L' Homo abilis africano, presunto
antenato dell'Homo Erectus.
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2.500.000 anni fa - A questa data, all'inizio del Pleistocene, risalgono sia i primi ominidi della specie Australopithecus Garhi che l'Homo habilis, il primo appartenente al genere Homo, il cui olotipo (esemplare su cui si basa la descrizione originale della specie) è il fossile OH 7 trovato da Jonathan Leakey, il 4 novembre 1960, nella Gola di Olduvai, in Tanzania, nella regione dei laghi africani. Coprotagonista della cultura Olduvaiana, è convinzione scientifica che per un certo periodo l'habilis, che pare aver convissuto con varie specie di australopitechi, con l'Australopithecus Garhi abbia condiviso il primato della produzione e utilizzo di strumenti litici. Homo habilis possedeva abilità manuali e coniugava intelletto con l'uso delle mani. Misurava poco più di un metro di altezza, aveva braccia lunghe come quelle di "Lucy" (Australopithecus afarensis). La caratteristica di questo gruppo di ominidi, ritenuti più socievoli degli australopitechi, sarebbe stata la condivisione e consumazione dei cibi insieme al gruppo di appartenenza. È comunemente accettato che l'Homo habilis avesse una significativa capacità di comunicazione, anche se il suo osso ioide (si trova alla radice della lingua, a livello della terza vertebra cervicale) e la struttura delle sue orecchie non erano in grado di supportare un linguaggio parlato. E' all'incirca in questa data quindi, che si iniziano ad utilizzare i primi utensili per produrre manufatti e armi. L'uso di utensili non è in assoluto una prerogativa della sola specie umana, ma solo l'uomo sarà in grado di procedere oltre, creando con tali strumenti, altri strumenti per creare ulteriori strumenti, in un circolo virtuoso. Nasce quindi un'industria litica preistorica chiamata Paleolitica, il cui periodo più antico è il Paleolitico inferiore.
Tabella con le fasi, le epoche, tecnologie e glaciazioni del Paleolitico, da 2,5M a 12ka fa. |
Tabella con le caratteristiche del Paleolitico inferiore, da 2,5M a 300/120ka fa. |
Ricostruzione di Homo ergaster.
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Ubicazione di Dmanisi, in Georgia.
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Ricostruzione di H. georgicus, foto di
Cicero Moraes et alii (Luca Bezzi,
Nicola Carrara, Telmo Pievani) http://
arc-team-open-research.blogspot. com/2015/10/homo-georgicus.html CC BY 4.0, https://commons.wikim edia.org/w/index.php?curid =44211774 |
Homo habilis, H. erectus, H.
neandertalensis e Homo Sapiens.
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Strumento litico bifacciale
del Paleolitico.
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I 5 siti più antichi frequentati da ominidi scoperti dai ricercatori dell'Università di Ferrara, da https://iris.unife.it/retrieve/e 309ade3-45fb-3969-e053-3a05fe0a2c 94/113922418448.pdf. |
1.600.000 anni fa - Alcuni ricercatori dell’Università degli
Studi di Ferrara hanno condotto scavi in vari siti italiani, e le loro scoperte hanno smentito varie teorie come quelle che i primi uomini fossero
arrivati in Europa non prima di 4/500.000 anni o che la sequenza
delle glaciazioni fosse nel numero di 6, oppure, ancora, che la
nostra evoluzione fosse lineare piuttosto che a cespuglio e che il
Neanderthal fosse poco evoluto. https://iris.unife.it/retrieve/e309ade3-45fb-3969-e053-3a05fe0a2c94/113922418448.pdf. Inoltre la loro metodologia, applicata allo scavo stratigrafico e
alla ricerca di laboratorio, con apporti
metodologici per le analisi dei materiali e il continuo resettare la
cronologia degli eventi antropici e naturali, ha permesso di appurare che il primo
popolamento europeo da parte di
ominidi si è verificato nei siti di Pirro Nord (Apricena, FG) e di Cà Belvedere di Monte
Poggiolo (FC) datati rispettivamente a circa 1,6 - 1,3
milioni di anni su base biocronologica (la correlazione in tempo di eventi biologici che
riguardino fossili di esseri viventi con eventi biostratigrafici dovuti alle inversioni del campo magnetico terrestre) e a circa 0,9 milioni di anni con il metodo dell’ESR
(risonanza paramagnetica elettronica o risonanza di spin elettronico, EPR o ESR, da Electron Spin Resonance, una tecnica
spettroscopica impiegata per individuare e analizzare specie chimiche
contenenti uno o più elettroni spaiati, chiamate specie
paramagnetiche, come radicali liberi, ioni di metalli di transizione,
difetti in cristalli, molecole in stato elettronico di tripletto
fondamentale come l'ossigeno molecolare o indotto per
fotoeccitazione), permettono di estrapolare importanti
considerazioni inerenti il comportamento tecnico dei primi
europei che risulta essere basato su catene operative
relativamente corte e profondamente influenzato dalla morfologia di partenza della
materia prima sfruttata. I ciottoli di selce, sempre di origine
locale e raccolti in posizione secondaria sia a Pirro Nord che a Cà
Belvedere di Monte Poggiolo, sono stati sfruttati principalmente con
una modalità opportunista e più raramente con un débitage
(caricamento) centripeto. Quest’ultimo è particolarmente
caratteristico a Pirro Nord dove è stata messa in evidenza una forte
tendenza alla standardizzazione dei prodotti provenienti da un
débitage (caricamento) centripeto che sono quasi sempre
caratterizzati dalla presenza di un dorso e di una punta déjeté
(gettati via). Il comportamento tecnico osservato per i due siti
sembra inserirsi perfettamente nel quadro delle più antiche
produzioni litiche europee e trova moltissime affinità
anche con i più antichi siti africani di Modo 1. La principale
differenza con gli altri contesti risiede nell’assenza di façonnage
(modellaggio) da spiegarsi probabilmente in funzione del tipo di
occupazione del sito e delle caratteristiche della materia prima.
(M. Arzarello & C. Peretto / Annali
dell’università di Ferrara, Mus.Sci. Nat. Volume 10/2-2014)
PIRRO NORD (APRICENA, FG) di Marta
Arzarello, Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di
Studi Umanistici. Il sito di Pirro Nord rappresenta la
prima evidenza dell’arrivo dell’Uomo in Europa
all'incirca 1,6-1,3 milioni di anni fa. Il sito si trova all’interno
di una fessura carsica del bacino estrattivo di Apricena-Poggio
Imperiale (Cave Dell’Erba) nel comune di Apricena, in provincia di
Foggia. I reperti litici, associati a faune del
Villafranchiano finale (unità faunistica di Pirro Nord), sono stati
rinvenuti all'interno di una fessura riempita da sedimenti del
Pleistocene inferiore. I reperti litici hanno permesso di definire
quelle che sono state le strategie di sussistenza
adottate dai primi uomini che hanno colonizzato l’Europa:
catene operative corte, su materie prime di origine locale (essenzialmente selce),
finalizzate principalmente all’ottenimento di schegge.
Il deposito - La fessura (Pirro
13) in cui sono state trovate le ossa e le pietre scheggiate si è
formata nel Miocene, più di 5 milioni di anni fa. La formazione
della fessura all'interno del calcare di Apricena è stata dovuta
all'erosione dell'acqua che ha formato un reticolo di grotte
sotterranee molto esteso. I sedimenti e le rocce che hanno
riempito la fessura sono confluiti al suo interno all'incirca 1,5
milioni di anni fa. Assieme ai sedimenti, trasportati dall'acqua,
sono arrivate anche le pietre scheggiate e le ossa che probabilmente
si trovavano in superficie a poca distanza dalla fessura.
La prima fase del riempimento ha visto
la messa in posto di grossi blocchi di calcare e, successivamente,
gli spazi tra questi blocchi sono stati riempiti da sedimenti
composti sia da argille che da sabbie (Arzarello et al., 2007;
Pavia et al., 2012; Giusti & Arzarello, 2016). Le ossa e le
pietre scheggiate ritrovate all'interno della fessura Pirro 13 sono
un insieme omogeneo, ovvero vengono considerate come accumulatesi
tutte assieme e velocemente all'interno della fessura. Alcune delle
ossa provengono dal luogo in cui l’uomo abitava e produceva gli
strumenti in pietra, altre provengono da più lontano e non sono
associate alle attività umane. Le analisi tafonomiche condotte sulle
ossa e sulle industrie litiche, hanno permesso di confermare
ulteriormente la formazione dell’accumulo in quanto la storia delle
alterazioni (deposito di ossidi fi Fe-Mn, abrasione, ecc) è uguale
sia sulle ossa che sulle industrie litiche (Arzarello et al., 2012;
Cheheb et al., 2019).
