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"La scuola di Atene" di
Raffaello Sanzio. In quest'opera
Raffaello rappresenta i grandi filosofi
del passato:
Platone e Aristotele al centro, Diogene
di Sinope
sui gradini ai loro piedi. Nel gruppo
alla destra di Platone,
Socrate che parla con alcuni giovani,
di cui quello con
l'elmo è Alessandro Magno. Epicuro, in
basso a
sinistra consulta un testo retto da un
putto. Alla sua
destra, Averroè con il turbante che
osserva Pitagora,
inginocchiato mentre legge e dietro di
lui l'unica
donna, Ipazia di Alessandria. Dalla
parte opposta, di
spalle con veste gialla, Claudio
Tolomeo che regge il
globo terracqueo e alla sua destra,
Raffaello stesso.
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- Nell'antichità, la
sapienza era riservata
a pochi. Fra
i filosofi dell'antica
Grecia era diffusa la consuetudine di rivolgersi ad un ampio pubblico con insegnamenti essoterici, manifesti, e di
riservare a gruppi ristretti, agli iniziati, gl'
insegnamenti specifici: quelli
esoterici, nascosti ai più. L'aristocratico Pitagora aborriva infatti l'idea di democrazia, anche solo come principio di condivisione delle conoscenze e quando emersero evidenze che scompigliavano l'ordine descritto dai grandi maestri, vennero
tenute nascoste. Il primo caso fu la scoperta, fra i
pitagorici, dei
numeri irrazionali, come ad esempio il rapporto tra la diagonale di un quadrato e uno dei suoi lati, pari alla radice quadrata di 2, valore
non espresso da un numero intero (quindi "perfetto"), ma da un numero con una serie infinita di decimali. La conseguenza fu che
chi avesse
svelato il caso, mettendo in discussione la perfezione della visione pitagorica, potesse essere
ucciso. Altro caso fu il bizzarro movimento dei pianeti nella volta celeste. Probabilmente l'
osservazione e lo
studio degli
astri è la più
antica delle
scienze. L'
Astrologia, da cui sono nate tutte le scienze, ci è giunta dai Caldei (caldeo significa "conoscitore delle stelle"), che si insediarono in Mesopotamia dal 1.500 a.C. e che la ereditarono dai Sumeri, i
primi agricoltori stanziali: solo l'agricoltura infatti, permette ad una popolazione di essere stanziale e articolata in una società complessa, con nuove figure sociali e classi dirigenti assolutiste. L'
oroscopo aiutava quindi gli agricoltori a
prevedere il
tempo meteorologico e i momenti più adatti per le
semine che dessero migliori
raccolti. Dall'Astrologia si originò la ricerca delle affinità fra il mondo sotto il cielo e quello sopra, le cause del moto degli astri e fu
Platone a proporre un modello dei
massimi sistemi comprensibile e caratterizzato da moti uniformi e "perfetti" degli astri, con sfere cristalline, una per ogni pianeta più la luna e le stelle, solide e trasparenti, una dentro l'altra con quella delle stelle all'esterno, che contenevano nella loro rotazione attorno alla Terra, immobile al centro del cosmo, in successione la Luna, poi il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno e da ultima la sfera delle stelle fisse che ruotava però nel senso opposto, come suggerito dalle osservazioni notturne, durante l'anno. Platone riteneva inoltre, giustamente, che la luce mostrata dalla Luna fosse quella riflessa del Sole e confermava gli assiomi pitagorici: 1°) la
circolarità dei moti di tutti gli astri (il cerchio era la figura geometrica che maggiormente racchiudeva i caratteri della perfezione) e 2°) l'
uniformità della loro velocità. Le concezioni astronomiche di Platone erano quindi allineate agli assiomi pitagorici. Platone era tuttavia molto preoccupato di
non potere
spiegare, col suo modello, gli stazionamenti, i moti retrogradi e le variazioni di velocità che venivano riscontrate nell'osservazione dei moti planetari, dovute al sistema solare eliocentrico. Quindi, anche questa informazione era tenuta nascosta e riservata agli addetti, agli iniziati, che erano esortati a scoprire le leggi
che potessero
salvare la sua visione del cosmo, come riporta Eudemo da Rodi, riferito da Platone ai suoi adepti "...trovare con quali supposizioni di movimenti regolari ed ordinati si potessero rappresentare le evidenze osservate nei moti dei pianeti...". Claudio
Tolomeo cercò i motivi di quei fenomeni, ma pur non considerando l'eliocentricità del sistema solare, come invece aveva intuito Aristarco di Samo, trovò delle correzioni da applicare ai calcoli sui moti planetari, che approssimativamente si rivelarono affidabili. Ma mentre di Platone si dice: "grande fu il contributo di Platone all'astronomia perché fu l'oggetto dell'astronomia nei secoli successivi", la comunità scientifica positivista di fine '800 e inizio '900 ha individuato in Tolomeo il capro espiatorio contro il quale dirigere il proprio risentimento per il cammino erroneo percorso dalla scienza astronomica per più di milleduecento anni.
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Ermete Trismegisto, o
Hermes Trimegistus,
dal greco Τρισμέγιστος
«tre volte grandissimo»,
con i simboli di Hermes,
il Mercurio greco.
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Si potrebbe pensare che nell'antichità, la
riservatezza degli
insegnamenti propedeutici ad un'eventuale "illuminazione" da parte degli adepti, o "iniziati", fosse da attribuire alla
volontà da parte di quei maestri, di
selezionare i beneficiari
del loro sapere, preoccupati che la diffusione delle grandi verità potesse essere utilizzata a fini politici e/o militari, come Archimede a Siracusa nelle Guerre Puniche, o economici, come fece Talete con le previsioni astrologiche di un'annata eccezionale per le olive. Probabilmente l'idea diffusa fra i sapienti, era che
solo coloro che cercassero risposte nel mondo spirituale/metafisico potessero essere i depositari del sapere, non comprensibile dalla
massa ignorante
e
incolta, coinvolta in problematiche di ordine materiale, a cui solo la religione trasmetteva un opaco riflesso delle leggi universali. Nelle superstizioni popolari invece, le conoscenze magiche dell'ermetismo affluivano corrotte da interessi materiali, come la convinzione che si potesse tramutare il piombo in oro.
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Ermes Trismegisto in una
rappresentazione nel
pavimento del duomo di Siena.
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L'ermetismo si fa risalire a
Ermete Trismegisto, (Hermes tre volte grandissimo) che per gli Egizi era il dio Thot, colui che portò la scrittura fra le genti, e per gli antichi, ciò che era
scritto era
sacro, così come le tavole della Legge di Mosè sono state considerate scritte da Dio. Per i Greci era Hermes, il Mercurio dei Romani. Probabilmente l'ermetismo è il frutto di un sincretismo di saperi che giunge, attraverso l'antica Babilonia, dall'antico Egitto. A Ermete è attribuita la compilazione della
Tavola Smeraldina, il testo fondamentale degli studi "esoterici" giunti fino a noi: "È vero senza errore e menzogna, è certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per compiere i miracoli della Cosa-Una (unica). Come tutte le cose sono sempre state e venute dall'Uno, per mediazione dell’Uno, così tutte le cose nacquero da questa Cosa Unica per adattamento. Il Sole ne è il padre, la Luna ne è la madre, il Vento l’ha portata nel suo ventre, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il Telesma di tutto il mondo è qui. La sua potenza è illimitata se viene convertita in terra. Separerai la Terra dal Fuoco, il Sottile dal Denso, delicatamente, con grande cura. Ascende dalla terra al cielo e ridiscende in terra raccogliendo le forze delle cose superiori ed inferiori. Tu avrai così la gloria di tutto il mondo e fuggirà da te ogni oscurità. Qui consiste la Forza forte di ogni Forza, perché vincerà tutto quel che è sottile e penetrerà tutto quello che è solido. Così fu creato il mondo. Da ciò deriveranno innumerevoli adattamenti mirabili il cui segreto sta tutto qui. Pertanto io fui chiamato Ermete Trismegisto, (dal greco Τρισμέγιστος «tre volte grandissimo»,
N.d.R.) possessore delle tre parti della Filosofia di tutto il mondo. Ciò che dissi sull’opera del Sole è perfetto e completo.".
