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mercoledì 29 maggio 2019

Storia dell'Europa n.60: dal 1.416 al 1.453 e.v. (d.C.)

La Savoia dal 1450 al 1631, da: https://
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farestoria/cartografia/c04_09.html
Nel 1.416 - Nasce il Ducato di Savoia, antico Stato derivato dalla Contea di Savoia, culla della dinastia dei Savoia. Dal 1034, il conte Umberto Biancamano poté esercitare un pieno controllo sui valichi alpini che nel Medioevo collegavano il nord con il sud dell’Europa, in particolare i passi del Moncenisio e del Piccolo San Bernardo, ma anche su Gran San Bernardo e Monginevro. Ambendo a nuovi territori, fu creato nel 1046 un legame con il Piemonte tramite il matrimonio di suo figlio Oddone (1010 - 1060) e Adelaide, figlia del Marchese di Torino: l’unione apportava così i territori delle aree montane del Piemonte occidentale, specie la Valle di Susa e la Val Chisone, attorno alla città di  Pinerolo  oltre al marchesato di Torino, tutti in Italia. Fu questa una tappa fondamentale per l'ingresso di questo casato in Italia che li avrebbero visti crescere e diventare duchi di Savoia, poi principi di Piemontere di Sardegna ed infine re d'Italia. Mercanti e pellegrini che volevano valicare le Alpi per entrare nella pianura padana potevano farlo solo con il consenso dei Savoia. Controllare quei valichi significava  controllare i traffici e si potevano  accumulare ricchezze imponendo pedaggi per il transito, gestendo locande e offrendo servizi ai viaggiatori. Ciò comportò enormi vantaggi a favore di un territorio privo di frutti e di risorse economiche. Ma la possibilità di bloccare quei valichi con sbarramenti militari, e quindi favorire il passaggio solo a eserciti disposti a concedere favori e possessi feudali, costituì la vera forza dei Savoia che seppero fondare un originale «stato di passo» e giocare con spregiudicatezza tutte le opportunità diplomatiche che questo possesso garantiva. Ad Oddone I succedettero in via del tutto nominale Amedeo II (1.048-1.078) e Pietro I (1.048-1.080), dato che la gestione della contea restò nelle mani abili della madre Adelaide fino alla sua morte. Succedettero Umberto II (1.070-1.103) ed Amedeo (1.095-1.148), che edificò l'abbazia di Altacomba e morì di peste nel ritorno dalla crociata. Gli succedette il figlio Umberto III (1.136-1.189), proclamato beato e poi Tommaso I (1.177-1.233) che, nominato vicario imperiale da Federico II (1.225), ristabilì i domini della casata in Piemonte e ampliò i possessi d'oltralpe. Alla morte di Tommaso I i membri della famiglia, antagonisti da tempo, si divisero i possedimenti: Amedeo IV (1.197-1.253) mantenne il dominio diretto sui beni con il titolo di conte di Savoia, il fratello Tommaso ricevette le terre di Piemonte da Avigliana in giù e assunse il titolo di signore di Piemonte. Ad Amedeo IV succedettero gli zii Pietro II prima e Filippo I poi. Alla morte di Filippo I (1.285), la contea di Savoia fu scossa dai conflitti che sorsero fra i pretendenti alla successione e durarono per un decennio: prevaleva ancora il concetto che l’eredità dovesse passare al rappresentante più forte della famiglia, senza il principio della primogenitura o della successione diretta del defunto. Ci fu così una spartizione del potere fra tre pretendenti: il titolo comitale e la maggior parte dei domini andarono ad Amedeo V (1.249-1.323, nipote del defunto, che ottenne il controllo delle vie commerciali attraverso le Alpi; a suo fratello più giovane, Luigi I di Savoia-Vaud, andarono la regione nord-orientale organizzata nella Baronia del Vaud ed il paese di Bugey, così egli iniziò la dinastia cadetta dei Savoia-Vaud; infine a Filippo I di Savoia-Acaia (figlio di Tommaso III, fratello di Amedeo IV) andarono assegnate un terzo delle terre piemontesi (da lui poi si originerà l'altra casa cadetta dei Savoia-Acaia). Ad Amedeo V succedettero i due figli maschi: Edoardo (1.284-1.329) ed Aimone (1291-1.343) che lasciò il trono al figlio Amedeo VI (1.334-1.383), detto il "Conte Verde", che acquisì i territori di Biella, Cuneo, Santhià e riassorbì nei domini comitali la Baronia del Vaud; il figlio Amedeo VII (1.360-1.391), detto il "Conte Rosso", estese la contea di Savoia acquistando quella di Nizza (a patto di non fornire mai, né alla Provenza né alla Francia) e suo figlio, Amedeo VIII (1.383-1451), diciannovesimo conte di Savoia, fu designato duca dall’imperatore Sigismondo nel 1.416.
Espansione dello Stato dei Savoia dal 1295 al
Il Ducato nasce in seguito all'assegnazione del titolo ducale da parte del sacro romano imperatore Sigismondo di Lussemburgo al conte Amedeo VIII di Savoia. Il territorio del Ducato si estendeva allora alla Savoia, alla Moriana, alla Valle d'Aosta, mentre il Piemonte, soggetto a varie signorie, tra cui i marchesati di Monferrato e di Saluzzo, era dominio dei Savoia nell'area occidentale, che comprendeva la Valle di Susa, il Canavese e città come Pinerolo (capoluogo dei Savoia-Acaia, un ramo cadetto vassallo dei duchi), Savigliano, Fossano, Cuneo e Torino. Lo sbocco sul mare, conquistato dal 1388, consisteva in pochi chilometri di costa intorno a Nizza, capoluogo dell'omonima contea. In quanto terra di frontiera, rimase conteso tra varie potenze per gran parte della sua storia, riuscendo, infine, con Emanuele Filiberto I di Savoia, ad imporsi con fermezza nella scena politica italiana, pur appoggiandosi prima alla corona di Spagna, poi al Regno di Francia ed infine all'Impero Austriaco. Al termine della Guerra di successione spagnola, grazie al Trattato di Utrecht ed essendo tra i vincitori, i  Savoia otterranno la corona del Regno di Sicilia e il conseguente titolo regio nel 1.713. I Savoia manterranno la sovranità sulla Sicilia fino al 1.720 quando, a causa delle pressioni internazionali, dovettero accettare lo scambio col Regno di Sardegna (che, nel 1861, diventerà il Regno d'Italia).

Nel 1.422 - Mentre l'avanzata ottomana oltre il Danubio veniva respinta da Dan di Valacchia e mentre il Voivoda di Moldavia, Alexandru cel Bun, spostava l'attenzione internazionale sul Regno di Polonia, il Sultano Murad II succeduto a Maometto I sferra una dura offensiva contro l'Impero bizantino, assediando Costantinopoli e Tessalonica: le massicce fortificazioni della prima producono una netta sconfitta dell'aggressore, la seconda invece cade nel 1430. Alla crescente potenza ottomana, Sigismondo tentò d'opporsi affrontando il nuovo voivoda di Valacchia Alexandru I Aldea ed il successore Vlad II Dracul nell'assedio di Smederevo. Quando al trono ungherese sedettero l'imperatore Alberto II e Ladislao III di Polonia, la scena della guerra ai turchi fu occupata da Jànos Hunyádi, ban di Severin e signore di Transilvania.

- Da http://www.italiamedievale.org/sito_acim/contributi/guerre_ottomano_ungheresi.html: Dopo le vittorie conseguite nelle battaglie del Kosovo nel 1389 e in quella di Nicopoli del 25 settembre 1396, gli ottomani conquistarono gran parte dei Balcani e ridussero l'impero bizantino alla sola area limitrofa a Costantinopoli, costantemente tenuta in stato d'assedio. La loro ulteriore avanzata, ostacolata dal re d'Ungheria, capo della grande coalizione cristiana, generò le guerre ottomano-ungheresi, a causa di cui il territorio fu devastato e diviso fra turchi e austriaco-asburgici. Per ben dieci lustri, le mire del sultano Maometto II saranno contenute dal voivoda di Transilvania Jànos Hunyádi, reggente del regno d'Ungheria, coraggioso condottiero ed abile politico. Il dibattito sulle origini della sua famiglia è ancora controverso: per alcune fonti, sua madre fu Erzsébet di Cincis, figlia di un membro della nobiltà minore romena, per altre la magiara Erzsébet Morzsinay. Si ignora, poi, se il padre Vajk fosse di estrazione turco-cumana o valacca, ma è certo che si fosse distinto al servizio dell'imperatore Sigismondo d'Ungheria e che ne fosse stato compensato col titolo di conte e con la signoria sul castello di Hunyad, divenendo Vajk Hunyádi. Detto il cavaliere bianco, fin da giovane Jànos aveva servito Sigismondo, accompagnandolo a Francoforte nel 1410 per la rivendicazione del diritto alla tiara imperiale, aderendo all'ordine del drago, una confraternita politico-militare vicina alla corona ed incaricata della difesa dei confini orientali, distinguendosi nell'azione di contrasto all'eresia hussita nel 1420. Tuttavia, prima di porsi definitivamente agli ordini del sovrano nell'assedio di Smeredevo del 1437, aveva militato anche tra i ranghi dell'italiano Filippo Buondelmonte degli Scolari, signore di Orsova e si era fatto valere, tra il 1431 ed il 1433, presso il duca Filippo Maria Visconti. Per l'attività prestata, Jànos ottenne privilegi, titoli ed anche il ruolo di consigliere imperiale e consolidò il proprio potere sposando nel 1432 la nobildonna Erzsébet Szilágy, padrona di gran parte della regione del Salaj. Dall'unione nacquero i figli László e Mattia. Nel 1438, Alberto II, successo a Sigismondo, lo designò Ban di Severin a difesa dell'area da infiltrazioni ottomane ma, morto il sovrano, in danno del legittimo erede Ladislao il Postumo, Hunyádi appoggiò la candidatura di Ladislao III Jagellone di Polonia a re d'Ungheria, onde garantire una guida salda al regno, indebolito dalle mire dei tutori Elisabetta di Lussemburgo e l'inviso Ulrich di Celje, poi assassinato. Incoronato nel 1440 col nome di Ulászò I, il sovrano polacco delegò il potere di controllo dell'Ungheria al consigliere Zbigniew Olesnicky, vescovo di Cracovia. In quell'anno, il cavaliere bianco soverchiò Murad III in Bosnia ma l'anno successivo i turchi lo cacciarono dalla Serbia. Ancora in vantaggio fra il 1442 e 1443 a Nagyszeben, sconfisse il sultano, attaccò la Valacchia e ne depose il voivoda filo-ottomano Vlad II Dracul, sostituendolo con Basarab II. Sgominò un'altra armata nemica e, quale capo delle forze cristiane, incoraggiò la crociata bandita da Eugenio IV, impegnandosi alla riconquista dei Balcani. Alla testa delle prime linee infatti, sfondò la resistenza di Ihtiman, sbaragliò tre potenti eserciti avversari, occupò Sofia e mise in rotta Murad a Snaim. Nel febbraio del 1444, dopo aver devastato le posizioni turche di Bosnia, Herzegovina, Serbia, Bulgaria ed Albania, i crociati ripararono a Costantinopoli. Il crescente successo delle operazioni condotte durante la prima fase della spedizione persuasero il Despota serbo Durad Brankovic, il principe albanese Giorgio Kastrioti e Mircea II di Valacchia ad allearsi con Jànos e Ladislao. Mentre il legato papale Giuliano Cesarini sorvegliava i preparativi militari, il preoccupato sultano mandò a Seghedino ambasciatori incaricati di proporre una tregua decennale. Fu il cardinale a suggerire di simularne l'accoglimento, funzionalmente ad un'azione già preordinata. Nel frattempo, Jànos sottoscrisse i patti anche per il suo re. A due giorni dall'intesa convenuta però, Cesarini apprese che un'armata navale veneziana puntava sul Bosforo per intralciare i turchi, ormai decisi a rientrare in Grecia e a raggiungere Murad, riparato in Anatolia. Sollecitato dal porporato, Ladislao si pose in marcia verso Costantinopoli, ma Brankovic sabotò la missione, persuase Kastrioti a disertarla ed avvertì segretamente Murad che, col sostegno genovese, sbarcò in armi a Varna. Il 1° novembre 1444 quarantamila fra ungheresi, polacchi, serbi, transilvani, boemi e crociati sfidarono sessantamila ottomani. A sera, in campo si contarono circa ventimila morti fra i due schieramenti. Quella battaglia fu la fase culminante della crociata e l'epilogo di eventi verificatisi anni prima. A seguito delle intese raggiunte nei concili di Basilea, Ferrara e Firenze, nel 1438 il basileus bizantino Giovanni VIII Paleologo aveva accettato di superare lo scisma proprio per ottenere dai potentati cristiani europei ogni possibile aiuto nella lotta al minaccioso espansionismo turco. Nel 1443, per tutelare i bizantini e per difendere l'Ungheria cui tre anni prima era stata sottratta Belgrado, aveva sollecitato il continente alla sacra spedizione e formato un'ampia coalizione. I ripetuti successi cristiani, in particolare quello inizialmente conseguito da Brankovic, che aveva liberato le bulgare Nissa e Sofia, avevano costretto i turchi alla ritirata. Al sultano, impegnato sui fronti di Anatolia, Albania, Morea, non restò che accettare i trattati di Adrianopoli, una tregua decennale durante la quale s'impegnava a non invadere alcun paese cristiano e a restituire alcuni territori all'Ungheria e alla Serbia. Non soddisfatto il papa, ad avviso del quale Murad avrebbe dovuto rinunciare all'intera area balcanica, invalidò i patti e persuase l'Ungheria a riprendere la guerra, impegnando anche la Serenissima che, per dividere l'impero ottomano, schierò la potente marina tra i Balcani e l'Asia Minore. Murad, allora, si rivolse alla Repubblica genovese. Il 10 novembre del 1444, malgrado l'inferiorità numerica, Hunyádi alla testa di metà dell'esercito ungherese dette scacco ai turchi, ma il suo vantaggio fu vanificato dal giovane Ladislao che, alla guida della retroguardia, si gettò nella mischia sottovalutando la potenza d'urto dei giannizzeri e ne fu massacrato. Cadde, con lui, anche il cardinale Cesarini. I crociati superstiti ripararono oltre il Danubio, sotto il comando di Mircea II di Valacchia, e Jànos tentò di sottrarsi rocambolescamente alla cattura finché non cadde in un agguato tesogli da Vlad II Dracul, che lo liberò previo pagamento dell'ingente riscatto corrisposto dall'aristocrazia magiara. La battaglia, naturalmente, ebbe come conseguenze politiche il mantenimento della regione balcanica da parte dei turchi e la sospensione delle clausole di ogni precedente negoziato. Il basileus, che meglio più di tutti si era impegnato per il buona esito della spedizione, dovette piegarsi al sultano e diventarne vassallo. Per effetto della morte di Ladislao, la nobiltà ungherese, intanto, elesse cinque capitani e gli affidò il comando della nazione assegnando a Jànos il controllo della Transilvania e delle terre irrigate dal Tibisco. L'Ungheria, tuttavia, scivolò nell'anarchia e fu necessario individuare un reggente che governasse per conto del minore Ladislao il Postumo: la scelta ricadde ancora su Hunyádi che, investito del ruolo il 5 giugno del 1446, marciò contro l'imperatore Federico III, del quale il piccolo erede era prigioniero. Pose a sacco Stiria, Carinzia e Carniola e minacciò Vienna, finché pervenne ad una tregua di due anni. Nel 1447, Jànos riportò la Valacchia in orbita ungherese decretando la decapitazione del voivoda Vlad Dracul II e facendone seppellire vivo il figlio Mircea II poi, sconfitti i Draculesti, insediò sul trono Vladislav II. L'anno successivo, riprese la campagna contro i turchi ricevendo il titolo di principe da Niccolò V. Infine, marciò sulla Moldavia e vi restaurò il potere del voivoda Petru II, dopo avere occupato e fortificato il porto di Chilia. Nel giugno di quell'anno, Murad II attaccò contemporaneamente proprio questa località e Costantinopoli, ma fu sconfitto: in settembre, gli Ungheresi varcarono il Danubio e puntarono verso Sud per riunirsi a Kastrioti, mentre Mihály Szilágyi batteva i turchi nella valacca Vidin. Ancora una volta Brankovic spiccò per slealtà: rivelata la presenza albanese, favorì la sconfitta di Jànos nella seconda battaglia del Kosovo, il 18 ottobre del 1448. Lo catturò e lo deportò nelle segrete di Smederevo. Nel 1450, liberato dai compatrioti, egli riaprì le trattative con Federico III per la libertà del giovane Ladislao, ma il mancato accordo consentì all'aristocrazia capeggiata dal conte di Celje di accusarlo di cospirazione funzionale al mantenimento del potere. Egli, allora, abbandonò anche il ruolo di reggente, tuttavia, nel 1453, Ladislao il Postumo si insediò e come primo atto, riscattandone l'immagine, lo nominò Conte di Beszterce-Naszód e capitano generale del regno, non trascurando di farne giustiziare il figlio per vendicare la morte dello zio tutore. La reazione violentissima dell'aristocrazia insorta in difesa di Jànos, già voivoda di Transilvania e signore di Belgrado, costrinse il re alla fuga. In procinto di sposare Maddalena, figlia di Carlo VII di Francia, egli era sulla via di Praga quando morì in circostanze ancora misteriose: con lui si estinse la linea asburgico/albertina. Nel 1453, padrone di Costantinopoli, Maometto II puntò all'Ungheria progettando di penetrare in Europa attraverso Belgrado, che assediò. La città fu però soccorsa da Jànos che la approvvigionò a proprie spese, vi insediò un presidio comandato dal germano Mihály e dal figlio László. Reclutò uomini freschi ed armò duecento navi, mentre il frate francescano Giovanni da Capestrano raccoglieva adesioni crociate nel basso popolo. Il 14 luglio del 1456 l'armata navale ottomana fu distrutta e il 21 successivo l'esercito fu respinto a Rumelia da Szilágyi, che favorì l'attività di attacco ungherese: a margine di un cruento e breve scontro, il sultano fuggì. L'11 agosto però, aggredito dalla peste, Jànos si spense. Fu sepolto nella cattedrale cattolica transilvana di Alba Iulia e la sua statua domina la Piazza degli Eroi di Budapest. Suo figlio Mattìa Corvino ascese al trono nel 1458 e governò fino al 1490. Emulo del padre, contrastò i turchi col supporto dell'abile voivoda di Moldavia Stefan III. Il crescente potere del regno di Polonia, intanto, spinse la Moldavia a chiedere l'appoggio di Bayezid II per mantenere l'indipendenza.