I vertebrati fossili - Il sito
di Pirro Nord è conosciuto da numerosi anni per l’importante
associazione a vertebrati composta da 20 specie di anfibi e
rettili, 47 specie di uccelli e più di 40 specie di
mammiferi. La fauna a grandi mammiferi è stata attribuita al
Villafranchiano superiore finale (Unità Faunistica di Pirro Nord) ed
è caratterizzata da un elevato numero di specie di carnivori,
tra i quali vale la pena ricordare la grande iena Pachycrocuta
brevirostris, la tigre dai denti a sciabola Homotherium
crenatidens, una forma arcaica di lupo (Canis mosbachensis) e il
ghepardo gigante Acinonyx pardinensis. Sono inoltre presenti resti
del grande istrice Hystrix refossa e, tra gli ungulati, è presente
in grande numero il cervide Pseudodama farnetensis mentre compaiono
per la prima volta una forma di bisonte Bison (Eobison)
degiulii e di cavallo Equus altidens. Tra i piccoli mammiferi
sono presenti gli insettivori Asoricolus gibberodon e Talpa minor
mentre tra i roditori si segnalano Apodemus flavicollis e Muscardinus
sp. L’unico arvicolide presente è Allophaiomys ruffoi che ha
permesso, assieme al confronto con le altre faune europee, di
collocare Pirro Nord alla fine del Bihariano inferiore, un’età
biocronologica europea del Pleistocene inferiore, più precisamente
in un range cronologico tra 1,6 e 1,3 milioni di anni fa. In Europa
le più antiche evidenze di industria litica associate a reperti
faunistici sono quelle di Barranco Leon 5, Fuente Nueva 3 e Atapuerca
Trinchera Elefante. Anche questi siti sono riferibili alla fine del
Bihariano inferiore, ma la presenza di Allophaiomys lavocati indica,
per queste località, un’età leggermente più giovane di quella di
Pirro Nord (1,2 - 1,1 milioni di anni fa). (Arzarello et al., 2009;
Pavia et al., 2012; Blain et al., 2016; Arzarello & Peretto,
2017).
Le
industrie litiche - L’insieme litico proveniente dalla
fessura P13 è ad oggi composto, ad oggi, da oltre 400 pezzi
costituiti da nuclei e schegge (Arzarello et al., 2015; 2016;
Arzarello & Peretto, 2017). La materia prima sfruttata per la
produzione di schegge è unicamente costituita da selce proveniente
delle formazioni cretacee del Gargano. La materia prima è stata
raccolta sempre in posizione secondaria sotto forma di ciottoli di
piccole e, più raramente, medio-grandi dimensioni. Si tratta di
selce di buona qualità che risponde bene alla scheggiatura ad
eccezione di alcuni rari casi in cui sono stati scelti dei ciottoli con
delle fratturazioni interne ricementate. Questi ultimi sono stati
sfruttati in modo meno intenso e lasciano supporre che la quantità
di materia prima di buona qualità disponibile nelle vicinanze del
sito non fosse particolarmente abbondante. Sebbene l’insieme litico
non sia particolarmente abbondante e non sia stato rinvenuto
direttamente nel contesto abitativo, è comunque possibile arrivare ad
alcune importanti considerazioni d’ordine tecnologico che possono
contribuire alla caratterizzazione dei primi complessi litici
europei. La catena operativa, come ovvio visto la tipologia
dell’accumulo, non è totalmente completa ma le fondamentali tappe
ne sono rappresentate. La fase di decorticazione è rappresentata da
schegge, di dimensioni generalmente superiori alla media, a cortice
laterale o distale. Risultano, invece, assenti le prime fasi della
decorticazione in quanto non sono presenti schegge a cortice totale.
La fase di produzione è avvenuta secondo due modalità differenti a
seconda della morfologia di partenza della materia prima: i ciottoli
di piccole dimensioni (max 50 mm di diametro) sono stati sfruttati
con una modalità centripeta che ha portato alla produzione di
schegge con una morfologia triangolare o quadrangolare.
La tecnica di percussione utilizzata è
sempre quella della percussione diretta alla pietra dura anche se è possibile ipotizzare che l’apertura
dei ciottoli avvenisse per percussione bipolare su incudine. I piani
di percussione non sono mai preparati e i talloni sono per la maggior
parte naturali o, più raramente lisci. Lo sfruttamento dei ciottoli
di piccole dimensioni può essere considerato esaustivo in quanto i
nuclei vengono abbandonati sotto forma di dimensioni estremamente
ridotte che non avrebbero permesso la produzione di schegge
funzionali di dimensioni ragionevoli. Da sottolineare la presenza di
numerose schegge triangolari déjeté presentanti un debordamento
laterale corticale. Questo tipo di prodotto è sicuramente tipico di
un débitage centripeto e potrebbe essere quindi casuale, ma la loro
abbondanza lascia presupporre che si tratti, invece, di specifici
prodotti ricercati. I ciottoli di medio-grandi dimensioni, invece,
sono stati sfruttati tramite l’utilizzo di più piani di
percussione ortogonali tra loro via via creatisi con l’avanzamento
del débitage. Questo tipo di produzione, anch'essa avvenuta per
percussione diretta alla pietra dura, ha portato essenzialmente alla
produzione di schegge di morfologia rettangolare o trapezoidale. Lo
sfruttamento della materia prima non sembra essere esaustivo e i
nuclei sono stati abbandonati prima del totale sfruttamento senza ragioni evidenti se non quella
che potrebbe essere legata alla volontà di ottenere dei prodotti funzionali con delle dimensioni
precise. Altri prodotti della scheggiatura sono stati trovati nelle fessure di P10 e P21. Nella fessura P10
sono state rinvenute 2 schegge provenienti dallo sterro e per il
momento non sono ancora stati rinvenuti elementi litici provenienti
dallo scavo sistematico cominciato nel 2007.
Ricostruzione di H. antecessor
di circa 10 anni, da: https://ww
w.agi.it/scienza/news/2020- 04-03/genealogia-homo- antecessor-8151979/# |
Da 1.200.000 a 900.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Günz, la prima glaciazione avvenuta in Europa, che ebbe luogo nel Pleistocene, il primo periodo dell'era Quaternaria, in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.
C'è chi pensa che gruppi di Homo
Erectus siano migrati a nord
dall'Africa, 1.000.000 di anni fa.
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Carta con l'ipotetica diffusione
del genere umano dall'Africa al
resto del mondo.
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Il sito n.2 è Ca' Belvedere di Monte Poggiolo (FC). |
/113922418448.pdf. La scoperta del sito nel 1983 si deve ad un gruppo di appassionati che a partire dagli anni Ottanta iniziò a collaborare col sottoscritto allo studio dei materiali paleolitici dell’Appennino forlivese e faentino. La collaborazione, in particolare con i Dott. Alberto e Aldo Antoniazzi, Luisa Fontana e Franco Proli, portò alla stesura di numerose pubblicazioni scientifiche, cataloghi e allestimenti di mostre tematiche. L’apporto e la collaborazione della Dott.ssa Luciana Prati, curatrice del Museo Archeologico di Forlì, fu fondamentale per il buon fine delle iniziative. Il sito di di Ca’ Belvedere a circa 180 metri s.l.m. è ubicato sul versante nord della collina di Monte Poggiolo (un rilievo cupoliforme fra Forlì e Castrocaro, al termine dello spartiacque tra il fiume Montone e il rio Petrignone) poco distante dal castello mediceo posto sulla sommità del colle.
La stratigrafia - La geologia locale è caratterizzata da una serie sedimentaria del Pleistocene inferiore con alla base le “argille azzurre” a Arctica Islandica et Hyalinea baltica (Amore et al., 1996; Antoniazzi & Peretto, 1998; Antoniazzi et al. 1988, 1992; Peretto, 1992, 1997; Peretto et al., 1998). Su di esse si impostano i sedimenti costieri di Monte Poggiolo e lateralmente verso N-O le “sabbie gialle” litorali (Monte Vescovado, Castiglione, S. Biagio) alterate da un paleosuolo attribuito al Pleistocene medio. Sono stati riscontrati fenomeni neotettonici che hanno determinato il dislocamento dei depositi, anche di quelli contenenti l’industria litica.
Lo scavo, iniziato nel 1984, ha posto in luce sedimenti caratterizzati da una alternanza di sabbie e limi che includono ghiaie di grandezze variabili; in tutti i livelli si rinviene l’industria litica che si caratterizza per la freschezza e i numerosi rimontaggi. Il deposito è moderatamente deformato dalle vicissitudini tettoniche e pende leggermente verso valle. L’industria litica è presente nei livelli esplorati dal 101 al 118, anche se meno frequente nel livello 116 e verso il basso.
I reperti hanno un aspetto fresco, bordi ben conservati e privi di pseudoritocchi; talvolta sono leggermente patinati.
La cronologia - Le indagini paleomagnetiche consentono di confermare l’alta antichità dei livelli con l’industria litica, attribuiti al Pleistocene inferiore. Le analisi hanno interessato differenti formazioni, come ad esempio la “Sabbie Gialle” di Monte Vescovado oltre ai livelli di Monte Poggiolo contenenti reperti litici, rivelando la presenza di un componente inversa del campo geomagnetico fossile.