Da
http://www.riflessioni.it/enciclopedia/ermetismo.htm: "Secondo i principi dell’
Ermetismo, tutte le cose derivano da una Causa Prima o Unica Virtù, che si differenzia in miriadi di forme, che rappresentano la manifestazione, nell’Universo visibile, della capacità plastica di una materia eterea, primordiale, eterna, dalla quale scaturiscono gli elementi e che gli antichi iniziati chiamarono Etere, sostanza astrale o Quintessenza. Tutto nell’Universo può essere ricondotto all’unità perché, oltre la molteplicità delle forme visibili, non vi è che un Unico Principio, in grado di differenziarsi all’infinito e di riassorbirsi, riconvertendosi in pura essenza e potenzialità. Nelle migliaia di mondi che animano lo spazio infinito, nelle forme armoniose della Natura, come nel corpo dell’uomo, si ripete costantemente la stessa legge, che è legge unitaria perché sottesa dall’esplicazione di una Forza Unica e intelligente, eternamente in azione in quanto al di là di ogni umano concetto di relativo e temporale. La strada che porta alla comprensione dell’essenza dell’uomo passa dunque attraverso l’unitarietà dei fenomeni naturali e, quindi, della sublimazione del molteplice nell’unità sintetica dell’Unica Virtù. Nei
tempi antichi esisteva una comprensione delle leggi naturali molto più grande di quella odierna. Gli dei dell’antico Egitto o dell’Olimpo Greco-Romano non furono che figure simboliche, rappresentanti forze naturali colte in varie fasi del processo di creazione e dissoluzione delle forme visibili, le cui epopee o cicli epici celavano la spiegazione di fenomeni complessi, di segreti non altrimenti raffigurabili per menti semplici e poco avvezze ad elaborazioni astratte, ma straordinariamente sensibili alle suggestioni di immagini antropomorfe che riproducevano, in chiave misterica, le gesta di eroi e dei umanizzati. Il Cristianesimo distrusse gran parte dei tesori della tradizione religiosa, segnando come eresiache le antiche dottrine sacerdotali e trasformando l’uomo, re della terra, nel suddito di un Dio orientale il cui insegnamento, come torrente in piena, corrose la psicologia e la morale di una civiltà decadente, sovvertendo gli antichi valori della vita e sostituendo, all’ideale sublime dell’uomo divinizzato e dominatore della Natura, la concezione di un Dio assurdo che, in cambio di un’ipotetica felicità in una dimensione eterna, pretendeva un’esistenza di rinunce, di sofferenze e di dolore. Quando i successori di Pietro eressero la Chiesa di Cristo sulle macerie dell’Impero Romano, sembrò che anche gli antichi insegnamenti misterici andassero perduti, sepolti sotto il peso intollerabile dei dogmi, liquefatti dal fuoco corrompente dei roghi e dall’intolleranza dei Papi, profanati dall’odio e dal cieco furore di preti psicopatici e ignoranti; mentre l’Europa, fulcro dell’antica civiltà, sprofondava nelle caligini oscure dell’ignoranza e della superstizione. Tuttavia, nel tentativo di creare una liturgia della Chiesa, molti riti e simbolismi pagani, indicanti le verità eterne, vennero introdotti nel Rituale Romano, mentre l’
insegnamento esoterico, trasmesso da pochi Maestri, veniva
reso incomprensibile tranne per coloro che vennero giudicati degni. Nacque cosi l’
Alchimia, che non si proponeva di risolvere un problema chimico bensì spirituale, anche se gli sperimentatori, avidi di ricchezze, ne fraintesero il senso dell’enunciato fondamentale, cercando di convertire il vile piombo in oro, ma obliando che il piombo di cui si parlava non era che la mente dell’uomo; mentre l’oro alchemico non era quello convertibile in moneta sonante, ma l’oro dell’Intelligenza Mercuriale privata di ogni impurità metallica, ovvero del pensiero corrotto da influenze emotive, psicologiche e sensoriali.
I postulati della Scienza Alchemica erano:
- che nella materia tutti i metalli possono convertirsi in altri ed in particolare in oro e in argento;
- che negli uomini i tipi imperfetti possono raggiungere la perfezione;
- che nelle anime le intelligenze inferiori possono trasmutarsi in superiori.
E poiché, come ho detto, l’Universo è Uno (Materia e Spirito), deriva che la legge trasmutatoria alchemica dal meno perfetto al più perfetto, deve potersi applicare sia in alto che in basso, sia nel campo spirituale che materiale, sia nella chimica dei fenomeni terrestri che nell’iperchimica delle trasmutazioni animiche. Di qui i
due triangoli intrecciati del Sigillo di Salomone, che nasconde, in un simbolo apparentemente semplice, un arcano divino di valore universale. Esiste dunque nell’essere umano un'essenza sconosciuta, capace di penetrare tutte le cose, di trasformarsi plasticamente in ogni corpo, espandendosi all’infinito o contraendosi sino all’infinitesimo dell’atomo. Un nucleo originario di sostanza eterea allo stato radiante, vibrante, intelligente, eterna, fondamento dell’essere umano, che gli antichi ermetisti definirono Unica Virtù o
Causa Prima (vedi: la Tavola Smeraldina di Ermete Trismegisto), perché da essa tutte le cose discendono e per essa tutti i prodigi si compiono. Nel Macrocosmo (o Universo) essi la identificarono col Sole, simbolo del Dio misterioso e inconoscibile, forza maschia, attiva e generante, che gli antichi egizi venerarono come Amùn e che inonda la terra coi suoi raggi benefici, animando gli esseri viventi nei tre regni della Natura. Nel corpo umano (o Microcosmo), immagine dell’Universo, la chiamarono Intelligenza Divina incarnata o
Corpo Solare, che sul piano della materia tangibile si manifesta nel corpo fisico o
saturniano, di cui l’aura magnetica, dai colori cangianti, riflette lo stato nelle più sottili e impercettibili emanazioni. Nel cervello l’irradiazione solare genera il Corpo Mercuriale, primo fecondo adattamento della pura intelligenza allo stato di essere incarnato, vero spirito della materia, che attraverso la pura astrazione delle percezioni sensibili costituisce l’essenza di ogni virtù. Nel sistema nervoso neuro-vegetativo dà vita al
Corpo Lunare, plastico, etereo, sensibilissimo, serbatoio immenso di immagini, ricordi, sensazioni, sede inesplorabile dell’inconscio personale e della memoria storica e istintiva, che i centri vorticosi dei
chakra connettono all’Anima del Mondo. Dal Corpo Solare il processo creativo procede inarrestabile dal semplice al complesso, dall’infinitamente piccolo alla materia organizzata, attraverso una serie infinita di trasformazioni, che rappresentano la manifestazione di un’unica legge evolutiva. Mentre al contrario nelle degradazioni della sostanza organica nei suoi componenti elementari, per effetto delle fermentazioni naturali o indotte, è riassunto il processo dissolutivo delle forme visibili, che prelude al ciclico rinnovarsi di ogni cosa in Natura. Ma sia nelle forme degradative che nei processi di sintesi organica; nell’uomo nel pieno vigore della sua forza giovanile, come nella lenta e inesorabile trasformazione senile; in ogni processo naturale, sia nelle reazioni chimiche che nelle modificazioni biologiche, non agisce che un’unica forza, che opera in tutti i corpi modificandoli e determinandone il destino. Questa forza straordinaria e sconosciuta, che gli Iniziati della Caldea e dell’antico Egitto appresero ad utilizzare conoscendone le leggi, è
corrente vitale, è forza ignea intensamente magnetica, movimento vibratorio inarrestabile, che permea la materia, la dinamizza, ne determina e accelera i processi trasformativi. Nella Natura che si risveglia in primavera, segnando di verde i brulli paesaggi invernali; in un fiore che si schiude, nelle trasformazioni minerali, nella divisione delle cellule animali dall’ovulo primitivo all’individuo adulto ed integro; persino nel cadavere, che si decompone nei suoi componenti elementari non agisce che una sola forza, che è corrente di vita, che scorre inarrestabile ed eterna perché anche la morte non è che crisi trasformativa dal vecchio al nuovo e
dal peggio al meglio. Nell’uomo la corrente vitale produce la vita del corpo, la circolazione del sangue e della linfa, la respirazione ed ogni funzione metabolica essenziale. In campo psichico essa induce gli eventi maturativi propri dell’evoluzione psicologica segnando, attraverso la continua creazione e distruzione di idee, di articolazioni logiche, di stati emotivi e la modificazione progressiva dei meccanismi percettivi e di elaborazione sensoriale, la costituzione di un nucleo mercuriale, che rappresenta allo stesso tempo la sintesi dell’esperienza esistenziale e la preparazione all'ulteriore evoluzione dell’anima. Non per questo si potrebbe attribuire alla
corrente vitale una qualsiasi
intonazione morale, per il suo carattere di forza neutra determinante i fenomeni psichici, le cui proprietà sono in rapporto al vissuto individuale ed all'applicazione, ai contenuti dell’esperienza, delle facoltà mentali superiori (volontà, ragione, ecc.). Né sarebbe corretto definirla in termini di forza cieca e irrazionale, atteso che essa agisce in Natura secondo direttrici univoche e costanti potendo, in casi particolari, essere indirizzata verso la produzione di effetti voluti e tangibili. La possibilità di
orientare la corrente vitale rappresenta campo di applicazione dell’
Ermetismo e della
Magia, intesa come la particolare facoltà, conquistata attraverso pratiche di ascensione psichica, a realizzare fenomeni non comuni in campo oggettivo e mentale.
