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martedì 12 maggio 2020

Storia dell'Europa n.78: dal 2.010 al 2.014 e.v. (d.C.)

Rappresentazione di disunione
nell'eurozona.
Dal 2010 - Tra il 2010 e il 2011 si è riscontrato l'allargamento della crisi ai debiti sovrani e alle finanze pubbliche di molti paesi (in larga misura gravati dalle spese affrontate nel sostegno ai sistemi bancari), soprattutto ai paesi dell'eurozona (impossibilitati a operare manovre sul tasso di cambio o ad attuare politiche di credito espansive e di monetizzazione), che in alcuni casi hanno evitato l'insolvenza sovrana (Portogallo, Irlanda, Grecia), grazie all'erogazione di ingenti prestiti (da parte di FMI e UE), denominati "piani di salvataggio", volti a scongiurare possibili default.

Tabella dei dati macroeconomici
del 2010 degli Stati membri
dell'Unione Europea.  
- La crisi economica in Portogallo. A inizio aprile 2010 le banche portoghesi danno l'annuncio di non essere in grado di acquistare in asta i titoli del debito pubblico portoghese, destando la sorpresa del mercato. L'esito, anch'esso molto anomalo, dell'asta dei titoli di stato a breve termine portoghesi il 6 aprile 2011, con i T-bill a scadenza semestrale e annuale, assegnati con tassi in forte rialzo rispetto alle emissioni precedenti costituì il campanello d'allarme per l'imminente crisi di liquidità dello stato portoghese. Il Portogallo stava scontando la condizione di tassi di crescita economica molto lievi, dovuti all'erosione continua di competitività, di salari troppo alti rispetto alla produttività, di infrastrutture inadeguate o insufficienti, istruzione inadeguata e scarsa razionalizzazione della spesa pubblica. L'assenza di sviluppo si combinò con un gettito fiscale insufficiente, fattori che inseriti nel contesto di una crisi di fiducia degli investitori condussero rapidamente il Portogallo ad essere incapace di rifinanziarsi sul mercato e di onorare il debito già contratto. Nel marzo 2011 il premier José Sócrates era stato costretto alle dimissioni in seguito alla bocciatura in aula delle misure di austerità (quarta manovra economica in ordine di tempo). Dopo aver fatto richiesta ufficiale di aiuti per 80 miliardi di euro, l'eurogruppo approvò il piano di salvataggio del Portogallo, concesso a condizione che il parlamento approvasse il risanamento di bilancio. L'intervento, dell'ammontare complessivo di 80 miliardi, fu concesso in una situazione di estrema emergenza di fondi dello stato, impossibilitato a coprire i rimborsi e le spese ordinarie. Successivamente il parlamento portoghese sarà costretto a discutere e approvare pesanti misure riduzione del disavanzo e delle spese, tra le più dure degli ultimi 50 anni. Il 5 luglio 2011 anche il Portogallo fu colpito dal declassamento di Moody's, con un taglio di quattro note del rating a lungo termine (dal Baa1 a Ba2) e outlook negativo alla luce - secondo il comunicato ufficiale dell'agenzia - del "crescente rischio che il Portogallo chieda una seconda tranche di finanziamenti internazionali prima che possa tornare sul mercato privato e dell’aumento delle possibilità che venga chiesta come pre-condizione la partecipazione del settore privato".

Il 23-04 il governo greco richiede all'Unione Europea e al FMI l'attivazione di un pacchetto d'aiuti con un prestito iniziale di 45 miliardi di euro: inizia la crisi politico-sociale della Grecia. 

- La crisi economica della Grecia è parte della crisi del debito sovrano europeo. A partire dalla fine del 2009 i timori di una crisi del debito sovrano sviluppati tra gli investitori sulla capacità della Grecia nel rispettare gli obblighi di debito, a causa della forte crescita del debito pubblico Questo portò ad una crisi di fiducia, indicata da un allargamento dello spread di rendimento delle obbligazioni e il costo di un'assicurazione contro i rischi su credit default swap rispetto agli altri paesi della zona euro, soprattutto la Germania. Il declassamento del debito pubblico greco a junk bond nell'aprile 2010 ha creato allarme nei mercati finanziari. Il 2 maggio 2010 i paesi dell'Eurozona e il Fondo Monetario Internazionale hanno approvato un prestito di salvataggio per la Grecia da 110 miliardi di euro, subordinato alla realizzazione di severe misure di austerità. Prestito che in realtà nasconde un parziale e già avvenuto default dello stato greco, non più in grado di vendere agli investitori a condizioni di mercato i propri titoli di debito. Nell'ottobre 2011 i leader dell'Eurozona hanno deciso di offrire un secondo prestito di salvataggio da 130 miliardi di euro per la Grecia, condizionato non solo dall'attuazione di un altro duro pacchetto di austerità ma anche dalla decisione di tutti i creditori privati ​​per una ristrutturazione del debito greco, riducendo il peso del debito previsto da un 198% del PIL nel 2012 a solo 120,5% del PIL entro il 2020. La seconda operazione di salvataggio è stata ratificata da tutte le parti nel febbraio 2012, e venne attivato il mese successivo, quando è stata soddisfatta l'ultima condizione del piano di ristrutturazione del debito di tutti i titoli di stato greci. Il piano di salvataggio più recente è impostato per coprire tutte le esigenze finanziarie greche nei prossimi tre anni, 2012-2014. Se la Grecia riuscirà a soddisfare tutti gli obiettivi economici delineati nel piano di salvataggio, un ritorno pieno all'uso di capitali privati ​​per la copertura di fabbisogni finanziari futuri sarà possibile nuovamente nel 2015. Per "Grecia: come sopprimere una democrazia" clicca QUI

Cartina dell'Unione Europea con il
PIL dei 27 Stati membri nel 2010.
Nel 2011 - Il 1° gennaio l'Estonia adotta l'euro, portando la zona euro a diciassette membri.

- Il 31 marzo Mayotte passa da COM a DOM francese, diventando ufficialmente territorio dell'Unione Europea.

- La crisi economica iItalia è stata scatenata da tre ragioni combinate: l'enorme stock di debito, soprattutto se rapportato al Pil (che subì una forte crescita a partire dal 2008, in coincidenza con la crisi, dopo diversi anni di complessiva riduzione); la scarsa o assente crescita economica, con il prodotto interno lordo aumentato in termini reali solo del 4% nel decennio 2000-2010; la scarsa credibilità dei governi e del sistema politico, spesso apparso privo di decisione o tardivo agli occhi degli osservatori internazionali e degli investitori. L'indebitamento estero del settore privato (soprattutto verso i paesi centro-europei, cresciuto con l'adesione all'UEM), l'impossibilità di ricorrere alla svalutazione della moneta (proibita dagli accordi di Maastricht) per stimolare la competitività delle esportazioni, il forte deficit della bilancia commerciale, cui va aggiunto il dato dell'enorme quantità di debito pubblico pregresso (aumentato inoltre tra 2008 e 2011 del 7%), indussero molti investitori, soprattutto esteri, a nutrire sfiducia verso la capacità dell'Italia di essere solvibile, provocando un deflusso di investimenti e un ritiro improvviso dei capitali (con conseguente impennata dei tassi di interesse sui titoli di stato). Il 2009 aveva visto un crollo del Pil italiano del 5%, mentre l'indebitamento della amministrazioni pubbliche era aumentato a 80,8 miliardi, pari al 5,3% del Pil; il deficit aveva visto un incremento del 2,6%.Molto pesante fu il crollo del settore industriale, calato del 15,1%, come anche gli ordinativi che subirono un brusco contraccolpo. Particolarmente consistente fu il crollo del settore dell'auto, con un calo delle vendite a dicembre del 2008 del 48,9%. Sul fronte del debito pubblico, tra il 2008 e il 2010, nel contesto di una scarsa crescita e di un'economia in stagnazione (pur avendo avuto il Pil italiano un incremento nel 2010 intorno all'1,2%, ma segnando un nuovo calo nel 2011 con percentuali vicine allo zero), il debito pubblico italiano aumentò dal 103,6% al 119,0% (quarto valore più grande al mondo in rapporto al Pil), per un ammontare complessivo nel 2010 a 1.843.015 milioni di euro, a fronte di un Pil pari a 1.548.816 milioni. In rosso, gli stati europei chiamati "PIGS" nel mondo anglosassone (in inglese "maiali"), cioè Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, indicati come fonti di tensioni nell'eurozona, in virtù della loro ritenuta cattiva situazione finanziaria e economica. A questi si è aggiunta prima l'Italia formando l'acronimo "PIIGS" e poi il Regno Unito con l'acronimo "PIIGGS".
L'ammontare dei titoli di stato italiani in circolazione fa riferimento a tutti i titoli emessi dallo stato, sia sul mercato interno (attraverso BOT, CTZ, CCT, BTP e BTP€i), sia sul mercato estero (programmi global, MTN e carta commerciale). A partire dal 2008 la forbice tra buoni del tesoro poliennali e Bund inizia ad ampliarsi. Essa appariva quasi del tutto irrilevante nel 2006, quando il tasso di rendimento dei titoli italiani rispecchiava un'affidabilità superiore ai Treasuries americani e ai Gilts britannici. Nel 2008 tuttavia lo spread raggiunse la soglia vicina ai 100 punti base, salendo l'anno successivo di ulteriori 50 punti e raggiungendo in dicembre i 176 punti base. La crisi del debito sovrano italiano raggiunse la sua fase più acuta a partire dall'estate del 2011, dopo che già Grecia, Irlanda e Portogallo avevano, a vario titolo, riscontrato difficoltà nel collocamento dei titoli di debito pubblico sul mercato finanziario (con tassi di rendimento ormai attestati su soglie proibitive), giungendo nella condizione di non potersi rifinanziare. Ciò alla fine di un anno circa lungo il quale il costo della raccolta per il Tesoro aumentò di oltre 1,5 punti percentuali: il BTP quinquennale nel 2010 assegnato in asta attorno al 2,64%, a luglio 2011 toccava il 4,629% (+2% circa). Fino all'inizio dell'estate 2011, tuttavia, i buoni del tesoro poliennali italiani avevano conservato contenuti rendimenti e buona appetibilità sul mercato, tanto da essere considerati un "bene rifugio", al pari dei titoli dei paesi più solidi dell'eurozona sotto il profilo dell'affidabilità del debito (Germania, Olanda, Austria e Francia). Per oltre dieci anni dall'introduzione della moneta unica l'Italia aveva potuto collocare a tassi vantaggiosi i propri titoli di stato, pur nelle differenze oggettive tra le economie dei paesi membri e nonostante le difficoltà maggiori riscontrate dall'Italia, già prima dell'adesione all'eurozona, nella distribuzione dei titoli pubblici. Prima che esplodesse la crisi della Grecia, nella primavera 2011 il Tesoro italiano rifinanziava il debito pubblico collocando titoli di stato in asta con costi medi all'emissione scesi a livelli record del 2,1 per cento. In un'asta tenutasi a metà luglio, però, i titoli a 15 anni vennero venduti al 5,90%, il massimo della storia della moneta unica, mentre quelli a 5 anni al 4,93%. L'ampliamento dello spread, il differenziale di rendimento fra titoli di stato italiani e tedeschi (Bund), contribuì a innescare una crisi di fiducia sulla redimibilità dell'Italia, provocando il ribasso dei mercati azionari europei e in particolare della Borsa di Milano. In una progressività crescente, il differenziale si attestò a 200 punti a fine giugno, a 350 a inizio luglio, a 400 a inizi agosto, per poi scendere lungo il mese di agosto, in coincidenza con l'intervento della BCE, e arrivare a 500 ai primi di novembre, toccando il massimo degli ultimi anni il 9 novembre 2011.