Il confronto dei dati magnetici con i risultati interdisciplinari e la lettura critica dei dati disponibili di ordine stratigrafico, ha portato all'attribuzione di queste formazioni alla fase geomagnetica di Matuyama. Il giacimento paleolitico si pone quindi in una forbice tra 1,4 milioni di anni (comparsa di Hyalinaea balthica nelle “argille azzurre”) e 780.000 anni (data del limite Brunhes-Matuyama). Questi risultati sono stati confermati dalla datazione ESR effettuata dal laboratorio di geocronologia dell'Institut de Paléontologie Humaine di Parigi, che colloca queste formazioni nella seconda metà del Pleistocene inferiore (Gagnepain et al., 1995, 1998; Peretto et al., 1997). L’attribuzione è stata ulteriormente comprovata da recenti analisi (Muttoni et al., 2011). La datazione ESR, detta anche EPR, risonanza paragnetica elettronica, misura la dose di radiazione nucleare ricevuta dal campione alla stessa stregua della TL, anche se la terminologia è storicamente diversa. Per la TL (tipo di datazione radiometrica basata sulla termoluminescenza del materiale da datare) si usa di solito parlare di PALEODOSE, mentre per la ESR si parla di dose accumulata, AD, o dose totale, TD. Anche in questo caso l’età è data dal rapporto tra la dose accumulata e la dose annuale: età =(dose accumulata)/ (dose annuale). Anche per l’ESR il tempo zero corrisponde al momento della crescita del cristallo.
Il paleoambiente e lo studio paleontologico - La ricostruzione del paleoambiente conferma che i sedimenti si sono depositati in successione all’interno di una rete di canali anastomizzati di natura fluviale. Le modalità sedimentarie giustificano l’eccellente conservazione dei reperti litici sulla base del rapido cambiamento dei canali successivamente ricoperti da nuovi sedimenti che si depositano in situazioni del tutto simili in altri contesti. La sequenza delle argille marine denota la dominanza delle essenze arboree (Messager et al., 2011), in particolare delle conifere come Pinus tipo silvestris o diploxylon col 41%. Si annoverano specie relitte quali Credrus, Scadopitys, Tsuga, Carya e Pterocarya che confermano l’appartenenza delle argille al Pleistocene inferiore e il deterioramento climatico verso condizioni meno temperate e meno umide. L’ambiente connesso col deposito antropico riporta un ambiente freddo con dominanza delle specie erbacee, con elementi anche steppici; tra le arboree sono presenti pini e abeti. Il riempimento di fessure dovute alla neotettonica è riconducibile, su base palinologica, all’ultima glaciazione würmiana (Cattani, 1992). Lo studio paleontologico (foraminiferi, ostracodi, molluschi e nannofossili) dei depositi delle “argille azzurre” e della formazione “sabbie gialle” dimostrano un ambiente caratterizzato da una successione del piano infralitorale a batimetria ridotta, con influenze di acqua dolce e salmastra. Si tratta di ambienti umidi costieri con la parte sommitale caratterizzare dall’apporto fluviale di materiali continentali più grossolani che contengono una certa quantità ciottoli di selce poi lavorati dall’uomo preistorico sulle antiche spiagge del mare padano. Gli apporti continentali si caratterizzano pertanto da gasteropodi polmonati con forme igrofile ad ampia distribuzione geografica. Si sottolinea la presenza di Cochlodina laminata, una specie montana che indicherebbe un clima temperato fresco (Monegatti et al, 1992).
L’industria litica - L’uomo ha lavorato ciottoli di selce di medie e piccole dimensioni, per lo più caratterizzati da una matrice composta da silice microcristallina e/o criptocristallina che includono microfossili e rocce bioclastiche più o meno silicizzate. Rari esempi presentano evidenti laminazioni non omogenee. Le caratteristiche tecno-tipologiche dell'industria litica, provenienti sia da raccolte di superficie sia da scavi stratigrafici, sono state oggetto di specifici studi (Antoniazzi et al., 1993; Bisi et al., 1994; Peretto, 1992). I reperti raccolti in deposizione primaria sono distribuiti lungo l'intera serie stratigrafica, con frequenze massime nei livelli 103, 105 e 111. Il livello 106 è quasi completamente privo di materiali. L'industria è molto ben conservata; i materiali hanno spesso incrostazioni superficiali di origine carbonatica e più raramente di ferro e manganese. In alcuni casi, hanno una leggera patina superficiale non omogenea, che lascia trasparire sempre il colore originale dalla selce. Da un punto di vista tecno-tipologico, l'industria litica appare omogenea lungo l'intera serie stratigrafica, sviluppandosi su diversi metri di spessore. L'analisi dei reperti, effettuata separatamente in relazione alla loro provenienza stratigrafica, ha confermato la loro sostanziale identità.
Riteniamo che questo fenomeno sia principalmente legato all'accumulo molto rapido dei sedimenti riconducibile al modello deposizionale di canali anastomizzati. Per questo motivo, l'industria litica di Monte Poggiolo viene descritta nel suo insieme, principalmente utilizzando le informazioni dallo studio dei materiali raccolti in deposizione primaria. Lo scavo ha scoperto un totale di 1319 manufatti, di cui 1166 rappresentati da schegge e 153 da ciottoli lavorati, la maggior parte dei quali caratterizzati da distacchi unidirezionali o alterni. Non esiste una relazione evidente tra la qualità della selce e l'intensità dello sfruttamento dei ciottoli. Sembra, sostanzialmente che sia stata lavorata l'intera gamma dei possibili materiali silicei, anche di quelli interessati da piani naturali latenti di frattura. Gli strumenti ritoccati sono molto rari, del tutto occasionali; ricordiamo, in particolare, i raschiatoi laterali e alcuni denticolati, con ritocco sia semplice che scalariforme, nella maggior parte dei casi profondi e convessi. Nel complesso sono molto difficili da inquadrare, dato il loro aspetto grossolano e sommario. In quasi tutti i casi, i reperti non vengono ritoccati e il 48,7% è intero. La superficie dorsale è spesso parzialmente o interamente corticata. Si sottolinea l'elevato numero di calotte (12,6%), la cui presenza è strettamente legata all'impiego nella scheggiatura di ciottoli di selce, oltre alla necessità di ottenere piani di percussione lisci e piatti.
I coltelli con dorso naturale sono abbastanza comuni (13,6%). Tra i talloni determinabili, i più frequenti sono quelli lisci (45,1%), seguiti dai naturali (30,3%); il diedro (8,9%) e il lineare (9,4%) sono meno frequenti; le sfaccettature sono rare (3,1%). Ricordiamo la presenza di un certo numero di frammenti riflessi (5,8%), mentre i frammenti sorpassati sono quasi assenti. Ci sono alcuni esemplari con discontinuità angolare longitudinale ed altri che rientrano nell’ambito degli incidenti di Siret. Questi oggetti sono strettamente legati all’impiego di una tecnica di distacco opportunistica, eseguita con colpi molto violenti inflitti sulla superficie del nucleo. A sostegno di questa ipotesi, si sottolinea la presenza di bulbi con discontinuità trasversale angolare e molte schegge che si sono frammentate durante il distacco (rilevato in particolare con lo studio dei rimontaggi). Questi aspetti tipologici devono anche essere attribuiti alla violenza dei colpi inferti sul nucleo nel tentativo di distaccare i manufatti. Lo studio dell'industria, l’analisi particolareggiata dei numerosi rimontaggi e la sperimentazione consentono di tracciare un dettagliato schema del processo di lavorazione dei ciottoli. Ciò che maggiormente sorprende è la sostanziale standardizzazione della chaîne operatoire documentabile sia sui ciottoli che presentano pochi distacchi, sia su quelli maggiormente sfruttati.
Un unico filo conduttore unisce i ciottoli scheggiati tanto da poterli raggruppare nel modo seguente:
a) Ciottoli caratterizzati dal distacco unidirezionale di una o più schegge da piano di distacco naturale corticato. In genere il colpo, con direzione più o meno inclinata rispetto all’asse maggiore del ciottolo, è inferto ad una delle sue estremità, preferibilmente là dove morfologie naturali e particolari rapporti angolari inducono a ritenere maggiore la possibilità del distacco di schegge. In questi casi i talloni sono naturali e le schegge si presentano più o meno corticate. I ciottoli così lavorati possono rientrare tra i nuclei a piano di percussione naturale a stacchi unidirezionale; quando l'angolo del "tranciante" è acuto, morfologicamente ricordano i choppers (con il termine chopper si intende un tipo di utensile usato dai primi ominidi tra la fine del Terziario e l'inizio del Quaternario, alla base della definizione della tecnologia olduvaiana);
b) Ciottoli caratterizzati da stacchi alterni. Le schegge così ottenute sono il più delle volte parzialmente o totalmente corticate e presentano sovente tallone liscio o diedro; i nuclei per la loro morfologia ricordano i chopping-tools (strumenti in pietra per tagliare);
c) Ciottoli caratterizzati dall’asportazione di una calotta ad una delle estremità e da distacchi unidirezionali; si ottiene così un piano di percussione liscio dal quale successivamente è possibile distaccare schegge ad andamento unidirezionale parallele all’asse maggiore del ciottolo. I prodotti così ottenuti sono schegge, fra cui anche calotte e spicchi, e nuclei ad un piano di percussione liscio a stacchi unidirezionali;
d) Ciottoli caratterizzati da un intenso sfruttamento. Sono pochi gli esempi di uno sfruttamento molto intenso dei ciottoli. In questi casi i rimontaggi hanno evidenziato come le fasi successive dello sfruttamento non siano altro che la somma di quanto sopra esposto. Si inizia col distacco di una o più schegge (anche calotte) formando un piano di percussione liscio-piano utilizzato per il distacco di altre schegge il più delle volte ad andamento unidirezionale. Lo sfruttamento del ciottolo avviene anche tramite l'abbassamento del piano di percussione e con la produzione spesso di schegge di piccole dimensioni. La lavorazione viene interrotta in seguito ad errori di taglio che comportano la produzione di schegge riflesse (perdita dell’andamento a carena della faccia di distacco delle schegge) o la frattura del nucleo. Rari sono comunque i casi di uno sfruttamento estremo del nucleo.
