinsero ad attribuirli ad una nuova specie, definita Homo georgicus, discendente da Homo habilis e antenata dell'asiatico Homo erectus.
Ricostruzione di H. georgicus, foto di
Cicero Moraes et alii (Luca Bezzi,
Il cranio D2700, della capacità di 600 cm³ e datato a 1,8 milioni di anni fa, si è rivelato il più piccolo e il più primitivo tra quelli ritrovati fino ad allora al di fuori dell'Africa, dove le due diverse specie di ominidi, Australopithecus e il genere Homo, rappresentano due percorsi evolutivi distinti a partire da un comune antenato. Il reperto georgiano, la cui capacità cranica è all'incirca la metà di quella di Homo sapiens, è stato considerato il reperto più piccolo fino alla scoperta di Homo floresiensis avvenuta nell'isola indonesiana di Flores nel 2003, una specie di ominidi diffusa nell’isola in un periodo compreso tra circa 190.000 e 54.000 anni fa, con alcuni resti che sembrano risalenti addirittura a 12.000 anni fa. I ricercatori hanno concluso che le origini di H. floresiensis risalgono all'epoca di Homo habilis, fino a circa 1,75 milioni di anni fa e secondo loro gli "Hobbit di Flores" (viste le loro piccole dimensioni, alti poco più di un metro e con una capacità cranica di soli 380 cm³, inferiore non solo rispetto ai loro contemporanei ma anche a tutti gli ominidi conosciuti che abbiano preceduto l'Homo sapiens, compresi gli scimpanzé e i gorilla), sarebbero discendenti di un antenato in comune con il più antico membro del genere Homo, che per i detrattori del genere umano dall'Africa, implicherebbe un episodio di migrazione fuori dall'Africa avvenuto precocemente nella nostra storia evolutiva, mettendo quindi in dubbio che quell'antenato fosse africano. Nell'Homo georgicus il dimorfismo sessuale è piuttosto accentuato, rivelando tratti primitivi (meno presenti in altre specie europee più evolute come Homo antecessor, Homo heidelbergensis e Homo neanderthalensis), con i maschi considerevolmente più grandi delle femmine. A causa delle scarse conoscenze morfologiche su questa specie, non è stato finora possibile identificare sviluppi successivi. È ancora dibattuta la questione se questi ominidi avessero un grado di intelligenza superiore a quello delle specie antenate, a causa del volume cerebrale ridotto. Homo georgicus potrebbe essere stato il primo ominide a stabilirsi in Europa, 800.000 anni prima di Homo erectus.

Homo habilis, H. erectus, H.
neandertalensis e Homo Sapiens.
- Da 1.800.000 anni fa appare Homo erectus, una specie di ominide estinta appartenente al genere Homo che tra 1,8 e 1,3 milioni di anni fa ha colonizzato il vecchio continente (Asia, Europa e Africa); rimane in dubbio la sua provenienza dall'Africa, infatti c'è chi sostiene che sia una specie autoctona asiatica e che sia poi migrata in Africa. Originariamente venne denominato Pitecantropo e Uomo di Giava mentre alcuni ipotizzano che sia la medesima specie di Homo ergaster, mentre altri che sia una specie prettamente asiatica evolutasi da H. ergaster. La capacità cranica di H. erectus era del 30% superiore a quella di H. ergaster, cioè dagli 813 cm³ ai 1.059 cm³ e si ritiene comunemente che sia stato il primo a lavorare e utilizzare pietre bifacciali e a usare il fuoco. Queste innovazioni gli hanno permesso probabilmente la lavorazione delle pelli e un consumo più elaborato degli alimenti rispetto agli ominidi precedenti. Homo erectus è stato così chiamato poiché si pensava che fosse stato il primo a conquistare la postura eretta, convinzione rivelatasi errata e comunque, presentando uno sviluppo cranico del 30% maggiore dell'ergaster, è fra i primi a sviluppare una superiore tecnologia.
Strumento litico bifacciale
del Paleolitico.
Gli strumenti dell'erectus non sono solamente oggetti che la natura fornisce o poco modificati, ma sono lavorati, modificati e adattati alle necessità con diverse tecniche. In Europa ritrovamenti di utensili bifacciali indicano la presenza di questa tecnica solo 600.000 anni fa, mentre reperti di strumenti bifacciali recuperati in Etiopia vengono datati a molto prima: 1,5 milioni di anni fa. I resti archeologici, principalmente tracce di accampamenti, ci confermano che l'erectus possedette il controllo del fuoco. Questa maggior conoscenza tecnologica e quindi la capacità di adattarsi a diversi ambienti è probabilmente ciò che permetterà all'Erectus di colonizzare nuovi territori con diversi ambienti. Il camminare eretto unito alla vista stereoscopica, che permette di percepire nitidamente la tridimensionalità, dava a Homo Erectus il vantaggio di controllare il territorio circostante dal massimo della sua altezza e di avere a disposizione le mani per gestire utensili e armi di difesa e offesa. Inoltre, era nelle forma di gruppo, nel sociale collettivo, come già fu per l'Homo Habilis, che si aveva la forza e abilità strategica di procurarsi cibo e proteggersi dai predatori. Questa dinamica di gruppo richiedeva quindi una comunicazione verbale articolata e si sviluppava così il linguaggio, che poteva essere articolato per la presenza di organi adatti a produrlo, modularlo e percepirlo.

I 5 siti più antichi frequentati da ominidi
scoperti dai ricercatori dell'Università di
Ferrara, da https://iris.unife.it/retrieve/e
309ade3-45fb-3969-e053-3a05fe0a2c
94/113922418448.pdf
.
1.600.000 anni fa - Alcuni ricercatori  dell’Università degli Studi di Ferrara hanno condotto scavi in vari siti italiani, e le loro scoperte hanno smentito varie teorie come quelle che i primi uomini fossero arrivati in Europa non prima di 4/500.000 anni o che la sequenza delle glaciazioni fosse nel numero di 6, oppure, ancora, che la nostra evoluzione fosse lineare piuttosto che a cespuglio e che il Neanderthal fosse poco evoluto. https://iris.unife.it/retrieve/e309ade3-45fb-3969-e053-3a05fe0a2c94/113922418448.pdf. Inoltre la loro metodologia, applicata allo scavo stratigrafico e alla ricerca di laboratorio, con apporti metodologici per le analisi dei materiali e il continuo resettare la cronologia degli eventi antropici e naturali, ha permesso di appurare che il primo popolamento europeo da parte di ominidi si è verificato nei siti di Pirro Nord (Apricena, FG) e di Cà Belvedere di Monte Poggiolo (FC) datati rispettivamente a circa 1,6 - 1,3 milioni di anni su base biocronologica (la correlazione in tempo di eventi biologici che riguardino fossili di esseri viventi con eventi biostratigrafici dovuti alle inversioni del campo magnetico terrestre) e a circa 0,9 milioni di anni con il metodo dell’ESR (risonanza paramagnetica elettronica o risonanza di spin elettronico, EPR o ESR, da Electron Spin Resonance, una tecnica spettroscopica impiegata per individuare e analizzare specie chimiche contenenti uno o più elettroni spaiati, chiamate specie paramagnetiche, come radicali liberi, ioni di metalli di transizione, difetti in cristalli, molecole in stato elettronico di tripletto fondamentale come l'ossigeno molecolare o indotto per fotoeccitazione), permettono di estrapolare importanti considerazioni inerenti il comportamento tecnico dei primi europei che risulta essere basato su catene operative relativamente corte e profondamente influenzato dalla morfologia di partenza della materia prima sfruttata. I ciottoli di selce, sempre di origine locale e raccolti in posizione secondaria sia a Pirro Nord che a Cà Belvedere di Monte Poggiolo, sono stati sfruttati principalmente con una modalità opportunista e più raramente con un débitage (caricamento) centripeto. Quest’ultimo è particolarmente caratteristico a Pirro Nord dove è stata messa in evidenza una forte tendenza alla standardizzazione dei prodotti provenienti da un débitage (caricamento) centripeto che sono quasi sempre caratterizzati dalla presenza di un dorso e di una punta déjeté (gettati via). Il comportamento tecnico osservato per i due siti sembra inserirsi perfettamente nel quadro delle più antiche produzioni litiche europee e trova moltissime affinità anche con i più antichi siti africani di Modo 1. La principale differenza con gli altri contesti risiede nell’assenza di façonnage (modellaggio) da spiegarsi probabilmente in funzione del tipo di occupazione del sito e delle caratteristiche della materia prima. 
(M. Arzarello & C. Peretto / Annali dell’università di Ferrara, Mus.Sci. Nat. Volume 10/2-2014)
PIRRO NORD (APRICENA, FG) di Marta Arzarello, Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici. Il sito di Pirro Nord rappresenta la prima evidenza dell’arrivo dell’Uomo in Europa all'incirca 1,6-1,3 milioni di anni fa. Il sito si trova all’interno di una fessura carsica del bacino estrattivo di Apricena-Poggio Imperiale (Cave Dell’Erba) nel comune di Apricena, in provincia di Foggia. I reperti litici, associati a faune del Villafranchiano finale (unità faunistica di Pirro Nord), sono stati rinvenuti all'interno di una fessura riempita da sedimenti del Pleistocene inferiore. I reperti litici hanno permesso di definire quelle che sono state le strategie di sussistenza adottate dai primi uomini che hanno colonizzato l’Europa: catene operative corte, su materie prime di origine locale (essenzialmente selce), finalizzate principalmente all’ottenimento di schegge.
Il deposito - La fessura (Pirro 13) in cui sono state trovate le ossa e le pietre scheggiate si è formata nel Miocene, più di 5 milioni di anni fa. La formazione della fessura all'interno del calcare di Apricena è stata dovuta all'erosione dell'acqua che ha formato un reticolo di grotte sotterranee molto esteso. I sedimenti e le rocce che hanno riempito la fessura sono confluiti al suo interno all'incirca 1,5 milioni di anni fa. Assieme ai sedimenti, trasportati dall'acqua, sono arrivate anche le pietre scheggiate e le ossa che probabilmente si trovavano in superficie a poca distanza dalla fessura.
La prima fase del riempimento ha visto la messa in posto di grossi blocchi di calcare e, successivamente, gli spazi tra questi blocchi sono stati riempiti da sedimenti composti sia da argille che da sabbie (Arzarello et al., 2007; Pavia et al., 2012; Giusti & Arzarello, 2016). Le ossa e le pietre scheggiate ritrovate all'interno della fessura Pirro 13 sono un insieme omogeneo, ovvero vengono considerate come accumulatesi tutte assieme e velocemente all'interno della fessura. Alcune delle ossa provengono dal luogo in cui l’uomo abitava e produceva gli strumenti in pietra, altre provengono da più lontano e non sono associate alle attività umane. Le analisi tafonomiche condotte sulle ossa e sulle industrie litiche, hanno permesso di confermare ulteriormente la formazione dell’accumulo in quanto la storia delle alterazioni (deposito di ossidi fi Fe-Mn, abrasione, ecc) è uguale sia sulle ossa che sulle industrie litiche (Arzarello et al., 2012; Cheheb et al., 2019).
I vertebrati fossili - Il sito di Pirro Nord è conosciuto da numerosi anni per l’importante associazione a vertebrati composta da 20 specie di anfibi e rettili, 47 specie di uccelli e più di 40 specie di mammiferi. La fauna a grandi mammiferi è stata attribuita al Villafranchiano superiore finale (Unità Faunistica di Pirro Nord) ed è caratterizzata da un elevato numero di specie di carnivori, tra i quali vale la pena ricordare la grande iena Pachycrocuta brevirostris, la tigre dai denti a sciabola Homotherium crenatidens, una forma arcaica di lupo (Canis mosbachensis) e il ghepardo gigante Acinonyx pardinensis. Sono inoltre presenti resti del grande istrice Hystrix refossa e, tra gli ungulati, è presente in grande numero il cervide Pseudodama farnetensis mentre compaiono per la prima volta una forma di bisonte Bison (Eobison) degiulii e di cavallo Equus altidens. Tra i piccoli mammiferi sono presenti gli insettivori Asoricolus gibberodon e Talpa minor mentre tra i roditori si segnalano Apodemus flavicollis e Muscardinus sp. L’unico arvicolide presente è Allophaiomys ruffoi che ha permesso, assieme al confronto con le altre faune europee, di collocare Pirro Nord alla fine del Bihariano inferiore, un’età biocronologica europea del Pleistocene inferiore, più precisamente in un range cronologico tra 1,6 e 1,3 milioni di anni fa. In Europa le più antiche evidenze di industria litica associate a reperti faunistici sono quelle di Barranco Leon 5, Fuente Nueva 3 e Atapuerca Trinchera Elefante. Anche questi siti sono riferibili alla fine del Bihariano inferiore, ma la presenza di Allophaiomys lavocati indica, per queste località, un’età leggermente più giovane di quella di Pirro Nord (1,2 - 1,1 milioni di anni fa). (Arzarello et al., 2009; Pavia et al., 2012; Blain et al., 2016; Arzarello & Peretto, 2017).
Le industrie litiche - L’insieme litico proveniente dalla fessura P13 è ad oggi composto, ad oggi, da oltre 400 pezzi costituiti da nuclei e schegge (Arzarello et al., 2015; 2016; Arzarello & Peretto, 2017). La materia prima sfruttata per la produzione di schegge è unicamente costituita da selce proveniente delle formazioni cretacee del Gargano. La materia prima è stata raccolta sempre in posizione secondaria sotto forma di ciottoli di piccole e, più raramente, medio-grandi dimensioni. Si tratta di selce di buona qualità che risponde bene alla scheggiatura ad eccezione di alcuni rari casi in cui sono stati scelti dei ciottoli con delle fratturazioni interne ricementate. Questi ultimi sono stati sfruttati in modo meno intenso e lasciano supporre che la quantità di materia prima di buona qualità disponibile nelle vicinanze del sito non fosse particolarmente abbondante. Sebbene l’insieme litico non sia particolarmente abbondante e non sia stato rinvenuto direttamente nel contesto abitativo, è comunque possibile arrivare ad alcune importanti considerazioni d’ordine tecnologico che possono contribuire alla caratterizzazione dei primi complessi litici europei. La catena operativa, come ovvio visto la tipologia dell’accumulo, non è totalmente completa ma le fondamentali tappe ne sono rappresentate. La fase di decorticazione è rappresentata da schegge, di dimensioni generalmente superiori alla media, a cortice laterale o distale. Risultano, invece, assenti le prime fasi della decorticazione in quanto non sono presenti schegge a cortice totale. La fase di produzione è avvenuta secondo due modalità differenti a seconda della morfologia di partenza della materia prima: i ciottoli di piccole dimensioni (max 50 mm di diametro) sono stati sfruttati con una modalità centripeta che ha portato alla produzione di schegge con una morfologia triangolare o quadrangolare. 
La tecnica di percussione utilizzata è sempre quella della percussione diretta alla pietra dura anche se è possibile ipotizzare che l’apertura dei ciottoli avvenisse per percussione bipolare su incudine. I piani di percussione non sono mai preparati e i talloni sono per la maggior parte naturali o, più raramente lisci. Lo sfruttamento dei ciottoli di piccole dimensioni può essere considerato esaustivo in quanto i nuclei vengono abbandonati sotto forma di dimensioni estremamente ridotte che non avrebbero permesso la produzione di schegge funzionali di dimensioni ragionevoli. Da sottolineare la presenza di numerose schegge triangolari déjeté presentanti un debordamento laterale corticale. Questo tipo di prodotto è sicuramente tipico di un débitage centripeto e potrebbe essere quindi casuale, ma la loro abbondanza lascia presupporre che si tratti, invece, di specifici prodotti ricercati. I ciottoli di medio-grandi dimensioni, invece, sono stati sfruttati tramite l’utilizzo di più piani di percussione ortogonali tra loro via via creatisi con l’avanzamento del débitage. Questo tipo di produzione, anch'essa avvenuta per percussione diretta alla pietra dura, ha portato essenzialmente alla produzione di schegge di morfologia rettangolare o trapezoidale. Lo sfruttamento della materia prima non sembra essere esaustivo e i nuclei sono stati abbandonati prima del totale sfruttamento senza ragioni evidenti se non quella che potrebbe essere legata alla volontà di ottenere dei prodotti funzionali con delle dimensioni precise. Altri prodotti della scheggiatura sono stati trovati nelle fessure di P10 e P21. Nella fessura P10 sono state rinvenute 2 schegge provenienti dallo sterro e per il momento non sono ancora stati rinvenuti elementi litici provenienti dallo scavo sistematico cominciato nel 2007.

