Salah ad Din Jusuf ibn Ajub,
il Saladino.
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Nel tentativo di distogliere l'attenzione dei crociati dall'Egitto, Norandino attaccò il Principato di Antiochia, massacrando molti soldati cristiani e catturando numerosi condottieri crociati, fra cui il principe di Antiochia Rinaldo di Chatillon. Norandino mandò poi gli scalpi dei cristiani uccisi a Shirkuh in Egitto affinché li mostrasse ai soldati di Amalrico. Tali eventi spinsero sia Amalrico che Shirkuh a condurre i loro eserciti fuori dall'Egitto. Nel 1.167, Norandino mandò nuovamente Shirkuh a conquistare l'Egitto. Ancora una volta, Shawar chiamò Amalrico in suo soccorso. Le forze cristiane ed egiziane riuscirono a fermare Shīrkūh, costringendolo a ritirarsi verso Alessandria. Amalrico decise in seguito di rompere l'alleanza con Shawar e di scagliarsi a sua volta contro l'Egitto, ponendo Bilbeys sotto assedio. Fu così che Shawar si rivolse al suo vecchio nemico Norandino per difendersi dal tradimento di Amalrico. Non disponendo di forze sufficienti per tenere a lungo Il Cairo sotto assedio, Amalrico decise infine di ritirarsi. Nel frattempo, la nuova alleanza aveva permesso a Norandino di estendere il proprio controllo a tutto il Nord della cosiddetta Mezzaluna Fertile e a porre una pesante ipoteca sull'Egitto. Shawar venne condannato a morte per la sua alleanza con i cristiani, mentre Shīrkūh gli succedette in qualità di visir dell'Egitto. Nel 1.169 Shīrkūh morì dopo solo alcune settimane di governo e a succedergli fu il nipote Saladino. Norandino morì nel 1.174, lasciando il suo impero al figlio undicenne al-Salih Isma'il e dopo alterne vicende l'unico uomo che si dimostrò in grado di condurre il jihad contro i Crociati fu Saladino, che controllava l'Egitto e gran parte della Siria, dando inizio alla dinastia degli Ayyubidi (dal nome del padre, Ayyub). Anche Amalrico morì nel 1.174, lasciando il trono di Gerusalemme al figlio tredicenne Baldovino IV, il quale concluse un accordo con Saladino per consentire il libero scambio commerciale tra i territori dei musulmani e quelli dei cristiani. Baldovino IV di Gerusalemme, detto il re lebbroso (Gerusalemme, 1.161 - Gerusalemme, 16 marzo 1.185), è stato re di Gerusalemme dal 1.174 alla morte. Figlio di Amalrico I di Gerusalemme e Agnese di Courtenay, Baldovino trascorse la giovinezza alla corte del padre, a Gerusalemme, ed ebbe pochi contatti con la madre, titolare della Contea di Giaffa e Ascalona e più tardi Signora di Sidone. La coppia era stata costretta ad annullare il matrimonio nel 1.164 a causa di un vizio di consanguineità sollevato dalla Chiesa e avallato dai nobili ostili ad Agnese. Amalrico ottenne comunque il riconoscimento della legittimità dei figli nati da quell'unione (Baldovino e la sorella maggiore Sibilla) che furono dichiarati suoi eredi diretti. L'educazione di Baldovino IV fu affidata a Guglielmo di Tiro, che poi divenne anche Arcivescovo di Tiro e cancelliere del Regno. Fu proprio Guglielmo a notare per primo, durante l'infanzia di Baldovino, che il giovane principe non sentiva dolore quando gli si pizzicava il braccio destro. In un primo tempo pensò ad un'accentuata capacità di resistenza al dolore, poi condusse alcuni esami e scoprì che il braccio e la mano destra erano in parte paralizzati. Solo nell'età della pubertà fu possibile effettuare la diagnosi di lebbra, e in quegli anni il decorso della malattia subì un'impressionante accelerazione, degenerando nella forma lepromatosa, la più devastante. Nel 1.176, il principe di Antiochia Rinaldo di Châtillon, liberato dalla sua prigionia, cominciò ad assaltare le carovane che transitavano nella regione della Buqā'ya e, in particolare, una di pellegrini che si recavano a Mecca per il hajj. Rinaldo estese la sua attività corsara fino al Mar Morto, con le sue galee che rendevano estremamente rischiosa la navigazione ai musulmani che si recavano alla Città Santa dell'Islam. Le violenze perpetrate contro gli inermi pellegrini suscitò un vivo odio in tutto il mondo musulmano nei confronti di Rinaldo. Baldovino IV morì nel 1.185 e il trono passò a Baldovino V che al tempo aveva solo cinque anni: la reggenza fu dunque tenuta da Raimondo III di Tripoli, il bisnipote di Raimondo IV di Tolosa (Raimondo di Saint-Gilles della prima crociata) che succedette a suo padre Raimondo II di Tripoli dopo che costui era stato ucciso dalla setta dei al-Hašīšiyyūn nel 1.152, quando Raimondo aveva solo dodici anni. Sua madre, la principessa Hodierna di Tripoli, figlia del re di Gerusalemme Baldovino II, governò come reggente fino a quando Raimondo non compì quindici anni. In seguito venne anche conosciuto con il nome di Raimondo il Giovane per distinguerlo da suo padre. Nel 1.186 Baldovino V morì e la Principessa Sibilla di Gerusalemme (sorella di Baldovino IV e madre di Baldovino V) incoronò sé stessa regina e nominò re il suo nuovo marito Guido di Lusignano. Fu proprio in questo periodo che Rinaldo diede l'assalto ad un'altra ricca carovana, facendo prigionieri i suoi componenti. Saladino intimò quindi che i prigionieri venissero liberati e che il carico fosse restituito. Il nuovo re Guido chiese a Rinaldo di rilasciare i prigionieri, ma la richiesta del sovrano rimase inascoltata. Fu proprio il rifiuto di Rinaldo di Châtillon a dare al Saladino la possibilità di attaccare la città di Tiberiade nel 1.187. Il re Guido decise quindi di marciare con il suo esercito fino ai Corni di Hattīn, nei pressi della città di Tiberiade. L'esercito crociato, vinto dalla sete e demoralizzato, venne massacrato nella battaglia tenutasi nei pressi della città. Guido e Rinaldo, fatti prigionieri, vennero condotti nella tenda del Saladino, dove a Guido venne offerto un calice contenente acqua o, secondo altre fonti, un sorbetto fatto con le nevi del monte Hermon. Ciò stava a significare che Guido era sotto la protezione del Saladino ma Rinaldo, sfinito dalla sete, afferrò impulsivamente il calice di Guido e bevve. Saladino reagì istantaneamente mozzando con la sua stessa spada la testa di Rinaldo, affermando subito dopo di aver in tal modo assolto a un solenne voto da lui fatto subito dopo l'assalto operato dal principe, in un periodo tra l'altro di tregua concordata, ai danni di una carovana di pii musulmani diretti ai riti del pellegrinaggio (hajj) alla Mecca. Guido, invece, fu inviato a Damasco e fu poi riscattato dal suo popolo. Fu così che, entro la fine dell'anno, Saladino prese San Giovanni d'Acri e Gerusalemme. Secondo la tradizione, papa Urbano III morì il 20 ottobre 1.187 alla notizia di questi avvenimenti, dopo però aver scritto l'enciclica Audita tremendi. Il nuovo