Federico II di Svevia (Hohenstaufen). |
- Nel 1228 la Serbia completa la propria riorganizzazione attorno alla Raška, che diventa il centro di maggiore importanza durante il regno dei figli di Stefan II: Radoslav (1227-1233), Vladislav (1233-1243) e Uroš I (1243-1276). La dinastia dei Nemanjic riesce a tenere la Serbia distante dalle crisi che all'epoca devastano i Balcani ed a mantenere il Principato indipendente. Durante il regno di Stefan VI Uroš II (1282-1321) e di Stefano VII Uroš III (1321-1331), la Serbia estende il suo potere in Macedonia e in Bulgaria.
La Guienna, da QUI |
Nel 1.236 - Comincia in Russia la seconda invasione mongola, che raggiungerà la Polonia, la Boemia e i Balcani. Comandati dal khan Batu, 50.000 mongoli si spingono verso la conquista del Principato di Kiev, la Rus' e conquistano la Bulgaria del Volga.
Nel 1.237 - Ha inizio l'invasione della Russia. I Tataro-mongoli conquistano rapidamente il controllo delle steppe, inglobando le locali popolazioni turche nel loro esercito. Il loro obiettivo principale rimane la Rus' di Kiev che, anche se ormai in fase di declino, era comunque il maggiore Stato slavo orientale. I Tataro-mongoli dell'Orda d'Oro disperdono o sottomettono tutte le tribù dei Cumani, mentre i loro territori diventano parte del Khanato dell'Orda d'Oro, pur serbando il nome di Canato dei Qipciaq. Alcune tribù riescono a fuggire in Bulgaria e in Ungheria, dove sono invitati a stabilirsi dai locali re, anche per ripopolare alcune zone tra Tibisco e Danubio, che da allora portano ancora il nome di Kunsàg (Cumania). I Cumani ebbero un ruolo molto importante nella storia ungherese, entrando a far parte della classe dirigente locale, rinnovandone la tradizionale tolleranza. Tra i sovrani ungheresi di origine cumana si ricorda soprattutto Ladislao il Cumano (1262 - 1290), che fu anche scomunicato e contro cui papa Niccolò IV organizzò una crociata che lo portò alla morte. In Ungheria, grazie alla tolleranza dei suoi sovrani (in ottemperanza ai dettami del primo re di quel paese danubiano, Stefano d'Ungheria), poterono conservare le loro credenze religiose (animista - sciamanica e musulmana anche con commistioni sincretistiche tra loro) almeno fino al XIV secolo se non oltre. Ancora oggi, in Transilvania sono presenti gruppi di loro discendenti, seguaci di un curioso Islam sincretizzato con pratiche sciamaniche. La memoria dei Cumani vive ancora oggi in Ungheria, dove le città di origine cumana si riconoscono da certi caratteri culturali propri e dal fatto che il loro nome contiene la parola Kun (in ungherese Cumano, appunto). Una regione ungherese è ancora oggi denominata "Cumania", divisa in "Piccola Cumania" (Kiskunság) e "Grande Cumania" (Nagykunság). Un altro toponimo ungherese che porta ancora in sé il nome dei Cumani è quello della provincia di Bács-Kiskun. Importante fu anche il contributo cumano alla storia romena. Di origine cumana furono molti principi romeni (tra i quali il primo re di Ungro-Valacchia, Basarab I di Valacchia), da cui - in ultima istanza - deriva anche il voivoda Vlad III di Valacchia (l'ispiratore di Dracula).
Nel 1.239 - Per la prima volta appare la menzione "Guelfo" e nel 1.242 quella di "Ghibellino".