Ricostruzione di H. antecessor
1.200.000 anni fa - L'Homo antecessor è una specie estinta di ominide databile tra 1,2 milioni e 800.000 anni fa, scoperta da Eudald Carbonell, Juan Luis Arsuaga e José María Bermúdez de Castro ad Atapuerca, che hanno proposto come nuova specie nel 1997. L'H. antecessor è uno dei primi ominidi europei, considerato una fase intermedia tra l'Homo georgicus e l'Homo heidelbergensis. Il reperto fossile meglio conservato è una mascella appartenuta ad un individuo di circa 10 anni e ritrovata ad Atapuerca in Spagna. La capacità cranica era di circa 1.000 cm³ e le misurazioni palaeomagnetiche indicano un'età superiore ai 780-857.000 anni. Nel 1994 e 1995 nel sito di Atapuerca sono stati rinvenuti circa 80 frammenti appartenenti a sei individui di questa specie. Dai segni di incisioni e scheggiature riportati sulle ossa, indizi di un loro uso come utensili, è stato dimostrato che H. antecessor praticasse il cannibalismo. Sono state inoltre recuperate informazioni genetiche da fossili di H. antecessor di circa 800mila anni fa, le più antiche mai sequenziate: "Le analisi hanno dimostrato una stretta correlazione tra questa specie e umani moderniNeanderthal e Denisoviani", spiega Frido Welker dell'Università di Copenaghen. Il team ha utilizzato una tecnica nota come spettrometria di massa per ricostruire le sequenze di Dna dallo smalto dentale e determinare la posizione di questa specie nella storia della nostra evoluzione. "I lignaggi umani e scimmieschi si sono separati tra i 7 e i 9 milioni di anni fa, ma gran parte di ciò che sappiamo oggi si basa sullo studio del Dna antico e sulle osservazioni della forma e della struttura fisica dei fossili rinvenuti", prosegue il ricercatore, specificando però che la degradazione degli acidi proteici non ha consentito ricostruzioni di materiale genetico antecedente a 400mila anni fa. "Grazie alla paleoproteomica, una nuova tecnica di indagine, è ora possibile superare questo limite", osserva Enrico Cappellini, docente presso l'Università di Copenaghen.

Da 1.200.000 a 900.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Günz, la prima glaciazione avvenuta in Europa, che ebbe luogo nel Pleistocene, il primo periodo dell'era Quaternaria, in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.

C'è chi pensa che gruppi di Homo
Erectus siano migrati a nord
dall'Africa, 1.000.000 di anni fa.
1.000.000 di anni fa - Secondo i sostenitori della derivazione del genere Homo nel vecchio continente dall'Homo erectus africano, un milione di anni fa sarebbe iniziato il processo Out-of-Africa, per cui gruppi di H. erectus avrebbero cercato nuovi territori o li avrebbero trovati inseguendo delle prede o cercando piante commestibili, a nord-est, nei pressi della foce del Nilo, lì dove l'Africa è connessa all'Asia e alla via per l'Europa. Secondo alcuni, fra cui io stesso, è anche plausibile che a quei tempi si potesse attraversare agevolmente lo stretto di Gibilterra,  visto che i livelli dei mari erano particolarmente bassi, a causa delle glaciazioni.
Carta con l'ipotetica diffusione
del genere umano dall'Africa al
resto del mondo.
Per questo stesso fenomeno, con i ghiacci particolarmente estesi, flora, fauna e persone hanno avuto la possibilità di attraversare lo stretto di Bering per giungere nelle Americhe. Il processo Out-of-Africa (letteralmente: fuoriuscita dall'Africa) è stato il primo processo migratorio riconosciuto da molti, che hanno sostenuto come  dovuto al successo dei primi ominidi africani, che avrebbero così potuto  espandersi in ambienti privi di competitori, quindi particolarmente vantaggiosi. Si è sostenuto inoltre che Homo Erectus, di provenienza africana, colonizzando ad ondate successive l'Eurasia, abbia potuto adattarsi alle diverse condizioni ambientali, differenziandosi quindi nelle specie Homo Heidelbergensis e successivamente Homo Neanderthalensis, che aveva caratteristiche carnivore e di cui si dibatte ancora in merito all'epoca della sua totale estinzione, stimata intorno a 28.000/22.000 anni fa. D'altra parte, già da tempo, la generica definizione di Homo ergaster è data a fossili a cui ci si può riferire più specificamente coi termini Homo erectus o Homo heidelbergensis, con l'intendimento di attribuire a Homo ergaster una derivazione propriamente africana, mentre con il termine di Homo erectus ci si può riferire a reperti  asiatici. Homo heidelbergensis è considerata generalmente una specie separata, in base alle diverse dimensioni del cervello e alla struttura fisica più robusta, ma volendola definire di discendenza africana, la si nomina come Homo ergaster. D'altra parte, l'apparizione dell'uomo di Denisova sulla scena dei ritrovamenti archeologici e le sequenze mitocondriali sui suoi reperti, ha scompaginato l'ordine degli eventi che si supponeva fossero avvenuti. Questo esemplare di ominide è vissuto in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa in aree popolate principalmente da sapiens e in parte da neanderthal; ciononostante, la sua origine e la sua migrazione apparirebbero distinte da quelle delle altre due specie, e il mtDNA del Denisova risulterebbe differente dai mtDNA di H. neanderthalensis e H. sapiens. L'uomo di Denisova è strettamente imparentato con l'uomo di Neanderthal: le due specie si sarebbero separate circa 300.000 anni or sono. L'analisi del mtDNA ha inoltre suggerito che questa nuova specie di ominidi sia il risultato di una migrazione precoce dall'Africa, distinta da quella successiva, associata a uomini di Neanderthal e umani moderni, ma anche distinta dal precedente esodo africano di Homo erectus. Pääbo ha rilevato che l'esistenza di questo ramo lontano, crea un quadro molto più complesso del genere umano nel tardo Pleistocene. Studi genetici indicano che approssimativamente il 4% del DNA dell'Homo sapiens non africano è lo stesso trovato nell'Homo neanderthalensis, suggerendo un'origine comune ed è verosimile ipotizzare un'ibridazione tra Homo di Denisova e Homo sapiens, che ha interessato le popolazioni del sud-est asiatico antico e quelle, loro dirette discendenti, australiane. L'apporto genetico denisoviano alle altre popolazioni asiatiche è limitato e, come in quelle europee e amerindie, deriva in buona parte dall'ibridazione, avvenuta in precedenza, con i Neanderthal (che a loro volta si erano ibridati con i Denisova). Il sequenziamento del genoma estratto dalla falange ritrovata nel 2008 a Denisova (in Siberia meridionale) ha permesso di definire che il soggetto esaminato, una femmina, avesse carnagione scura con occhi capelli castani. Dalle ultime analisi del mtDNA e del DNA nucleare risulta che l'Uomo di Denisova si sarebbe separato dal comune antenato di Neanderthal e uomo moderno circa 1.000.000 di anni fa e che in seguito si sarebbe incrociato con l'Homo sapiens progenitore dei moderni abitanti della Papua Nuova Guinea, con i quali condivide il 4-6% del genoma; provando così (come già con l'uomo di Neanderthal) l'Ipotesi multiregionale di interscambio genetico tra antichi e moderni Homo sapiens. Nello stesso studio del 2010, gli autori hanno effettuato l'isolamento e il sequenziamento del DNA nucleare dell'osso del dito del Denisova. Questo esemplare ha mostrato un insolito grado di conservazione del DNA e un basso livello di contaminazione. Sono stati in grado di raggiungere quasi il completo sequenziamento genomico, consentendo un confronto dettagliato con i Neanderthal e gli umani moderni. Da questa analisi hanno concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza mitocondriale, che gli uomini di Denisova e i Neanderthal hanno condiviso un ramo comune ancestrale che porta ai moderni esseri umani africani. Il tempo medio stimato di divergenza tra le sequenze dei denisoviani e dei Neanderthal è di circa 640.000 anni fa, mentre il tempo di divergenza tra le sequenze di ciascuno di essi e le sequenze degli africani moderni è di 804.000 anni fa. Ciò suggerisce che la divergenza dei risultati mitocondriali del Denisova derivi o dalla persistenza di un lignaggio epurato dagli altri rami attraverso deriva genetica oppure da un'introgressione di un lignaggio di un ominide più arcaico. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis (probabile antenato del neanterthaliensis) di 400.000 anni fa, proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella dei Denisova.