Nel 1.429 - Giovanna d'Arco, suddita di Renato d'Angiò, arriva alla fortezza di Vaucouleurs, situata sulla Mosa a pochi chilometri più a monte di Domrémy, si presenta al comandante della fortezza e annuncia la sua « missione divina »: salvare la Francia dagli invasori inglesi e far sì che il delfino, il futuro Carlo VII, sia incoronato re. Chiede di essere ricevuta dal duca di Lorena, suocero e prozio di Renato. L'udienza è accordata a Giovanna nella capitale del duca, Nancy. Quando la Pulzella vi arriva, si sa che Renato d'Angiò è presente. E quando il duca di Lorena le chiede che cosa desideri, Giovanna risponde esplicitamente con parole che hanno sempre sconcertato gli storici: « Vostro figlio [genero], un cavallo e alcuni uomini valenti per portarmi in Francia ».
Renato di Valois-Angiò, noto
come Renato I di Napoli, detto
il Buono. Di Jean-Pierre
Dalbéra di Parigi, dal museo
di Storia di Marsiglia: CC BY
Sebbene oggi sia poco noto, Renato d'Angiò - « il buon re René », come veniva chiamato - fu uno dei personaggi più importanti della cultura europea negli anni immediatamente precedenti al Rinascimento e Gran maestro del Priorato di Sion dal 1418 al 1480. Nato nel 1409, nel corso della sua vita divenne detentore di una sfilza impressionante di titoli. Fra i più importanti c'erano i seguenti: conte di Bar, di Provenza, di Piemonte, e di Guisa, duca di Calabria, d'Angiò, e di Lorena, re d'Ungheria, di Napoli e Sicilia, d'Aragona, di Valenza, di Maiorca e Sardegna, e, quello forse più altisonante di tutti, di Gerusalemme. Naturalmente, quest'ultimo era un titolo soltanto nominale. Tuttavia indicava una continuità che risaliva a Goffredo di Buglione, ed era riconosciuto dagli altri potentati europei. Una delle figlie di Renato, Margherita d'Angiò, sposò nel 1445 Enrico VI d'Inghilterra, ed ebbe un ruolo di grande rilievo nella Guerra delle due rose. Nei primi tempi della sua « carriera », Renato d'Angiò sembra legato in modo piuttosto oscuro a Giovanna d'Arco. A quanto si sa, Giovanna era nata nel paesello di Domrémy, nel ducato di Bar, e quindi era suddita di Renato. Si impose per la prima volta all'attenzione della storia del 1429, quando arrivò alla fortezza di Vaucouleurs, situata sulla Mosa a pochi chilometri più a monte di Domrémy. Si presentò al comandante della fortezza e annunciò la sua « missione divina »: salvare la Francia dagli invasori inglesi e far sì che il delfino, il futuro Carlo VII, fosse incoronato re. Per adempiere tale missione, avrebbe dovuto raggiungere il delfino alla sua corte di Chinon, sulla Loira, molto più a sud-ovest. Ma Giovanna non chiese al comandante di Vaucouleurs i mezzi per raggiungere Chinon; chiese invece di essere ricevuta dal duca di Lorena, suocero e prozio di Renato. L'udienza fu accordala a Giovanna nella capitale del duca, Nancy. Quando la Pulzella vi arrivò, si sa che Renato d'Angiò era presente. E quando il duca di Lorena le chiese che cosa desiderava, Giovanna rispose esplicitamente con parole che hanno sempre sconcertato gli storici: « Vostro figlio [genero], un cavallo e alcuni uomini valenti per portarmi in Francia » (Lecoy de la Marche, Le Roi René, vol.I, p.69. Il duca di Lorena non aveva figli maschi, e secondo le convenzioni del tempo Giovanna si riferiva a Renato). A quei tempi, non meno che in seguito, correvano voci di ogni sorta circa la natura dei rapporti tra Renato e Giovanna. Secondo alcune fonti, probabilmente inesatte, i due erano amanti. Ma resta il fatto che si conoscevano, e che Renato era presente quando Giovanna intraprese la sua missione. Inoltre, i cronisti del tempo affermano che quando Giovanna partì per raggiungere la corte del delfino a Chinon, Renato l'accompagnò. E non è tutto. Gli stessi cronisti riferiscono che Renato era a fianco dell'eroina durante l'assedio di Orléans (Staley, King René d'Anjou, pp.153 sgg). Nei secoli che seguirono, sembra siano stati fatti tentativi sistematici per espungere ogni traccia del possibile ruolo avuto da Renato nella vita di Giovanna. Tuttavia i biografi di Renato non sono in grado di spiegare dove fosse e cosa facesse tra il 1429 e il 1431, al culmine della « carriera » di Giovanna. Di solito si sottintende tacitamente che Renato vegetava alla corte ducale, a Nancy: ma non c'è nulla che lo confermi. Le circostanze indicano che Renato accompagnò Giovanna a Chinon. Infatti, se a quel tempo c'era a Chinon una personalità dominante, era Iolanda d'Angiò. Era Iolanda che incoraggiava e sosteneva incessantemente il debole, febbrile delfino. Fu Iolanda ad autoproclamarsi, inspiegabilmente, protettrice e garante ufficiale di Giovanna. Fu Iolanda a vincere la diffidenza della corte nei confronti della fanciulla visionaria e le ottenne l'autorizzazione ad accompagnare l'esercito a Orléans. Fu sempre Iolanda a convincere il delfino che Giovanna poteva essere la salvatrice che affermava di essere. Fu Iolanda a combinare il matrimonio del delfino con la propria figlia. E Iolanda era la madre di Renato d'Angiò. Da “Il Santo Graal” di Michael Baigent, Richard Leigh e Henry Lincoln, 1982 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

Dal 1.430 - I territori ottomani nei Balcani (come Salonicco, la Macedonia e il Kosovo), temporaneamente persi dopo il 1402, sono riconquistati da Murad II fra il 1430 e il 1450.

Matrimonio fra i
Cosacchi.
- Durante il terzo decennio del XV secolo la regione del Tatarstan, l'antica Bulgaria del Volga divenne nuovamente indipendente in quanto base del Khanato di Kazan' (i cui abitanti erano i Cosacchi), fondato nelle vicinanze della distrutta capitale dei protobulgari Fanagoria, sul mar d'Azov. Nel VII secolo la città si era ripresa da un secolo di invasioni barbariche e divenne la capitale del khanato di Bulgaria tra il 632 e il 665. Dopo la partenza dei Proto-bulgari guidati da Asparukh, terzo figlio di Khan Kubrat, la città divenne, almeno nominalmente, una dipendenza bizantina. Ciononostante, un tudun (governatore) cazaro resse la città probabilmente fino al 1016, quando Giorgio Tzul, comandante cazaro, fu sconfitto da Bisanzio. Nel 704 l'imperatore deposto Giustiniano II si installò a Fanagoria, allora governata dal tudun Balgatzin, con la moglie Teodora, sorella del re cazaro Busir Glavan, prima di tornare a Bisanzio. Nel X secolo la città dovette probabilmente fronteggiare l'invasione dei Rus'. Dopodiché Fanagoria non riuscì più a competere con la vicina Tmutarakan' (prima Ermonassa). Nel basso Medioevo fu edificata, sulle rovine di Fanagoria, Matrega, un avamposto genovese. Durante il XV secolo la città fu il centro dei domini dei Ghisolfi, una ricca famiglia di commercianti genovesi e poco dopo la città venne completamente abbandonata.

La Valacchia, da: https://it.wikipedia.
org/wiki/Valacchia#/media
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Nel 1.436 - Vlad II Dracul sale sul trono della Valacchia. Vlad II, nel 1431 era diventato membro dell'Ordine del Drago, un ordine cavalleresco fondato da Sigismondo di Lussemburgo nel 1418 e il simbolo di questa confraternita era appunto un dragone prostrato, con la coda avvolta attorno al collo. Sulla schiena del mostro si trovava una croce, che alludeva al trionfo del Signore sul maligno. Dato che nel medioevo il drago era simbolo del demonio, ecco spiegata l'origine dell'appellativo Dracul. In romeno "Dracul" significa "il diavolo": drac = "diavolo" e "ul" = "il", mentre -ulea è un patronimico, per cui Draculea significa "figlio del diavolo". Dato che il potere di Vlad II era traballante, lui decise di renderlo più saldo concordando una pace con il sultano ottomano, che in quel momento appariva il sovrano più potente dello scacchiere balcanico. Il trattato prevedeva da parte del voivoda (comandante e/o principe) l'obbligo di recarsi ogni anno alla corte di Edirne, per versare il tributo ed eventualmente guidare e scortare le truppe turche dirette contro l'Ungheria. Negli anni successivi Vlad II avrebbe tentato di non infrangere l'accordo con gli Ottomani e nel contempo di non apparire troppo compromesso con gli infedeli, agli occhi del vicino ungherese. Nel marzo del 1442 gli Ottomani entrarono in Valacchia, puntando sulla Transilvania, allora ungherese. Dracul non si unì a loro, ma d'altro canto non fece nemmeno nulla per contrastarli, osservando una rigida neutralità, per non compromettere la sua già precaria situazione.
Vlad Dracul in un affresco
dell'epoca, da: 
La campagna si concluse però con una grande sconfitta ottomana presso la cittadina di Sibiu. Quindi l'ungherese Cavaliere bianco, János Hunyadi, inseguì i nemici in rotta fino in Valacchia, scalzando dal trono Vlad II (il padre di Dracula, Vlad III) e insediando al suo posto Basarab II. Il deposto voivoda, accompagnato dai pochi boiardi rimastigli ancora fedeli, non ebbe altra scelta che rifugiarsi in territorio turco, cercando la protezione e l'appoggio del sultano. Dopo essere stato accolto in maniera piuttosto calorosa, fu arrestato al termine di un banchetto e messo sotto custodia a Gallipoli (sullo stretto di Dardanelli). Nella primavera del 1443 Vlad II venne liberato e, appoggiato da truppe turche, riconquistò il suo trono. Murad II aveva deciso che avere un sovrano non allineato alla causa ungherese, ancorché infido, era preferibile che fare i conti con una Valacchia solidale con essa. Del resto la controffensiva cristiana, guidata dal Cavaliere bianco (János Hunyadi), aveva messo i Turchi in seria difficoltà. L'anno successivo (estate del 1444), in base ai pesanti accordi raggiunti con il sultano, Dracul inviò alla corte ottomana i suoi figli Vlad e Radu cel Frumos (il Bello) come ostaggi. Il voivoda inoltre si era impegnato a pagare il solito tributo annuale e a inviare, sempre annualmente, un certo numero di fanciulli, per rimpolpare le schiere dei Giannizzeri. Durante gli anni di prigionia, i due giovani Drăculești sarebbero stati educati dai Turchi all'arte della guerra, alla logica ed alla fede musulmana, ma la loro situazione sarebbe sempre rimasta piuttosto delicata: tre anni prima i figli del despota serbo Đurađ Branković, erano stati accecati con dei ferri roventi, poiché sospettati di voler fuggire dalla loro prigionia.

