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venerdì 8 maggio 2020

Storia dell'Europa n.66: dal 1.776 al 1.800 e.v. (d.C.)

Adam Smith.
Nel 1.776 - Pubblicazione di "La ricchezza delle nazioni" dell'Inglese  Adam Smith. Il 9 marzo del 1.776 veniva pubblicata “La ricchezza delle nazioni”, bibbia dei moderni studi economici e testo fondamentale del pensiero liberale. Un suo studio attento aiuta a capire che lo Stato e le regole, per Smith, erano molto importanti. E lo erano, perfino, le norme a tutela degli operai. E' accezione comune individuare nella “Ricchezza delle Nazioni” la nascita dell’economia classica e quindi, in parte, del pensiero liberale. Infatti per molti autori neoclassici, il concetto della “mano invisibile” è stato il precursore per lo sviluppo della “teoria dell’equilibrio generale” introdotta da Léon Walras nel 1.874. Nato in concomitanza con la Prima rivoluzione industriale, Adam Smith (1.723-1.790), può essere considerato il filosofo che pose le basi per lo sviluppo della moderna teoria economica. Definire Adam Smith un puro economista può risultare erroneo per due motivi: da un lato, nei suoi libri non sono presenti formule; dall’altro di formazione Smith era filosofo morale. Docente di logica all’Università di Glasgow, nel 1.759 venne pubblicata la “Teoria dei Sentimenti morali” in cui è descritta la morale della simpatia. Secondo questa teoria, l’uomo è mosso nelle sue azioni dal desiderio di ottenere l'approvazione e quindi la simpatia dei sui simili, o meglio l’approvazione di quello “spettatore imparziale” che rappresenta, appunto, la collettività. Dopo un viaggio in Francia tra il 1.764 e il 1.766, dove andò in visita ai suoi amici Hume (sotto vi propongo un interessante scambio epistolare tra i due) e F. Quesnay, dopo quasi 17 anni dalla prima opera, pubblicò l’opera pilastro delle scienze economico-sociali: La Ricchezza delle Nazioni. Quest’opera si articola in cinque volumi nei quali viene analizzata l’economia nel suo complesso, grazie all’unione delle varie componenti del puzzle economico. La ricchezza di una nazione deriva da due fattori: il numero dei lavoratori produttivi sul totale della popolazione (individuati nella borghesia e distinti dai lavoratori improduttivi caratteristici del sistema feudale) e la produttività di ogni lavoratore. Nel primo volume “Delle cause del progresso nelle capacità produttive del lavoro, e dell’ordine secondo cui il prodotto viene naturalmente a distribuirsi tra i diversi ceti della popolazione” vengono indagate le cause sia del miglioramento e dello sviluppo economico (dovute alla divisione del lavoro) sia della distribuzione naturale del reddito. Per esprimere l’utilità marginale derivante dalla divisione del lavoro, raggiunta grazie alle prime forme di meccanizzazione del lavoro stesso, Smith studia la famosa fabbrica di spilli, notando come:  «Si può dunque considerare che ogni persona, facendo la decima parte di quarantottomila, fabbricasse quattromilaottocento spilli al giorno. Se invece avessero lavorato tutti in modo separato e indipendente e senza che alcuno di loro fosse stato previamente addestrato a questo compito particolare, non avrebbero certamente potuto fabbricare neanche venti spilli per ciascuno». Viene esaltata così la divisione del lavoro la quale segnerà, per sempre, la superiorità dell’industria manifatturiera sui sistemi agricoli che, un tempo (ora non più), non consentivano altrettanta divisione del lavoro. Fin dal primo volume, e proprio sulla questione della divisione del lavoro, emerge l’importanza dello Stato nell’economia, che può essere sottolineata ricorrendo alle parole di Noam Chomsky: “Tutti leggnoo solo il primo paragrafo delle ricchezza della nazioni dove viene esaltata l’importanza e la magnificenza della divisione del lavoro. Ma poche persone sono arrivate cento pagine più avanti, dove Smith precisa che la divisione del lavoro distruggerà l’anima umana rendendo le persone creature stupide ed ignoranti. Per questo in ogni società civilizzata lo Stato deve necessariamente prendere delle misure in modo tale da prevenire che la divisione del lavoro raggiunga i suoi limiti”. Ed è in questo primo libro che Smith attacca, fortemente, le “Caste”. Vengono ripetutamente criticati quei politici o individui che grazie alla loro influenza (politica ed economica) riescono a manipolare il funzionamento del governo per poterne trarre un proprio vantaggio a scapito dell’interesse della comunità. Viene precisato come l’interesse della comunità deve necessariamente essere garantito dallo Stato e come associazioni quali oligopoli, banchieri internazionali, trade unions possano ostacolare l’interesse comune. Queste “istituzioni” che operano