Il sito n.2 è Ca' Belvedere
di Monte Poggiolo (FC).
- A 1.000.000 di anni fa risalgono i reperti ritrovati dai ricercatori dell'Università di Ferrara nel sito di CA’ BELVEDERE DI MONTE POGGIOLO (FORLÌ-CESENA), sito descritto da Carlo Peretto dell'Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici. https://iris.unife.it/retrieve/e309ade3-45fb-3969-e053-3a05fe0a2c94
/113922418448.pdf. La scoperta del sito nel 1983 si deve ad un gruppo di appassionati che a partire dagli anni Ottanta iniziò a collaborare col sottoscritto allo studio dei materiali paleolitici dell’Appennino forlivese e faentino. La collaborazione, in particolare con i Dott. Alberto e Aldo Antoniazzi, Luisa Fontana e Franco Proli, portò alla stesura di numerose pubblicazioni scientifiche, cataloghi e allestimenti di mostre tematiche. L’apporto e la collaborazione della Dott.ssa Luciana Prati, curatrice del Museo Archeologico di Forlì, fu fondamentale per il buon fine delle iniziative. Il sito di di Ca’ Belvedere a circa 180 metri s.l.m. è ubicato sul versante nord della collina di Monte Poggiolo (un rilievo cupoliforme fra Forlì e Castrocaro, al termine dello spartiacque tra il fiume Montone e il rio Petrignone) poco distante dal castello mediceo posto sulla sommità del colle. 
La stratigrafia La geologia locale è caratterizzata da una serie sedimentaria del Pleistocene inferiore con alla base le “argille azzurre” a Arctica Islandica et Hyalinea baltica (Amore et al., 1996; Antoniazzi & Peretto, 1998; Antoniazzi et al. 1988, 1992; Peretto, 1992, 1997; Peretto et al., 1998). Su di esse si impostano i sedimenti costieri di Monte Poggiolo e lateralmente verso N-O le “sabbie gialle” litorali (Monte Vescovado, Castiglione, S. Biagio) alterate da un paleosuolo attribuito al Pleistocene medio. Sono stati riscontrati fenomeni neotettonici che hanno determinato il dislocamento dei depositi, anche di quelli contenenti l’industria litica. 
Lo scavo, iniziato nel 1984, ha posto in luce sedimenti caratterizzati da una alternanza di sabbie e limi che includono ghiaie di grandezze variabili; in tutti i livelli si rinviene l’industria litica che si caratterizza per la freschezza e i numerosi rimontaggi. Il deposito è moderatamente deformato dalle vicissitudini tettoniche e pende leggermente verso valle. L’industria litica è presente nei livelli esplorati dal 101 al 118, anche se meno frequente nel livello 116 e verso il basso. 
I reperti hanno un aspetto fresco, bordi ben conservati e privi di pseudoritocchi; talvolta sono leggermente patinati.
La cronologia - Le indagini paleomagnetiche consentono di confermare l’alta antichità dei livelli con l’industria litica, attribuiti al Pleistocene inferiore. Le analisi hanno interessato differenti formazioni, come ad esempio la “Sabbie Gialle” di Monte Vescovado oltre ai livelli di Monte Poggiolo contenenti reperti litici, rivelando la presenza di un componente inversa del campo geomagnetico fossile. 
Il confronto dei dati magnetici con i risultati interdisciplinari e la lettura critica dei dati disponibili di ordine stratigrafico, ha portato all'attribuzione di queste formazioni alla fase geomagnetica di Matuyama. Il giacimento paleolitico si pone quindi in una forbice tra 1,4 milioni di anni (comparsa di Hyalinaea balthica nelle “argille azzurre”) e 780.000 anni (data del limite Brunhes-Matuyama). Questi risultati sono stati confermati dalla datazione ESR effettuata dal laboratorio di geocronologia dell'Institut de Paléontologie Humaine di Parigi, che colloca queste formazioni nella seconda metà del Pleistocene inferiore (Gagnepain et al., 1995, 1998; Peretto et al., 1997). L’attribuzione è stata ulteriormente comprovata da recenti analisi (Muttoni et al., 2011). La datazione ESR, detta anche EPR, risonanza paragnetica elettronica, misura la dose di radiazione nucleare ricevuta dal campione alla stessa stregua della TL, anche se la terminologia è storicamente diversa. Per la TL (tipo di datazione radiometrica basata sulla termoluminescenza del materiale da datare) si usa di solito parlare di PALEODOSE, mentre per la ESR si parla di dose accumulata, AD, o dose totale, TD. Anche in questo caso l’età è data dal rapporto tra la dose accumulata e la dose annuale: età =(dose accumulata)/ (dose annuale). Anche per l’ESR il tempo zero corrisponde al momento della crescita del cristallo. 
Il paleoambiente e lo studio paleontologico - La ricostruzione del paleoambiente conferma che i sedimenti si sono depositati in successione all’interno di una rete di canali anastomizzati di natura fluviale. Le modalità sedimentarie giustificano l’eccellente conservazione dei reperti litici sulla base del rapido cambiamento dei canali successivamente ricoperti da nuovi sedimenti che si depositano in situazioni del tutto simili in altri contesti. La sequenza delle argille marine denota la dominanza delle essenze arboree (Messager et al., 2011), in particolare delle conifere come Pinus tipo silvestris o diploxylon col 41%. Si annoverano specie relitte quali Credrus, Scadopitys, Tsuga, Carya e Pterocarya che confermano l’appartenenza delle argille al Pleistocene inferiore e il deterioramento climatico verso condizioni meno temperate e meno umide. L’ambiente connesso col deposito antropico riporta un ambiente freddo con dominanza delle specie erbacee, con elementi anche steppici; tra le arboree sono presenti pini e abeti. Il riempimento di fessure dovute alla neotettonica è riconducibile, su base palinologica, all’ultima glaciazione würmiana (Cattani, 1992). Lo studio paleontologico (foraminiferi, ostracodi, molluschi e nannofossili) dei depositi delle “argille azzurre” e della formazione “sabbie gialle” dimostrano un ambiente caratterizzato da una successione del piano infralitorale a batimetria ridotta, con influenze di acqua dolce e salmastra. Si tratta di ambienti umidi costieri con la parte sommitale caratterizzare dall’apporto fluviale di materiali continentali più grossolani che contengono una certa quantità ciottoli di selce poi lavorati dall’uomo preistorico sulle antiche spiagge del mare padano. Gli apporti continentali si caratterizzano pertanto da gasteropodi polmonati con forme igrofile ad ampia distribuzione geografica. Si sottolinea la presenza di Cochlodina laminata, una specie montana che indicherebbe un clima temperato fresco (Monegatti et al, 1992).
L’industria litica - L’uomo ha lavorato ciottoli di selce di medie e piccole dimensioni, per lo più caratterizzati da una matrice composta da silice microcristallina e/o criptocristallina che includono microfossili e rocce bioclastiche più o meno silicizzate. Rari esempi presentano evidenti laminazioni non omogenee. Le caratteristiche tecno-tipologiche dell'industria litica, provenienti sia da raccolte di superficie sia da scavi stratigrafici, sono state oggetto di specifici studi (Antoniazzi et al., 1993; Bisi et al., 1994; Peretto, 1992). I reperti raccolti in deposizione primaria sono distribuiti lungo l'intera serie stratigrafica, con frequenze massime nei livelli 103, 105 e 111. Il livello 106 è quasi completamente privo di materiali. L'industria è molto ben conservata; i materiali hanno spesso incrostazioni superficiali di origine carbonatica e più raramente di ferro e manganese. In alcuni casi, hanno una leggera patina superficiale non omogenea, che lascia trasparire sempre il colore originale dalla selce. Da un punto di vista tecno-tipologico, l'industria litica appare omogenea lungo l'intera serie stratigrafica, sviluppandosi su diversi metri di spessore. L'analisi dei reperti, effettuata separatamente in relazione alla loro provenienza stratigrafica, ha confermato la loro sostanziale identità. 
Riteniamo che questo fenomeno sia principalmente legato all'accumulo molto rapido dei sedimenti riconducibile al modello deposizionale di canali anastomizzati. Per questo motivo, l'industria litica di Monte Poggiolo viene descritta nel suo insieme, principalmente utilizzando le informazioni dallo studio dei materiali raccolti in deposizione primaria. Lo scavo ha scoperto un totale di 1319 manufatti, di cui 1166 rappresentati da schegge e 153 da ciottoli lavorati, la maggior parte dei quali caratterizzati da distacchi unidirezionali o alterni. Non esiste una relazione evidente tra la qualità della selce e l'intensità dello sfruttamento dei ciottoli. Sembra, sostanzialmente che sia stata lavorata l'intera gamma dei possibili materiali silicei, anche di quelli interessati da piani naturali latenti di frattura. Gli strumenti ritoccati sono molto rari, del tutto occasionali; ricordiamo, in particolare, i raschiatoi laterali e alcuni denticolati, con ritocco sia semplice che scalariforme, nella maggior parte dei casi profondi e convessi. Nel complesso sono molto difficili da inquadrare, dato il loro aspetto grossolano e sommario. In quasi tutti i casi, i reperti non vengono ritoccati e il 48,7% è intero. La superficie dorsale è spesso parzialmente o interamente corticata. Si sottolinea l'elevato numero di calotte (12,6%), la cui presenza è strettamente legata all'impiego nella scheggiatura di ciottoli di selce, oltre alla necessità di ottenere piani di percussione lisci e piatti.
I coltelli con dorso naturale sono abbastanza comuni (13,6%). Tra i talloni determinabili, i più frequenti sono quelli lisci (45,1%), seguiti dai naturali (30,3%); il diedro (8,9%) e il lineare (9,4%) sono meno frequenti; le sfaccettature sono rare (3,1%). Ricordiamo la presenza di un certo numero di frammenti riflessi (5,8%), mentre i frammenti sorpassati sono quasi assenti. Ci sono alcuni esemplari con discontinuità angolare longitudinale ed altri che rientrano nell’ambito degli incidenti di Siret. Questi oggetti sono strettamente legati all’impiego di una tecnica di distacco opportunistica, eseguita con colpi molto violenti inflitti sulla superficie del nucleo. A sostegno di questa ipotesi, si sottolinea la presenza di bulbi con discontinuità trasversale angolare e molte schegge che si sono frammentate durante il distacco (rilevato in particolare con lo studio dei rimontaggi). Questi aspetti tipologici devono anche essere attribuiti alla violenza dei colpi inferti sul nucleo nel tentativo di distaccare i manufatti. Lo studio dell'industria, l’analisi particolareggiata dei numerosi rimontaggi  e la sperimentazione consentono di tracciare un dettagliato schema del processo di lavorazione dei ciottoli. Ciò che maggiormente sorprende è la sostanziale standardizzazione della chaîne operatoire documentabile sia sui ciottoli che presentano pochi distacchi, sia su quelli maggiormente sfruttati. 
Un unico filo conduttore unisce i ciottoli scheggiati tanto da poterli raggruppare nel modo seguente: 
a) Ciottoli caratterizzati dal distacco unidirezionale di una o più schegge da piano di distacco naturale corticato. In genere il colpo, con direzione più o meno inclinata rispetto all’asse maggiore del ciottolo, è inferto ad una delle sue estremità, preferibilmente là dove morfologie naturali e particolari rapporti angolari inducono a ritenere maggiore la possibilità del distacco di schegge. In questi casi i talloni sono naturali e le schegge si presentano più o meno corticate. I ciottoli così lavorati possono rientrare tra i nuclei a piano di percussione naturale a stacchi unidirezionale; quando l'angolo del "tranciante" è acuto, morfologicamente ricordano i choppers (con il termine chopper si intende un tipo di utensile usato dai primi ominidi tra la fine del Terziario e l'inizio del Quaternario, alla base della definizione della tecnologia olduvaiana);
b) Ciottoli caratterizzati da stacchi alterni. Le schegge così ottenute sono il più delle volte parzialmente o totalmente corticate e presentano sovente tallone liscio o diedro; i nuclei per la loro morfologia ricordano i chopping-tools (strumenti in pietra per tagliare); 
c) Ciottoli caratterizzati dall’asportazione di una calotta ad una delle estremità e da distacchi unidirezionali; si ottiene così un piano di percussione liscio dal quale successivamente è possibile distaccare schegge ad andamento unidirezionale parallele all’asse maggiore del ciottolo. I prodotti così ottenuti sono schegge, fra cui anche calotte e spicchi, e nuclei ad un piano di percussione liscio a stacchi unidirezionali; 
d) Ciottoli caratterizzati da un intenso sfruttamento. Sono pochi gli esempi di uno sfruttamento molto intenso dei ciottoli. In questi casi i rimontaggi hanno evidenziato come le fasi successive dello sfruttamento non siano altro che la somma di quanto sopra esposto. Si inizia col distacco di una o più schegge (anche calotte) formando un piano di percussione liscio-piano utilizzato per il distacco di altre schegge il più delle volte ad andamento unidirezionale. Lo sfruttamento del ciottolo avviene anche tramite l'abbassamento del piano di percussione e con la produzione spesso di schegge di piccole dimensioni. La lavorazione viene interrotta in seguito ad errori di taglio che comportano la produzione di schegge riflesse (perdita dell’andamento a carena della faccia di distacco delle schegge) o la frattura del nucleo. Rari sono comunque i casi di uno sfruttamento estremo del nucleo. 
I prodotti ottenuti sono calotte, schegge corticate, spicchi, schegge decorticate anche di piccole dimensioni, nuclei di varia natura.
Lo studio delle usure consente di affermare che soltanto le schegge portano evidenti tracce di utilizzazione. Questa indagine, condotta praticamente in modo sistematico sui manufatti dell’industria, toglie ogni dubbio sul significato dei ciottoli a stacchi unidirezionali e alterni: non si tratta di chopper e chopping-tools, ma soltanto di nuclei, oggetti quindi dai quali venivano distaccate schegge, manufatti a margini taglienti effettivamente impiegati nelle attività quotidiane. 
Si può quindi affermare che l’industria di Monte Poggiolo sia il risultato di una tecnologia litica semplice quanto opportunistica, caratterizzata da una serie di interventi successivi, che comunque non si esprime che in rari casi in tutti i suoi passaggi sullo stesso nucleo, ma che al contrario, in modo del tutto occasionale, si ferma a stadi differenti di sfruttamento. Il primo popolamento umano della valle Padana in cui si trova Monte Poggiolo non è stato un fenomeno sporadico. Infatti situazioni del tutto analoghe a quella di Ca’ Belvedere di Monte Poggiolo (la n.2 nella carta) sono state accertate in molti altri giacimenti posti lungo tutto il margine del Pedeappennino padano (Cremaschi & Peretto, 1988; Farabegoli et al., 1996; Lenzi & Nenzioni, 1996; Peretto, 1991, 1995). Sono molte decine ormai le località dell’Emilia Romagna che hanno restituito in analoghe posizioni stratigrafiche e cronologiche industrie arcaiche. Si tratta, tra gli altri, dei giacimenti di Bel Poggio (Fontana & Peretto, 1996), Romanina Bianca, la n.4 nella carta (Farabegoli et al., 1996),  Serra (Antoniazzi et al., 1998), Covignano, la n.3 nella carta (Antoniazzi et al., 1998). Le industrie di questi siti, raccolte anche durante scavi sistematici, presentano identiche caratteristiche tecniche e tipologiche e sono tra loro perfettamente comparabili.