papa, Gregorio VIII, disse che la caduta di Gerusalemme era da considerare come il castigo di Dio per i peccati dei cristiani in Europa. Si decise dunque di preparare una nuova crociata. A Gisors il 22 gennaio 1.188 il re di Francia Filippo Augusto e il re Enrico II di Inghilterra con Filippo di Fiandra decidono di partire per la crociata; per tale motivo impongono nei loro territori una nuova tassa, detta la decima del Saladino per finanziarla. Anche l'ormai vecchio imperatore Federico Barbarossa decise di rispondere immediatamente all'appello del papa. Egli ricevette la croce nella cattedrale di Magonza il 27 marzo 1.188 e fu il primo a partire nel maggio 1.189 alla volta della Terrasanta, accompagnato da Federico duca di Svevia, suo figlio secondogenito, e da molti vassalli. Federico era riuscito a radunare un esercito così numeroso (valutato in 15.000 uomini, di cui 3.000 cavalieri) che non gli fu possibile trasportarlo via mare, vedendosi perciò costretto ad attraversare l'Asia Minore, passando per l'Ungheria e i Balcani. L'esercito tedesco attraversò il territorio ungherese senza particolari problemi ed il 23 giugno 1.189 entrò nel territorio bizantino, dopo aver superato il Danubio nei pressi di Belgrado. La regione era solo nominalmente sotto il controllo bizantino, ma nella realtà bande di banditi serbi e bulgari dettavano la loro legge. Quando alcune bande attaccarono alcune pattuglie tedesche, che si erano staccate per cercare rifornimenti, i capi tedeschi se la presero direttamente con i bizantini per la mancata protezione. L'imperatore bizantino Isacco II Angelo stipulò un'alleanza segreta col Saladino, in base alla quale egli avrebbe dovuto impedire il passaggio del Barbarossa, ottenendo in cambio la sicurezza del suo impero. A quel punto Federico pensò addirittura di attaccare direttamente Costantinopoli e chiese aiuto alle repubbliche marinare italiane, ma alla fine l'imperatore Isacco cedette e permise la traversata dei Dardanelli. Il 1º marzo 1.190 i crociati lasciarono Adrianopoli, dopo essersi fermati per ben quattordici settimane, e raggiunsero Gallipoli il 22 dello stesso mese, questa volta senza particolari incidenti. Federico pretese ed ottenne che l'esercito fosse fatto passare con due sole traversate, temendo brutte sorprese da parte bizantina se in Asia si fossero trovati piccoli gruppi isolati. Inoltratosi in Anatolia, il Barbarossa proseguì per Filadelfia (l'attuale città turca di Alaşehir), al tempo la principale città dell'Asia sotto controllo bizantino. Il governatore consigliò i tedeschi di accamparsi lontano dalle mura, visto l'ostilità degli abitanti nei loro confronti: gli abitanti, visti i precedenti, si rifiutarono di commerciare con i crociati ed addirittura catturarono alcune pattuglie isolate, che erano in cerca di rifornimenti. Il giorno seguente Federico inviò in città un ambasciatore per chiedere conto del comportamento; il governatore incolpò pochi sconsiderati e chiese misericordia per una città che si trovava sul confine tra cristianità ed Islam, rendendo liberi i prigionieri. Senza dubbio i bizantini erano timorosi della reazione dell'imperatore germanico, anche perché in contemporanea alcuni reparti tedeschi stavano già assaltando le mura cittadine. Questa volta Federico fu comprensivo ed accettò le scuse, anche perché desideroso di entrare quanto prima in territorio nemico. Il 18 maggio 1.190 l'esercito tedesco sbaragliò i turchi presso Konya (Battaglia di Iconium). Tuttavia, il 10 giugno 1.190 Federico morì annegato, cadendo da cavallo mentre attraversava il fiume Saleph. Suo figlio Federico VI di Svevia condusse l'esercito verso il Principato di Antiochia, dove il corpo del Barbarossa fu sepolto nella chiesa di San Pietro. Fu proprio ad Antiochia che gran parte di quel che rimaneva dell'esercito tedesco si disperse. Molti rinunciarono e tornarono in patria, altri furono colpiti da varie malattie, altri ancora, sotto il comando di Federico di Slavonia, arrivarono ad Acri e si unirono alle avanguardie francesi di Enrico di Champagne e normanne di Guglielmo di Sicilia. Tutte queste forze si unirono poi a quelle di Guido di Lusignano, che già da alcuni mesi stava assediando la città di Acri.
Riccardo I Cuor di
Leone.
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Il re Enrico II di Inghilterra morì il 6 luglio 1.189, da poco sconfitto in battaglia da suo figlio Riccardo I e da Filippo III. Riccardo ereditò la corona e subito cominciò a raccogliere fondi per finanziare la crociata. Riccardo I d'Inghilterra, noto anche con il nome di Riccardo Cuor di Leone (Richard Cœur de Lion in francese e Richard the Lionheart in inglese, Oxford, 8 settembre 1.157 - Châlus, 6 aprile 1.199), fu re d'Inghilterra, duca di Normandia, conte del Maine, d'Angiò e di Turenna, duca d'Aquitania e Guascogna e conte di Poitiers dal 1.189 fino alla sua morte. Era il terzo dei cinque figli maschi del re d'Inghilterra, duca di Normandia, conte del Maine, d'Angiò e di Turenna, Enrico II d'Inghilterra, e della duchessa d'Aquitania e Guascogna e contessa di Poitiers, Eleonora d'Aquitania. Venne considerato un eroe ai suoi tempi e come tale fu descritto successivamente in molte opere letterarie. Riccardo era, per parte di madre, il fratellastro minore di Maria di Champagne e di Alice di Francia. Era anche il fratello minore di Guglielmo, Conte di Poitiers, di Enrico e di Matilda d'Inghilterra, e il fratello maggiore di Goffredo II, Duca di Bretagna, di Leonora d'Aquitania, di Giovanna d'Inghilterra e di Giovanni d'Inghilterra. Era il figlio favorito della madre Eleonora, Duchessa d'Aquitania, e nonostante fosse nato nel palazzo reale di Beaumont ad Oxford, considerava la Francia come sua patria ed egli in fondo si sentì sempre un francese. Quando i suoi genitori si separarono, rimase con la madre e venne investito del ducato di Aquitania nel 1.168 e della contea di Poitiers nel 1.172. In realtà era un premio di consolazione per il fatto che suo fratello più anziano, il secondogenito, Enrico il Giovane, era stato designato dal padre come successore alla corona. Nel luglio del 1.190 riuscì a salpare da Marsiglia alla volta della Sicilia. A governare in Sicilia era Tancredi, che era succeduto al defunto Guglielmo II l'anno precedente. Tancredi fece prigioniera Giovanna d'Inghilterra, moglie di Guglielmo II e sorella di Riccardo. Tuttavia, Riccardo prese la città di Messina il 4 ottobre 1.190, ottenendo la liberazione di Giovanna. Poco dopo aver lasciato la Sicilia, la flotta di Riccardo fu messa a dura prova da una violenta tempesta: molte navi andarono perdute, mentre quella che trasportava Giovanna, sorella di Riccardo e vedova di