in un mercato comune, secondo Smith, nei loro incontri pianificano delle cospirazione contro la collettività, e questo il più delle volte attraverso l’aumento del prezzo dei beni che producono. Quello che viene proposto contro queste lobby, sono delle dure leggi per riportare all’interno del mercato giustizia e libertà. È evidente l’utilità di questa riflessione per capire ciò che succede oggi giorno nel mercatoprovando a sottolineare l’importanza che aveva per Smith, sia il ruolo dello Stato sia quello della collettività, questioni che comunemente vengono escluse o dimenticate. Considerando la maestosità dell’opera verranno approfonditi solo pochi passaggi. Non so sei sia accurato individuare la nascita del capitalismo in concomitanza con la pubblicazione del secondo volum delle materie prime, in assoluto nel mercato del grano, regolato da grandi lobby o più esattamente oligopoli. È importante ricordare che nel caso della Compagnia inglese delle Indie orientali, cioè di una società privata che aveva conseguito un dominio monopolistico sul proprio mercato, Smith si dichiarò a favore del controllo pubblico. Nel secondo volume, “Della natura, dell’accumulazione e dell'impiego dei fondi”, viene illustrato il ruolo della moneta e la teoria dell’accumulazione del capitale che regola la proporzione dei lavoratori utili al sistema economico. In questo libro viene analizzato il ruolo della moneta o meglio della “nuova” cartamoneta che, nel 1.717, fu ufficialmente ancorata al valore dell’oro ad opera di Sir Isaac Newton. Ne viene esaltata la facilità di scambio e l’ampliamento degli scambi che ne conseguiva. Tutto questo, ovviamente, perché il valore ultimo era rappresentato dall’oro. Anche le banche vengono promosse come mezzo di sviluppo economico, precisando però che lo stato deve intervenire con delle regolazioni: «Le uniche restrizioni bancarie necessarie sono la proibizione di banconote di piccolo taglio e la prescrizione che tutte le banconote siano pagabili su richiesta». È importante notare come il sistema capitalistico-liberale (entrambi discepoli della filosofia di Adam Smith) abbiano abolito la seconda restrizione proposta dall’autore. Dal 1.971 la nostra moneta è un moneta senza un sottostante, senza un valore materiale reale una volta rappresentato dall’oro, la così detta Fiat Money. La caratteristica di tutte le nostre monete è quella di poter essere prodotta in quantità infinita. Mentre nel 1.700 la moneta emessa da una banca rappresentava un debito (per la banca stessa) perché doveva essere necessariamente convertibile in oro, ora la moneta (che rappresenta sempre un debito) è convertibile solo in altra moneta, che però rappresenta sempre un debito pagabile con altra moneta, che comunque rimane debito e potrà essere ripagata solo con altro moneta-debito, e cosi via infinitamente, come il debito appunto. La Storia e La Storia del pensiero economico, sono i protagonisti del terzo e del quarto volume. Nel terzo libro intitolato “Del diverso progresso della prosperità nelle diverse nazioni “ viene proposta una analisi storica delle teorie economiche precedenti, dall'Iimpero romano in poi, chiarendo che il «corso naturale delle cose porta prima all’agricoltura, poi alle industrie e poi al commercio estero». Dopo una precisa analisi storica, nel quarto libro “Dei sistemi di economia politica” si sviluppa la critica alla Storia. Questo volume, può essere ritenuto un piccolo trattato di storia del pensiero economico con una critica aspra al sistema mercantilistico grazie anche all’appoggio di una mano invisibile. Il sistema mercantilistico sviluppatosi tra il XVI e la prima metà del XVII, era un sistema economico relazionato a politiche economiche di carattere nazionalistico e protezionistico. Le politiche dei mercantilisti erano orientate verso forti esportazioni e poche importazioni, questo per garantire un saldo attivo nelle casse dello Stato. Smith critica apertamente queste politiche economiche poiché favorendo solo le esportazioni, quello che si va a creare è una restrizione del mercato generale. È in questo volume, più precisamente all’interno del secondo capitolo che compare, per la seconda volta, il concetto della mano invisibile (la prima volta venne citato nella Teoria dei sentimenti morali). Si può ritenere che la mano invisibile (o la mano della Provvidenza) discenda direttamente dall’individualismo-illuministico settecentesco: «Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio – dice Smith – che ci aspettiamo il nostro desinare, ma dalla considerazione del loro personale interesse. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro egoismo (self-love), e parliamo dei loro vantaggi, e mai delle loro necessità».  