I prodotti ottenuti sono calotte, schegge corticate, spicchi, schegge decorticate anche di piccole dimensioni, nuclei di varia natura.
Lo studio delle usure consente di affermare che soltanto le schegge portano evidenti tracce di utilizzazione. Questa indagine, condotta praticamente in modo sistematico sui manufatti dell’industria, toglie ogni dubbio sul significato dei ciottoli a stacchi unidirezionali e alterni: non si tratta di chopper e chopping-tools, ma soltanto di nuclei, oggetti quindi dai quali venivano distaccate schegge, manufatti a margini taglienti effettivamente impiegati nelle attività quotidiane.
Si può quindi affermare che l’industria di Monte Poggiolo sia il risultato di una tecnologia litica semplice quanto opportunistica, caratterizzata da una serie di interventi successivi, che comunque non si esprime che in rari casi in tutti i suoi passaggi sullo stesso nucleo, ma che al contrario, in modo del tutto occasionale, si ferma a stadi differenti di sfruttamento. Il primo popolamento umano della valle Padana in cui si trova Monte Poggiolo non è stato un fenomeno sporadico. Infatti situazioni del tutto analoghe a quella di Ca’ Belvedere di Monte Poggiolo (la n.2 nella carta) sono state accertate in molti altri giacimenti posti lungo tutto il margine del Pedeappennino padano (Cremaschi & Peretto, 1988; Farabegoli et al., 1996; Lenzi & Nenzioni, 1996; Peretto, 1991, 1995). Sono molte decine ormai le località dell’Emilia Romagna che hanno restituito in analoghe posizioni stratigrafiche e cronologiche industrie arcaiche. Si tratta, tra gli altri, dei giacimenti di Bel Poggio (Fontana & Peretto, 1996), Romanina Bianca, la n.4 nella carta (Farabegoli et al., 1996), Serra (Antoniazzi et al., 1998), Covignano, la n.3 nella carta (Antoniazzi et al., 1998). Le industrie di questi siti, raccolte anche durante scavi sistematici, presentano identiche caratteristiche tecniche e tipologiche e sono tra loro perfettamente comparabili.
Ubicazione della grotta di Vallonnet. |
Ricostruzione dell'Uomo di Pechino,
di Cicero Moraes - Opera propria,
|
Ricostruzione dell'uomo di Giava,
|
Ricostruzione di Homo
heidelbergensis.
|
Ricostruzione di Homo
heidelbergensis di
Atapuerca.
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Carta con il sito archeologico di
Atapuerca, in Spagna.
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Il sito La Pineta di Isernia è il n. 5, da https://iris.uni fe.it/retrieve/e309ade3-45 fb-3969-e053-3a05fe0a2c 94/113922418448.pdf. |
L’insediamento, posto a 457 m sul
livello del mare, si trova nei pressi della Città di Isernia
(Molise). Scoperto nel 1978 (Peretto et al., 1983) in seguito agli
sbancamenti per la costruzione della superstrada Napoli-Vasto, a
partire dal 1979 fu oggetto di scavi sistematici che continuarono interrottamente fino ai nostri giorni,
fatta eccezione per il periodo che va del 1993 al 2000 a causa dei
lavori per la costruzione del Padiglione degli scavi che oggi fa
parte dell’area archeologica con annesso il Museo nazionale del
Paleolitico. Gli scavi sistematici, lo studio delle
sezioni stratigrafiche poste in luce dai lavori di sbancamento e i
sondaggi a carotaggio continuo permettono di affermare che
l’estensione del giacimento archeologico è dell’ordine di alcune
migliaia di metri quadrati.
La
stratigrafia - I livelli archeologici sono
ricompresi nei sedimenti fluviolacustri del bacino infra-appenninico
di Isernia. Lo scavo sistematico ha posto in luce una serie
stratigrafica che contempla dal basso verso l’alto limi lacustri di
colore biancastro dello spessore di molti metri; su di essi si imposta una bancata di
travertino di spessore decimetrico alterato dalla pedogenesi. Segue
l’Unità 3 con limi (3b) e sabbie con forte componente limosa (3a),
sepolta da apporti più grossolani di natura anche fluviale (Coltorti et al., 2005). Seguono fino alla sommità depositi più
recenti che si raccordano a quelli olocenici. La serie stratigrafica
contiene una significativa componente vulcanica che si rinviene nelle
Unità 4 e 3 e che ha permesso di datare i livelli archeologici con
metodi radiometrici. I materiali archeologici sono distribuiti su
quattro archeosuperfici (3c, 3a, 3s10 sett. I, 3a, sett. II);
(Cremaschi & Peretto, 1988; Peretto 1999).
Il livello più antico
(3c) si imposta sul travertino (Unità 4) ed è stato esplorato su
circa 70 mq; esso è dislocato da fratture di natura tettonica che
hanno compromesso l’integrità di parte dei resti paleontologici. Il
materiale identificato è rappresentato da frammenti ossei di grandi
mammiferi appartenenti a bisonte, rinoceronte, ippopotamo, orso,
elefante, associati in misura variabile a manufatti litici in selce e
in minor misura in calcare. La paleosuperficie 3a è la più ricca
di materiali tra quelle esplorate avendo restituito ampie
concentrazioni di reperti litici e faunistici anche di grandi
dimensioni che consentono di approfondire aspetti comportamentali
dell’uomo preistorico e quelli di ordine cronologico e
paleoecologico (figg. 2-3) (Arzarello et al., 2003; Ferrari et al.,
1991; Lembo, 2015; Peretto, 2003, 2006, 2010, 2013; Peretto &
Minelli, 2006).
L’età
dell’insediamento - A più riprese l’insediamento
è stato datato con metodi radiometrici, in particolare con 39Ar/40Ar
(Coltorti et al. 1982, 2005; Garcia, 2011; Peretto et al., 2015).
L’affinamento delle metodiche ha consentito di attribuire all’Unità 4
una data di 586 ± 1 ka e ai livelli 3 colluvio, 3s10 e 3s6-9 rispettivamente le date di 583 ± 2 ka,
583 ± 2 ka e 586 ± 2 ka corrispondenti allo stadio isotopico 15.
Gli
animali e le piante dell’antico ambiente naturale -
Le faune di questo giacimento sono state presentate più volte
alla stampa con aggiornamenti (Sala, 1983, 1987, 1990, 1996, 2006).
Resti di alcuni grandi mammiferi sono stati oggetto di studi
approfonditi, quali il bisonte (Sala, 1987), il leone (Sala, 1990),
il rinoceronte (Fortelius et al., 1993, Sala & Fortelius, 1993) e
quattro specie distinte di cervidi (Abbazzi & Masini, 1997; Breda
et al., 2015). L’indagine interdisciplinare dei resti
paleontologici e del contenuto pollinico dei sedimenti consentono di
tracciare un quadro esauriente dell’antico ambiente naturale. Il
lavaggio del terreno di scavo e il successivo vaglio del residuo
solido hanno consentito di raccogliere reperti appartenenti a resti
di animali di taglia minuta come vertebre di pesci, ossa di anfibi,
frammenti di carapace di tartaruga palustre e di uccelli acquatici
quali il tuffetto e il germano reale (Tonon, 1989) (tab. 1). Essi
testimoniano la presenza di ambienti umidi nelle immediate vicinanze
dell’accampamento. Sono stati inoltre identificati piccoli
mammiferi (tab. 1). La presenza principalmente di Sorex aff.
