Il
Sacro Catino conservato nella
cattedrale
di S. Lorenzo a Genova.
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I genovesi avevano capito a quel punto quale fosse la posta in gioco in Medio Oriente, la possibilità di mettere le mani su una ricchezza inimmaginabile e sarà con la conquista di Cesarea che Guglielmo Embriaco darà ancora segno del suo grande valore militare e dell’ardimento individuale che lo sosteneva.
Come racconta il Caffaro, che oltre a essere storico e annalista fu anche un soldato valoroso, Guglielmo, in prima fila tra chi assaltava le mura, nelle concitate fasi della battaglia rimaneva solo a causa di un cedimento della scala che lo aveva portato sin lì. Urla ai suoi, attoniti nel vederlo ancora più spavaldo piuttosto che impaurito vista la situazione, “Salite, salite e prendete in fretta la città!” mentre infilzava e uccideva tutti gli avversari che gli si paravano davanti.
Un’avventura che varrà per l’Embriaco il soprannome di “Testa di maglio” ma anche ricchezze inesauribili e una antichissima reliquia tutt’oggi conservata nel tesoro della cattedrale, un piatto esagonale di pietra verde traslucida ritenuto già il sacro Graal e poi ancora che fosse stato utilizzato da Gesù nell’ultima cena, il Sacro Catino. L’Embriaco è uno dei più chiari rappresentanti di figure militari eroiche del Medioevo. Genova, in genere matrigna, onorò il suo condottiero quando venne deciso di abbassare le torri cittadine nel 1.196; la torre dell’Embriaco non venne toccata per rendere omaggio alle imprese di “Testa di maglio” e ancora oggi campeggia in alto a proteggere, simbolicamente, la città.
Carta con gli stati cristiani in
Terrasanta nel 1140:
Contea di Edessa, Principato di
Antiochia, Contea
di Tripoli e Regno di Gerusalemme. Da
"Asia
minor 1140" di Alexander G.
Findlay - Classical
Atlas of Ancient Geography: https://commons.
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- Raimondo cercò così di conquistare l'ultimo Stato crociato che si costituirà in Terra Santa, la Contea di Tripoli. Qui il governo era affidato all'epoca al qadi Fakhr al-Mulk, della tribù dei Banū ʿAmmār, favorevole a un accordo coi Crociati che salvaguardasse la città. Grazie a una flotta genovese, Raimondo strappò Tortosa ai Banū ʿAmmār e pose l'assedio a Tripoli, infliggendo con solo 300 cavalieri un'incredibile rotta ai difensori che, coi loro 3.000 uomini aiutati da altri 4.000 soldati provenienti da Damasco e Hims, corroborarono nei musulmani l'idea dell'invincibilità degli uomini venuti dall'Europa. Proprio l'esiguità degli uomini a sua disposizione impedì tuttavia al conte di Tolosa di superare le difese murarie di Tripoli. Alla fine del 1.103, con l'aiuto bizantino, fu completata la costruzione del castello di Monte Pellegrino che servì a stringere d'assedio Tripoli. Raimondo morì di lì a poco (1.105) in seguito a una ferita fortuitamente procuratasi l'anno prima ed il problema della sua successione si risolse con difficoltà solo più tardi, con l'assunzione del potere da parte del figlio naturale Bertrando. Le sconfitte inflitte ai crociati consentirono a Qilij Arslan di trasferire la propria capitale a Konya.
Inoltre provarono al mondo islamico che i crociati non erano per nulla invincibili, diversamente dall'impressione suscitata dalla prima crociata.
Crociati e Bizantini si accusarono a vicenda per la disfatta, ma nessuno dei due era in grado di garantire una via di terra sicura attraverso l'Anatolia, dove invece i Selgiuchidi avevano rafforzato la propria posizione.
- L'unica via aperta verso la Terrasanta rimaneva quella marittima, e ad approfittare di questa circostanza furono, una volta di più, le repubbliche marinare italiane. La mancanza di un collegamento sicuro via terra avvantaggiò anche il Principato d'Antiochia, dove Tancredi di Tiberiade, che lo governava per conto di suo cugino Boemondo, riuscì a consolidare la propria autonomia da Bisanzio. Sia la seconda che la terza crociata conobbero, nel tentativo di attraversare l'Anatolia, un destino simile a quello della crociata del 1.101.
Nel 1.111 - Patto di Sutri. I successori di papa Gregorio VII, tra i quali Pasquale II, a proposito della lotta per le investiture, furono più inclini al compromesso, limitandosi a pretendere che i sovrani laici non attribuissero cariche religiose (quella vescovile su tutte), mentre per i regnanti era fondamentale che i vescovi investiti del potere temporale riconoscessero l'autorità del sovrano. Con il patto di Sutri (1.111), l'imperatore rinunciava alle investiture e i vescovi avrebbero restituito tutti i terreni ottenuti dall'impero. Enrico V, riconoscendo il ruolo politico di pacificazione che aveva assunto Matilde di Canossa, decise di incoronarla fra il 6 e il 10 maggio 1.111 con il titolo di Vicaria Imperiale e Vice Regina d'Italia presso il Castello di Bianello a Quattro Castella (RE).
Stemma della Marina
Militare italiana, con
i blasoni delle 4
maggiori Repubbliche
Marinare.
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Crociati e Bizantini si accusarono a vicenda per la disfatta, ma nessuno dei due era in grado di garantire una via di terra sicura attraverso l'Anatolia, dove invece i Selgiuchidi avevano rafforzato la propria posizione.
- L'unica via aperta verso la Terrasanta rimaneva quella marittima, e ad approfittare di questa circostanza furono, una volta di più, le repubbliche marinare italiane. La mancanza di un collegamento sicuro via terra avvantaggiò anche il Principato d'Antiochia, dove Tancredi di Tiberiade, che lo governava per conto di suo cugino Boemondo, riuscì a consolidare la propria autonomia da Bisanzio. Sia la seconda che la terza crociata conobbero, nel tentativo di attraversare l'Anatolia, un destino simile a quello della crociata del 1.101.
Nel 1.109 - Presa di Tripoli e Beirut da parte dei Crociati e conseguente fondazione della contea di Tripoli.
Nel
1.090/1.109 - La fortezza di montagna di Alamūt,
nelle aride colline a sud del Mar Caspio, nella Provincia di Qazvin,
vicino alla cittadina di Mo'allem Kalayeh, circa 100 km dall'odierna
Teheran in Iran, è invasa e occupata dalla potenza degli Haššašin
("fumatori di hascisc", termine dispregiativo
dell'epoca divenuto in italiano "assassini"), una
minoranza sciita dell'epoca nota con il nome di ismailiti
nizariti. L'Ismailismo
è una corrente dell'Islam sciita. I suoi membri sono chiamati
ismailiti e talvolta, "settimani" per il fatto di
riconoscere come legittima e non più revocata o mutata
successione quella del settimo Imam, Ismāʿīl, figlio di
Ja'far al-Sadiq. Gli ismailiti sono la seconda in ordine di grandezza
tra le correnti in cui è diviso l'islam sciita dopo i duodecimani.