E ancora: ciascun individuo impiegando il proprio capitale in modo da dare il massimo valore al suo prodotto «mira soltanto al proprio guadagno» ed «è condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che non entrava nelle sue intenzioni». Secondo Amartya Sen, premio nobel per l’Economia nel 1.998, questo è stato uno dei passi più abusati della teoria smitthiana. Il Premio Nobel e docente di Harvard, fa notare come nel pensiero di Smith lo scambio, è si un beneficio per il funzionamento del mercato, ma anche come la ricerca del solo interesse personale non sia utile per il beneficio della società. Infatti, analizzando la Teoria dei Sentimenti Morali in una sua pubblicazione, Sen fa notare, come Smith nel libro precisi che la prudenza sia la virtù più utile all'individuo ma anche che “l’umanità, la giustizia, la generosità e lo spirito pubblico (public spirit) sono le qualità più utili per gli altri”. Secondo la rivisitazione di Sen del pensiero di Adam Smith: «Un’economia di mercato per essere di successo richiede diversi valori che includono la fiducia reciproca e la fiducia nell’altro». Nel quinto libro Del reddito del sovrano e della repubblica” (Of the Revenue of the Sovereign or Commonwealth), Smith analizza appunto il ruolo dello Stato e delle finanze statali nello sviluppo economico. I punti cruciali e critici di questo libro sono 3:
1) Il mantenimento da parte dello Stato della giustizia, attuabile prima di tutto garantendo la proprietà privata, quest’ultima necessaria per evitare possibili rivolte del popolo. Smith, in questo libro fa riferimento ai poveri e ai bisogni in più passaggi;
2) Il ruolo dello Stato nel garantire una istruzione per tutto il Paese, a tutti gli individui. Secondo Smith il governo deve insistere affinché il Paese raggiunga un’alfabetizzazione generale della popolazione cosi da creare individui pronti per il mercato;
3) Il debito pubblico, sopratutto quello causato durante le guerre. Sembra strano, ma è facile notare come gli Stati Uniti non seguano affatto le indicazioni di Smith: fanno guerre e accumulano debito (che compra la Cina) mentre la Cina non fa guerra e punta su una forte produttività di ogni singolo lavoratore (sia in Cina che a Milano, comprandosi inoltre il debito Americano). 
Smith riconosce, inoltre, due obiettivi fondamentali che l’economia politica deve perseguire:
Provvedere ad abbondanti redditi (revenue) per il sostentamento delle singole persone;
Offrire allo Stato o al commonwealth (bene comune) sufficienti redditi per garantire il servizio pubblico.
Le prime critiche al sistema smitthiano vengono dal filosofo-giurista Jeremy Bentham. Il primo dei teorici dell’utilitarismo (teoria degli incentivi) critica Smith per l’eccessivo ruolo che attribuisce allo Stato. Può sembrare strano, ma come è ben sottolineato in quest’ultimo libro per Smith lo Stato ha un ruolo importante sopratutto nella redistribuzione delle risorse. Diversamente da Malthus e Bentham, Smith riconosceva l’importanza delle Poor Laws (sistemi di assistenzialismo sociale) proponendo anche riflessioni per il miglioramento di queste ultime. Secondo Amartya Sen: «Smith sottolinea la necessità di varie istituzioni che garantiscano il raggiungimento di alcuni obiettivi che il mercato (da solo) non sarà mai in grado di raggiungere. Lui era profondamente preoccupato dall’incidenza della povertà, dell’alfabetizzazione e della relativa miseria sull’economia. Tutti problemi che possono diffondersi nonostante il buon funzionamento dell’economia di mercato. […] Smith richiede diverse istituzioni e diverse motivazioni – non un mercato monolitico e il solo dominio del profitto». Uno degli elementi più importanti e discussi del pensiero di Smith è il Lavoro. Il valore di un bene è proprio la quantità di lavoro impiegata, lo stesso lavoro che rappresenta proprio il valore aggiunto alla materia prima, un valore che in ultima istanza è determinato dalla produttività del lavoratore. Anche in Italia il tema del lavoro è un tema caldo. Entro marzo il governo Monti ha annunciato il via o la conclusione della riforma del mercato del lavoro e del tanto discusso articolo 18.
Vorrei provare a far entrare in questo dibattito, tutto italiano, anche Adam Smith attraverso le sue stesse parole, dove parlando di norme viene dato risalto – anche in quest’ultimo caso – al ruolo dello Stato:
«When the regulation, therefore, is in favour of the workmen, it is always just and equitable, but it is sometimes otherwise when in favour of the masters». «Quando la regolamentazione (l’insieme delle norme), inoltre, è in favore dell’operaio, essa è giusta ed equa, ma ciò spesso non avviene, quando questa (la legge o norma) è in favore dei padroni». 