- Il 12 novembre l'UE convince Napolitano, presidente della repubblica italiana, a rimuovere Silvio Berlusconi dalla presidenza del consiglio dei ministri. L'UE (Germania in testa e Francia allineata), vede nella catastrofica gestione economica italiana (per quanto un nuovo sorpasso del PIL italiano su quello britannico si fosse verificato nel 2009) il rischio del crollo del delicato equilibrio interno all'UE. Mario Monti, che non è un politico, seppur ex funzionario di organismi internazionali, viene messo a capo di un governo di "tecnici" che riuscirà a spremere liquidità agli italiani, distruggendo sia ciò che era rimasto dello stato sociale italiano che i fondamentali per la crescita: ma darà alla BCE e alle banche europee ciò che esigono.

Nel 2012 - Il 1° aprile il diritto d'iniziativa dei cittadini europei consente ad un milione di cittadini europei di prendere direttamente parte all'elaborazione delle politiche dell'UE, invitando la Commissione europea a presentare una proposta legislativa.

Unione Europea, i 10 maggiori
comuni dell'UE con i dati della
popolazione.  
- La crisi economica in Spagna. La crescita dell’economia spagnola, assistita da un credito facile e a buon mercato, si interrompe bruscamente nel 2008. Essa era ampiamente basata sullo sviluppo artificioso del settore immobiliare, la cui grave crisi a partire dal 2008 trascina con sé anche drammatiche conseguenze per il sistema finanziario. I crediti incagliati delle banche hanno così raggiunto l’8,4% del totale nel marzo 2012. Alcune fonti valutano che sia necessario immettere dei mezzi propri nel sistema per 50-60 miliardi di euro, mentre altre parlano di cifre intorno ai 100 miliardi di euro (The Economist, 2012) e c’è anche chi si spinge ragionevolmente sino ai 120 miliardi e oltre. Una delle vie seguite dal governo per cercare di uscire dalle difficoltà è stata quella di fondere insieme più istituti, permettendo così che, all’interno di ogni raggruppamento, quelli deboli siano sostenuti da quelli con un bilancio migliore. Ma già l’esperienza della Bankia, frutto a suo tempo della fusione di sette banche più piccole e che ora ha bisogno di 23 miliardi di euro di nuovo capitale (circa cinque volte tanto rispetto alle prime stime), mostra le difficoltà di tale opzione (Economics blog, 2012). Il governo conservatore spagnolo, che non cessa di commettere errori su errori, sembra persistere in tale politica, meditando di fondere altre tre banche tra di loro. Le opinioni degli osservatori sembrano unanimi nel giudicare molto difficile che la soluzione del problema di Bankia, così come delle altre banche in difficoltà, si possa trovare con le sole risorse interne al paese, come il governo sembrava pensare almeno sino a qualche giorno fa, mettendo a punto soluzioni dilettantesche al riguardo. D’altro canto, il popolo spagnolo, che è obbligato a stringere la cinghia, trova difficile digerire il salvataggio con le proprie risorse di quelle banche le cui follie lo hanno portato alla rovina (Tremlett, 2012). Si deve comunque considerare che in Spagna (ma anche altrove) si registra ormai una stretta interdipendenza tra le banche e l’andamento dei budget pubblici e non sembra esserci modo per uscire da questa trappola al solo livello nazionale. Una parte del debito pubblico è detenuto dalle banche, che così sono esposte a potenziali e devastanti perdite (gli istituti spagnoli hanno in più molti crediti immobiliari inesigibili). A sua volta un governo debole tenta di salvare il sistema bancario, ma non ne ha i mezzi. In ogni caso appare chiaro che ormai il problema europeo e non solo spagnolo non è solo quello dei budget pubblici, ma anche di un sistema bancario in pesanti difficoltà. Si va facendo così strada, a livello internazionale, l’idea della costruzione di un sistema bancario a livello europeo, con un meccanismo di regolazione e di supervisione unico, una garanzia europea sui depositi bancari degli istituti del continente, l’intervento del fondo salva stati o di qualche altro organismo nel salvataggio delle banche spagnole e, più in generale, di quelle del continente, oltre ad un qualche rafforzamento dell’intervento della Bce ed altro ancora. La caduta della fiducia nella Spagna provocata dalle difficoltà delle sue banche ricorda la crisi dell’Irlanda del 2009-2010, mentre la spirale perversa tra politiche di austerità e recessione appare simile al processo che ha spinto alla caduta dell’economia in Grecia e in Portogallo. Nulla è stato risolto ed ora con le drammatiche difficoltà di Grecia e Spagna si sono riaccesi, come era facile prevedere, i riflettori sulla crisi dell’euro e sull’impasse della costruzione europea.

- Il 12 settembre entra in vigore nell'UE l'Esm, il Meccanismo europeo di stabilità (MES), detto anche Fondo salva-Stati, istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (art. 136) approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles il 25 marzo 2011, nasce come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro (art. 3). Esso ha assunto però la veste di organizzazione intergovernativa (sul modello dell'FMI), a motivo della struttura fondata su un consiglio di governatori (formato da rappresentanti degli stati membri) e su un consiglio di amministrazione e del potere, attribuito dal trattato istitutivo, di imporre scelte di politica macroeconomica ai paesi aderenti al fondo-organizzazione. Il Consiglio Europeo di Bruxelles del 9 dicembre 2011, con l'aggravarsi della crisi dei debiti pubblici, decise l'anticipazione dell'entrata in vigore del fondo, inizialmente prevista per la metà del 2013, a partire da luglio 2012. Successivamente, però, l'attuazione del fondo è stata temporaneamente sospesa in attesa della pronuncia da parte della corte costituzionale della Germania sulla legittimità del fondo con l'ordinamento tedesco. La Corte Costituzionale Federale tedesca ha sciolto il nodo giuridico il 12 settembre 2012, quando si è pronunciata, purché vengano applicate alcune limitazioni, in favore della sua compatibilità con il sistema costituzionale tedesco. Il MES sarà regolato dalla legislazione internazionale e avrà sede a Lussemburgo. Il fondo emetterà prestiti (concessi a tassi fissi o variabili) per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà e acquisterà titoli sul mercato primario (contestualmente all'attivazione del programma Outright Monetary Transaction), ma a condizioni molto severe. Queste condizioni rigorose "possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite" (art. 12). Potranno essere attuati, inoltre, interventi sanzionatori per gli stati che non dovessero rispettare le scadenze di restituzione i cui proventi andranno ad aggiungersi allo stesso MES. È previsto, tra le altre cose, che "in caso di mancato pagamento, da parte di un membro dell'Esm, di una qualsiasi parte dell'importo da esso dovuto a titolo degli obblighi contratti in relazione a quote da versare [...] detto membro dell'Esm non potrà esercitare i propri diritti di voto per l'intera durata di tale inadempienza" (art. 4, c. 8). Il fondo è gestito dal Consiglio dei governatori formato dai ministri finanziari dell'area euro, da un Consiglio di amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un direttore generale, con diritto di voto, nonché dal commissario UE agli Affari economico-monetari e dal presidente della BCE nel ruolo di osservatori. Le decisioni del Consiglio devono essere prese a maggioranza qualificata o a maggioranza semplice (art. 4, c. 2). Il MES emette strumenti finanziari e titoli, simili a quelli che il FESF emise per erogare gli aiuti a Irlanda, Portogallo e Grecia (con la garanzia dei paesi dell’area euro, in proporzione alle rispettive quote di capitale nella BCE), e potrà acquistare titoli di stati dell’euro zona sul mercato primario e secondario. Il fondo potrà concludere intese o accordi finanziari anche con istituzioni finanziarie e istituti privati. È previsto l'appoggio anche delle banche private nel fornire aiuto agli stati in difficoltà. In caso di insolvenza di uno Stato finanziato dallo MES, quest’ultimo avrà diritto a essere rimborsato prima dei creditori privati. L'operato del MES, i suoi beni e patrimoni ovunque si trovino e chiunque li detenga, godono dell'immunità da ogni forma di processo giudiziario (art. 32). Nell'interesse del MES, tutti i membri del personale sono immuni a procedimenti legali in relazione ad atti da essi compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni e godono dell'inviolabilità nei confronti dei loro atti e documenti ufficiali (art. 35). Tuttavia, un collegio di cinque revisori esterni (art. 30, comma 1 e 2), indipendente e nominato dai governatori del fondo, ha accesso ai libri contabili e alle singole transazioni del MES. La composizione del collegio è così ripartita: un membro proviene dalla Corte dei Conti Europea, e altri due a rotazione dagli organi supremi di controllo degli Stati membri. La Corte Costituzionale tedesca ha posto un limite al contributo tedesco al salvataggio dei Paesi in difficoltà, evitando comunque di vincolare ogni singola azione dell'Esm al giudizio del Parlamento.

Nel 2013 - Il 1° gennaio entra in vigore nell'UE il "Fiscal Compact". Il “Patto di bilancio europeo”, formalmente “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria” (conosciuto anche con l'anglicismo "fiscal compact", letteralmente "patto finanziario"), è un accordo approvato con un trattato internazionale il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 stati membri dell'Unione europea, con l'eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, entrato in vigore il 1º gennaio 2013.
Il patto contiene una serie di regole, chiamate "regole d'oro", che sono vincolanti nell'UE per il principio dell'equilibrio di bilancio. Ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, tutti gli stati membri dell'Unione europea hanno firmato il trattato. Negli Stati membri dell'Unione europea, la maggior parte delle decisioni riguardanti le tasse e la spesa pubblica rimaneva di competenza dei governi nazionali. Il controllo sulla politica fiscale era tradizionalmente considerato centrale per la sovranità nazionale e non esisteva un'unione fiscale tra stati indipendenti. Dopo qualche mese di trattative, il 30 gennaio 2012 il Consiglio europeo, con l'eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, ha approvato il nuovo patto fiscale.
Solo i paesi che avranno introdotto tale regola entro il 1º marzo 2014 potranno ottenere eventuali prestiti da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità. L'obiettivo, dopo l'entrata in vigore, è quello di incorporare entro cinque anni il nuovo trattato nella vigente legislazione europea. L'accordo prevede per i paesi contraenti, secondo i parametri di Maastricht fissati dal Trattato CE, l'inserimento, in ciascun ordinamento statale (con norme di rango costituzionale, o comunque nella legislazione nazionale ordinaria), di diverse clausole o vincoli tra le quali:
- obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio (art. 3, c. 1),
- obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e superiore all'1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del PIL)
- significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL
- impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell'Unione e la Commissione europea (art. 6).
Sebbene sia stato negoziato da 25 Paesi dell'Unione europea, l'accordo non fa formalmente parte del corpus normativo dell'Unione europea. I principali punti contenuti nei 16 articoli del trattato sono:
- l'impegno ad avere un deficit pubblico strutturale che non deve superare lo 0,5% del PIL e, per i paesi il cui debito pubblico è inferiore al 60% del PIL, l'1%;
- l'obbligo per i Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del PIL, di rientrare entro tale soglia nel giro di 20 anni, ad un ritmo pari ad un ventesimo dell'eccedenza in ciascuna annualità;
- l'obbligo per ogni stato di garantire correzioni automatiche con scadenze determinate quando non sia in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi di bilancio concordati;
- l'impegno a inserire le nuove regole in norme di tipo costituzionale o comunque nella legislazione nazionale, che verrà verificato dalla Corte europea di giustizia;
- l'obbligo di mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3% del PIL, come previsto dal Patto di stabilità e crescita; in caso contrario scatteranno sanzioni semi-automatiche;
- l'impegno a tenere almeno due vertici all'anno dei 18 leader dei paesi che adottano l'euro.
Il 14 gennaio 2014 il trattato è stato ratificato da 24 dei 25 firmatari, di cui 17 membri dell'eurozona.