Guglielmo II di Sicilia, e Berengaria di Navarra, promessa sposa di re Riccardo e che trasportava gran parte del tesoro accumulato per finanziare la crociata, fu costretta a trovare un approdo di fortuna nei pressi di Limassol, sull'isola di Cipro. L'isola nominalmente apparteneva all'impero bizantino, ma da cinque anni si era insediato Isacco Ducas Comneno come usurpatore; si era staccato da Costantinopoli e si atteggiava da sovrano indipendente. Isacco fece arrestare tutti i naufraghi, confiscò tutte le merci e rifiutò le richieste della regina Giovanna, che aveva richiesto di poter far sbarcare qualche uomo per approvvigionamento. Isacco, al contrario, intimò alle due nobildonne di sbarcare e di consegnarsi. Si scoprì poi che l'anti-imperatore Isacco Comneno di Cipro era riuscito ad impadronirsi del tesoro: Riccardo entrò nella città cipriota di Limassol il 6 maggio 1.191. Isacco abbandonò la città e si rifugiò nella fortezza di Famagosta, da lì si dimostrò pronto a trattare con Riccardo e promise di restituire a Riccardo le sue ricchezze e di inviare 500 dei suoi soldati in Terrasanta. Una volta tornato nella sua fortezza di Famagosta, Isacco ruppe il patto e intimò a Riccardo di lasciar l'isola. Il tradimento di Isacco scatenò la reazione di Riccardo, che nel frattempo era stato raggiunto da altri navi crociate e che in pochi giorni conquistò l'intera isola; l'operazione fu compiuta senza grandi problemi entro la fine dello stesso mese di maggio. Isacco fu catturato con la moglie e la figlia e venne portato in catene dinanzi a Riccardo Cuor di Leone, che lo portò con sé come prigioniero quando il 5 giugno salpò per la Terrasanta. Intanto, liberato dal Saladino, Guido di Lusignano tentò di assumere il controllo delle forze cristiane presso Tiro, dove però Corrado del Monferrato riuscì a conservare il suo dominio, anche grazie alla sua abilità mostrata nel difendere la città dagli assalti musulmani. Guido decise dunque di rivolgere la sua attenzione al fiorente porto di Acri, ora nelle mani del Saladino e pose dunque sotto assedio la città, ricevendo anche l'aiuto di Filippo, appena giunto dalla Francia. Le forze dei due, tuttavia, non bastavano a sconfiggere il Saladino. Riccardo raggiunse Acri l'8 giugno 1.191 e dedicò subito molta cura alla costruzione delle armi d'assedio. La città fu poi presa il 12 luglio. Tuttavia, la spartizione del bottino provocò contrasti tra Riccardo, Filippo e Leopoldo V d'Austria (quest'ultimo comandava quel che restava dell'esercito del Barbarossa). Mentre Leopoldo sosteneva che il contributo dato dai tedeschi all'assedio fosse di pari importanza a quello di inglesi e francesi, Riccardo tendeva invece a ridimensionare l'apporto fornito dai tedeschi e per giunta, Riccardo e Filippo si trovarono in disaccordo anche su chi dovesse essere l'erede al trono di Gerusalemme. Mentre Riccardo appoggiava Guido, Filippo sosteneva la causa di Corrado. Si decise infine che Guido avrebbe continuato a regnare ma che, dopo la sua morte, la corona sarebbe passata a Corrado. A causa dei contrasti con Riccardo, Filippo e Leopoldo lasciarono la Terrasanta in agosto. Il 20 agosto, quando però fu chiaro che il Saladino non avrebbe rispettato i termini del Trattato di Acri, Riccardo fece sterminare più di 3.000 prigionieri musulmani fuori dalle mura di Acri, in modo che il macabro spettacolo fosse visibile anche dall'accampamento del Saladino. Dopo la presa di Acri, re Riccardo decise di marciare verso la città di Giaffa, dalla quale avrebbe poi puntato verso Gerusalemme. Il 7 settembre 1.191 presso la località di Arsuf (30 miglia a nord di Giaffa), il Saladino attaccò Riccardo. Il Saladino tentò di attirare le forze di Riccardo per poi annientarle facilmente: tuttavia, Riccardo mantenne intatto il suo schieramento fino a quando gli Ospitalieri e i Templari piombarono rispettivamente sul fianco destro e su quello sinistro dell'esercito del Saladino: Riccardo vinse così la battaglia e distrusse il mito dell'invincibilità del condottiero musulmano. Grazie alla vittoria nella battaglia di Arsuf, Riccardo conquistò Giaffa e vi stabilì il suo quartier generale. Si offrì poi di negoziare col Saladino, il quale inviò il fratello Safedino. Le trattative, tuttavia, fallirono e Riccardo marciò su Ascalona e chiamò Corrado in suo aiuto: tuttavia Corrado, ancora adirato per l'alleanza del re inglese con Guido, rifiutò il suo aiuto. Corrado fu poi assassinato a Tiro, probabilmente per volere dello stesso Riccardo. Re Guido divenne sovrano di Cipro, mentre Enrico II di Champagne divenne il nuovo re di Gerusalemme. Nel luglio del 1.192, il Saladino, alla testa di migliaia di uomini, prese Giaffa. La città venne poi riconquistata il 31 luglio da Riccardo, il quale inflisse una nuova sconfitta al Saladino il 5 agosto. Le notizie dal suo regno, dove suo fratello Giovanni si era alleato con il re di Francia per spodestarlo, lo consigliarono ad intavolare trattative con Saladino per porre fine alla guerra. Riccardo pensò addirittura di dare in sposa sua sorella Giovanna al fratello del Saladino, ma Giovanna si oppose ferocemente. Il 21 settembre 1.192, Riccardo e il Saladino siglarono una tregua di 3 anni, 3 mesi e 3 giorni con la quale si riconosceva il dominio dei franchi sulla zona costiera tra Tiro e Giaffa. Gerusalemme sarebbe rimasta sotto il controllo musulmano, permettendo però ai pellegrini cristiani disarmati di visitare la città. Molti crociati colsero l'occasione per visitare subito i luoghi sacri, ma non Riccardo, a testimonianza del suo parziale fallimento. Fu così che Riccardo lasciò la Terrasanta il 9 ottobre, anche se la sua intenzione era quella di organizzare una nuova crociata quanto prima. Sulla strada di ritorno verso l'Inghilterra Riccardo venne catturato dal Duca Leopoldo d'Austria, il cui orgoglio era stato ferito quando Riccardo aveva strappato il suo vessillo dalle mura di San Giovanni d'Acri. Fu ceduto all'imperatore Enrico VI e venne poi rilasciato, dopo 15 mesi, dietro un riscatto di 150.000 marchi. Il re inglese raggiunse la patria nel 1194 dove ricondusse all'obbedienza suo fratello Giovanni d'Inghilterra. Cinque anni più tardi, nel 1.199, si recò in Francia per difendere i suoi territori in Aquitania e nel Poitiers dalla minaccia di Filippo Augusto. Durante l'assedio del castello di Châlus trovò la morte colpito dalla freccia di una balestra (6 aprile 1.199). Saladino morì poco dopo aver firmato il trattato di pace con Riccardo, stroncato da un attacco di febbre a Damasco, mentre si stava recando in pellegrinaggio a La Mecca. Il sostanziale fallimento della Terza Crociata spinse a indire una Quarta Crociata sei anni più tardi.