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Ermes Trismegisto in una
rappresentazione nel
pavimento del duomo di Siena.
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L’attitudine a compiere piccoli o grandi prodigi, vera chiave dei poteri spirituali, è uno stato d’essere particolare, di intensa vibrazione interiore o di coscienza alterata, che molti hanno definito intermedio tra la vita e la morte o stato di trance lucida. La capacità di riprodurre a volontà tale stato esaltativo non è innata che in pochi casi, ma si ottiene in lunghi anni di pratiche iniziatiche agenti sul Corpo Lunare o, più rapidamente, impadronendosi del segreto iniziatico dei grandi Maestri, che nasconde un Arcano realizzatore dell’anima capace di trasformare l’uomo in un semi-dio. Un Arcano che gli alchimisti hanno sempre gelosamente custodito, arretrando inorriditi dinanzi alla possibilità di svelarlo, senza mai indicare nelle loro opere elementi concreti per la sua scoperta, anzi occultandolo ulteriormente con minacce di morte e di terribili sciagure per l’incauto che, anche solo intuendone la natura, avesse osato profanarlo. Non vi sono tuttavia ragioni perché il cifrario degli antichi Maestri non debba essere reso comprensibile anche agli uomini moderni, più avvezzi al ragionamento scientifico e meno al linguaggio contorto e ricco di simbolismi astrusi dei vecchi alchimisti, così da consentire loro, se meritevoli, maggiori possibilità di successo. Scriveva
Paracelso, medico e alchimista svizzero del XVI secolo: "La vera
Pietra Filosofale si trova senza dubbio nell'inespugnabile fortezza della verità [...]. Tale pietra sembra vile, disprezzabile ed esecrabile alla gente comune, ma per i filosofi è più preziosa di qualsiasi gioiello [...]. E il cammino della verità, che rigenera e rivitalizza ciò che non esiste più, facendolo tornare ciò che era prima della corruzione, tramuta ciò che non è in ciò che dovrebbe essere.
L'oro dei filosofi che rende ricchi i Saggi
non è certamente l'oro con cui si coniano le monete". L'ermetismo, con i suoi insegnamenti esoterici, giungerà fino ai nostri giorni, rilanciato nel Rinascimento da
Marsilio Ficino, applicato da
Paracelso, che diede vita a una nuova disciplina, la
iatrochimica, da cui deriverà l'
omeopatia e studiato da tanti altri, fra cui
Isaac Newton stesso, accanito studioso, di nascosto, di alchimia: dopo la sua morte fu aperto un baule che teneva chiuso a chiave, pieno di appunti e studi alchemici. Vedi anche
https://culturaprogress.blogspot.com/2020/03/
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Mitra.
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- Negli
anni contemporanei alla
nascita del Cristianesimo, vi erano dei culti con tratti simili al cristianesimo stesso:
- In Iran veniva adorato Mithra, il cui culto seguiva rituali segreti e sacrifici cruenti, i misteri mithraici, riservati ai soli uomini. Nati come culto della vegetazione, si fondavano su due divinità, una delle quali doveva morire per assicurare la fertilità, per poi rinascere. Questo culto fu portato in Italia dai soldati dell'esercito romano nel I secolo a.C., e da qui si propagò nei paesi dell'area germanica, in Gallia, Britannia e Spagna: in Europa trovò enorme fortuna. Il Mitraismo prevedeva nel
25 dicembre il giorno di nascita di
Mitra,
figlio di vergine, che nell'uccisione del toro compiva un
sacrificio che veniva celebrato in cerimonie che prevedevano
pasti comuni.
- L'adorazione del
Sol Invictus, che incarnava nella divinità solare la visione neoplatonica della luce come espressione divina. E' di questi tempi la rappresentazione di un giovane Cristo raggiato, come il sole, alla guida del cocchio solare di Apollo con i 4 cavalli dell'iconografia tradizionale.
- Simon mago,
figlio di vergine,
nato il 25 dicembre, aveva
grandi poteri taumaturgici che esprimeva compiendo miracoli.
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Sol Invictus.
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- Il
cristianesimo non individua più, come nei vecchi culti, le forze della natura come divinità e soprattutto la divinità non è più l'emanazione dello spirito della collettività (nell'antichità ogni gruppo o città aveva una propria divinità), ma è una
via individuale verso una
divinità individualizzata, addirittura
umana. Questa
presa di coscienza dell'
ego individuale scatena una
tensione verso la
salvezza dalla
morte, in cui la
fede procura
certezze non dimostrabili razionalmente, ridisegnando la visione dell'oltretomba degli antichi, che accettavano la mancanza di certezze. Quest'ansia di salvezza in una vita beata ed eterna dopo la morte, ha stimolato il
desiderio di martirio, molto evidente nel Donatismo. La società cristiana dei primi tempi, pur essendo ordinata e compatta, è un organismo senza grandi motivazioni teologiche, visto che il messaggio del Cristo si era mantenuto sulla semplicità, motivazioni che stavano a cuore invece a Saul-
Paolo di Tarso, proteso a contenere nel cristianesimo, oltre agli Ebrei che come doveri religiosi dovevano solamente osservare la Legge della Torah, anche i
Gentili (non-Ebrei) ellenizzati, che andavano
coinvolti con elucubrazioni metafisiche che assicurassero una
vita nell'
aldilà. Per cui,
Paolo di Tarso, in contrasto con Simon Pietro e Giacomo fratello di Gesù,
permetterà ai nuovi convertiti di
evitare la circoncisione, consuetudine della Legge ebraica, a favore del battesimo nell'acqua. Sarà poi
Costantino I che, con il
concilio di Nicea, darà un corpo all'
edificio della Chiesa cristiana.
- I
cristogrammi sono combinazioni di lettere dell'alfabeto greco o latino che formano una abbreviazione del nome di Gesù. Essi vengono tradizionalmente usati come simboli cristiani nella decorazione di edifici, arredi e paramenti. Alcuni cristogrammi sono nati come semplici abbreviazioni o acronimi, anche se sono diventati successivamente dei monogrammi, cioè dei simboli grafici unitari. Altri, come il notissimo Chi Rho, sono stati pensati sin dall'inizio come monogrammi.