Guelfi e Ghibellini erano le due fazioni opposte, nella politica italiana, dal XII secolo fino alla nascita delle Signorie, nel XIV secolo. Le origini dei nomi risalgono alla lotta per la corona imperiale dopo la morte dell'imperatore Enrico V (nel 1.125) tra le casate bavaresi e sassoni dei Welfen (pronuncia velfen, da cui la parola guelfo) con quella sveva degli Hohenstaufen, signori del castello di Waiblingen (anticamente Wibeling, da cui la parola ghibellino). Successivamente, dato che la casata sveva acquistò la corona imperiale e, con Federico I (il Barbarossa) Hohenstaufen, cercò di consolidare il proprio potere nel Regno d’Italia, le due definizioni designarono chi appoggiava l'impero (i Ghibellini) e chi lo contrastava in appoggio al papato (i Guelfi). I termini "guelfo" e "ghibellino" vennero coniati in relazione alle opposte fazioni fiorentine e toscane e furono un'invenzione linguistica di Firenze, che ottennero una straordinaria diffusione in Italia prima e in tutta l'Europa poi. Così come gli Hohenstaufen erano diventati gli Stuffo e gli Svevi, i Soavi, nella stessa maniera il nome di Welf divenne Guelfo, e quello di Weibling, Ghibellino. Le prime menzioni dei due termini appaiono negli "Annales Florentini". Nel 1239 compare per la prima volta la parola "guelfi" e nel 1242 la parola "ghibellini". Negli anni successivi, le attestazioni si fanno più consistenti e gli schieramenti dei guelfi e dei ghibellini si propagarono all'interno dei vari comuni e repubbliche marinare del suolo italico. Nell'epoca di Federico II , all'interno di quasi tutte le città italiane ci si schierava fra le due fazioni nella contesa tra papato e Impero. Gli antefatti risalgono a quando l'imperatore fu incoronato, nel 1220, mentre il comune di Firenze era impegnato in una disputa con il proprio vescovo, attestata sin dal 1218. Allora Firenze era alleata con Lucca, anch'essa in vertenza con il vescovo e con il papa ed era in guerra per motivi di confine con Pisa (che aveva cercato e ottenuto l'appoggio di Federico II) alleata a sua volta di Siena e Poggibonsi. Così, quando l'imperatore elargì concessioni ai suoi fedeli, Firenze fu gravemente penalizzata, a differenza di altre città toscane. Ciononostante, nel 1222, l'alleanza fiorentino-lucchese aveva riportato un'importante vittoria a Casteldelbosco contro le città avversarie. La stipulazione di una nuova alleanza, nel 1228, tra Pisa, Siena, Poggibonsi e Pistoia in funzione antifiorentina fece proseguire il conflitto tra Firenze e le altre città toscane, concentrandolo sulla Val di Chiana e Montepulciano. Sia il papato sia l'Impero tentarono la pacificazione con vari mezzi nel corso dei primi anni Trenta. Il legato imperiale Geboardo di Arnstein fallì una mediazione e poi bandì Montepulciano, che era governata da un podestà fiorentino, Ranieri Zingani dei Buondelmonti. Gregorio IX, approfittando della morte del vescovo fiorentino, insediò un suo fedele, Ardingo, a cui fece emanare costituzioni contro gli eretici. Nel 1232 Firenze, che continuava a rifiutarsi di venire a patti con Siena, fu interdetta e subì il bando imperiale. Fu chiamato in città un podestà milanese, Rubaconte da Mandello, mandato dal Papa in funzione antimperiale. Il nuovo magistrato però si fece promotore di una politica di difesa dei diritti del comune, anche in contrasto con il vescovo (che lo accusò di eresia) e trovò quindi il consenso del "popolo". Quando Federico II, forte della vittoria di Cortenuova, chiese l'invio di truppe per combattere nel Nord, nella milizia scoppiarono disordini tra Giandonati e Fifanti che si estesero all'intera città, portando alla cacciata di Rubaconte. L'ingresso del nuovo podestà, il romano filoimperiale Angelo Malabranca, riaprì i disordini che erano stati temporaneamente sedati. Nella seconda metà del Duecento i termini guelfi e ghibellini, grazie anche all'egemonia regionale e sovraregionale di Firenze, divennero le parti favorevoli al Papato e all'Impero in tutte le realtà urbane italiane, ribaltando il significato originario dei due schieramenti e i Guelfi non si sarebbero più schierati dalla parte di un Imperatore, ma da quella del Papa. In Italia tradizionalmente guelfi furono i comuni di Milano, Mantova, Bologna, Firenze, Lucca, Padova; famiglie guelfe furono i bolognesi Geremei, i genovesi Fieschi, i milanesi Della Torre, i riminesi Malatesta, i ravennati Dal Sale e le dinastie di origine obertenga come i ferraresi Este e alcuni rami dei Malaspina.
Tradizionalmente ghibellini, cioè filoimperiali e filosvevi, furono i comuni di Pavia, Asti, Como, Cremona, Pisa, Siena, Arezzo, Parma, Modena. In Italia famiglie ghibelline furono i bolognesi Lambertazzi e Carrari, i comaschi Frigerio e Quadrio, i milanesi Visconti, gli astigiani Guttuari, i toscani conti Guidi e gli Ubaldini di Arezzo, i ferraresi Torelli-Salinguerra, i forlivesi Ordelaffi, i i fiorentini degli Uberti e Lamberti, i pisani Della Gherardesca, i trevigiani Da Romano, i senesi Salimbeni e Buonconti, i marchesi Aleramici del Monferrato, e le dinastie di origine obertenga come i Pallavicino e alcuni rami dei Malaspina. Molto frequenti furono comunque i cambi di bandiera, per cui città e famiglie tradizionalmente di una parte non esitarono, per opportunità politica, a passare alla fazione opposta.