Il loro nome deriva dalla convinzione che il settimo imam fosse
Ismāʿīl ibn Jaʿfar e non il fratello minore Mūsā al-Kāẓim la
cui legittimità è invece sostenuta dagli altri sciiti. Con
l'avvento della dinastia dei Fatimidi in Egitto tra il decimo e il
dodicesimo secolo l'Ismailismo divenne non solo la più importante
tra le correnti dello sciismo, ma giunse anche a mettere in
discussione il primato dei sunniti. L'Ismailismo ha sempre dato
grande rilevanza agli elementi esoterici della religione islamica:
dai duodecimani li separano infatti, oltre alle ragioni politiche,
anche una disquisizione sulla natura mistica della figura dell'Imam e
del suo rapporto con Allah. Il vocabolo "assassini", per indicare i suoi
fanatici seguaci sanguinari, venne usato in Occidente fin dal XII
secolo, ma nel generico significato di omicida, "assassino"
è utilizzato già da Dante nell'Inferno (Dante Alighieri, La divina
Commedia, Inferno, XIX, 50). La fortezza di Alamūt, che ha un
inusuale sistema di approvvigionamento d'acqua, era stata costruita
nell'840, secondo Hamdollah Mostowfi, ad un'altezza di 2.100 metri,
lungo una via che aveva solo una possibile entrata, così da rendere
la sua conquista estremamente difficile. Fonti arabe, persiane e
perfino cinesi illustrano la storicità della vicenda, secondo cui il
persiano al-Hasan ibn as-Sabbah era stato l'iniziatore della
diramazione eretica musulmana sciita detta degli ismailiti;
dopo esserne diventato gran maestro nel 1107, nel 1109 si era
impadronito della fortezza di Alamūt, che diventerà il centro del
suo potere. Fra le denominazioni usate dagli autori musulmani per i
seguagi di al-Hasan quella di "hashishiyyah" risulta
rarissima, tuttavia è quella che allude all'hashish e che
dovette predonimare nell'uso popolare così da dar origine al
vocabolo europeo "assassino". Le stesse fonti
asiatiche riferiscono dell'inebriamento e testimoniano del potere
assoluto esercitato dal capo.
Ubicazione della
fortezza di Alamūt
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Rovine
della fortezza di Alamūt,
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Il
Vecchio della Montagna o Veglio della Montagna è l'espressione
utilizzata da Marco Polo in un brano de Il Milione, per indicare
al-Hasan ibn as-Sabbah, maestro della cosiddetta setta degli
"ismailiyyah". Il vocabolo "assassini", per
indicare i suoi fanatici seguaci sanguinari, venne usato in Occidente
fin dal XII secolo, ma nel generico significato di omicida,
"assassino" è utilizzato già da Dante nell'Inferno (Dante
Alighieri, La divina Commedia, Inferno, XIX, 50). Fonti arabe,
persiane e perfino cinesi illustrano la storicità della vicenda. Il
persiano al-Hasan ibn as-Sabbah fu iniziatore della diramazione
eretica musulmana sciita detta degli ismailiti; dopo esserne
diventato gran maestro nel 1107, nel 1109 s'impadronì della fortezza
di Alamūt, che diventò centro del suo potere. Fra le
denominazioni usate dagli autori musulmani per i seguagi di al-Hasan
quella di "hashishiyyah" risulta rarissima, tuttavia è
quella che allude all'hashish e che dovette predominare nell'uso
popolare così da dar origine al vocabolo europeo "assassino".
Le stesse fonti asiatiche riferiscono dell'inebriamento e
testimoniano del potere assoluto esercitato dal capo: la dottrina
ismailitica ammetteva del resto l'omicidio politico, con una
spregiudicatezza che consentì di allearsi persino con i crociati.
Nel 1256, sotto il regno del gran maestro Alaaddin, terzo successore
di al-Hasan, i mongoli di Hulagu espugnarono la fortezza ritenuta
imprendibile. Il
racconto di Marco Polo descrive un luogo protetto da un castello fra
le montagne in cui il capo (Ḥasan-i Ṣabbāḥ) aveva creato un
paradiso terrestre con cibo e divertimenti come quelli descritti da
Maometto, con vino, latte e miele e dove i giovani da lui selezionati
provavano tutti i piaceri della vita. Da questo luogo i predestinati
potevano entrare e uscire solo profondamente addormentati. Quando il
Vecchio aveva bisogno di un assassino, faceva cadere in un sonno
profondo tramite hashish (da cui il termine "assassini")
oppure oppio un adepto e lo faceva svegliare fuori dal "paradiso".
Il malcapitato disperato e confuso, sarebbe potuto rientrare solo
dopo aver portato a termine la propria missione e quindi avrebbe
fatto tutto quanto richiestogli.
«Quando
lo Veglio ne facea mettere nel giardino a 4, a 10, a 20, egli gli
facea dare oppio a bere, e quelli dormía bene 3 dí; e faceali
portare nel giardino e là entro gli facea isvegliare.
Quando li
giovani si svegliavano e si trovavano là entro e vedeano tutte
queste cose, veramente credeano essere in paradiso.» (Il Milione,
capitolo 40 e segg.). La
dottrina ismailitica ammetteva del resto l'omicidio politico con una
spregiudicatezza che consentì di allearsi persino con i Cavalieri
Templari. In seguito si favoleggiò dei suoi giardini e delle sue
biblioteche. Le rovine di 23 altre fortezze rimangono ancor oggi
visibili nelle vicinanze. Nel
1.256, sotto il regno del gran maestro Alaaddin, terzo successore di
al-Hasan, i mongoli di Hulagu Khan espugnarono la fortezza ritenuta
imprendibile e la distrussero il 15 dicembre 1256, come parte
dell'offensiva mongola contro il sud-ovest asiatico islamico al fine
di distruggere la temuta setta sciita. La fortezza di per sé stessa
era inespugnabile, ma Rukn al-Din Khor-shah, figlio di Alaaddin, si
arrese senza un reale combattimento, nella vana speranza che Hulagu
sarebbe stato misericordioso, ma furono tutti sterminati in massa. Aga
Khan è il titolo ereditario dell'Imam dei Nizariti,
in precedenza chiamati anche "Setta degli Assassini", o più
semplicemente "Assassini".