- Il 18-03, dopo nove mesi dalla prima richiesta di salvataggio da parte di Cipro, è arrivato l’accordo: poco preciso, poco lungimirante e in parte dettato dagli interessi dalla politica.

Carta fisica e politica di Cipro con indicate le città.
- La crisi economica a Cipro. Per la prima volta nella storia della crisi dell’Euro, i depositari contribuiranno alla ricapitalizzazione delle banche cipriote. Il piano consiste nell’estrazione di 5.8 miliardi di euro attraverso un’unica "leva di stabilità" sui depositi bancari. Il Fondo Monetario Internazionale contribuirà con un miliardo di Euro, mentre il resto (per un totale di 10 miliardi di Euro) sarà fornito dal meccanismo di Stabilità, ovvero il fondo ESM. Rappresentando lo 0.2% del PIL dell’EurozonaCipro non costituisce un enorme rischio sistemico, ma con il bailout i depositari non assicurati subiranno sicuramente delle perdite importanti. Le banche cipriote mantengono molti fondi depositari, così applicando un’imposta sui grandi possessori di titoli, significa ridurre sensibilmente la portata del bailout. Il punto, infatti, era proprio questo: decidere se colpire i grandi depositari di Cipro, oppure coinvolgere tutto il sistema dei contribuenti dell’Eurozona. FMI e Germania hanno certamente preferito la prima prospettiva. Probabilmente, Nicosia avrebbe preferito ridurre il carico sui grandi depositari, molti dei quali Russi, così da non dover ri-negoziare i prestiti da Mosca per 2.5 miliardi di Euro. Si teme, infatti, che questa operazione possa spaventare i flussi off-shore, attirati dalla facilità con la quale è possibile aggirare le norme anti-riciclaggio. Proprio venerdì, infatti, il presidente Cipriota, Nicos Anastasiades, ha dichiarato che non avrebbe accettato una leva a due cifre sui conti dei grandi depositari.
Le banche cipriote detengono circa 30 miliardi di Euro in fondi depositari garantiti e circa 35 miliardi in fondi non assicurati. Se l’obiettivo è raggiungere un totale di 5.8 miliardi dai depositari; allora la leva sui depositi assicurati sarà circa del 7%. Non è chiaro, ad ogni modo, se l’imposta di una tassa sui piccoli depositi violi la garanzia di Cipro sui fondi inferiori ai 100,000 Euro: in ogni caso si prospettano seri rischi politici. Temendo una repentina corsa agli sportelli, il Gabinetto Cipriota ha imposto che le banche rimangano chiuse non soltanto questo lunedì, ma anche martedì, nonostante la Banca Centrale Europea abbia offerto liquidità illimitata alle banche soggette a voli di capitale. Secondo Greek radio, la banca centrale della Grecia ha inviato circa 5 miliardi di Euro a Cipro per contribuire alle richieste di liquidità dei clienti.
Sebbene il caso di Cipro sia unico, l’Europa sta così creando un precedente. Il principio verso il quale l’Europa ha deciso di procedere con l’unione bancaria è che i contribuenti non avrebbero dovuto pagare un soldo per salvare le banche finché tutti i creditori non fossero stati spazzati via: il risultato è che il conto è stato appioppato ai depositari.

Carta fisica di Cipro con le città.
- Il 25 marzo  a Cipro si definisce l'entità del prelievo forzoso sui conti correnti. I clienti della banca di Cipro, con depositi superiori a 100.000 euro, avranno il 37,5% convertito in azioni speciali con diritto di voto pieno e l'accesso ai futuri dividendi della principale banca dell'isola. Questa la mail informativa della sede centrale di Nicosia della Banca centrale. Un ulteriore 22,5% sarà congelato temporaneamente per garantire all'autorità mutuante di soddisfare i termini della propria ricapitalizzazione in accordo con il contratto di finanziamento stipulato da Cipro con i suoi creditori internazionali. Nell'accordo del 25 marzo il presidente Anastasiades ha imposto le perdite ai grandi depositanti sulla Banca di Cipro in cambio di 10 miliardi di euro sborsati dall'Eurozona e dal Fondo Monetario Internazionale, dopo non essere riuscito ad ottenere aiuti finanziari da uno dei più grandi investitori del paese, la Russia. L'accordo ha inoltre chiuso la seconda più grande banca dell'isola, la CPB (Cyprus Popular Bank Pcl). Marios Mavrides, un deputato del partito di governo Disy (raggruppamento democratico), ha detto in un'intervista telefonica da Nicosia: "Questo accordo farà peggiorare le cose, soprattutto le piccole e medie imprese resteranno a corto di liquidità. Non aiuterà a riconquistare la fiducia del popolo, questo potrà avvenire solo con i depositi liberi". La Banca centrale di Cipro nominerà un perito indipendente per il creditore commerciale e tutto o una parte del 22,5% congelato potrebbe essere convertito in azioni entro 90 giorni dal completamento di tale intervento. La banca ha già affermato che qualsiasi importo residuo verrà restituito con gli interessi. Il BAIL - IN, che consiste nel convertire asset della banca (obbligazioni subordinate, immobilizzazioni, crediti) in capitale ordinario, al fine di evitare un salvataggio statale, non si applica ai titolari dei conti i cui debiti verso il creditore si trovano al di sotto della soglia dei 100.000 euro, e a quelli che ne hanno in altre banche dell'isola.

L'ubicazione di Cipro nel contesto
Europeo - Mediterraneo.
- Il 30 aprile arriva l'Ok del parlamento al piano di salvataggio. Il parlamento di Cipro ha approvato a stretta maggioranza il piano di salvataggio negoziato con la Troika (Ue-Bce-Fmi) per evitare il fallimento, che prevede un prestito di 10 miliardi di euro a fronte di misure draconiane. L'accordo e' stato approvato con voto per alzata di mano, 29 favorevoli e 27 voti contrari. L'approvazione di oggi e' stata necessaria per proseguire l'iter che portera' al versamento della prima tranche di aiuti gia' dal mese prossimo. Il piano, che prevede un prestito di circa dieci miliardi di euro, prevede anche delle misure draconiane per la popolazione già stremata, che dopo il prestito di un mese fa alle banche cipriote per dare liquidità, sembrano adesso arrivate all'esasperazione totale. Questo voto di fine aprile segue un iter che porterà il prossimo mese alla prima trance di aiuti internazionali. La disparità che agli stessi abitanti salta subito all'occhio, per non parlare dei turisti che arrivano ormai sporadicamente nei porti della parte greca dell'isola, è appunto quella disparità delle due economie dell'isola. Infatti l'isola è divisa in due protettorati, quella greca che sta andando in default, e quella turca che sembra vivere nell'agiatezza che è stata tipica anche dell'altra parte dell'isola ormai andata in rovina; tanto è vero che il governo turco ha messo in pratica, già dallo scorso 16 marzo, delle misure per evitare che capitali "stranieri" provenienti dall'altra parte dell'isola possano entrare nel proprio territorio, misura che la Turchia comunque ha dovuto adottare in accordo con l'Unione Europea, perché bisognava tenere sotto controllo i movimenti delle banche di parte greca. Lo scorso mese a Cipro già sono state adottate altre misure per dare liquidità alle banche, circa cinque miliardi di euro, che hanno sì ricapitalizzato le banche, ma il credit crunch cipriota è rimasto, anzi forse si è più inasprito del previsto.

Ispettori della Troika, esponenti di
Ue, Bce e Fmi.
- Il 15 aprile: Grecia, trovato l'accordo con la troika. Via al prestito diviso per tranche, prevista una graduale crescita dal 2014. Accordo fatto tra il governo greco e i rappresentanti della troika (Ue, Bce e Fmi). Saranno concesse due tranche da 2,8 e da 6 miliardi di euro che fanno parte del prestito concesso alla Grecia dai suoi partner internazionali. Le prospettive economiche parlano di un graduale ritorno alla crescita nel 2014, grazie anche a un'inflazione ben al di sotto della media e una maggiore flessibilità dei salari. Bruxelles precisa che la Grecia ''ha compiuto importanti progressi con le misure per migliorare la riscossione delle imposte e del debito, con riforme dell'amministrazione delle entrate'' che ora gode di maggiore autonomia, poteri e risorse.
Venizelos e Papademos.
''Questo e' stato uno degli obiettivi principali della missione'', migliorare la riscossione ''per ridurre possibilità di evasione e corruzione, per garantire una distribuzione più equa degli aggiustamenti e sostenere il raggiungimento degli obiettivi di bilancio''. Splende il sole sull'acropoli di Atene. Segno del favore degli dei nell'antichità, ma quello che oggi accoglie la Grecia è il favore di autorità ben più terrene ma non meno importanti: i conti del Paese migliorano e, per questo, gli ispettori della Troika in visita hanno dato il loro “ok” alla nuova tranche di aiuti. A questo punto manca solo il via libera dei membri dell’eurozona. Soddisfatto il premier greco Antonis Samaras: “Mentre il mondo è stretto in una morsa d’insicurezza e ansia, la Grecia si stabilizza e la nostra posizione si va rafforzando. Ieri notte abbiamo raggiunto un accordo per il pagamento della prossima quota da 2,8 miliardi di euro, e che apre la strada a quella di maggio da 6 miliardi.”. Un clima insolitamente sereno in un rapporto in passato caratterizzato da continui obiettivi rinviati e pagamenti in ritardo. La ricapitalizzazione delle banche è quasi completa, il debito appare più sostenibile e lo snellimento del settore pubblico appare sicuro. 15.000 i tagli previsti entro il 2014, con gli scioperi che, ormai, sono diventati un evento regolare.

- Il 13-06: Proteste in Grecia contro la chiusura della TV pubblica, ad Atene circa 10.000 persone si sono radunate davanti la sede di ERT, la tv di Stato ellenica, per manifestare contro la chiusura dell'emittente, decisa dal governo. Manifestazioni simili anche in altre città come Salonicco, dove secondo le stime della polizia i manifestanti sarebbero 7.500.

- Il 18-06 in Grecia, il Consiglio di Stato, a cui si è rivolto il sindacato dei dipendenti, ha deciso la riapertura temporanea dell'emittente televisiva di stato, in attesa che si costituisca un nuovo soggetto radiotelevisivo. Nei giorni scorsi contro la scelta del governo c’erano stati scioperi e proteste. La gestione provvisoria proposta dal governo prevede che il servizio pubblico riparta sotto la direzione di una commissione a tre, composta dai rappresentanti dei tre partiti che compongono la coalizione di governo (il conservatore Nea Dimokratia, il socialista Pasok e la sinistra democratica), che avrà l'incarico di individuare i nomi dei giornalisti che condurranno l'emittente in questa fase transitoria, assistiti, ha spiegato una fonte della Afp da consiglieri stranieri, fra cui alcuni della Bbc. Costretto a un parziale dietrofront, il governo di larghe intese greco paga le conseguenze di quella che appare a tutti gli effetti una decisione affrettata - quella di chiudere Ert -, dettata dalla necessità di consegnare ai rappresentanti della troika (Fondo Monetario Internazionale, Unione europea e Banca centrale europea) la lista dei primi 2.000 dipendenti statali da licenziare. Una decisione che, oltre alle proteste, ha provocato un grave danno all'immagine internazionale di Atene e l'immediata reazione di coloro che sarebbero anche pronti a sostenere una riforma profonda della televisione pubblica ma non in forma così drastica.

