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sabato 9 maggio 2020

Storia dell'Europa n.71: dal 1.918 al 1.922 e.v. (d.C.)

Mappa della Russia con le sue etnie nel 1917, da: https:
Nel 1.918 - Il 3 marzo, con la stipula del Trattato di Brest Litovsk con gli imperi centrali, la Russia perderà un territorio immenso pur di potere abbandonare il conflitto: dalla Finlandia all'Ucraina.

- Il Kaiser Guglielmo II, visti gli scarsi successi bellici, viene convinto a lasciare l'esercito nelle mani dei due principali comandanti, Hindenburg e Ludendorff, che riescono ad influenzare l'apparato politico creando le basi per un regime militare. L' ascesa al potere da parte dell'esercito non danneggi tanto il parlamento tedesco, il Reichstag, quanto piuttosto il Kaiser. Questi diventa sempre più logorroico, andando a passeggio nei boschi, litigando con l'imperatrice e lamentandosi della scarsa considerazione in è tenuto. Di conseguenza, agli occhi del popolo, il vero leader diventa Hindenburg, poiché il nuovo Cancelliere, Georg Michaelis è solo un'emanazione del potere militare.

- All'interno dei territori degli imperi centrali, la coesione sociale comincia a cedere. Mentre la Germania vedrà venire sempre meno la sua capacità di battersi più per il crollo del consenso interno che per le sconfitte militari, l'instabile agglomerato etnico dell'impero asburgico verrà meno prima e più delle strutture militari.

- Il 26 ottobre 1918, di fronte all'impossibilità di proseguire la guerra, Guglielmo II convoca i due comandanti e parla a Ludendorff in modo tale da costringerlo a dimettersi. Le dimissioni presentate da Hindenburg invece, sono respinte. Il giorno dopo, il nuovo imperatore austriacoCarlo d'Asburgo, comunica a Guglielmo II la sua decisione di concludere la pace. La notizia induce il governo tedesco, guidato ora da Maximilian di Baden, a decidere se accettare le richieste di principio che avevano offerto gli Stati Uniti: il Kaiser decide di accoglierle. A questo punto, sulla strada dell'armistizio, la sola speranza per la sopravvivenza del trono sembra l'abdicazione, ma i socialisti tedeschi, rivitalizzati dalla rivoluzione russa, sono per la repubblica. Risentito del fatto che il Cancelliere si rifiuta di pubblicare una lettera e un proclama nei quali assicurava il suo appoggio al governo e alle modifiche istituzionali, nella notte del 29 ottobre, Guglielmo II lascia Berlino per Spa, in Belgio, sede del quartier generale dell'esercito. Qui, fra i suoi generali, è raggiunto il 1º novembre dal ministro degli Interni prussiano Bill Drews (1870-1938) che gli comunica delle sempre più numerose richieste per la sua abdicazione. Guglielmo II risponde: «Come può lei, un funzionario prussiano, uno dei miei sudditi che mi ha giurato fedeltà, avere l'insolenza e la sfrontatezza di sottopormi una richiesta del genere?».

Carta della battaglia del Piave con
Vittorio Veneto, da: Speciale "La
Stampa" del 16 gennaio 2014.
- A fine ottobre 1918, la pressione italiana e il cedimento di un esercito austriaco, ormai politicamente e moralmente minato da processi disgregativi, spalancano alla conquista italiana le terre del Veneto e del Friuli con la successiva presa di Trento e Trieste nei primi giorni di novembre. L'Italia, che è riuscita a riprendersi dalla rotta di Caporetto del novembre'17, avvenuta per la sottovalutazione dei movimenti delle armate austro-tedesche a nord del fronte giuliano, e che ha resistito vittoriosamente agli attacchi nemici sulla linea del Piave e del Grappa, con l'avvicendamento al comando del gen. Diaz sferra la decisiva controffensiva di Vittorio Veneto fino alla rotta delle forze austro-ungariche e tedesche. Nei primi giorni di novembre la vittoria si completa con la presa di Trento e Trieste.

- Il 3 novembre viene siglato l'armistizio di Villa Giusti, nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino a Padova, sede del quartier generale italiano, fra l'Impero austro-ungarico e l'Italia in rappresentanza dell'Intesa. L'Impero austro-ungarico si dissolve e terminano le ostilità, costate alle forze armate italiane circa 650.000 caduti e un milione di feriti.

Il gen. Armando
Diaz al fronte.
- Il 4 novembre è la data del bollettino della vittoria firmato dal gen. Armando Diaz e per l'Italia si conclude la I guerra mondiale. «Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12  Bollettino di guerra n. 1268  La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d'Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L'Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza. Armando Diaz, comandante supremo del Regio Esercito».

- Lo stesso 4 novembre, in Germania, come risposta all'ordine di far salpare la flotta per una disperata e inutile battaglia sul mare, i marinai ammutinati occupano la città di Kiel e nei giorni seguenti la rivolta si diffonde agli altri porti della Germania estendendosi all'interno del Paese.

- Il 7 novembre, i ministri socialisti reclamano l'abdicazione dell'Imperatore, che rifiuta ordinando che venga preparato un piano per marciare in Germania alla testa dell'esercito per restaurare l'ordine. A Berlino, la maggioranza socialista al Reichstag si dimette in blocco dal Parlamento e indicono uno sciopero generale. A Colonia i marinai rivoluzionari prendono la città, come già era accaduto a Kiel. Guglielmo II si trova allora di fronte al collasso del Paese e quando il principe Massimiliano di Baden lo prega per telefono di abdicare, gli urla il suo "no" al ricevitore.

- La sera dell'8 novembre, l'ammiraglio Paul von Hintze raggiunge a Spa, in Belgio, Guglielmo e gli comunica che la Marina è ormai fuori controllo. Il Kaiser, sperando di potersi mettere a capo dell'esercito assieme a Hindenburg per sedare le rivolte, chiede al generale Groener cosa ne pensa e questi risponde che non c'era operazione militare che possa avere successo.

- Il 9 novembre, scoppia la rivoluzione a Berlino. I rivoluzionari hanno in mano i principali nodi ferroviari e molti soldati abbracciano la causa della rivoluzione. Alle 11 di mattina arriva un telegramma a Guglielmo che gli annuncia la ribellione dei soldati e della piazza di Berlino. A quel punto il Kaiser cede e decide di abdicare, ma solo come imperatore, conservando il titolo di re di Prussia e con un suo esercito. Quando per telefono sono trasmesse le sue decisioni a Berlino, il principe ereditario Massimiliano di Baden, per guadagnare tempo, proclama l'abdicazione del Kaiser e del principe ereditario, dopo di che il Cancelliere passa il potere al socialista Friedrich Ebert. Guglielmo s'infuria per come sono andate le cose, ma ormai tutto è perduto. La strada, per la monarchia, è sbarrata dalla rivoluzione.

- Il 10 novembre 1918, visto che i fermenti rivoluzionare minacciano di estendersi anche tra i soldati stanziati a Spa, l'ex imperatore varca il confine con i Paesi Bassi.

- L'11 novembre 1918 la Germania firma l'armistizio.

- Il 28 novembre la consorte di Guglielmo II raggiunge il marito nei Paesi Bassi, al castello di Amerongen (presso Utrecht). Lo stesso giorno Guglielmo regolarizza la propria posizione firmando un formale atto di abdicazione che libera tutti i suoi funzionari dal giuramento di obbedienza. Il principe ereditario rinuncia analogamente ai suoi diritti.

- Terminato il conflitto mondiale, il 1º dicembre 1918, Alessandro Karađorđević, (1888 - 1934, re dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni nel periodo 1921-1929 e primo re di Jugoslavia, con il nome di Alessandro I, nel periodo 1929-1934) riceve una delegazione del Consiglio nazionale del neonato Stato degli Sloveni, Croati e Serbi che gli chiede di annettere la loro nazione, che non gode di alcun riconoscimento internazionale, al Regno di Serbia. Alessandro accetta e quello stesso giorno nasce il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, di cui re Pietro I, padre di Alessandro, accetta la corona.

- Alla fine della Grande Guerra, si erano dissolti quattro imperi: russo, germanico, austro-ungarico e quello turco-ottomano avrà le ore contate. In Europa tutti gli stati, vincitori e sconfitti, dovettero affrontare il problema della ricostruzione di sistemi politici, economici e sociali sconvolti dalla guerra. Le perdite militari dei paesi europei saranno oltre i 13 milioni di uomini, più di 8.000 per ogni giorno di guerra e 15 milioni furono le vittime fra i civili, oltre che per i massacri anche per la fame, la denutrizione, le malattie, come la terribile epidemia di febbre spagnola.