Nel 1.781 - Viene pubblicata la “Critica della Ragion Pura” di Immanuel Kant.

Nel 1.782 - Lo Scozzese James Watt costruisce una macchina a vapore con cilindro a duplice propul­sione.

Nel 1.783 - Dopo la Rivoluzione Americana, o guerra d'Indipendenza delle colonie inglesi in nord America, l'Inghilterra, col Trattato di Parigi, riconosce l'indipendenza degli Stati Uniti d'America 

La Russia annette la Crimea.

- Volo dei fratelli Montgolfier.

Nel 1.788 - A. Meikle brevetta la trebbiatrice.

Eugene Delacroix:"La Libertà
guida il Popolo" (1830).
Nel 1.789 - Con la presa della Bastiglia, fortezza-carcere parigina della monarchia di Luigi XVI, inizia la Rivoluzione Francese. Nell'ambito della rivoluzione, viene emanata la "Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino".
La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1.789 (Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen) è un testo giuridico elaborato nel corso della Rivoluzione francese, contenente una solenne elencazione di diritti fondamentali dell'individuo e del cittadino. È stata emanata il 26 agosto del 1.789, basandosi sulla Dichiarazione d'indipendenza americana. Tale documento ha ispirato numerose carte costituzionali e il suo contenuto ha rappresentato uno dei più alti riconoscimenti della libertà e dignità umana. Dopo il successo della Rivoluzione francese, l'Assemblea Nazionale Costituente decise di assegnare ad una speciale Commissione di cinque membri eletta il 14 luglio 1.789 il compito di stilare una Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino da inserire nella futura costituzione, nell'ottica del passaggio dalla monarchia assoluta dell'Ancien Régime ad una monarchia costituzionale. Basato sul testo proposto dal marchese di La Fayette, il progetto della Dichiarazione venne discusso in Assemblea dal 20 al 26 agosto e, nella redazione definitiva, fu accettato dal re Luigi XVI il 5 ottobre per essere inserito come preambolo nella Carta costituzionale del 1.791.
Carta geografica della Francia del
1.789, all'inizio della Rivoluzione
Francese, le aree interessate dai
successivi conflitti, fino alle
annessioni francesi del 1.793.
Sono segnalati i luoghi delle
battaglie.
L'impatto di questa elencazione di principi fu innovatore e rivoluzionario allo stesso tempo. Sei mesi dopo la presa della Bastiglia e sole tre settimane dopo l'abolizione del feudalesimo, la Dichiarazione attuò uno sconvolgimento radicale della società come mai era avvenuto nei secoli precedenti. La Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino d'altro canto non fu un episodio casuale e gran parte del contenuto della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino è confluito a sua volta nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1.948. 
La stampa originale della
"Dichiarazione dei Diritti
dell'Uomo e del Cittadino".
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino Preambolo: I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del potere legislativo e quelli del potere esecutivo dal poter essere in ogni istanza paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino.
Art. 1. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.
Art. 2. Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza
all’oppressione.
Art. 3. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani direttamente da essa.
Art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della
società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla legge.
Art. 5. La legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che
essa non ordina.
Art. 6. La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere
uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo le loro
capacità, e senza altra distinzione che quella della loro virtù e dei loro talenti.
Art. 7. Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono,
eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della legge, deve obbedire immediatamente; opponendo
resistenza si rende colpevole.
Art. 8. La legge deve stabilire solo pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al
delitto, e legalmente applicata.
Art. 9. Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona
deve essere severamente represso dalla legge.
Art.10. Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla legge.
Art.11. La libera comunicativa dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere
dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge.
Art.12. La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai
quali essa è affidata.
Art.13. Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in
ragione delle loro sostanze.
Art.14. Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l’impiego
e di determinarne la quantità, la ripartizione e la durata.
Art.15. La società ha il diritto di chieder conto ad ogni agente pubblico della sua amministrazione.
Art.16. Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione.
Art.17. La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente,
Vittorio Alfieri.
e previa una giusta indennità.