- Venezia non si era prodigata a sostenere la cristianità latina nelle prime crociate: intervenne per favorire la presa di Gerusalemme quando la Prima Crociata era già avviata e non partecipò alla Seconda Crociata, ma invierà una flotta al seguito della Terza Crociata del 1189, che procurerà notevoli vantaggi commerciali sia a lei, sia alle rivali Pisa e Genova.
Federico I Hohenstaufen
detto "Barbarossa".
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Territori serbi nel IX sec. da: https: //it.wikipedia.org/wiki/Storia_della _Serbia#/media/File:Serb_lands _in_the_9th_century_(en).png |
Stefan Nemanja, divenuto poi San
Simeone, da: https://commons.
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Nel 1172 si unì alla grande alleanza
antibizantina composta da Venezia, Ungheria e Sacro Romano Impero.
Ben presto, però, l'alleanza si sfaldò poiché alcune navi
veneziane furono colpite da un focolaio di peste e su altre i marinai
si ammutinarono; il re d'Ungheria Stefano III morì e il suo
successore Béla III conduceva una politica filobizantina. Così, Nemanja, rimasto solo, fu
sconfitto dall'esercito di Manuele I e si consegnò nella città di
Niš all'imperatore che lo fece prigioniero e lo condusse a
Costantinopoli. Nel 1176 Stefano chiese perdono a
Manuele I e gli promise fedeltà. L'imperatore accettò il pentimento
e lo lasciò tornare in Rascia restituendogli il titolo di gran
župan, a patto che egli stesso riaccogliesse i propri fratelli che
aveva esiliato nel 1166. Così Stefano restituì il governo della
Zahumlje a Miroslav e della Morava Occidentale a Stracimir,
considerandoli nuovamente suoi vassalli. Nel 1180 morì Manuele I Comneno e
Stefano non ebbe più motivi per continuare la propria politica di
fedeltà all'imperatore, in quanto la promessa di sottomissione fatta
nel 1176 era rivolta a Manuele I, non all'Impero bizantino. Così,
nel 1183, in alleanza con Béla III che nel frattempo aveva cambiato
politica, invase le terre slave in mano bizantina e sbaragliando ogni
difesa, scacciarono i Greci dalla valle della Morava, da Braničevo,
Niš, Belgrado, Ravno e Sofia. Dopo poco, però, i Bulgari si
ritirarono lasciando le armate di Stefano a combattere nell'ovest
della Bulgaria. Nel 1186 conquistò definitivamente la
Doclea, la terra dei suoi antenati. La Doclea era assoggettata al
Gran principato di Rascia, ma la popolazione era composta da serbi,
da greci e da slavi di cultura latina. La Chiesa cattolica aveva un
forte potere che esercitava attraverso l'arcivescovo di Antivari che
in quegli anni era il patriottico Grgur, al quale stava a cuore
l'autonomia della Doclea e della stessa entità cattolica. Già nel
1185 Stefano aveva sottoposto Antivari al pagamento di un tributo in
segno di sudditanza. Nello stesso 1186, Grgur chiese aiuto al
principe di Doclea Mihailo, nipote di Nemanja, che fu però sconfitto
dalle armate di Stracimir e Miroslav. Nemanja sostituì Mihailo con
suo figlio Vukan e iniziò una politica di omologazione culturale
e religiosa di tutta la popolazione per far prevalere la cultura
serba e la fede ortodossa, soprattutto a scapito dei sudditi
greci. Nel 1187 fu conquistata anche la
repubblica di Ragusa: dopo una lunga battaglia, combattuta fin dentro
le mura, il 27 settembre fu siglato un accordo che lasciava alla
città l'indipendenza, ma la sottoponeva al potere serbo. I mercanti
di Ragusa potevano circolare liberamente in tutta la Serbia, gli
abitanti potevano utilizzare il legname dei boschi intorno alla città
e in cambio, i confini cittadini dovevano rimanere aperti e la
repubblica avrebbe dovuto pagare un tributo al Gran principato. Nel 1188 Nemanja invitò l'imperatore
Federico Barbarossa di passaggio nei Balcani per combattere la terza
crociata in Terra Santa, a stabilirsi presso di lui. Il 27 luglio
1189, Federico giunse a Niš con centomila soldati, e fu accolto da
Stefano e Stracimir. L'imperatore concesse in moglie a Toljen, figlio
di Miroslav, la figlia del duca di Croazia e Slavonia Berthold Andex,
per rafforzare le relazioni tra Serbia e Germania. Nemanja propose al Barbarossa di
muovere guerra a Bisanzio invece di proseguire per Gerusalemme, ma la
sua richiesta non fu accolta. L'imperatore germanico continuò la sua
marcia, ma poco prima di raggiungere Sofia fu bloccato proprio
dall'esercito bizantino. Così, quando Barbarossa decise di attaccare
Costantinopoli, Nemanja inviò 20.000 uomini in supporto ai Crociati,
facendoli precedere da un'ambasceria per ufficializzare, ad
Adrianopoli, l'alleanza con la Germania. Mentre i negoziati
procedevano, l'esercito serbo conquistò un vasto territorio
dell'Impero bizantino, tra cui alcune città bulgare, Skopje e parte
del Kosovo. Nel 1190 l'imperatore bizantino Isacco
II Angelo preparò l'esercito per lanciare un'offensiva contro
Stefano, e nell'autunno del 1191 lo affrontò nella pianura
della Morava Meridionale. Le armate di Stefano e del figlio Ratsko
che era subentrato allo zio Miroslav nel governo della Zahumlje
furono duramente battute. Poiché però, le truppe serbe avevano
dimostrato una grande abilità tattica che poteva essere una minaccia
per il futuro, l'imperatore romano-orientale (bizantino) Isacco II
Angelo decise di siglare un accordo di pace. L'imperatore
diede in moglie la principessa Eudocia al figlio di Stefano I
Nemanja, Stefano II, che ricevette anche il titolo di Sebastokrator,
riservato ai membri della famiglia imperiale e tenne per sé le città
bulgare che aveva riconquistato ai Serbi riconoscendo per contro
l'indipendenza della Serbia e lasciando ai Nemanja il Kosovo,
la Metohia, il nord dell'Albania e le città greche della Doclea.