Runtonensis, Pliomys episcopalis, Microtus (Terricola) arvalidens,
Micotus (Iberomis) brecciensis e Arvicola mosbachensis (Sala, 1983,
1996, 2006; Lopez-Garcia et al., 2015) ha permesso di riferire questa
fauna al Toringiano inferiore, che si colloca nella parte centrale
del Pleistocene medio. Questi insettivori e roditori inducono a
ritenere che il clima, nel periodo di deposizione della
paleosuperficie 3a, fosse più arido e meno caldo di
adesso e che favorisse prevalentemente un ambiente di steppa
arborata. I resti ossei più voluminosi ammontano ad alcune
decine di migliaia. In gran parte appartengono ai grandi erbivori
(tab. 1), soprattutto a bisonti, rinoceronti e cervidi e in minor
misura a elefanti e ippopotami. Lo scheletro dei grandi erbivori non
è presente nella sua interezza, ma prevalgono le porzioni che nel
vivente sono più ricche di carne o che, fratturate opportunamente,
restituiscono consistenti porzioni di midollo. Il motivo di questa
selezione è dovuta all’uomo che ha trasportato nell’accampamento
solo le parti più produttive in termini alimentari. Da questo
contesto si differenziano i segmenti ossei dell’orso che portano
sulla superficie tracce riconducibili all’attività di spellamento
che ne giustificano, per questo motivo, l’alta frequenza. Fatta eccezione per l’orso,
testimoniato da un numero consistente di reperti, rara è la
presenza di carnivori (iena bruna, leone, leopardo) che
frequentavano l’area in modo occasionale. Questi episodici
ritrovamenti contribuiscono a confermare che l’accumulo delle ossa
di grandi mammiferi è di origine antropica. L’alta frequenza
degli erbivori informa sulla presenza di una vegetazione
aperta a steppa arborata, ricca di pascoli che
permettevano la vita a mandrie di bisonti e ai numerosi pachidermi.
Un ambiente così caratterizzato si era formato in un clima a due
stagioni, una lunga arida, l'altra breve in cui si concentravano le
precipitazioni annuali. Nelle aree più umide, dove trovava il suo
naturale habitat diurno l’ippopotamo, la vegetazione arborea si
infittiva procurando rifugio a cinghiali e cervidi.
Nelle aree pianeggianti o collinari
aperte pascolavano bisonti, megaceri e pachidermi mentre in quelle
più scoscese vivevano capre selvatiche (tar). Il rinvenimento di un primate, la
bertuccia, nei livelli più recenti (3S1-9) fa supporre una
evoluzione del clima verso condizioni più calde e interglaciali.
Questa ipotesi è confermata anche dalla presenza del castoro che è
legato ad aree riparie più boschive. Si tratterebbe quindi di un
ambiente più temperato e meno arido del precedente. Le
analisi palinologiche (Accorsi, 1985; Lebreton, 2002) consentono di
avere un quadro sufficientemente esaustivo della vegetazione presente
nell’area di Isernia. L'ambiente, nelle vicinanze
dell’archeosuperficie 3a, era caratterizzato da un'alta frequenza
di graminacee e da poche piante arboree fra le quali vi erano salici,
pioppi, platani e sporadici pini, querce e cedri. Sono state
riconosciute anche specie palustri quali ad esempio Typha e Plantago.
La presenza e le frequenze di queste specie segnalano un ambiente
caratterizzato da praterie piuttosto estese e da un corso d'acqua,
lungo il quale crescevano pioppi, salici, ontani e platani e alla cui
dinamica si legano acquitrini con tife e carici. In lontananza, sui
rilievi, vi erano boschi di conifere e di latifoglie. Questo
paesaggio bene si raccorda con le indicazioni delle specie
faunistiche rinvenute, in particolare con l’alto numero di erbivori
che necessitano di ampi pascoli dove trovare nutrimento. Lo
sfruttamento delle risorse Le principali attività umane documentate (Peretto, 1996, 2013; Thun Hohenstein
et al., 2009) sono la macellazione e soprattutto la fratturazione
intenzionale delle ossa lunghe, dei crani e della mandibola. In
particolare sono state identificate strie di macellazione in aree
anatomiche compatibili con azioni di macellazione (es. inserzioni
tendinee o in prossimità delle epifisi), che si presentano anche
appaiate e subparallele tra loro, spesso con un orientamento
trasversale rispetto all’asse longitudinale delle ossa lunghe.
La fratturazione intenzionale è ben documentata in tutti i
livelli archeologici. Soprattutto i crani, le mandibole e le ossa
lunghe si presentano sistematicamente fratturati (Peretto, 2013).
I
resti umani - Nel 2014 è stato scoperto nel
livello 3 colluvio un dente umano (Peretto et al., 2015), un incisivo
superiore sinistro da latte con radice in parte riassorbita
appartenente ad un bambino di 5-6 anni probabilmente appartenente alla specie
Homo heidelbergensis.
I
reperti litici - I manufatti litici (figg. 6-9)
provengono da tutte le archeosuperfici esplorate e ammontano a molte
migliaia.
Nella maggioranza dei casi sono in selce e in minor misura
in calcare. Questi ultimi sono assenti nel II settore di scavo
(Peretto, 1994).
I
manufatti in selce
- Il loro stato di conservazione è ragguardevole, confermato
dalla presenza di
rimontaggi che avallano la tesi che la
scheggiatura dei materiali sia avvenuta nell’accampamento umano. L’uomo ha utilizzato frammenti
di liste di medie e piccole dimensioni per lo più di cattiva qualità, interessati da piani di
fratturazione naturali che condizionano la morfologia dei prodotti
all’atto della scheggiatura. I materiali sono stati raccolti nelle
immediate vicinanze dell’insediamento in depositi fluviali di fondo
valle, ricchi di ciottoli di calcare e di frammenti di liste. La
scheggiatura delle lastrine è stata realizzata con la percussione
diretta, spesso bipolare. La sperimentazione (Peretto, 1996) ha
confermato queste modalità di lavorazione che consente la produzione
di una elevata quantità di schegge, spesso di piccole dimensioni, di
sezione e di forma varia, sovente subtriangolari. La produzione di un numero elevato di
schegge è riconducibile al loro impiego nella macellazione e nella
riduzione di porzioni di carcasse animali. Numerose sono le
testimonianze di questa attività, documentate non solo dalle
incisioni presenti su molti dei segmenti ossei rinvenuti sui suoli di
abitato, ma anche dallo studio al microscopio a scansione dei margini
attivi e delle superfici delle schegge in selce che portano
inequivocabili politure e strie dovute al taglio della carne (Longo
et al., 1997; Vèrges, 2002). La necessità di un’alta produzione
di schegge ha condizionato la morfologia dei
residui, caratterizzati in maggioranza da frammenti litici
indeterminati (débris), per lo più di piccole dimensioni e di
difficile classificazione con facce di distacco ad orientazione
caotica, spesso fratturate e indeterminate per forma e tipologia. Una
particolare categoria di manufatti rientra nel gruppo definito, su
base tipologica, come denticolati, sovente spessi e per lo più di
piccole dimensioni. Presentano bordi subparalleli o convergenti, con
estremità che assumono in rari casi forma arrotondata, a muso;
presentano distacchi per lo più profondi, isolati (incavi) o in
serie continua, spesso scalariformi. Si è avanzata, in più
occasioni, l’ipotesi che questi oggetti costituiscano il residuo
finale dell’intenso sfruttamento dei supporti di selce. Una
conferma di questa possibilità proviene dall’attività
sperimentale eseguita a più riprese (Peretto, 1996). I nuclei sono
di forma varia, anche piramidale o poliedrica, ad uno o più piani di
percussione. Presentano generalmente dimensioni ridotte a
testimonianza dell’intenso sfruttamento delle lastrine. I più recenti dati
relativi all’analisi dell’industria litica di Isernia La Pineta,
rivelano l’esistenza di aspetti tecnologici
innovativi in termini di gestione del débitage, come la padronanza
del metodo discoide indipendente dalla natura della materia prima
(Gallotti & Peretto, 2014).
Ciottolo con distacchi unidirezionali. |
I manufatti in calcare - I reperti in calcare provengono
soltanto dalle archeosuperfici del I settore di scavo. Il supporto è
costituito da ciottoli spesso ovalari piano-convessi, anche se non
mancano esempi dell’utilizzo di blocchi non regolari, talvolta
sub-quadrangolari. Hanno durezza piuttosto varia, passando da calcari
massivi microcristallini ad esemplari meno compatti e più friabili
(calcare marnoso, marna). I manufatti in calcare presentano
dimensioni decisamente più grandi di quelli in selce, solitamente
comprese tra 4 e 12 cm.
In genere si caratterizzano per una
lavorazione non marcata evidenziata dal ridotto numero di schegge
distaccate, per cui nella maggioranza dei casi è possibile
ricostruire l’originaria morfologia del ciottolo. Questa constatazione è confermata dallo studio delle schegge che
presentano spesso la faccia dorsale parzialmente o totalmente
corticata. Alcune schegge presentano ritocchi sui margini ad
andamento prevalentemente denticolato, di difficile lettura a causa
della qualità della materia prima. I manufatti su ciottolo hanno una
certa variabilità di forme tra le quali riconosciamo
schegge, choppers (fig. 10), rabots, nuclei e incudini. Frequenti
sono i nuclei che presentano un basso numero di distacchi, quasi
sempre piuttosto ampi e in qualche caso tra loro sovrapposti. Un
riferimento particolare si deve a blocchi di calcare di medie e anche
grandi dimensioni, sovente di forma poliedrica e quadrangolare con
stacchi ortogonali lungo i bordi, spesso sovrapposti e ripetitivi.
L'uro (Bos primigenius)era un grosso bovino particolarmente aggressivo, diffuso in tutta Europa estintosi nel 1627.
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Da 455.000 a 300.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Mindel, la seconda glaciazione avvenuta in Europa nel Pleistocene, il primo periodo dell'era Quaternaria, in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.