Calligrafia
sciita che simboleggia
Ali
come Tigre di Dio. Da: https://
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Nel 1.111 - Patto di Sutri. I successori di papa Gregorio VII, tra i quali Pasquale II, a proposito della lotta per le investiture, furono più inclini al compromesso, limitandosi a pretendere che i sovrani laici non attribuissero cariche religiose (quella vescovile su tutte), mentre per i regnanti era fondamentale che i vescovi investiti del potere temporale riconoscessero l'autorità del sovrano. Con il patto di Sutri (1.111), l'imperatore rinunciava alle investiture e i vescovi avrebbero restituito tutti i terreni ottenuti dall'impero. Enrico V, riconoscendo il ruolo politico di pacificazione che aveva assunto Matilde di Canossa, decise di incoronarla fra il 6 e il 10 maggio 1.111 con il titolo di Vicaria Imperiale e Vice Regina d'Italia presso il Castello di Bianello a Quattro Castella (RE).
Gerusalemme nel XII sec. da "Il
Santo
Graal" di Baigent, Leigh e
Lincoln.
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La croce "patente" dei
Cavalieri Templari.
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Beauceant.
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Accanto alla croce rossa in campo bianco, fra i simboli dei templari c'era il beauceant, il vessillo, ed era una bandiera o uno scudo. La sua particolarità consisteva nella caratteristica divisione in due parti simmetriche, i cui colori erano il bianco ed il nero, forse la rappresentazione del dualismo tra il Bene e il Male, riferimento esoterico a forze cosmiche opposte e complementari. Questo dualismo comunque, molto diffuso nel medioevo, si ritrova in molteplici rappresentazioni, tra cui le matrici sigillari classiche e quelle criptiche. Nell'immaginario popolare la figura dei Templari rimane una delle più controverse, sia per il valore etico dell'ordine stesso, sia per gli enormi dubbi sollevati contro la storiografia ufficiale, da parte di alcuni studiosi, riguardo un'evidente resistenza occulta dell'ordine alla scomparsa ufficiale. Tale resistenza farebbe sopravvivere i Templari fino ai giorni nostri, tramite moderne associazioni come la Massoneria. In "Il Santo Graal" di Michael Baigent, Richard
Leigh, Henri Lincoln - 1982 Arnoldo Mondadori Editore, si ipotizza che i Templari siano stati l'emanazione di un ordine segreto (l'Ordine iniziatico e cavalleresco di Nostra Signora di Sion, chiamato brevemente ordine di Sion, istituito il 15 luglio 1099 a Gerusalemme da Goffredo di Buglione l'abbazia sul monte omonimo (http://www.prieure-de-sion.com/1/storia_del_priorato_di_sion_1011194.html) che affidava loro il compito di proteggere la stirpe del Sang Raal, il sangue reale della stirpe di Gesù e Maddalena, che era confluito nella stirpe merovingia e da questa era affluito in vari casati fino a Goffredo di Buglione, a cui venne offerta la fatidica corona di Gerusalemme. Nello stesso "Il Santo Graal" si trova l'elenco dei Gran maestri dei Cavalieri Templari fornito da Henri Lobineau nei Dossiers segreti:
1) Hugues de Payen dal 1118 al 1131,
2) Robert de Bourgogne dal 1131 al 1150,
3) Bernard de Tremblay dal 1150 al 1153,
4) Bertrand de Blancfort dal 1153 al 1170,
5) Janfeders Fulcherine o Gaufridus Fulcherius o Geoffroy Foucher dal 1170 al 1171,
6) François Othon de St Amand dal 1171 al 1179,
7) Théodore o Theodoricus o Terricusde Glaise dal 1179 al 1184,
8) François Gérard de Riderfort dal 1184 al 1190,
quindi dalla fondazione pubblica dell'ordine del Tempio fino alla sua separazione dall'ordine di Sion e all'episodio del «taglio dell'olmo» a Gisors nel 1188.
Anche Raimondo di Saint-Gilles era imparentato sia con i sovrani merovingi che con quelli carolingi. La parentela fra i sovrani merovingi e i conti di Tolosa era dovuta all'antenato di Raimondo di Saint-Gilles che era stato il nono conte di Tolosa prima di lui, Raimondo I di Rouergue (820 circa - 865 circa), che fu conte di Quercy dall'849 e poi conte di Tolosa dall'852 all'863 e anche conte di Rouergue dall'849 fino alla morte. Raimondo I fu il figlio secondogenito del conte di Rouergue, Fulcoaldo (? - † 849 circa) e di Senegonda, sorella di San Guglielmo di Gellone, discendente diretto della stirpe morovingia; entrambi erano figli di Alda o Audana, sorella di Pipino il Breve e figlia di Carlo Martello, moglie di Teodorico I o Thierry, signore di Settimania (Gothia) e conte di Autun, di discendenza merovingia. Alda o Audana fu quindi nonna di Raimondo I di Tolosa e zia di Carlomagno. Tutto questo risulta dal documento n° 160 del 3 novembre 862 delle Preuves de l'Histoire Générale de Languedoc in cui il conte di Tolosa, Raimondo, fece una donazione per l'anima del padre Fulcoaldo, la madre Senegonda ed il fratello Fredelone.
1) Hugues de Payen dal 1118 al 1131,
2) Robert de Bourgogne dal 1131 al 1150,
3) Bernard de Tremblay dal 1150 al 1153,
4) Bertrand de Blancfort dal 1153 al 1170,
5) Janfeders Fulcherine o Gaufridus Fulcherius o Geoffroy Foucher dal 1170 al 1171,
6) François Othon de St Amand dal 1171 al 1179,
7) Théodore o Theodoricus o Terricusde Glaise dal 1179 al 1184,
8) François Gérard de Riderfort dal 1184 al 1190,
quindi dalla fondazione pubblica dell'ordine del Tempio fino alla sua separazione dall'ordine di Sion e all'episodio del «taglio dell'olmo» a Gisors nel 1188.
Anche Raimondo di Saint-Gilles era imparentato sia con i sovrani merovingi che con quelli carolingi. La parentela fra i sovrani merovingi e i conti di Tolosa era dovuta all'antenato di Raimondo di Saint-Gilles che era stato il nono conte di Tolosa prima di lui, Raimondo I di Rouergue (820 circa - 865 circa), che fu conte di Quercy dall'849 e poi conte di Tolosa dall'852 all'863 e anche conte di Rouergue dall'849 fino alla morte. Raimondo I fu il figlio secondogenito del conte di Rouergue, Fulcoaldo (? - † 849 circa) e di Senegonda, sorella di San Guglielmo di Gellone, discendente diretto della stirpe morovingia; entrambi erano figli di Alda o Audana, sorella di Pipino il Breve e figlia di Carlo Martello, moglie di Teodorico I o Thierry, signore di Settimania (Gothia) e conte di Autun, di discendenza merovingia. Alda o Audana fu quindi nonna di Raimondo I di Tolosa e zia di Carlomagno. Tutto questo risulta dal documento n° 160 del 3 novembre 862 delle Preuves de l'Histoire Générale de Languedoc in cui il conte di Tolosa, Raimondo, fece una donazione per l'anima del padre Fulcoaldo, la madre Senegonda ed il fratello Fredelone.