Nel 1.437 - L'imperatore romano orientale (bizantino) Giovanni VIII, insieme al fratello Demetrio Paleologo (despota della Morea dal 1436 al 1438 e dal 1451 al 1460, legittimo rivendicatore al trono di Bisanzio dopo il 1453, fino a quando nel 1460 si alleò con gli ottomani contro suo fratello Tommaso, despota a sua volta della Morea, per cui perse il titolo essendosi alleato con gli infedeli), accompagnato da Lucas Notaras che sarà l'ultimo Mega Dux dell'impero bizantino, dal 1444 al 29 maggio 1453, partecipano al Concilio di BasileaFerrara e Firenze. Questo concilio, svoltosi in tre fasi e in tre città diverse, costituiva un tentativo di riunire la Chiesa cattolica romana con la Chiesa ortodossa orientale e ufficialmente il tentativo riuscì, ma la decisione fu di fatto smentita dal popolo bizantino, che non ne voleva sapere della fede cattolica. Contestato dal seguito di Giovanni VIII, Demetrio se ne andò prima della fine del concilio e partì nel 1439 senza l'Imperatore suo fratello, il che costituiva un segno di sfida a Giovanni VIII, il quale non avrebbe potuto sorvolare su tale comportamento di Demetrio. A questo proposito, è universalmente nota la frase con cui Notaras condannò la riunificazione della chiesa di Costantinopoli con la chiesa di Roma nel 1452: «Meglio il turbante musulmano che la mitra papale» (Lucas Notaras). Secondo un'altra versione la frase pronunciata da Notara è "Vedrei più volentieri nella città il turbante turco che la tiara di Roma". Ciò è confermato dal fatto che, mentre Costantino XI, imperatore dal 1449, dopo la morte di Giovanni VIII nel 1448, si adopererà per assicurarsi l'aiuto occidentale, chiedendo sussidio e truppe ai latini, il Notaras invece soffiava sul fuoco, incitando gli ortodossi contro l'intervento degli occidentali. Sembra che Lucas Notaras esponesse le sue idee anche nei suoi discorsi politici, spesso con riferimenti ambigui, provocando per questo molti contrasti nella gerarchia imperiale bizantina. L'amico più stretto di Costantino XI, nonché suo segretario personale, Giorgio Sfranze, spese raramente una parola in difesa del Notaras, e si dice che avesse una grande antipatia verso di lui.

Francobolli romeni commemorativi la rivolta contadina
di Bábolnai del 1437, da https://it.qwerty.wiki/wiki/Transyl
- Nel 1.437 divampa una rivolta contadina in Transilvania (la rivolta contadina in chiave anticlericale di Bábolnai), nel Regno d'Ungheria, che coinvolge quasi tutta la popolazione della Transilvania.Nel regno d'Ungheria, ungheresi, sassoni e secleri (székelys, comunità di guardie di frontiera privilegiate) avevano aderito al cattolicesimo. I cattolici dovevano pagare una tassa ecclesiastica, la decima (pari a un decimo dei redditi), ma papa Giovanni XXIII aveva esentato i nobili minori al pagamento nel 1415. Tuttavia, György Lépes , il vescovo della Transilvania, ignorava questa decisione, soprattutto dopo che Giovanni fu dichiarato un antipapa . I valacchi (o rumeni) erano in origine esentati dalla tassa ecclesiastica, poiché non cattolici ma Sigismondo di Lussemburgo, re d'Ungheria, aveva decretato che i valacchi che si erano stabiliti sulle terre abbandonate dai contadini cattolici dovesse anche loro pagare la decima. Sigismondo era un monarca assente, profondamente coinvolto nella politica europea e trascorreva molto tempo fuori dell'Ungheria, in particolare nei suoi altri regni, come la Germania e la Boemia. A partire dal 1420, gli ottomani attaccavano la Transilvania quasi ogni anno e i contadini dovevano così pagare i costi crescenti per la difesa contro gli ottomani, regolarmente obbligati a pagare tasse "straordinarie" in aggiunta al profitto della Camera (l'imposta tradizionale dovuta da ogni famiglia contadina al tesoro reale). Il re aveva inoltre ordinato che un contadino ogni dieci, avrebbe dovuto prendere le armi in caso di attacco ottomano, anche se i contadini erano sempre stati esenti da obblighi militari. Anche la sistemazione delle truppe era un dovere fastidioso, poiché i soldati spesso costringevano i contadini a fornire loro cibo e vestiti. I proprietari terrieri cominciarono a raccogliere il nono (tassa signorile pari al nono dei redditi fondiari) dai contadini anche se il nono, che era già stato introdotto nel 1351, non era state raccolto regolarmente in Transilvania. I nobili tentavano inoltre ad ostacolare la libera circolazione dei loro servi (servi della gleba). Le imposte crescenti e i nuovi oneri avevano fomentato ribellioni fra la gente comune. Nel 1417 i Sassoni di Transilvania potettero domare i loro servi ribelli solo con l'aiuto del vice-voivoda, Roland Lépes. Gli eserciti uniti delle contee e dei presidi sassoni avevano schiacciato una rivolta della gente comune di etnia seclera (székely) nel 1433. Nei primi mesi del 1434, i borghesi di Kronstadt avevano dovuto chiedere l'assistenza del conti secleri (székely, guardie di frontiera privilegiate) contro i valacchi che si erano sollevati a Fogaras. Dal 1430, idee hussite, in particolare nelle versioni taborite, cominciarono a diffondersi tra i contadini transilvani, tanto che nel maggio del 1436, il vescovo György Lépes, fratello del vice-voivoda Roland Lépes, aveva esortato l'inquisitore Giacomo della Marca ad intervenire in Transilvania, poiché i predicatori hussiti avevano convertito molte persone alla loro fede nella sua diocesi. Per affrontare gli oneri finanziari derivanti dalle guerre hussite e dalle campagne militari contro l' Impero Ottomano, Sigismondo di Lussemburgo aveva messo in circolazione, nel 1432, monete d'argento di scarso valore, che contenevano solo un quarto d'argento rispetto alla vecchia valuta. Il vescovo di Transilvania György Lépes, che sapeva che monete di valore più elevato sarebbero state coniate in pochi anni, sospese la raccolta delle decime e delle none (tasse signorili pari al nono dei redditi fondiari) nel 1434. Quando, nel 1437, monete di buona qualità furono nuovamente messe in circolazione, il vescovo emise l'ordine agli esattori di riscuotere gli emolumenti dei tre anni passati con soldi nuovi, che valevano molto di più dei vecchi. Gli storici stimano che le famiglie contadine erano tenuti a pagare decime da sei a nove fiorini d'oro, anche se il reddito di un lotto medio contadino era solo di circa 40 fiorini. La maggior parte dei contadini non era così in grado di pagare tali importi, soprattutto perché dovevano anche pagare le tasse signorili ai proprietari dei loro terreni. Per garantire il pagamento degli arretrati, il vescovo applicò sanzioni ecclesiastiche, ponendo interi villaggi ad interdizione (e scomunica) nell'estate del 1436. Inoltre scomunicò i piccoli nobili che si erano rifiutati di pagare la decima. Tuttavia, la maggior parte dei servi resistette e i loro signori non vollero assecondare il vescovo, che sollecitò il re ad ordinare al voivoda Ladislao Csáki e alle magistrature delle contee la raccolta delle decime ai primi di settembre. Il re decretò inoltre che tutti i contadini che non fossero riusciti a pagare gli arretrati entro un mese dopo la loro scomunica, dovessero pagare dodici fiorini d'oro a titolo di penale. La rivolta in chiave anticlericale iniziò con disturbi locali nella prima metà del 1437. Gli abitanti di Daroc, Makó e Türe (Dorolţu , Macau e Turea) aggredirono l'abate di Kolozsmonostor a Bogártelke (Bagara) in marzo. Ad Alsó-Fehér e intorno a Deva, i servi sono erano riuniti in piccoli gruppi ed avevano attaccato i manieri dei nobili. Contadini di Alparét e Bogata (Bogata de Sus) si stabilirono per primi sulla sommità del vicino Monte Bábolna in maggio o giugno. Circondata da alte scogliere e dense foreste oltre ad essere coronata da un altopiano di circa 7-8 ettari (17-20 acri), la montagna era un luogo ideale per un'eventuale difesa. Seguendo la strategia militare dei taboriti, i ribelli si stabilirono in un accampamento fortificato sulla cima piatta della montagna. Contadini ungheresi, valacchi ortodossi (rumeni), poveri cittadini e piccoli nobili vessati dalle none (tasse signorili pari al nono dei redditi fondiari), per cercare di organizzare le loro rimostranze contro le pretese del vescovo, iniziarono a radunarsi sulla cima piatta del Monte Bábolna (o Bobalna) vicino ad Alparét. Un nobile minore, Antal Nagy de Buda (Antal Budai Nagy, ? - Cluj 10/14 dicembre 1437), giunse con un gruppo di contadini da Dios e Burjánosóbuda (Deuşu e Vechea) alla montagna mentre il valacco Mihai vi arrivò con persone provenienti da Virágosberek (Floreşti). Minatori di sale secleri (szek) da Sic, Cluj e poveri cittadini da Kolozsvár (oggi Cluj-Napoca in Romania) si unirono ai contadini. Secondo la stima dello storico Lajos Demeny, sul pianoro entro la fine di giugno si potevano contare circa 5-6.000 uomini armati. Il vescovo Lépes e suo fratello, il vice-voivoda, iniziarono a radunare le loro truppe vicino al campo dei contadini. Il voivoda Ladislao Csáki, che era assente, tornò di corse di Transilvania. I conti dei secleri, Michael Jakcs e Henry Tamási, si congiunsero agli eserciti riuniti dal voivoda e dal vescovo. I giovani nobili che aderirono alla campagna, volevano condurre un assalto improvviso sui contadini, ma il vescovo suggerì che i contadini avrebbero dovuto essere pacificate attraverso dei negoziati. Il ritardo permise così ai rivoltosi di completare la fortificazione del loro campo. I ribelli intanto, avevano inviato quattro loro emissari dal voivoda per chiedergli di porre fine agli abusi sulla riscossione della decima e di convincere il vescovo a togliere le interdizioni ecclesiastiche, oltre alla conferma del diritto dei servi alla libera circolazione, ma furono catturati, torturati e giustiziati alla fine di giugno. Il voivoda ed i suoi sodali tentarono poi d'invadere il campo dei ribelli, ma i contadini resistettero e condussero con successo un contro-attacco uccidendo molti nobili durante la battaglia. Per favorire la deposizione delle armi da parte dei ribelli, il vescovo e i capi dei nobili avviarono negoziati con altri inviati dei ribelli. Il compromesso a cui arrivarono è stato registrato nell'Abbazia di Kolozsmonostor il 6 luglio 1437. L'accordo riduceva la decima della metà, si abolivano le none e veniva garantito il diritto dei contadini alla libera circolazione. Li si autorizzava inoltre a tenere un'assemblea annuale che vigilasse sull'esecuzione del contratto. I nobili, i conti secleri (székelys) e i delegati dei sassoni stipularono invece l'"unione fraterna" ("Tre Nazioni di Transilvania") contro i loro nemici a Kápolna (Căpâlna) all'inizio di settembre, impegnandosi a fornire assistenza militare tra di loro sia contro aggressori interni che esteri. Il vescovo sembra aver riconosciuto che i piccoli nobili erano esenti dal pagamento della decima, secondo Demeny, poiché la dieta d'Ungheria ha decretato che i nobili non potevano essere costretti a pagare la decima nel 1438. I ribelli abbandonarono il loro accampamento fortificato sul monte Bábolna, molto probabilmente poiché avevano bisogno di nuovi schieramenti. Si mossero verso Des, saccheggiando manieri di nobili durante la loro marcia e minacciando severe punizioni a chi non li avesse supportati. Stabilirono così un nuovo campo sul fiume Szamos (a Someş) nei pressi della città e una nuova battaglia fu combattuta tra i ribelli ei loro nemici vicino al campo a fine settembre. Dopo essere stati in grado di tener testa ai ribelli, i nobili cominciarono nuovi negoziati con loro a Dellőapáti (Apatiu). I rappresentanti delle due parti raggiunsero un nuovo compromesso, il 6 ottobre, che è stato trascritto in una nuova carta nell'Abbazia di Kolozsmonostor quattro giorni più tardi. Per ragioni sconosciute, i contadini accettarono condizioni meno favorevoli rispetto a quelle del primo accordo. Demeny sostiene che i loro leader avevano molto probabilmente capito che non sarebbero stati in grado di resistere per molto tempo. Secondo il nuovo accordo, l'importo minimo del canone da pagare dai contadini ai proprietari era aumentato a 12 fiorini all'anno e i contadini che lavoravano gli appezzamenti più grandi avrebbero pagato da 25 a 100 fiorini ai loro signori, che era pari alla somma da versare prima della rivolta. Il nuovo accordo non ha stabilito i "doni" che i contadini dovevano offrire ai proprietari terrieri, solo si affermava che essi erano tenuti a ottemperare a tale obbligo tre volte l'anno. L'accordo confermava il diritto dei nobili ad amministrare la giustizia sui contadini che vivevano nelle loro terre, ma prevedeva anche che i contadini potessero appellarsi contro le sentenze dei loro signori alla corte di un villaggio o piccola città nelle vicinanze. Il secondo accordo fu ancora una volta considerato come un compromesso provvisorio da entrambe le parti. La carta prescriveva inoltre che una delegazione congiunta di ribelli e nobili dovesse essere inviata al re, che abitava a Praga, a richiederne l'arbitrato. Non ci sono le prove della nomina di delegati e della loro partenza per Praga. Sigismondo di Lussemburgo morì il 9 dicembre 1437. Sapendo che il loro accampamento sul Szamos poteva facilmente essere attaccato, i ribelli marciarono verso Kolozsvár in ottobre o novembre. Invasero e saccheggiarono le tenute dei Bathory a Fejérd (Feiurdeni). Inoltre catturarono e decapitarono molti nobili prima di attaccare l'abbazia di Kolozsmonostor, costringendo l'abate a fuggire. Un gruppo di ribelli prese possesso del castello di Nagyenyed (Aiud) con l'assistenza dei borghesi poveri locali e degli abitanti dei villaggi vicini. Anche la maggior parte dei borghesi di Kolozsvár simpatizzavano per i ribelli, che in tal modo entrarono nella città senza resistenza. Un documento sassone ha registrato che Antal Nagy de Buda è morto combattendo contro i nobili entro il 15 dicembre. Demeny confuta la credibilità del rapporto, dicendo che tutte le altre fonti indicano che i contadini stavano ancora resistendo nel gennaio 1438. Gli eserciti uniti del nuovo voivoda, Desiderio Losonci e del seclero (dei székelys) Michael Jakcs assediarono Kolozsvár. Il 9 gennaio inviarono una lettera ai capi sassoni, esortandoli a mandare rinforzi per contribuire alla distruzione dei "contadini senza fede". Durante l'assedio, "Non una sola anima poteva uscire o entrare" in città, secondo il rapporto gli assedianti. L'assedio provocò una carestia che costrinse i difensori ad arrendersi prima della fine del mese di gennaio. I gruppi ribelli intorno a Nagyenyed furono annientati nello stesso periodo. I capi della rivolta furono giustiziati e gli altri rivoltosi furono mutilati durante l'assemblea dei rappresentanti delle "Tre Nazioni di Transilvania" (l'"unione fraterna") nel mese di febbraio. Da questi eventi in poi, per tutta l'età moderna, le etnie con potere decisionale  in  Transilvania, anche se i romeni erano maggioritari, saranno i magiari, i székelys (secleri o siculi) e i sassoni, coloro che avevano soffocato la rivolta di Budai Nagy Antal del 1437. Il nuovo sistema politico si basava sulla “Unio Trium Natiorum” (L'unità dei tre popoli) Magiari, Siculi (non i siciliani) e Sassoni. Tuttavia ciò corrispose a una divisione sociale e religiosa piuttosto che etnica. I rumeni erano ortodossi, ma per avere il diritto di possedere terreni o accedere alla nobiltà dovevano convertirsi al cattolicesimo, poiché solo in questo modo sarebbero stati accettati nel sistema. In altre parole solo pochi rumeni entrarono a far parte della nobiltà. In particolare i siculi, a differenza di molti altri gruppi etnici della futura Romania, erano concentrati in un'area ai confini del Regno d'Ungheria, la Terra dei siculi (in ungherese Székelyföld), nelle zone che oggi comprendono i distretti di Harghita, Covasna e Mureș.