450.000 anni fa - Secondo
Zecharia Sitchin, su Nibiru, un membro lontano del nostro
sistema solare, la vita va lentamente estinguendosi a causa
dell'erosione dell'atmosfera del pianeta. Deposto da Anu, il sovrano
Alalu fugge a bordo di una navetta spaziale e trova rifugio sulla
Terra. Qui scopre che sulla Terra si trova l'oro che si può
utilizzare per proteggere l'atmosfera di Nibiru.
445.000 anni fa - Secondo
Zecharia Sitchin, guidati da Enki, figlio di Anu, gli Anunnaki
arrivano sulla Terra, fondano Eridu - la Stazione Terra I - per
estrarre l'oro dalle acque del Golfo Persico.
430.000 anni fa - Secondo
Zecharia Sitchin, il clima della Terra si fa più mite. Altri
Anunnaki arrivano sulla Terra, e tra loro Ninharsag, sorellastra di
Enki e capo ufficiale medico.
416.000 anni fa - Secondo
Zecharia Sitchin, poiché la produzione d'oro scarseggia, Anu
arriva sulla Terra con Enlil, il suo erede. Viene deciso di estrarre
l'oro vitale attraverso scavi minerari nell'Africa meridionale. Le
nomine avvengono per estrazione: Enlil conquista il comando della
missione sulla Terra, Enki viene relegato in Africa. Anu, mentre si
accinge a lasciare la Terra, deve fronteggiare la minaccia del nipote
Alalu.
400.000 anni fa - Scoperta del fuoco. Le prime tracce di utilizzazione del fuoco vengono rinvenute in Cina. Dapprima l'uomo impara a conservare quello provocato dai fulmini o da altri disastri naturali, in seguito il fuoco verrà ottenuto con mezzi rudimentali e la conservazione del fuoco talora avrà anche carattere rituale.
- A 300.000 anni fa circa, secondo nuovi ritrovamenti rinvenuti nel 2017 in Marocco, (QUI) risalirebbe l'origine dell'Homo sapiens. Da analisi, condotte con tecniche statistiche, della forma di reperti trovati nel 2017 a Jebel Irhoud (in Marocco), si è rilevata la massima somiglianza con quelli dei moderni H. sapiens. Questa somiglianza è vera in particolare per il frammento di mandibola, se si eccettua per la maggiore larghezza. Il cranio invece, esternamente presenta caratteri intermedi tra quelli arcaici e quelli moderni, ma è abbastanza simile a quello di H. sapiens scoperto nel sito di Laetoli in Tanzania e al più recente cranio ritrovato a Qafzeh, in Israele. Di grande interesse la forma interna della teca cranica, la cui struttura sembra già preludere all'evoluzione verso la forma globulare del cranio di H. sapiens delle epoche successive. Secondo Hublin e colleghi, i fossili di Jebel Irhoud rappresentano la migliore prova paleoantropologica trovata finora dell'esistenza di di una fase “pre-moderna” nell'evoluzione di H. sapiens. I risultati dell'analisi, condotta con una tecnica di termoluminescenza, dei resti di utensili scoperti nel sito marocchino, sono attribuiti al Paleolitico Medio (da 300.000 anni fa) mentre i resti di animali ritrovati negli stessi strati mostrano una manipolazione umana e i resti di carbonella indicano un probabile controllo del fuoco. L'Homo sapiens è una specie monotipica. Alcuni antropologi invece la considerano costituita da due diverse sottospecie: Homo sapiens sapiens, l'uomo moderno e Homo sapiens idaltu, paleosottospecie estinta. Nel corso del tempo sono state proposte come paleosottospecie di Homo sapiens sia Homo sapiens heidelbergensis (uomo di Heidelberg) che Homo sapiens neanderthalensis (uomo di Neanderthal). Per ora entrambe vengono definite come specie, anche se sono in corso indagini con l'utilizzo di tecniche di biologia molecolare per la verifica di eventuali riapparentamenti genetici. Al 2011, gli studi basati sull'analisi matrilineare del DNA mitocondriale, mostravano una scarsa possibilità di passata ibridazione, mentre le analisi del genoma nucleare, anche stimolate dal progetto Neanderthal genome project del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology tedesco e del 454 Life Sciences statunitense di sequenziamento del genoma neandertaliano, indicano una certa ibridazione per alcune popolazioni euroasiatiche. Con l'apparizione dell'Uomo di Denisova, definizione provvisoria di una popolazione di Homo vissuto in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa in aree popolate principalmente da sapiens e in parte da neanderthal, si stanno cercando relazioni genetiche fra le specie attraverso analisi del DNA cellulare e mitocondriale. Quindi si può rilevare che alcuni ominidi appartenenti al genere Homo, anziché partecipare al processo Out-of-Africa di 1.000.000 di anni fa da parte di gruppi di H. erectus, fossero rimasti in Africa e da loro si sarebbe poi originato l'Homo sapiens. I resti più antichi di umani indubbiamente moderni, dopo quelli di Jebel Irhoud (in Marocco), sono quelli ritrovati nel sito di Kibish, nei pressi del fiume Omo, in Etiopia e nel sito Qafzeh-Skhul (Qafzeh e Es Skhul), in Israele. La specie sapiens si è evoluta culturalmente in terra africana, in cui sono numerosi i ritrovamenti di fossili e manufatti. Il più antico ritrovamento di un oggetto, dalle indubbie caratteristiche artistiche, risale a 80.000 anni fa, in prossimità di Cape Agulhas, nella Caverna di Blombos, in Sud Africa.
Secondo
Zecharia Sitchin, tra i sette insediamenti funzionali della
Mesopotamia meridionale figurano il porto spaziale (Sippar), il
Centro di controllo della missione (Nippur), un centro metallurgico
(Badtibira), un centro medico (Shuruppak). I metalli arrivano per
mare dall'Africa; una volta raffinati, vengono poi inviati agli Igigi
rimasti in orbita, poi trasferiti su navette spaziali che arrivano
periodicamente da Nibiru.
380.000 anni fa - Secondo
Zecharia Sitchin, appoggiato dagli Igigi, il nipote di Alalu
cerca di ottenere il dominio della Terra. Gli Enliliti vincono la
Guerra degli Antichi Dèi.
300.000 anni fa - Secondo
Zecharia Sitchin, gli Anunnaki che lavorano nelle miniere
d'oro si ammutinano. Enki e Ninharsag creano dei Lavoratori Primitivi
attraverso la manipolazione genetica degli ovuli di donne-scimmia; le
nuove creature sostituiscono gli Anunnaki nelle attività manuali.
Enlil fa irruzione nelle miniere e porta i Lavoratori Primitivi
all'Eden in Mesopotamia. Avendo ottenuto la capacità di procreare,
l'Homo sapiens comincia a moltiplicarsi.
Ricostruzione di Homo sapiens.
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Artefatti ritrovati nella caverna di
Blombos, in Sudafrica, da: http://scie
ntiantiquitatis.blogspot.com/2013/ 04/sudafrica-la-grotta-di- blombos-e-le.html |
L'evoluzione a tutto tondo, fisica, tecnologica e culturale del sapiens, si verificherà alla fine del paleolitico, nel paleolitico superiore. Negli ultimi anni si è rafforzata la teoria che vede neanderthal e sapiens (a cui apparteneva il tipo di Cro-Magnon), come due specie diverse evolutesi in modo quasi parallelo. L'H. sapiens ha di fatto sostituito in Europa l'uomo di Neanderthal (che pare si sia estinto circa 28.000/22.000 anni fa) in un arco di tempo relativamente breve, ma con una certa sovrapposizione di alcune migliaia di anni, anche se non è ancora possibile stabilire che tipo di relazioni (collaborazione, indifferenza o guerra) si siano stabilite tra i due gruppi umani. Pare indubbio, comunque, che le pulsioni artistiche furono comuni ad entrambe le specie. Con il ritrovamento dell'Homo di Denisova o donna X, nome dato ad un ominide i cui scarsi resti (una falange, ritrovata nel 2008 a Denisova, nella Siberia meridionale) sono stati ritrovati nei Monti Altaj in Siberia, si sta cercando di ricostruire apparentamenti ed eventuali derivazioni fra hidelbergensis, neanderthaliensis e sapiens. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis di 400.000 anni fa, proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella di Denisova e studi genetici indicano che approssimativamente il 4% del DNA dell'Homo sapiens non africano sia lo stesso trovato nell'Homo neanderthalensis, suggerendo così un'origine comune. Invece, dal 4 al 6% del genoma dei melanesiani (rappresentato dagli uomini dell'isola di Bougainville), deriva dalla popolazione di Denisova. Questi geni sono stati verosimilmente introdotti durante la prima migrazione umana degli antenati dei melanesiani nel sud-est asiatico ed è verosimile ipotizzare un'ibridazione tra Homo di Denisova e Homo sapiens, che abbia interessato le popolazioni del sud-est asiatico antico e quelle, loro dirette discendenti, australiane. L'apporto genetico denisoviano alle altre popolazioni di sapiens asiatiche è limitato e, come in quelle europee e amerindie, deriva in buona parte dall'ibridazione, avvenuta in precedenza, con i Neanderthal (ibridati con i Denisova). Da analisi mitocondriali si è concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza, che gli uomini di Denisova e i Neanderthal abbiano condiviso un ramo comune ancestrale che porta ai moderni esseri umani africani, il che accumunerebbe il loro colore scuro della pelle con i Denisoviani.