Uno dei primi sigilli
dei Militum
Christi.
|
Ingresso
dell'antica abbazia di
Clairvaux,
che oggi è un
penitenziario,
nel dipartimento
dell'Aube,
nel nod-est
francese,
regione
Champagne-Ardenne.
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Affinità fra la forma della
costellazione della Vergine
e la mappa delle località
in cui i cistercensi fecero
costruire le cattedrali gotiche
in Francia. Da: http://
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- Dal 1.118 la politica ambigua degli imperatori bizantini nei confronti dei veneziani, temuti come troppo potenti, favorisce i rivali pisani, portando ad un'aperta rottura di Costantinopoli con Venezia, ormai totalmente indipendente come Repubblica marinara; a ricordo di ciò il leone di San Marco, emblema della Serenissima, appare nelle insegne marine della bandiera italiana unitamente ai simboli di Genova, Pisa ed Amalfi. Venezia s'impegna allora in imprese militari contro Costantinopoli e, in Siria, contro i Turchi, che le fruttano la conferma e l'estensione dei privilegi del 1082 nell'impero (1126) e nuovi privilegi e colonie nel regno di Gerusalemme (Ashqelon e Tiro). Con le crociate ha inizio il grande impero veneziano del Levante: basi in area bizantina (Costantinopoli, Tessalonica, Corinto, isole Ionie, Creta, Cipro ecc.) e gerosolimitana (Tiro, Haifa, Sidone, Ashqelon, Acri ecc.), nonché ad Alessandria d'Egitto. La gestione di questa vastissima rete d'interessi essenzialmente commerciali era affidata all'iniziativa dei privati: lo stato si limitava a proteggerli. Intanto emergeva dall'Assemblea popolare un sistema di Consigli destinati a integrare il governo dogale.
Nel 1.122 - Concordato di Worms che pone fine alla lotta per le investiture (lotta per chi detenesse il diritto di nominare vescovi e papi) fra imperatori e papi, nata dopo l'abolizione del "Privilegio Ottoniano" del 1.059. Già nel 1.049 il papa tedesco Leone IX iniziò, da un incontro con l'alto clero a Reims, una riforma della Chiesa e cominciò ad avversare il "Privilegium Ottonianum" quando Enrico III era imperatore e di cui non si fidava. Il "Privilegio Ottoniano" fu abolito da Niccolò II nel Concilio lateranense del 1.059: il papa emanò un decreto con il quale veniva stabilito che, da allora in poi, l'elezione del pontefice sarebbe stata una prerogativa esclusiva di un collegio di cardinali, riuniti in Conclave. L'abolizione del Privilegio scatenò la lotta per le investiture, che contrappose la chiesa e l'impero dal 1.076 al 1.122. Il Concordato di Worms, anche noto come "Pactum Calixtinum", fu un patto stipulato a Worms (in Germania) il 23 settembre del 1.122 fra l'imperatore Enrico V di Franconia (quarto imperatore della dinastia salica del Sacro Romano impero) e il Papa Callisto II (Guido dei Conti di Borgogna). Facendo seguito agli sforzi del cardinal Lamberto Scannabecchi (futuro Papa Onorio II) ed in base a quanto stabilito alla Dieta di Würzburg (1.121), il concordato sancì delle precise regole in materia di investiture ecclesiastiche, ponendo quindi fine alla cosiddetta "lotta per le investiture" iniziata oltre trent'anni prima tra Papa Gregorio VII e l'imperatore Enrico IV. In base ai termini dell'accordo, l'imperatore rinunciava al diritto di investire i vescovi dell'anello e del bastone pastorale, simboli del loro potere spirituale, riconoscendo solo al Pontefice tale funzione, e concedeva che in tutto l'impero l'elezione dei vescovi fosse celebrata secondo i canoni e che la loro consacrazione fosse libera. Il Papa, a sua volta, riconosceva all'imperatore il diritto, in Germania, di essere presente alle elezioni episcopali, purché compiute senza simonia né violenza (e anzi come garante del diritto e sostenitore del vescovo metropolitano), e di investire i prescelti dei loro diritti laici (cioè i diritti feudali). Inoltre, sempre e soltanto in Germania, l'investitura feudale precedeva quella episcopale, con un divario massimo di sei mesi. In Italia e in Borgogna, invece, la consacrazione episcopale precedeva quella feudale. Questa difformità di regole ebbe come conseguenza che mentre in Germania gli eventuali contrasti insorti tra l'episcopato e l'imperatore venivano risolti attraverso la mediazione dei vescovi metropoliti e dei loro suffraganei, nei "regni" d'Italia e di Borgogna, mancando queste figure intermedie, il rapporto tra l'episcopato e la Santa Sede era diretto, per cui i Pontefici potevano intervenire in prima persona in tutti i casi di elezioni contrastate. Ciò significava che dove c'era un regime di "governo" imperiale si votava per prima l'imperatore e viceversa nei luoghi dove vigeva il governo ecclesiastico. Logica conseguenza del concordato di Worms fu la convocazione di un concilio ecumenico. L'ultimo concilio si era svolto tre secoli prima a Costantinopoli; il nuovo si tenne a Roma in Laterano e fu il primo concilio celebrato in Occidente (il nono della storia). Il Concordato di Worms del 1.122, concluso tra Papa Callisto II ed Enrico V, rappresentò un modello per gli sviluppi successivi delle relazioni tra la Chiesa e l'Impero. Secondo il concordato, la Chiesa aveva il diritto di nominare i vescovi, quindi l'investitura con anello e pastorale doveva essere ecclesiastica. Le nomine, tuttavia, dovevano avvenire alla presenza dell'imperatore, o di un suo rappresentante, che attribuiva incarichi di ordine temporale ai nuovi vescovi mediante l'investitura con lo scettro, un simbolo privo di connotazione spirituale. Nonostante il concordato di Worms, la Chiesa nel Medioevo non ottenne mai un controllo completo nella nomina dei vescovi, ma le basi per la progressiva divisione dei poteri erano state gettate. Dopo tale Concordato, in Italia i vescovi sarebbero divenuti proprietari terrieri solo dopo essere stati nominati dal Papa; in Germania, invece, l'Imperatore nominava feudatario di un terreno qualsiasi persona, che in seguito sarebbe stata nominata con il titolo ecclesiastico di vescovo dal Papa.
Nel 1.125 - Muore Enrico V, imperatore del Sacro Romano Impero e inizia la lotta per la corona imperiale tra la casata sassone-bavarese dei Welfen (pronuncia velfen, da cui la parola guelfi) e quella sveva degli Hohenstaufen, signori del castello di Waiblingen, nei pressi di Stuttgart (anticamente chiamata Wibeling, da cui la parola ghibellini).