Nel 1.440 - L'Orda d'Oro è nuovamente sconvolta dalla guerra civile. Dall'originale impero si erano ormai formati differenti khanati autonomi: il Khanato di Siberia, di Kazan', di Astrachan', di Qasim, di Crimea e di Nogai. Nessuno di questi nuovi Stati sarà in grado di reggere il confronto con il Granducato di Mosca che quindi si libera definitivamente del controllo tataro-mongolo intorno al 1480. La sorte dei vari khanati sarà quella di essere, prima o poi, annessi dalla Russia.

Nel 1.443 - Papa Eugenio IV proclama una crociata contro gli Ottomani, non solo per tutelare gli interessi dei Bizantini, ma anche perché la nazione cristiana cattolica d'Ungheria era minacciata dagli ottomani dopo la perdita di Belgrado, avvenuta nel 1440.
Hunyadi János o
Ioan de Hunedoara.
Venne quindi creata una coalizione a cui parteciparono il re d'Ungheria e Polonia, Ladislao III Jagellone, il Voivoda di Transilvania e comandante militare della coalizione Giovanni Hunyadi (Hunyadi János o Ioan de Hunedoara, condottiero e politico ungherese), il despota serbo Đurađ Branković e Mircea II di Valacchia, figlio del voivoda Vlad II Dracul. Branković penetrò vittoriosamente in Bulgaria, liberando Nissa e Sofia e infliggendo ripetute sconfitte alle truppe ottomane, tanto che queste si dovettero ritirare. I continui successi dei cristiani, uniti al fatto che si trovava a combattere su molti fronti come Anatolia, Albania, Morea (il Peloponneso), preoccuparono molto il sultano Murad II, tanto che firmò un trattato di pace ad Adrianopoli (Edirne) in cui impegnava l'Impero ottomano a non attaccare per dieci anni alcun Paese cristiano, assegnando alcuni territori all'Ungheria e alla Serbia. Tale esito del conflitto non soddisfece il Pontefice, secondo il quale tutta l'area dei Balcani avrebbe dovuto essere liberata dal controllo degli Ottomani. Furono invalidati i trattati fino ad allora sottoscritti. Il re d'Ungheria fu convinto a riprendere la guerra e, all'inizio della "crociata", Venezia dispiegò subito in mare la sua potente marina, disponendola tra i Balcani e l'Asia Minore, in modo da presidiare i Dardanelli e da dividere in due l'Impero ottomano. Quando Murad II venne a conoscenza delle manovre dei cristiani, non esitò a radunare tutto il suo esercito e a farlo sbarcare nei Balcani, impresa favorita dalle avverse condizioni atmosferiche per la marina veneziana o forse aiutato dalle navi dei genovesi.

Gjergj Kastrioti
Skanderbeg da:
- Resistenza albanese all'invasione Ottomana. Dal 1.443 al 1.468 Gjergj Kastrioti Skanderbeg, principe albanese e re d'Epiro, eroe nazionale degli albanesi, conduce una strenua resistenza contro gli Ottomani, ottenendo molte vittorie. Su 25 battaglie che combatte contro di loro, ne vince 22. La resistenza condotta dagli albanesi di Skanderbeg sarà determinante nel fermare l'invasione turca dell'Italia, che mirava a Roma. Dopo la morte di Skanderbeg, la resistenza è continuata fino al 1.478, anche se con successo minore finché alla fine del quattordicesimo secolo le terre albanesi furono conquistate dagli Ottomani: i signori albanesi non poterono resistere a lungo al loro maggiore potere militare. 

Nel 1.444 - Il re d’Ungheria, Ladislao il Postumo, rompe la pace con gli ottomani e lancia la crociata di Varna, sotto il comando di János Hunyadi, nel tentativo di spingere i turchi fuori dall’Europa. Il 10 novembre, nella battaglia di Varna, Murad II sconfigge un'armata congiunta polacca e ungherese, guidata da Ladislao III di Polonia, re di entrambi gli Stati e annienta i Crociati (della crociata di Varna) capeggiati dal condottiero ungherese Jànos Hunyadi e dal Godospar di Moldavia Vlad III di Valacchia, detto Dracul Cepelush. Vittorioso e deciso a riprendere la campagna di aggiogamento dell'area balcanica, Murad II respinge poi l'espansione bizantina, condotta dalla Morea, (a partire dal XII secolo, il Peloponneso era chiamato Morea dai crociati a causa della forma della penisola, somigliante ad una foglia di gelso e a causa dell'importanza che aveva quell'albero nella penisola) dal Basileus Costantino IX e mette al sacco Atene, rendendone vassalli tributari gli occidentali lì residenti. János Hunyadi preparerà un'altra armata (composta da forze ungheresi e valacche) per attaccare i Turchi, ma nel 1448 sarà sconfitto di nuovo da Murād II nella seconda battaglia del Kosovo.

Nel 1.445 - Johannes Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili. Il primo libro stampato è la Bibbia. 

Vlad III Țepeș (l'impalatore) da:
Nel 1.448 - Vlad III Țepeș (l'ImpalatoreDracula, o Dracul Cepelush, di origine cumana, è voivoda di Valacchia una prima volta, lo sarà di nuovo dal 1456 al 1462 e nel 1476. Vlad III di Valacchia (1431 - 1477), meglio conosciuto solo come Vlad Dracula, era figlio del voivoda di Valacchia e membro dell'Ordine del Drago, fondato per proteggere il cristianesimo nell'Europa orientale, Vlad II Dracul, membro della Casa dei Drăculești, un ramo collaterale della Casa di Basarab e conosciuto anche con il suo nome patronimico Dracula (figlio di Dracul). Il soprannome "l'Impalatore" deriva dalla sua predilezione ad impalare i nemici. Durante la sua vita, la reputazione di essere un uomo crudele e sanguinario si diffuse nel Sacro Romano Impero e più in generale in tutta Europa, pur essendo  venerato come eroe popolare in Romania, per aver protetto la popolazione rumena, sia a sud che a nord del Danubio, dai turchi ottomani. Vlad III Dracula sarà fonte d'ispirazione per lo scrittore irlandese Bram Stoker nella creazione del suo personaggio più famoso, il vampiro conte Dracula, nell'omonimo romanzo “Dracula” del 1897.