Ubicazione della grotta di Vallonnet.
950.000 anni fa - Affluiscono in Europa alcuni antichi gruppi del genere Homo Erectus. Non se ne conosce l'itinerario seguito, che non è detto che fosse uno solo o lo stesso per tutti i gruppi; inoltre le varie glaciazioni che si sono susseguite nelle ere geologiche, le diverse conformazioni delle placche tettoniche e il diverso livello dei mari, hanno proposto vie e percorsi che oggi potrebbero non esistere più. Uno fra i più antichi siti archeologici europei riguardanti l'Homo Erectus è la grotta del Vallonnet in Costa Azzurra, databile tra i 950.000 e i 900.000 anni fa. In questa grotta sono stati trovati strumenti in pietra e anche schegge lavorate in osso che costituiscono i resti più antichi di strumenti preistorici in Europa. Non sono ancora presenti strumenti bifacciali. La grotta di Vallonet, appena varcato il confine fra Francia e Italia sulla Costa Azzurra, a Roquebrune-Cap-Martin, da Mentone verso il principato di Monaco, è uno dei più antichi abitati d' Europa. Lo studio delle faune rinvenute nei sedimenti archeologici (in particolare resti di elefanti, ippopotami, bovidi, cervidi, suidi) ha permesso di attribuire al giacimento un'età compresa fra 1,3 e 0,7 milioni di anni mentre lo studio del paleomagnetismo del riempimento della grotta la colloca all'episodio "di Jaramillo", periodo in cui il Campo Magnetico Terrestre era inverso rispetto ad oggi, tra 0,95 e 0,9 milioni di anni. L'industria litica comprende strumenti su ciottolo e su scheggia.

Ricostruzione dell'Uomo di Pechino,
di Cicero Moraes - Opera propria,
Da 780.000/680.000 anni fa - L'uomo di Pechino (Homo erectus pekinensis) è una sottospecie di Homo erectus i cui resti sono stati trovati fra il 1923 e il 1927 durante degli scavi condotti a Zhoukoudian (nei pressi di Pechino, da cui il nome), in Cina. Il fossile, trovato da Birgir Bohlin solo tre giorni prima della fine dei lavori di scavo, è stato datato come risalente a un periodo compreso fra i 680.000 e i 780.000 anni fa. I primi studi iniziarono a Zhoukoudian nel 1921, esaminando una serie di grotte calcaree che si trovavano in quel sito. Sembra che sia stato un abitante della zona a portare gli archeologi europei in un'area dove si trovavano numerose ossa fossilizzate. Nel 1926 vennero portati al Peking Union Medical College alcuni molari, trovati nel sito, per essere analizzati da parte dell'anatomista canadese Davidson Black. Il primo teschio fu recuperato da Pei Wenzhong il 1º dicembre 1929. Nel 1891 Eugène Dubois aveva trovato i primi fossili di Homo erectus nell'isola di Giava, anche se l'uomo di Giava era stato inizialmente classificato come Pithecanthropus erectus e non incluso nel genere Homo, classificazione che venne corretta più tardi. L'uomo di Pechino è stata quindi la seconda testimonianza di H. erectus in Asia. A partire dal 1929 alcuni archeologi cinesi proseguirono gli scavi nel sito di Zhoukoudian, portando alla luce oltre quaranta campioni di cui sei crani quasi completi, ma gli scavi vennero interrotti nel 1937, in seguito all'invasione giapponese della Cina e gli esemplari fino a quel momento recuperati vennero messi al sicuro dai bombardamenti giapponesi. Nel 1941 vennero spediti negli Stati Uniti per maggior sicurezza, ma scomparvero durante il viaggio verso il porto di Qinhuangdao. Probabilmente erano in possesso di un gruppo di marines statunitensi catturati dai giapponesi all'inizio delle ostilità fra il Giappone e gli Stati Uniti. Poiché tutti i ritrovamenti effettuati prima della guerra nel sito di Zhoukoudian sono andati perduti, gli scienziati che hanno avanzato ipotesi sull'uomo di Pechino hanno dovuti basarsi sui calchi e sugli scritti effettuati durante le scoperte originali. Alcuni ritrovamenti effettuati nello stesso luogo di resti di animali e di prove dell'utilizzo di fuoco e utensili sono state utilizzate per supportare l'idea che l'Homo erectus sia stato il primo a utilizzare tali "tecnologie". Mentre gli esami condotti sui rapporti stilati a suo tempo sull'uomo di Pechino hanno portato a concludere che appartenesse allo stesso stadio evolutivo del genere Homo dell'uomo di Giava, nel 1985 Lewis Binford sosteneva la teoria secondo cui l'uomo di Pechino fosse un mangiatore di carogne (come le iene) e non un cacciatore. Nel 1998 Steve Weiner rincarò la dose, annunciando di non aver trovato alcuna prova del fatto che l'uomo di Pechino usasse il fuoco. A questo punto la maggior parte degli antropologi ha eletto come diretta antenata dei moderni esseri umani, la popolazione africana di Homo ergaster, piuttosto che le popolazioni asiatiche rappresentate dall'uomo di Pechino e di Giava, mentre ora invece abbiamo anche i reperti dell'uomo di Denisova su cui ragionare.