L'impero
romano orientale (bizantino) alla morte di
Giovanni
II Comneno, nel 1143, da: https://it.wiki
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- Nell'agosto del 1122 si combatte la battaglia di Beroia fra i Peceneghi e l'imperatore bizantino Giovanni II Comneno nell'attuale Bulgaria, presso la città di Beroia (oggi Stara Zagora) che provocherà la scomparsa dei Peceneghi come popolo indipendente. Nel 1091 i Peceneghi avevano invaso l'Impero bizantino ed erano stati sconfitti dal padre di Giovanni II Comneno, Alessio I Comneno, nella battaglia di Levounion. Questa battaglia aveva significato l'estinzione quasi totale di tutti i peceneghi che avevano partecipato alla spedizione; tuttavia, un certo numero di peceneghi era sopravvissuto, benché attaccati nel 1094 dai cumani. I superstiti dalla battaglia, nella maggior parte dei casi, si erano stabiliti nei Balcani, senza tuttavia integrarsi con gli abitanti del luogo. Nel 1122 c'era stata una nuova invasione dei peceneghi dalle steppe russe, che avevano invaso l'Impero bizantino attraversando la frontiera sul Danubio. Secondo Michele Angold, è possibile che questa invasione sia stata causata da Vladimir II di Kiev (1113-1125), Re di Kiev. L'Imperatore Giovanni II Comneno di Bisanzio (1118-1143) era fortemente determinato per fermare gli invasori, che rischiavano di fargli perdere il controllo della parte settentrionale dei Balcani, quindi aveva trasferito il suo esercito dalla frontiera dell'Asia Minore (dove nel frattempo i bizantini stavano combattendo contro i turchi), in Europa e si metteva in marcia per andare a combattere i peceneghi. La vittoria bizantina a Beroia decretò la fine del problema dell'invasione dei peceneghi. Per un certo periodo, i peceneghi rimasti si raggrupparono in Ungheria, ma erano solo una minoranza e ben presto si unirono alla gente del luogo, e così il popolo dei peceneghi scomparve. Per i bizantini, tuttavia, la vittoria non condusse immediatamente alla pace nei loro domini nei Balcani: dal 1128 al 1130, l'Impero subì diversi attacchi degli ungheresi, che si conclusero solo dopo che l'Ungheria cadde in una guerra civile. Tuttavia, la battaglia viene contrassegnata come continuazione del ripristino dei Comneni dell'Impero bizantino; queste vittorie sui peceneghi e poi sugli ungheresi permisero ai bizantini di stabilizzare la loro frontiera sul Danubio, permettendo all'imperatore Giovanni II Comneno di concentrare i propri sforzi nella lotta contro i turchi selgiuchidi nell'Asia Minore.
Nel 1.124 - Si sottoscrive un trattato di alleanza tra il regno di Gerusalemme e la Repubblica di Venezia, che si era affrancata dalla dipendenza di Costantinopoli nel IX secolo, prima dell'inizio dell'assedio di Tiro nel febbraio 1.124 (la città capitolò ai crociati più tardi quello stesso anno). Il trattato fu negoziato dal Patriarca Guermondo e quindi è conosciuto come "Pactum Warmundi" dalla forma latina del suo nome, Warmundus. Precedenti trattati erano stati negoziati tra Gerusalemme e Venezia ed altre città-stato italiane, ed agli stessi veneziani erano stati concessi privilegi nel 1.100 e nel 1.110 in cambio di aiuto militare, ma questo trattato fu molto più ampio. Il Pactum concesse ai veneziani di avere proprie chiese, strade, piazze, bagni, mercati, unità di misura, mulini e forni in ogni città controllata dal re di Gerusalemme, ad eccezione di Gerusalemme stessa, dove la loro autonomia era più limitata. Nelle altre città, furono autorizzati ad utilizzare le unità di misura veneziane per fare affari e commerciare con altri veneziani, per il resto dovevano usare le unità di misura ed i prezzi stabiliti dal re. In Acri, fu loro concesso un quartiere della città, dove ogni veneziano "possa essere libero come nella stessa Venezia." .
In Tiro ed Ascalona (sebbene non ancora conquistate), fu loro concesso un terzo della città ed un terzo della campagna circostante che probabilmente, nel caso di Tiro, comprendeva ventuno villaggi. Questi privilegi erano totalmente esenti da tassazione, mentre le navi veneziane sarebbero state assoggettate ad imposizione se avessero trasportato pellegrini e in questo caso il re aveva personalmente diritto ad un terzo della tassa. Per il loro aiuto nell'assedio di Tiro ai veneziani furono assegnati 300 "bisanti saraceni" per anno dalle entrate di quella città. Essi furono autorizzati ad utilizzare le proprie leggi nelle cause civili tra veneziani o nel caso in cui era un veneziano ad essere convenuto, mentre se l'attore era veneziano la questione sarebbe stata decisa nei tribunali del Regno Se un veneziano naufragava o moriva nel Regno, le sue proprietà sarebbero state inviate indietro a Venezia invece che essere confiscate dal re. Tutti coloro che vivevano nel quartiere veneziano di Acri o nei distretti veneziani nelle altre città erano soggetti alle leggi veneziane. Il Pactum fu firmato dal Patriarca Guermondo; Ebremaro, arcivescovo di Cesarea; Bernardo, Arcivescovo di Nazaret; Aschetino, vescovo di Betlemme; Ruggero, vescovo di Lidda; Guildin, abate di Santa Maria di Giosafat; Gerardo, priore della Santo Sepolcro; Aicardo, priore del Templum Domini; Arnaldus, priore di Monte Sion; Guglielmo di Buris ed il cancelliere Pagano (probabilmente Hugues de Payns, Ugo de Pagano in latino, Gran Maestro dell'ordine dei cavalieri templari, la "Militia Christi templique Salomonis"). A parte Guglielmo e Pagano, nessuna autorità secolare fu testimone al trattato, forse a indicare che i veneziani consideravano Gerusalemme un feudo papale.
- L'accresciuta potenza di Venezia e
l'alto numero di privilegi che ha ottenuto, mettono nel tempo in
rotta Bizantini e Veneziani, portando ad un succedersi di contrasti,
con le guerre del 1122-1126 e del 1171-1175, che favoriranno
l'espansione commerciale genovese in Oriente.
Stemma della Repubblica
marinara di Venezia.
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Nel 1.125 - Muore Enrico V, imperatore del Sacro Romano Impero e inizia la lotta per la corona imperiale tra la casata sassone-bavarese dei Welfen (pronuncia velfen, da cui la parola guelfi) e quella sveva degli Hohenstaufen, signori del castello di Waiblingen, nei pressi di Stuttgart (anticamente chiamata Wibeling, da cui la parola ghibellini).