Carta dell'Europa nel 1920, dopo la conferenza di Parigi, con
i paesi vincitori in verde, gli sconfitti in rosso, i nuovi
stati in marrone.
Nel 1.919 - Il 28 giugno, nella Galleria degli Specchi del Palazzo di Versailles, non lontano da Parigi, in Francia, viene firmato il trattato di Versailles, uno dei trattati di pace che pone ufficialmente fine alla prima guerra mondiale. Stipulato nell'ambito della Conferenza di pace di Parigi del 1919/1920, è firmato da 44 Stati ed è suddiviso in 16 parti e composto da 440 articoli. A Versailles, i paesi vincitori impongono ai vinti le loro condizioni, attribuendo loro l'esclusiva responsabilità di aggressori. In particolare, l'articolo 231 del Trattato di Versailles, riconosce la Germania  come "responsabile, per esserne stata la causa, di tutte le perdite e di tutti i danni subiti dai governi alleati e associati e dai loro nazionali in conseguenza della guerra loro imposta dalla aggressione della Germania e dei suoi alleati". Le potenze alleate, dunque, attribuiscono ogni responsabilità alle mire espansionistiche e alla politica tedesca degli ultimi decenni. Nonostante la questione abbia generato numerosi dibattiti tra gli studiosi, è indubbio che la sconsiderata diplomazia condotta dal Kaiser Guglielmo II e dai suoi funzionari abbia rapidamente sconvolto l'equilibrio che il cancelliere Otto von Bismarck aveva cercato di instaurare tra le potenze europee, contribuendo in tal modo alla creazione delle due fazioni contrapposte degli Alleati e degli Imperi centrali. La Conferenza di Parigi produrrà comunque una pace “cartaginese”, simile a quella che, millenni prima, Roma aveva imposto a Cartagine. Soprattutto la Francia, si attribuisce il ruolo di giudice severo verso la Germania, che subisce i suoi diktat ma che stata piegata solo dal blocco navale interno e dal cedimento dei suoi alleati e che quindi è subito presa dall'ossessione della Revanche” = “Rivincita”, come lo fu il movimento caratterizzato da acceso nazionalismo manifestatosi in Francia dopo il 1871, nei confronti della Germania imperiale. La Germania si impegnò così a pagare 132 miliardi di marchi oro (6.600.000.000 di sterline), anche se l'ammontare delle riparazioni venne in seguito ridimensionato, con l'accordo sui debiti esteri germanici del 27 febbraio 1953. In data 3 ottobre 2.010, la Germania ha finito di onorare i debiti imposti dal trattato, con il pagamento dell'ultimo importo di 69,9 milioni di euro.
La durezza dei trattati impressionò alcuni: «Questa non è una paceè un armistizio per vent'anni » commenterà, nel 1920, Ferdinand Foch, l'ufficiale francese al comando delle forze alleate. In particolare l'economista John Maynard Keynes, che partecipava ai trattati in qualità di rappresentante del ministero del tesoro britannico e in Italia il presidente del consiglio, Francesco Saverio Nitti, misero in luce come le condizioni dei trattati, per la Germania, fossero di una tale durezza che non si sarebbero potuto rispettarli, se non con la dissoluzione complessiva dell'economia e dello stato che sarebbe emerso dalle ceneri del Reich tedesco. Keynes scrisse un libro intitolato “Le conseguenze economiche e la pace” che trattava dell'ovvio spirito revanscista dei tedeschi che ne sarebbe nato e che avrebbe inevitabilmente portato ad una seconda guerra mondiale.

- Il vero vincitore della Grande Guerra fu una potenza extraeuropea, gli Stati Uniti d'America, che possedeva il sistema industriale più solido e produttivo del mondo, e che con i crediti vantati verso le potenze belligeranti negli anni di guerra oltre ai finanziamenti per la ricostruzione, iniziarono ad esercitarono un forte controllo sull’economia degli stati europei. Ciò permise a Woodrow Wilson, il presidente degli Stati Uniti, un deciso controllo delle spartizioni dei territori occupati dai paesi vincitori, soprattutto nei confronti dell'Italia, per via degli accordi governativi segreti del Patto di Londra che, secondo Wilson, nessuno avrebbero mai più dovuto stipulare. Mentre nel 1.914 il massimo centro finanziario mondiale era Londra, la moneta di riferimento internazionale era la sterlina e gli USA erano debitori nei confronti dei paesi europei (fra cui la Germania, che per produzione industriale aveva sorpassato l'UK) per 5 miliardi di dollari, grazie alla sua produzione e vendita di armamenti ai paesi belligeranti, gli USA vantavano nel 1.919 un credito di 10 miliardi di dollari dagli stessi, divenendo così il primo centro finanziario mondiale, mentre il dollaro si sostituiva al pound-sterlina come valuta di riferimento mondiale. Da qui si scatenerà il circolo vizioso per cui i paesi debitori europei non potevano pagare i loro debiti agli Stati Uniti finché la Germania non li avesse indennizzati a sua volta, scatenando una crisi economica e una disoccupazione generalizzata che, sommatasi alla crisi del '29, genererà, un'ulteriore guerra. Il lavoro è una garanzia di pace e probabilmente per questo motivo la nostra Costituzione è fondata sul lavoro.
E' la fine dell'Europa come fulcro mondiale, mentre il nuovo sistema comunista sovietico nel biennio 1919-21 ispirerà in tutta l’Europa la nascita di partiti comunisti e in alcuni paesi (GermaniaUngheriaItalia), tentativi rivoluzionari, tutti peraltro falliti. Di fronte al pericolo rosso le potenze europee favorirono l’affermazione di regimi autoritari di destra, soprattutto negli stati confinanti con l’Unione Sovietica, secondo la politica del “cordone sanitario”.

- Dal trattato di Versailles, la cartina dell'Europa esce completamente ridefinita in base al principio di autodeterminazione dei popoli, concepito dal presidente degli Stati Uniti d'America, Woodrow Wilson, (il secondo presidente degli Stati Uniti del Partito Democratico, dopo Andrew Jackson, a essere rieletto per un secondo mandato) nel tentativo, in seguito rivelatosi fallace, di riorganizzare su base etnica gli equilibri del continente europeo. L'emergere, alla fine del 1917, del Patto di Londra aveva dato il via ad una modifica degli orientamenti politici internazionali che influirà notevolmente sulla sua non completa implementazione a guerra finita. La risoluta opposizione alla diplomazia segreta, e la sua denuncia quale metodo inaccettabile nelle relazioni internazionali, fu uno dei principali motivi ispiratori della stesura, da parte del presidente degli Stati Uniti d'America, Woodrow Wilson, dei suoi celebri "Quattordici punti" e, non a caso, il presidente statunitense si oppose risolutamente alla completa realizzazione delle rivendicazioni territoriali italiane basate sul Patto di Londra. D'altra parte il congresso (parlamento) degli Stati Uniti d'America non ratificò mai il Trattato di Versailles così come fu stilato. Mentre Woodrow Wilson, nella sua proposta dei "14 punti" prevedeva, oltre all'autodeterminazione dei popoli, la costituzione della Società delle Nazioni per dirimere gli antagonismi mondiali, nelle elezioni del 1918, con la vittoria del Partito Repubblicano che prese il controllo del Senato, si bloccò per due volte la ratifica del Trattato di Versailles (la seconda volta il 19 marzo 1920). Alcuni Senatori favorivano così il tipico isolazionismo americano, avversando la Società delle Nazioni, altri lamentavano l'eccessivo ammontare delle riparazioni tedesche ai vincitori del conflitto. Come risultato, gli Stati Uniti non si uniranno mai alla Società delle Nazioni e in seguito negozieranno una pace separata con la Germania, con il trattato di Berlino del 1921, che confermerà il pagamento delle riparazioni e altre disposizioni previste nel trattato di Versailles ma escluderà esplicitamente tutti gli articoli correlati alla Società delle Nazioni.

Carta dei territori persi dagli imperi
sconfitti e dall'impero russo.
- Nel 1919/20 si firmano a Saint-Germain e al Trianon, a Parigi, i trattati di pace in cui le perdite territoriali più consistenti saranno quelle sofferte dall'Austria-Ungheria, dai cui ex-domini si ricaveranno nuovi stati multietnici, come la Cecoslovacchia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, la futura Jugoslavia, (nuovi stati definiti "etnicamente omogenei" che saranno invece stati destinati a subire nuove tensioni ed instabilità, oltre ad esodi e conflitti futuri).
Carta della Vojvodina.
Alla Serbia, che era stata coinvolta fin dall'inizio nel conflitto, viene assegnata la Vojvodina, che fino al 1914 era parte dell'Impero austro-ungarico. La Vojvodina è un'area multietnica, divisa tra più di 26 differenti gruppi, ma quello maggioritario è costituito dai serbi, circa il 70%. La grande diversità culturale e linguistica si accompagna a un elevato livello di tolleranza tra le varie genti e fa dell'area la parte economicamente più stabile della Serbia.
Alla Romania e alla Polonia vengono ceduti vasti territori e l'Ungheria si stacca definitivamente da un'Austria che sarà ridotta ad un piccolo stato, dopo che avrà ceduto al regno d'Italia i territori di Trento, con annesso il sud Tirolo, ridefinito dagli italiani “Alto Adige”, Trieste e l'Istria.
Meno considerevoli sono le cessioni di territorio da parte del Reich tedesco: l'Alsazia-Lorena alla Francia, a cui era appartenuta fino al 1870 e le regione prussiana di Poznan alla Polonia.
Dai territori dell'ex impero zarista russo scaturivano la Polonia, di nuovo indipendente, la Finlandia, finalmente autonoma, la Lettonia, l'Estonia, la Lituania, mentre la giovane Repubblica Socialista Federativa Sovietica si riappropriava dell'Ucraina, che era stata invasa, durante il conflitto, dall'esercito germanico.
Dai domini dell'ex impero turco-ottomano, alleato agli sconfitti imperi centrali, come pattuito nell'accordo Sikes-Picot del 1916, andavano ai britannici l'amministrazione dell'Iraq, della Giordania e delle Palestina (che verrà poi abitata genti ebraiche, come stabilito dalla conferenza di Sanremo nel 1920) e il controllo dello stretto dei Dardanelli. Alla Francia veniva concessa l'amministrazione della Siria, che includeva il futuro Libano.