Nel 1.790 - "Tirannide indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo." (Vittorio Alfieri, 1.790)

Nel 1.791 - Olympe de Gouges pubblica "La Dichiarazione dei diritti della Donna e della Cittadina". La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (titolo in francese Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne) è un testo giuridico francese, che esige la piena assimilazione legale, politica e sociale delle donne, pubblicato nel settembre 1.791 dalla scrittrice Olympe de Gouges sul modello della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1.789 proclamata il 26 agosto dello stesso anno. Primo documento a invocare l'uguaglianza giuridica e legale delle donne in rapporto agli uomini, la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina è stata pubblicata allo scopo di essere presentata all'Assemblée nationale per esservi adottata. La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina costituisce un'imitazione critica della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, che elenca i diritti validi solo per gli uomini, allorché le donne non dispongono del diritto di voto, dell'accesso alle istituzioni pubbliche, alle libertà professionali, ai diritti di possedimento, ecc. L'autrice vi difende, non senza ironia sulle considerazioni dei pregiudizi maschili, la causa delle donne, scrivendo che « La donna nasce libera e ha uguali diritti all'uomo ». Volendo, si può dire che Olympe de Gouges criticò la Rivoluzione francese di aver dimenticato le donne nel suo progetto di libertà e di uguaglianza.
Olympe de Gouges, colei che
pubblicò la "Dichiarazione
dei diritti della Donna e della
Cittadina".   
Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina:
Uomo, sei capace d'essere giusto? È una donna che ti pone la domanda; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi? Chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l'esempio di questo tirannico potere. Risali agli animali, consulta gli elementi, studia i vegetali, getta infine uno sguardo su tutte le modificazioni della materia organizzata; e rendi a te l'evidenza quando te ne offro i mezzi; cerca, indaga e distingui, se puoi, i sessi nell'amministrazione della natura. Dappertutto tu li troverai confusi, dappertutto essi cooperano in un insieme armonioso a questo capolavoro immortale. Solo l'uomo s'è affastellato un principio di questa eccezione. Bizzarro, cieco, gonfio di scienza e degenerato, in questo secolo illuminato e di sagacia, nell'ignoranza più stupida, vuole comandare da despota su un sesso che ha ricevuto tutte le facoltà intellettuali; pretende di godere della rivoluzione, e reclama i suoi diritti all'uguaglianza, per non dire niente di più.
Donne, Cittadine del mondo.
Preambolo
Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della nazione, chiedono di potersi costituire in Assemblea nazionale. Considerando che l'ignoranza, l'oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le cause delle disgrazie pubbliche e della corruzione dei governi, hanno deciso di esporre, in una Dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri della donna, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro senza sosta i loro diritti e i loro doveri, affinché gli atti del potere delle donne e quelli del potere degli uomini, potendo essere paragonati ad ogni istante con gli scopi di ogni istituzione politica, siano più rispettati, affinché le proteste dei cittadini, fondate ormai su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre al mantenimento della Costituzione, dei buoni costumi, e alla felicità di tutti. In conseguenza, il sesso superiore sia in bellezza che in coraggio, nelle sofferenze della maternità, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell'essere supremo, i seguenti Diritti della Donna e della Cittadina:
Articolo I. La Donna nasce libera ed ha gli stessi diritti dell'uomo. Le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull'utilità comune.
Articolo II. Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della Donna e dell'Uomo: questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e soprattutto la resistenza all'oppressione.
Articolo III. Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione, che è la riunione della donna e dell'uomo: nessun corpo, nessun individuo può esercitarne l'autorità che non ne sia espressamente derivata.
Articolo IV. La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto quello che appartiene agli altri; così l'esercizio dei diritti naturali della donna ha come limiti solo la tirannia perpetua che l'uomo le oppone; questi limiti devono essere riformati dalle leggi della natura e della ragione.