Castello di Battifolle con merlatura
guelfa.
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Castello Visconti-Castelbarco con
merlatura ghibellina.
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Nell'edilizia medievale si distinguono tradizionalmente i cosiddetti merli guelfi o ghibellini. I merli guelfi hanno la sommità squadrata e i merli ghibellini hanno la sommità "a coda di rondine".
L'uso della merlatura nell'epoca delle armi da fuoco divenne puramente decorativo, ed ebbe un revival nell'Ottocento nel periodo romantico-neogotico.
- In seguito Firenze, ormai stabilmente guelfa, si divise fra Bianchi, riuniti intorno alla famiglia dei Cerchi, fautori di una moderata politica filo papale, che riuscirono a governare dal 1300 al 1301 e i Neri, il gruppo dell'aristocrazia finanziaria e commerciale più strettamente legato agli interessi della chiesa, capeggiato dai Donati, che salirono al potere con l'aiuto di Carlo di Valois, inviato dal papa Bonifacio VIII. « Queste due parti, Neri e Bianchi, nacquono d'una famiglia che si chiamava Cancellieri, che si divise: per che alcuni congiunti si chiamarono Bianchi, gli altri Neri; e così fu divisa tutta la città » (Dino Compagni, "Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi", Libro I, 25). Le fazioni presero il nome dai due partiti in cui si divideva la città di Pistoia. Dino Compagni e Giovanni Villani raccontano come nella seconda metà del Duecento, all'interno della famiglia fosse nata una lite tra cugini a causa dell'alcol. Non senza sottolineare la proverbiale litigiosità dei Pistoiesi, i due storici fiorentini raccontano come da questione privata si arrivò a una scissione familiare in due rami e due partiti, ai quali si aggregarono gradualmente (tramite il sistema delle consorterie) altre famiglie fino ad avere la città schierata in due partiti che si facevano una strenue lotta: i Bianchi e i Neri. L'etimologia dei nomi è incerta e si pensa che prenda origine da una certa fanciulla chiamata Bianca. Quando le cariche di governo venivano ormai elette a metà tra un partito e l'altro, fu sancita la definitiva esistenza degli schieramenti. La situazione pistoiese era ben nota ai fiorentini, che vi inviavano da tempo un potestà a guidare la città, e che spesso cercavano di avvantaggiarsi da questa situazione di debolezza, intascando denari tramite magistrati poco scrupolosi, che con leggerezza assegnavano multe per le frequenti discordie, sulle cui ammende pecuniarie per legge avevano diritto ad una percentuale. A capo della fazione dei Neri c'era Simone da Pantano, amico di Corso Donati, mentre a capo dei Bianchi c'era Schiatta Amati, imparentato con i Cerchi di Firenze. Entrambi erano esponenti della famiglia Cancellieri. I contendenti o i litigiosi della famiglia che avevano creato disordini in città tra il 1294 e il 1296 vennero esiliati nella vicina città di Firenze dove gli uni, i bianchi, troveranno l'appoggio della famiglia dei Cerchi e gli altri, i neri, della famiglia dei Donati. Successivamente questa divisione si combinò con i dissapori già esistenti tra le due famiglie fiorentine e diede il nome anche alle analoghe fazioni di Firenze. Politicamente la scissione verteva su chi, pur difendendo il Pontefice, non precludeva il ritorno o la necessità dell'imperatore (cioè i guelfi Bianchi) e chi invece trovava indispensabile che il governo dovesse essere affidato al Papa poiché "misso domenici" (mandato dal signore). Nella pratica poi erano gli interessi commerciali e gli odi personali a dettare i veri andamenti di quella che divenne una vera e propria guerra civile. Anche il Machiavelli citò l'episodio nelle sue "Istorie fiorentine".
Nel 1.240 - I Tataro-mongoli conquistano e saccheggiarono Kiev, ponendo fine alla sua prosperità. In breve tutti i principati russi che costituivano lo Stato vennero conquistati, eccetto Novgorod che, governata da Alexander Nevsky, riconobbe la supremazia del khan Batu. A differenza delle steppe dell'Asia centrale, la Rutenia non venne incorporata nell'Orda d'Oro ma lasciata in uno stato di vassallaggio semi-indipendente, dietro pagamento di un tributo. L'Orda continuò a vedere la Rutenia come un'area periferica di minore interesse, a patto che continuasse a pagare i tributi.