- L'Italia, risultata anch'essa vittoriosa nel conflitto, alla Conferenza di pace di Versailles chiede che vengano realizzati gli accordi previsti nel patto di Londra, la cui applicazione integrale le avrebbe consentito di ottenere buona parte della Dalmazia con le isole adiacenti e aumenta le sue richieste chiedendo la concessione della città di Fiume, a motivo della prevalenza numerica dell'etnia italiana nel capoluogo quarnerino. I contrasti con Wilson furono netti, il presidente statunitense non era disponibile ad applicare alla lettera il patto di Londra e non era disponibile ad accettare le richieste di Roma a spese degli slavi, poiché «si spianerebbe la strada all'influenza russa e allo sviluppo di un blocco navale dell'Europa occidentale». La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana che avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal Danubio. Il risultato fu che le potenze dell'Intesa alleate dell'Italia opposero un rifiuto e ritrattarono parte di quanto promesso nel 1915. Alle richieste italiane, il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (SHS, dal 1929 Jugoslavia) oppose un fortissimo contrasto, reclamando non solo i territori assegnati dal patto all'Italia (Trieste, Gorizia, Istria, Dalmazia settentrionale), ma anche la Slavia veneta, appartenente al Regno d'Italia fin dal 1866. Secondo la delegazione jugoslava, tutte queste terre andavano assegnate al Regno jugoslavo per motivi etnici e politici. La città di Trieste, pur riconosciuta di maggioranza italiana, doveva diventare jugoslava secondo il principio per cui le città dovevano seguire le sorti dell'entroterra circostante, a maggioranza slava. Lo stesso criterio doveva essere seguito per la città di Fiume, la cui maggioranza relativa di popolazione italiana era considerata in realtà costituita in massima parte di slavi italianizzati.
La non completa realizzazione del Patto di Londra, a cui si sommavano le rivendicazioni serbo-croato-slovene, causò grave malcontento ed agitazione in Italia, facendo sorgere il cosiddetto mito della "Vittoria mutilata", strumento politico che contribuì in modo decisivo alla crisi del governo liberale e alla nascita ed avvento del fascismo. Essendo stato il Patto di Londra un atto deciso da governore e gerarchie militari all'insaputa del Parlamento italiano, alcuni storici hanno ritenuto questo evento come l'atto finale del periodo di governo liberale e l'inizio di fatto di un'epoca di governi autoritari illiberali culminata con l'ascesa al potere di Benito Mussolini.
L'irredentismo (aspirazione di un popolo a completare la propria unità territoriale) nazionalista italiano, rafforzatosi nel corso della guerra, si spostò perciò su posizioni di aperta e radicale contestazione dell'ordine costituito. Dopo l'abbandono della conferenza da parte dei delegati italiani, il mito della "vittoria mutilata" e le mire espansionistiche nell'Adriatico divennero i punti di forza del movimento che raccolse le tensioni di una fascia sociale eterogenea, della quale fecero parte i reduci degli Arditi, gli unici capaci di dare una svolta coraggiosa all'atteggiamento del governo. Gli Arditi erano stati una specialità dell'arma di fanteria del Regio Esercito italiano durante la prima guerra mondiale, sciolta dopo il conflitto, le cui tradizioni saranno ereditate, a partire dal 1975, dal 9º Battaglione d'Assalto Paracadutisti "Col Moschin", poi Reggimento dal 1995.
Vittorio Emanuele
Orlando.
Attivi anche come associazione combattentistica di reduci (Arditi d'Italia), e vicini al fascismo tra il 1920 e il 1945, nel 1921 subirono la scissione dell'ala sinistra e antifascista (costituita da sindacalisti rivoluzionari e socialisti), che unitasi a gruppi di comunisti, anarchici e operai delle formazioni di difesa proletaria, costituì l'associazione Arditi del Popolo, che si oppose attivamente allo squadrismo.
Sidney Sonnino.
Nel 1919, in molti ambienti italiani, si diffuse la convinzione, alimentata dai giornali e da alcuni intellettuali, che gli oltre seicentomila morti della guerra erano stati "traditi", mandati inutilmente al macello. Il governo, dal canto suo, era diviso sul da farsi; il presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando (liberale democratico che appoggerà in seguito il fascismo) era un sostenitore del riconoscimento delle nazionalità in opposizione alla politica decisamente imperialistica del ministro degli Esteri, Giorgio Sidney Sonnino (liberal-conservatore): il contrasto fra i due politici italiani fu fatale. Orlando era disposto a rinunciare alla Dalmazia ma richiedeva l'annessione di Fiume, mentre Sonnino non intendeva cedere sulla Dalmazia, cosicché l'Italia finì col richiedere entrambi i territori, senza ottenerne nessuno.
La colonia della Somalia Italiana.
 A seguito di un appello diretto di Wilson al popolo italiano, che scavalcò il governo del paese, Vittorio Emanuele Orlando abbandonò per protesta la conferenza di pace di Parigi. In mancanza del presidente del consiglio italiano, le trattative però continuarono lo stesso, tanto che la delegazione italiana ritornò sui suoi passi. 
Carta della Libia.
Una delle richieste italiane durante la stesura del trattato di Versailles, fu quella di ricevere la Somalia francese e il Somaliland Britannico in cambio della rinuncia alla ripartizione delle ex colonie tedesche tra le forze dell'Intesa. Fu l'ultimo tentativo dello stato liberale di perseguire la politica di penetrazione nel Corno d'Africa e alla fine del trattato però, l'Italia ottiene solo l'Oltregiuba dalla Gran Bretagna, da annettere alla Somalia Italiana, una ridefinizione dei confini della Libia, che venne così ampliata e l'isola di Saseno, davanti a Valona, in Albania. 
Carta del Dodecaneso.
Dal 1.919 e nei primi anni venti si verifica inoltre l'occupazione italiana di Adalia, in Anatolia, che finisce dopo soli tre anni con un nulla di fatto una volta che il generale e politico turco Kemal Atatürk riconosce la sovranità italiana nel Dodecaneso.