I principali cristogrammi sono:
- il Titulus crucis INRI, un acronimo ottenuto dalla frase latina Iesous Nazarenus Rex Iudaeorum, che significa: Gesù di Nazaret, re dei giudei.
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Moneta di Magnenzio (350-353)
con al rovescio il crismon Chi Rho.
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- il Chi Rho o per antonomasia monogramma di Cristo (nome abbreviato talora in chrismon o crismon). Esso è un monogramma costituito essenzialmente dalla sovrapposizione delle prime due lettere del nome greco di Cristo, X (equivalente a “ch” nell'alfabeto latino) e P (che indica il suono “r”). Alcune altre lettere e simboli sono spesso aggiunti.
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Significato del cristogramma
ICHTHYS, che in greco
significa "pesce".
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- ΙΧΘΥΣ o ICHTHYS (che letteralmente significa “
pesce” in greco) è un acronimo formato con le iniziali della frase greca: “Gesù Cristo, figlio di Dio, salvatore”. Le lettere sono normalmente accompagnate o addirittura sostituite dal
disegno (stilizzato) di un pesce.
- ICXC è un acronimo ottenuto dalla prima ed ultima lettera delle due parole Gesù e Cristo, scritte secondo l'alfabeto greco (ΙΗΣΟΥΣ ΧΡΙΣΤΟΣ -si noti che la lettera finale sigma viene scritta nella forma lunata che ricorda la lettera latina C). Compare molto spesso sulle icone ortodosse, dove il monogramma può essere diviso: "IC" nella parte sinistra dell'immagine e "XC" nella parte destra. Il tratto orizzontale solitamente sovrascritto alle lettere è un segno paleografico per indicare un'abbreviazione.
- il trigramma di Bernardino da Siena, IHS o Nome di Gesù. È formato da tre lettere del nome greco di Gesù (ΙΗΣΟΥΣ) . Ne esiste anche la variante IHC, sorta per la somiglianza fra la lettera latina “C” e la diffusa forma lunata della lettera greca sigma. Il trigramma era inizialmente una abbreviazione greca, poi venne interpretato come un acrostico latino e spesso arricchito di altri particolari grafici (la croce e il sole) e utilizzato come monogramma. Esso è caratteristico dei cristiani occidentali.
- Nel primo periodo della cristianità, a giudicare dallo studio delle catacombe,
il simbolo della croce, graffiato nel tufo o tracciato con il colore,
si trova abbastanza di rado e gli storici ritengono che la croce fu rappresentata solo quando questo strumento di tortura non venne più utilizzato a tal fine. Esso è certamente meno frequente degli altri simboli della Cristianità come il pesce, i pani o l'ancora. Più diffuso si ritiene esser stato l'uso della "crux dissimulata", ottenuta ad esempio, interponendo la lettera "tau" maiuscola (T) al centro del nome del defunto.
Dal 92 -
Traiano continua la
penetrazione romana nell'
area germanica degli
Agres decumates, sia come governatore della Germania superiore (attorno agli anni 92-96), sia come imperatore (tra il 98 ed il 100) con l'avanzamento oltre il fiume Reno verso est, fino al cosiddetto
limes di Odenwald, tratto di frontiera che collegava il fiume Meno presso Wörth, con il medio Neckar a Bad Wimpfen. Il successore Adriano, contribuì all'avanzamento lungo il cosiddetto
limes dell'Alb.
- Dopo secoli di ininterrotta dominazione romana, l'
Hispania ne aveva assorbito totalmente la cultura latina, ne aveva adottato la lingua, i costumi e le leggi, acquisendo un'importanza fondamentale all'interno dell'Impero romano, tanto da dare i natali a due imperatori: Traiano e Teodosio I (mentre sulla nascita ispanica di Adriano sussistono seri dubbi) e ad alcuni importanti scrittori, fra cui Seneca e Marziale.
- L'apocalisse del Nuovo Testamento della scuola evangelica giovannea, scritta in esilio nell'isola greca di Patmos durante una delle persecuzioni dei cristiani, probabilmente quella di Domiziano (intorno al 95 d.C.), alludeva però a Nerone come Anticristo. Secondo molti studiosi infatti, la persona rappresentata dal citato "Numero della Bestia" altri non è che il multi-gramma di gematria ebraica attribuibile all'imperatore Nerone, autore della persecuzione nella quale morirono sia Pietro che Paolo. Come in greco antico, così anche in alfabeto ebraico i numeri venivano scritti usando le lettere, secondo, appunto la cabala ebraica. Se quindi si utilizzano le consonanti ebraiche del nome QeSaR NeRON si ha: Q (qof) = 100, S (sameckh) = 60, R (resh) = 200, N (nun) = 50, R (resh) = 200, O (waw) = 6, N (nun) = 50 che sommate, danno appunto 666. Una sola nota merita la vocale O che è in realtà legata alla consonante W che è una mater lectionis, cioè una consonante che serviva a evitare equivoci nella lettura.
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Domiziano: Musei Capitolini, Roma, da QUI. |
Nel 96 -
Assassinio di
Domiziano (Roma, 24 ottobre 51 - Roma, 18
settembre 96), ultimo imperatore della dinastia flavia dall'81, che si era reso estremamente
impopolare per le sue tendenze autocratiche, spezzando l'illusione, creata da Augusto, che l'imperatore fosse solo un
primus inter pares, cioè il primo fra uguali. Quale censore a vita espulse dal Senato a più riprese gli elementi a lui sfavorevoli, determinando una forte situazione di attrito. Ai tentativi di congiura scoperti rispose sempre con fermezza, emettendo numerose condanne a morte che colpirono anche personaggi in vista dell'aristocrazia. Ciò non fece che accelerare i tentativi del Senato di
sopprimerlo, individuando infine un
liberto che aveva accesso alla sua corte come esecutore materiale e l'anziano senatore Marco Cocceio
Nerva quale suo
successore. A Domiziano venne inflitta la
damnatio memoriae, con la distruzione di ogni immagine, iscrizione o dedica che lo potesse ricordare ai posteri. Inizia così l'Età degli
Imperatori adottivi fino al 180 d.C., periodo che inizia con Marco Cocceio Nerva, un senatore già anziano, tradizionalista e uomo di cultura considerato affidabile dall’aristocrazia.
Nerva è nominato imperatore il 18 settembre del 96 d.C., lo stesso giorno in cui il
senato assassinava per mano di un liberto l’imperatore
Domiziano. Dopo un secolo di successioni confuse o addirittura tragiche, con imperatori designati dal principe in carica in quanto suoi famigliari, o dall’esercito o dal senato, il
principio dell’
adozione fornisce finalmente un criterio certo e trasparente per regolare le successioni. Con il principio dell’adozione, il principe in carica adotta il suo successore con l’approvazione del senato, scegliendolo in base alle
qualità e ai
meriti. Con la loro mentalità pragmatica, i romani avevano infine accettato che, se un principe doveva esserci, almeno fosse l’
optimus princeps, il
principe migliore possibile, la persona più adatta a guidare lo stato. Un uomo moderato, giusto, prudente, equilibrato; attento agli interessi dello stato più che ai suoi; pronto a favorire la concordia e a stroncare le lotte di fazione; severo ma anche amorevole verso il suo popolo, come un padre; devoto agli dèi; non desideroso di essere considerato un dio, ma orgoglioso di venire divinizzato dopo la morte per aver ben governato. Nessun imperatore, naturalmente, poté incarnare appieno questo modello ideale: ma è certo che iniziò in questi anni il
periodo più florido e
pacifico della vita dell’
Impero.