Stefan I Nemanja riuscirà inoltre, anche se con difficoltà,
a conservare l'indipendenza della Serbia, sia nei confronti
dell'Impero latino di Costantinopoli, formatosi dopo la quarta
crociata, che dall'Impero bizantino, ricostituito a Nicea:
fu il vero fondatore della monarchia serba con la dinastia dei
Nemanjic. Dopo aver abdicato a favore del suo
secondo figlio Stefan II detto Prvovenčani (1196-1227) ed avergli
ceduto la corona di principe di Raška (al primogenito Vukan II era
stato affidato invece il Principato di Zeta), Stefan Nemanja si
ritirò inizialmente nel monastero di Studenica ed in seguito in
quello di Vatopedi sul monte Athos, dove si trovava già un altro dei
suoi figli, Rastko, il figlio minore, più noto con il nome di Sava,
che più volte lo aveva invitato a seguirlo sull'Athos. Nel 1197
Nemanja lo raggiunse nel monastero di Vatopedi e insieme, padre e
figlio sognarono di creare un centro di spiritualità serba nel cuore
del Sacro Monte. Decisero così di ricostruire il decadente monastero
di Hilandar che fu donato loro dall'imperatore di Bisanzio. Nel 1199
la ricostruzione fu portata a termine e il 13 febbraio di quell'anno
Nemanja morì, proprio nella chiesa di Hilandar, di fronte all'icona
della Vergine Odigitria. Fu sepolto nei sotterranei della stessa
chiesa. Dopo la sua morte, furono gli attributi numerosi miracoli e
guarigioni, tanto che la Chiesa ortodossa serba nel 1200 lo
canonizzò. Oggi stesso è venerato come San Simeone e
festeggiato il 26 febbraio, 13 febbraio secondo il calendario
giuliano in uso nelle chiese orientali. Nel 1207 il suo corpo fu
sepolto nel monastero di Studenica dove il figlio Sava lo aveva
traslato per farlo riposare nella sua terra natia. Il culto di San
Simeone, molto vivo anche oggi tra i Serbi, rappresenta oltre ad
un'espressione di religiosità, un forte elemento di identità
nazionale.
- Da http://www.unibo.it/it/ateneo/chi-siamo/la-nostra-storia/luniversita-dal-xii-al-xx-secolo: Dopo la morte del Barbarossa, durante la terza crociata, l'Università bolognese sopravvive al crollo del suo protettore. Il Comune cerca di controllare le societates, ma per resistergli gli studenti si riorganizzano secondo la loro origine, per cui si suddividono, fra l'altro, in Citramontani (al di qua delle montagne, italiani ma non bolognesi, lombardi, toscani e romani) e Ultramontani (non italiani, viventi al di là delle Alpi, francesi, spagnoli, provenzali, inglesi, piccardi, borgognoni, normanni, catalani, ungheresi, polacchi, tedeschi, eccetera). Il XIII secolo è un'epoca piena di contrasti. L'università, tra mille difficoltà e inserendosi nelle dispute politiche dell'epoca, combatte per la propria autonomia, mentre il potere politico cerca di usarla come strumento di prestigio. In questi anni si trovano a Bologna più di duemila studenti.
Nel 1.194 - Il 26 dicembre, nella piazza di Jesi (nell'attuale provincia di Ancona), dentro un baldacchino, in modo che si potesse testimoniare che l'evento fosse realmente avvenuto, la quarantenne normanna regina di Sicilia, Costanza d'Altavilla, partorisce Federico II di Svevia, figlio dell'imperatore del Sacro Romano Impero, Enrico VI del casato degli Hohenstaufen.
Papa Innocenzo III.
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- Sotto il dogado di Enrico
Dandolo, la partecipazione di Venezia alla Quarta Crociata
del 1201, è fondamentale per la presa di Zara (nel 1202) e
nel sacco di Costantinopoli (del 1204), che portò a Venezia
anche grandi tesori rapinati a Costantinopoli, causando grandi
distruzioni nella città imperiale e l'indebolimento definitivo di
Costantinopoli quale presidio della cristianità in Oriente. La
crociata pose temporaneamente fine all'impero Bizantino e
originò l'Impero Latino d'Oriente, che assumeva le forme
istituzionali caratteristiche della feudalità occidentale. I
territori dell'Impero bizantino vennero spartiti in quattro tra
l'Imperatore Baldovino di Fiandra, il Marchese del Monferrato, i
principi e i baroni franchi e la serenissima. Venezia guadagnò molti
territori nel Mar Egeo, tra cui le isole di Candia (Creta) ed Eubea,
e numerosi porti e piazzeforti nel Peloponneso, oltre ad una
posizione di assoluta preminenza nell'effimero Impero Latino
creato dai crociati, dove venne riservato al doge veneziano il titolo
di Signore di un quarto e mezzo dell'Impero Romano d'Oriente, che
comportava anche la facoltà di nominare il Patriarca latino di
Costantinopoli e di avere un proprio rappresentante (bailo o podestà)
a Costantinopoli. La conquista di Candia, in particolare, impegnerà
intensamente la repubblica di Venezia, richiedendo quasi l'intera
prima metà del Duecento.
"La presa di Costantinopoli da
parte dei crociati" di Palma
il Giovane (1544-1620).
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Nel 1.204 - Nell'ambito della
Quarta Crociata, voluta da Innocenzo III, i crociati
saccheggiano Costantinopoli e commettono innumerevoli stragi di
cristiani. La quarta crociata fu indetta da papa Innocenzo III
all'indomani della propria elezione al soglio pontificio nel 1.198;
doveva essere diretta contro i musulmani in Terra santa, ma in realtà
si risolse nel saccheggio di Costantinopoli da parte
dell'esercito crociato, portando alla spartizione dell'Impero
bizantino e alla costituzione da parte dei crociati dell'Impero
Latino. L'impero latino di Costantinopoli (1.204-1.261), detto
anche Impero latino d'Oriente, fu il risultato della quarta crociata,
che i veneziani dirottarono verso il saccheggio e la presa di
Costantinopoli. Per la città e per l'impero romano d'Oriente fu un
periodo di grande decadenza, terminato solo con la riscossa
dell'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo che riconquistò la
capitale. L'impero Latino veniva percepito dagli occidentali come un
Stato cattolico successore dell'impero romano d'Oriente. Baldovino
IX, conte delle Fiandre, venne incoronato come primo Imperatore il 16
maggio 1.204; al rivale Bonifacio del Monferrato venne affidato il
regno di Tessalonica. Nella prima enciclica di Innocenzo III
dell'agosto 1.198, la liberazione di Gerusalemme era vista come
necessaria, ma questo obiettivo non fu raggiunto e solo una piccola
parte di crociati raggiunse la Terrasanta. La crociata inoltre stentò
a partire a causa della morte di Riccardo Cuor di Leone e
dell'interdetto lanciato dal pontefice sulla Francia, perché il re
aveva ripudiato sua moglie Ingeburge di Danimarca. I nobili francesi
scelsero come loro capo il conte Teobaldo di Champagne, che
però morì nel marzo 1.201; fu Bonifacio I del Monferrato a
prendere il suo posto. L'obiettivo era di prendere d'assalto
l'Egitto, seguendo il progetto che Riccardo Cuor di Leone aveva
prospettato al termine della sua spedizione in Terrasanta, durante la
Terza Crociata. I crociati, memori di quanto successo nelle crociate
precedenti, decisero di prendere la via del mare per raggiungere la
loro meta. Scartate Marsiglia e Genova, non rimaneva che Venezia
quale potenza marittima che potesse provvedere tempestivamente ai
necessari navigli. Vennero iniziate le trattative con la Serenissima
e ai primi di febbraio del 1.201 la delegazione crociata raggiunse