Articolo V. Le leggi della natura e della ragione impediscono ogni azione nociva alla società: tutto ciò che non è proibito da queste leggi, sagge e divine, non può essere impedito, e nessuno può essere obbligato a fare quello che esse non ordinano di fare.
Articolo VI. La legge deve essere l'espressione della volontà generale; tutte le Cittadine e i Cittadini devono concorrere personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, alla sua formazione; esse deve essere la stessa per tutti: Tutte le cittadine e tutti i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammissibili ad ogni dignità, posto e impiego pubblici secondo le loro capacità, e senza altre distinzioni che quelle delle loro virtù e dei loro talenti.
Articolo VII. Nessuna donna è esclusa; essa è accusata, arrestata e detenuta nei casi determinati dalla Legge. Le donne obbediscono come gli uomini a questa legge rigorosa.
Articolo VIII. La Legge non deve stabilire che pene restrittive ed evidentemente necessarie, e nessuno può essere punito se non grazie a una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata alle donne.
Articolo IX. Tutto il rigore è esercitato dalla legge per ogni donna dichiarata colpevole.
Articolo X. Nessuno deve essere perseguitato per le sue opinioni, anche fondamentali; la donna ha il diritto di salire sul patibolo, deve avere ugualmente il diritto di salire sulla Tribuna; a condizione che le sue manifestazioni non turbino l'ordine pubblico stabilito dalla legge.
Articolo XI. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché questa libertà assicura la legittimità dei padri verso i figli. Ogni Cittadina può dunque dire liberamente, io sono la madre di un figlio che vi appartiene, senza che un pregiudizio barbaro la obblighi a dissimulare la verità; salvo rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.
Articolo XII. La garanzia dei diritti della donna e della cittadina ha bisogno di un particolare sostegno; questa garanzia deve essere istituita a vantaggio di tutti, e non per l'utilità particolare di quelle alle quali è affidata.
Articolo XIII. Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese dell'amministrazione, i contributi della donna e dell'uomo sono uguali; essa partecipa a tutte le incombenze, a tutti i lavori faticosi; deve dunque avere la sua parte nella distribuzione dei posti, degli impieghi, delle cariche delle dignità e dell'industria.
Articolo XIV. Le Cittadine e i Cittadini hanno il diritto di costatare personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, la necessità dell'imposta pubblica. Le Cittadine non possono aderirvi che a condizione di essere ammesse ad un'uguale divisione, non solo dei beni di fortuna, ma anche nell'amministrazione pubblica, e di determinare la quota, la base imponibile, la riscossione e la durata dell'imposta.
Articolo XV. La massa delle donne, coalizzata nel pagamento delle imposte con quella degli uomini, ha il diritto di chiedere conto, ad ogni pubblico ufficiale, della sua amministrazione.
Articolo XVI. Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non sia assicurata, né la separazione dei poteri sia determinata, non ha alcuna costituzione; la costituzione è nulla, se la maggioranza degli individui che compongono la Nazione, non ha cooperato alla sua redazione.
Articolo XVII. Le proprietà appartengono ai due sessi riuniti o separati; esse sono per ciascuno un diritto inviolabile e sacro; nessuno ne può essere privato come vero patrimonio della natura, se non quando la necessità pubblica, legalmente constatata, l'esiga in modo evidente, a condizione di una giusta e preliminare indennità. 
Con il termine suffragette si indicavano le appartenenti a un movimento di emancipazione femminile nato per ottenere il diritto di voto per le donne (dalla parola "suffragio" che significa "dichiarazione della propria volontà in procedimenti elettivi o deliberativi; voto"). In seguito la parola "suffragetta" ha finito per indicare, in senso lato, la donna che lotta o si adopera per ottenere il riconoscimento della piena dignità delle donne, coincidendo in parte quindi col termine femminista. Il movimento presentò all'Assemblea Rivoluzionaria, all'inizio della rivoluzione francese, nel 1789, il "Cahier de Doléances des femmes", una prima richiesta formale di riconoscimento dei diritti delle donne. Negli stessi anni, sempre in Francia, Olympe de Gouges pubblicò "Le prince philosophe", romanzo che rivendicava i diritti delle donne, ed iniziò ad organizzare gruppi di donne. La sua azione tuttavia fu interrotta quando iniziò a criticare lo stesso Robespierre, e, nel 1793, venne ghigliottinata.