L'occitana Alienor o Eleonora,
duchessa d'Aquitania e
Guascogna, contessa
di Poitiers, regina di
Francia e d'Inghilterra.
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- Il culto della donna, vista dall'amante come un essere sublime, irraggiungibile, in certi casi anche divino.
- L'inferiorità dell'uomo rispetto alla donna amata: l'amante si sottomette completamente e obbedisce alle volontà della donna. Tale rapporto fra i due sessi è definito "servizio d'amore". L'amante presenta il suo omaggio alla donna e resta in umile adorazione di fronte a lei. Si tratta di un "amore-vassallaggio" in cui il rapporto tra l'uomo e la donna è simile a quello intercorrente tra il vassallo e il suo signore.
- L'amore inappagato, cioè l'amante non chiede nulla in cambio dei suoi servigi. Non si tratta però di amore spirituale, platonico, anzi si presenta con note sensuali.
- La gioia, o meglio una forma di ebbrezza ed esaltazione, di pienezza vitale, formata dall'amore impossibile, che genera però anche sofferenza e tormento.
- L'amore adultero, che si svolge al di fuori del vincolo coniugale: addirittura, si teorizza che nel matrimonio non possa esistere veramente "amor fino". Il matrimonio, infatti, spesso era un contratto stipulato per ragioni dinastiche o economiche.
- Il carattere adultero dell'amore esige il segreto, che tuteli l'onore della donna: per questo il suo nome non viene mai pronunciato dai poeti.
- Il conflitto tra amore e religione, scaturito dal culto per la donna divinizzata con il culto per Dio; inoltre la Chiesa condanna notoriamente il peccato dell'adulterio.
Eleonora ricevette l'educazione di una giovane nobile del suo tempo: imparò a leggere e scrivere in latino, la musica, la matematica e la letteratura dell'epoca, inoltre imparò a cavalcare ed a partecipare alla caccia. Suo nonno, Guglielmo IX, morì il 10 febbraio 1.126 e suo padre Guglielmo X gli succedette. Il 3 marzo 1.130, secondo lo storico e archeologo francese, Jacques-Joseph Champollion, suo padre Guglielmo X fece una donazione alla chiesa di Sant'Ilario de La Celle (nei dintorni di Poitiers) che veniva controfirmata dal padre, dalla madre Aénor, da Eleonora e dal fratellino, Guglielmo l'Ardito (Willielmi ducis Aquitanorum, Aenordis comitissæ, Alienordis filiæ eorum, Wilelmi Aigres filii eorum). Non si conosce l'anno esatto, ma tra il 1.130 ed il 1.137, Eleonora divenne l'erede dei ducati d'Aquitania e Guascogna, fra i più importanti domini del regno di Francia (e che non erano vassalli della corona di Francia) per la morte del fratello, Guglielmo l'Ardito. Nel contempo, rimasto vedovo, dopo il 1.130, suo padre, Guglielmo X sposò, in seconde nozze, Emma di Limoges, figlia del conte di Limoges, Ademaro III . Infatti, suo zio Raimondo di Poitiers (ca. 1.115-1.149), nel 1.136, sposò la principessa Costanza (come viene ricordato dall'arcivescovo Guglielmo, della città di Tiro, nell'odierno Libano), di 10 anni, figlia ed erede di Boemondo II, Principe d'Antiochia e di Alice di Gerusalemme per cui poi divenne principe d’Antiochia. Guglielmo X, alla fine del 1.136, iniziò un pellegrinaggio per Santiago de Compostela ma morì, forse per un'intossicazione alimentare, durante il viaggio, nel 1.137, sembra di Venerdì Santo; secondo la Chronique de Guillaume de Nangis, morì la vigilia di Pasqua (il 9 aprile) e fu sepolto a Santiago de Compostela. Lasciò due figlie: Eleonora e Petronilla. Comunque, prima di morire si raccomandò che la primogenita Eleonora, che gli subentrava nei titoli di duchessa d'Aquitania e di Guascogna e di contessa di Poitiers, portando in dote l'Aquitania, fosse data in sposa a Luigi (1.120-1.180), figlio ed erede del re di Francia, Luigi VI. Luigi VI, pensando che il regno di Francia dalla Loira si sarebbe esteso sino ai Pirenei ed al Mar Mediterraneo, accettò di buon grado e così Luigi il Giovane, con un folto seguito si diresse in Aquitania. Il matrimonio tra Eleonora e Luigi di Francia fu celebrato, a Bordeaux, il 22 luglio 1.137, nella Cattedrale di Sant'Andrea. La prima notte di nozze fu nel castello di Taillebourg. Secondo l'usanza dell'epoca le feste durarono alcuni giorni e si svolsero nei dintorni di Bordeaux, al palazzo di Ombrière; le feste accompagnarono gli sposi anche durante il viaggio verso Parigi. Durante il viaggio, gli sposi furono incoronati duchi d'Aquitania nella cattedrale di Poitiers, ma il ducato non venne riunito alla corona di Francia, Eleonora rimase duchessa e Luigi duca consorte; fu altresì stabilito che il loro primo figlio sarebbe stato re di Francia e duca d'Aquitania, quindi la fusione dei due domini sarebbe avvenuta con una generazione di ritardo. Secondo Orderico Vitale, Luigi VII, fu incoronato a Poitiers, re di Francia e re consorte di Aquitania, dopo la morte del padre, Luigi VI, morto il primo di agosto del 1.137 (dopo essersi ammalato nella foresta vicino a Compiègne), quando gli sposi erano ancora in viaggio per Parigi. Nel giorno di Natale del 1.137 Eleonora venne incoronata a Bourges, mentre il marito veniva reincoronato (essendo già stato incoronato all'età di 11 anni, il 25 ottobre 1.131, a Reims). Di spirito libero e vivace, non è ben accettata alla corte di Francia, fredda e riservata; ella è criticata per la sua condotta ritenuta indecente (così come era già avvenuto per un'altra regina del sud della Francia, Costanza d'Arles, moglie di Roberto II di Francia, circa un secolo prima): i suoi lussi, dai gioielli alle tappezzerie, sorpresero i cortigiani e poi i trovatori che lei faceva venire alla corte non erano graditi: il Marcabru, addirittura, fu cacciato dal re in persona per le canzoni, un poco spinte, composte per la sua amata, che forse era la regina; il trovatore in seguito dovette recarsi presso le corti spagnole per poter continuare a vivere della sua arte. Eleonora era soprattutto criticata per l'influenza che esercitava sul re. La giovane coppia (entrambi avevano meno di vent'anni) prendeva decisioni avventate