- 300.000 anni fa inizia la cultura del Paleolitico medio.
Tabella con le caratteristiche del Paleolitico medio, da 300ka fa a 36ka fa. |
230.000 anni fa - Nella grotta dei Balzi Rossi in prossimità di Ventimiglia, sono stati ritrovati resti di Homo Erectus datati a oltre 230.000 anni fa, oltre a tracce di uomo di Neanderthal (da 130.000 anni fa) e resti di Homo Sapiens assimilabili all'Uomo di Cro-Magnon.
Grimaldi, falesia con grotte dei Balzi
Rossi.
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200.000 anni fa - Secondo
Zecharia Sitchin, la vita sulla Terra regredisce durante una
nuova era glaciale.
Da 200.000 a 130.000 anni fa circa - Si verifica la glaciazione di Riss, la terza glaciazione in Europa avvenuta nel Pleistocene, il primo periodo dell'era Quaternaria, in cui si verificò un abbassamento generale della temperatura e un'ulteriore espansione dei ghiacciai nell'attuale zona temperata. I cicli glaciali, in Europa, sono stati quattro e prendono il nome, dal più antico al più recente, da quattro affluenti minori del Danubio in Germania (più precisamente in Baviera), Günz, Mindel, Riss e Würm. Questa scelta di nomi è dovuta al fatto che fu proprio nelle vallate tedesche che si rinvennero tracce dell'attività dei ghiacciai. Non a caso è sulle Alpi che nacque la moderna glaciologia, infatti le quattro glaciazioni ricoprono le Alpi con una calotta di ghiaccio spessa fino a 2.000 metri. Così le glaciazioni Günz, Mindel, Riss e Würm sono riscontrabili man mano che ci si avvicina al Neozoico e quindi sono identificabili le seguenti quattro ere glaciali: Günz, da circa 1.200.000 a 900.000 anni fa, Mindel, da circa 455.000 a 300.000 anni fa, Riss, da circa 200.000 a 130.000 anni fa e Würm, da circa 110.000 a 11.700 anni fa, intervallate da tre fasi interglaciali: Günz-Mindel, Mindell-Riss e Riss-Würm.
200.000 anni fa circa - Durante il periodo culturale del Paleolitico medio, appare la specie Homo neanderthalensis, comunemente detto uomo di Neanderthal, che pare fosse una specie discesa da H. heidelbergensis ed estintasi intorno a 28.000/22.000 anni fa. Prende il nome dalla valle di Neander (Neandertal) presso Düsseldorf in Germania, dove vennero ritrovati i primi resti fossili nell'agosto del 1856 da scavatori di calcare, in una grotta denominata "Kleine Feldhofer", nei pressi della località di Feldhof. Con una dominanza nel periodo della cultura del musteriano, la presenza dell'Uomo di Neanderthal è documentata da pratiche di arte e sepoltura da 130.000 anni fa per le forme arcaiche fino a 30.000 anni fa con reperti fossili e secondo alcuni fino a 22.000 anni fa, pur in assenza di fossili e con discusse prove culturali, principalmente in Europa e Asia e limitatamente in Africa. Fu un "Homo" molto evoluto, in possesso di tecnologie litiche elevate e dal comportamento sociale piuttosto avanzato, al pari dei sapiens, con cui ha convissuto nell'ultimo periodo della sua esistenza. L'Homo neanderthalensis scomparve in un tempo relativamente breve, evento che costituisce un enigma scientifico oggi attivamente studiato. Alcuni studi del 2010 suggeriscono, tra alcune ipotesi probabili relative alla vicinanza genetica tra Homo neanderthalensis e Homo sapiens, che ibridazioni fra i due possano avere avuto luogo nel Vicino Oriente all'incirca tra 80.000 e 50.000 anni fa, per la presenza nell'uomo contemporaneo di una percentuale tra 1 e il 4% di materiale genetico specificamente neandertaliano.
Tali tracce genetiche sono presenti negli eurasiatici e nei nativi americani, ma non negli africani moderni. Un sequenziamento genomico infatti, ha consentito un confronto dettagliato con i Neanderthal e gli umani moderni. Da questa analisi si è concluso, nonostante l'apparente divergenza della loro sequenza mitocondriale, che gli uomini di Denisova e i Neanderthal abbiano condiviso un ramo comune ancestrale che porta ai moderni esseri umani africani, il che accumunerebbe il loro colore scuro della pelle con i denisoviani. Nel 2013, la sequenza di mtDNA prelevata dal femore di un Homo heidelbergensis (probabile antenato del neanderthaliensis) di 400.000 anni fa, proveniente dalla Grota Sima in Spagna, è risultata essere simile a quella di Denisova. Secondo una teoria pubblicata nel 2016 da alcuni ricercatori delle università di Cambridge e Oxford Brookes sull'”American Journal of Physical Antropology”, l'uomo di Neanderthal si sarebbe estinto a causa di malattie portate dai sapiens.
Secondo la biologa Charlotte Houldcroft di Cambridge, prima firma dello studio, gli umani che migrarono dall'Africa all'Eurasia portarono con sé una quantità di agenti patogeni che potrebbero essere stati catastrofici per la popolazione neandertaliana, adattata solo alle malattie infettive tipiche del vecchio continente.
La teoria si fonda su due cardini. In primo luogo le malattie infettive sarebbero molto più antiche di quanto creduto in precedenza: si pensava infatti che queste patologie fossero emerse con il passaggio da caccia-pesca-raccolta ad allevamento e agricoltura, circa 8.000/12.000 anni fa, quando gli esseri umani hanno cominciato a vivere in gruppi folti e a contatto con gli animali, mentre le ultime ricerche sul DNA e sul genoma di alcuni patogeni sembrano dimostrare che siano molto più antiche. In secondo luogo, è dimostrato come gli antichi Homo sapiens si siano mescolati con i Neandertaliani, che avevano dominato la scena continentale per decine di migliaia di anni, e si siano scambiati geni patogeni, così come avevano fatto con altri ominidi prima di migrare dall'Africa. I nostri antenati potrebbero quindi essere stati vettori di malattie letali per gli uomini di Neanderthal, fino a portarli all'estinzione.
Ricostruzione di Uomo
di Neanderthal.
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Ricostruzione di Uomo
di Neanderthal.
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Homo neanderthaliensis di Claudio
Tuniz da: https://www.ansa.it/scien
za/notizie/rubriche/biotech/20 13/12/19/uomo-Neanderthal- aveva-linguaggio-complesso _9804243.html |
La teoria si fonda su due cardini. In primo luogo le malattie infettive sarebbero molto più antiche di quanto creduto in precedenza: si pensava infatti che queste patologie fossero emerse con il passaggio da caccia-pesca-raccolta ad allevamento e agricoltura, circa 8.000/12.000 anni fa, quando gli esseri umani hanno cominciato a vivere in gruppi folti e a contatto con gli animali, mentre le ultime ricerche sul DNA e sul genoma di alcuni patogeni sembrano dimostrare che siano molto più antiche. In secondo luogo, è dimostrato come gli antichi Homo sapiens si siano mescolati con i Neandertaliani, che avevano dominato la scena continentale per decine di migliaia di anni, e si siano scambiati geni patogeni, così come avevano fatto con altri ominidi prima di migrare dall'Africa. I nostri antenati potrebbero quindi essere stati vettori di malattie letali per gli uomini di Neanderthal, fino a portarli all'estinzione.
140.000 anni fa - Secondo le ricerche condotte con lo studio genetico del DNA, a questa data risale il più recente progenitore comune a tutta l'umanità. In genetica umana, gli aplogruppi del cromosoma Y sono raggruppamenti di combinazioni di marcatori (aplotipi) definiti dalle differenze nella regione non-ricombinante del DNA del cromosoma Y (chiamato NRY da Non-Recombining Y-chromosome). Queste differenze fanno riferimento a polimorfismi biallelici (SNPs, Single Nucleotide Polymorphisms). Il YCC Y Chromosome Consortium ha stabilito un sistema per definire gli aplogruppi del cromosoma Y basato sulle lettere da A a T, con ulteriori divisioni usando numeri e lettere in pedice. Il cromosoma Y ancestrale (scherzosamente definito dagli studiosi di "Adamo") è quello appartenuto ad un maschio teorico che rappresenta il più recente progenitore comune (MRCA Most Recent Common Ancestor) di tutti i maschi attuali lungo la linea patrilineare, visto che il cromosoma Y è unicamente trasmesso dal padre ai figli maschi. La stima di quando questo individuo teorico sia vissuto varia a seconda degli studi. Gli umani moderni, secondo gli studi del cromosoma Y, sono originari dell'Africa subsahariana e hanno poi colonizzato l'Eurasia, circa 70.000 anni fa, seguendo la costa meridionale dell'Asia. I gruppi che partirono dall'Africa, si sarebbero successivamente distribuiti secondo la seguente mappa:
Carta delle migrazioni umane nel mondo
dall'Africa, mappate seguendo le
evoluzioni degli aplogruppi del
cromosoma Y nel DNA.