Romania con i suoi territori storici: Valacchia,
Transilvania e Moldavia. Da http://www.terraeasfalto.it/
romania-transilvania-maramures-e-tutto-quello-che-verra/
- Da http://www.germanici.altervista.org/sassoni/
23.html: Al fine di comprendere la vita di Vlad III Dracula è prima necessario capire qualcosa sulla natura della società della Valacchia e della sua politica in quell'epoca. Il trono di Valacchia era ereditario, ma non dal diritto di primogenitura; infatti erano i Boiardi (grandi nobili) che avevano il diritto di eleggere il Voivoda (Principe), scegliendolo tra i vari membri della famiglia reale che ne avessero il diritto. Come nella maggior parte delle monarchie elettive, durante il medioevo il potere del governo centrale tendeva ad essere spartito tra la nobiltà e la famiglia regnante, di cui i vari membri gareggiavano per il trono. In generale, la politica tendeva ad avere aspetti molto sanguinosi. L’assassinio era il mezzo più comune per eliminare i rivali e molti Voivodi terminarono la loro vita violentemente e prematuramente. Prima della fine del XV secolo il Casato di Basarab si era diviso in due clan rivali, quelli del principe Mircea il Vecchio, il nonno di Dracula (i Draculesti) e di suo fratello Dan I di Valacchia (i Danesti). Mircea il Vecchio, in romeno Mircea I cel Bătrân, chiamato anche Mircea I di Valacchia, Mircea cel Mare, in romeno “il Grande”, (1355 - 1418) fu voivoda (principe) di Valacchia dal 1386 al 1418. Figlio di Radu I di Valacchia, difese il suo regno dalla crescente ingerenza dell'Impero ottomano. Partecipò alla Crociata di Nicopoli (1396) ed estese la sovranità valacca fino alla Dobrugia, sul Mar Nero, dando al principato la sua massima espansione. Sconfitto dal sultano ottomano Maometto I (nel 1417), chiuse il suo regno come tributario indipendente dei turchi. Da Mircea il Vecchio ebbe origine la stirpe dei Drăculești, mentre da suo fratello Dan I di Valacchia, voivoda dal 1383 e morto nel 1386 in battaglia contro i Bulgari, si originò la stirpe dei Dănești. Questi due rami della casa reale erano acerrimi rivali. Sia Dracula che suo padre, Vlad II Dracul, furono assassinati dai rivali del clan Danesti una volta raggiunto il trono. Il secondo fatto importante della vita politica della Valacchia del XV secolo era l’influenza dei potenti vicini. Nel 1453 Costantinopoli e le ultime vestigia dell’Impero Bizantino (o Impero Romano d’Oriente), che avevano bloccato l’accesso all’Islam in Europa per quasi mille anni, cedettero alle armate dei turchi ottomani sotto il Sultano Maometto II il Conquistatore. Molto tempo prima della caduta della città imperiale, gli Ottomani erano penetrati in profondità nel Balcani. Il nonno di Dracula, Mircea il Vecchio, fu costretto a rendere omaggio al sultano all’inizio del XV secolo. Il Regno ungherese a nord e ad ovest della Valacchia raggiunse l’apice della sua potenza nel corso del XV secolo e assunse il compito che era stato dell’antica Costantinopoli, il come difensore della cristianità. Nel corso del XIV e XV secolo i Principi di Valacchia cercarono di mantenere una precaria indipendenza dal continuo spostamento delle alleanze tra questi potenti vicini. C’è stato un notevole dibattito tra gli studiosi sul significato del nome rumeno di “Draculea”. Il nome è chiaramente legato al soprannome di Vlad II: “Dracul”. La prima interpretazione del nome è la meno accettata, e significa: “il figlio del diavolo”. In rumeno “Drac” significa diavolo ed “ul” è l’articolo definitivo; pertanto, “Dracul” significa “il diavolo”; se poi il nome termina con “ulea”, che significa “figlio di”, la parola “Draculea” significa “il figlio del diavolo”. La seconda interpretazione del nome, quella più ampiamente accettata è che Vlad II venne chiamato “Dracul” (il Drago) per la sua appartenenza all’Ordine del Drago e suo secondo figlio, anche egli chiamato Vlad, venne chiamato Vlad “Dracula”, cioè Vlad il Figlio del Drago. Vlad Dracula è conosciuto anche come Vlad l’Impalatore. Dopo la sua morte, al nome di Vlad venne aggiunto quello di “Tepes” (in rumeno: Impalatore). Dracula venne chiamato dai turchi anche “Seitanoglu”, cioè figlio del diavolo, o “Kazikli Voyvoda”, cioè “Principe Impalatore”, dopo che iniziò a punire i malfattori impalandoli. Vlad II Dracul, padre di Vlad III Dracula diventa membro dell’Ordine del Drago (in latino: Societas Draconistrarum), l’8 febbraio 1431. L’Ordine del Drago era un ordine cavalleresco molto esclusivo, riservato solo ai monarchi o agli eredi al trono, che aveva un drago come simbolo, creato nel 1387 dal re d’Ungheria Sigismondo di Lussemburgo (successivamente diventato Imperatore del Sacro Romano Impero) con il fine di proteggere gli interessi del Cattolicesimo e lottare contro i Turchi. Il suo emblema era un drago ad ali spiegate, appeso su una croce. Il mantello dell’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo, membro dell’Ordine del Drago, era legato al fronte con un collare d’oro e un medaglione a forma di un drago. Vlad III Dracula nacque in Transilvania nel 1431, a Sighisoara come secondogenito del Principe di Valacchia Vlad II Dracul. A quel tempo il padre di Dracula viveva in esilio in Transilvania. La casa dove è nato Dracula è ancora in piedi, è situata in una zona prospera, circondata dalle case dei Sassoni di Transilvania, quelle dei mercanti Magiari e dalle case della nobiltà. Poco si sa sui primi anni della vita di Dracula. E’ noto che egli aveva un fratello maggiore, Mircea, e un fratello minore di nome Radu. Della sua primissima educazione se ne occupò sua madre, una nobildonna della Transilvania. La sua vera educazione iniziò nel 1436 in Valacchia, dopo che suo padre riuscì conquistare il trono uccidendo il suo rivale Danesti. La sua formazione era tipica di quei tempi per i figli della nobiltà di tutta Europa. Il suo primo precettore fu un anziano Boiardo che aveva combattuto sotto la bandiera di Enguerrand de Courcy nella battaglia di Nicolopolis contro i Turchi. Dracula imparò tutte le abilità di guerra e di pace che erano ritenute necessarie per un cavaliere cristiano. Studiò anche il latino, il rumeno, il tedesco, la geografia, la matematica, le scienze, l’arte classica e la filosofia. Nel 1436 Vlad II Dracul uccise il Principe Alexandru I Aldea e salì al trono della Valacchia. Al momento di diventare Principe di Valacchia, Vlad II Dracul utilizzò l’immagine del drago, non solo sul suo sigillo personale, ma anche sulle monete coniate durante il suo regno. Questo è il motivo per cui i suoi contemporanei lo chiamavano Vlad Dracul ovvero Vlad il Dragone, mentre il resto della sua famiglia, così come i suoi antenati erano chiamati Draculesti. La situazione politica in Valacchia era instabile, il potere dei turchi era in rapida crescita e, uno ad uno, i piccoli Stati dei Balcani si arrendevano al dominio Ottomano. Allo stesso tempo il potere dell’Ungheria stava raggiungendo il suo apice e avrebbe raggiunto il picco durante il periodo di János (Giovanni) Hunyadi, il Cavaliere Bianco d’Ungheria e di suo figlio, il Re Matthias Corvinus. La politica di un Principe di Valacchia era sempre in un equilibrio precario tra queste due potenti vicini. Il Principe di Valacchia era ufficialmente vassallo del re d’Ungheria. Inoltre, Vlad II Dracul, era membro dell’Ordine del Drago ed aveva giurato di combattere gli infedeli. Allo stesso tempo il potere degli Ottomani sembrava inarrestabile. Anche al tempo del padre di Vlad, Mircea il Vecchio, la Valacchia era stata costretta a pagare il tributo al Sultano. Vlad fu costretto a rinnovare il tributo e, dal 1436 al 1442, ha tentato di trovare una via di mezzo tra i suoi potenti vicini. Nel 1442 Vlad II Dracul tentò di rimanere neutrale quando i turchi invasero la Transilvania. I turchi furono sconfitti e Vlad II Dracul venne accusato dal Re d’Ungheria Ulaszlo I di non aver saputo contenere l’attacco dei Turchi. Vlad venne deposto e costretto a fuggire dalla Valacchia insieme alla sua famiglia, mentre Ulaszlo I pose un Danesti, Basarab II, sul trono di Valacchia. L’anno successivo Vlad II riconquistò il trono della Valacchia con con il sostegno del Sultano Maometto II, con la condizione di firmare un nuovo trattato con il Sultano che comprendeva non solo il pagamento del solito tributo annuale, ma la promessa di inviare annualmente un contingente di 500 ragazzi valacchi perché si arruolassero nei giannizzeri Ottomani. Nel 1444, per garantire ulteriormente al Sultano la sua buona fede, Vlad II inviò alla corte ottomana di Adrianopoli come ostaggi i suoi due figli più giovani, Vlad (che diventerà Vlad III l'impalatore) e Radu. Vlad rimase come ostaggio ad Adrianopoli fino al 1448. In Turchia Vlad studiò logica, il Corano e la lingua turca, che avrebbe parlato fluentemente negli anni a venire; imparò inoltre a combattere e ad andare a cavallo.Vlad, era testardo e rude, e spesso veniva frustato o rinchiuso nelle prigioni sotterranee, mentre suo fratello minore Radu riuscì a guadagnarsi l’amicizia di Bayezid, figlio del Sultano. Questi anni ebbero una grande influenza sul carattere di Vlad e lo portarono ad odiare sia Radu che Bayezid. Fu in in Turchia, che Vlad assistette per la prima volta alla pratica dell’impalamento. Nel 1444 il re d’Ungheria, Ladislao il Postumo, ruppe la pace con gli ottomani e lanciò la crociata di Varna, sotto il comando di János Hunyadi, nel tentativo di spingere i turchi fuori dall’Europa. János Hunyadi chiese a Vlad II Dracul di mantenere il suo giuramento come membro dell’Ordine del Drago e vassallo di Ungheria e di unirsi alla crociata contro i Turchi. Il Papa dispensò Dracul dal suo giuramento verso i Turchi, ma il politico furbo ancora tentò di seguire una via di mezzo. Per cercare di ridurre i rischi per i propri figli tenuti in ostaggio, Vlad II Dracul fece partecipare alla crociata solo il suo figlio maggiore, Mircea, sperando forse che il sultano avrebbe risparmiato i suoi figli più giovani, se egli stesso non avesse aderito alla crociata. La crociata fu un fallimento e l’esercito cristiano fu completamente distrutto nella battaglia di Varna il 10 Novembre 1444. János Hunyadi riuscì a fuggire dalla battaglia in condizioni che aggiungono poca gloria alla reputazione del cavaliere bianco. Molti, a quanto pare anche Mircea e suo padre, accusarono János Hunyadi per la fuga. Da questo momento in poi János Hunyadi fu aspramente ostile verso Vlad II Dracul e suo figlio maggiore Mircea. Nel dicembre del 1447 i Boiardi valacchi, per ingraziarsi János Hunyadi, nel frattempo divenuto Reggente del Regno d’Ungheria, tradirono sia Vlad II Dracul che il suo primogenito ed erede al trono Mircea, consegnandoli agli uomini di János. Nel 1447 Vlad II Dracul, venne assassinato insieme a suo figlio Mircea. Vlad Dracul venne decapitato mentre suo figlio Mircea venne sepolto vivo dai Boiardi di Tirgoviste (capitale della Valacchia). Sconfitto Vlad II Dracul, Hunyadi pose un suo candidato, Basarab II, membro del clan Danesti, sul trono di Valacchia. Nel 1448, dopo aver ricevuto la notizia della morte di Vlad II Dracul e di suo figlio Mircea, i Turchi rilasciarono Dracula, ritenendolo il legittimo erede al trono di Valacchia, e gli fornirono un esercito con il quale riuscì a riconquistare il trono di Valacchia con il nome di Vlad III Dracula. In questa occasione governò per soli due mesi (ottobre e novembre), dopo di chè János Hunyadi costrinse Dracula a cedere il trono e fuggire da suo cugino, il principe di Moldavia Bogdan II, mentre János Hunyadi, ancora una volta rimise Basarab II (il pretendente del clan Danesti) sul trono della Valacchia. Dracula fu costretto all’esilio per molti anni, prima di tornare in Valacchia per uccidere il Principe Basarab II e reclamare il trono di Valacchia. Vlad fuggì in Moldavia, dove visse sotto la protezione dello zio, Bogdan II. Nel mese di ottobre 1451, Bogdan fu assassinato. Le turbolenze derivanti in Moldavia costrinsero Dracula a fuggire in Transilvania e cercare la protezione del nemico della sua famiglia, János Hunyadi. Colpito dalla vasta conoscenza di Vlad della mentalità e meccanismi interni dell’impero ottomano, come pure dal suo odio per il figlio del sultano, János Hunyadi si riconciliò con il suo rivale e lo fece suo consigliere. Intanto il fantoccio di János Hunaydi sul trono di Valacchia, Basarab II, aveva istituito una politica favorevole ai Turchi, mentre János Hunyadi aveva bisogno in Valacchia di un uomo più affidabile. Di conseguenza, János Hunyadi accettò l’alleanza con il suo nemico (Vlad III Dracula) ritenendolo l’adeguato candidato ungherese al trono della Valacchia. Dracula divenne vassallo di János Hunyadi e ricevette in cambio i ducati transilvani di Faragas e Almas, già appartenuti a suo padre. Dracula rimase in Transilvania, sotto la protezione di János Hunyadi, fino al 1456, quando ebbe l’occasione di riprendere la Valacchia da Basarab II. Nel 1453 il mondo cristiano era stato sconvolto dalla caduta finale di Costantinopoli. Gli Ottomani, sotto il Sultano Maometto II avevano preso Costantinopoli dopo un prolungato assedio, mettendo fine alla presenza cristiana nel Mediterraneo orientale. L’Impero Romano d’Oriente, che esisteva fin dai tempi di Costantino il Grande e che per mille anni aveva protetto il resto della cristianità dall’Islam, non c’era più. Nel 1456, tre anni dopo la conquistata di Costantinopoli, gli ottomani minacciarono l’Ungheria con l’assedio di Belgrado. János Hunyadi decise subito un’altra campagna contro i Turchi ed invase la Rumelia ottomana ma, colpito dalla peste diffusasi nel suo accampamento, morì. Nel frattempo Vlad Dracula, che era riuscito ad assicurarsi il supporto del Re d’Ungheria Ladislao il Postumo, invase la Valacchia, riuscì ad uccidere Basarab II, che intanto si era allalleato con gli Ottomani e riprendere il trono della Valacchia; purtroppo la morte di János Hunaydi rendeva la sua permanenza quanto meno precaria. Per una volta almeno, Dracula si sentiva costretto a tentare di placare i turchi, mentre consolidava la sua posizione. Il secondo periodo di regno di Dracula si estese dal 1456 al 1462. La capitale della Valacchia era la città di Tirgoviste mentre il castello di Dracula venne costruito ad una certa distanza tra le montagne vicino al fiume Arges. Vlad trovò la Valacchia in uno stato miserabile: la guerra continua aveva provocato il dilagare della criminalità, la produzione agricola era ridotta ed il commercio era scomparso. Occorreva ristabilire l’ordine, la prosperità ed una economia stabile, indispensabile per resistere ai nemici esterni. Quando arrivò al potere, Vlad III Dracula sapeva che la causa principale delle condizioni miserabili della Valacchia era dovuta all’oziosità dei Boiardi e sapeva anche che questi avevano congiurato per ottenere la morte di suo padre e di suo fratello maggiore. La maggior parte delle più raccapriccianti atrocità associate con il nome di Dracula si svolsero in questi anni. A Vlad occorse quasi un decennio per vendicarsi dei Boiardi; completò l’operazione una Domenica di Pasqua intorno al 1457, quando i Boiardi più anziani e le loro famiglie furono impalati. Da quel momento venne chiamato da tutti “Vlad l’Impalatore”. Vlad intendeva stabilire il suo potere su una base moderna e assolutamente sicura. Diede degli incarichi, all'interno del suo consiglio, tradizionalmente di competenza dei boiardi più anziani, a persone di origini oscure, che sarebbero state fedeli a solo lui. Per gli incarichi minori, Vlad l’Impalatore sostituì i boiardi con cavalieri, contadini liberi ed alcuni stranieri. Dal momento che i Boiardi della Valacchia erano legati ai Sassoni di Transilvania, nel 1459 Vlad agì anche contro di loro, eliminando i loro privilegi commerciali, razziando e incendiando le città di Sibiu, Brasov e Kronstadt ed impalando i loro abitanti sulle colline circostanti. La lotta contro i Sassoni era motivata sia dalla necessità di proteggere il commercio della Valacchia e per il loro supporto ad altri pretendenti al trono della Valacchia. Dracula doveva stare costantemente in guardia contro i seguaci del clan Danesti. Diversi membri di questo clan morirono per mano di Dracula, come Vladislav II, ucciso poco dopo che Dracula era salito al potere nel 1456. E’ molto probabile che le sue incursioni in Transilvania fossero volte a catturare altri potenziali pretendenti al trono. Diversi membri della famiglia Danesti morirono per mano di Vlad l’Impalatore, tra cui un principe Dan III, sospettato di aver preso parte all’assassinio di suo fratello Mircea. Vlad l’Impalatore lo condannò a morte e lo costrinse a a scavarsi una fossa e leggere il suo necrologio in ginocchio, prima di gettarvisi dentro. Vlad l’Impalatore poi ordinò che migliaia di cittadini del principe, che avevano dato riparo al suo rivale, venissero impalati. Fu durante questo periodo che Dracula svolse le sue più famose prodezze militari contro i turchi. Nel 1459 la Valacchia controllava la sponda nord del Danubio mentre il sultano Maometto II voleva il controllo del fiume, visto che attraverso il fiume, dal Sacro Romano Impero, potevano essere lanciati gli attacchi navali contro il suo impero. Il 26 settembre 1459, Papa Pio II chiese una nuova crociata contro gli ottomani e il 14 gennaio 1460, al congresso di Mantova, il Papa proclamò ufficialmente una crociata della durata di tre anni. Tuttavia l’unico leader europeo che mostrò entusiasmo per la crociata fu Vlad l’Impalatore, che il Papa teneva in grande considerazione. Nello stesso anno Maometto II inviò da Vlad i suoi ambasciatori, perché ritardava a pagare il tributo di 10.000 ducati e 500 giovani ragazzi da mandare in Turchia. Vlad si rifiutò di pagare i tributi ai turchi e, per provocare il sultano fece inchiodare il copricapo alla testa degli ambasciatori che si erano rifiutati per motivi religiosi di scoprirsi in sua presenza, iniziando una crociata personale con il supporto del Re d’Ungheria Hunyadi Matyas Corvinus (Mattia Corvino, figlio di János Hunaydi). Nel frattempo, il Sultano ricevette un rapporto dalle sue spie che lo informava dell’alleanza di Vlad l’Impalatore con il Re d’Ungheria Hunyadi Matyas. Il sultano sapeva di non poter fermare l’alleanza, così tentò di rapire Vlad l’Impalatore con un pretesto. Egli inviò il bey di Nicopoli, Hamza Pasha, per mettere in scena un incontro diplomatico con Vlad l’Impalatore a Giurgiu, ma con l’ordine di fargli un’imboscata e, successivamente, portarlo a Costantinopoli: “non importa come: con trucchi, sotto giuramento, o qualsiasi altra specie di trappola”. Vlad l’Impalatore venne avvisato dell’agguato ed organizzò un altro agguato a suo vantaggio. Hamza Pasha portò con sé 1.000 cavalieri e quando attraversò il passaggio di Giurgiu, Vlad l’Impalatore lanciò un attacco a sorpresa. I valacchi circondarono i turchi e, con i loro fucilieri, spararono sulla spedizione fino a che quasi tutti vennero uccisi. I piani turchi erano stati sventati e quelli che erano stati catturati, vennero impalati; ad Hamza Pasha toccò il palo più alto, visto il suo alto rango. Nell’inverno tra il 1461 ed il 1462, Vlad sferrò un attacco a sorpresa a sud del Danubio, si mascherò come un turco, catturò una fortezza e la distrusse. Vennero uccisi oltre 24.000 turchi, impalati e impiccati a comporre una terrificante foresta di cadaveri. In una lettera a Hunyadi Matyas, datata 2 febbraio, scrisse: “Abbiamo ucciso uomini e donne, vecchi e giovani ... 23.884 turchi e bulgari senza contare quelli che abbiamo bruciato vivi nelle loro case o le cui teste non sono state conteggiate dai nostri soldati ...”. I cristiani vennero risparmiati e molti di loro furono trasferiti in Valacchia. Vlad aveva sposato una nobildonna della Transilvania, dalla quale ebbe almeno un figlio, Mihnea cel Rau, che più tardi sarebbe stato principe di Valacchia (1508-1510). La prima moglie di Vlad l’Impalatore morì durante l’assedio del Castello Poienari, che era stato circondato dall’esercito ottomano guidato da Radu, fratello di Vlad. Un arciere, dopo aver visto dietro una finestra l’ombra della moglie di Vlad l’Impalatore, tirò una freccia con un messaggio in cui avvisava Vlad l’Impalatore che l’esercito di Radu si stava avvicinando. L’arciere turco era una spia di Vlad l’Impalatore che si era convertito all’Islam per sfuggire alla schiavitù. Dopo aver letto il messaggio, la moglie di Vlad l’Impalatore, si gettò dalla torre in un affluente del fiume Arges che scorreva sotto il castello. Secondo la leggenda, si dice che lei: “avrebbe preferito che il suo corpo marcisse e fosse mangiato dai pesci dell’Arges, piuttosto che essere condotto in una prigione turca”. Oggi, l’affluente si chiama Raul Doamnei (il “fiume della Madonna”, in memoria della principessa suicida). Nell’aprile del 1462, il sultano Maometto II organizzò un esercito di circa 60.000 uomini e 30.000 irregolari, sferrò una controffensiva e, attraversando il Danubio, si diresse verso Targoviste. Maometto II venne salutato da una foresta di pali sui quali Vlad l’Impalatore aveva impalato l’esercito ottomano precedente. Vlad l’Impalatore non fu in grado di fermare gli ottomani che occuparono la capitale Târgoviste il 4 giugno 1462. Successivamente, fece ricorso alla guerriglia, con piccoli attacchi e imboscate. Il più famoso di questi attacchi avvenne durante la notte tra il 16 ed il 17 giugno, quando l’armata di Vlad l’Impalatore attaccò, provocando il panico nel campo principale turco, e dove lo stesso Vlad l’Impalatore tentò di assassinare Maometto, anche se il tentativo di assassinio fallì. L’attacco di Vlad l’Impalatore fu celebrato tra le città Sassoni della Transilvania, da Genova e da Venezia ed anche dal Papa. Un inviato da Venezia, dopo aver appreso la notizia presso la corte di Hunyadi Matyas, espresse grande gioia e disse che tutta la cristianità doveva celebrare la vittoriosa campagna di Vlad l’Impalatore. Anche i Genovesi, da Caffa, ringraziarono Vlad l’Impalatore, perchè la sua campagna li aveva salvati da un attacco di circa 300 navi che il sultano aveva pensato di spedire contro di loro. Molti turchi ora temevano Vlad l’Impalatore e lasciarono la parte europea del loro impero per trasferirsi in Anatolia. Non essendo in grado di sottomettere Vlad l’Impalatore e demoralizzati alla vista dei loro compagni impalati, gli Ottomani abbandonarono la Valacchia e lasciarono il fratello di Vlad l’Impalatore, Radu, come responsabile della guerra a Vlad. Durante il 1462, Radu costrinse Dracula a fuggire in Transilvania per cercare l’aiuto del re d’Ungheria Matthias Corvinus e si conquistò la fiducia della nobiltà (i boiardi) che era stata allontanata da Vlad. Nel mese di agosto dello stesso anno concluse poi un accordo con Hunyadi Matyas Corvinus che, in una torre nei pressi di Buda , imprigionò Vlad l’Impalatore e lasciò a Radu il trono della Valacchia. La durata esatta della prigionia di Vlad l’Impalatore è dubbia, anche se si presume che sia durata dal 1462 fino al 1474. Per la maggior parte del periodo di carcerazione di Dracula, suo fratello Radu il Bello governò la Valacchia come vassallo del sultano ottomano. Quando Radu morì (ca. 1474-1475), il Sultano nominò come Principe di Valacchia Basarab il Vecchio, un membro del clan Danesti. Durante la sua prigionia, Dracula rinunciò alla fede ortodossa e adottò quella cattolica. La politica apertamente a favore degli Ottomani del nuovo voivoda di Transilvania, Radu e del suo successore Basarab il Vecchio, fu un fattore importantissimo nella riabilitazione di Dracula. Anche se i racconti russi indicano che Vlad sia stato imprigionato dal 1462 fino al 1474, pare che il periodo di effettiva prigionia di Dracula sia stato di circa quattro anni, dal 1462 fino al 1466. Vlad venne liberato, ma restò a Buda sino al 1474 e riuscì a tornare, poco a poco, nelle grazie del sovrano ungherese, tanto che sposò Ilona Szilágyi, una cugina del Re e negli anni precedenti al suo rilascio, visse con lei in una casa nella capitale ungherese. Intorno al 1465, Ilona gli diede due figli: il maggiore, Vlad IV Dracula, che trascorse la maggior parte del suo tempo al seguito del Re Matthias Corvinus, mentre il più giovane, il cui nome è sconosciuto, fu vescovo di Oradea in Transilvania fino al 1482, quando si ammalò, per poi ritornare a Buda, dove morì. Negli anni trascorsi tra la sua liberazione ed il 1474, quando iniziò i preparativi per la riconquista della Valacchia, Dracula risiedeva con la sua nuova moglie in una casa nella capitale ungherese. Un aneddoto di quel periodo racconta di come un capitano ungherese inseguì un ladro sin dentro la casa di Dracula. Dracula, quando scoprì gli intrusi, uccise l’ufficiale ungherese, piuttosto che il ladro. Interrogato sul suo operato dal Re, Dracula rispose che: “un gentiluomo non entra alla presenza di un grande sovrano senza essere annunciato”, il capitano non aveva seguito il corretto protocollo e quindi dovette subire l’ira del Principe. Nel 1474, grazie anche all’influenza di suo cugino voivoda di Moldavia, Stefano il Grande, Vlad l’Impalatore venne riabilitato e rilasciato. Dopo il suo rilascio, Vlad l’Impalatore iniziò i preparativi per la riconquista della Valacchia e nel 1476, con il sostegno ungherese, invase il paese. La sua piccola forza consisteva in pochi valacchi fedeli, un contingente di moldavi inviato dal cugino Stefano il Grande di Moldavia, un contingente di Transilvani sotto il loro voivoda Stefano Bathory e pochi boiardi valacchi insoddisfatti. Il fratello di Dracula, Radu, era morto un paio di anni prima ed era stato sostituito sul trono della Valacchia da un altro candidato turco, Basarab il Vecchio (o Laiotă), un membro del clan Danesti. All’avvicinarsi dell’esercito di Dracula, Basarab il Vecchio e la sua corte fuggirono, alcuni verso la protezione dei Turchi, altri al riparo delle montagne. Nel novembre del 1476 Dracula aveva riconquistato il trono della Valacchia.
Da https://en.m.wikipedia.org/wiki/Stephen_V_B%C3%A1thory: Ştefan V Báthory di Ecsed (in ungherese Báthory István, in rumeno Ştefan Báthory, 1430-1493) è stato un comandante ungherese , 'dapiferorum regalium magister' (dal 1458-?), Giudice reale (1471-1493) e voivode della Transilvania (1479-1493). Salì al potere sotto il re Mattia Corvino d'Ungheria e dopo la morte del re si schierò con Vladislav Jagiellon di Boemia e più tardi, insieme a Pál Kinizsi, sconfisse il principe Giovanni Corvino nella battaglia di Csonthegy (nel 1493). A causa della sua crudeltà in Transilvania, specialmente contro i Székelys (secleri o siculi di probabile origine turcica), fu deposto dal re nel 1493 e morì poco dopo. La famiglia Báthory era una potente e influente famiglia nobile ungherese dal XIV al XVII secolo. I due rami della famiglia produssero molti voivodi, principi transilvani e un re, (Stefan Batory della Polonia). Stephen Báthory apparteneva alla potente famiglia di Gutkeled, del ramo di Ecsed. Il nome Báthory e lo stemma di famiglia erano stati concessi nel 1325. Nel 1476, il re ungherese Mattia Corvino decise di sostenere Vlad III Dracula nel reclamare il suo trono valacco da Basarab Laiotă (o il vecchio). Quindi nominò Stephen Báthory supremo comandante di un esercito di 8.000 fanti e 13.000 cavalieri, ma poiché Báthory era piuttosto inesperto in comando militare, la vera guida era condivisa da Dracula e dal despota serbo Vuk Brancovic. In precedenza, Dracula e Báthory avevano condotto una guerra in Bosnia, dove Báthory era stato inviato da Corvinus per liberare un certo re bosniaco il cui nome era Matthias. La nuova campagna avrebbe coinvolto anche truppe ungheresi, moldave e valacche, con l'assistenza di un piccolo contingente serbo. Dracula scrisse a suo cugino, principe Stefano III di Moldavia, di aspettarlo in modo che i due potessero unire i loro eserciti, ma l'unione fallì a causa di sommovimenti delle truppe ungheresi e fu una sconfitta per Stefano nella battaglia di Valea Albă del 26 luglio 1476. Finalmente il 18 agosto i due eserciti si unirono e Stefano riuscì a sbarazzarsi dei turchi in Moldavia. Dopo una consultazione che ebbe luogo nella città di Braşov , Dracula, Báthory e Brancovic invasero la Valachia dal sud della Transilvania con un esercito di 35.000, mentre Stefano di Moldavia li aiutava attaccando la Valacchia orientale con 15.000 uomini. L'offensiva di Dracula iniziò ai primi di novembre del 1476 e sconfisse i 18.000 degli eserciti di Basarab Laiotă a Rucăr, al confine tra Valacchia e Transilvania. Gli eserciti ebbero perdite per circa 10.000 uomini. L'8 novembre Dracula occupò la capitale valacca Târgovişte, dove incontrò Stephen V Báthory. I due si giurarono fedeltà eterna l'uno all'altro e si impegnarono anche a perseguire una grande crociata contro i turchi. L'11 novembre, Stephen Báthory riferì ai funzionari della città di Sibiu che la maggior parte della Valacchia era nelle mani di Dracula e aggiunse che "tutti i boiardi a parte due sono con noi" e "anche questi ultimi si uniranno presto a noi". Il 16 novembre Bucarest fu espugnata dall'esercito di Stephen Báthory e il 26 novembre Dracula fu ristabilito come voivoda di Valacchia per la terza volta. Dopo l'abbandono della Valacchia da parte di Stefano il Grande di Moldavia e Stephen Báthory, Basarab Laiotă sarebbe tornato in Valacchia con un esercito per reclamare il suo trono. A dicembre, Basarab Laiota e Dracula si scontrarono in battaglia e Vlad III Dracula, disponendo solo di un piccolo esercito, fu ucciso in battaglia.
Da http://www.germanici.altervista.org/sassoni/23.html: Dopo il ritorno di Dracula sul trono nel novembre del 1476, Stephen Bathory se ne tornò in Transilvania portando con sé la maggior parte del suo esercito, lasciando così indebolita la potenza militare di Dracula, che ebbe poco tempo e risorse fronteggiare il grande esercito turco che entrava in Valacchia determinato a far tornare Basarab il Vecchio sul trono valacco. La crudeltà di Dracula nel corso degli anni avevano convinto i boiardi che avrebbero avuto una maggiore probabilità di sopravvivere sotto il voivoda Basarab. A quanto pare, anche i contadini, stanchi dell’Impalatore, lo abbandonarono al suo destino. Dracula fu costretto a marciare per incontrare i turchi con le piccole forze a sua disposizione, un po’ meno di quattro mila uomini. Dracula fu ucciso in circostanze misteriose durante una battaglia contro i turchi nei pressi della città di Bucarest, nel dicembre del 1476. Alcuni rapporti dicono che sia stato assassinato dagli sleali boiardi valacchi proprio mentre stava per spazzare via i turchi dal campo. Altri raccontano che Dracula cadde in battaglia, circondato dai corpi delle sue fedeli guardie del corpo moldave (le truppe del principe Stefano il Grande di Moldavia rimaste con Dracula, dopo che Stephen Bathory era tornato in Transilvania. Ancora altri rapporti sostengono che Dracula, al momento della vittoria, fu accidentalmente colpito da uno dei suoi uomini. Il corpo di Dracula venne decapitato dai turchi e la testa fu inviata a Costantinopoli, dove venne mostrata al sultano sulla punta di un palo, come prova che l’impalatore era finalmente morto. Non si sa con esattezza dove siano conservati i suoi resti. Una ipotesi è che il corpo di Vlad l’Impalatore possa essere situato presso il Monastero Comana. Un’altra ipotesi è che Vlad l’Impalatore sia sepolto di fronte all’altare del Monastero di Snagov, su di un’isola vicino Bucarest dove, nel 1935, venne esumato un corpo riccamente vestito, ma decapitato.