Nel 1.241 - Due armate principali di tataro-mongoli al comando di Batu e Subedei invadono l'Ungheria mentre un'armata più piccola invade la Polonia, frammentata in molti piccoli stati, come diversivo per evitare che giungano aiuti agli Ungheresi da nord. Durante la conquista della Russia, i Tataro-mongoli avevano sconfitto e sottomesso le tribù dei Cumani, una popolazione turca stabilitasi a nord del Mar Nero. Alcuni Cumani però erano fuggiti e si erano rifugiati nel Regno di Ungheria. Quando Béla IV d'Ungheria si era rifiutato di consegnare i Cumani, Subedei, il comandante delle truppe tataro-mongole in Europa, si era così accinto a preparare un piano per invadere l'Ungheria e la Polonia. Dopo aver saccheggiato gran parte del territorio polacco, i Tataro-mongoli si scontrarono il 9 aprile con le forze polacche guidate da Enrico II il Pio, Duca di Slesia, nella Battaglia di Legnica: Enrico è ucciso e le sue forze si disperdono, mentre i Tataro-mongoli si dirigono a sud per congiungersi con le altre armate tataro-mongole che combattono in Ungheria. Appena due giorni dopo le armate del sud sconfiggono gli Ungheresi nella Battaglia di Mohi, costringendo la famiglia reale a fuggire. Nonostante l'Ungheria non fosse ancora affatto pacificata, i Tataro-mongoli marciarono in direzione di Vienna, probabilmente con l'intenzione di invadere la Germania in inverno, ma proprio allora giunse a Batu la notizia della morte del gran khan Ogedei, suo zio. A questo punto l'invasione è interrotta e Batu torna in Mongolia per l'elezione del nuovo gran khan. In seguito, l'Orda d'Oro sarà impegnata su altri fronti e così nessuno penserà più di tentare nuovamente una grande campagna per conquistare l'Europa occidentale.
Nel 1.242 - I Russi, guidati da Aleksandr Nevskij, sconfiggono i Cavalieri Portaspada Teutonici sul lago Peipus.
- Le prime prove di armi simili a cannoni
risalgono al XII secolo, quando diversi stati della Cina svilupparono
in modo più o meno indipendente armi da fuoco derivate dai fuochi
artificiali già diffusi dal X secolo. La Cina si trovava sotto pressione da
parte di tribù nomadi dei territori limitrofi, che spesso
sconfinavano con razzie o vere e proprie conquiste. Tra queste
popolazioni vi furono tangut, khitan, manciù e soprattutto i
mongoli. La tecnologia cinese raggiunse un buon grado di
avanzamento, sviluppando per prima la tecnica del cannone a
mitraglia (caricato con piccoli oggetti, in funzione
anti-fanteria) e dell'uso navale del cannone. Nell'XII secolo
la Cina attraversò un periodo di frazionamento politico e scontri,
che causò una rapida evoluzione degli armamenti.
Queste armi da fuoco, che inizialmente
comprendevano frecce propulse a razzo, razzi con catene chiodate e
pentole esplosive, ed in seguito arrivarono a comprendere veri e
propri cannoni e pezzi di artiglieria, furono usate dai
difensori cinesi durante le invasioni mongole, e contribuirono
in modo determinante alla difesa dell'impero. In seguito, i
mongoli acquisirono alcune rudimentali tecniche legate a
queste armi, e le portarono con sé nella loro marcia verso
l'Europa e il Medio Oriente durante il XIII secolo. Questo primo
contatto fu uno stimolo per lo sviluppo delle nuove armi da fuoco
soprattutto in Europa, dove nel XV secolo l'uso della polvere da
sparo comincerà a diventare significativo, gettando le
basi per la fine della guerra di cavalleria.
- Il khan Batu stabilisce la sede dell'Orda d'Oro a Saraj, sul Volga.
C'è chi dice che il khanato chiamato "Orda d' Oro" prendesse il nome dalla tenda del khan Batu, completamente dorata e ricamata d'oro. La capitale era Saraj sul Volga ed il territorio andava dalla foce del Danubio verso nord, lungo i Carpazi fino al golfo di Finlandia; a settentrione costeggiava l' Ob per giungere infine al mar Caspio e al mar Nero. Il centro dell'impero mongolo si trovava in Mongolia, in particolare a Karakorum, dove il gran khan aveva la sua corte. Il conquistatore della Russia, Batu, non era un sovrano indipendente, ma governava l Orda d'Oro come una provincia di un impero in cui tutti i khan dipendevano dal gran khan. Le divergenze col potere centrale si accentuarono nei decenni successivi per la conversione delle popolazioni mongole occidentali - conosciute in Europa come tatari o, storpiando, tartari - all'islamismo a scapito del cristianesimo nestoriano o dello sciamanesimo dei Mongoli.