Occupazione delle Guardie rosse.  
- Nel 1.919, in Italia, inizia il biennio rosso degli scioperi indetti dai socialisti, che erano stati in non interventisti riguardo alla Grande Guerra, mentre la maggioranza dei socialisti europei aveva rinnegato le scelte della seconda internazionale del 1889 per lanciarsi in un conflitto suicida, dettato da motivazioni nazionalistiche. Mentre la presa del potere dei bolscevichi, nell'ambito della rivoluzione russa d'ottobre del 1917, aveva rigenerato l'ideale socialista europeo, spinto dall'idea leninista di un'esportazione mondiale della presa del potere da parte della classe operaia, in Italia divampò il "biennio rosso", locuzione con cui viene comunemente indicato il periodo compreso fra il 1919 e il 1920, caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine che ebbero il loro culmine e la loro conclusione con l'occupazione delle fabbriche del settembre 1920. In tale periodo si verificarono, soprattutto nell'Italia centro-settentrionale, mobilitazioni contadine, tumulti annonari, manifestazioni operaie, occupazioni di terreni e fabbriche con, in alcuni casi, tentativi di autogestione. Le agitazioni si estesero anche alle zone rurali e furono spesso accompagnate da scioperi, picchetti e scontri. Una parte della storiografia estende la locuzione ad altri paesi europei, interessati, nello stesso periodo, da analoghi moti. L'espressione "biennio rosso" entrò nell'uso comune già nei primi anni venti, con accezione negativa; venne utilizzata da pubblicisti di parte borghese per sottolineare il grande timore suscitato, nelle classi possidenti, dalle lotte operaie e contadine, e quindi per giustificare la reazione fascista che ne seguì. Negli anni settanta, il termine "biennio rosso", questa volta con connotazioni positive, venne ripreso da una parte della storiografia, politicamente impegnata a sinistra, che incentrò la sua attenzione sulle agitazioni del 1919-20, considerandole come uno dei momenti di più forte scontro di classe e come esperienza esemplare nella storia delle relazioni che intercorrono fra l'organizzazione della classe operaia e la spontaneità delle sue lotte. L'economia italiana si trovava in una situazione di grave crisi, iniziata già durante la guerra, che si protrasse a lungo; infatti, nel biennio 1917-1918 il reddito nazionale netto era sceso drasticamente, e rimase, fino a tutto il 1923, ben al di sotto del livello d'anteguerra, mentre il tenore di vita delle classi popolari era, durante la guerra, nettamente peggiorato; secondo una statistica, fatto pari a 100 il livello medio dei salari reali nel 1913, questo indice era sceso a 64,6 nel 1918. Nell'immediato dopoguerra si verificarono inoltre un ingentissimo aumento del debito pubblico, un forte aggravio del deficit della bilancia dei pagamenti, il crollo del valore della lira e un processo inflativo che portò con sé la repentina diminuzione dei salari reali. Il peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari (già duramente provate dalla guerra) fu la causa immediata dell'ondata di scioperi e di agitazioni, iniziata nella primavera del 1919, alla quale non rimase estranea nessuna categoria di lavoratori, sia nelle città sia nelle campagne, compresi i pubblici dipendenti, cosicché l'anno 1919 totalizzò complessivamente in Italia oltre 1.800 scioperi economici e più di 1.500.000 scioperanti. Mentre gli operai scioperavano prevalentemente per ottenere aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni di lavoro (la riduzione dell'orario di lavoro a otto ore giornaliere fu ottenuta, nelle grandi industrie, nell'aprile 1919), gli scioperi nelle campagne, che coinvolsero nel 1919 più di 500.000 lavoratori, ebbero obiettivi diversi a seconda delle categorie: i sindacati dei braccianti lottavano per ottenere il monopolio del collocamento e l'imponibile di manodopera, mentre mezzadri e salariati fissi cercarono di ottenere dalla proprietà terriera nuovi patti a loro più favorevoli; contemporaneamente si verificarono, soprattutto nel Lazio e nel meridione, importanti lotte per l'occupazione delle terre incolte da parte di braccianti agricoli, coloni e contadini piccoli proprietari. Si ebbe un'ondata di moti contro il carovita (in Toscana ricordati come "Bocci-Bocci") che attraversò tutta la penisola tra la primavera e l'estate del 1919, cui il governo non riuscì a mettere un freno. Come in tutta l'Europa post-bellica, anche in Italia gli ex combattenti, costituiti in proprie associazioni, divennero un elemento importante del quadro politico. Le associazioni di reduci in Europa erano caratterizzate da alcune istanze comuni a tutte: la difesa del prestigio internazionale del proprio paese e la rivendicazione di importanti riforme politiche e sociali. In Italia gli orientamenti politici degli ex combattenti furono vari.
Solo una minoranza aderì ai Fasci di combattimento fondati da Mussolini nel 1.919; molti di più furono i reduci che diedero il proprio consenso alle idealità democratiche espresse dai "quattordici punti" del presidente statunitense Woodrow Wilson; l'Associazione Nazionale Combattenti, nel suo congresso di fondazione che ebbe luogo nell'aprile 1919, propose l'elezione di un'Assemblea Costituente che avrebbe avuto il compito di deliberare un nuovo assetto democratico dello Stato. Una parte della storiografia ha ritenuto che l'incomprensione e l'ostilità, che il Partito Socialista riservò in quegli anni alle istanze espresse dai reduci, abbiano contribuito a spingere questi ultimi a destra, verso il nazionalismo e il fascismo. Un'altra parte della storiografia ha rilevato, tuttavia, che l'atteggiamento socialista di opposizione alla guerra era in continuità con il pacifismo e il neutralismo che tale partito aveva già espresso prima e durante il grande conflitto, atteggiamento che era d'altronde largamente condiviso dai suoi elettori e che il partito molto difficilmente avrebbe potuto sconfessare a guerra finita. Peraltro, sia nel 1915 sia nel 1919 l'orientamento neutralista (che fosse di matrice cattolica, giolittiana o socialista) era quello ampiamente maggioritario in Italia, cosicché l'interventismo e il bellicismo finirono per assumere più facilmente un carattere antidemocratico. Due furono, comunque, i principali orientamenti politici nei quali si articolò il movimento degli ex combattenti: uno più radicale, che trovò espressione nell'associazione degli arditi e nei nazionalisti estremisti come D'AnnunzioMarinetti e Mussolini e un secondo orientamento più moderato, rappresentato dalla Associazione Nazionale Combattenti, la quale in politica estera non condivideva lo sciovinismo dei nazionalfascisti mentre in politica interna era piuttosto vicina alle posizioni di Nitti e di Salvemini. Gli ex combattenti furono anche protagonisti, in quegli anni, di importanti lotte sociali, soprattutto nell'Italia meridionale: specialmente in Calabria, in Puglia e nel centro-ovest della Sicilia ebbero luogo rilevanti occupazioni di terre già facenti parti di latifondi, per un'estensione che è stata stimata fra i quarantamila e i cinquantamila ettari nel biennio 1919-20; questi movimenti furono spesso guidati dalle associazioni dei reduci, a differenza dell'Italia settentrionale, dove i moti contadini ebbero prevalente carattere bracciantile e furono perlopiù egemonizzati dai socialisti.

Foto segnaletiche di Benito
Mussolini scattate dalle autorità
svizzere, da: @CorriereBologna.
- Il 21 marzo 1919 Benito Mussolini fonda il Fascio Milanese di Combattimento e i 120 uomini che con lui danno vita al movimento verranno chiamati Sansepolcristi, dal nome della piazza nella quale avvenne la riunione. Mussolini, ormai ex dirigente del Partito Socialista Italiano e convertito alle idee del nazionalismo e dell'interventismo nella prima guerra mondiale, riuscirà a far confluire il confuso insieme di idee, aspirazioni e frustrazioni di una parte degli ex combattenti reduci dalla dura esperienza della guerra di trincea, in un movimento politico che all'inizio ebbe una chiara ispirazione socialista e rivoluzionaria ma che subito si contraddistinse per la violenza dei metodi impiegati contro gli oppositori. In questo clima nasce il fascismo, ufficialmente il 23 marzo 1.919 a Milano. Quel giorno a piazza San Sepolcro, all'interno di Palazzo Castani, sede in quel tempo del Circolo per gli Interessi Industriali, Commerciali e Agricoli della provincia di Milano, i cui locali erano stati presi in affitto, si radunò un piccolo gruppo di circa 120 ex combattenti, interventisti, arditi e intellettuali, che fondarono i Fasci italiani di combattimento. Il programma di questo gruppo fu essenzialmente volto alla valorizzazione della vittoria sull'Austria Ungheria, alla rivendicazione dei diritti degli ex-combattenti, al "sabotaggio con ogni mezzo delle candidature dei neutralisti". Seguì quindi un programma economico-sociale che prevedeva, fra l'altro, l'abolizione del Senato, tasse progressive, pensione a 55 anni, giornata lavorativa di otto ore, abolizione dei Vescovati, sostituzione dell'Esercito con una milizia popolare. Dopo il primo congresso nazionale, tenutosi a Firenze nell'ottobre 1.919, i Fasci italiani di combattimento si presentarono alle elezioni politiche italiane del 1.919, nella circoscrizione di Milano, con una lista capeggiata da Benito Mussolini e Filippo Tommaso Marinetti, senza ottenere alcun seggio, avendo raccolto solo 4.795 voti, su circa 370.000. Le violenze perpetrate dallo squadrismo fascista durante il convulso periodo del biennio rosso in Italia, di cui l'esempio più famoso fu l'assalto all'"Avanti!", costituirono una violenta offensiva contro i sindacati e i partiti di ispirazione socialista (ma anche cattolici), in particolar modo nel centro-nord d'Italia (soprattutto Emilia-Romagna e Toscana), causando numerose vittime nella sostanziale indifferenza delle forze di polizia. Il movimento fu appoggiato anche da diversi personaggi come Dino Grandi, l'unico accreditato competitore di Mussolini per la leadership all'interno del movimento.

Con il trattato di Saint-Germain,
l'Italia ottiene la Venezia Tridentina,
con i territori di Trento e di Bolzano,
il Sud-Tirolo o Alto Adige.
Il 10 settembre 1919, il nuovo presidente del consiglio Francesco Saverio Nitti (antifascista, fu il primo Presidente del Consiglio proveniente dal Partito Radicale Italiano e il primo nato dopo l'unità d'Italia), sottoscrive il Trattato di Saint-Germain, che definiva i confini italo-austriaci, ma non quelli orientali e le parti del Tirolo comprendenti Cortina d'Ampezzo e le odierne Province  Autonome di Bolzano e di Trento furono annesse al Regno d'Italia.

- Il 12 settembre 1919 , alcuni Arditi, ex-combattenti italiani, guidati dal poeta D'Annunziooccupano militarmente la città di Fiume chiedendone l'annessione all'Italia.