Bandiera della Croazia e dell'UE.
- Il 1° luglio la Croazia entra a far parte dell’Unione Europea  come ventottesimo stato membro. Si tratta del primo paese dei Balcani occidentali a far parte dell’UE e, dopo la Slovenia, il secondo paese dell’ex Jugoslavia con un’esperienza recente di guerra e una transizione dal conflitto degli anni Novanta ancora in corso. La difficile riconciliazione con le ex repubbliche jugoslave e il processo di democratizzazione delle istituzioni hanno rallentato i tempi di integrazione: ci sono voluti infatti ben otto anni perché la Croazia ottenesse il parere positivo dell’UE. La sera del 30 giugno '13, in piazza a Zagabria, ci sono state grandi celebrazioni a cui hanno partecipato oltre cento rappresentanti dei paesi europei. Simbolicamente a mezzanotte le insegne della dogana che regolavano l’accesso di persone e merci al paese sono state rimosse dalla frontiera con la Slovenia, e la scritta “UE” è stata installata alla frontiera con la Serbia, l’altra repubblica dell’ex Jugoslavia che spera di ottenere presto una data precisa per l’avvio dei negoziati di adesione.
Carta della Croazia.
La Croazia confina con la Bosnia-Erzegovina, l’Ungheria, il Montenegro, la Serbia e la Slovenia. Dal 1991 è una nazione indipendente, dopo aver fatto parte, per oltre 70 anni, dell’ex Jugoslavia. Attualmente ha 4,4 milioni di abitanti. Il governo è guidato dal socialdemocratico Zoran Milanović ed è composto dai partiti della coalizione “Kukurikum “di centrosinistra, che ha vinto le elezioni nel 2011. Dal 2010 il presidente è Ivo Josipović, del Partito socialdemocratico di Croazia. La Croazia è di fatto il primo dei paesi coinvolti nelle guerre degli anni Novanta nell’ex Jugoslavia a ottenere il riconoscimento dell’UE, anche se non tutte le questioni di quegli anni sono state completamente risolte - ci sono circa 500 mila persone che ricevono ancora sussidi direttamente legati alle conseguenze del conflitto - e anche se il rapporto con la Serbia e con la sua minoranza (che rappresenta il 4,4 per cento della popolazione) resta un punto critico. Inoltre, la Croazia sarà uno dei paesi con la linea di confine esterna all’Unione più estesa e complicata: con la Bosnia-Erzegovina, con la Serbia e a sud per un breve tratto con il Montenegro. «Ciò che mi auguro è che questo confine non diventi una specie di muraglia cinese ma che sia una porta da poter attraversare con facilità», ha precisato il presidente della Croazia Ivo Josipović.

- Il percorso della Croazia verso l’UE. Il 29 ottobre del 2001 la Croazia ha firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione all’UE, primo passo verso l’integrazione, che consiste nella firma di una serie di accordi bilaterali che riguardano questioni politiche, economiche, commerciali e anche relative ai diritti umani. Il 21 febbraio del 2003 la Croazia ha presentato la richiesta formale di adesione ottenendo nel giugno del 2004 lo status di “candidato”. I negoziati sono iniziati due anni dopo (giugno 2006) e sono proseguiti fino al giugno del 2011. Il Parlamento europeo ha approvato l’ingresso della Croazia il 9 dicembre del 2011 e nel gennaio del 2012 si è svolto in Croazia il referendum di adesione: il 66,25 per cento della popolazione ha votato a favore e il 33,13 contro, con un’affluenza però piuttosto bassa (il 47 per cento degli aventi diritto). Tra il febbraio del 2012 e il giugno del 2013 si è svolto il processo di ratifica dell’adesione da parte dei diversi parlamenti europei: il primo parlamento a ratificare è stato quello della Slovacchia; l’ultimo quello della Germania, secondo cui il paese era ancora impreparato e lontano dall’aver raggiunto i criteri richiesti dall’Unione. Il Parlamento italiano ha ratificato l’adesione il primo marzo 2012. L’obiettivo della Croazia è ora un’ulteriore integrazione: il paese dovrebbe diventare membro dello spazio Schengen nel 2015, per eliminare i controlli alle frontiere per merci e persone, e rafforzare la cooperazione con gli altri stati che ne fanno parte. Dovrebbe inoltre abbandonare la kuna per adottare l’euro «non appena l’economia nazionale rispetterà i criteri stabiliti in materia di inflazione, finanze pubbliche, stabilità dei tassi di cambio e tassi di interesse», scrive l’Unione Europea. Infine anche la Croazia dovrà applicare le norme valide per tutta l’Unione, per esempio quelle sulla sicurezza alimentare e sul riconoscimento delle qualifiche professionali ottenute in altri paesi. In alcuni casi, precisa l’UE, sono previsti dei periodi transitori. «Per esempio, la Croazia continuerà ad applicare accise ridotte sulle sigarette fino a tutto il 2017, mentre fino a giugno 2014 i pescatori potranno utilizzare le reti che nel resto dell’UE sono ormai proibite».
Carta della Croazia nei caratteri
cirillici: Hrvatska.
La questione economica. L’adesione della Croazia all’Unione europea avviene in un momento di gravissima crisi economica per il paese, tanto che in un rapporto pubblicato da Bruxelles lo scorso 29 maggio si parlava già del possibile avvio di una procedura d’infrazione per l’eccessivo deficit. Il debito della Croazia rappresenta il 54 per cento del PIL e secondo la Commissione europea potrebbe superare la soglia del 60 per cento nel 2014. Da quando è scoppiata la crisi economica, nel 2008, la situazione è andata progressivamente peggiorando anche a causa delle difficoltà dei paesi vicini alla Croazia e che sono i suoi principali partner commerciali, su tutti l’Italia. Le previsioni della Commissione europea, tra l’altro, indicano che anche il 2013 sarà un altro anno di recessione per il paese. Nel 2012 i consumi e la domanda interna sono diminuiti del 3 e del 2,9 per cento, gli investimenti diretti sono calati di 4 punti e la disoccupazione, secondo l’Ufficio statistico croato, supera il 20 per cento. Più della metà dei giovani croati sotto i 25 anni è senza lavoro.

- Il 21-08 riapre in Grecia la nuova televisione pubblica a due mesi dalla chiusura di Ert.
La nuova televisione di Stato, denominata ‘‘Dt’‘, ovvero, Televisione Pubblica, ha cominciato a trasmettere i propri programmi a poco più di due mesi dalla controversa decisione del premier Samaras di chiudere la vecchia emittente Ert, denunciandone gli sprechi e i clientelismi e licenziandone i 2700 dipendenti.

Pavlos Fissas, noto come Killah P.
- Il 21-09 ad Atene, è ucciso a coltellate il rapper antifascista Pavlos Fissas, noto al pubblico come Killah P. Confessa l'omicidio il camionista Giorgos Roupakias, un estremista neonazista di Alba Dorata. La vittima aggredita all'uscita di un bar da un gruppo di 15 militanti della formazione neonazista al termine di una lite per motivi sportivi e politici. Pavlos Fissas è stato ucciso a coltellate martedì notte in un bar di Atene, nella zona del Pireo. L'aggressore, un militante di Alba Dorata, è stato arrestato dopo avere confessato il crimine. Il portavoce del partito neonazista greco, Ilias Kasidiaris ha subito preso le distanze dalla vicenda, parlando di «crimine odioso», negando un qualsiasi coinvolgimento del suo schieramento e minacciando querele. Pavlos Fissas, che militava nel gruppo di estrema sinistra "Antarsia", avrebbe avuto un diverbio con quello che è poi diventato il suo aggressore, in un caffè di Amfiali, nella zona di Keratsini (il Pireo), dove l'artista, 34 anni, stava guardando la partita di Champions League tra Olympiakos e Paris St Germain. La lite tra i due sarebbe scoppiata proprio a proposito del match e si sarebbe poi trasformata in uno scontro politico. 
Militante di Alba Dorata
con bandiera.
L'aggressore, un pregiudicato di 45 anni, avrebbe poi lasciato il locale per tornare poco dopo accompagnato da una quindicina di compagni: ha aspettato che Fissas uscisse dal bar per aggredirlo a colpi di coltello. Poco prima di morire in un ospedale della capitale greca, la vittima ha fatto in tempo a rivelare il nome del suo assassino alle forze dell'ordine. Le forze dell'ordine hanno effettuato delle perquisizioni nelle sedi di Alba Dorata di Leoforos Messogion e di via Deliyanni. Come riferisce il sito web Newsit.gr, all'operazione di polizia hanno partecipato anche due parlamentari del partito, Ilias Panayotaros e Christos Pappas. Alba Dorata è entrata per la prima volta nel parlamento di Atene nella primavera dell'anno scorso, conquistando il 7% dei suffragi. Secondo gli ultimi sondaggi ha attualmente un consenso che si aggira intorno al 12%.

Nikos Mihaloliakos.
- Il 29-09 in Grecia è arrestato Nikos Mihaloliakos, leader di Alba Dorata. Nikos Mihaloliakos, il leader del partito di estrema destra greco Alba Dorata, è stato arrestato insieme al portavoce Ilias Kassidiaris. con l'accusa di essere a capo di un organizzazione criminaleAlba Dorata ha invitato i militanti radunarsi davanti al quartiere generale della polizia. All'appello hanno risposto in più di un centinaio.