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Nerva: Museo Romano- Germanico di Colonia, foto di Carole Raddato da QUI. |
Così, tra il 96 e il 180 d.C. si succederanno le grandi figure di
Nerva (96-98),
Traiano (98-117) con cui l’impero si ingrandisce raggiungendo la sua
massima espansione,
Adriano (117-138),
Antonino Pio (138-161) e
Marco Aurelio (161-180). Con
Commodo, figlio di Marco Aurelio, si
ripristina il
principio dinastico. L’Età degli Imperatori adottivi è il
periodo più
grandioso dell'impero romano poiché gli imperatori perseguiranno una politica di riconciliazione con il senato e le varie forze politiche e sociali di Roma, mirando ad una riorganizzazione dell’amministrazione imperiale.
- Nel
96 Marco Cocceio
Nerva Cesare Augusto (Narni, 8
novembre 30 - Roma, 27 gennaio 98), meglio conosciuto semplicemente
come Nerva, è
imperatore romano, primo degli imperatori
adottivi, dal 18 settembre 96 fino alla sua morte avvenuta nel 98, è
ricordato come uno dei migliori imperatori di Roma.
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Traiano: Museo Archeologico di Venezia, foto di Carole Raddato da QUI. |
Nel 98 - Marco Ulpio Nerva
Traiano
(Italica, antica città della Spagna romana vicino all'attuale
Siviglia, primo insediamento di romani e italici nella penisola
iberica, 18 settembre 53 - Selinunte in Cilicia, 8 agosto 117) è
imperatore romano dal 98 al 117.
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Cartina dell'Impero Romano da Ottaviano
Augusto a Tiberio, Claudio, Vespasiano e
Domiziano fino a Traiano, che nel 117 d.C. lo portò alla sua
massima estensione.
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Nacque in provincia,
provenendo da una colonia di Italici denominata Italica nella
Hispania Bætica (attuale Andalusia, Spagna) dove la Gens Ulpia di
cui faceva parte si era trasferita dall'Umbria, in particolare da
Todi. Valente militare e popolare comandante, venne adottato da Nerva
nel 97, succedendogli due anni dopo. Esaltato già dai contemporanei
e ricordato dagli storici antichi come “
Optimus princeps”
ovvero il migliore tra gli imperatori romani, da molti storici
moderni ed esperti è considerato, in virtù del suo operato e delle
sue grandi capacità come generale, amministratore e politico, come
uno degli statisti più completi e parsimoniosi della storia e uno
dei migliori imperatori romani. L'impero di
Traiano porterà l'
Impero Romano alla sua
massima estensione nel
117.
- Nel 98 lo
storico romano Tacito scrive "De origine situ
germanorum", dove riporta i risultati delle "interviste" che aveva fatto ai soldati romani di ritorno dai territori in cui erano insediati i Germani, le cui tribù incontrate dalle legioni romane erano state 40 e più. Tacito era così venuto a conoscenza che le tribù dei germani discendevano
dai tre grandi ceppi provenienti dall'Oceanus
Germanicus (il mare del Nord), dal Suevicum (territori
limitrofi al mar Baltico) e dal Cimbrico (lo Jutland,
nell'attuale Danimarca), mentre le antiche migrazioni germaniche erano avvenute lungo
due grandi direttrici, dalla Scandinavia a sud-ovest verso il
Reno e a sud verso il Danubio. I popoli germanici erano chiamati dai Romani "Germani" poiché una delle prime tribù che conobbero e che sconfissero era quella dei Jerman, proveniente dalla penisola dello Jutland e scesa verso il Danubio superiore, ai confini dell'Impero romano, insieme ai Suebi (genericamente chiamati Marcomanni), Cimbri, Ambroni e Teutoni. Noi sappiamo poi che i i Germani entrarono in contatto con le civiltà celtiche che si erano diffuse in Europa fin dal 1200 a.C. con l'età del ferro (cultura di Golasecca, poi Hallstatt e Nauchâtel). I Celti abitavano l'Italia settentrionale, alcune zone del nord ispanico e i territori intorno ai fiumi Mosa, Reno, Meno, Marna e il territorio dello Champagne: tutti queste popolazioni celtiche erano chiamati dai Romani "Galli". Altri gruppi celtici dominarono invece l'intero corso del Danubio, dalle sorgenti in Svevia fino al Mar Nero mentre i Celti Galati andarono in Asia Minore, prima come soldati di Filippo il Macedone e poi del figlio, Alessandro Magno. A causa delle migrazioni germaniche dal nord Europa, iniziate nel 700 a.C., un buon numero di Celti furono cacciati dai loro insediamenti nel centro europeo, come i Boi che erano prima in Boemia e poi in Baviera (Baiovara), rimasti nei toponimi di quelle regioni, per cui di Celti ne rimarranno in Italia Settentrionale, alcuni fondendosi con gli antichi Liguri, in Francia, nella Galizia iberica, in tutta la Britannia (Scozia inclusa) e Irlanda. Ai tempi di Tacito, i Germani erano ormai diventati agricoltori stanziali e lo storico romano, come già Cesare prima di lui, si occupava esclusivamente dei "Germani occidentali", che sono dunque i primi a essere descritti dettagliatamente dalla storiografia. Tacito testimonia che inizialmente questi Germani non erano interessati ai territori romani. Ogni tanto sommovimenti generati all'interno o indotti da pressioni esterne convogliavano l'aggressività di queste tribù guerriere verso i confini dell'Impero romano, che suscitava in loro cupidigia ma anche paura e riverenza. Ma l'Impero era troppo forte e le tribù troppo deboli per potere consolidare quelle incursioni in vere e proprie campagne militari. Le incursioni erano piuttosto i Romani a effettuarle nelle terre barbare, con risultati terrorizzanti. Fu solo tra il II e il IV secolo che, spinti dalle tribù di nomadi delle steppe che, superiori militarmente, ne occuparono i pascoli, i Germani iniziarono a premere verso i confini dell'Impero. Sappiamo che a partire dalle campagne di Druso, (Nerone Claudio Druso, 39 - 9 a.C., conosciuto come Druso maggiore, militare e politico romano appartenente alla dinastia giulio-claudia in quanto figlio della terza moglie di Augusto, Livia Drusilla e fratello minore di Tiberio) la popolazione dei germani Sicambri (o Sigambri) aveva cominciato a fornire truppe ausiliarie all'interno dell'esercito romano. Sono citate le seguenti unità: I Claudia Sugambrorum tironum veterana, che fu prima in Mesia sotto Vespasiano (nel 77), poi in Mesia inferiore sotto Domiziano (nel 91), Nerva (nel 96-98) ed ancora sotto Antonino Pio nel 139 e nel 145. La troviamo in Siria nel 157; della II e III Sugambrorum se ne ipotizza l'esistenza in base alla presenza della IV; la IV Sugambrorum si trovava in Mauretania Caesariensis sotto Traiano nel 108. Dal 26 gli storici non li citano ma sembra che possano essere affluiti nella federazione dei Franchi. Secondo alcune fonti (fra cui Fredegario) i Franchi Sicambri, che discendevano, attraverso l'Arcadia, dalla tribù israelitica di Beniamino, sarebbero stati gli antenati dei Merovingi.
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La Germania Magna nel 98.
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- Gli
Slavi orientali, dell'Europa orientale (stanziati nel bacino del Dnepr centrale e superiore e distinti dagli Slavi occidentali, i Venedi-Sclavini) conosceranno tardi la differenziazione di ceti e classi. Fino al I sec. d.C. tra loro si conserverà un sistema comunitario non molto diverso da quello di mille anni prima. Infatti soltanto nel
I-
II secolo si formano le
grandi famiglie patriarcali, proprietarie di tutti gli strumenti produttivi e in grado di avvalersi del servizio di forze schiavili, per quanto ancora nel VI sec. il diritto comune proibiva l'asservimento di propri connazionali, sicché si deve pensare che tali schiavi o erano nemici catturati in battaglia o venivano comprati sui mercati esteri dalle famiglie più facoltose. Nell'Europa centrale furono soprattutto le
tribù Slave nella
Germania nord-orientale che, a seguito della disgregazione progressiva della comunità primitiva, si dedicarono ampiamente ai commerci con l'impero romano, la Scandinavia e l'Europa orientale.