- Muore, a 36 anni e in miseria, Wolfgang Amadeus Mozart 

Nel 1.792 - Proclamazione della Repubblica Francese.

Nel 1.793 - Seconda spartizione della Polo­nia. Le spartizioni della Polonia del XVIII secolo, posero fine all'esistenza della Confederazione Polacco-Lituana. Le spartizioni coinvolsero la Prussia, l'Impero Russo e l'Impero Austriaco, che si divisero le terre della confederazione. Le tre spartizioni avvennero: il 5 agosto 1772, il 23 gennaio 1793 e il 24 ottobre 1795.

- David dipinge la "Morte di Marat".

- Inevitabilmente, gli avvenimenti francesi del 1789 scatenarono l’entusiasmo degli Occitani. Il vecchio ideale di libertà e di progresso, sempre perseguito con le motivazioni ideologiche più diverse e mai raggiunto, sembrava a un passo dalla sua realizzazione. Il colpo di Stato del marzo del 1793, che porta Robespierre al potere (e dietro di lui l’alleanza della piccola borghesia e del “popolo”) provoca un’immediata risposta in Occitania: la sollevazione girondina. L’ideologia Girondina, moderatamente federalista, era, del resto, condivisa in altre regioni “francesi”: in Normandia e a Lione, per esempio. Essa era tuttavia forte soprattutto in Occitania: e una motivazione nazionale occitanica, magari inconscia, certamente esisteva sul fondo. Infatti, la borghesia d’oc aderì subito all’appello di Vernhaud (Vergniaud), un politico limosino che riteneva giunto il momento di studiare “le misure da prendersi per formare, con i 24 dipartimenti del “Midi”, una repubblica federativa che vada da Bordeaux a Lione”. I Giacobini mandano subito un corpo di spedizione in Occitania. Tolone viene conquistata, Parigi ha vinto ancora una volta. L’Occitania appoggerà sempre i movimenti “rivoluzionari” che tenteranno di conferirle una propria autonomia nazionale ma verrà più volte tradita dalla mancanza dell’appoggio popolare. I suoi abitanti, infatti, sono sempre stati più portati allo scambio fraterno e culturale non riuscendo a darsi un'organizzazione unitaria politica. Solo ultimamente, con la caduta delle frontiere europee, l’Occitania sta prendendo una coscienza di Stato unitario ed indipendente. A differenza dei “fratelli” baschi, non sono le bombe a far parlare della voglia di autonomia, ma la musica, le danze, la poesia.

Cartina politica dell'Italia del Nord
nei primi mesi del 1796, prima dello
abbattimento dei regimi aristocratico
-monarchici da partedi Napoleone.  
Nel 1.795 - Si adotta in Francia, e poi in tutto il mondo, il sistema metrico decimale.

Nel 1.796 - E. Jenner scopre la vaccinazione antivaiolosa.

Carta dell'Italia del Nord alla fine
del 1796. Il 9 gennaio 1797 viene
fondata la Repubblica Cispadana.
In verde sono segnati i confini
della nuova Repubblica, che
comprende i territori di Massa e
Carrara, Reggio Emilia, Modena,
Bologna, Ferrara e la Romagna.  
Nel 1.797 - Nell'ambito delle guerre napoleoniche ai vecchi regimi, in Italia vengono fondate la repubblica Cisalpina, con capitale Milano e la repubblica Cispadana comprendente i territori di Massa e Carrara, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara e Romagna, con capitale Bologna. Nella Repubblica Cispadana si indicono elezioni aperte a tutti i maschi maggiorenni per eleggere un parlamento e viene inoltre promulgata una Costituzione.
Costituzione della
Repubblica Cispadana.
Nella Costituzione della Repubblica
Cispadana: i capoluoghi dei territori
e il concetto di cittadinanza.
La bandiera della
Repubblica Cispadana,
con stemma di
faretra a 4 frecce.
Nella Repubblica Cispadana stessa viene  adottato il tricolore come bandiera della libera Repubblica,  stabiliti dal Senato di Bologna con un documento datato 28 ottobre 1796, in cui si legge: "Bandiera coi colori Nazionali - Richiesto quali siano  i colori Nazionali per formarne una bandiera, si è risposto il Verde il Bianco ed il Rosso."
Costituzione della Repubblica
Cispadana: i comizi primari per le
libere elezioni.
Reggio Emilia il 7 gennaio 1797 è stata fatta mozione che si rendesse universale lo stendardo o bandiera cispadana di tre colori, verde, bianco e rosso e che questi tre colori  si usassero anche nella coccarda cispadana, la quale debba essere portata da tutti: "Viene decretato.
Stemma della
Repubblica
Cispadana.
Il congresso della Repubblica Cispadana convocato a Modena il 21 gennaio del 1797 confermando le deliberazioni di precedenti adunanze decretò vessillo di stato il tricolore per virtù d'uomini e di tempi fatto simbolo dell'unità indissolubile della nazione".