- Dal 1.919 e fino al 1.933, in Germania governa la fragile repubblica di Weimar, che vacilla sotto il peso degli indennizzi di guerra richiesti dai vincitori nel trattato di Versailles e la cui debole democrazia non trova una stabilità politica poiché, pur avendo equivoci governi socialdemocratici, è percorsa da moti insurrezionali comunisti con reazioni violente della destra autoritaria. La Germania si era impegnata a pagare 132 miliardi di marchi oro (6.600.000.000 di sterline) ma l'ammontare delle riparazioni venne in seguito ridimensionato con l'accordo sui debiti esteri germanici del 27 febbraio 1953. In data 3 ottobre 2.010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato con il pagamento dell'ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro. L'effetto congiunto di quei debiti con la grande depressione del '29 porterà ad una ossessione di rivalsa della Germania nazista ad essere responsabile anche della seconda guerra mondiale.

Londra, il Parlamento.
- La prima donna eletta al parlamento inglese fu Lady Nancy Astor, nata Nancy Whitcher Langhorne, che era originaria della Virginia (negli USA) ed aveva acquisito la cittadinanza inglese sposando nel 1906, dopo aver divorziato dal primo marito Robert Goul Shaw, il ricco II visconte di Astor, Waldorf Astor. Ella fu eletta nel corso di una votazione suppletiva e fu proclamata deputato per il partito conservatore il 1º novembre 1919. Il movimento femminile aveva come scopo il raggiungimento di una parità rispetto agli uomini non solo dal punto di vista politico ma anche giuridico ed economico. Le donne volevano poter insegnare nelle scuole superiori, l'uguaglianza dei diritti civili, svolgere le stesse professioni degli uomini e soprattutto godere del diritto elettorale o di suffragio, termine dal quale deriva appunto il nome con il quale si era soliti indicare le partecipanti al movimento: suffragette. Le aderenti al movimento utilizzavano diffondere la proprie idee attraverso comizi, scritte sui muri o cartelli con slogan del tipo "Votes for woman" o contenenti frasi inneggianti alla promotrice della rivolta. Spesso queste manifestazioni venivano soffocate con la violenza da parte delle forze dell'ordine e con l'arresto di molte militanti femministe. Durante la prima guerra mondiale, con quasi tutti gli uomini validi mandati al fronte, le donne assunsero molti dei tradizionali ruoli maschili, e questo comportò una nuova considerazione delle capacità della donna. La guerra inoltre causò una spaccatura nel movimento delle suffragette inglesi, con Emmeline e Christabel Pankhurst, ed il loro Women's Social and Political Union, disponibili a sospendere la loro campagna per la durata della guerra, mentre le suffragette più radicali, rappresentata dal Sylvia Pankhurst con il suo Women's Suffrage Federation continuò la lotta. Tuttavia, nonostante le difficoltà e le divisioni, le donne, con le loro organizzazioni, riuscirono ad ottenere ciò per cui lottavano e vinsero così la loro battaglia. Nel 1918 il parlamento britannico approvò la proposta del diritto di voto limitato alle mogli dei capifamiglia con certi requisiti di età (sopra i 30 anni) che furono ammesse al voto politico. Solo più tardi, con la legge del 2 luglio 1928, il suffragio fu esteso a tutte le donne inglesi. 

- In Germania, W. Gropius fonda la scuola di architettura della Bauhaus.

Nel 1.920 - Il 13 giugno 1920 cade il governo Nitti, poiché impotente contro D'Annunzio e si instaura il quinto e ultimo governo Giolitti, che riuscirà a sbloccare la situazione.

Con il trattato di Rapallo, l'Italia
ottiene Trieste e la Venezia Giulia,
Fiume esclusa.
- Il 12 novembre 1920, il liberale Giovanni Giolitti, con il Trattato di Rapallo, raggiunge un accordo con gli jugoslavi: l'Italia acquisirà quasi per intero il litorale ex-austriaco comprendente le città di Gorizia e Trieste col loro circondario, nonché la quasi totalità dell'Istria e le isole quarnerine di Cherso e Lussino. Della Dalmazia promessa col patto di Londra all'Italia andranno la città di Zara, le isole di Làgosta e Cazza e l'arcipelago di Pelagosa. Il resto della regione fu assegnata al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Fiume veniva riconosciuta città indipendente, ma D'Annunzio non riconobbe validità al Trattato di Rapallo giungendo a dichiarare guerra all'Italia: il poeta e la formazione irregolare di Arditi vennero costretti ad abbandonare la città solo dopo un intervento di forza da parte delle forze armate italiane (cosiddetto Natale di sangue della fine di dicembre del 1920).