Nel 1.450 - Il sultano ottomano Murad II avanza in Albania ed assedia invano la roccaforte di Krujë, sia per farla piattaforma del piano di occupazione dell'Italia, sia per piegarne il leader della resistenza nazionale Gjergj Kastrioti Skënderbeu, che aveva rapito da bambino, che aveva amato, che aveva allevato nella sua Corte e del quale aveva vissuto come un tradimento la recuperata identità nazionale. Consapevole dell'incombente pericolo per il suo regno, l'imperatore romano-orientale (bizantino) Costantino XI si appella alle altre potenze cristiane per un aiuto e il Papa pretenderà, come contropartita, la riunificazione della Chiesa d'Oriente a quella d'Occidente, ottenendola il 12 dicembre del 1450, contro il parere della popolazione bizantina.

I regni nella penisola iberica nel 1450,
da: http://www.lacooltura.com/wp-
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- Alla metà del XV secolo, la penisola iberica era divisa fra il sultanato di Granada in Andalusia e vari regni cristiani, Portogallo, Castiglia e Leon, Navarra e Aragona, che avevano fatto della Reconquista e della cacciata dei mori la loro ragione di vita. Nel corso del medioevo la spinta verso il sud islamico era diventata una vera e propria migrazione armata verso la costa meridionale, guidata dalle armate dei regni di Portogallo, Castiglia e Aragona. Il Portogallo e l’Aragona terminarono la reconquista di propria competenza raggiungendo rispettivamente la costa atlantica il Portogallo e quella del mediterraneo l’Aragona. Poi, mentre il Portogallo volgeva le proprie energie all’esplorazione delle coste africane, l’Aragona iniziava a creare un impero mercantile sulle coste del mediterraneo occidentale. In Catalogna, la parte più ricca del regno aragonese, i mercanti di Barcellona divennero talmente potenti da riuscire a imporre al sovrano una sorta di sistema costituzionale che imponeva alla monarchia di coinvolgere le assemblee catalane nella formazione delle leggi. Questo sistema fece la fortuna del regno d’Aragona e della regione Catalana, unendo libertà e prosperità. In maniera totalmente differente si era evoluta la Castiglia, dove il continuo sforzo militare contro gli arabi di Spagna aveva forgiato una società incentrata su un’economia di pastorizia e su una potente aristocrazia guerriera (poco incline al commercio e all’esaltazione del lavoro manuale), scarsamente disponibile a obbedire al sovrano. I tre regni alternavano alla gestione dei propri affari fuori dall’Hiberia a innumerevoli conflitti fra loro e nonostante che dal 1412 il regno di Castiglia e quello d’Aragona condividessero la medesima dinastia regnante, quella dei Trastamara, non sembrava probabile che la penisola riuscisse a riunirsi sotto un unico sovrano, né che i popoli ispanici mettessero da parte le rispettive antipatie. Con la prosperità giunse anche l’ambizione e i Re d’Aragona iniziarono a espandersi in Italia, prendendo possesso via via della Sicilia, della Sardegna e del Regno di Napoli. Questo, unitamente alla lunga decadenza economica che colpì l’area di Barcellona in seguito alla peste nera, diversificò sempre di più le esigenze del ceto mercantile, bisognoso di sostegno e di pace, da quelle del re d’Aragona, sempre più bisognoso di denaro e di incassare tasse per la propria politica militare ed espansionistica in Italia.