Ricostruzione dell'uomo di Giava,
- Uomo di Giava è il nome dato ai fossili scoperti nel 1891 a Trinil, sulle rive del fiume Begawan Solo, nella provincia di Giava Orientale, sull'isola di Giava, in Indonesia. I fossili rappresentano uno dei primi esempi di quello che oggi viene chiamato Homo erectus. I resti furono scoperti da Eugène Dubois, che li classificò con il nome scientifico di Pithecanthropus erectus (dal greco antico scimmia e uomo). Come nella maggior parte dei fossili di ominidi, non è stato rinvenuto uno scheletro completo ma soltanto di una calotta cranica, un femore sinistro e pochi denti, scoperti dal medico olandese E. Dubois nel 1891 ed stato avanzato qualche dubbio sul fatto che tutte queste ossa potessero appartenere alla stessa specie. Una calotta cranica di taglia simile a quella trovata da Dubois è stata scoperta dal paleontologo tedesco Gustav Heinrich Ralph von Koenigswald, nel 1936, nel villaggio di Sangiran, nella provincia di Giava Centrale, 18 km a nord di Surakarta. Fino alla scoperta dei resti umani ritrovati nella Rift Valley in Kenya, gli esemplari di Dubois e Koenigswald sono stati i resti degli ominidi più antichi mai rinvenuti. Oggi alcuni scienziati suggeriscono che l'uomo di Giava sia una potenziale forma intermedia tra l'uomo moderno e l'antenato comune che condividiamo con le altre grandi scimmie. Tuttavia la maggior parte degli antropologi ritiene che il diretto antenato dei moderni esseri umani sia stata la popolazione africana di Homo ergaster, piuttosto che le popolazioni asiatiche rappresentate dall'uomo di Giava e l'uomo di Pechino.

Ricostruzione di Homo
heidelbergensis.
680.000 anni fa - Durante l'interglaciazione di Günz-Mindel, probabilmente nel periodo fra 680.000 e 620.000 anni fa, appare in Europa l'Homo heidelbergensis, che si presume sia stato un antenato di Homo  neanderthalensis. Il più antico resto fossile che condividesse delle caratteristiche con Homo erectus in Europa, è una mandibola ritrovata in Germania, a Heidelberg (da cui ha preso il nome), nel Baden-Württemberg, sulle rive del fiume Neckar, nel 1907, da Otto Schoetensack, mentre gli ultimi ritrovamenti di questo tipo di ominide si sono avuti nella grotta di Sima ad Atapuerca, durante scavi iniziati nel 2015. Approssimativamente Homo heidelbergensis si è estinto 100.000 anni fa e suoi resti sono stati trovati in Africa, Europa ed Asia occidentale. Sia Homo antecessor che Homo heidelbergensis sono discesi probabilmente da Homo ergaster, morfologicamente molto simile e proveniente dall'Africa. Tuttavia Homo heidelbergensis aveva una calotta cranica più allargata, con una capacità di circa 1.100-1.400 cm³, non lontana dal valore di circa 1.350 cm³ tipico per l'uomo moderno; questa differenza, assieme al comportamento e all'utilizzo di strumenti più avanzati rispetto all'ergaster, lo ha fatto assegnare ad una specie diversa. Questa specie, rispetto ai suoi parenti più stretti, aveva delle dimensioni più grandi, infatti i ritrovamenti suggeriscono dimensioni medie di circa 190 cm di altezza e una corporatura più massiccia e muscolosa di ogni altro ominide appartenente al genere Homo. Secondo il professor Lee R. Berger dell'Università di Witwatersrand, numerose ossa fossili risalenti a circa 500.000 - 300.000 anni fa, ritrovate sulla costa sud-africana, indicano che alcune popolazioni di Homo heidelbergensis erano "giganti" con dimensioni medie di circa 213 cm. di altezza. La morfologia  dell'orecchio esterno depone per una sensibilità uditiva simile a quella degli esseri umani moderni e maggiormente complessa di quella dei suoi parenti più stretti: Homo heidelbergensis poteva infatti distinguere molti suoni diversi. Numerose analisi approfondite dei denti suggeriscono che fossero in grado di produrre suoni in quantità rilevante. Questo "gigante" è riconosciuto da molti come il primo ominide in grado di produrre suoni complessi, facilitando in questo modo la trasmissione di esperienze e la formazione di culture che, sebbene ancora primitive, erano molto più sofisticate di quelle incontrate fino a quel momento.
Ricostruzione di Homo
heidelbergensis di
Atapuerca.
Reperti trovati nel 1992 nella grotta di Gran Dolina, situata nelle colline di Atapuerca (Spagna settentrionale) hanno scatenato varie ipotesi sulle specie che avessero frequentato il sito e nel 1994, una sua spedizione ha portato alla luce un gran numero di utensili di pietra molto semplici, troppo primitivi per essere attribuiti a Homo heidelbergensis, per cui diversi paleontologi attribuiscono i fossili di Atapuerca alla specie Homo antecessor, considerata diretta antenata di Homo heidelbergensis, che è vissuto nelle stesse aree successivamente. Una prima tesi è che i resti di Atapuerca rappresentino il primo tentativo da parte di Homo heidelbergensis di uscire dall'Africa, dove si hanno prove della sua presenza già 600.000 anni fa, e che quindi colonizzando l'Europa avrebbe fatto da progenitore a Homo neanderthalensis, mentre in Africa si evolveva Homo sapiens e in Asia Homo ergaster, di cui potrebbe essere il discendente. Questa tesi farebbe sì che l'Homo heidelbergensis fosse stato l'ultimo antenato comune fra Homo sapiens e Homo neanderthalensis, mentre da uno studio effettuato nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis di 400.000 anni fa e proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella dell'Uomo di Denisova. Altri studi condotti nel 2001 sul cranio completo di Atapuerca, insieme ai resti di altri trenta individui, attestano la possibilità che questi ominidi potessero parlare.
Carta con il sito archeologico di Atapuerca, in Spagna.
Infatti l'apparato vocale trovato nei resti fossili, per quanto risulti essere meno sviluppato rispetto a Homo sapiens, è sicuramente complesso. Anche i ritrovamenti presso le Ciampate del Diavolo, in provincia di Caserta sono stati attribuiti a Homo heidelbergensis. Molti scienziati considerano appartenenti a Homo heidelbergensis anche i due crani ritrovati fra il 1989 ed il 1990 a Yunxian, nella provincia cinese di Hubei, sebbene molti altri, compresi gli scopritori, tendono a considerarli resti di Homo erectus.