- Gli Usa investono 5 miliardi di dollari per fomentare disordini che tolgano l'Ucraina, da dove passano gasdotti e oleodotti russi, dall'orbita di Mosca, foraggiando anche numerosi politici per il "salto della quaglia". Il suo progetto? Vendere all'Europa il suo gas, lo Shale gas o gas di scisto, estratto dalle rocce poco porose nelle grandi profondità del sottosuolo, a prezzo di gravi danni ambientali. Da http://www.greenstyle.it/shale-gas-o-gas-di-scisto-cosa-ce-da-sapere-11525.html. Shale Gas o gas di scisto: cosa c’è da sapere. Con il termine di shale gas, o gas di scisto in italiano, si intende il gas naturale intrappolato nelle rocce poco porose ad alta profondità. Si tratta di gas a tutti gli effetti, in buona parte metano, che però non si trova in un normale giacimento e, di conseguenza, non basta trivellare un pozzo tradizionale per tirarlo fuori. Per estrarlo si usano due tecniche: la trivellazione orizzontale e il fracking idraulico, anche detto hydraulic fracturing. Entrambe sono tecniche già note all’industria petrolifera da diversi anni, ma solo di recente si è scoperto che usandole insieme si può pompare dal sottosuolo il gas intrappolato negli scisti e altri idrocarburi non convenzionali.
Negli ultimi anni lo shale gas è stato il protagonista indiscusso degli scenari energeticisoprattutto negli Stati Uniti dove è partita una nuova corsa all’oro che ha portato alla trivellazione di centinaia di pozzi per estrarre gas di scisto. Per comprendere bene la questione shale gas bisogna chiedersi quanto ce ne sia e dove nel mondo, quali ripercussioni sull’ambiente possano avere le trivellazioni orizzontali e il fracking e quale impatto sulle politiche di riduzione delle emissioni di CO2 avrà lo sviluppo di questo gas.
Una vera e propria mappa dello shale gas non esiste. Rispetto al gas convenzionale, contenuto in una sacca naturale sotto terra, il gas di scisto è difficile da quantificare finché non lo si estrae. Essendo intrappolato nella roccia, infatti, è quasi impossibile avere una fotografia realistica di quanto gas contenga un giacimento di shale gas. Le stime dell’Unione europea parlano di circa 450 trilioni di metri cubi, cioè 450.000 miliardi, a livello mondiale... e ...Il motivo per cui lo shale gas è tanto contestato è sintetizzabile in queste due parole. L’accoppiata tra le trivellazioni orizzontali e il fracking idraulico, infatti, oltre a permettere l’estrazione di questo gas è fortemente sospettata di causare danni (o quanto meno seri rischi) al sottosuolo. Capire come funziona il processo aiuta a comprendere i rischi. In un pozzo tradizionale la trivella scende in verticale, accompagnata da grandi quantità di fluido di trivellazione che diminuisce l’attrito, raffredda l’attrezzatura e tiene in pressione il pozzo. Solitamente la trivella, nella prima parte del suo percorso, attraversa una o più falde acquifere e per questo si usa la tecnica del “casing”. Una sorta di cappotto di acciaio e cemento inserito nel pozzo per renderlo a tenuta stagna e impedire che il petrolio, il gas o il fluido di trivellazione entrino a contatto con l’acqua dolce destinata all’uso umano inquinandola gravemente. Per estrarre lo shale gas a tutto questo si aggiunge una seconda e una terza fase. Una volta fatto il buco in verticale la trivella viene fatta progressivamente deviare finché non si trova a lavorare in orizzontale, rispetto al piano del terreno, in direzione del giacimento roccioso. Una volta raggiunto lo scisto si inserisce dell’esplosivo nel canale scavato dalla trivella, al fine di fratturare la roccia creando delle grosse fessure. Fatto ciò si pompa ad alta pressione dell’acqua con sabbia e agenti chimici al fine di microfratturare ulteriormente lo scisto e liberare il gas che contiene. Questa procedura viene ripetuta più volte facendo procedere a passo di gambero la trivella, facendo più esplosioni e più pompaggi per ogni condotto. E, dalla trivellazione verticale, si procede a fare altre deviazioni orizzontali in modo da fratturare il più possibile la roccia. In questo modo, da un solo pozzo visibile in superficie, si possono realizzare anche dieci vie d’uscita per il gas. Ognuna delle quali comporta varie cariche di esplosivo e conseguente pompaggio del fluido. Questo video, meglio delle parole, spiega il procedimento: https://www.youtube.com/watch?v=lB3FOJjpy7s.

- L'Europa ci casca, o finge di cascarci, e riconosce un golpe a danno di un parlamento democraticamente eletto come una giusta volontà popolare. Il Fmi e l'Ue foraggiano di milioni di euro il nuovo governo che non riuscirà neppure a pagare tutti i debiti con Mosca... i mercenari che combattono in piazza Mandan li paga la Cia. Ufficialmente in Ucraina si mobilitano i movimenti per l'adesione all'UE. Per "Ucraina: la crisi finanziata dagli USA per vendere gas all'UE" clicca QUI. Cronistoria degli avvenimenti recenti da: http://www.europaquotidiano.it
/2014/02/19/perche-e-riesplosa-la-crisi-ucraina-la-cronologia/.

Viktor Janukovyč.
- Il 21-11 il presidente Viktor Yanukovich rifiuta gli "Accordi di associazione" e il "Deep and Comprehensive Free Trade Agreement", due misure di incentivi economico-commerciali offerti dall’Ue nello schema della Eastern Partnership, iniziativa mirata a rafforzare la cooperazione con i paesi ex Urss e a contenere, implicitamente, l’influenza di Mosca. Nello stesso giorno la Rada, il parlamento di Kiev, respinge una serie di emendamenti sulla liberazione dell’ex primo ministro Yulia Tymoshenko, condizione che l’Ue vincolava alle intese.
Julija Tymošenko.
La Tymoshenko è stata condannata a sette anni di carcere nel 2011. Secondo l’accusa gli accordi sulle importazioni di gas da lei contratti con la Russia nel 2009 hanno causato un’emorragia finanziaria allo stato. Nella stessa giornata, piazza dell’Indipendenza, nel centro di Kiev, si riempie. Migliaia di persone prendono parte a una manifestazione contro le scelte di Yanukovich e a favore di una maggiore integrazione con l’Ue. Euromaidan (maidan significa piazza in lingua ucraina) diventa, da questo momento, il nome del movimento.

- Il 27-11 si tiene a Vilnius, la capitale lituana, il vertice della "Eastern Partnership". Mezzo fiasco. Il rifiuto ucraino di siglare gli accordi con l’Unione europea ne depotenzia la portata.

- Il 30-11 la polizia carica i manifestanti. Nel frattempo, la protesta, tenutasi quotidianamente dal 21 novembre, ha cambiato segno. Non si configura più come un moto d’indignazione e come la rivendicazione di un destino europeo. Piuttosto, assume la forma di un movimento contro Yanukovich e il suo sistema di potere, in cui trovano sempre più spazio i sussulti nazionalisti. Oltre che a Kiev si manifesta anche in altre città del paese. Persino a est, tradizionale bacino di voti del Partito delle regioni di Yanukovich.

- L'1-12: l’intervento contro i manifestanti, avvenuto il giorno prima, porta in piazza una marea umana di almeno 300mila persone. 
Viktor Yushchenko (Juščenko).
È la più grande protesta mai registrata dalla rivoluzione arancione del 2004-2005, quando la pressione popolare portò alla ripetizione del ballottaggio presidenziale (inizialmente vinto da Yanukovich) e alla vittoria di Viktor Yushchenko. I manifestanti occupano il comune di Kiev. L’iniziativa è coordinata in modo particolare dagli attivisti di Svoboda, partito ultra-nazionalista che nel 2012 è andato in doppia cifra alle politiche. 
La rete di oleodotti e gasdotti russi che
attraversano l'Ucraina.
Il suo capo, Oleh Tyahnybok, è assieme all’ex pugile Vitali Klitschko e al luogotenente della Tymoshenko, Arseniy Yatseniuk, uno dei tre capi dell’opposizione parlamentare e di Euromaidan (maidan significa piazza in lingua ucraina). Sempre a Kiev, viene occupata la sede dei sindacati. Su piazza Indipendenza vanno avanti regolarmente i presidi quotidiani.

- Il 2-12 Yanukovich va in Cina e ottiene otto miliardi in investimenti. La partita ucraina si gioca anche sul fronte finanziario. Il paese è stato martellato dalla crisi, i conti sono profondo rosso. Nei mesi precedenti Yanukovich aveva cercato di giocare su due tavoli, quello europeo e quello russo, allo scopo di alzare la posta e ottenere il più possibile.
Gli accordi proposti dagli europei, tuttavia, erano affiancati da un possibile prestito del Fmi che chiedeva a Yanukovich riforme troppo costose in termini politici, come l’adeguamento dei prezzi del metano al mercato. Ogni governo ucraino li ha sempre tenuti artificiosamente bassi.

- Il 10-12 le autorità ucraine cercano di sgomberare piazza Indipendenza e di evacuare il comune di Kiev ma il tentativo fallisce e la tensione sale.

Il PIL ucraino suddiviso per regioni,
dove primeggiano le zone russofone.
- Il 17-12 Yanukovich va a Mosca e ottiene da Putin un prestito da 15 miliardi di dollari, più un vistoso sconto sul gas, il cui costo passa da 400 a 265 dollari per mille metri cubi. L’opposizione sostiene che sottobanco sia stata negoziata anche l’adesione all’Unione eurasiatica, progetto strategico con cui Mosca vuole riaggregare lo spazio post-sovietico. Putin lo considera non complementare con la Eastern Partnership, che a suo avviso è un’invasione europea nel cortile di casa.

- Il 16-12 il parlamento ucraino approva senza discussione le cosiddette “leggi anti-protesta”, catapultate da Yanukovich nell’assemblea, che limitano fortemente il diritto a manifestare, comprimendo potenzialmente anche la libertà di stampa.

Dal 17 al 28-12, nei giorni successivi all’adozione della legge, si scatena la guerriglia sulle strade di Kiev. Ulica Grushevskogo, una via situata tra piazza Indipendenza e lo stadio della Dinamo Kiev, diventa un campo di battaglia. In prima linea si schierano gruppi di estrema destra, con postura chiaramente paramilitare. Il principale, tra questi, è Pravyi Sektor. Le forze di sicurezza rispondono con durezza. Gli scontri causano alcune vittime. Nel frattempo Spilna Prava, gruppo movimentista e nazionalista, inizia a occupare le sedi di alcuni ministeri a Kiev. Gli esponenti di Euromaidan, dal canto loro, assumono il controllo dei palazzi dei governatorati in diverse città dell’occidente ucraino, dove le forze dell’opposizione riscuotono il grosso del loro consenso elettorale. In questi giorni si registra una serie di consultazioni tra Yanukovich e i capi dell’opposizione. Si cerca una soluzione concordata alla crisi politica.

- Dal 18-12 al 15-01-2014: in quest’arco di tempo la situazione a Kiev sembra ristagnare e le proteste calano di intensità. Si registra, la notte del 25 dicembre, il pestaggio di Tetiana Chornovol, un’attivista del campo anti-Yanukovich che si divide tra il giornalismo e la militanza attiva.

Nel 2014 - Il 28-01 il parlamento ucraino cancella le leggi anti-protesta. Arrivano nelle stesse ore le dimissioni del primo ministro Mykola Azarov, uomo vicino a Yanukovich. Ma le concessioni da parte del presidente non convincono l’opposizione, che rilancia con la riforma della costituzione (più poteri al parlamento) e le presidenziali anticipate, rispetto alla data già stabilita, il febbraio 2015.

- Il 29-01 il Partito delle regioni approva unilateralmente una legge che azzera i processi nei confronti dei dimostranti che hanno preso parte agli scontri, a patto che Euromaidan ponga fine alle occupazioni dei palazzi del potere entro due settimane. L’opposizione bolla la misura come ricattatoria e continua a chiedere riforma della costituzione e presidenziali anticipate, senza ottenere risposte da parte di Yanukovich, che offre invano a Yatseniuk di presiedere un esecutivo di unità nazionale. Nel frattempo la hryvnia, la moneta ucraina, crolla ai minimi storici. Mentre Mosca, dopo l’erogazione di una prima rata da tre miliardi, congela il prestito a Kiev. Il Cremlino vuole garanzie da Yanukovich.

Victoria Nuland.
- Il 7-02 in una conversazione con l’ambasciatore a Kiev, intercettata e diffusa sul web, l’assistente al segretariato di stato americano, Victoria Nuland, manifesta la scarsa considerazione nei confronti del ruolo mediatore dell’Unione europea. «Fuck the Eu», le si sente dire. Sdegno da parte di Bruxelles, la cui “ministra degli esteri” Catherine Ashton s’è recata più volte a Kiev, da quando è scoppiata la crisi, cercando di riaprire la trattativa sugli Accordi di associazione, assecondata da prestiti del Fmi meno vincolanti rispetto a quelli prospettavi alla vigilia della Eastern Partnership. «Fanculo l’Unione europea» dice Victoria Nuland.

Gli scontri del 18 febbraio a Kiev.
- Il 16 e 17-02 i dimostranti di Euromaidan sgomberano una parte degli edifici occupati. Altri restano sotto il loro controllo. Entra comunque in vigore l’amnistia.