Espansione, da Ancona, della
rivolta dei bersaglieri ad altre
città d'Italia.
- Durante il biennio rosso italiano, a Fiume, il 20 aprile 1.920 gli autonomisti di Riccardo Zanella, ostili ai legionari dannunziani, con l'appoggio dei socialisti, proclamarono lo sciopero generale. Il 1º maggio, in occasione della festa dei lavoratori furono indetti cortei nelle principali città che in alcuni casi furono dispersi dalla polizia come a Torino e a Napoli. Un nuovo sciopero indetto contro l'aumento del prezzo del pane indebolì il governo Nitti, che si dimise il 9 giugno 1.920 per lasciare il posto all'ottantenne Giovanni Giolitti. Manifestazioni e cortei proseguirono ininterrotti per lungo tempo con vittime sia tra i militari sia tra i manifestanti. Nel marzo 1.920 scoppiarono importanti scioperi, in particolare, presso la Fiat di Torino, il cosiddetto sciopero delle lancette, cosiddetto per l'episodio che diede origine alla vertenza. Gli operai di Torino della FIAT avevano chiesto alla direzione dello stabilimento, in concomitanza con l'entrata in vigore dell'ora legale, di posticipare di un'ora l'ingresso al lavoro. Dopo il diniego da parte della proprietà, la Commissione interna dell'officina Industrie Metallurgiche aveva proceduto, di sua iniziativa, a spostare di un'ora indietro l'orologio della fabbrica. In seguito a ciò, la direzione licenziò tre membri della Commissione interna; gli operai risposero con uno sciopero di solidarietà che, il 29 marzo 1.920, coinvolse tutte le officine metallurgiche di Torino ed al quale gli industriali risposero a loro volta con una serrata, pretendendo, come condizione per riprendere il lavoro negli stabilimenti, che venissero sciolti i Consigli di fabbrica. Lo sciopero generale, indetto alla metà di aprile, coinvolse circa 120.000 lavoratori di Torino e provincia. Tuttavia, tanto la direzione nazionale della CGdL quanto quella del Partito socialista si rifiutarono di dare il loro appoggio al movimento torinese, né vollero estendere la vertenza al resto d'Italia mediante la proclamazione di uno sciopero generale. Inoltre in quei giorni il governo inviò a presidiare la città una truppa di circa 50.000 militari. Isolati a livello nazionale e sotto la minaccia delle armi, gli operai di Torino dovettero capitolare: la vertenza si chiuse con un concordato che prevedeva un forte ridimensionamento dei Consigli di fabbrica. Lo sciopero terminò così il 24 aprile senza che i lavoratori coinvolti avessero visto riconosciute le proprie richieste, fra cui il riconoscimento, da parte degli industriali, dei Consigli di fabbrica. Antonio Gramsci, dalla rivista L'Ordine Nuovo, ammise la momentanea sconfitta: « La classe operaia torinese ha già dimostrato di non essere uscita dalla lotta con la volontà spezzata, con la coscienza disfatta. Continuerà nella lotta: su due fronti. Lotta per la conquista del potere di Stato e del potere industriale; lotta per la conquista delle organizzazioni sindacali e per l'unità proletaria. » (Antonio Gramsci)
Uno degli eventi più significativi di tutto il biennio rosso fu la rivolta dei Bersaglieri che scoppiò ad Ancona nel giugno del 1.920. La scintilla che provocò la rivolta fu l'ammutinamento dei bersaglieri di una caserma cittadina che non volevano partire per l'Albania, dove era in corso una occupazione militare decisa dal governo Giolitti. Al contrario di altre manifestazioni del biennio, la Rivolta dei Bersaglieri fu una vera ribellione armata e coinvolse truppe di varie forze che solidarizzarono con i ribelli; da Ancona la rivolta divampò in tutte le Marche, in Romagna (fino al suo cuore, Forlì), in Umbria (Terni e Narni), in Lombardia (Cremona e Milano) e a Roma. Fu indetto uno sciopero da parte del sindacato dei ferrovieri per impedire che ad Ancona arrivassero le guardie regie e infine il moto fu sedato solo grazie all'intervento della marina militare, intervenuta per bombardare la città.
Le occupazioni, intese come l'inizio di un processo rivoluzionario, non riuscirono a produrre cambiamenti sensibili, soprattutto a causa della mancanza di strategia della classe dirigente socialista e della sua incapacità di diffusione del movimento nel resto della società. Giolitti assunse un atteggiamento neutrale, nonostante le pressioni degli industriali per sgomberare le fabbriche con l'esercito, presumendo che gli operai, non essendo in grado di gestire le fabbriche, avrebbero prima o poi accettato di trattare. Giovanni Giolitti sintetizzò così la sua linea politica nei confronti dell'occupazione delle fabbriche: « Ho voluto che gli operai facessero da sé la loro esperienza, perché comprendessero che è un puro sogno voler far funzionare le officine senza l'apporto di capitali, senza tecnici e senza crediti bancari. Faranno la prova, vedranno che è un sogno, e ciò li guarirà da pericolose illusioni. » (Giovanni Giolitti)
Antonio Gramsci, il cui
cognome, d'origine
albanese era Gramshi.
Del tutto opposta la valutazione offerta, alcuni anni dopo i fatti, da un altro protagonista della vicenda, Antonio Gramsci, il quale affermò che, nei giorni dell'occupazione, la classe operaia aveva dimostrato la sua capacità di autogovernarsi, aveva saputo mantenere e superare i livelli produttivi del capitalismo, e aveva dato prova di iniziativa e di creatività a tutti i livelli; la sconfitta era stata determinata, secondo l'opinione di Gramsci, non da una presunta "incapacità" degli operai, bensì da quella dei loro dirigenti politici e sindacali: «Come classe, gli operai italiani che occuparono le fabbriche si dimostrarono all'altezza dei loro compiti e delle loro funzioni. Tutti i problemi che le necessità del movimento posero loro da risolvere furono brillantemente risolti. Non poterono risolvere i problemi dei rifornimenti e delle comunicazioni perché non furono occupate le ferrovie e la flotta. Non poterono risolvere i problemi finanziari perché non furono occupati gli istituti di credito e le aziende commerciali. Non poterono risolvere i grandi problemi nazionali e internazionali, perché non conquistarono il potere di Stato. Questi problemi avrebbero dovuto essere affrontati dal Partito socialista e dai sindacati che invece capitolarono vergognosamente, pretestando l'immaturità delle masse; in realtà i dirigenti erano immaturi e incapaci, non la classe. Perciò avvenne la rottura di Livorno e si creò un nuovo partito, il Partito comunista. » (1.926, Antonio Gramsci)
La vicenda dell'occupazione delle fabbriche ingenerò rabbia e frustrazione negli industriali, i quali, per quasi un mese, si erano visti spossessati dei propri stabilimenti, e che avevano dovuto alla fine accettare le richieste sindacali operaie, e alimentò i loro propositi di rivalsa, anche nei confronti del governo e dello stesso Stato liberale che (secondo loro) non li aveva sufficientemente tutelati; la classe operaia, invece, subì un contraccolpo psicologico di delusione e di scoraggiamento, in quanto aveva dovuto restituire agli industriali il possesso delle fabbriche senza ottenere alcun reale avanzamento politico. La conclusione della vicenda portò inoltre ad una crisi il Partito socialista, che si divise tra coloro che ritenevano opportuno continuare la lotta e i dirigenti che avevano accettato l'accordo.
In seguito, la pubblicistica del fascismo dipinse l'occupazione delle fabbriche come emblematica di un'epoca di profondo disordine, caratterizzata da gravi e massicce violenze operaie e dal pericolo incombente di una rivoluzione bolscevica, pericolo che, in Italia, sarebbe stato sventato - secondo questa interpretazione - solo dall'avvento al potere di Mussolini. Su questo argomento, abbiamo già visto l'opinione espressa da Gramsci nel 1.926, secondo la quale la rivoluzione fallì solo a causa dell'insipienza dei dirigenti socialisti. Dopo la caduta del fascismo, più di uno storico ha invece negato che l'occupazione delle fabbriche avesse realmente la possibilità di costituire l'occasione di una rivoluzione proletaria vittoriosa.
Nelle elezioni amministrative del novembre 1.920, il Partito socialista italiano ottenne ancora un successo, raggiungendo la maggioranza in 26 dei 69 consigli provinciali e in 2.022 comuni su 8.346; in particolare, la maggior parte delle amministrazioni comunali dell'Emilia e della Toscana furono conquistate dai socialisti. In questi centri i sindaci e gli amministratori socialisti poterono esercitare una serie di importanti funzioni, fra cui l'assistenza sociale, la riscossione e l'impiego dei tributi locali e la gestione dei beni di proprietà del comune. Tuttavia i risultati elettorali del P.S.I. furono meno brillanti di quelli conseguiti nelle elezioni politiche del novembre 1.919. Nelle elezioni amministrative del 1.920 si verificò inoltre la tendenza dei partiti borghesi a coalizzarsi in funzione antisocialista, nei cosiddetti "blocchi nazionali" o "blocchi patriottici" che spesso comprendevano anche i fascisti. Ciò fu indice del crescente orientamento di certi settori della borghesia verso soluzioni apertamente anti-socialiste e autoritarie.
L'avversione della piccola borghesia verso i moti operai era stata alimentata, fra l'altro, dall'atteggiamento di ostilità del partito socialista nei confronti degli ufficiali delle forze armate; questi reduci furono spesso insultati per strada, in quanto ritenuti responsabili dello scoppio della guerra. Ad esempio Piero Operti, che nell'ottobre 1.920 a Torino era insieme ad altri reduci degenti nel locale ospedale, riferisce di aver subito un'aggressione da parte di militanti socialisti; secondo il suo resoconto, le medaglie gli furono strappate e, gettate al suolo, gli furono calpestate. Benché gli episodi di questo tipo fossero in realtà meno gravi e meno frequenti di quanto affermasse la pubblicistica antisocialista dell'epoca, essi contribuirono potentemente ad alienare al P.S.I. le simpatie di vasti strati della piccola e media borghesia, da cui provenivano la gran parte degli ex ufficiali e sottufficiali. Di fatto, verso la fine del 1.920, dopo la conclusione della vicenda dell'occupazione delle fabbriche e dopo le elezioni amministrative, il movimento fascista, che fino ad allora aveva avuto un ruolo piuttosto marginale, iniziò la sua tumultuosa ascesa politica che fu caratterizzata dal ricorso massiccio e sistematico alle azioni squadristiche.
Un tentativo di quantificare i costi, in termini di vite umane, delle agitazioni del Biennio Rosso fu compiuto da Gaetano Salvemini: questo storico, basandosi sulle cronache giornalistiche dell'epoca, calcolò in 65 le vittime complessive delle violenze operaie nel biennio, mentre nello stesso periodo 109 militanti di parte operaia morirono per mano delle forze dell'ordine durante scontri di piazza, e altri 22 furono uccisi da altre persone. La repressione dei moti popolari fu particolarmente cruenta nelle campagne. Sicuramente l'episodio più efferato fu l'eccidio di Canneto Sabino in provincia di Rieti, dove restarono uccisi undici braccianti, tra cui due donne. Il 15 gennaio 1.921 a Livorno si aprì il XVII Congresso Nazionale del Partito socialista che terminò con la scissione della componente comunista che il 21 gennaio diede vita al Partito comunista d'Italia. Tra i fondatori del nuovo partito vi furono personaggi di spicco messisi in evidenza durante i moti come Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci.

- Fondazione della Società delle Nazioni. La Società delle Nazioni, (uno dei 14 punti di Wilson, bocciati dal parlamento degli USA a maggioranza repubblicana) promossa dal presidente statunitense Wilson, tentò di sostituire al vecchio principio dell’equilibrio l’alleanza e la pari dignità di tutti i popoli, cui doveva essere riconosciuto il diritto di autodeterminazione. Essa rimase tuttavia priva di reali poteri e non riuscì a evitare le nuove degenerazioni nazionalistiche dei decenni successivi.