Il sito La Pineta di Isernia
è il n. 5, da https://iris.uni
fe.it/retrieve/e309ade3-45
fb-3969-e053-3a05fe0a2c
94/113922418448.pdf
.
600.000 anni fa - È la data a cui risalgono i reperti ritrovati dai ricercatori dell'Università di Ferrara nel sito di LA PINETA (ISERNIA) descritto da Carlo Peretto e Benedetto Sala, Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici. https://iris.unife.
L’insediamento, posto a 457 m sul livello del mare, si trova nei pressi della Città di Isernia (Molise). Scoperto nel 1978 (Peretto et al., 1983) in seguito agli sbancamenti per la costruzione della superstrada Napoli-Vasto, a partire dal 1979 fu oggetto di scavi sistematici che continuarono interrottamente fino ai nostri giorni, fatta eccezione per il periodo che va del 1993 al 2000 a causa dei lavori per la costruzione del Padiglione degli scavi che oggi fa parte dell’area archeologica con annesso il Museo nazionale del Paleolitico. Gli scavi sistematici, lo studio delle sezioni stratigrafiche poste in luce dai lavori di sbancamento e i sondaggi a carotaggio continuo permettono di affermare che l’estensione del giacimento archeologico è dell’ordine di alcune migliaia di metri quadrati.
La stratigrafia - I livelli archeologici sono ricompresi nei sedimenti fluviolacustri del bacino infra-appenninico di Isernia. Lo scavo sistematico ha posto in luce una serie stratigrafica che contempla dal basso verso l’alto limi lacustri di colore biancastro dello spessore di molti metri; su di essi si imposta una bancata di travertino di spessore decimetrico alterato dalla pedogenesi. Segue l’Unità 3 con limi (3b) e sabbie con forte componente limosa (3a), sepolta da apporti più grossolani di natura anche fluviale (Coltorti et al., 2005). Seguono fino alla sommità depositi più recenti che si raccordano a quelli olocenici. La serie stratigrafica contiene una significativa componente vulcanica che si rinviene nelle Unità 4 e 3 e che ha permesso di datare i livelli archeologici con metodi radiometrici. I materiali archeologici sono distribuiti su quattro archeosuperfici (3c, 3a, 3s10 sett. I, 3a, sett. II); (Cremaschi & Peretto, 1988; Peretto 1999). 
Il livello più antico (3c) si imposta sul travertino (Unità 4) ed è stato esplorato su circa 70 mq; esso è dislocato da fratture di natura tettonica che hanno compromesso l’integrità di parte dei resti paleontologici. Il materiale identificato è rappresentato da frammenti ossei di grandi mammiferi appartenenti a bisonte, rinoceronte, ippopotamo, orso, elefante, associati in misura variabile a manufatti litici in selce e in minor misura in calcare. La paleosuperficie 3a è la più ricca di materiali tra quelle esplorate avendo restituito ampie concentrazioni di reperti litici e faunistici anche di grandi dimensioni che consentono di approfondire aspetti comportamentali dell’uomo preistorico e quelli di ordine cronologico e paleoecologico (figg. 2-3) (Arzarello et al., 2003; Ferrari et al., 1991; Lembo, 2015; Peretto, 2003, 2006, 2010, 2013; Peretto & Minelli, 2006).
L’età dell’insediamento - A più riprese l’insediamento è stato datato con metodi radiometrici, in particolare con 39Ar/40Ar (Coltorti et al. 1982, 2005; Garcia, 2011; Peretto et al., 2015). L’affinamento delle metodiche ha consentito di attribuire all’Unità 4 una data di 586 ± 1 ka e ai livelli 3 colluvio, 3s10 e 3s6-9 rispettivamente le date di 583 ± 2 ka, 583 ± 2 ka e 586 ± 2 ka corrispondenti allo stadio isotopico 15. 
Gli animali e le piante dell’antico ambiente naturale - Le faune di questo giacimento sono state presentate più volte alla stampa con aggiornamenti (Sala, 1983, 1987, 1990, 1996, 2006). Resti di alcuni grandi mammiferi sono stati oggetto di studi approfonditi, quali il bisonte (Sala, 1987), il leone (Sala, 1990), il rinoceronte (Fortelius et al., 1993, Sala & Fortelius, 1993) e quattro specie distinte di cervidi (Abbazzi & Masini, 1997; Breda et al., 2015). L’indagine interdisciplinare dei resti paleontologici e del contenuto pollinico dei sedimenti consentono di tracciare un quadro esauriente dell’antico ambiente naturale. Il lavaggio del terreno di scavo e il successivo vaglio del residuo solido hanno consentito di raccogliere reperti appartenenti a resti di animali di taglia minuta come vertebre di pesci, ossa di anfibi, frammenti di carapace di tartaruga palustre e di uccelli acquatici quali il tuffetto e il germano reale (Tonon, 1989) (tab. 1). Essi testimoniano la presenza di ambienti umidi nelle immediate vicinanze dell’accampamento. Sono stati inoltre identificati piccoli mammiferi (tab. 1). La presenza principalmente di Sorex aff. Runtonensis, Pliomys episcopalis, Microtus (Terricola) arvalidens, Micotus (Iberomis) brecciensis e Arvicola mosbachensis (Sala, 1983, 1996, 2006; Lopez-Garcia et al., 2015) ha permesso di riferire questa fauna al Toringiano inferiore, che si colloca nella parte centrale del Pleistocene medio. Questi insettivori e roditori inducono a ritenere che il clima, nel periodo di deposizione della paleosuperficie 3a, fosse più arido e meno caldo di adesso e che favorisse prevalentemente un ambiente di steppa arborata. I resti ossei più voluminosi ammontano ad alcune decine di migliaia. In gran parte appartengono ai grandi erbivori (tab. 1), soprattutto a bisonti, rinoceronti e cervidi e in minor misura a elefanti e ippopotami. Lo scheletro dei grandi erbivori non è presente nella sua interezza, ma prevalgono le porzioni che nel vivente sono più ricche di carne o che, fratturate opportunamente, restituiscono consistenti porzioni di midollo. Il motivo di questa selezione è dovuta all’uomo che ha trasportato nell’accampamento solo le parti più produttive in termini alimentari. Da questo contesto si differenziano i segmenti ossei dell’orso che portano sulla superficie tracce riconducibili all’attività di spellamento che ne giustificano, per questo motivo, l’alta frequenza. Fatta eccezione per l’orso, testimoniato da un numero consistente di reperti, rara è la presenza di carnivori (iena bruna, leone, leopardo) che frequentavano l’area in modo occasionale. Questi episodici ritrovamenti contribuiscono a confermare che l’accumulo delle ossa di grandi mammiferi è di origine antropica. L’alta frequenza degli erbivori informa sulla presenza di una vegetazione aperta a steppa arborata, ricca di pascoli che permettevano la vita a mandrie di bisonti e ai numerosi pachidermi. Un ambiente così caratterizzato si era formato in un clima a due stagioni, una lunga arida, l'altra breve in cui si concentravano le precipitazioni annuali. Nelle aree più umide, dove trovava il suo naturale habitat diurno l’ippopotamo, la vegetazione arborea si infittiva procurando rifugio a cinghiali e cervidi.
Nelle aree pianeggianti o collinari aperte pascolavano bisonti, megaceri e pachidermi mentre in quelle più scoscese vivevano capre selvatiche (tar). Il rinvenimento di un primate, la bertuccia, nei livelli più recenti (3S1-9) fa supporre una evoluzione del clima verso condizioni più calde e interglaciali. Questa ipotesi è confermata anche dalla presenza del castoro che è legato ad aree riparie più boschive. Si tratterebbe quindi di un ambiente più temperato e meno arido del precedente. Le analisi palinologiche (Accorsi, 1985; Lebreton, 2002) consentono di avere un quadro sufficientemente esaustivo della vegetazione presente nell’area di Isernia. L'ambiente, nelle vicinanze dell’archeosuperficie 3a, era caratterizzato da un'alta frequenza di graminacee e da poche piante arboree fra le quali vi erano salici, pioppi, platani e sporadici pini, querce e cedri. Sono state riconosciute anche specie palustri quali ad esempio Typha e Plantago. La presenza e le frequenze di queste specie segnalano un ambiente caratterizzato da praterie piuttosto estese e da un corso d'acqua, lungo il quale crescevano pioppi, salici, ontani e platani e alla cui dinamica si legano acquitrini con tife e carici. In lontananza, sui rilievi, vi erano boschi di conifere e di latifoglie. Questo paesaggio bene si raccorda con le indicazioni delle specie faunistiche rinvenute, in particolare con l’alto numero di erbivori che necessitano di ampi pascoli dove trovare nutrimento. Lo sfruttamento delle risorse Le principali attività umane documentate (Peretto, 1996, 2013; Thun Hohenstein et al., 2009) sono la macellazione e soprattutto la fratturazione intenzionale delle ossa lunghe, dei crani e della mandibola. In particolare sono state identificate strie di macellazione in aree anatomiche compatibili con azioni di macellazione (es. inserzioni tendinee o in prossimità delle epifisi), che si presentano anche appaiate e subparallele tra loro, spesso con un orientamento trasversale rispetto all’asse longitudinale delle ossa lunghe. La fratturazione intenzionale è ben documentata in tutti i livelli archeologici. Soprattutto i crani, le mandibole e le ossa lunghe si presentano sistematicamente fratturati (Peretto, 2013).
I resti umani - Nel 2014 è stato scoperto nel livello 3 colluvio un dente umano (Peretto et al., 2015), un incisivo superiore sinistro da latte con radice in parte riassorbita appartenente ad un bambino di 5-6 anni probabilmente appartenente alla specie Homo heidelbergensis.
I reperti litici - I manufatti litici (figg. 6-9) provengono da tutte le archeosuperfici esplorate e ammontano a molte migliaia. 
Nella maggioranza dei casi sono in selce e in minor misura in calcare. Questi ultimi sono assenti nel II settore di scavo (Peretto, 1994).
I manufatti in selce - Il loro stato di conservazione è ragguardevole, confermato dalla presenza di
rimontaggi che avallano la tesi che la scheggiatura dei materiali sia avvenuta nell’accampamento umano. L’uomo ha utilizzato frammenti di liste di medie e piccole dimensioni per lo più di cattiva qualità, interessati da piani di fratturazione naturali che condizionano la morfologia dei prodotti all’atto della scheggiatura. I materiali sono stati raccolti nelle immediate vicinanze dell’insediamento in depositi fluviali di fondo valle, ricchi di ciottoli di calcare e di frammenti di liste. La scheggiatura delle lastrine è stata realizzata con la percussione diretta, spesso bipolare. La sperimentazione (Peretto, 1996) ha confermato queste modalità di lavorazione che consente la produzione di una elevata quantità di schegge, spesso di piccole dimensioni, di sezione e di forma varia, sovente subtriangolari. La produzione di un numero elevato di schegge è riconducibile al loro impiego nella macellazione e nella riduzione di porzioni di carcasse animali. Numerose sono le testimonianze di questa attività, documentate non solo dalle incisioni presenti su molti dei segmenti ossei rinvenuti sui suoli di abitato, ma anche dallo studio al microscopio a scansione dei margini attivi e delle superfici delle schegge in selce che portano inequivocabili politure e strie dovute al taglio della carne (Longo et al., 1997; Vèrges, 2002). La necessità di un’alta produzione di schegge ha condizionato la morfologia dei residui, caratterizzati in maggioranza da frammenti litici indeterminati (débris), per lo più di piccole dimensioni e di difficile classificazione con facce di distacco ad orientazione caotica, spesso fratturate e indeterminate per forma e tipologia. Una particolare categoria di manufatti rientra nel gruppo definito, su base tipologica, come denticolati, sovente spessi e per lo più di piccole dimensioni. Presentano bordi subparalleli o convergenti, con estremità che assumono in rari casi forma arrotondata, a muso; presentano distacchi per lo più profondi, isolati (incavi) o in serie continua, spesso scalariformi. Si è avanzata, in più occasioni, l’ipotesi che questi oggetti costituiscano il residuo finale dell’intenso sfruttamento dei supporti di selce. Una conferma di questa possibilità proviene dall’attività sperimentale eseguita a più riprese (Peretto, 1996). I nuclei sono di forma varia, anche piramidale o poliedrica, ad uno o più piani di percussione. Presentano generalmente dimensioni ridotte a testimonianza dell’intenso sfruttamento delle lastrine. I più recenti dati relativi all’analisi dell’industria litica di Isernia La Pineta, rivelano l’esistenza di aspetti tecnologici innovativi in termini di gestione del débitage, come la padronanza del metodo discoide indipendente dalla natura della materia prima (Gallotti & Peretto, 2014). 
Ciottolo con distacchi
unidirezionali.
I manufatti in calcare - I reperti in calcare provengono soltanto dalle archeosuperfici del I settore di scavo. Il supporto è costituito da ciottoli spesso ovalari piano-convessi, anche se non mancano esempi dell’utilizzo di blocchi non regolari, talvolta sub-quadrangolari. Hanno durezza piuttosto varia, passando da calcari massivi microcristallini ad esemplari meno compatti e più friabili (calcare marnoso, marna). I manufatti in calcare presentano dimensioni decisamente più grandi di quelli in selce, solitamente comprese tra 4 e 12 cm. 
In genere si caratterizzano per una lavorazione non marcata evidenziata dal ridotto numero di schegge distaccate, per cui nella maggioranza dei casi è possibile ricostruire l’originaria morfologia del ciottolo.  Questa constatazione è confermata dallo studio delle schegge che presentano spesso la faccia dorsale parzialmente o totalmente corticata. Alcune schegge presentano ritocchi sui margini ad andamento prevalentemente denticolato, di difficile lettura a causa della qualità della materia prima. I manufatti su ciottolo hanno una certa variabilità di forme tra le quali riconosciamo schegge, choppers (fig. 10), rabots, nuclei e incudini. Frequenti sono i nuclei che presentano un basso numero di distacchi, quasi sempre piuttosto ampi e in qualche caso tra loro sovrapposti. Un riferimento particolare si deve a blocchi di calcare di medie e anche grandi dimensioni, sovente di forma poliedrica e quadrangolare con stacchi ortogonali lungo i bordi, spesso sovrapposti e ripetitivi.

L'uro (Bos primigenius)era un
grosso bovino particolarmente
aggressivo, diffuso in tutta
Europa estintosi nel 1627.
500.000 anni fa - I reperti che sono stati rinvenuti presso l’attuale porto di Nizza, nel sito detto di Terra Amata, testimoniano la presenza nella zona di alcuni gruppi di uomini specializzati nella caccia agli elefanti e collocabili in un periodo compreso tra 500.000 e 300.000 anni fa, durante la glaciazione di Mindel, avvenuta da circa 455.000 a 300.000 anni fa. Si tratta delle tracce più antiche di capanne costruite da cacciatori. La stratigrafia ha mostrato diversi periodi insediativi, con resti di capanne ovali a focolare centrale, ciottoli scheggiati, raschiatoi e animali catturati quali cinghiali, tartarughe, rinoceronti di Merk, elefanti meridionali, uri, uccelli vari.

Da 455.000 a 300.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Mindel, la seconda glaciazione avvenuta in Europa nel Pleistocene, il primo periodo dell'era Quaternaria, in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.

450.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, su Nibiru, un membro lontano del nostro sistema solare, la vita va lentamente estinguendosi a causa dell'erosione dell'atmosfera del pianeta. Deposto da Anu, il sovrano Alalu fugge a bordo di una navetta spaziale e trova rifugio sulla Terra. Qui scopre che sulla Terra si trova l'oro che si può utilizzare per proteggere l'atmosfera di Nibiru.

445.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, guidati da Enki, figlio di Anu, gli Anunnaki arrivano sulla Terra, fondano Eridu - la Stazione Terra I - per estrarre l'oro dalle acque del Golfo Persico.