Caratteristica del regime mongolo era la tremenda pressione fiscale. Ogni principe russo riceveva un investitura (Jarlyk) per governare e doveva accettare un supervisore (baskak), qualsiasi rivolta veniva repressa brutalmente da truppe di occupazione al cui acquartieramento doveva provvedere lo stesso principe. Nel frattempo i tataro-mongoli si divisero in orde distinte: la Grande Orda, ovvero ciò che rimaneva dell' originario Khanato, tra Don e Dniepr, poi l'Orda di Crimea e quella di Kazan. Solo verso la fine del XIV secolo il principato di Mosca, da tempo in grande ascesa grazie alla sua efficenza nel riscuotere tributi per conto dei mongoli, dava inizio alla riscossa russa, che si concretizzerà con Ivan III nella seconda metà del secolo seguente; ma si dovrà attendere suo figlio, Ivan IV il Terribile, per assestare finalmente il colpo finale alla Grande Orda d'Oro. - Il khan Batu stabilisce la sede dell'Orda d'Oro a Saraj, sul Volga.
Territori del khanato dell'Orda d'Oro con la capitale
Saraj, sul Volga. Da: https://it.wikipedia.org/wiki/Khanato
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Il 180° papa:
Innocenzo IV.
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Bulgaria, Impero Latino con relativi
Principato e Ducati, i
tre stati bizantini Dispotia
dell'Epiro, Impero di Nicea,
Impero di Trebisonda e il Sultanato
selgiuchide di Rûm
nel 1230. Da: https://commons.wikimedia.org/w
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Nel 1.246 - Avviene l’"Anschluss" (collegamento, nel senso di annessione) della Provenza. Beatrice, ereditiera della contea, viene fatta sposare a Carlo d’Angiò, parente del re di Francia. Le città provenzali si rifiutano di riconoscere il nuovo sovrano per timore di perdere le proprie libertà municipali. Carlo “pacifica” ad una ad una, naturalmente con le armi, Arles, Aix, Marsiglia… La resistenza Provenzale dura, comunque, dieci anni.
Apparteneva alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen e discendeva per parte di madre dalla dinastia normanna degli Altavilla, regnanti di Sicilia. Conosciuto con gli appellativi "stupor mundi" (meraviglia o stupore del mondo) o puer Apuliae (fanciullo di Puglia), con intento dispregiativo attribuitogli dagli intellettuali tedeschi durante la lotta per il titolo imperiale contro Ottone di Brunswick e potrebbe essere tradotto come "ragazzino dell'Italia meridionale", contrapposto al maturo cavaliere dei guelfi. Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione artistica e culturale, volte ad unificare le terre e i popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa. Egli stesso fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica. Federico nacque il 26 dicembre 1.194 da Enrico VI (a sua volta figlio di Federico Barbarossa I di Svevia) e da Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II il Normanno, a Jesi, nella Marca anconitana, mentre l'imperatrice stava raggiungendo a Palermo il marito, incoronato appena il giorno prima, il giorno di Natale, re di Sicilia. Data l'età avanzata, nella popolazione vi era un diffuso scetticismo circa la gravidanza di Costanza, perciò fu allestito un baldacchino al centro della piazza di Jesi, dove l'imperatrice partorì pubblicamente, al fine di fugare ogni dubbio sulla nascita dell'erede al trono.
Costanza, che prima del battesimo del figlio lo chiamò inizialmente col nome matronimico di Costantino, portò il neonato a Foligno, città dove Federico visse i suoi primissimi anni, affidato alla duchessa di Urslingen, moglie del duca di Spoleto, Corrado, uomo di fiducia dell'imperatore. Poi partì immediatamente alla volta della Sicilia per riprendere possesso del regno di famiglia, poco prima riconquistato dal marito. Qualche tempo dopo, nella cerimonia battesimale svoltasi nella Cattedrale di San Rufino in Assisi, in presenza del padre Enrico, il nome del futuro sovrano venne definito in quello di Federico Ruggero; "Federico" per indicarlo a futura guida dei principi germanici quale nipote di Federico Barbarossa e "Ruggero" per sottolineare la legittima pretesa alla corona del Regno di Sicilia quale discendente di Ruggero II. Quella fu la seconda ed ultima occasione in cui Enrico VI vide il figlio. Così, per la sua nascita Federico era già pretendente di molte corone. Quella imperiale non era ereditaria, ma Federico era un valido candidato a Imperatore del Sacro Romano Impero, che comprendeva le corone di Germania, Italia e di Borgogna.