- Sàrmati e Romani non ebbero sempre rapporti pacifici e anzi spesso si fronteggiarono in lunghe guerre fin dai tempi di Augusto. Sul finire del I secolo-inizi del II d.C., Roxolani e Iazigi (alleati per tutto il I secolo d.C. di Roma) si schierarono contro i Romani con i Daci per difendere questi ultimi da Traiano che intendeva conquistarne i territori, e fu proprio Traiano a sconfiggerli durante la campagna. I Sàrmati erano un popolo iranico e quindi, come gli Sciti, facevano parte della famiglia linguistica iranica (famiglia linguistica indoeuropea). Aperti alla cultura e alla religione persiana, si dividevano probabilmente in quattro tribù: Iazigi, Roxolani (o Rossolani), Aorsi e Alani. In origine abitavano le steppe lungo il Volga, le regioni pedemontane degli Urali meridionali e la steppa del Kazakistan occidentale. Nei loro territori d'origine essi si scontrarono con i Battriani, i Parti e i Sogdiani. In diversi periodi e a diverse ondate essi si spinsero verso occidente.
Nel 115/117 - Seconda
guerra giudaica o Guerra di Kitos (Rivolta contro Traiano). La
maggioranza dei rabbini e della popolazione aveva accettato la
sottomissione a Roma come fase transitoria e necessaria in quanto
voluta da Dio in preparazione dell’avvento dell’età messianica,
mentre in una produzione letteraria fra il 70 e il 135 d.C., fra cui
l’Apocalisse di Baruc e il Quarto libro di Esdra, ci si interrogava
sulla distruzione del Tempio e sul suo significato, con allegorismi
vari, fra cui la lotta fra il Leone e l'Aquila, in cui il
leone è il Messia e l’aquila che soccombe è l’Impero Romano.
Questo accumulo di tensione sfociò nella grande rivolta tra il 115 e
il 117 d.C., che coinvolse numerose e importanti comunità giudaiche
in Egitto, Cirenaica, Cipro e Mesopotamia. Essa colse di sorpresa le
autorità imperiali e lo stesso imperatore Traiano, che usò la mano
pesante nei confronti dei Giudei della Mesopotamia, volendoli punire
in modo esemplare. Anche la Giudea, pur non avendo partecipato alla
rivolta, ebbe dei contraccolpi. Il controllo del territorio venne
rafforzato con lo stanziamento di un secondo contingente permanente.
Nel 116 - Mentre era in Cilicia
preparando un'altra guerra contro la Partia, Traiano, che
spesso cavalcava sotto la pioggia esponendosi agli stessi disagi dei
soldati, si ammala. La sua salute declinerà durante la primavera del
117, forse a causa di un colpo apoplettico o di una malattia
infettiva contratta in Mesopotamia, finché l'8 agosto muore a
Selinunte, in Cilicia (odierna Gazipaşa, in Turchia), per un edema
polmonare o un infarto cardiaco causatogli dalla sua malattia. Non è
certo che abbia effettivamente nominato Adriano suo successore,
ottimo governante ma di cui conosceva le differenze caratteriali
rispetto a sé. La moglie Plotina dovrebbe comunque avere contribuito in qualche modo alla sua elezione a imperatore se Traiano lo avesse effettivamente adottato in punto di morte.
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Adriano: Museo delle Terme, Roma. Foto di Livioandronico2013 da QUI. |
Nel 117 - Publio Elio Traiano
Adriano, noto semplicemente come Adriano (Italica, antica
città della Spagna romana vicino all'attuale Siviglia, primo
insediamento di romani e italici nella penisola iberica, 24 gennaio
76 - Baia, frazione di Bacoli, comune della città metropolitana di
Napoli e parte dei Campi Flegrei, 10 luglio 138), è
imperatore
romano della dinastia degli imperatori adottivi dal 117 alla sua
morte. Successore di Traiano, fu uno dei "buoni imperatori"
secondo lo storico Edward Gibbon. Colto e appassionato ammiratore
della cultura greca, viaggiò per tutto l'impero e valorizzò le
province. Fu attento a migliorare le condizioni dei militari e, essendosi recato lungo la frontiera germano-retica degli
Agri Decumates, contribuirà all'avanzamento del
limes con la costruzione della
linea dell'
Alb, a sud di Stoccarda e a nord dei monti
dello Schwäbische Alb, le Alpi sveve, da Rottweil verso Lautlingen,
Burladingen,Gomadingen, Donnstetten, Ursprig, Heidenheim, Lauchheim,
Oberdorf, Dambach, Theilenhofen, Ellingen, Ober-hochstatt, Pförring,
dotandolo di
torri di
guardia paragonabili a quelle del
limes del Taunus-Wetterau-Odenwald, con la costruzione di numerosi forti in pietra, oltre al consolidamento di quanto fatto dai suoi predecessori. Vedi anche "Romani e Germani - I - Dall'antichità al limes degli Agri Decumates nella Germania romanizzata"
QUI.
Nel 122 -
In
Britannia viene eretto il
Vallo di Adriano per contenere gli assalti dei Celti (in particolare i Pitti).
Nel 131/136 - Dopo varie
ritorsioni, l'Imperatore Romano Adriano rinomina Gerusalemme "Aelia
Capitolina" e proibisce la circoncisione. Simon Bar Kokheba (Bar
Kochba) capeggia gli ebrei nella terza guerra Giudaico-Romana,
vasta rivolta ebraica contro Roma come reazione contro le azioni di
Adriano. In seguito, la maggior parte della popolazione ebraica è
annientata (circa 580.000 morti) e Adriano rinomina la provincia di
Giudea "Syria Palaestina" intendendo cancellare il
nome di Iudea sostituendolo con quello che deriva dal greco
"Phalastine" e sta ad indicare la "terra dei Filistei"
e tenta di sradicare l'Ebraismo. Sarà l'ultima rivolta, che vedrà, con la capitolazione di Masada, la fine delle ribellioni contro Roma e il completamento dell'espulsione del popolo Ebraico dalla Palestina. La tragedia dell'epoca di Adriano
segnò per i Giudei la fine del sogno di uno stato indipendente e il
rinvio definitivo dell'arrivo di un Messia. La realizzazione di
questa aspirazione coincide con la nascita del sionismo
nell'Ottocento e alla proclamazione dello stato di Israele nel 1948.
- Visto che la corruzione sessuale dei costumi si stava diffondendo sempre più, l' imperatore romano dal 117 al 138 Adriano (Italica, 24 gennaio 76 - Baia, 10 luglio 138), che pur amava sinceramente il ragazzo Antinoo, in linea con la cultura greca dove la componente omosessuale aveva radici profonde, promulga leggi severe per ostacolare tale corruzione.
Nel 138 - Adriano muore nella sua residenza di Baia di edema polmonare, a 62 anni come il predecessore Traiano. Cassio Dione Cocceiano riporta in un brano della "Storia romana": «Dopo la morte di Adriano gli fu eretto un enorme monumento equestre che lo rappresentava su una quadriga. Era così grande che un uomo di alta statura avrebbe potuto camminare in un occhio dei cavalli, ma, a causa dell'altezza esagerata del basamento, i passanti avevano l'impressione che i cavalli ed Adriano fossero molto piccoli.». In realtà non è certo che il monumento funebre sia stato iniziato dopo la morte dell'imperatore e molto probabilmente fu iniziato da Adriano nel 135 e, dopo la morte, terminato dal successore, adottato ufficialmente prima di morire, Antonino Pio. La struttura fu, nei secoli, trasformata ripetutamente e oggi è uno dei monumenti più famosi di Roma: Castel Sant'Angelo, che è infatti anche denominato Mole Adriana. Esistono teorie secondo cui il sarcofago in porfido dell'imperatore (in particolare il coperchio) sia stato riutilizzato come vasca del fonte battesimale di San Pietro in Vaticano. In merito alla sua divinizzazione postuma, voluta dal suo successore Antonino Pio, si oppose fieramente tutto il senato, che non aveva dimenticato come Adriano avesse diminuito l'autorità dell'assemblea e ne avesse mandato a morte alcuni membri. Alla fine si giunse ad un compromesso: il senato non si sarebbe opposto alla divinizzazione del defunto imperatore se Antonino avesse abolito l'organo di governo dell'Italia formato da quattro giudici circoscrizionali, i consulares («consolari», cioè ex consoli), o legati Augusti pro praetore («delegati di Augusto con comando ‘propretorio’»), con funzioni giurisdizionali in Italia, funzioni che erano state appannaggio dell'ordine senatorio.