Nel 1.451 - Il 3 febbraio si spegne a Edirne (Adrianopoli, capitale ottomana dell’epoca) Murad II, senza essersi rivalso sul rivale albanese Gjergj Kastrioti Skënderbeu e suo figlio Mehmet diventa il nuovo sultano come Mehmet II. Mehmet II il Conquistatore, Fatih Sultan Mehmet, Bujuk, ovvero il Grande, figlio di Murad II e della cristiana Mara, nato ad Adrianopoli il 29 marzo del 1432 e morto a Scutari il 3 maggio del 1481 è stato il settimo Sultano dell'Impero ottomano e fu chiamato anche Humkar: l'assetato di sangue. Per garantirsi la sicurezza ed il controllo del Regno e prevenire eventuali pretese successorie, così come facevano gli imperatori romano-orientali (bizantini), appena insediato elimina tutti i fratelli e fratellastri, a partire dal neonato Ahmed. Poi avvia i suoi travolgenti successi militari sfondando le resistenze del beilicato turco di Karaman (sorto nel 1250 nel centro-sud della penisola anatolica) e impadronendosi di fortezze in Tracia, mentre programma l'assalto all'Impero d'Oriente.

Stretti di Bosforo (con Costantinopoli) e Dardanelli, da:
Dal 1.452 - Fino ad allora, negli attacchi a Costantinopoli che avevano compiuto, gli ottomani erano stati capaci di impedire eventuali aiuti europei per via terrestre, attraverso i Balcani, mentre attraverso le vie marittime, gli Occidentali si erano sempre trovati in posizione di preminenza. Mehmet II predisporrà così la costruzione di una fortificazione sulla riva europea del Bosforo (la Rumeli Hisari), nel punto in cui il canale presenta una larghezza di 700 metri, di fronte ad un piccolo forte costruito dal suo antenato Beyazid I nel 1396, che dominava il Bosforo, attraverso il quale potevano arrivare rinforzi dai vicini possedimenti genovesi e veneziani nel Mar Nero, mentre lasciava per contro i Dardanelli aperti sul Mediterraneo (i forti di questo lato saranno costruiti solamente dopo il 1460). Il Sultano infatti prevedeva una lentezza nei preparativi di un'intervento dal mediterraneo di Genova e Venezia, tenendo conto dei problemi tecnici insiti nell'impresa: una flotta non diventa operativa prima di qualche settimana, vista la pesantezza dei meccanismi di decisione di quegli stati repubblicani ed i loro mutui dissensi, tutti fattori che rendevano credibile un ritardo nell’intervento occidentale, quando l’unica strategia vincente sarebbe stata invece quella di un'azione potente e rapida. Il controllo degli stretti comunque, non dipendeva tanto dai forti, ma dalla portata dei cannoni che vi si piazzavano e il sultano predisponeva quindi anche un piano in tal senso. Quindi, dopo aver rinnovato il trattato di pace con Venezia, il Sultano dà inizio, il 26 marzo 1452, alla costruzione della fortezza sul Bosforo, terminata nell’agosto seguente, mentre  occorrerà tutto l’inverno seguente per preparare le bombarde, i più grandi cannoni allora esistenti al mondo, in grado di abbattere sia le mura della città che le navi nemiche negli stretti. A tal fine viene ingaggiato il geniale costruttore di campane ungherese Maestro Urbano, sassone di Transilvania, per fabbricare ad Adrianopoli (Edirne, capitale ottomana dell’epoca), pezzi capaci di lanciare proiettili da 400 chilogrammi, anche se le notevoli dimensioni, i lunghi tempi di ricarica e i tempi di raffreddamento, per non rischiare cedimenti del metallo, ne limitavano l'uso, per cui potevano sparare sui 5 colpi al giorno ognuna. Nel vittorioso assedio di Costantinopoli di Mehmet II Fatih del 1453, furono l'impiegate 68 grandi bombarde (topa tutmak in turco), grazie alle grandi capacità di fonditore dell'ungherese di origine sassone Mastro Urban, che tuttavia sembra sia morto nell'esplosione di una bombarda di eccezionale grandezza (calibro 889 mm, lunga 8 metri e del peso di 48 tonnellate).

Carta della Francia nel 1477.
Nel 1.453 - Si conclude la guerra dei Cen­t'anni (1337-1453): gli inglesi perdono ogni dominio in Francia. La straordinaria importanza della guerra dei cent'anni, per quanto attiene la storia dell'Europa nel suo complesso, è evidenziata dal fatto che la sua fine (1453, anno che vede anche la caduta di Costantinopoli) è una delle date convenzionalmente poste dalla storiografia moderna a conclusione del Medioevo europeo.
Comunque, la guerra dei Cent’anni  non è stata soltanto una guerra tra la Francia  e  l’Inghilterra, ma anche una lunga lotta di resistenza degli Occitani occidentali contro l’annessionismo Francese. E’ un esercito Guascone, e non Inglese, quello che, dopo tante vittorie, viene distrutto dai Francesi a Castillon, nel 1.453.

L'antica Costantinopoli.
Nel 1.453 - Il figlio di Murād II, Mehmet II, detto poi Fātiḥ (conquistatore), dopo aver riorganizzato lo Stato e l'esercito ottomani, dimostra la sua abilità bellica   conquistando, a 21 anni, Costantinopoli, il 29 maggio 1453, decretando il crollo definitivo dell'Impero romano d'Oriente  (impero bizantino). La conquista ottomana di Costantinopoli del 1453 si sostituiva all'impero Bizantino rinforzando la posizione del vecchio Impero, ritornato ora grande come prima, come principale potenza dell'Europa sudorientale e del Mediterraneo orientale. Mehmet II, (Maometto II) permise alla Chiesa ortodossa di mantenere la sua autonomia e le sue terre in cambio dell'accettazione dell'autorità ottomana. A causa delle cattive relazioni esistenti tra l'Impero bizantino degli ultimi periodi e gli Stati dell'Europa occidentale, la maggioranza della popolazione ortodossa accettò il dominio ottomano, preferendolo a quello veneziano. Costantinopoli, la Seconda Roma divenne capitale del nuovo Impero col nome di Istambul, deformazione turca del greco Isten polis, "la città". La caduta di Costantinopoli, evento di portata epocale, spianò ai Turchi la via dei Balcani e segnerà l'inizio del declino delle Repubbliche Marinare. Dopo la epocale battaglia di Varna del 1444 e la caduta di Costantinopoli del 1453, l'Europa rinuncerà a misurarsi con la potenza ottomana fino al Rinascimento.

- Il 2 aprile 1.453 inizia l'assedio di Costantinopoli e il 5 aprile Mehmet II invia un ultimatum al Basileus Costantino XI: avrebbe risparmiato la vita a lui ed alla sua gente e non ci sarebbero stati saccheggi, se si fosse arreso, diversamente, si sarebbe combattuto fino alla fine dell'uno o dell'altro. Costantino XI replica con parole fiere e dignitose: “...darti la città non è decisione né mia né di alcuno dei suoi abitanti. Abbiamo infatti deciso di nostra spontanea volontà di combattere e non risparmieremo la vita...” Contestualmente Mehmet prova a corrompere, ma invano, Giovanni Giustiniani, per il quale nutriva sincera ammirazione. In seguito, informato della morte del coraggioso e leale combattente, ne volle la celebrazione dei funerali a Costantinopoli ove ne esaltò le doti affermando che, da solo, egli valeva più dell'intera Marina bizantina. Il 6 aprile Mehmet II attacca la città, sia da terra che dal mare, con un esercito di 800.000 uomini mentre i difensori erano circa 7.000 uomini. Nel porto della città erano all'ancora 26 navi da guerra bizantine mentre la flotta ottomana ne contava 200. Al disperato grido di aiuto della gloriosa Costantinopoli risposero solo una squadra di catalaninapoletani (tra i quali perse la vita, sotto le mura della città di Costantinopoli, il duca di Venosa Gabriele del Balzo Orsini), veneziani e 700 genovesi guidati dal nobile condottiero e capitano genovese Giovanni Giustiniani, accolti con esultanza ed applausi, giunti con una spedizione finanziata dallo stesso Giustiniani, amico personale dell'imperatore, provenienti in 400 dall'avamposto della Superba sull'isola di Chios e in 300 dal porto di Genova. Il Giustiniani (nonostante la giovane età era già stato governatore di molte città-colonie genovesi), che annoverava vari successi in battaglie nell'Egeo e nel mar Nero e da assedi in inferiorità numerica, fu posto da Costantino al comando delle forze della città. Mehmet II progettava di attaccare le mura di Teodosio, che proteggevano il lato della città non bagnato dall'acqua. Procedendo dall'esterno verso la città si trovava dapprima un fossato largo 18 metri e profondo 7, seguito da un parapetto. Poi, intervallato da un ampio terreno, si incontrava un muro, detto Muro Esterno. Era alto 7 metri e spesso circa 3, e vi si trovavano numerose torri. Ancora uno spazio, e si arrivava al Muro Interno, alto 12 metri e spesso un po' meno di 5 metri, munito di torri alte 16-18 metri. Il sultano disponeva delle bombarde, i più grandi cannoni esistenti al mondo a quel tempo, progettati per lui da Maestro Urban, un geniale costruttore di campane di origine ungherese, e con essi tentò di aprire una breccia nelle mura, ma non ci riuscì poiché le mura erano troppo spesse e inoltre le bombarde potevano sparare pochi proiettili al giorno (le notevoli dimensioni e i lunghi tempi di ricarica ne limitavano l'efficacia, inoltre necessitavano di tempo per raffreddarsi, per non rischiare cedimenti del metallo, per cui si potevano sparare sui 5 colpi al giorno) e quindi i Bizantini avevano il tempo di riparare i danni; a questo compito si dedicavano anche i cittadini estranei alle armi, come anziani, donne e bambini. Nel tentativo di aprirsi la strada nelle fortificazioni teodosiane, Mehmet II inviò anche una squadra di artificieri in un cunicolo scavato sotto le mura, per farle saltare con dell'esplosivo, ma il tentativo venne frustrato dall'accortezza delle sentinelle di Giustiniani, che si accorsero delle manovre e riuscirono a sventarle causando un crollo che isolò una parte dei sabotatori, i quali decisero poi di immolarsi per arrecare il massimo danno e si suicidarono dando fuoco alle polveri, causando però un'esplosione con esiguo danno ai bizantini ma un gran numero di vittime tra i sabotatori stessi. Anche i tentativi della flotta turca di entrare nel Corno d'Oro, l'insenatura in cui si trovava il porto della città, furono frustrati da una gigantesca catena lunga quasi 2 chilometri che ne chiudeva l'ingresso, tesa dal Giustiniani con un argano dalla torre genovese di Galata. Allora il sultano impose ai suoi uomini un'impresa colossale: per aggirare la catena, fu costruita una passerella di legno unta con grasso, lunga due chilometri, sopra la quale gli schiavi spinsero in salita a forza di braccia le navi per raggiungere le acque dall'altra parte seppur con gravi perdite nella pericolosa e ardua impresa. Gli assediati, al vedere l'impresa, furono colti dal panico: pare che un'antica profezia annunciasse che Costantinopoli sarebbe caduta solo "quando le navi avessero navigato sulla terra". Anche un'eclissi lunare che si verificò la notte del 22 maggio fu interpretata come un cattivo auspicio dai difensori della città, e successivamente un temporale fortissimo inondò la parte bassa di Costantinopoli. La coraggiosa resistenza del Giustiniani fu alimentata, la mattina del giorno seguente, dall'avvistamento di 3 navi genovesi con rinforzi e una nave bizantina con vettovaglie e grano, promesse e pagate a noleggio dal Papa, che con manovre tecniche marinaresche oltre ogni immaginazione erano riuscite a passare indenni nel mar di Marmara, nel mezzo della numerosa flotta turca, fino al quartier generale di Giustiniani a Pera (Galata), talvolta separandosi e talvolta affiancandosi a formare un fortezza marina, procedendo a remi o a vela e persino con correnti avverse, abbattendo tutte le navi affrontate e provocando oltre un migliaio di vittime a fronte di solo 23 marinai uccisi. La leggenda narra che Mehemet stesso vedendo la sua flotta in difficoltà sia entrato in mare col suo cavallo per affrontare i genovesi. Verso il tramonto i rinforzi furono accolti a Pera con grandissimi festeggiamenti rinfrancando tutti, latini e greci che ormai combattevano fianco a fianco sotto gli ordini del genovese. Dopo una riunione tra capitani greci veneziani e genovesi, scoppiarono comunque furibonde liti poiché appariva chiaro che senza una strategia i difensori sarebbero riusciti soltanto a prolungare di qualche giorno la difesa della città, che nonostante le numerose perdite ottomane, contava ancora un'inferiorità di circa 11 a 1. I genovesi pensarono un attacco navale proiettato da Pera ma non riuscirono a mettersi d'accordo. I veneziani allora presero l'iniziativa di tentare nottetempo una sortita per incendiare la flotta turca e carichi di materiale infiammabile si diressero verso le ammiraglie nemiche, ma furono scoperti e massacrati dalla potenza di fuoco turca, solo in pochi ripararono a nuoto salvandosi. A questo punto il sultano, sotto consiglio dei suoi comandanti, che supponevano che veneziani e genovesi avrebbero inviato a breve altre navi, forti del fatto che la spedizione noleggiata dal Papa era giunta sana e salva, progettò di assaltare e distruggere le mura direttamente con la forza di un attacco frontale finale con tutte le truppe, sapendo che i difensori bizantini si sarebbero stancati prima delle sue milizie - che erano state rimpolpate da ulteriori 60.000 uomini di rinforzo.
Philippe de Mazerolles: "L'assedio di Costantinopoli",
dalla Chronique de Charles VIII di Jean Chartier, 1470,
L'attacco finale sarebbe stato sferrato il 29 maggio, in quanto degli astrologi gli avevano predetto che quel giorno sarebbe stato fortunato per lui. La sera del 27 maggio, Maometto II fece la seguente orazione ai suoi uomini, spronandoli e promettendo loro una doppia paga: «La città e gli edifici sono miei, ma i prigionieri e il bottino, i tesori d'oro e di bellezza li lascio al vostro valore: siate ricchi e siate felici. Molte sono le province del mio impero. L'intrepido soldato che arriverà per primo sulle mura di Costantinopoli sarà ricompensato con il governo di quella più bella e più ricca, e la mia gratitudine accumulerà i suoi onori e i suoi beni oltre la misura delle sue stesse speranze.» (Mehmet II). Il discorso diede slancio e ulteriori motivazioni alle truppe turche. La notte del 28 maggio fu celebrata nella basilica di Santa Sofia l'ultima messa cristiana, a cui assistettero sia i greci che i latini. I Bizantini erano disperati e si abbandonarono alle lacrime. In quei giorni fecero sfilare in processione l'immagine della Vergine, sperando invano che li avrebbe salvati dalla capitolazione; l'immagine durante i cortei cadde alcune volte a terra e ciò fu considerato un ulteriore segnale nefasto. Le mura delle città erano ormai in cattivo stato per i continui cannoneggiamenti, e il basileus, per pagare le sue truppe, era costretto, dalla carenza di denaro, a spogliare le chiese della città. Giustiniani fece riparare le numerose falle e brecce delle mura cannoneggiate con cocci, legna e tutto ciò che si poteva trovare, facendo costruire alcune palizzate e pose i suoi a difesa della Porta d'oro, la più vulnerabile e la più colpita. Il giorno dopo i Turchi concentrarono gli attacchi proprio verso la Porta d'Oro, nel settore effettivamente più vulnerabile delle mura, il Mesoteichion, che fu presa d'assalto tre volte. Attorno all'una di notte fu inviata la prima schiera di Ottomani, composta dalla bassa fanteria. I difensori si difesero con accanimento e attorno alle quattro del mattino ricacciarono indietro le truppe nemiche arrecando loro ingenti perdite. Il sultano ordinò allora l'attacco dei reparti con maggiore abilità e muniti di equipaggiamento migliore, i quali riuscirono dopo aspri combattimenti ad aprire un varco nella linea di difesa bizantina, ma fu prontamente richiuso da Costantino, che accorse alla testa delle sue guardie scelte massacrando i nemici. Ormai però, i difensori erano logorati dalle molte ore di combattimenti ininterrotti e Maometto scagliò al mattino l'attacco finale, inviando le truppe d'élite in assoluto più temibili dell'Impero: i giannizzeri. Dopo aspri combattimenti, Giustiniani fu ferito prima da un colpo di cannone che fece esplodere una palizzata e poi gravemente da una colubrina dei primi turchi che, entrando nella breccia, irrompevano nella città. Le squadre genovesi lo raccolsero su una barella e si spostarono in città attraverso una porta del muro interno fatta aprire dall'imperatore che nel frattempo massacrava tutti i componenti della prima ondata turca. Alla vista di quel corteo attorno al capitano genovese morente, i sopravvissuti caddero nella disperazione, privi della guida del valoroso e carismatico difensore della Porta, mentre veneziani e genovesi indietreggiarono e fuggirono verso il porto pensando che la città fosse ormai persa. I genovesi si imbarcarono sulle loro navi caricando il loro condottiero ferito a morte e facendo rotta su Chio, dove il nobiluomo morì due giorni dopo per le conseguenze del colpo subito. La defezione genovese suscitò sgomento e disperazione. L'imperatore Costantino tentò di guidare un contrattacco, alla testa dei suoi uomini e degli spagnoli di don Francisco di Toledo, ma scomparve nella mischia e secondo la maggior parte delle fonti morì uccidendo valorosamente 800 turchi, secondo altre mentre tentava di scappare. Il cadavere con le insegne imperiali fu trovato decapitato ma il teschio non fu mai ritrovato, facendo supporre da alcuni che non fosse morto ma fosse riuscito a riparare altrove in incognito. La chiesa ortodossa lo considerò in seguito santo e martire. La popolazione fu decimata dai vincitori. Le principesse della famiglia imperiale riuscirono a fuggire a bordo di una nave e si rifugiarono in Occidente. In mattinata i bizantini furono definitivamente sconfitti e gli ottomani iniziarono con le razzie. Le mura di Costantinopoli erano piene di morti e di morenti, di quelli che avevano difeso le mura, non era rimasto quasi più nessuno vivo. I bizantini erano tornati nelle loro case, per difendere la famiglia dalle razzie. I veneziani erano andati al porto, e i genovesi si erano imbarcati presso l'ancora sicuro quartiere genovese di Galata. Il Corno d'oro era quasi deserto, i marinai turchi stavano pensando a razziare, il comandante Girolamo Minotto prese il rimanente della marina, e cioè otto navi veneziane, sette genovesi e sei bizantine, e portò i profughi in salvo. Le navi erano stracolme di bizantini. A mezzogiorno le strade di Costantinopoli erano ingombre di cadaveri, le case erano vuote, visto che gli ottomani stavano uccidendo e catturando donne e bambini, che le cronache cristiane diranno essere stati stuprati e poi impalati. Le medesime cronache affermano anche che le chiese furono distrutte, le icone tagliate, i libri bruciati. Il palazzo Imperiale bizantino, palazzo delle Blacherne era deserto e l'icona più venerata dai bizantini, la Vergine Odigitria ("condottiera"), fu tagliata in quattro pezzi. A Santa Sofia, chiesa madre di tutta la chiesa ortodossa, i preti stavano celebrando la messa mattutina quando sentirono gli Ottomani arrivare, allora sbarrarono la grande porta di bronzo, ma gli ottomani la ruppero a colpi d'ascia, i preti furono uccisi e sgozzati sull'altare. In chiesa vi era una grande massa di gente che, venuta a sapere che i Turchi stavano per arrivare si era raccolta in chiesa nell'attesa di un angelo che, secondo una tradizione, avrebbe cacciato i Turchi da Costantinopoli quando l'avrebbero espugnata. Una diceria popolana racconta che due preti presero i calici e le patere e si volatilizzarono, per riprendere la messa dal punto in cui l'avevano interrotta solo quando Costantinopoli fosse tornata in mano cristiana. I saccheggi durarono solamente un giorno, visto che Mehmet II si accorse che se avesse lasciato la città in mano dei suoi uomini per i tre giorni che aveva promesso, Costantinopoli sarebbe stata rasa al suolo. Quella sera stessa Santa Sofia divenne una moschea e i magnifici mosaici dorati che rappresentavano Cristo Pantocratore vennero coperti da uno strato d'intonaco. Quando Mehemet seppe della sopravvenuta morte del Giustiniani in patria, ne celebró i funerali a Costantinopoli, dove il genovese fu ricordato dal sultano come un uomo speciale dalle molte qualità arrivando ad affermare che lui da solo valeva più di tutti i bizantini messi insieme.