Questi titoli assicuravano diritti e prestigio, ma non davano un potere effettivo, mancando in quegli stati una solida compagine istituzionale controllata dal sovrano. Tali corone davano potere solo se si era forti, altrimenti sarebbe stato impossibile far valere i diritti regi sui feudatari e sui Comuni italiani. Inoltre per via materna aveva ereditato la corona di Sicilia, dove invece esisteva un apparato amministrativo ben strutturato a garantire che la volontà del sovrano venisse applicata, secondo la tradizione di governo centralistico. L'unione del regno di Germania e di Sicilia non veniva vista di buon occhio né dai normanni né dal papa, che con i territori che a vario titolo componevano lo Stato della Chiesa possedeva una striscia che avrebbe interrotto l'unità territoriale del grande regno, facendolo sentire di conseguenza accerchiato. Il 28 settembre 1.197 Enrico VI (il padre) moriva e Costanza affidò il figlio a Pietro di Celano conte della Marsica (fratello di Silvestro della Marsica che era stato Grande Ammiraglio di Guglielmo I il Malo, re di Sicilia) e Berardo di Laureto appartenente alla famiglia degli Altavilla conti di Conversano. Il 17 maggio del 1.198 Costanza fece incoronare il figlio re di Sicilia a soli quattro anni. Costanza morì il 27 novembre dello stesso anno, dopo averlo posto sotto la tutela del nuovo papa, Innocenzo III, ed aver costituito a favore del papa un appannaggio di 30.000 talenti d'oro per l'educazione di Federico. Suo primo maestro fu frate Guglielmo Francesco, che ne rispondeva al vescovo Rinaldo di Capua, il quale informava costantemente il papa dei progressi scolastici, della crescita e della salute di Federico poi sarà Gualtiero di Palearia, vescovo di Troia, il vero tutore di Federico, a Palermo. Federico risiedeva nella reggia di Palermo, nel Castello della Favara, nel Castello a Mare, seguendo Gentile di Manopello fratello di Gualtiero. Poi Guglielmo Francesco, Gentile di Manopello ed un imam musulmano, rimasto sconosciuto alla storia, furono istruttori di Federico fino a quando, sotto la tutela di Marcovaldo e poi di Guglielmo di Capparone, venne cresciuto dal popolo palermitano più povero.
Federico II
Hohenstaufen,
Napoli, Palazzo
Reale.
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Questi titoli assicuravano diritti e prestigio, ma non davano un potere effettivo, mancando in quegli stati una solida compagine istituzionale controllata dal sovrano. Tali corone davano potere solo se si era forti, altrimenti sarebbe stato impossibile far valere i diritti regi sui feudatari e sui Comuni italiani. Inoltre per via materna aveva ereditato la corona di Sicilia, dove invece esisteva un apparato amministrativo ben strutturato a garantire che la volontà del sovrano venisse applicata, secondo la tradizione di governo centralistico. L'unione del regno di Germania e di Sicilia non veniva vista di buon occhio né dai normanni né dal papa, che con i territori che a vario titolo componevano lo Stato della Chiesa possedeva una striscia che avrebbe interrotto l'unità territoriale del grande regno, facendolo sentire di conseguenza accerchiato. Il 28 settembre 1.197 Enrico VI (il padre) moriva e Costanza affidò il figlio a Pietro di Celano conte della Marsica (fratello di Silvestro della Marsica che era stato Grande Ammiraglio di Guglielmo I il Malo, re di Sicilia) e Berardo di Laureto appartenente alla famiglia degli Altavilla conti di Conversano. Il 17 maggio del 1.198 Costanza fece incoronare il figlio re di Sicilia a soli quattro anni. Costanza morì il 27 novembre dello stesso anno, dopo averlo posto sotto la tutela del nuovo papa, Innocenzo III, ed aver costituito a favore del papa un appannaggio di 30.000 talenti d'oro per l'educazione di Federico. Suo primo maestro fu frate Guglielmo Francesco, che ne rispondeva al vescovo Rinaldo di Capua, il quale informava costantemente il papa dei progressi scolastici, della crescita e della salute di Federico poi sarà Gualtiero di Palearia, vescovo di Troia, il vero tutore di Federico, a Palermo. Federico risiedeva nella reggia di Palermo, nel Castello della Favara, nel Castello a Mare, seguendo Gentile di Manopello fratello di Gualtiero. Poi Guglielmo Francesco, Gentile di Manopello ed un imam musulmano, rimasto sconosciuto alla storia, furono istruttori di Federico fino a quando, sotto la tutela di Marcovaldo e poi di Guglielmo di Capparone, venne cresciuto dal popolo palermitano più povero.