Venezia e venne accolta dal doge Enrico Dandolo. Il doge ascoltò la
richiesta dei crociati e rispose di dover consultare innanzitutto le
diverse assemblee politiche della repubblica. Finalmente,
nell'aprile, venne stipulato il contratto di trasporto e
rifornimento. I Veneziani, da buoni mercanti, per i loro servizi
fecero accettare ai crociati il pagamento dell'esorbitante cifra di
85.000 marche imperiali d'argento. Per quella somma i veneziani
avrebbero approntato per la fine di giugno del 1.202 navigli bastanti
per il trasporto di 4.500 cavalieri con i loro cavalli, 9.000
scudieri e 20.000 fanti. Il contratto prevedeva anche il rifornimento
di viveri e foraggio bastanti per il viaggio; oltre a ciò Venezia
s'impegnò ad armare 50 galere che avrebbero accompagnato la crociata
in cambio del 50% di quanto conquistato. I crociati si riunirono a
Venezia nel 1.202, la Serenissima aveva rispettato il contratto, le
navi erano pronte ed i rifornimenti erano disponibili. Rispetto alle
previsioni, il numero dei crociati che avevano risposto all'appello
del Papa era molto ridotto e il denaro raccolto non bastava a coprire
le spese: mancavano ancora 34.000 marche d'argento e Venezia si
rifiutò di prendere il mare. Intanto i crociati portavano scompiglio
nella città, molestavano le donne, rubacchiavano e compivano altri
spiacevoli misfatti. A causa di ciò furono banditi “come
appestati” al Lido dove s'erano accampati in attesa di quanto si
doveva decidere. Ma anche per i veneziani la situazione era molto
sfavorevole: avevano investito capitali che temevano di perdere, per
soddisfare il contratto e dovevano continuamente rifornire viveri ai
crociati accampati in attesa di partire. Mentre una parte dei
pellegrini abbandonava l'impresa, oppure decideva di tentare la via
di terra, il capo dei crociati, Bonifacio I del Monferrato negoziò
un compromesso con il doge, Enrico Dandolo: i veneziani avrebbero
partecipato all'impresa e il doge stesso avrebbe assunto il comando
della spedizione. Lo storico e scrittore veneziano Alvise Zorzi
afferma che la riconquista di Zara non fu pattuita già dall'inizio
ma che era, per così dire, solo latente. Il proposito di
riconquistare Zara prese concreta forma durante il viaggio. Il giorno
1º ottobre (secondo Zorzi) ovvero 8 novembre 1.202 (secondo lo
storico Steven Runciman) la grande flotta si mise in rotta. Goffredo
di Villehardouin tramanda che mai fu vista una flotta più bella
partire da un porto di mare. Si fermò prima a Trieste e poi a Muggia
dove i veneziani chiesero un atto di sottomissione.
Carta con il percorso di Bonifacio di
Monferrato nella IV
Crociata in verde e di Giovanni di
Brienne nella V Crociata
in fucsia, fino alla città di
Damietta.
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Arrivati a Zara (ormai sotto
l'egida del Regno d'Ungheria) i crociati non vennero però accolti a
braccia aperte, anzi la popolazione ostile fece resistenza. Dopo un
assedio di cinque giorni avvenne l'assalto alla città che venne
presa e saccheggiata. Ormai l'inverno era alle soglie e perciò
venne deciso di svernare a Zara. Quando venne a conoscenza della
presa di Zara e del sanguinoso saccheggio il papa inorridì:
contro il suo ordine i crociati avevano osato aggredire una città
cristiana. Per tale ragione decise di scomunicare la crociata.
I diversi baroni dichiararono però di essere stati ricattati e
costretti da Venezia alla sciagurata azione; il papa allora tolse
loro la scomunica che andò completamente a carico dei
veneziani. Il doge Dandolo non si curò molto della scomunica ma
prese contatto con Filippo di Svevia (anche lui scomunicato) che
doveva convincere il papa a far continuare l'impresa, anche a favore
del proprio cognato, il principe bizantino Alessio IV Angelo, cosa
che avrebbe portato notevoli vantaggi alla chiesa cattolica. Nel
frattempo i crociati avevano ricevuto, a Zara, un'ambasciata proprio
del principe bizantino Alessio IV Angelo, figlio dell'imperatore
Isacco II Angelo, detronizzato, accecato e tenuto in prigione da suo
fratello Alessio III. Alessio IV era riuscito a fuggire dalla
prigionia nel 1202 e si era rifugiato presso sua sorella, la moglie
di Filippo di Svevia, in Germania. In precedenza Alessio IV aveva già
contattato Venezia da Verona. La proposta del principe bizantino era
quella di ottenere la collaborazione dei crociati per riappropriarsi
del trono in cambio di aiuti militari (10.000 soldati) oltre denaro e
generi di consumo ai crociati, riunione delle due Chiese e favorevoli
accordi mercantili con Venezia. A Venezia promise anche di pagare la
somma che i crociati non avevano pagato e promise inoltre di voler
sostenere le spese di 500 cavalieri che dovevano rimanere in Terra
Santa. Il papa, allettato dalla prospettiva della riunione con
la chiesa ortodossa si fece convincere, tolse la scomunica e
dette il suo permesso per la continuazione dell'impresa e della
detronizzazione dell'usurpatore Alessio III. Il doge Dandolo fu
felicissimo di accontentare il papa e di assicurare a Venezia enormi
vantaggi. Ad alcuni crociati però non piaceva la prospettiva di
assalire un'altra città cristiana in luogo di combattere i
musulmani, si separarono dal resto dei crociati e fecero vela in
direzione della Siria. Il 25 aprile 1.203 Alessio IV arrivò a Zara
ed alcuni giorni dopo la flotta spiegò le vele in direzione di
Costantinopoli. Venne fatta una sosta a Durazzo, dove Alessio fu
riconosciuto quale imperatore, ed un'ulteriore sosta venne fatta a
Corfù. Finalmente il 24 giugno Costantinopoli venne avvistata. Dopo
aver invano tentato di occupare Calcedonia e Crisopoli, i crociati
sbarcarono a Galata, riuscirono a far saltare la catena in mare che
difendeva il Corno d'Oro ed entrarono nel porto di Costantinopoli.
Alessio IV aveva fatto capire ai crociati e ai veneziani che
sarebbero stati accolti con gioia dalla popolazione, invece trovarono
le porte sbarrate e le mura folte di difensori. Il 17 luglio, dopo
alcuni giorni di aspra battaglia, i veneziani riuscirono ad aprire
una breccia nelle mura ed entrare nella città. Alessio III, messo
alle strette, aveva arraffato quanto poteva del tesoro imperiale e si
era dato alla fuga in Grecia, portando con sé la figlia. Isacco II
Angelo venne liberato dal carcere e si dichiarò pronto a confermare
le promesse fatte ai crociati dal figlio che nominò correggente il
1º agosto 1.203, con appropriata cerimonia nella chiesa di Santa
Sofia ed alla presenza di tutti i baroni della crociata: Alessio IV
Angelo salì così al trono dei basileis (imperatori) insieme al
padre Isacco II Angelo, grazie all'aiuto militare dei crociati. Ma
rispettare gli impegni presi non era facile: le casse del regno erano
vuote e l'unione delle due chiese era fortemente osteggiata sia dal
clero sia dal popolo. I crociati rimanevano accampati fuori delle
mura ed attendevano una decisione; Alessio IV cercava di tergiversare
e di tacitare i comandanti dei crociati con dispendiosi regali, cosa
che ne accentuò la cupidigia. In città le ivi residenti colonie dei
mercanti genovesi e pisani venivano assalite dal popolo esacerbato.