430.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, il clima della Terra si fa più mite. Altri Anunnaki arrivano sulla Terra, e tra loro Ninharsag, sorellastra di Enki e capo ufficiale medico.

416.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, poiché la produzione d'oro scarseggia, Anu arriva sulla Terra con Enlil, il suo erede. Viene deciso di estrarre l'oro vitale attraverso scavi minerari nell'Africa meridionale. Le nomine avvengono per estrazione: Enlil conquista il comando della missione sulla Terra, Enki viene relegato in Africa. Anu, mentre si accinge a lasciare la Terra, deve fronteggiare la minaccia del nipote Alalu.

400.000 anni fa - Scoperta del fuoco. Le prime tracce di utilizzazione del fuoco vengono rinvenute in Cina. Dapprima l'uomo impara a conservare quello provocato dai fulmini o da altri disastri naturali, in seguito il fuoco verrà ottenuto con mezzi rudimentali e la conservazione del fuoco talora avrà anche carattere rituale.
Secondo Zecharia Sitchin, tra i sette insediamenti funzionali della Mesopotamia meridionale figurano il porto spaziale (Sippar), il Centro di controllo della missione (Nippur), un centro metallurgico (Badtibira), un centro medico (Shuruppak). I metalli arrivano per mare dall'Africa; una volta raffinati, vengono poi inviati agli Igigi rimasti in orbita, poi trasferiti su navette spaziali che arrivano periodicamente da Nibiru.

380.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, appoggiato dagli Igigi, il nipote di Alalu cerca di ottenere il dominio della Terra. Gli Enliliti vincono la Guerra degli Antichi Dèi.

300.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, gli Anunnaki che lavorano nelle miniere d'oro si ammutinano. Enki e Ninharsag creano dei Lavoratori Primitivi attraverso la manipolazione genetica degli ovuli di donne-scimmia; le nuove creature sostituiscono gli Anunnaki nelle attività manuali. Enlil fa irruzione nelle miniere e porta i Lavoratori Primitivi all'Eden in Mesopotamia. Avendo ottenuto la capacità di procreare, l'Homo sapiens comincia a moltiplicarsi.

Ricostruzione di Homo sapiens.
300.000 anni fa circa, secondo nuovi ritrovamenti rinvenuti nel 2017 in Marocco, (QUI) risalirebbe l'origine dell'Homo sapiens. Da analisi, condotte con tecniche statistiche, della forma di reperti trovati nel 2017 a Jebel Irhoud (in Marocco), si è rilevata la massima somiglianza con quelli dei moderni H. sapiens. Questa somiglianza è vera in particolare per il frammento di mandibola, se si eccettua per la maggiore larghezza. Il cranio invece, esternamente presenta caratteri intermedi tra quelli arcaici e quelli moderni, ma è abbastanza simile a quello di H. sapiens scoperto nel sito di Laetoli in Tanzania e al più recente cranio ritrovato a Qafzeh, in Israele. Di grande interesse la forma interna della teca cranica, la cui struttura sembra già preludere all'evoluzione verso la forma globulare del cranio di H. sapiens delle epoche successive. Secondo Hublin e colleghi, i fossili di Jebel Irhoud rappresentano la migliore prova paleoantropologica trovata finora dell'esistenza di di una fase “pre-moderna” nell'evoluzione di H. sapiens. I risultati dell'analisi, condotta con una tecnica di termoluminescenza, dei resti di utensili scoperti nel sito marocchino, sono attribuiti al Paleolitico Medio (da 300.000 anni fa) mentre i resti di animali ritrovati negli stessi strati mostrano una manipolazione umana e i resti di carbonella indicano un probabile controllo del fuoco. L'Homo sapiens è una specie monotipica. Alcuni antropologi invece la considerano costituita da due diverse sottospecie: Homo sapiens sapiens, l'uomo moderno e Homo sapiens idaltu, paleosottospecie estinta. Nel corso del tempo sono state proposte come paleosottospecie di Homo sapiens sia Homo sapiens heidelbergensis (uomo di Heidelberg) che Homo sapiens neanderthalensis (uomo di Neanderthal). Per ora entrambe vengono definite come specie, anche se sono in corso indagini con l'utilizzo di tecniche di biologia molecolare per la verifica di eventuali riapparentamenti genetici. Al 2011, gli studi basati sull'analisi matrilineare del DNA mitocondriale, mostravano una scarsa possibilità di passata ibridazione, mentre le analisi del genoma nucleare, anche stimolate dal progetto Neanderthal genome project del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology tedesco e del 454 Life Sciences statunitense di sequenziamento del genoma neandertaliano, indicano una certa ibridazione per alcune popolazioni euroasiatiche. Con l'apparizione dell'Uomo di Denisova,  definizione provvisoria di una popolazione di Homo vissuto in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa in aree popolate principalmente da sapiens e in parte da neanderthal, si stanno cercando relazioni genetiche fra le specie attraverso analisi del DNA cellulare e mitocondriale. Quindi si può rilevare che alcuni ominidi appartenenti al genere Homo, anziché partecipare al processo Out-of-Africa di 1.000.000 di anni fa da parte di gruppi di H. erectus, fossero rimasti in Africa e da loro si sarebbe poi originato l'Homo sapiens. I resti più antichi di umani indubbiamente moderni, dopo quelli di Jebel Irhoud (in Marocco), sono quelli ritrovati nel sito di Kibish, nei pressi del fiume Omo, in Etiopia e nel sito Qafzeh-Skhul (Qafzeh e Es Skhul), in Israele. La specie sapiens si è evoluta culturalmente in terra africana, in cui sono numerosi i ritrovamenti di fossili e manufatti. Il più antico ritrovamento di un oggetto, dalle indubbie caratteristiche artistiche, risale a 80.000 anni fa, in prossimità di Cape Agulhas, nella Caverna di Blombos, in Sud Africa.
Artefatti ritrovati nella caverna di
L'evoluzione a tutto tondo, fisica, tecnologica e culturale del sapiens, si verificherà alla fine del paleolitico, nel paleolitico superiore. Negli ultimi anni si è rafforzata la teoria che vede neanderthal e sapiens (a cui apparteneva il tipo di Cro-Magnon), come due specie diverse evolutesi in modo quasi parallelo. L'H. sapiens ha di fatto sostituito in Europa l'uomo di Neanderthal (che pare si sia estinto circa 28.000/22.000 anni fa) in un arco di tempo relativamente breve, ma con una certa sovrapposizione  di alcune migliaia di anni, anche se non è ancora possibile stabilire che tipo di  relazioni  (collaborazione, indifferenza o guerra) si siano stabilite tra i due gruppi umani. Pare indubbio, comunque, che le pulsioni artistiche  furono comuni ad entrambe le specie. Con il ritrovamento dell'Homo di Denisova o donna X, nome dato ad un ominide i cui scarsi resti (una falange, ritrovata nel 2008 a Denisova, nella Siberia meridionale) sono stati ritrovati nei Monti Altaj in Siberia, si sta cercando di ricostruire apparentamenti ed eventuali derivazioni fra hidelbergensis, neanderthaliensis e sapiens. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis di 400.000 anni fa, proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella di Denisova e studi genetici indicano che approssimativamente il 4% del DNA dell'Homo sapiens non africano sia lo stesso trovato nell'Homo neanderthalensis, suggerendo così un'origine comune. Invece, dal 4 al 6% del genoma dei melanesiani (rappresentato dagli uomini dell'isola di Bougainville), deriva dalla popolazione di Denisova. Questi geni sono stati verosimilmente introdotti durante la prima migrazione umana degli antenati dei melanesiani nel sud-est asiatico ed è verosimile ipotizzare un'ibridazione tra Homo di Denisova e Homo sapiens, che abbia interessato le popolazioni del sud-est asiatico antico e quelle, loro dirette discendenti,  australiane. L'apporto genetico denisoviano alle altre popolazioni di sapiens asiatiche è limitato e, come in quelle europee e amerindie, deriva in buona parte dall'ibridazione, avvenuta in precedenza, con i  Neanderthal  (ibridati  con i Denisova). Da analisi mitocondriali si è concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza, che gli uomini di Denisova e i Neanderthal abbiano condiviso un ramo comune ancestrale  che  porta ai moderni esseri umani africani, il che accumunerebbe il loro colore scuro della pelle con i Denisoviani.

- 300.000 anni fa inizia la cultura del Paleolitico medio.

Tabella con le caratteristiche del Paleolitico
medio, da 300ka fa a 36ka fa.

230.000 anni fa - Nella grotta dei Balzi Rossi in prossimità di Ventimiglia, sono stati ritrovati resti di Homo Erectus datati a oltre 230.000 anni fa, oltre a tracce di uomo di Neanderthal (da 130.000 anni fa) e resti di Homo Sapiens assimilabili all'Uomo di Cro-Magnon.
Grimaldi, falesia con grotte dei Balzi Rossi.
Le Grotte dei Balzi Rossi sono situate in prossimità del confine Italo-Francese, in Liguria nel comune di Grimaldi, a pochi chilometri da Ventimiglia. Le grotte si aprono ai piedi di una barriera rocciosa composta da calcare Jurassico-Dolomitico la cui altezza è di circa 100 metri. Il nome del luogo deriva dal colore delle rocce, che nel dialetto locale vengono indicate come "Baussi Russi" (Pietre Rosse). Il sito consiste di 7 grotte chiamate: Grotta del Costantini, Grotta dei Fanciulli, Grotta del Florestano, Grotta del Caviglione, Barma Grande (Barma vuol dire grotta), Barma du Bausu da Ture (che nel dialetto vuol dire Grotta della rocca della torre) e Grotta del Principe. Le grotte risultano essere state abitate dal Paleolitico inferiore, all’inizio dell’interglaciazione di Mindel-Riss, 300.000 anni fa circa, da cacciatori, della cui attività sono rimasti alcuni strumenti in calcare locale, un gran numero di strumenti litici e ossei, resti ossei di animali, oltre ad un frammento del bacino appartenuto ad una femmina di Homo erectus di età assoluta oltre i 230.000 anni, vissuta quindi prima della Glaciazione di Riss.

200.000 anni fa - Secondo Zecharia Sitchin, la vita sulla Terra regredisce durante una nuova era glaciale.

Da 200.000 a 130.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Riss, la terza glaciazione in Europa avvenuta nel Pleistocene, il primo periodo dell'era Quaternaria, in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.

