Carta del Mediterraneo nel 650 a.C. con
i nomi latini dei vari
territori; è evidenziato l'Illirycum.
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Durante il VII secolo a.C., ad Atene, le liti e le divisioni interne
agli arconti spingono l'arconte Dracone
ad assumere i pieni poteri,
così da poter varare una serie
di leggi durissime per garantire l'ordine sociale ad Atene.
Areopago di Atene visto dall'Acropoli. |
Nel 621 a.C. - Ad Atene
il legislatore Dracone pubblica il primo codice che limita
il potere giudiziario dei nobili. Nato intorno al 650 a.C.,
Dracone è noto per aver inserito nel mondo greco il primo codice
penale della storia e la durezza e la severità delle sue leggi
hanno dato origine ad espressioni in cui il termine draconiano viene
utilizzato come aggettivo, come ad esempio leggi draconiane o
punizione draconiana. Nel 621 a.C. Dracone emanò una legge
sull'omicidio che segnò la nascita del diritto penale. In questa
legge si distingueva per la prima volta nel diritto il grado di
responsabilità personale: chi aveva commesso l'omicidio
involontariamente, si pensi ad esempio al progettista di una casa che
poi era crollata uccidendone gli abitanti, era condannato all'esilio.
Il tribunale che se ne occupava era formato da cinquantun efeti,
magistrati incaricati di giudicare le cause di omicidio scelti tra i
membri delle famiglie nobili e aventi almeno cinquant'anni. Chi aveva
commesso l'omicidio volontariamente era condannato a morte
dall'areopago.
Con questo decreto Dracone poneva fine
alle sanguinose vendette dei parenti delle vittime, poiché il reato
doveva essere riconosciuto da un apposito tribunale. Il legislatore
dovette però concedere un'eccezione, che riguardava l'"omicidio
giusto". Infatti, in caso di illegittima relazione carnale della
moglie, della figlia, della sorella, della madre o della concubina,
al cittadino ateniese era consentito ucciderla, se colta in flagranza
di reato. Tale principio legale è stato accolto nel diritto di molti
Paesi, resistendo pressoché inalterato nei secoli. In Italia, ad
esempio, è sopravvissuta una norma fino al 1981 che mitigava la pena
in caso di omicidio definito come "delitto d'onore".
Il codice di leggi di Dracone è
ricordato per la sua particolare severità: la pena di morte era la
punizione anche per piccole infrazioni. Ogni debitore, il cui
stato sociale fosse inferiore a quello del suo creditore, ne
diventava automaticamente schiavo, mentre la punizione era più
lieve per chi avesse debiti nei confronti di una persona di classe
inferiore. Il codice di Dracone fu sostituito proprio per la sua
severità da quello di Solone nella prima parte del VI secolo a.C.. Dracone viene ricordato anche per
essere stato il primo a codificare le leggi ateniesi; contrariamente
alle credenze popolari non fu invece il creatore di queste leggi. Il
suo codice ebbe in parte anche la funzione di uniformare i metri di
giudizio e ridurre gli abusi commessi dai giudici. Morì nel 600 a.C. circa in maniera
bizzarra: mentre era in visita sull'isola di Egina per essere
riverito di fronte a una grande folla nel corso di un evento
teatrale, Dracone fu coperto da così tanti cappucci e mantelli
preparati in suo onore da esserne soffocato a morte.
Dal 616 a.C. - L'etrusco Tarquinio Prisco diventa il quinto re di Roma mentre i principali centri etruschi dell'Etruria e della Campania vivono una stagione prospera per gli scambi commerciali con le popolazioni dell'Egeo (dalle coste fino all'entroterra dell'Asia minore) e i Cartaginesi. L'elemento etrusco, già incorporato nel tessuto sociale di Capua, della quale occupava una zona residenziale perciò detta "vicus Tuscus", improntò politicamente la storia della stessa Roma con la dinastia dei Tarquinii. A Tarquinio Prisco (616-578 a.C.) si deve, fra l'altro, la costruzione della cinta muraria di Roma (murus lapideus), poi completata sotto Servio Tullio. I Romani,
durante la dominazione degli ultimi loro tre re, gli etruschi
Tarquini, dal 616 a.C. al 509 a.C., appresero dagli Etruschi le
modalità e l'arte del combattimento. Fu solo dopo la
fine della monarchia e la cacciata dei re etruschi, e la successiva
conquista dei territori dell'Italia meridionale (a cominciare dal
Latium vetus), in seguito ad una serie interminabile di guerre
contro Sabini, Volsci, Equi, Ernici, Latini e Sanniti, che la
costante evoluzione di tecnica, tattica e strategia permise ai Romani
di superare i loro antichi maestri etruschi. Il risultato
finale fu la sottomissione degli antichi territori dell'Etruria.