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Busto di Antonino Pio conservato a Monaco di Baviera. |
- Nello stesso 138 Cesare Tito Elio Adriano
Antonino Augusto
Pio, nato come Tito Aurelio Fulvo Boionio Arrio Antonino (Lanuvio, 19 settembre 86 - Lorium, 7 marzo 161), è eletto
imperatore romano fino al 161. Imperatore saggio, l'epiteto
pius gli venne attribuito per il sentimento di amore filiale che manifestò nei confronti del padre adottivo che fece divinizzare. Il suo principato è stato caratterizzato da
pace interna e
floridezza economica, mentre l'unico fronte in movimento era in Britannia, dove Antonino avanzava oltre il Vallo di Adriano, facendo erigere un altro vallo più a nord, che però fu abbandonato dopo solo vent'anni dalla sua costruzione. Antonino mantenne sempre un
atteggiamento deferente verso il
senato, amministrò saggiamente l'impero evitando sperperi e non avviò nuove costruzioni importanti o riforme urbanistiche. Fu attento alle tradizioni religiose senza però perseguitare i culti non ufficiali. In questo periodo l'impero ottenne il pieno
consenso delle élite cittadine e delle province, che beneficiavano ampiamente della
Pax Romana.
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Valli di Adriano e Antonino. |
Nel 142 - Costruzione in Britannia del Vallo di Antonino, iniziata nel 142 (sotto Antonino Pio imperatore) e completata nel 144. Il vallo si estendeva per 39 miglia (pari a 63 chilometri) da Old Kirkpatrick nel West Dunbartonshire sul Firth of Clyde a Bo'ness sul Firth of Forth. La fortificazione fu costruita per rafforzare il Vallo di Adriano, posto 160 km più a sud come confine settentrionale della Britannia. I romani, anche se riuscirono a insediare accampamenti e fortilizi temporanei a nord del vallo, non arrivarono mai a conquistare e sottomettere le tribù indigene celtiche, in particolare i Pitti, che resistettero ed infersero danni alla fortificazione.
Dal 145 - Durante il principato di
Antonino Pio (precisamente negli anni 145/146) molte delle
torri e dei
forti in legno disposti lungo il
limes germanico sono ricostruiti interamente in
pietra mentre
avanza il
limes stesso degli
Agri Decumates di oltre 30 km ad est della precedente linea dell'Odenwald-Neckar, con una
linea statica di uomini nelle
fortificazioni detti appunto limitanei dal termine latino
limes.
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Carta degli Agri Decumates nel 90, sotto Domiziano. |
Gli Agri Decumates o Decumates Agri erano una regione della provincia romana della Germania superior, comprendente l'area della Foresta Nera tra il fiume Meno, le sorgenti del Danubio e il corso del Reno superiore fra il lago di Costanza e la sua confluenza col Meno, e corrispondente all'odierna Germania sud-occidentale (Wurttemberg, Baden e Hohenzollern). A sud-est i Decumates confinavano con la Rezia, provincia importante dal punto di vista militare. L'unica testimonianza antica del nome Agri Decumates proviene dal "De origine et situ Germanorum" di Tacito. Il significato della parola "decumates" è andato perduto ed è oggetto di contesa. Secondo lo storico britannico Michael Grant si riferiva probabilmente all'antico termine celtico indicante la suddivisione politica dell'area in "dieci cantoni", d'altra parte i Romani ridisegnavano il territorio conquistato attraverso il sistema della centuriazione, ossia la suddivisione del territorio in lotti atti ad essere lavorati da cento famiglie di coloni, a loro volta suddivisi da decumani, vie che delimitavano gli spazi ogni dieci famiglie. L'ager centuriatus veniva tracciato dall'agrimensore, che individuava l'umbilicus agri, cioè il punto in cui si sarebbero incrociati due assi stradali perpendicolari tra loro: uno era generalmente in direzione est-ovest ed aveva il nome di "decumano massimo" (in latino, decumanus maximus), che collegava quindi le due porte dell'insediamento in direzione est-ovest, la dextera e la sinistra, mentre il secondo asse correva in direzione nord-sud ed era detto "cardo massimo" (cardo maximus), per cui l'insediamento romano risultava così diviso in quattro parti chiamate quartieri, termine che in seguito ha assunto il significato di nucleo con proprie caratteristiche storiche e geografiche all'interno di un agglomerato urbano. Di regola, all'incrocio delle due direttrici principali si trovava il forum, ossia l'agorà, la piazza principale della città. In particolare, per quanto riguarda le fondazioni di insediamenti coloniali, il territorio era suddiviso in appezzamenti in cui ciascun lotto costituiva il fondo per cento famiglie di coloni (da cui il motivo del termine "centuriazione"), delimitato da cardi paralleli al cardo maximus e ogni dieci famiglie da un decumanus (variante di decimanus, derivato di decĭmus, "decimo"), "la strada della decima parte", parallelo al decumanus maximus. Per ragioni pratiche, l'orientamento degli assi non sempre coincideva con i quattro punti cardinali e a volte si basava sull'orientamento di vie di comunicazione preesistenti (così per le centuriazioni lungo la via Emilia) o su altre caratteristiche geomorfologiche. Sembra quindi plausibile che "Agri Decumates" si riferisse a territori suddivisi in lotti assegnati a coloni coltivatori. Decumanus maximus e cardo maximus erano così denominati anche nell'ambito degli accampamenti romani, detti castra, all'incrocio dei quali non vi era il forum, bensì il cosiddetto praetorium, ossia la tenda del comandante. Solitamente l'impostazione urbanistica assegnata all'accampamento veniva conservata nella futura planimetria del municipium o della civitas. Alcune tra le principali città italiane (Torino, Pavia, Aosta, Napoli, Verona, Potenza) ed europee (Vienna e York) sono esempi di accampamenti in posizioni strategiche divenuti civitas.Secondo Tacito la regione era originariamente abitata dalla tribù celtica degli Elvezi ma ben presto, probabilmente sotto Ariovisto, vi si stabilirono i germanici Suebi (o Svevi), prima di emigrare, attorno al 9 a.C., nella moderna Boemia. L'area era stata colonizzata sotto la dinastia flavia (69-96) e la costruzione durante quel periodo di una rete di strade aveva facilitato la comunicazione tra le legioni e migliorato la protezione contro le tribù di invasori. Lungo il percorso passante per Rheinbrohl - Arnsburg - Inheiden - Schierenhof - Gunzenhausen - Pförring erano state costruite delle fortificazioni di frontiera (limes). I più importanti insediamenti romani erano Sumelocenna, Civitas Aurelia Aquensis, Lopodunum e Arae Flaviae, le odierne Rottenburg am Neckar, Baden-Baden, Ladenburg e Rottweil.