Alessio peggiorò le cose imponendo nuove e gravose tasse per
racimolare fondi per acquietare i crociati che cominciavano a fare la
voce forte. Si fece nemico anche il clero confiscando i candelabri
d'argento delle chiese che fece fondere. La scontentezza degli
abitanti cresceva nel vedere quei superbi cavalieri che scorrazzavano
in città. La soldataglia latina aveva bisogno di viveri e faceva per
conto suo scorribande. Cominciarono atti di aperta ostilità contro i
crociati che venivano anche aggrediti per le strade. Alcuni di essi,
che avevano saccheggiato una moschea, vennero aggrediti dai “greci”
e per difendersi appiccarono il fuoco ad alcune case. L'incendio si
propagò e per giorni una parte di Costantinopoli fu preda delle
fiamme; venne fatto anche un tentativo di incendiare le navi
veneziane che però non ebbe successo alcuno. Nella capitale
bizantina iniziò così a tirare aria di cospirazione e di questa
situazione approfittò il protovestiario Alessio V Ducas, un potente
nobile bizantino proveniente dalla famiglia imperiale dei Ducas e
cugino di Alessio IV Angelo. Alessio V Ducas, detto "Murzuflo",
si adoperò per ottenere l'appoggio della nobiltà bizantina nella
salita al trono, poi l'8 febbraio 1.204 irruppe nel palazzo imperiale
avvisando Alessio IV del divampare di una rivolta. Questi si fece
convincere ad uscire dal palazzo dove i sicari lo aspettavano per
assassinarlo. Anche Isacco II, il co-imperatore, morì durante la
notte per cause misteriose, probabilmente assassinato, ma non si
esclude che sia morto, per ironia della sorte, di morte naturale.
Alessio Murzuflo raggiunse quindi la Basilica di Santa Sofia e si
fece incoronare, dal patriarca Giovanni X Camatero, imperatore
bizantino col nome di Alessio V Ducas. Alessio V sparse la voce che
il predecessore fosse morto soffocato nella notte, lo fece seppellire
con tutti gli onori destinati a un basileus, fingendo addirittura di
piangerlo. Il lutto del nuovo regnante non convinse però i
principali sostenitori dei precedenti imperatori, ovvero le armate
della quarta crociata e la flotta della Repubblica di Venezia, che si
trovavano a Costantinopoli su richiesta dei due Angelo, dopo aver
permesso ad Alessio IV di conquistare il potere scacciando suo zio
Alessio III. La popolazione di Costantinopoli non appoggiò subito il
nuovo sovrano, infatti venne acclamato imperatore Nicola Canabo, a
minaccia della sua stessa vita, se si fosse rifiutato di accettare la
carica; ma per togliere di mezzo l'usurpatore, Alessio V non esitò a
inviare le sue guardie variaghe (russo-vichinghe) e a gettarlo in
prigione. I latini, dal canto loro, sospettando a ragione che Alessio
V fosse il responsabile della morte di Alessio IV, lo accusavano di
avere usurpato il trono. In risposta, Alessio V chiuse i negoziati
con i crociati e con Venezia, rifiutandosi di rispettare le promesse
di aiuti e finanziamenti alla spedizione che il suo predecessore
aveva fatto ai capi della crociata per ottenerne l'appoggio e
conquistare il trono. Anzi, il nuovo sovrano fece rinforzare le mura
e alzare la guardia sulle mura Teodosiane. Queste misure, insieme
alle posizioni assunte nei confronti dei latini da Alessio V, che era
inoltre contrario alla riunificazione tra la chiesa ortodossa e
quella cattolica promessa nei precedenti accordi e considerava i
crociati nemici dell'Impero, gli fecero in breve guadagnare credito
tra i suoi sudditi. Dopo questi avvenimenti, i capi latini, tra cui
si distinse per determinazione soprattutto l'anziano doge di Venezia,
Enrico Dandolo, pianificarono la conquista della città e la
spartizione dell'impero. Scoppiò la guerra: lo scontro più
importante fu quello tra Enrico di Fiandra e Alessio V. Enrico aveva
armato un esercito per razziare Filea, sul Mar Nero; mentre i
crociati tornavano all'accampamento, lungo la strada furono attaccati
in un'imboscata da Alessio V: la retroguardia comandata direttamente
da Enrico fu presa di sorpresa. Fu una battaglia aspra il cui esito
fu tuttavia una sconfitta per i bizantini, che oltre a essere battuti
persero anche il vessillo imperiale ed un'icona d'oro della Vergine
portata sempre in battaglia come protezione; l'icona, che era
arricchita da pietre preziose incastonate, fu portata a Citeaux. Al
ritorno, Alessio annunciò ai suoi sudditi la vittoria, e a coloro i
quali gli domandavano dove fosse l'icona e il vessillo, rispose che
erano stati messi al sicuro. Quando queste voci giunsero al campo dei
crociati, questi caricarono il vessillo e l'icona su una nave
veneziana, issandoli in modo che gli abitanti di Costantinopoli
potessero vederli e sapere della menzogna del loro imperatore. Il
primo attacco dei crociati venne sferrato il 9 aprile 1.204 ma fu
respinto e procurò solo forti perdite. Il 12 aprile venne compiuto
un nuovo tentativo e questa volta i veneziani ricorsero ad uno
stratagemma. Avevano costruito piattaforme sulle cime degli alberi
delle navi, poi avevano inclinato le imbarcazioni fino a che le
piattaforme andarono a toccare le mura. Il veneziano Piero Alberti fu
il primo a saltare sulle mura di una torre nemica, ma fu subito
ucciso. Fu seguito da un francese, André Dureboise, che riuscì a
resistere all'attacco dei difensori permettendo ad altri veneziani e
crociati di occupare le mura. Poco tempo dopo le porte della città
vennero aperte dagli attaccanti penetrati all'interno e per
Costantinopoli non ci fu più scampo. Alessio V s'era rifugiato con
alcune truppe nel suo palazzo imperiale. Nella notte, forse perché
temevano un attacco di sorpresa, alcuni crociati tedeschi appiccarono
il fuoco a delle case e nuovamente l'incendio divampò in città.