Stemma degli
Hohenstaufen,
attuale stemma
dello stato federale
tedesco del
Baden-Württemberg
che occupa
gran parte dell'antica
Svevia, in
tedesco Schwaben.
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Augustale di Federico II (1231).
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Castel del Monte.
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Nel 1.249 - Inizia la Settima Crociata. La situazione nel vicino oriente negli anni precedenti era stata caratterizzata dalla sempre più massiccia avanzata dei Mongoli di Gengis Khan, che nella loro catastrofica progressione verso occidente avevano investito con tutta la loro forza il pur potente regno del Khwārezm (l'antica Corasmia, attuale regione uzbeka) distruggendo nel 1.219 quanto era stato creato dalla dinastia dei Khwārezmshāh. Jalal al-Din Mankubirni (o Mangburni), figlio dell'ultimo sovrano dell'Impero corasmio ʿAlāʾ al-Dīn Muhammad, nel tentativo di ridar vita al regno paterno, si mise alla testa di nutrite bande di Corasmi, percorrendo con loro in armi le regioni medio e vicino-orientali per depredarle o per offrirsi in qualità di mercenari ai vari signorotti. Il sultano della dinastia ayyubide, fondata da Saladino, era al-Malik al-Kāmil, ben noto per il suo accordo con Federico II di Svevia (che va sotto il nome di Sesta crociata) e per il suo romanzato incontro con San Francesco d'Assisi che valse comunque all'Ordine dei Francescani da lui creato la Custodia di Terrasanta. Quando era ancora principe, al-Sālih Ayyūb, figlio di al-Malik al-Kāmil, aveva cominciato a comperare schiavi per farne soldati (Mamelucchi, dall'arabo mamlūk, "schiavo") e ad arruolare sbandati Corasmi per potersene servire per i suoi ambiziosi ma inconfessati fini, guadagnandosi il logico sospetto del padre che lo relegò precauzionalmente nei periferici soggiorni sorvegliati siriani di Hisn Hayfa. Quando il padre, morendo, indicò per succedergli l'altro suo figlio al-ʿĀdil II Abū Bakr, al-Sālih Ayyūb riuscì a sovvertire la designazione paterna e con i suoi Corasmi e Mamelucchi, a diventare infine nel 1.240, dopo un iniziale rovescio e un'ulteriore segregazione di sei mesi in Siria (ad al-Karak), nuovo Sultano di Egitto e Siria. Nel 1.244 la soldataglia Corasmia fu lanciata da al-Sālih Ayyūb contro i suoi parenti ayyubidi siriani, conseguendo appieno il fine prefissato ma, a dispetto della realizzata conquista del potere da parte del Sultano ayyubide, le bande Corasmie rimasero nelle aree mesopotamiche e siriane settentrionali, pronte a far valere, grazie alla loro supremazia militare, la loro prepotente ingordigia ed a impadronirsi di quanto a loro faceva gola. Non mancarono ovviamente assoldamenti di costoro da parte dei più deboli principotti ayyubidi che rimanevano (sia pure in posizione di sostanziale subordinazione militare) a governare i loro possedimenti siriani. Tuttavia queste bande Corasmie furono capaci (che ciò sia dipeso da inattuate promesse di questo o quell'Ayyubide, o dalla loro incontenibile pulsione predatoria), di occupare e depredare la città di Gerusalemme nel 1.245, non senza dar luogo a efferatezze (come nel caso delle macabre riesumazioni delle spoglie degli antichi re crociati nella Basilica del Santo Sepolcro) e al massacro di 30.000 cristiani. La notizia di tutto ciò sconvolse la Cristianità e durante il concilio di Lione vennero esaminati tutti questi fatti: la perdita di Gerusalemme, l'invasione mongola che aveva già abbattuti diversi regni islamici ed anche il conflitto tra impero e papato per la Sicilia. Federico II venne scomunicato per la seconda volta e quindi, quando si decise di organizzare una nuova spedizione crociata in Terrasanta, l'organizzazione ed il comando furono affidati a Luigi IX, re di Francia. Luigi IX di Francia, destinato dopo la morte alla beatificazione, aveva già fatto voto di prendere la croce durante una grave malattia, prima ancora della caduta di Gerusalemme. Dopo il 1.245 iniziò a reclutare soldati ed invitò i suoi fratelli e altri principi con i loro vassalli a farsi crociati e a partire per l'Outremer. Cercò inoltre di convincere anche gli altri sovrani occidentali, ma