- Cesare Tito Elio Adriano Antonino Augusto Pio, nato come Tito Aurelio Fulvo Boionio Arrio Antonino (Lanuvio, 19 settembre 86 - Lorium, 7 marzo 161), imperatore romano dal 138 al 161, visse in un momento cruciale della storia di Roma: l'apogeo dell'impero o nel cosiddetto secolo d'oro e gli imperatori che regnarono dopo di lui durante quel secolo, presero il nome da lui. La successione di Antonino ad Adriano si rivelò stabilita da tempo e priva di possibili colpi di mano: Antonino continuò a sostenere i candidati di Adriano ai vari pubblici uffici, cercando di venire incontro alle richieste del Senato, rispettandone i privilegi e sospendendo le condanne a morte pendenti sugli uomini accusati negli ultimi giorni di vita da Adriano. Uno dei primi atti ufficiali di governo (acta) fu la divinizzazione del suo predecessore, alla quale si oppose fieramente tutto il senato, che non aveva dimenticato come Adriano avesse diminuito l'autorità dell'assemblea e ne avesse mandato a morte alcuni membri. Alla fine si giunse ad un compromesso: il senato non si sarebbe opposto alla divinizzazione del defunto imperatore se Antonino avesse abolito l'organo di governo dell'Italia formato da quattro giudici circoscrizionali, i consulares («consolari», cioè ex consoli), o legati Augusti pro praetore («delegati di Augusto con comando ‘propretorio’»), con funzioni giurisdizionali in Italia, funzioni che erano state appannaggio dell'ordine senatorio. Le controversie tra individui di rango sociale diverso e tra comunità, in una regione fittamente abitata e urbanizzata come l’Italia, con aree extra-urbane dense di proprietà rurali produttive, dovevano essere frequenti, e spesso esulavano dalle competenze dei magistrati di una singola città. Infatti negli anni sessanta del II secolo d.C. appaiono attivi su ampi e variabili distretti regionali d’Italia, degli iuridici («giudici» o «consulenti giudiziari») di rango senatorio. Fu anche per aver cercato un accordo con il senato (l'imperatore, se avesse voluto, avrebbe potuto mettere a tacere le polemiche facendo intervenire i soldati) che Antonino ricevette l'inusuale titolo di Pio (pius), col significato di detentore di un rapporto favorevole con gli dèi. In questo periodo l'impero ottenne il pieno consenso delle élite cittadine e delle province, che beneficiavano ampiamente della Pax Romana. Adeguandosi alle usanze Antonino rifiutò il titolo di padre della patria (pater patriae), ma poi finì con l'accettarlo nel 139 insieme con un secondo consolato, seguito da un terzo e da un quarto (120 il primo, 139 e 140 il secondo e il terzo, 145 il quarto). Ligio alla religione e agli antichi riti, nel 148 celebrò solennemente il novecentesimo anniversario della fondazione di Roma. « Certi teologi dicono che il divino imperatore Antonino non era virtuoso; che era uno stoico testardo, il quale, non contento di comandare agli uomini, voleva anche essere stimato da loro; che attribuiva a se stesso il bene che faceva al genere umano; che in tutta la sua vita fu giusto, laborioso, benefico per vanità, e che non fece nient'altro che ingannare gli uomini con le sue virtù; e a questo punto esclamo: «Mio Dio, mandaci spesso di queste canaglie!» » (Estratto dalla voce Virtù del Dizionario Filosofico di Voltaire).
Nel 160 - Giunge all'apice, con Galeno, la scuola medica Romana.
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Marco Aurelio: Musei Capitolini di Roma. |
Nel 161 - Dopo la
morte per un malore del settantacinquenne
Antonino Pio, gli succede
Marco Aurelio (Roma, 26 aprile 121 - Sirmio, 17 marzo 180), il cui nome completo era, nelle iscrizioni: IMP(erator) • CAES(ar) • M(arcus) • AVREL(ius) • ANTONINVS • AVG(ustus), che è stato un imperatore, filosofo e scrittore romano. Su indicazione dell'imperatore Adriano, era stato adottato nel 138 dal futuro suocero e zio acquisito
Antonino Pio che
lo aveva nominato erede al trono imperiale. Nato come Marco Annio Catilio Severo, divenne Marco Annio Vero (Marcus Annius Verus), che era il nome di suo padre, al momento del matrimonio con sua cugina Faustina, figlia di Antonino, e assunse quindi il nome di Marco Aurelio Cesare, figlio dell'Augusto (Marcus Aurelius Caesar Augusti filius) durante l'impero di Antonino stesso. Marco Aurelio fu imperatore dal 161 sino alla morte, avvenuta per malattia nel 180 a Sirmio secondo il contemporaneo Tertulliano o presso Vindobona.
Fino al 169 mantenne la
coreggenza dell'impero assieme a Lucio Vero, suo fratello adottivo nonché suo genero, anch'egli adottato da Antonino Pio. Lucio Ceionio Commodo Vero (Roma, 15 dicembre 130 - presso Altino, gennaio 169) più noto semplicemente come Lucio Vero, fu un imperatore romano e governò insieme al fratello d'adozione Marco Aurelio dal 161 sino alla morte. Nell'investitura di
Marco Aurelio quale
nuovo imperatore,
Lucio Vero fu contestualmente
scelto come co-
imperatore,
evento senza precedenti nell'Impero romano. Ufficialmente entrambi avevano lo stesso potere, ma in pratica Marco Aurelio esercitò la propria influenza sul collega. A Vero fu dato il controllo dell'esercito, a riprova della fiducia che correva fra i due. Per rafforzare tale alleanza, Marco Aurelio dette in moglie sua figlia Annia Aurelia Galeria Lucilla a Vero che da lei ebbe tre figli. Anche se non sembra mostrare affetto personale per Adriano nei Colloqui con se stesso, Marco lo rispettò molto e presumibilmente ritenne suo dovere metterne in atto i suoi piani di successione. E così, anche se il Senato voleva confermare solo lui, egli rifiutò di entrare in carica senza che Lucio ricevesse gli stessi onori. Alla fine il senato fu costretto ad accettare e nominò Augusto, Lucio Vero. Marco divenne, nella titolatura ufficiale, Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto, mentre Lucio, rinunciando al suo
cognomen di Commodo, ma assumendo il nome di famiglia di Marco, Vero, divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio Vero Augusto. Questa era
la prima volta che Roma veniva governata da due imperatori contemporaneamente. Fin dalla sua ascesa al principato, Marco ottenne dal Senato che Lucio Vero gli fosse associato su un piano di parità (
diarchia), con gli stessi titoli, ad eccezione del pontificato massimo che non si poteva condividere. La formula era innovativa: per la prima volta alla testa dell'impero vi era una collegialità e una parità totale tra i due
principes. In teoria i due fratelli, entrambi insigniti del titolo di
Augustus, ebbero gli stessi poteri. In realtà Marco conservò una preminenza che Vero mai contestò. Le ragioni pratiche di questa collegialità, voluta da Adriano forse per onorare la memoria di Lucio Elio, adottandone il figlio e che allo stesso tempo lasciava l'impero a Marco Aurelio di cui aveva capito le grandi qualità, non sono completamente chiare. A dispetto della loro uguaglianza nominale però, Marco Aurelio ebbe maggior
auctoritas (autorità) di Lucio Vero. Fu console una volta di più di Lucio, avendo condiviso l'amministrazione già con Antonino Pio e solo Marco divenne
Pontifex Maximus e questo fu chiaro a tutti. L'imperatore più anziano deteneva un comando superiore al fratello più giovane: "Vero obbedì a Marco... come il tenente obbedisce a un proconsole o un governatore obbedisce all'imperatore".
- Dal 161 l'
Impero romano, ormai in pace da lungo tempo
subisce una serie di attacchi contemporanei lungo molti dei suoi fronti. I Pitti nella Scozia premevano contro il vallo di Antonino, la Spagna subiva le continue scorrerie dei pirati mauri, mentre in Germania, tra l’alto Danubio ed il Reno, i Catti e i Cauci penetravano oltre le frontiere e lungo le coste, invadendo la Gallia Belgica e gli Agri Decumates. Il nuovo sovrano partico Vologese III, divenuto re nel 148, occupava l’Armenia, ponendo sul suo trono il fratello Pacoro, per poi invadere la vicina provincia romana di Siria nel 161. Nell'Europa centro-orientale il mondo barbaro era scosso da forti agitazioni interne e da movimenti migratori tra le sue popolazioni che tendevano a modificare gli equilibri con il vicino mondo romano.
Vandali,
Burgundi,
Alemanni,
Longobardi,
Angli,
Sassoni,
Juti,
Franchi e altre tribù ancora
attaccheranno i romani già nello stesso II sec.
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