come la spedizione (che si risolse in un insuccesso) contro la contea di Tolosa su cui Eleonora vantava dei diritti, per via della nonna Filippa di Tolosa oppure il conflitto col Papa Innocenzo II per la nomina del nuovo arcivescovo di Bourges (Pietro de La Châtre) a cui il re proibì di entrare in città; oppure la pressione esercitata su Rodolfo di Vermandois (1.085-1.152) affinché ripudiasse la moglie, Eleonora di Champagne, per risposarsi con la giovane Petronilla d'Aquitania (1.125-1.153, invaghita del maturo Rodolfo), sorella della duchessa Eleonora; Rodolfo accettò, fu scomunicato dal papa assieme a Petronilla e, nel 1.142, dovette sostenere un conflitto vittorioso contro il conte di Champagne Tibaldo IV di Blois (presso il quale si era rifugiato Pietro della Châtre), fratello della moglie ripudiata, Eleonora di Blois. Durante il conflitto in cui il re appoggiò Rodolfo, ci fu la conquista della città di Vitry-en-Perthois; gli abitanti della città, sembra circa 1.300, si rifugiarono nella chiesa, a cui fu dato fuoco. Sul regno di Francia e sulla coppia reale, ancora senza figli, cadde l'Interdetto della Chiesa. Eleonora si recò a consiglio da Bernardo di Chiaravalle, che consigliò la riappacificazione dei conflitti; cosa che avvenne, la Champagne fu restituita a Tibaldo e Pietro poté ottenere l'arcivescovato di Bourges. La scomunica fu ritirata e nel 1.145 la coppia reale ebbe una figlia, Maria. Affinché l'Interdetto fosse tolto ed anche per ottenere la nascita del sospirato figlio maschio, Eleonora, influenzata sempre dalle prediche di Bernardo di Chiaravalle (che aveva ricevuto l'incarico da papa Eugenio III di predicare la crociata in Francia, cosa che Bernardo fece con ottimi risultati e poi si recò a predicarla anche nei territori dell'impero, dove ebbe un altrettanto buon risultato), spinse Luigi a partecipare alla Seconda crociata; lei lo avrebbe accompagnato in Terra Santa come pellegrina, come sostiene lo storico Steven Runciman, nel volume II del suo "A history of the Crusades". La seconda crociata francese, essendovi al seguito la regina e parecchie dame dei crociati, cariche di bagagli, si ritrovò un convoglio sovraccarico, che procedeva lentamente. Partì nel giugno del 1.147, mentre la crociata tedesca, partita a maggio, arrivò molto prima in terra Santa. Con la crociata cominciarono i dissapori tra i coniugi:
- lei si fece accompagnare dal trovatore Jaufré Rudel,
- la strage alla battaglia del monte Cadmo, nel 1.148, dove l'avanguardia (con la regina), comandata da un vassallo aquitano, Goffredo di Rancon, contravvenendo agli ordini non attese la retroguardia (con il re) ed i pellegrini, che subirono un massacro da parte dei Turchi; il re si salvò miracolosamente. La colpa ricadde su Goffredo, ma i dubbi su Eleonora rimasero.
- l'incontro con lo zio Raimondo di Poitiers, che accolse i Crociati in Antiochia, ma non fu ricambiato in alcun modo. Allora circolò la diceria che tra zio e nipote nascesse un incestuoso adulterio, nei mesi che Luigi ed i francesi furono a Gerusalemme, mentre la regina e gli aquitani rimanevano in Antiochia.
- anche l'esito negativo della crociata (la mancata conquista di Damasco) e la colossale menzogna Bizantina che nascose ai francesi il disastro a cui erano andati incontro i tedeschi, portò dissapori tra i coniugi.
Nel 1.149 Luigi VII ed Eleonora ritornarono dalla crociata e arrivarono in Italia, via mare, separatamente. Incontrarono il Papa Eugenio III nell'Abbazia di Montecassino, che riuscì a farli riconciliare. Rientrarono in Francia e nel 1.150, nacque una seconda figlia, Alice. Nel 1.151 il rapporto tra i coniugi era ancora buono, come ci conferma il documento n° XXIX del Cartulaire de l'abbaye royale de Notre-Dame de Saintes, in cui Eleonora con l'approvazione del marito, re di Francia e duca d'Aquitania (Ludovici regis Francorum et ducis Aquitanorum collateralis nostri), conferma i privilegi all'abbazia di Notre-Dame de Saintes. Ma i dissapori continuarono. L'11 marzo 1.152 si riunirono nel sinodo di Beaugency gli arcivescovi di Bordeaux, Rouen, Reims ed il primate di Francia, che il 21 marzo, dinnanzi a Luigi ed Eleonora, sancirono, con la benedizione papale, che il loro matrimonio era stato nullo per consanguineità di quarto grado, ambedue discendevano da Roberto II di Francia (dal primogenito Enrico I di Francia attraverso Filippo I di Francia e Luigi VI di Francia discendeva Luigi; mentre dal secondogenito, duca di Borgogna Roberto di Francia attraverso Hildegarda di Borgogna (che aveva sposato Guglielmo VIII di Aquitania), Guglielmo IX di Aquitania e Guglielmo X di Aquitania, da cui discendeva Eleonora). Le due figlie venivano dichiarate legittime e sarebbero rimaste presso la corte francese e tutti i possedimenti di Aquitania e Guascogna venivano restituiti ad Eleonora.
Sultanato
selgiuchide di Rûm o Sultanato di Nicea o
Sultanato
di Iconio nella sua espansione. Da: https://
|
Dal
1.141 - Nell'impero selgiuchide, dopo essere emerso come
Gran Sultano da una lunga serie di guerre dinastiche, nel 1141 lo
shah Ahmed Sanjar, preoccupato per l'espansione dei mongoli
Kara Khitay, che avevano appena occupato la Transoxiana, marciò
contro di loro affrontandoli a Samarcanda: disastrosamente
sconfitto, riuscì a stento a salvare la propria vita fuggendo.
La battaglia provocò per i Selgiuchidi la perdita della Corasmia
(regione asiatica corrispondente all'attuale regione uzbeka del
Khwārizm, in passato corrispose al khanato di Khīwa. È situata
lungo il corso inferiore dell'Āmū Daryā, ovvero Oxus, gravitante
intorno al Lago d'Aral), che divenne stato vassallo dei Kara Khitay e
iniziò una campagna di aggressione contro i propri precedenti
signori. Il sovrano corasmio Anushtigin, approfittando della
debolezza dei Selgiuchidi nell'Iran, iniziò una rapida espansione ai
loro danni, che portò nel 1153 alla cattura dello stesso Gran
Sultano Ahmed. Liberato nel 1156, Ahmed morì l'anno successivo e
venne sepolto a Merv.