Nel 1.920 - Il 24 aprile, nella conferenza che si tiene nel castello Devachan di Sanremo, i sionisti ottengono la Palestina. Da http://www.ilvangelo-israele.it/news/immagini/ConferenzaSanRemo1922.pdf
"La Conferenza di San Remo", estratto da "The Arab-Israeli Reader", redatto da Walter Laqueur, New York 1.976, versione ridotta del completo Accordo di San Remo.
Sanremo, il castello Devachan.
La Conferenza di San Remo decise il 24 Aprile 1.920 di assegnare il Mandato (per la Palestina) per conto della Lega delle Nazioni alla Gran Bretagna. I termini del Mandato furono discussi anche con gli Stati Uniti che non erano membri della Lega. Un testo convenuto fu confermato dal Consiglio della Lega delle Nazioni il 24 Luglio 1.922 e divenne operativo nel Settembre 1.923. "Il Consiglio della Lega delle Nazioni:
Poiché le principali Potenze Alleate si sono accordate, al fine di dare effetto alle disposizioni dell’Articolo 22 del Patto della Lega delle Nazioni, per affidare a un Mandatario, scelto dalle dette Potenze, l’amministrazione del territorio della Palestina che precedentemente appartenne all’Impero turco entro i confini che potranno essere da loro determinati;
e Poiché le principali Potenze Alleate si sono anche accordate che il Mandatario debba essere responsabile per dare effetto alla dichiarazione originalmente fatta il 2 Novembre 1.917 dal Governo di Sua Maestà Britannica e adottata dalle dette potenze, in favore della costituzione in Palestina di una nazione per il popolo ebreo, essendo chiaramente inteso che nulla dovrebbe essere fatto a pregiudizio dei diritti civili e religiosi delle comunità non-ebree esistenti in Palestina o dei diritti e status politico goduto dagli ebrei in qualsiasi altro paese;
e Poiché con ciò è stato dato riconoscimento alla connessione storica del popolo ebreo con la Palestina e alle basi per ricostituire la loro nazione in quel paese;
e Poiché le principali Potenze Alleate hanno scelto Sua Maestà Britannica come Mandatario per la Palestina; e Poiché il mandato nei confronti della Palestina è stato formulato nei termini seguenti ed è stato sottoposto al Consiglio della Lega per approvazione;
e Poiché Sua Maestà Britannica ha accettato il mandato nei confronti della Palestina e ha cominciato ad esercitarlo per conto della Lega di Nazioni in conformità alle disposizioni seguenti;
e Poiché dall’Articolo 22 summenzionato (paragrafo 8), è previsto che il grado di autorità, controllo o amministrazione da esercitarsi dal Mandatario, non essendovi stato precedente accordo tra i Membri della Lega, sarà definito esplicitamente dal Consiglio della Lega di Nazioni.
Confermando detto Mandato, definisce i suoi termini come seguono:
Articolo 1. Il Mandatario avrà i pieni poteri di legislazione e di amministrazione, fatta salva la loro limitazione derivante dai termini di questo mandato.
Articolo 2. Il Mandatario sarà responsabile per mettere il paese in condizioni politiche, amministrative e economiche tali che assicurino la costituzione della nazione, come disposto nel preambolo e lo sviluppo di istituzioni auto-governanti e anche per la salvaguardia dei diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina, senza distinzione di razza e religione.
Articolo 3. Il Mandatario, fino a quando le circostanze lo permetteranno, incoraggerà l’autonomia locale.
Articolo 4. Un’apposita agenzia ebrea sarà riconosciuta come persona giuridica con lo scopo di consigliare e cooperare con l’Amministrazione della Palestina in questioni economiche, sociali e altre concernenti la costituzione della nazione ebrea e gli interessi della popolazione ebrea in Palestina e, sempre soggetta al controllo dell’Amministrazione, assistere e prendere parte allo sviluppo del paese. L’Organizzazione Sionista, fin tanto che la sua organizzazione e costituzione siano adeguate nell’opinione del mandatario, sarà riconosciuta come tale agenzia. Procederà alla consultazione col Governo di Sua Maestà Britannica per assicurare la cooperazione di tutti gli ebrei disposti a collaborare alla costituzione della nazione ebrea.
Articolo 5. Il Mandatario sarà responsabile per fare in modo che nessun territorio della Palestina sarà ceduto o affittato a, o in qualsiasi modo messo sotto il controllo di un Governo di qualsiasi Potenza straniera.
Articolo 6. L’Amministrazione della Palestina, nell’assicurare che i diritti e la posizione di altre parti della popolazione non siano pregiudicate, faciliterà l’immigrazione ebrea sotto condizioni appropriate e incoraggerà, in co-operazione con l’agenzia ebrea indicata nell’Articolo 4, la prossima sistemazione degli ebrei sulla terra, incluse terre dello Stato e terre incolte non richieste per scopi pubblici.
Articolo 7. L’Amministrazione della Palestina sarà responsabile per decretare una legge sulla nazionalità. Sarà incluso nelle disposizioni di questa legge quadro come facilitare l’acquisizione della cittadinanza palestinese da parte di ebrei che prendano la loro residenza permanente in Palestina.
Articolo 8. I diritti e l’immunità degli stranieri, inclusi i benefici di giurisdizione e protezione consolare precedentemente goduti dalla Capitolazione o uso nell’Impero Ottomano, non saranno applicabili in Palestina. A meno che le Potenze i cui cittadini godettero i summenzionati privilegi il 1 Agosto 1.914, avranno precedentemente rinunciato al loro ristabilimento o si saranno accordate per la loro non applicazione per uno specifico periodo, questi diritti e immunità possono, all’espirazione del mandato, essere riattivati immediatamente nella loro interezza o con modifiche sulle quali si accordino le Potenze interessate.
Articolo 9. Il Mandatario sarà responsabile per fare in modo che il sistema giudiziario stabilito in Palestina assicuri agli stranieri, così come ai nativi, una garanzia completa dei propri diritti. Il Rispetto per la condizione sociale e personale dei vari popoli e comunità e per i loro interessi religiosi sarà garantito pienamente. In particolare, il controllo e l’amministrazione di Waqfs (opere pie a scopo di beneficenza) saranno esercitate in concordanza con la legge religiosa e le disposizioni dei fondatori.
Articolo 10. Pendente la creazione di speciali accordi d’estradizione che si riferiscono alla Palestina, i trattati d’estradizione in vigore tra il mandatario e altre potenze straniere si applicheranno alla Palestina.
Articolo 11. L’Amministrazione della Palestina prenderà le misure necessarie per salvaguardare gli interessi della comunità in riferimento allo sviluppo del paese e, soggetto a qualsiasi obbligazione internazionale accettata dal Mandatario, avrà il pieno potere per provvedere alla proprietà pubblica o al controllo di alcune delle risorse naturali del paese o ai lavori, servizi e utilità pubbliche stabilite o in procinto di essere stabilite. Introdurrà un sistema agrario adatto alle necessità del paese con riguardo, fra le altre cose, alla desiderabilità di promuovere lo stanziamento e la coltura intensiva della terra. L’Amministrazione può trovare un accordo con l’agenzia ebrea menzionata nell’Articolo 4 per costruire o operare, con termini giusti ed equi, qualsiasi lavoro, servizio e utilità pubblica e sviluppare alcune delle risorse naturali del paese, fin tanto che queste questioni non siano intraprese direttamente dall’Amministrazione. Qualunque di tali accordi dovrà prevedere che nessun profitto distribuito da tale agenzia, direttamente o indirettamente, eccederà una tariffa ragionevole di interesse sul capitale e qualsiasi profitto ulteriore sarà da essa utilizzato per il beneficio del paese in modo approvato dall’Amministrazione.
Articolo 12. Al Mandatario sarà affidato il controllo delle relazioni estere della Palestina, e il diritto di emettere exequatur a consoli nominati da Potenze straniere. Avrà titolo anche per la protezione diplomatica e consolare dei cittadini della Palestina quando si trovino fuori dai propri confini territoriali.
Articolo 13. Tutta la responsabilità connessa coi Luoghi Santi ed edifici o luoghi religiosi in Palestina, inclusa quella di preservare i diritti esistenti e di assicurare libero accesso ai Luoghi Santi, edifici e luoghi religiosi e il libero esercizio del culto, assicurate le necessità di ordine pubblico e decoro, è assunto dal Mandatario che sarà responsabile solamente verso la Lega delle Nazioni per tutte le questioni connesse con quanto indicato, statuito che nulla in questo articolo preverrà il Mandatario da raggiungere accordi che possa ritenere ragionevoli con l’Amministrazione allo scopo di rendere effettive le disposizioni di questo articolo; è anche statuito che nulla in questo Mandato sarà determinato che conferisca all’autorità del Mandatario d’interferire con la struttura o la gestione degli edifici sacri solamente musulmani, le cui immunità sono garantite.
Articolo 14. Una Commissione speciale sarà nominata dal Mandatario per studiare, definire e determinare i diritti e le richieste relative ai Luoghi Santi e i diritti e le richieste che si riferiscono alle diverse comunità religiose in Palestina. Il metodo di nomina, di composizione e delle funzioni di questa Commissione sarà sottoposto al Consiglio della Lega per la sua approvazione e la Commissione non sarà nominata o eserciterà le proprie funzioni senza l’approvazione del Consiglio.
Articolo 15. Il Mandatario farà in modo che la completa libertà di coscienza e il libero esercizio di tutte le forme di culto, sottoposte solamente al mantenimento dell’ordine pubblico e dei costumi siano assicurati a tutti. Nessuna discriminazione di qualsiasi genere sarà fatta tra gli abitanti della Palestina in ragione della razza, religione o lingua. Nessuna persona sarà esclusa dalla Palestina per l’unica ragione del suo credo religioso. Il diritto di ciascuna comunità a mantenere le proprie scuole per l’istruzione dei propri membri nella propria lingua, posto che si adeguino ai requisiti didattica di natura generale determinati dall’Amministrazione imporre, non sarà negato o danneggiato.
Articolo 16. Il Mandatario sarà responsabile per l’esercizio della supervisione su istituzioni religiose e di beneficenza di tutte le fedi in Palestina che può essere richiesta per il mantenimento dell’ordine pubblico e il buono governo. Sottoposta a tale supervisione, nessuna misura sarà presa in Palestina per ostruire o interferire con l’attività di tali istituzioni o discriminare qualsiasi loro rappresentante o membro in ragione della sua religione o nazionalità.
Articolo 17. L’Amministrazione della Palestina può organizzare su base volontaria le forze necessarie per la conservazione della pace e dell’ordine, anche per la difesa del paese, soggette comunque alla soprintendenza del Mandatario, ma non le userà per scopi diversi da quelli sopra specificati salvo col beneplacito del Mandatario. A parte tali scopi, nessuna forza militare, navale o dell’aria sarà reclutata o mantenuta dall’Amministrazione della Palestina. Nulla in questo articolo precluderà l’Amministrazione della Palestina dal contribuire alle spese per il mantenimento delle forze del Mandatario in Palestina. Il Mandatario avrà titolo in qualsiasi tempo di usare le strade, ferrovie e porti della Palestina per il movimento delle forze armate e di trasporti di combustibile e approvvigionamenti.
Articolo 18. Il Mandatario farà in modo che non ci sia discriminazione in Palestina contro i cittadini di qualsiasi Stato Membro della Lega delle Nazioni (incluse società incorporate sotto le sue leggi) in comparazione con quelli del Mandatario o di qualsiasi Stato straniero in questioni riguardanti la tassazione, il commercio o la navigazione, l’esercizio di industrie o professioni o nel trattamento di vascelli mercantili o aerei civili. Egualmente non ci sarà discriminazione in Palestina contro beni che provenienti da o destinati ad alcuno di detti Stati e ci sarà libertà di transito sotto condizioni eque attraverso l’area affidata. Soggetta a quanto detto e agli altri provvedimenti di questo mandato, l’Amministrazione della Palestina può, su consiglio del Mandatario, imporre tasse e dazi doganali che possano essere considerati necessari e compiere i passi che si possano ritenere migliori per promuovere lo sviluppo delle risorse naturali del paese e per salvaguardare gli interessi della popolazione. Può anche, su consiglio del Mandatario, concludere speciali accordi doganali con qualsiasi Stato il cui territorio nel 1.914 era interamente incluso nella Turchia Asiatica o Arabia.
Articolo 19. Il Mandatario aderirà per conto dell’Amministrazione della Palestina a qualsiasi convenzione internazionale generale già esistente o che possa essere conclusa in futuro con l’approvazione della Lega delle Nazioni e relative alla tratta degli schiavi, al traffico d’armi e munizioni o al traffico di droga o relativa all’equità commerciale, libertà di transito e navigazione, navigazione aerea e comunicazione postale, telegrafica e senza fili o proprietà letteraria, artistica o industriale.
Articolo 20. Il Mandatario coopererà per conto dell’Amministrazione della Palestina, fino a che le condizioni religiose, sociali e altre lo permettano, all’esecuzione di qualsiasi politica comune adottata dalla Lega delle Nazioni per prevenire e combattere la malattia, incluse le malattie di piante e animali.
Articolo 21. Il Mandatario assicurerà la promulgazione entro dodici mesi da questa data, e ne assicurerà l’esecuzione, di una Legge sulle Antichità basata sulle seguenti norme. Questa legge assicurerà uguaglianza di trattamento nella questione degli scavi e della ricerca archeologica ai cittadini di tutti gli Stati Membri della Lega delle Nazioni.
Articolo 22. L’inglese, l’arabo e l’ebraico saranno le lingue ufficiali della Palestina. Qualsiasi dichiarazione o iscrizione in arabo su francobolli o moneta in Palestina sarà ripetuta in ebraico e qualsiasi dichiarazione o iscrizione in ebraico sarà ripetuta in arabo.
Articolo 23. L’Amministrazione della Palestina riconoscerà i giorni santi delle rispettive comunità in Palestina come giorni legali di riposo per i membri di tali comunità.
Articolo 24. Il Mandatario farà un rapporto annuale al Consiglio della Lega delle Nazioni a soddisfazione del Consiglio per le misure prese durante l’anno in esecuzione delle disposizioni del mandato. Copie di tutte le leggi e regolamentazioni promulgate o pubblicate durante l’anno saranno comunicate col rapporto.
Articolo 25. Nei territori Iying tra la Giordania e il confine orientale della Palestina come deciso in via definitiva, il Mandatario avrà titolato, col beneplacito del Consiglio della Lega delle Nazioni, di posticipare o non applicare le disposizioni di questo mandato in quanto da esso considerate inapplicabili alle condizioni locali esistenti, e di applicare provvedimenti per l’amministrazione dei territori che potrà considerare appropriati a quelle condizioni, purché nessuna azione che sarà presa sia incompatibile con le disposizioni degli Articoli 15, 16 e 18.
Articolo 26. Il Mandatario acconsente che in caso qualsiasi disputa di qualsiasi genere sorgesse tra il Mandatario e un altro Membro della Lega delle Nazioni che si riferisse all’interpretazione o all’applicazione del mandato, tale disputa se non può essere risolta con una negoziazione, sarà sottoposta alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale prevista dall’Articolo 14 dell’Accordo della Lega di Nazioni.
Articolo 27. Il beneplacito del Consiglio della Lega delle Nazioni è richiesto per qualsiasi modifica dei termini di questo mandato.
Articolo 28. Nell’eventualità della terminazione del mandato col presente conferito al Mandatario, il Consiglio della Lega delle Nazioni emetterà le disposizioni che potrà ritenere necessarie per salvaguardare per sempre, sotto garanzia della Lega, i diritti assicurati dagli Articoli 13 e 14, e userà la sua influenza per assicurare, sotto la garanzia della Lega che il Governo della Palestina onorerà pienamente le obbligazioni finanziarie legittimamente sottoscritte dall’Amministrazione della Palestina durante il periodo del mandato, inclusi i diritti dei dipendenti pubblici alle pensioni o gratifiche. Il presente strumento sarà depositato in originale nell’archivio della Lega delle Nazioni e copie munite di certificato saranno spedite dal Segretario Generale della Lega delle Nazioni a tutti i Membri della Lega. Redatto a Londra il ventiquattresimo giorno di Luglio, mille novecento e ventidue".