Ricostruzione di Uomo
di Neanderthal.
200.000 anni fa circa - Durante il periodo culturale del Paleolitico medio, appare la specie Homo neanderthalensis, comunemente detto uomo  di Neanderthal, che pare fosse una specie discesa da H. heidelbergensis ed estintasi intorno a 28.000/22.000 anni fa. Prende il nome dalla valle di Neander (Neandertal) presso Düsseldorf in Germania, dove vennero ritrovati i primi resti fossili nell'agosto del 1856 da scavatori di calcare, in una grotta denominata "Kleine Feldhofer", nei pressi della località di Feldhof. Con una dominanza nel periodo della cultura del musteriano, la presenza dell'Uomo di  Neanderthal è documentata da pratiche di arte  e  sepoltura da 130.000 anni fa per le forme arcaiche fino a 30.000 anni fa con reperti fossili e secondo alcuni fino a 22.000 anni fa, pur in assenza di fossili e con discusse prove culturali, principalmente in Europa e Asia e limitatamente in Africa. Fu un "Homo" molto evoluto, in possesso di tecnologie litiche elevate e dal comportamento sociale piuttosto avanzato, al pari dei sapiens, con cui ha convissuto nell'ultimo periodo della sua esistenza. L'Homo neanderthalensis scomparve in un tempo relativamente breve, evento che costituisce un enigma scientifico oggi attivamente studiato. Alcuni studi del 2010 suggeriscono, tra alcune ipotesi probabili relative alla vicinanza genetica tra Homo neanderthalensis e Homo sapiens, che  ibridazioni fra i due possano avere avuto luogo nel Vicino Oriente all'incirca tra 80.000 e 50.000 anni fa, per la presenza nell'uomo contemporaneo di una percentuale tra 1 e il 4% di materiale genetico specificamente neandertaliano.
Ricostruzione di Uomo
di Neanderthal.
Tali tracce genetiche sono presenti negli eurasiatici e nei nativi americani, ma non negli africani moderni. Un sequenziamento genomico infatti, ha consentito un confronto dettagliato con i Neanderthal e gli umani moderni. Da questa analisi si è concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza mitocondriale, che gli uomini di Denisova e i  Neanderthal  abbiano condiviso un ramo comune ancestrale che porta  ai  moderni esseri umani africani, il che accumunerebbe il loro colore scuro della pelle con i denisoviani. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis (probabile antenato del neanderthaliensis) di 400.000 anni fa, proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella di Denisova. Secondo una teoria pubblicata nel 2016 da alcuni ricercatori delle università di Cambridge e Oxford Brookes sull'”American Journal of Physical Antropology”, l'uomo di Neanderthal si sarebbe estinto a causa di malattie portate dai sapiens.
Homo neanderthaliensis di Claudio
Secondo la biologa Charlotte Houldcroft di Cambridge, prima firma dello studio, gli umani che migrarono dall'Africa all'Eurasia portarono con sé una quantità di agenti patogeni che potrebbero essere stati catastrofici per la popolazione neandertaliana, adattata solo alle malattie infettive tipiche del vecchio continente.
La teoria si fonda su due cardini. In primo luogo le malattie infettive sarebbero molto più antiche di quanto creduto in precedenza: si pensava infatti che queste patologie fossero emerse con il passaggio da caccia-pesca-raccolta ad allevamento e agricoltura, circa 8.000/12.000 anni fa, quando gli esseri umani hanno cominciato a vivere in gruppi folti e a contatto con gli animali, mentre le ultime ricerche sul DNA e sul genoma di alcuni patogeni sembrano dimostrare che siano molto più antiche. In secondo luogo, è dimostrato come gli antichi Homo sapiens si siano mescolati con i Neandertaliani, che avevano dominato la scena continentale per decine di migliaia di anni, e si siano scambiati geni patogeni, così come avevano fatto con altri ominidi prima di migrare dall'Africa. I nostri antenati potrebbero quindi essere stati vettori di malattie letali per gli uomini di Neanderthal, fino a portarli all'estinzione.  

140.000 anni fa - Secondo le ricerche condotte con lo studio genetico del DNA, a questa data risale il più recente progenitore comune a tutta l'umanità. In genetica umana, gli aplogruppi del cromosoma Y sono raggruppamenti di combinazioni di marcatori (aplotipi) definiti dalle differenze nella regione non-ricombinante del DNA del cromosoma Y (chiamato NRY da Non-Recombining Y-chromosome). Queste differenze fanno riferimento a polimorfismi biallelici (SNPs, Single Nucleotide Polymorphisms). Il YCC Y Chromosome Consortium ha stabilito un sistema per definire gli aplogruppi del cromosoma Y basato sulle lettere da A a T, con ulteriori divisioni usando numeri e lettere in pedice. Il cromosoma Y ancestrale (scherzosamente definito dagli studiosi di "Adamo") è quello appartenuto ad un maschio teorico che rappresenta il più recente progenitore comune (MRCA Most Recent Common Ancestor) di tutti i maschi attuali lungo la linea patrilineare, visto che il cromosoma Y è unicamente trasmesso dal padre ai figli maschi. La stima di quando questo individuo teorico sia vissuto varia a seconda degli studi. Gli umani moderni, secondo gli studi del cromosoma Y, sono originari dell'Africa subsahariana e hanno poi colonizzato l'Eurasia, circa 70.000 anni fa, seguendo la costa meridionale dell'Asia. I gruppi che partirono dall'Africa, si sarebbero successivamente distribuiti secondo la seguente mappa:

Carta delle migrazioni umane nel mondo dall'Africa, mappate seguendo le
evoluzioni degli aplogruppi del cromosoma Y nel DNA.

Da Y si sarebbero poi generati aplogruppi specifici nel percorso delle migrazioni:
Y ,     il cosiddetto "'Adamo ancestrale'"
A0    : incontrato nel Camerun, nell'Algeria e nel Ghana.
A1    : presente nell'Africa subsahariana, specialmente tra i Boscimani (dell'etnia Khoisan)
          e i popoli nilotici (Sudan del Sud).
B      : diffuso in gran parte dell'Africa subsahariana, particolarmente tra i Pigmei e gli Hadza.
DE    : poco diffuso in Nigeria.
D      : proprio dell'Asia orientale, specialmente nel Giappone, Tibet e isole Andamane.
E      : Copre la parte più vasta dell'Africa. Presente anche nel Vicino Oriente e nell'Europa meridionale.
C      : presente nell'Eurasia orientale.
C1    : poco diffuso in Giappone.
C2    : presente nelle isole del Pacifico, ivi compresa la Polinesia, la Micronesia e la Melanesia.
C3    : presente in una vasta area geografica compresa fra l'Asia centrale, l'Asia orientale, la Siberia e fra i
           Nativi americani dell'America del Nord.
C4    : presente in alta frequenza negli Australiani aborigeni.
C5    : presente nell'Asia meridionale. Anche nell'Asia centrale e nel Vicino Oriente.
C6    : presente nella Nuova Guinea.
E      : il sub-clade E1b1b è di origine africana e si disperse per tutto il Mediterraneo raggiungendo la
         frequenza del 27% in Grecia.
F    : presente specialmente nei popoli tribali indigeni dell'India.
        Gli aplogruppi che discendono dall'aplogruppo F rappresentano il 90% della popolazione mondiale,
        ma si distribuiscono quasi esclusivamente fuori dall'Africa sub-sahariana.
G    : Le maggiori frequenze si riscontrano nel Caucaso. Presente anche tra i Mediorientali e nell'Europa
         meridionale. L'aplogruppo G, originatosi anch'esso in Medio-Oriente, o forse più a Est in Pakistan,
         intorno a 30.000  anni fa, secondo alcuni studi potrebbe essersi diffuso in Europa nel Neolitico,
         oppure, vista la sua forte discontinuità, aver raggiunto l'Europa già nel Paleolitico.
H     : diffuso principalmente nel Subcontinente indiano e negli zingari.
IJ     : IJ corrisponde probabilmente a una ondata migratoria dal Medio-Oriente o all'Asia occidentale a
         partire da 45.000 anni fa, che si è poi diffusa in Europa con l'uomo di Cro-Magnon.
I      : (M170, M258, P19, P38, P212, U179): diffuso maggiormente e quasi esclusivamente in Europa,
        disceso da tribù proto europee. L'aplogruppo I rappresenta circa un quinto dei cromosomi Y
        europei. È quasi esclusivo dell'Europa pertanto si ritiene che si sia originato in quest'area prima
        dell'ultima glaciazione. È probabile che sia stato confinato nel rifugio balcanico durante la glaciazione e
        che poi si sia ridiffuso verso nord con il ritiro dei ghiacciai. Nonostante sia relativamente frequente negli
        Scandinavi, nei Sardi e nelle popolazioni balcaniche, questi popoli presentano subcladi differenti
        dell'aplogruppo I. Questo suggerisce che ognuna delle popolazioni ancestrali è oggi dominata da un
        particolare subclade che ha marcato una indipendente espansione della popolazione lungo diversi
        percorsi migratori durante e immediatamente dopo la glaciazione.
I1   : (L64, L75, L80, L81, L118, L121/S62, L123, L124/S64, L125/S65, L157.1, L186, L187, M253,
        M307.2/P203.2, M450/S109, P30, P40, S63, S66, S107, S108, S110, S111): ramo
        europeo settentrionale/nordico con le più alte frequenze in Scandinavia, Islanda, e Europa
        nord-orientale. Nelle Isole britanniche la mutazione I1-M253 è spesso usata come marcatore delle
        invasioni vichinghe o anglosassoni.
I2   : (L68, M438/P215/S31) ramo europeo meridionale/balcanico;
        I2b  raggiunge discrete frequenze lungo le coste nord-occidentali dell'Europa continentale e in
        Sardegna. Dalla linea I2b è derivato I2b1a (M284) in Europa nord-occidentale ed Isole Britanniche.
J     : (12f2.1, M304, P209, S6, S34, S35): il più importante tra i popoli del Vicino Oriente.
J1    : ramo mediorientale meridionale/arabico
J2    : ramo mediorientale settentrionale/anatolico
K     : diffuso specialmente nell'Oceania.
L      : diffuso principalmente nell'Asia meridionale.
T       (M70, M184/USP9Y+3178, M193, M272) diffuso nell'Europa, nel Vicino Oriente, nell'India,
          nel Corno d'Africa e altre regioni.
M     : prevalente nella Melanesia.
N     : presente fino all'Estremo Oriente ed in Siberia, comune tra i popoli uralici.
O     : prevalente nell'Asia orientale e nel Sud-est asiatico, con una frequenza prossima al 75%.
Q     : è l'aplogruppo principale in quasi tutti i Nativi americani.
R      : disceso da tribù eurasiatiche. Tutti gli aplotipi afferenti all'aplogruppo R condividono le mutazioni
         M207 (UTY2), M306 (S1), S4, S8, S9 e possono essere suddivisi in tre principali linee evolutive:
         R1a, R1b e R2. Per R1 = (M173)
R1a  (L62, L63): è prevalente nelle popolazioni slave dell'Europa orientale e nella regione del Pamir
         fra l'Asia centrale e meridionale. La R1a potrebbe essersi originata nelle steppe euroasiatiche a nord
         del Mar Caspio e del Mar Nero. È associato alla cultura kurgan, nota per la domesticazione del
         cavallo (circa 5000 anni fa). Questa linea è attualmente presente in Asia centrale e occidentale, India,
         e nelle popolazioni slave dell'Europa orientale.
R1b  (M343): è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun
         settentrionale. La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale
         raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si è
         concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi del
         clima a partire da 14.000 anni fa. Presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale.
R2    : è importante nel Subcontinente indiano.
S      : presente principalmente nella Papua Nuova Guinea.

130.000 anni fa - Durante l’interglaciazione Riss-Würm (da 130.000 a 110.000 anni fa) la zona dei Balzi Rossi è stata interessata da una fase di trasgressione del livello marino che aveva riportato la costa a lambire le caverne, sulla cui spiaggia il mare depositava anche caratteristiche conchiglie, gli strombi, grandi molluschi della classe dei Gasteropodi (Strombus gigas) e lungo la fascia costiera, dove erano accampati, in ripari e numerose capanne, gruppi di cacciatori-raccoglitori, pascolavano elefantiippopotami e rinoceronti.


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