Vista l'impossibile situazione, Alessio V si dette alla fuga. Durante
quella notte dove regnava il caos a Costantinopoli, visto che
l'imperatore era scappato, fu eletto imperatore Costantino XI
Lascaris, che ordinò una sortita, guidata suo fratello, il generale
bizantino Teodoro Lascaris (futuro imperatore di Nicea) contro i
crociati, che non ottenne alcun successo. Il giorno dopo ebbe inizio
il grande saccheggio che, come tramandano i cronisti, non ne aveva
avuto uno simile in tutta la storia dell'umanità. Mentre Bonifacio
di Monsarrat occupava il palazzo imperiale che, secondo Roberto di
Chiari, aveva ben 500 stanze tutte riccamente addobbate e ben trenta
cappelle, gli scatenati crociati entravano nelle case ed asportavano
qualsiasi cosa di valore trovassero. Tutte le chiese vennero
spogliate dei vasi sacri, delle immagini, dei candelabri e quanto non
si poteva asportare veniva semplicemente distrutto. Anche la basilica
di S. Sofia venne completamente saccheggiata, l'altare venne
spezzato, gli arazzi fatti a pezzi. Un cronista dell'epoca, testimone
oculare, tramanda che una prostituta, seduta sul trono del patriarca,
cantava strofe oscene in lingua francese. Mentre i veneziani si
concentravano sulle cose che avevano un grande valore, i francesi
arraffavano tutto quello che luccicava e si fermavano solo per
ammazzare e violentare. Le cantine vennero depredate e la città era
piena di soldataglia avvinazzata che trucidava chiunque trovasse
lungo il cammino. Cittadini venivano torturati perché rivelassero
dove avevano nascosto i loro valori. I conventi vennero presi
d'assalto, le monache stuprate. Vecchi, donne e bambini giacevano in
pozze di sangue per le strade, già morti o morenti. L'inferno durò
per quattordici giorni. Infine i comandanti degli assalitori
intervennero, dettero ordine di cessare il saccheggio (tanto ben poco
era rimasto da depredare) ed ordinarono che qualsiasi bottino doveva
essere portato in tre chiese e sorvegliato da fidati crociati e
veneziani. Questo perché il contratto prevedeva la spartizione dei
beni saccheggiati: tre ottavi ai veneziani, tre ottavi ai crociati;
il restante quarto era destinato al futuro imperatore. Fra l'altro
i veneziani portarono a casa i quattro cavalli di bronzo che ornano
(attualmente in copia) la Basilica di San Marco, l'icona della
Madonna Nicopeia e molte preziose reliquie che ancora sono serbate
nel tesoro di San Marco. Così ebbe fine la quarta crociata che,
istituita con l'intenzione di combattere i saraceni, aggredì e
saccheggiò unicamente paesi cristiani. Terminata la strage ed il
saccheggio si venne alla spartizione del bottino che alcuni storici
calcolano di circa 900.000 marche imperiali d'argento, oggi
equivalente a molte centinaia di milioni di Euro. Il calcolo è però
difficile perché molti degli oggetti artistici depredati hanno un
valore incalcolabile. Poi si passò all'elezione dell'imperatore
latino. Bonifacio del Monferrato sperava sempre di essere eletto ma
trovò la forte opposizione dei veneziani. Infine crociati e
veneziani furono d'accordo nell'eleggere il conte Baldovino IX di
Fiandra che prese possesso del trono di Costantinopoli. Parte del
regno però andò a Venezia, secondo quanto previsto dal contratto.
Per ampliare la propria potenza marittima Venezia reclamò ed ottenne
la costa occidentale della Grecia, tutto il Peloponneso (Morea),
Nasso, Andros, Negroponte (oggi Eubea), Gallipoli (in Turchia),
Adrianopoli e i porti della Tracia sul Mar di Marmara. Da allora il
Doge assunse il titolo di “Dominus quartae partis et dimidiae
totius Imperii Romaniae”, cioè "Signore di un quarto e mezzo
dell'Impero Romano d'Oriente". I veneziani pretesero anche tre
ottavi della città di Costantinopoli ed occuparono il quartiere dove
è oggi ubicata l'Agia Sofia, ex Cattedrale di Santa Sofia. A
ricoprire la carica di patriarca venne nominato il nobile veneziano
Tommaso Morosini. Baldovino fu incoronato in pompa magna il 16 maggio
1.204 nella Cattedrale di Santa Sofia. Alla notizia degli orrori
compiuti e della barbarie dimostrata dai crociati Innocenzo III
rimase esterrefatto. Inorridito scrisse lettere a Costantinopoli
deplorando e condannando che, senza il suo sapere, stato e chiesa
erano stati divisi; ma ciò non cambiò la situazione. Il suo
dispiacere crebbe ancora quando venne a sapere che il suo legato,
Pietro di San Marcello, aveva svincolato i crociati dalla promessa di
liberare Gerusalemme. La crociata da lui predicata ed indetta si era
tramutata in guerra contro stati cristiani. Le atrocità commesse dai
crociati durante il saccheggio di Costantinopoli non contribuirono
certamente a migliorare i rapporti fra la chiesa ortodossa e quella
cattolica di Roma. Le due chiese rimasero separate dal 1.054 fino al
giorno d'oggi, sebbene recentemente il papa abbia condannato quanto
commesso durante la quarta crociata.
Impero Latino con relativi Principato e
Ducati, i tre stati
greco-bizantini Dispotia dell'Epiro,
Impero di Nicea e
Impero di Trebisonda, Sultanato
selgiuchide di Rûm o di
Iconio e Bulgaria nel 1204. Da: https://it.wikipedia.
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- Dal 1.204, dopo che i
crociati, durante la quarta crociata, conquistarono e saccheggiarono
Costantinopoli, tre famiglie bizantine di rango reale formarono
altrettanti tre stati, che raccolsero i greco-bizantini
a loro fedeli. Uno dei tre stati bizantini fondati dopo la caduta di
Costantinopoli era il Despotato d'Epiro, che ebbe inizio sotto
il primo despota, Michele I Ducas, appartenente alla famiglia
imperiale bizantina dei Ducas e che quindi era parente
dell'imperatore Alessio V Ducas. Qui si rifugiarono i bizantini che
si trovavano nei Balcani, radunandosi tra l'attuale Albania e Grecia,
ossia sull'Epiro, con capitale Arta. Gli altri due stati erano
l'Impero di Nicea, che si trovava in Asia Minore con capitale
Nicea, al comando della famiglia Lascaris e l'altro stato era
l'Impero di Trebisonda, che si trovava in Anatolia, con
capitale Trebisonda, al comando della famiglia dei Comneni. Questi
tre stati rivendicavano la corona imperiale bizantina,
tentando in tutti i modi di riconquistare Costantinopoli, e di
togliere più territori possibili ai crociati, dell'impero latino. Ma
l'impero di Trebisonda era tagliato fuori da questa lotta, visto che
non confinava coi latini, mentre tra gli epiriani e niceani fu lotta
aperta. In un primo momento sembrava scontata la vittoria epiriota,
visto che avevano riconquistato la seconda città più grande
dell'impero bizantino, Tessalonica, sotto il Teodoro Comneno Ducas e
che nel 1227 si era nominato basileus dei romei. Aveva composto un
enorme esercito e si era messo in marcia su Costantinopoli,
riconquistando molti territori bizantini a scapito dei bulgari, ma
quest'ultimi si riorganizzarono e sconfissero l'imponente esercito
epiriota nel 1230 e così distrussero il sogno epiriota, condannando
l'Epiro alla mercé di Nicea, e poi dei latini. La fine avvanne, per
tutti e tre, nel 1479 con la conquista totale da parte degli
ottomani.
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- Il regno d'Inghilterra ed
il ducato di Normandia erano fino ad allora rimasti sotto il
governo della stessa persona, il re d'Inghilterra che era anche duca
della Normandia, della corona francese. Nel 1204 Giovanni
d'Inghilterra, discendente di quarta generazione da Guglielmo I
il bastardo/il conquistatore, perde la sovranità sulla parte
continentale del ducato a favore di Filippo II di Francia. Il resto
del ducato, noto come le Isole del Canale, rimarrà a Giovanni ed ai
suoi discendenti. Giovanni sarà poi protagonista, nel 1215, della
concessione della Magna Charta che rappresenterà la prima
forma di costituzione scritta concessa da un monarca nella
storia.
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