Durante l'assedio di Costantinopoli, Costantino XI aveva affidato a Lucas Notaras la zona della porta Basilica (o Imperiale), al comando di 100 cavalieri bizantini e alcuni latini. Secondo alcuni soldati, egli lasciò una porticina aperta sulle mura in modo che gli ottomani potessero entrare, essendo stato corrotto dal sultano Mehmed II. Infatti dopo poco tempo dall'inizio dell'assedio, la bandiera turca fu innalzata sulla torretta sopra la porta di Kerko, difesa dagli uomini del Notaras. Questa voce, tuttavia, non fu mai confermata e potrebbe essere anche una calunnia. Bisogna comunque sottolineare che durante l'ultima battaglia si verificò un alterco tra Giovanni Giustiniani Longo e Lucas Notaras, per il fatto che quest'ultimo non riusciva a procurare la promessa polvere da sparo per l'uso dei cannoni; Giovanni estrasse il coltello e lo puntò minacciosamente verso Lucas Notaras accusandolo di essere un traditore. Altro elemento sospetto è il fatto che Lucas Notaras comandava la parte delle mura che per prime furono sconfitte  dalla marina ottomana. Luca Notara, sua moglie Paleologina e i suoi figli furono catturati dagli ottomani e inizialmente fu loro concessa clemenza in nome del ristabilimento dell'ordine in città. Ciò nonostante, dopo poco fu giustiziato insieme ai suoi figli e il genero che faceva parte della famiglia dei Cantacuzeni (penultima famiglia imperiale bizantina). Il racconto più diffuso sulla morte di Lucas Notaras è quello dello storico Steven Runciman: «La clemenza che Mehmet II aveva concesso ai ministri (superstiti) dell'Imperatore Costantino XI Paleologo fu di corta durata. Cinque giorni dopo che Costantinopoli era caduta, il 3 giugno del 1453 Mehmet II diede un banchetto. Nel corso del banchetto, quando il livello del vino bevuto era molto, qualcuno bisbigliò a Mehmet che il figlio quattordicenne di Notara era un ragazzo di bellezza eccezionale. Il sultano immediatamente incaricò un eunuco di andare alla casa del Mega Dux per richiedere che suo figlio andasse da lui per il suo piacere. Notara, a cui i figli più anziani erano stati uccisi in combattimento, rifiutò di sacrificare suo figlio a un tal destino. La polizia ottomana allora andò a prendere Notara con suo figlio e il suo cognato, il figlio del grande domestico Andronico Cantacuzeno, e li portò alla presenza del sultano. Quando Notara sfidò ancora il sultano, la risposta di questi fu sanguinosa: ordinò che lui ed i due ragazzi fossero decapitati sul posto. Notara chiese solamente che i due ragazzi fossero uccisi prima di lui, per impedire che la vista della sua morte rischiasse di farli titubare. Quando entrambi furono uccisi, Notara offrì il collo al boia. Il giorno seguente altri nove notabili bizantini furono arrestati e giustiziati.» Steven Runciman, The Fall of Constantinople 1453, Cambridge University Press, 1969, pg. 151. C'è anche un'altra versione della morte di Luca Notara, scritta da un componente della famiglia dei Ducas. (Ducas, Historia turco-bizantina 1341-1462, a cura di Michele Puglia, il Cerchio, Rimini). La moglie morì schiava sulla strada per Adrianopoli, nella città di Messene. Due membri della sua famiglia figurano tra i passeggeri di una nave genovese che sfuggì alla caduta della città. La figlia Anna divenne con la zia il punto focale della comunità bizantina espatriata a Venezia. Una collezione di lettere del Lucas Notaras in latino è stata pubblicata in Grecia con il titolo Epistulae. I titoli delle lettere sono: "Ad Theodorum Carystenum", "Scholario", "Eidem", "Ad eundem & Sancto magistro Gennadio Scholario". Notara figura come personaggio nel libro Johannes Angelos dall'autore finlandese Mika Waltari.

- Giovanni Giustiniani Longo, Podestà di Caffa ed Ammiraglio della Repubblica di Genova, trovò precoce morte l'11 giugno del 1453 a Chio, per le gravi ferite riportate durante la difesa di Costantinopoli e del suo amico personale Costantino XI.
Antonio Rizzo, a capo di un vascello veneziano, era partito dal mar Nero per Venezia ma, sotto Costantinopoli, non fermandosi al posto di blocco ottomano, fu cannoneggiato dalle terribili bombarde di Urbano di Transilvania. Raggiunta la costa assieme ad alcuni superstiti, fu catturato ed impalato, mentre i suoi uomini venivano massacrati dai Giannizzeri ottomani. La vicenda sconvolse ed indignò l'Occidente cristiano e il vacillante Impero d'Oriente e, a seguito di essa, la Serenissima intervenne in favore dei Bizantini, pur mantenendo relazioni diplomatiche con i Turchi.

Il sultano Murads con
alcuni Giannizzeri, immagine
di G. Jansoone (own photo
of old document) Pubblico
dominio, da: https://comm
- I Giannizzeri (dal turco ottomano: Yeniçeri, "nuova milizia", detti anche Beuluk) costituivano la fanteria dell'esercito privato del sultano ottomano, il c.d. Kapıkulu. Orhan I, secondo sultano dell'Impero ottomano, fu il fondatore del corpo dei Giannizzeri, formato inizialmente con personale non musulmano, specialmente giovani cristiani e altri prigionieri di guerra (mamelucchi). È possibile che Orhan sia stato ispirato dal modello delle futuwwa (ordini cavallereschi o religiosi islamici) nell'organizzazione di questo corpo militare. I Giannizzeri formarono il primo esercito regolare ottomano, che andò a rimpiazzare le precedenti truppe tribali, su cui non era possibile fare totale affidamento. Va inoltre precisato che, per ragioni di orgoglio sociale, nessun uomo libero dell'Impero avrebbe accettato di combattere nella fanteria, essendo l'impiego del cavallo un simbolo della posizione aristocratica. Con l'aumentare del prestigio e dell'importanza dei Giannizzeri, molti di essi iniziarono a desiderare maggiori diritti e una vita migliore. Nel 1449 si ribellarono per la prima volta, chiedendo e ottenendo paghe più alte. Episodi simili si ebbero più volte anche nei secoli successivi, con l'effetto di aumentare considerevolmente il benessere e i privilegi di questo corpo militare. Giunsero in più occasioni a perturbare gravemente la vita dell'impero, riuscendo per tre volte anche a destituire gli stessi sultani (il segno dell'inizio della ribellione era il rovesciamento della grande marmitta in cui era cotto il rancio dei soldati,[4] qazan, simbolo della coesione del corpo): casi celebri sono quelli di Osmān II nel 1622, Ibrāhīm nel 1648 e Selim III nel 1808. Con l'accumularsi di poteri e ricchezze i Giannizzeri si trasformarono in una forza fortemente conservatrice all'interno della società ottomana, solo formalmente soggetta all'autorità del sultano, formando una casta chiusa corrotta e parassitaria sull'omologo della Guardia pretoriana o delle Scholae palatinae nel tardo Impero romano, o dei Samurai sul finire del periodo di governo dello Shogunato Tokugawa. Alcuni sultani e visir ottomani dell'epoca, nel tentativo di attuare la riforma dell'esercito, ancora drammaticamente legato al servizio servile a favore del sultano, cercarono di recuperare il controllo del territorio fondando corpi di fanteria alternativi costituiti da gruppi di coscritti presi dalle zone rurali e addestrati secondo il modello europeo (il Nizam-ı Jedid). Questi nuovi corpi di fanteria vennero puntualmente disarmati e sterminati ancora in fase di costituzione proprio dai Giannizzeri, gelosi delle proprie prerogative e timorosi di potenziali rivali. Ciò non impedì, tuttavia, l'ammodernamento della flotta e dell'artiglieria ottomana da parte del sultano, che i giannizzeri - a torto - non percepivano come una minaccia al proprio potere.



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