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Da Y si sarebbero poi generati aplogruppi specifici nel percorso delle migrazioni:
Y , il cosiddetto "'Adamo ancestrale'"
A0 : incontrato nel Camerun, nell'Algeria e nel Ghana.
A1 : presente nell'Africa subsahariana, specialmente tra i Boscimani (dell'etnia Khoisan)
e i popoli nilotici (Sudan del Sud).
e i popoli nilotici (Sudan del Sud).
B : diffuso in gran parte dell'Africa subsahariana, particolarmente tra i Pigmei e gli Hadza.
DE : poco diffuso in Nigeria.
D : proprio dell'Asia orientale, specialmente nel Giappone, Tibet e isole Andamane.
E : Copre la parte più vasta dell'Africa. Presente anche nel Vicino Oriente e nell'Europa meridionale.
C : presente nell'Eurasia orientale.
C1 : poco diffuso in Giappone.
C2 : presente nelle isole del Pacifico, ivi compresa la Polinesia, la Micronesia e la Melanesia.
C3 : presente in una vasta area geografica compresa fra l'Asia centrale, l'Asia orientale, la Siberia e fra i
Nativi americani dell'America del Nord.
Nativi americani dell'America del Nord.
C4 : presente in alta frequenza negli Australiani aborigeni.
C5 : presente nell'Asia meridionale. Anche nell'Asia centrale e nel Vicino Oriente.
C6 : presente nella Nuova Guinea.
E : il sub-clade E1b1b è di origine africana e si disperse per tutto il Mediterraneo raggiungendo la
frequenza del 27% in Grecia.
frequenza del 27% in Grecia.
F : presente specialmente nei popoli tribali indigeni dell'India.
Gli aplogruppi che discendono dall'aplogruppo F rappresentano il 90% della popolazione mondiale,
ma si distribuiscono quasi esclusivamente fuori dall'Africa sub-sahariana.
G : Le maggiori frequenze si riscontrano nel Caucaso. Presente anche tra i Mediorientali e nell'Europa
meridionale. L'aplogruppo G, originatosi anch'esso in Medio-Oriente, o forse più a Est in Pakistan,
intorno a 30.000 anni fa, secondo alcuni studi potrebbe essersi diffuso in Europa nel Neolitico,
oppure, vista la sua forte discontinuità, aver raggiunto l'Europa già nel Paleolitico.
Gli aplogruppi che discendono dall'aplogruppo F rappresentano il 90% della popolazione mondiale,
ma si distribuiscono quasi esclusivamente fuori dall'Africa sub-sahariana.
G : Le maggiori frequenze si riscontrano nel Caucaso. Presente anche tra i Mediorientali e nell'Europa
meridionale. L'aplogruppo G, originatosi anch'esso in Medio-Oriente, o forse più a Est in Pakistan,
intorno a 30.000 anni fa, secondo alcuni studi potrebbe essersi diffuso in Europa nel Neolitico,
oppure, vista la sua forte discontinuità, aver raggiunto l'Europa già nel Paleolitico.
H : diffuso principalmente nel Subcontinente indiano e negli zingari.
IJ : IJ corrisponde probabilmente a una ondata migratoria dal Medio-Oriente o all'Asia occidentale a
partire da 45.000 anni fa, che si è poi diffusa in Europa con l'uomo di Cro-Magnon.
partire da 45.000 anni fa, che si è poi diffusa in Europa con l'uomo di Cro-Magnon.
I : (M170, M258, P19, P38, P212, U179): diffuso maggiormente e quasi esclusivamente in Europa,
disceso da tribù proto europee. L'aplogruppo I rappresenta circa un quinto dei cromosomi Y
europei. È quasi esclusivo dell'Europa pertanto si ritiene che si sia originato in quest'area prima
dell'ultima glaciazione. È probabile che sia stato confinato nel rifugio balcanico durante la glaciazione e
che poi si sia ridiffuso verso nord con il ritiro dei ghiacciai. Nonostante sia relativamente frequente negli
Scandinavi, nei Sardi e nelle popolazioni balcaniche, questi popoli presentano subcladi differenti
dell'aplogruppo I. Questo suggerisce che ognuna delle popolazioni ancestrali è oggi dominata da un
particolare subclade che ha marcato una indipendente espansione della popolazione lungo diversi
percorsi migratori durante e immediatamente dopo la glaciazione.
disceso da tribù proto europee. L'aplogruppo I rappresenta circa un quinto dei cromosomi Y
europei. È quasi esclusivo dell'Europa pertanto si ritiene che si sia originato in quest'area prima
dell'ultima glaciazione. È probabile che sia stato confinato nel rifugio balcanico durante la glaciazione e
che poi si sia ridiffuso verso nord con il ritiro dei ghiacciai. Nonostante sia relativamente frequente negli
Scandinavi, nei Sardi e nelle popolazioni balcaniche, questi popoli presentano subcladi differenti
dell'aplogruppo I. Questo suggerisce che ognuna delle popolazioni ancestrali è oggi dominata da un
particolare subclade che ha marcato una indipendente espansione della popolazione lungo diversi
percorsi migratori durante e immediatamente dopo la glaciazione.
I1 : (L64, L75, L80, L81, L118, L121/S62, L123, L124/S64, L125/S65, L157.1, L186, L187, M253,
M307.2/P203.2, M450/S109, P30, P40, S63, S66, S107, S108, S110, S111): ramo
europeo settentrionale/nordico con le più alte frequenze in Scandinavia, Islanda, e Europa
nord-orientale. Nelle Isole britanniche la mutazione I1-M253 è spesso usata come marcatore delle
invasioni vichinghe o anglosassoni.
M307.2/P203.2, M450/S109, P30, P40, S63, S66, S107, S108, S110, S111): ramo
europeo settentrionale/nordico con le più alte frequenze in Scandinavia, Islanda, e Europa
nord-orientale. Nelle Isole britanniche la mutazione I1-M253 è spesso usata come marcatore delle
invasioni vichinghe o anglosassoni.
I2 : (L68, M438/P215/S31) ramo europeo meridionale/balcanico;
I2b raggiunge discrete frequenze lungo le coste nord-occidentali dell'Europa continentale e in
Sardegna. Dalla linea I2b è derivato I2b1a (M284) in Europa nord-occidentale ed Isole Britanniche.
I2b raggiunge discrete frequenze lungo le coste nord-occidentali dell'Europa continentale e in
Sardegna. Dalla linea I2b è derivato I2b1a (M284) in Europa nord-occidentale ed Isole Britanniche.
J : (12f2.1, M304, P209, S6, S34, S35): il più importante tra i popoli del Vicino Oriente.
J1 : ramo mediorientale meridionale/arabico
J2 : ramo mediorientale settentrionale/anatolico
K : diffuso specialmente nell'Oceania.
L : diffuso principalmente nell'Asia meridionale.
T (M70, M184/USP9Y+3178, M193, M272) diffuso nell'Europa, nel Vicino Oriente, nell'India,
nel Corno d'Africa e altre regioni.
nel Corno d'Africa e altre regioni.
M : prevalente nella Melanesia.
N : presente fino all'Estremo Oriente ed in Siberia, comune tra i popoli uralici.
O : prevalente nell'Asia orientale e nel Sud-est asiatico, con una frequenza prossima al 75%.
Q : è l'aplogruppo principale in quasi tutti i Nativi americani.
R : disceso da tribù eurasiatiche. Tutti gli aplotipi afferenti all'aplogruppo R condividono le mutazioni
M207 (UTY2), M306 (S1), S4, S8, S9 e possono essere suddivisi in tre principali linee evolutive:
R1a, R1b e R2. Per R1 = (M173)
M207 (UTY2), M306 (S1), S4, S8, S9 e possono essere suddivisi in tre principali linee evolutive:
R1a, R1b e R2. Per R1 = (M173)
R1a (L62, L63): è prevalente nelle popolazioni slave dell'Europa orientale e nella regione del Pamir
fra l'Asia centrale e meridionale. La R1a potrebbe essersi originata nelle steppe euroasiatiche a nord
del Mar Caspio e del Mar Nero. È associato alla cultura kurgan, nota per la domesticazione del
cavallo (circa 5000 anni fa). Questa linea è attualmente presente in Asia centrale e occidentale, India,
e nelle popolazioni slave dell'Europa orientale.
del Mar Caspio e del Mar Nero. È associato alla cultura kurgan, nota per la domesticazione del
cavallo (circa 5000 anni fa). Questa linea è attualmente presente in Asia centrale e occidentale, India,
e nelle popolazioni slave dell'Europa orientale.
R1b (M343): è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun
settentrionale. La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale
raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si è
concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi del
clima a partire da 14.000 anni fa. Presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale.
settentrionale. La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale
raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si è
concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi del
clima a partire da 14.000 anni fa. Presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale.
R2 : è importante nel Subcontinente indiano.
S : presente principalmente nella Papua Nuova Guinea.
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