Nel 1.145 - Papa Eugenio III, con la bolla Quantum praedecessores (scritta a Vetralla), bandisce la Seconda Crociata. La seconda crociata fu la diretta conseguenza della caduta della contea di Edessa nel dicembre del 1.144, ad opera dell'atabeg Zengī (arabo ‘Imād al-Dīn Zengi) di Aleppo e Mossul - che, con la città anatolico-mesopotamica di Harrān, costituiva la regione che gli Arabi chiamavano Jazira (letteralmente "l'isola"), solo nominalmente dipendente dai Selgiuchidi e ancor più simbolicamente, dal Califfo Abbaside. Con gli sforzi di papa Callisto II, mirante ad una spedizione su larga scala, si accorparono nella crociata anche la spedizione in Spagna e contro gli Slavi Vendi dell'est Europa.
La caduta di Edessa fece impressione, ma probabilmente molto meno di quanto si possa pensare, perché l'indizione di una nuova crociata contro i musulmani stentò a partire: furono necessari tutti gli sforzi del papa Eugenio III e di Bernardo di Chiaravalle, futuro santo, per darle lo slancio iniziale. Il teologo san Bernardo di Chiaravalle (Bernard de Clairvaux) teorizzò, in risposta alla difficoltà per un cristiano di conciliare la guerra non difensiva con la parola di Dio, la teoria del malicidio: chi uccide un uomo intrinsecamente cattivo, quale è chi si oppone a Cristo, non uccide in realtà un uomo, ma il male che è in lui; dunque egli non è un omicida bensì un malicida. Questa episodica giustificazione, in risposta a un espresso quesito dei cavalieri templari, non assunse tuttavia il carattere di giustificazione generalizzata di quella che fu, in effetti, una campagna per la ripresa di Edessa. In risposta all'appassionata azione predicatoria messa in atto da Bernardo di Chiaravalle, il 1º dicembre 1.145 papa Eugenio III, con la bolla Quantum praedecessores (scritta a Vetralla), bandì quindi una nuova Crociata per recuperare la perduta contea che, per essere la più settentrionale era anche quella più difficile da difendere. Con la bolla il papa estese l'indulgenza collegata alla crociata a tutti quelli che sarebbero andati in soccorso della Chiesa Orientale. Il 1º marzo 1.146 il papa modificò la bolla e, rifacendosi all'appello del suo predecessore Urbano II, dichiarò che la perdita di Edessa era da imputare solo ai peccati dei cristiani e perciò esortava tutti a combattere contro i nemici di Cristo, in qualsiasi luogo essi si trovino. Ribadì, inoltre, che i privilegi dei crociati erano l'indulgenza dei peccati, sospensione da eventuali processi in corso, moratoria sugli interessi dei debiti, protezione della persona del crociato e dei suoi beni da parte della Chiesa. Alla nuova Crociata risposero questa volta due importanti sovrani, e non più semplici nobili di maggiore o minor caratura: l'Imperatore germanico Corrado III (che in realtà non fu però mai incoronato come tale) e il sovrano francese capetingio Luigi VII, col loro seguito di mogli e cortigiani. Nonostante che Ruggero II, re normanno di Sicilia, si fosse offerto di trasportare tutti gli uomini via mare direttamente in Terrasanta, i due sovrani decisero di seguire l'itinerario via terra, sia perché suggerito dall'imperatore bizantino Manuele I quando questi era stato interpellato nell'estate del 1.146, sia perché entrambi i sovrani, come pure lo stesso papa, erano molto diffidenti nei confronti del normanno. La Seconda Crociata ebbe un primo grave rovescio ancor prima di affacciarsi in Terra Santa perché l'esercito franco-germanico, in cui i francesi erano all'avanguardia e i tedeschi in retroguardia, invase i domini dei turchi danishmendidi. I soldati di Corrado incapparono in un'imboscata nell'ottobre del 1.147 (Battaglia di Dorylaeum) e nel 1º gennaio del 1.148 in Pisidia, davanti ad Antiochia l'esercito di Corrado venne massacrato. Le difficoltà di approvvigionamento - dovute alle violente razzie con cui i Crociati provvedevano a risolvere i propri problemi logistici ma che inducevano le popolazioni cristiane locali a nascondere i propri beni e se stesse - segnarono negativamente i guerrieri, al cui interno le rivalità avevano assunto le tinte assai più gravi d'una semplice cameratesca rivalità etnica. In realtà a rendere vana l'impresa era l'inadeguata capacità di questi nuovi Crociati di leggere in modo appropriato la delicata situazione strategica che reggeva Outremer. L'indecisione del sovrano francese - inutilmente spronato dalla moglie Eleonora d'Aquitania (dalla quale sarà costretto poco più tardi a divorziare) - a concepire in modo più ampio e organico la sua venuta e a non limitarsi a un puro e semplice assolvimento del votum crucis da esaurire a Gerusalemme, costituì la vera debolezza della Seconda Crociata che decise di conquistare Damasco ritenendola punto nodale di un'azione di affermazione cristiana in Terra Santa. La decisione fu quanto mai deleteria perché in quel modo ci si inimicava l'unica importante entità politica islamica che intendeva seguitare a mantenere rapporti cordiali e pacifici con i Crociati. La locale dinastia dei Buridi temeva infatti di cadere sotto il controllo dei potenti Zengidi di Norandino, degli ancor più potenti Selgiuchidi o dei Fatimidi che non avevano mai abbandonato l'idea d'inglobare la città e i suoi domini al loro Imamato. L'importanza strategica di Damasco per Outremer era tutta nella sua collocazione lungo la sua frontiera orientale e nella sua capacità di impedire che si saldasse il cerchio anti-crociato da parte delle forze musulmane ostili, senza dimenticare la valida sponda che a Outremer i Buridi garantivano anche sul piano economico e commerciale. Ciò nonostante i due sovrani decisero l'assedio di Damasco, malgrado le loro truppe fossero decimate, demoralizzate e cariche di reciproco astio. Il 24 luglio 1.148 l'assedio cominciò ma la resistenza incontrata fu inaspettatamente assai forte mentre - cosa che i Crociati avrebbero a tutti i costi dovuto evitare - l'emiro buride Onor chiedeva aiuto a Norandino. L'assedio terminò con un nulla di fatto il 28 luglio 1.148, dopo soli quattro giorni di offensive e controffensive di limitata entità, con un avvilente ritiro degli assedianti e con il loro definitivo abbandono della scena siriana. Alla Crociata prese parte anche Cacciaguida, antenato di Dante Alighieri, come il poeta ricorda nel suo Paradiso.
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Carta con gli stati cristiani in
Terrasanta nel 1140:
Contea di Edessa, Principato di
Antiochia, Contea
di Tripoli e Regno di Gerusalemme. Da
"Asia
minor 1140" di Alexander G.
Findlay - Classical
Atlas of Ancient Geography: https://commons.
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