Gli scontri del 18 febbraio a Kiev.
- Il 18-02 il parlamento si riunisce e l’opposizione chiede che venga messa in agenda la riforma della costituzione. Richiesta inascoltata. Gli esponenti dei partiti di minoranza e gli attivisti di Euromaidan escono dal perimetro di piazza Indipendenza e si dirigono verso il parlamento, cercando di esercitare il blocco. Scoppia il finimondo. 
Gli scontri del 18 febbraio a Kiev.
Scontri, zuffe, colpi d’arma da fuoco sia da parte dei gruppi radicali della protesta che delle forze di sicurezza.
Gli scontri del 18 febbraio a Kiev.
In serata i corpi speciali del ministero dell’interno stringono d’assedio piazza Indipendenza, ma non vanno allo scontro finale.
Sul terreno, al termine della giornata, si contano almeno venticinque vittime, in quella che è stata la più feroce giornata di scontri da quando è scoppiata, a novembre, la crisi politica più seria nella storia post-sovietica del paese. Nove delle vittime sarebbero poliziotti, lo ha riferito il ministero della sanità.@mat_tacconi
- Il 6-03: vecchie ferite e nuove preoccupazioni, in un’Europa dove la destra estrema è in crescita. E’ una storia vecchia di oltre 70 anni ma sempre viva nella memoria di un paese dove nazionalismo e Seconda Guerra Mondiale sono sempre rimasti temi divisivi, ammette lo stesso sito russo RT. Ed è tornata più che mai alla ribalta oggi che gli ultranazionalisti neoNazisti e russofobi di Svoboda (Libertà)e di Pravy Sektor (Right Sector, Settore Destro o Ala Destra), dopo aver guidato la protesta di Maidan hanno conquistato ruoli di primissimo piano nel nuovo governo e controllano Forze Armate, Polizia, Giustizia e Sicurezza Nazionale. Abbastanza da preoccupare la Russia, certo, ma forse anche l’Europa dove ci si accinge a votare fra qualche mese e dove i partiti di destra estrema, più o meno rivestiti di panni rispettabili, stanno conquistano posizioni tra gli euroscettici.
Stepan Bandera, al centro.
Al centro della disputa è la figura di Stepan Bandera leggendario combattente per la libertà e l’indipendenza ucraina per i nazionalisti ucraini di cui sopra, ma collaboratore della Germania di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale con la quale si alleò in funzione anti sovietica pur di conquistare l’indipendenza del suo paese. La sua organizzazione fascista OUN-B, contribuì all’Olocausto facendo uccidere migliaia di Ebrei e Polacchi e dopo la guerra si batteva per un’Europa totalitaria e etnicamente pura mentre un movimento affiliato portava avanti un fallimentare tentativo di sollevazione contro l’URSS, tanto che Bandera (che secondo alcune fonti era diventato un agente dell’MI6) alla fine venne fatto fuori dal KGB, scrive il sito progressista californiano Salon.com, in un post (25/2/2014) intitolato “ Gli Usa in Ucraina appoggiano i neo-Nazisti?”. E non è l’unico né il primo a esprimere perplessità e porsi interrogativi del genere - Vedi il Guardian già il 22/1 ( L’estrema destra ha infiltrato il movimento di protesta, che non riflette tutti), TIME il 28/1 ( La protesta di Kiev sequestrata da gruppi di estrema destra) e International Business Times (19/2), e Business Insider, che linka persino il Jerusalem Post e Counterpunch.org.

Carta con l'origine etnica degli
abitanti dell'Ucraina e i dati della
Crimea.
Il 16-03 si tiene il referendum in Crimea. Si chiede agli abitanti della regione autonoma dell’Ucraina se intendono ripristinare l’assetto degli anni Novanta (c’era un tasso di autonomia ancora maggiore) o se puntano a procedere sulla strada dell’indipendenza. Il quesito definitivo è diverso da quello proposto originariamente, in cui si domandava se si volesse mantenere l’attuale grado di autogoverno o se al contrario si preferisse tornare agli anni Novanta. La variazione, accompagnata dalla convocazione alle urne anticipata rispetto a quella prescelta in origine (25 maggio), suggerirebbe che c’è fretta di chiudere la conta e procedere con lo strappo. Il risultato della tornata è chiaro: il 97 per cento di chi ha votato ha scelto di separarsi dall’Ucraina.

- Il 21-03 il si tiene un Consiglio europeo. L’Ue firma con l’Ucraina la parte politica degli Accordi di associazione, pacchetto di misure che agevolano economia e commerci, con l’intento di approfondire i legami tra le parti. Questi stessi provvedimenti erano stati negoziati dall’ex presidente Viktor Yanukovich, che poi li respinse il 21 novembre, dando il “la” alla protesta popolare, che nel corso dei giorni ha cambiato segno: da tendenzialmente europeista a chiaramente nazionalista, dalla critica a Yanukovich alla priorità di cacciarlo.

- Il 24-03 Italia, Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia, Germania e Giappone decidono di boicottare il G8, fintanto che la politica russa sull’Ucraina non cambierà di segno. In altre parole, è un’esclusione di Mosca dal consesso dei potenti. Il Cremlino incassa, senza esibire particolare dispiacere.
Obama si è presentato a Bruxelles con la promessa che ci penseranno loro, gli Stati Uniti, a compensare il ridotto afflusso di gas dalla Russia all’Unione europea. Come? Aumentando le esportazioni di gas naturale dall’America verso l’altra sponda dell’Atlantico. Non proprio un favore “disinteressato”. Tanto più che il presidente ha spiegato che, per facilitare l’arrivo del gas americano sui mercati europei, bisognerà approvare nei tempi più rapidi possibili la nuova partnership transatlantica di libero scambio (Ttip l’acronimo). Peccato che in Europa non manchino i critici di questo accordo, accusato di consentire alle grandi aziende statunitensi di scavalcare la (spesso restrittiva) legislazione europea in fatto di tutela ambientale e dei consumatori. Obama ha poi aggiunto che, se l’Europa vuole continuare a usufruire della “protezione” americana in caso di un’escalation della tensione con Mosca, non può pensare di tagliare troppo la sua spesa per la difesa (un riferimento anche ai piani del governo italiano di tagliare il budget del ministro Pinotti?). «La libertà non è gratis», ha detto il presidente americano incontrando i vertici della Nato.

- Il 27-03 l’Assemblea generale dell’Onu approva una risoluzione che bolla come illegale l’adesione della Crimea alla Federazione russa.

- L'1-04 la Nato sospende la cooperazione militare e civile con la Russia. Nel frattempo, nei giorni precedenti, Yulia Tymoshenko e Petro Poroshenko si sono registrati ufficialmente come candidati alle presidenziali, in calendario il 25 maggio.

- Il 6-04 i gruppi filo-russi manifestano a Donetsk, occupano la sede del governatorato e chiedono un referendum sulla falsa riga di quello tenutosi in Crimea. Donetsk è la roccaforte industriale del paese e la roccaforte elettorale del Partito delle Regioni. Si trova nell’est del paese. Le stesse scene – occupazione e rivendicazione del referendum – si verificano a Lugansk e Kharkhiv, altri due centri urbani della fascia orientale dell’Ucraina. Kharkhiv è la seconda città più grande del paese, dopo la capitale Kiev.

Oleksandr Turchynov.
- Il 10-04 il presidente provvisorio dell’Ucraina, Oleksandr Turchynov, firma una legge sulla “lustrazione”. Riguarda i giudici. Potranno essere chiamati a spiegare di fronte a una commissione i loro presunti legami con l’amministrazione Yanukovich. In cantiere ci sarebbero altre misure analoghe, su diverse altre cariche della pubblica amministrazione. Oleksandr Turchynov, pastore battista, è stato incaricato come presidente facente funzione dell'Ucraina.

- L'11-04 continua la protesta dei filo-russi a est. A Donetsk e Lugansk le sedi dei governatorati restano occupate. Il primo ministro ucraino, Arseniy Yatseniuk, propone alle regioni orientali un’ampia autonomia amministrativa. L’aveva già fatto a fine marzo, nel corso di un intervento diretto proprio ai cittadini delle regioni dell’est. La differenza è che stavolta Yatseniuk ha parlato da Donetsk, dove si è recato in visita. Un gesto, forse tardivo.

- Il 12-04 arriva a Kiev il direttore della Cia, John Brennan. La notizia suscita stupore. Secondo diverse testate la visita del numero uno dell’agenzia di intelligence americana, che ha conferito con gli esponenti del governo ucraino, si è concentrata sulla necessità di favorire un maggiore scambio di informazioni e una più solida collaborazione tra Washington e Kiev, sul piano dei servizi. Essendo le forze armate ucraine inadeguate al confronto con quelle russe, si punta sul rafforzamento della qualità dell’intelligence.

Milizie ucraine.
- Il 15-04 Kiev lancia un’offensiva definita "anti-terrorismo" nelle regioni dell’est, inviando mezzi militari e soldati. In questi giorni si sono verificati degli scontri, con alcune vittime. Ieri tre filo-russi sono stati uccisi a Mariupol, nella regione di Donetsk. C’è l’impressione che tanto Kiev quanto Mosca abbiano alzato la posta in gioco proprio alla vigilia di questi negoziati di Ginevra. Questo non toglie che la situazione è delicatissima.

Carta con la densità dell'etnia russa
in Ucraina.
- Il 17-04 a Ginevra, tavola rotonda tra Russia, Stati Uniti, Unione europea e Ucraina. L’obiettivo è ricucire gli strappi che stanno dilaniando l’ex repubblica sovietica. Compito molto arduo, considerando anche quello che sta accadendo nell’est del paese. Le forze armate di Kiev sono intervenute allo scopo di bloccare l’offensiva dei gruppi armati filo-russi, infiltrati secondo i più da agenti e militari di Mosca. Ci sono stati scontri. Ci sono stati morti, a quanto pare.

Ucraina: ubicazione di Lugansk.
- L'1-05: Ucraina, attacco di filo-russi a Donetsk. Manifestanti filo-russi hanno preso d'assalto la sede dell'ufficio del procuratore regionale di Donetsk. Almeno quattro poliziotti sono rimasti feriti. La folla ha lanciato pietre contro l'edificio e i poliziotti in tenuta antisommossa intervenuti a difesa del sito, che hanno risposto all'attacco della folla con granate stordenti e gas lacrimogeni. I poliziotti sono stati picchiati e disarmati dalla folla, al grido di "fascisti fascisti!".
La provincia di Donetsk in rosso.
La provincia (oblast) di Donetsk ha una spiccata vocazione industriale; prima lo sfruttamento del carbone, poi l’acciaio, hanno legato saldamente la sua storia economica all’Urss durante tutto il ’900. Donetsk era tanto importante per il suo acciaio che Mosca la ribbattezzò come Stalino.
Il distretto di Donetsk è inoltre uno dei più popolosi dell’Ucraina, e le sue spinte separatiste non risalgono a oggi. Durante le elezioni presidenziali del 2004, l'oblast era già in odore di autonomia, perché Viktor Yanukovych, già presidente dell’oblat dal 1997 al 2002, perdeva le elezioni sotto le spinte di quella che tutti chiamarono Rivoluzione Arancione.