con scarsi risultati: solo Enrico III di Inghilterra permise che la crociata fosse predicata nel suo regno e solo nel 1.249 permise che 200 cavalieri vi partecipassero. Luigi cercò anche di rappacificare papa ed imperatore, ma nessuno dei due fu disposto a mettere a disposizione delle truppe, per cui questa crociata rimase totalmente francese. La preparazione della crociata fu completa sotto ogni aspetto. Il re si assicurò che tutto fosse moralmente corretto, fece condurre un'indagine per appurare se avesse fatto dei torti a chichessìa e nel caso si impegnò a riparare. Vietò ogni guerra privata e si impegnò per una moratoria di tre anni sugli interessi dei debiti. Affidò la conduzione del regno alla madre Bianca di Castiglia e sul piano materiale si impegnò a sostenere economicamente circa la metà dei crociati ed organizzò in maniera ottimale il trasporto ed il vettovagliamento delle truppe con la firma di contratti puntuali con armatori di Marsiglia e di Genova. Il re salpò il 25 agosto 1.248 dal porto francese di Aigues-Mortes alla volta dell'Egitto e con lui vi furono i fratelli Roberto I d'Artois, Alfonso III di Poitiers e Carlo d'Angiò, i duchi di Bretagna e di Borgogna e molti altri nobili con un esercito di 15.000 uomini circa. La sua scelta della meta era sensata, perché in Europa era ben chiaro che la forza dei musulmani risiedeva non tanto nelle depredate regioni siriane quanto al Cairo, dove aveva appunto eretto la propria capitale la dinastia fondata da Saladino. A metà del 1.249 la flotta crociata sbarcò dunque a Damietta, sul delta del fiume Nilo. Nei pressi si ergeva la città di al-Mansūra, allora capitanata da un promettente ufficiale mamelucco, Baybars.
Settima Crociata: re Luigi IX
nell'attacco a Damietta.
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Superate le deboli difese di Damietta, i Crociati si bloccarono davanti ad al-Mansūra, rifiutando sdegnosamente un'accomodante proposta del sultano ayyubide di scambiare l'importante porto di Damietta con Gerusalemme (che per i musulmani, all'epoca, non rivestiva soverchia importanza e che, comunque gli Ayyubidi pensavano, o speravano, di poter riconquistare in un futuro non troppo lontano). L'ambizioso sovrano francese urtò però contro le imprendibili mura di al-Mansūra e le inusuali capacità di resistenza di Baybars, che sperava, come infatti avvenne, di ricevere rinforzi determinanti dall'Emiro ayyubide Fakhr al-Dīn ibn al-Shaykh. Questi, impegnato in Siria contro gli Ospedalieri ad ʿAsqalān (Ascalona), dopo avere sconfitto i suoi esigui avversari giunse nel delta del Nilo e, accerchiate a sua volta le forze crociate, ne impose la resa. Inutile fu un tentativo di resistenza di Luigi IX, mentre la dissenteria prendeva a mietere vittime non minori dello scorbuto e del tifo, il sovrano francese, ammalatosi e curato da un valente medico arabo, fu addirittura catturato, e venne liberato dalla moglie solo dopo il difficile pagamento di un riscatto di 800.000 bisanti d'oro, che i Templari furono letteralmente obbligati ad anticipargli. Luigi IX trascorse altri quattro anni in Terra Santa, nell'inutile tentativo di rianimare Outremer, al termine dei quali dovette però tornare nel suo regno, senza aver ottenuto altro risultato se non quello, abbastanza insignificante, di un avvicinamento fra il Principato di Antiochia e la monarchia armena della Cilicia.
Bologna - Palazzo Re Enzo, dove venne
tenuto prigioniero
il re svevo, adiacente a Piazza
Maggiore.
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Alegru cori, plenu Alla Puglia, terra forse agognata dalla lontana prigionia, dedicò alcuni versi: di tutta beninanza, Và, canzonetta mia...
suvvegnavi s'eu penu Salutami Toscana
suvvegnavi s'eu penu Salutami Toscana
per vostra inamuranza; quella ched è sovrana
ch'il nu vi sia in placiri in cüi regna tutta cortesia:
di lassarmi muriri talimenti, e vanne in Puglia piana,
ch'iu v'amo di buon cori e lialmenti. la magna Capitana,
là dov'è lo mio core nott'e dia.
Nel 1.250 - Muore Federico II Hohenstaufen.
Miniatura raffigurante la
Crociata dei Pastori.
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