- In Italia, il 13 giugno cade il governo Nitti, poiché impotente contro D'Annunzio; gli subentra Giolitti. I fascisti sono sconfitti alle elezioni.

- I più lungimiranti intellettuali e politici europei (Stresemann, A. Briand, Benedetto Croce, Thomas Mann) auspicano l’unità politica del continente.

- Iniziano regolari trasmissioni radiofoniche negli Stati Uniti. 

Livorno, il teatro Goldoni, dove si
tenne il 17° congresso socialista.
Nel 1.921 - Il 15 gennaio, a Livorno si apre il XVII Congresso Nazionale del Partito socialista che termina con la scissione della componente comunista che il 21 gennaio darà vita al Partito comunista d'Italia. Tra i fondatori del nuovo partito, vi sono personaggi di spicco, messisi in evidenza durante i moti del biennio rosso, come Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci.

- L'11 giugno, nel suo primo discorso come capo dei fascisti, Mussolini attacca Giolitti e offre alle sinistre un compromesso.

- Il 1° luglio cade il governo Giolitti e gli succede il governo di Ivanoe Bonomi, mentre alla camera i fascisti guadagnano 35 deputati. Bonomi era un ex socialista che da Presidente del Consiglio fu molto acquiescente verso le formazioni paramilitari fasciste, o perlomeno non mostrò fermezza nella loro dispersione, tenendo peraltro una condotta repressiva nei confronti delle formazioni di difesa antifasciste, tra cui gli Arditi del Popolo. Durante il periodo del suo governo, il 2 agosto 1.921 ordinò la soppressione del corpo dei bersaglieri, forse perché durante la prima guerra mondiale avevano subito perdite ingenti o più verosimilmente per la loro rivolta, ad Ancona, nel giugno del 1.920.

- Il 3 agosto viene stipulato il Patto Zaniboni-Acerbo che segna una tregua negli scontri tra fascisti e socialisti.

- Dal 7 al 10 novembre si tiene il Congresso Fascista.

- Il 9 novembre nasce il Partito Nazionale Fascista e viene accantonato il patto Zaniboni-Acerbo.

- Messa a punto della prima telescri­vente, brevettata nel 1846 dallo statunitense Royal Earl House..

Cartina geografica politica dell'Europa nel 1922, dopo la Prima Guerra
Mondiale. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Nel 1.922 - Il 25 febbraio cade il governo Bonomi e gli succede Luigi Facta.

- Il 24 ottobre, il governo Facta non riesce ad arginare lo strapotere delle squadre fasciste; Mussolini dichiara: "O ci daranno il potere o lo prenderemo calando su Roma".

- Il 28 ottobre avviene la Marcia su Roma. Mussolini con i quadrumviri Bianchi, Balbo, De Bono e De Vecchi, guida 14.000 camice nere nella capitale.

- Il 31 ottobre, Mussolini presenta al re la lista dei ministri e il suo governo ottiene la fiducia del parlamento, votato anche dalle forze moderate ed ottiene addirittura l'assenso di Giolitti. Mussolini diventa così il capo del governo in Italia.

- Il 16 novembre, Mussolini tiene alla camera il famoso "discorso del bivacco". « Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto. » (dal discorso di insediamento del Presidente del Consiglio Benito Mussolini, pronunciato il 16 novembre 1922 alla Camera dei Deputati del Regno d'Italia). Le squadre fasciste vengono trasformate nella Milizia Volontaria.

- Fondazione dello stato libero d'Irlanda (Eire).

- Viene pubblicato l'”Ulisse” di J. Joyce.

- Viene isolata l'insulina.


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