Ubicazione di Slavyansk.
- Il 2-05 Kiev attacca Slavyansk, in mano ai filorussi. Due soldati ucraini uccisi, presi nove checkpoint che erano in mano ai separatisti. L’esercito ucraino ha lanciato “un attacco su larga scala” su Slavyansk, una delle città dell’est controllate dai miliziani filo-russi. Il ministero della Difesa ucraino ha riferito che durante la fase attiva dell’operazione militare a Slaviansk, due soldati sono stati uccisi e molti altri feriti, sono stati abbattuti due elicotteri Mi-24 e danneggiato un elicottero Mi-8. La fase attiva del raid sulla città dove vengono tenuti in ostaggio gli osservatori Osce è iniziata all’alba. Le forze di sicurezza utilizzano aeromobili mandati da Kiev e veicoli blindati.
Manifestazione di filo-russi a
Slavyansk, sotto la statua di Lenin.
Nella città di 160.000 abitanti sono risuonate le campane delle chiese per avvertire la popolazione del pericolo imminente. Fonti del ministero dell’Interno ucraino hanno fatto sapere che il governo non commenterà quanto sta accadendo a Slavyansk “finche’ l’operazione non sarà terminata”. L’offensiva, se confermata, sarebbe la prima risposta militare su ampia scala ai miliziani filo-russi che hanno preso il controllo di numerosi edifici pubblici di città del sud-est dell’ex repubblica sovietica, alimentando la più dura contrapposizione tra Mosca e Occidente dai tempi della Guerra Fredda. Una conferma del clima teso era venuta dalla parata dei lavoratori sulla Piazza Rossa per il Primo maggio voluta dal presidente russo, Vladimir Putin, la prima dall’era sovietica, trasformatasi in una manifestazione di sostegno al Cremlino per l’annessione dell’Ucraina e la protezione della minoranza russofona.

Ucraina: evidenziate Kramatorsk
e Odessa.
- Il 3-05 Kiev, controffensiva nell’Est, 60 morti. Mosca: perso il controllo dei filorussi. Sloviansk, Odessa, e adesso anche Kramatorsk: l’offensiva di Kiev si allarga, con scontri sanguinosi tra filorussi e ucraini. Rilasciati gli osservatori dell’Osce. Il portavoce di Putin: non sappiamo come rispondere a violenze. Scontri a Odessa: sono 42 i morti e 125 feriti, tra cui 21 poliziotti, le vittime della guerriglia scoppiata venerdì sera a Odessa. A colpi di bastoni, lanci di pietre e molotov filorussi e filo ucraini si sono scontrati a Odessa, città portuale sul Mar Nero. Centinaia di militanti hanno attaccato una manifestazione per l’unità nazionale alla quale partecipavano circa 1.500 persone. La polizia è intervenuta per separare i due campi, ma il bilancio è tragico. Oltre alle vittime per gli scontri in piazza, almeno trentotto persone sono morte in un incendio nella sede dell’Unione dei sindacati (la Casa dei sindacati) della città. Una trentina di persone sono morte per l’intossicazione da fumo e altre 8 si sono schiantate al suolo dopo che si erano gettate dalle finestre dell’edificio per sfuggire alle fiamme. Nell’edificio si sarebbero rifugiati i filorussi dopo gli scontri in città. Secondo alcune fonti russe, alcuni dei filorussi si sono lanciati dalle finestre per sfuggire alle fiamme: e sopravvissuti alla caduta, sarebbero stati circondati e bastonati dagli estremisti filo-Kiev. Nell’incidente sono rimaste ferite anche una cinquantina di persone, compresi dieci ufficiali di polizia. La polizia ha arrestato più di 130 persone per il rogo, che sarebbe stato causato da bombe molotov lanciate contro il secondo e terzo piano dell’immobile: gli arrestati rischiano accuse che vanno dalla partecipazione ai disordini all’omicidio premeditato. Per il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, le autorità di Kiev «portano la responsabilità di quanto accaduto a Odessa» e ne sono «di fatto complici», come «chi considera legittima la giunta di Kiev». Putin ha inviato le sue condoglianze ai familiari delle vittime.

Immagine da Donetsk.
- Il 4-05: Ucraina, terzo giorno di offensiva a Est. Cresce la tensione a Odessa. Il governo di Kiev proseguirà l'offensiva«su larga scala» iniziata venerdì contro le roccaforti ribelli filorusse nell'est del Paese, ha annunciato il segretario del consiglio di Difesa e Sicurezza Nazionale, Andriy Parubiy: «Quando si concluderà l'operazione a Slavyansk e Kramatorsk, lanceremo operazioni in altre città dove gli estremisti e i terroristi ignorano la legge ucraina e minacciano la vita dei cittadini ucraini». Intanto l'offensiva sferrata dalle truppe ucraine in varie roccaforti della regione mineraria di Donetsk, dove per l'11 maggio è stato indetto un referendum locale sulle orme di quello di Crimea, mette in allerta i miliziani filorussi che controllano vari edifici pubblici nel capoluogo regionale. Di fronte all'avanzata della Guardia Nazionale, i ribelli hanno dichiarato la mobilitazione generale in città. In segno di lutto per le 46 vittime di Odessa, in gran parte filorussi, le bandiere che ondeggiano dinanzi al municipio di Donetsk sono listate a lutto.

- Il 25-05 si svolgono le elezioni per la composizione e la presidenza del parlamento europeo.
Risultati delle elezioni per il
parlamento europeo 2014.  
L'Europarlamento cambia, ma non abbastanza per delineare, fin da subito, che strada imboccherà e chi sarà il nuovo presidente: cala il PPE ma rimane il gruppo più numeroso, si mantiene stazionario il PSE (S&D), grazie fondamentalmente al voto italiano, cresce il GUE/NGL con il suo 5,99% e si impongono gli euroscettici della Le Pen, di Farage e di Grillo. A quanto pare la politica dell'austerità non è stata molto gradita dai cittadini europei. Le ultime elezioni del Parlamento europeo si sono svolte in uno scenario profondamente diverso da quello dei precedenti appuntamenti. Le ragioni sono molteplici: il Trattato di Lisbona, se da una parte ha notevolmente accresciuto alcuni poteri del Parlamento, dall'altra ha spostato l'equilibrio istituzionale verso il Consiglio europeo a scapito della Commissione, che si è trovata a svolgere una funzione sempre più burocratica, e dello stesso Parlamento. A complicare ancora di più il quadro hanno notevolmente contribuito le modalità con cui è stata affrontata, sotto la spinta dell'emergenza, la crisi economica. Invece di trovare all'interno del Trattato gli strumenti per ridimensionarla, il Consiglio ha escogitato soluzioni istituzionali al suo esterno, con il varo di due trattati internazionali, il Fiscal Compact e l'Esm, con un conseguente minore ruolo per il Parlamento. L'azione svolta dal Parlamento per affrontare questi problemi e i suoi tentativi di influenzare l’evoluzione politico-istituzionale di questi ultimi anni sono rimasti largamente sconosciuti; certamente non hanno avuto un significativo impatto su un'opinione pubblica sempre più scettica e critica nei confronti delle istituzioni europee.
non è stata molto gradita dai cittadini europei.

Carta con gli esiti del
referendum in Scozia.
18-09-2014 - Si tiene in Scozia un secondo referendum per l’indipendenza scozzese dal Regno Unito. L'esito del referendum vede la vittoria degli unionisti con 2.001.926 voti, pari al 55,3% dei votanti. La consultazione è stata frutto di un accordo tra il governo del Regno Unito e il governo scozzese, noto anche come Accordo di Edimburgo, firmato il 15 ottobre 2012 dal primo ministro britannico David Cameron, dal segretario di Stato per la Scozia Michael Moore, dal primo ministro scozzese Alex Salmond e dalla vice-primo ministro scozzese Nicola Sturgeon.

- L'1-12 il presidente russo Vladimir Putin ha dato l’addio al progetto di gasdotto South Stream e ha indicato come tracciato alternativo quello che passa per la Turchia.
Vladimir Putin.
Una decisione che riguarda direttamente anche il futuro della Siria, visto che una delle principali cause che hanno generato la guerra sono le vie del petrolio e del gas. Il South Stream (in italiano: flusso meridionale) era un progetto volto alla costruzione di un nuovo gasdotto che avrebbe dovuto connettere direttamente Russia ed Unione Europea, eliminando ogni Paese extra-comunitario dal transito. Era un progetto sviluppato congiuntamente da Eni, Gazprom, EDF e Wintershall. Secondo i programmi iniziali del progetto, i lavori per la realizzazione della prima delle 4 linee (in parallelo) dovevano essere conclusi entro la fine del 2015 e le consegne di gas dovevano iniziare immediatamente dopo. Entro la fine del 2017 invece era previsto il completamento dell’intero progetto. Nel 2008, l’Emiro del Qatar propose al Presidente Bashar al Assad un piano strategico per fare passare in Siria il gas in direzione dell’Europa. Assad si oppose, leggendo in quel progetto un piano contro la Russia e l’Iran, suoi storici alleati. Un rifiuto che rafforzò l’alleanza tra i Paesi del Golfo e la Turchia, in vista del rovesciamento di un regime che non “obbediva” alle mire espansionistiche della monarchia sunnita. La Turchia oggi però non è più interessata al progetto del Qatar. Erdogan ha infatti capito che gli unici vantaggi che possono derivare alla sua economia arrivano dalla costruzione del gasdotto russo che, attraverso il suo paese e la Grecia, arriverà nel cuore dell’Europa. Il nuovo gasdotto, con una capacità di 63 miliardi di metri cubi annui, partirà dal giacimento di Russkaya, lo stesso che avrebbe dovuto fornire il gas al South Stream. Un hub gasiero alla frontiera con la Grecia riceverà così ogni anno 50 miliardi di metri cubi, che poi andranno ai clienti dell’Europa meridionale che ne faranno richiesta. Per la parte offshore, nel mar Nero, continuerà a lavorare la stessa Southstream Transport. Questa mossa ha indebolito l’alleanza del Qatar con la Turchia in un momento dove sia l’Esercito Siriano, sia l’Esercito Iracheno e, infine, Hezbollah infliggono duri copi al terrorismo sostenuto dai Paesi del Golfo. Il vertice di Doha ha sancito il riavvicinamento ufficiale tra le monarchie del Golfo e l’Egitto. Il Qatar (alleato della Fratellanza Musulmana) si è unito ad Arabia Saudita,Bahrein, Emirati, Kuwait e Oman, gli altri 5 Paesi presenti al Consiglio di Cooperazione del Golfo, nell’affermare il pieno appoggio al programma politico del Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sissi. Che cosa farà il Qatar a questo punto? Forse continuerà a muoversi accanto ai movimenti islamici (tuttora sostiene i qaedisti del Fronte al Nusra), certamente farà in modo che questa sua attività non interferisca con questioni interne delle monarchie del Golfo o metta a rischio la sicurezza nella regione. La crisi politica e diplomatica negli ultimi otto mesi ha diviso i paesi arabi del Golfo. Il Qatar si è piegato ai diktat dell’Arabia Saudita, del Bahrein e degli Emirati Arabi Uniti scaricando i Fratelli musulmani e finendo per sostenere il nuovo corso egiziano del generale Abdel Fattah al Sisi. Nel discorso di apertura del vertice, l’emiro del Qatar ha invitato gli altri capi di stato regionali a mettere da parte le divergenze alla luce “del pericolo che stiamo correndo a causa della minaccia del terrorismo”.

- Il 9-12 ondata di vendite sulla Borsa di Atene, che ha chiuso con un ribasso del 12,78%, affossata dagli storni sui titoli bancari. Per il listino greco è la peggior performance da 27 anni.
Borsa di Atene.
Le tensioni sono tornate a tenere banco dopo la decisione del primo ministro Antonis Samaras di anticipare l’elezione del nuovo capo dello Stato entro questo mese. Una mossa che alimenta i rischi di elezioni anticipate. Nel caso il suo candidato venisse sconfitto (Samaras non ha ancora designato un nome per succedere al presidente Karolos Papoulias) il premier sarebbe di fatto costretto a indire elezioni politiche generali che prevedibilmente porterebbero alla vittoria dell’estrema sinistra di Syriza (stando ai sondaggi il primo partito del Paese) contraria al commissariamento da parte della della Troika. L’annuncio a sorpresa è giunto ieri sera poco dopo la decisione dei ministri delle Finanze europei, riuniti a Bruxelles, di approvare una proroga di due mesi al piano di salvataggio della Grecia.