- Gravata da un debito pubblico di quasi cento milioni di ducati verso il 1790, la Repubblica di Venezia, che aveva avuto ancora uno sprazzo di effimera gloria con le imprese marinare di Giacomo Nani (1766-68) e Angelo Emo (1784-92) contro le reggenze barbaresche (Tunisi, Tripoli e Algeri), cade quasi senza avvedersene sotto i colpi dell'offensiva napoleonica. Costretta a lasciare il passo sul suo territorio alle truppe francesi e austriache durante la prima campagna d'Italia, con la rivolta popolare di Verona (1797) offre il pretesto al Bonaparte per porre termine alla sua millenaria esistenza. Il 12 maggio 1797, su richiesta del Bonaparte, il Maggior Consiglio dichiara dissolto lo stato e il doge Ludovico Manin lascia il posto a una municipalità di giacobini filofrancesi.

Cartina geografica dell'Europa dal
1796, con le conquiste di Napoleone
Bonaparte e dell'esercito
della Repubblica Francese.
Nel 1.798 - T. Malthus pubblica il "Saggio sul principio della popolazione".

Nel 1.799 - In Francia, Napoleone Bonaparte diventa Primo Con­sole.

- II ritrovamento dei Francesi dello stele di Rosetta, in Egitto, permette a Champollion di decifrare i geroglifici egiziani.

Nel 1.800 - Con un nuovo Atto di Unione tra il Regno di Gran Bretagna ed il regno d'Irlanda, nasce il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda, che in seguito diventerà il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.

Nel XIX secolo il diffondersi della rivoluzione industriale impresse una svolta fondamentale nella storia materiale dell’Europa. Iniziata in Inghilterra negli ultimi decenni del Settecento, si diffuse nel resto del continente durante la prima metà del nuovo secolo. La produzione, grazie all’affermazione di nuove tecnologie, si moltiplicò in ogni settore economico, consentendo uno sviluppo strettamente intrecciato con la crescita demografica. La parallela rivoluzione dei trasporti produsse un’integrazione economica dapprima nazionale e continentale, con la nascita e la rapida diffusione delle comunicazioni ferroviarie, poi, grazie alla navigazione a vapore, mondiale. Si consolidò così la borghesia imprenditoriale, ormai pronta a entrare da protagonista sulla scena politica. E si pose anche la “questione sociale”, connessa alla nascita della nuova classe del proletariato urbano. L’affermazione politica della borghesia richiese una lunga lotta contro i privilegi della nobiltà e del clero e contro la struttura assolutistica degli stati. La prima metà dell’Ottocento fu caratterizzata politicamente dal conflitto tra l’Europa dei sovrani, sostenitori di una concezione assolutistica e paternalistica del potere, e l’Europa delle nazioni, espressione delle istanze ideali e politiche delle borghesie. Dopo la sconfitta di Napoleone, nel congresso di Vienna (1814-15) le potenze vincitrici ridisegnarono la carta geopolitica del continente sulla base dei principi dell’equilibrio e della legittimità. Con la Santa Alleanza si affermarono i princìpi della solidarietà internazionale tra i sovrani nella repressione di ogni insurrezione. Si aprì così l’età della Restaurazione, caratterizzata dal tentativo di frenare l’affermazione delle idee di nazione, di libertà e di cittadinanza (diritti dell'uomo e della donna), largamente diffuse dalla Rivoluzione francese e dall’impero napoleonico. L’idea di nazione fu il frutto dell’evoluzione in senso storicistico della cultura romantica, che rifiutò il cosmopolitismo illuministico e rivalutò le peculiari tradizioni di ogni popolo. Sebbene gli intellettuali cercassero di dimostrare il primato morale e spirituale del proprio popolo (in particolare il tedesco Fichte, gli italiani Mazzini e Gioberti, il francese Guizot), l’idea di nazione non fu inizialmente in contrasto con l’ideale di un’Europa pacifica e unitaria. Il primato nazionale fu infatti concepito come missione di guida degli altri popoli sulla via del progresso materiale e spirituale e non come giustificazione di pretese egoistiche e prevaricatrici (come doveva poi avvenire nella seconda metà del secolo). In questo periodo maturò ulteriormente, sebbene ancora minoritario, l’ideale federalista europeo, sostenuto da intellettuali come Saint-Simon, Cattaneo, Mazzini e Proudhon. L’età della Restaurazione fu scossa da ondate di moti insurrezionali e rivoluzionari, portatori di istanze dapprima solo liberali e nazionali (moti del 1820-21 e moti del 1830-31), poi, con la crescita della partecipazione politica della piccola borghesia e della classe operaia, anche democratiche e socialiste (rivoluzioni del 1848-49).

- Alessandro Volta costruisce la pila elettrica.


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