- Il 12-12, mentre in UE la ripresa economica stenta a decollare, con le previsioni di crescita dei Pil nazionali vicino allo 0, Germania compresa, il prezzo del petrolio greggio si affossa e rischia di affondare l'intero Venezuela: il Paese con le maggiori risorse di petrolio al mondo. D'altra parte la produzione mondiale rimane stabile con un aumento da parte dei Paese che non aderiscono al cartello dell'Opec, mentre l'Agenzia internazionale dell'Energia è costretta a rivedere al ribasso, per la quarta volta in cinque mesi, la domanda globale. Secondo un rapporto dell'Aie, infatti, la richiesta mondiale per l'oro nero nel 2015 crescerà di 900.000 barili al giorno a quota 93,3 milioni di barili al giorno: ossia 230.000 barili al giorno in meno rispetto alle previsioni del mese scorso. Le stime sono state nuovamente riviste in calo perché i Paesi produttori sono in difficoltà a causa del calo dei prezzi, spiega l'Aie, sottolineando però che a pesare maggiormente è la situazione in Russia, dove le sanzioni (per la questione ucraina) stanno frenando la crescita. Le stime di domanda per il petrolio russo nel 2015 sono state, infatti, tagliate di 195.000 barili al giorno a 3,4 milioni di barili al giorno. Invece la produzione dei Paesi che non fanno parte del cartello Opec salirà a 57,8 milioni di barili al giorno l'anno prossimo, stima l'Aie. A farne le spese, più di chiunque altro, potrebbe quindi essere il Venezuela che - secondo un report di Moody's - rischia seriamente il default se le quotazioni del petrolio si stabilizzassero intorno a quota 60 dollari al barile: il paese guidato da Nicolas Maduro possiede, infatti, le riserve più importanti di greggio del pianeta, ma ha un enorme deficit fiscale oltre ad un elevato livello di spesa pubblica. Tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno del 2014, c’è stato un significativo calo del prezzo del petrolio sui mercati mondiali: il prezzo al barile è sceso sotto i 90 dollari. Gl'indici rilevati tra settembre e ottobre riflettono un andamento anomalo, soprattutto se si considera che la situazione politica del Medio Oriente - la zona del mondo con le più grandi riserve di greggio - continua a essere molto grave e instabile: nelle ultime settimane, per esempio, si è parlato molto delle conquiste di alcuni giacimenti petroliferi iracheni da parte dello Stato Islamico. Anche altri produttori di petrolio stanno affrontando diverse difficoltà: la Libia, la Nigeria, la Russia e la Siria. Nel rapporto mensile diffuso dall’OPEC a metà ottobre si legge che nell’ultimo mese gli stati membri dell’organizzazione hanno prodotto 400mila barili di greggio al giorno in più rispetto al mese precedente. Il Venezuela ha chiesto la convocazione di una riunione di emergenza per affrontare la questione della produzione, mentre l’Iran ha chiesto che si riducano i barili di greggio prodotti. La decisione dipende però in larga parte dall’Arabia Saudita, che ha ampio potere all’interno dell’OPEC e finora si è mostrata piuttosto restia ad acconsentire alle richieste di ridurre la produzione di petrolio (soprattutto per i timori di perdere fette di mercato in Asia). Riguardo al calo del prezzo del petrolio, diversi esperti e analisti hanno individuato almeno due cause, e tre conseguenze significative.
Prima ragione: l’aumento della produzione di petrolio.
Sabbie bituminose in USA.
Se aumenta la produzione c’è più offerta, e quindi il prezzo cala. L'aumento della produzione è avvenuta soprattutto negli USA, grazie all’estrazione di petrolio da sabbie bituminose in North Dakota e Texas. La produzione statunitense di petrolio è salita a 8,5 milioni di barili al giorno, il più alto livello mai registrato dal 1986. Se si considerano anche i combustibili liquidi derivati dal petrolio, scrive il Washington Post, la produzione americana è quasi al livello di quella dell’Arabia Saudita.
Estrazione di sabbie bituminose
in Alberta, Canada.
Allo stesso tempo sta aumentando anche la produzione del petrolio in Russia, dove si stanno raggiungendo gli alti livelli registrati nel 1987 (11,48 milioni di barili al giorno). Infine negli ultimi 14 mesi è cresciuta anche la produzione di petrolio in Libia, che era crollata a causa della guerra civile del 2011. Oggi in Libia si producono 925mila barili di petrolio al giorno: non è detto però che i ritmi che sta tenendo la Libia continuino a rimanere così alti nei mesi a venire, date le grosse violenze che si stanno verificando nelle ultime settimane tra islamisti, esercito e altre milizie paramilitari.
Seconda ragione: la riduzione del consumo di petrolio. Il crollo del prezzo del greggio è dovuto ad una riduzione generale del consumo del petrolio. In Cina, uno dei maggiori importatori e consumatori di petrolio la mondo, la domanda di greggio non è cresciuta come ci si aspettava: nel corso del 2014 l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha abbassato la sua previsione annuale di crescita della domanda cinese di petrolio per cinque volte (nell’ultima stima si parla del 2,3 per cento; anche per il 2015 è stata abbassata la stima dal 4,2 al 2,3 per cento). Il consumo è calato anche negli Stati Uniti, soprattutto grazie a una politica annunciata dall’amministrazione di Barack Obama nel 2009, secondo la quale entro il 2025 le macchine vendute negli Stati Uniti dovranno fare in media 54,5 miglia con un gallone di benzina (circa 23 chilometri al litro: cioè dovranno consumare poco). Ci sono poi i guai economici dell’Europa: la debolezza dell’euro ha fatto sì che diventasse molto più costoso per gli europei comprare il petrolio. Infine ha ridotto il suo consumo di petrolio anche il Giappone, che ha cominciato a sostituire sempre più spesso il petrolio con il gas e il carbone: il consumo giapponese potrebbe diminuire ulteriormente nel 2015, ha detto il dipartimento dell’Energia statunitense, quando verranno rimesse in funzione le centrali nucleari.
Prima conseguenza: i problemi della Norvegia. Secondo alcune stime il Mare di Barents, al largo della punta settentrionale della Norvegia, contiene circa il 40 per cento delle risorse petrolifere non ancora scoperte nel paese: è quindi visto come la chiave per aumentare dl produzione di petrolio nazionale, soprattutto visto il progressivo declino e “invecchiamento” dei giacimenti del Mare del Nord. Avviare i progetti per cominciare le trivellazioni nella zona, tuttavia, costa molto denaro (anche per la mancanza di oleodotti e piattaforme): e con i recenti problemi registrati dall’indice Brent – il mercato del greggio estratto nel Mare del Nord – l’inizio delle operazioni è stato rimandato di nuovo. La questione non riguarda solo gli eventuali benefici che ne ricaverebbe l’economia norvegese: il Mare di Barents si trova nel Circolo Artico, una regione che – secondo le stime della US Geological Survey – potrebbe contenere circa il 30 per cento delle riserve mondiali non ancora scoperte di gas e il 13 per cento di quelle di petrolio: far partire il progetto di sfruttamento dell’area, come dicono da anni molti analisti, potrebbe cambiare la geopolitica mondiale e rendere meno dipendente l’Europa e l’Asia dalle importazioni mediorientali.
Seconda conseguenza: effetti sulla politica mondiale. Il crollo del prezzo del petrolio, nonostante infligga un danno economico significativo ai paesi esportatori, potrebbe avere conseguenze in qualche modo positive per l’Occidente. Per esempio, nei primi otto mesi di quest’anno la vendita di petrolio e prodotti derivati ha costituito il 46 per cento delle entrate di bilancio russe. In un momento in cui l’Occidente sta cercando di sanzionare la Russia per le sue interferenze nella crisi in Ucraina orientale, scrive il Washington Post, una diminuzione del 10-20 per cento del prezzo del petrolio potrebbe contribuire a raggiungere lo scopo politico delle sanzioni (non si tratterebbe comunque di danni ingenti). Un discorso simile si può fare per l’Iran, le cui esportazioni di petrolio sono limitate dalle sanzioni occidentali (qui le sanzioni sono legate al rifiuto del governo iraniano di limitare il suo programma nucleare e aprire le proprie installazioni a ispezioni internazionali): se si riduce il prezzo del petrolio si riducono le entrate, e il governo iraniano potrebbe essere costretto a raggiungere un accordo sul nucleare per alleggerire le sanzioni.
Terza conseguenza: gli effetti (notevoli) sulle singole economie. In generale, scrive l’Economist, il primo vincitore del calo del prezzo del petrolio è la stessa economia mondiale. Una variazione del 10 per centro del prezzo del petrolio è associato a una variazione dello 0,2 per cento del Prodotto Interno Lordo globale, ha detto Tom Helbling del Fondo Monetario Internazionale. Quando cala il prezzo del petrolio le risorse si spostano dai produttori ai consumatori, che sono più propensi a spendere i loro guadagni rispetto agli sceiccati del Golfo. A queste variazioni di prezzo del petrolio, gli effetti riguardano direttamente le economie di tutti i paesi. Il mondo produce poco più di 90 milioni di barili al giorno di petrolio: a 115 dollari al barile, si parla di un valore la produzione che raggiunge circa i 3.800 miliardi di dollari l’anno; a 85 dollari al barile il valore scende a 2.800 miliardi di dollari l’anno.

- Il 16-12, dopo aver ripreso fiato all’apertura dei mercati, il rublo è tornato a precipitare verso nuovi minimi assoluti: 80 rubli per un dollaro, addirittura 100 sull’euro, prima di risalire intorno a quota 90.
Bank Rossii, la banca russa.
La mossa spettacolare di Bank Rossii, che la notte precedente aveva portato i tassi di interesse dal 10,5 al 17%, nel tentativo disperato di interrompere il crollo del rublo, non sarebbe bastata, l’effetto si è esaurito in poco tempo. Nel proseguo della giornata odierna, il rublo ha provato a recuperare, e il rapporto di parità rispetto all'euro è fissato ora a 84,55 rubli per un euro, ancora in crescita rispetto ai 78 della chiusura di ieri. Per dare un’idea della tempesta che si è abbattuta sulla moneta russa, basti pensare che tre mesi fa servivano 50 rubli per comprare un euro. In quello che gli analisti hanno battezzato “il giorno del giudizio” per il rublo, il petrolio è sceso per la prima volta dal luglio 2009 sotto la soglia dei 60 dollari al barile. Travolta anche la Borsa di Mosca, che perde il 19%, il crollo peggiore dal 1995.

Carta politica dell'Europa con i 28 stati membri dell'UE nel 2014
e le loro bandiere: Belgio, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi
(l'Olanda) , Lussemburgo, Danimarca, Irlanda, Regno Unito,
Grecia, Spagna, Portogallo, Austria, Finlandia, Svezia,
Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania,
Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria,
Romania e Croazia. Gli altri stati che fanno parte dell'Europa:
Islanda, Norvegia, Russia, Kazakistan europeo, Bielorussia,
Ucraina, Moldavia, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Andorra,
Liechtenstein, Svizzera, San Marino, Città del Vaticano, Bosnia
Erzegovina, Serbia, Kosovo, Montenegro, Albania, Macedonia,
Turchia europea. Segue legenda degli stati membri dell'UE
e dei candidati a esserlo, l'adesione congelata, quelle rifiutate
dai cittadini o dall'UE, la tabella bandiere-nomi degli stati
aderenti all'Unione Europea.


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