«[...] dai Tirreni [i Romani presero] l'arte di fare la guerra,
facendo avanzare l'intero esercito in formazione di falange chiusa
[...]» (Ateneo di Naucrati, I Deipnosofisti, VI, 106.). Considerata
la loro organizzazione federale di città-stato, in caso di
guerra gli eserciti etruschi erano reclutati su base cittadina
e richiamando alle armi i cittadini secondo ricchezza e posizione
sociale: di conseguenza composizione, equipaggiamento e aspetto degli
eserciti doveva variare molto. Le formazioni armate comprendevano
corpi di opliti, soldati in servizio permanente
sottoposti a costante addestramento, che sostenevano il maggior
peso del combattimento.
Combattevano compatti ed erano armati di lancia, spada, difesi
da scudo, elmo e corazza o un piccolo pettorale al centro del petto.
Al loro fianco si trovavano reparti di truppe leggere, che
comprendevano fanti armati alla leggera e tiratori scelti (arcieri o
frombolieri), con il compito di provocare il nemico, disturbarlo e
disorganizzarlo prima dell'urto degli opliti. La cavalleria, sia quella etrusca che quella romana si basava sulla mobilità e aveva quindi solo compiti di avanguardia ed esplorazione, di ricognizione, scorta ed eventuale inseguimento al termine della battaglia; all'epoca fra l'altro non si usavano selle e staffe.
- In Grecia nasce il pensiero filosofico-scientifico occidentale. Nelle trattazioni sulla storia del pensiero scientifico degli inizi, figura in genere la Scuola di Mileto, detta anche Scuola Ionica, i cui esponenti più importanti, Talete, Anassimandro e Anassimene diressero le loro indagini scientifiche principalmente verso interessi di ordine filosofico ma anche astronomico e cosmologico (a quell'epoca non esisteva una differenziazione delle discipline scientifiche). L’importanza della Scuola Ionica risiede nel fatto che lo studio si manifestò con una certa connotazione di vera e propria indagine scientifica per la qualità delle domande che gli studiosi si posero. In particolare si domandarono quale fosse il principio unico, arché, (sostanza fondamentale e causa prima che dava origine a tutta la materia). Ogni componente della Scuola diede una propria definizione di ciò che riteneva essere questo elemento fondamentale.
Talete di Mileto, 626 - 548 a.C.
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Cartina degli Abruzzi con
Capestrano.
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Nel 1934, in un vigneto di Capestrano, nell'attuale provincia di L'Aquila, negli Abruzzi, viene rinvenuto un antico monumento dell'arte degli antichi Italici.
Il Guerriero di
Capestrano.
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Solone, copia romana,
90 d.C. di un originale
greco del 110 a.C.
conservata al Museo
Archeologico, Napoli
(inv. 6143) da: https:
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La principale funzione dell'assemblea era stata quella di occuparsi della custodia delle leggi contro ogni violazione e della giurisdizione sui delitti di sangue. Il suo orientamento fu del tutto conservatore e la sua composizione, formata da membri provenienti dall'aristocrazia eletti per anzianità o per principi ereditari, accentuava il suo indirizzo moderato e sanciva il suo ruolo decisivo nella custodia delle leggi, della pubblica moralità e dei culti cittadini. Solone cerca di risolvere l'impasse politica derivante dal fatto che l'intera vita pubblica era nelle mani delle contrapposte stirpi aristocratiche le quali, a loro volta, costituivano quattro tribù, Opleti, Argadei, Geleonti ed Egicorei che eleggevano ciascuna cento membri della "Boulé dei Quattrocento". La Bulé era uno degli organi principali della politica ateniese, aveva il compito di organizzare l'Ecclesia (l'assemblea del popolo che votava le leggi scritte dalla Boulé stessa) e di controllare il lavoro dei magistrati (i funzionari investiti delle funzioni di giudice) e dei nove arconti, i magistrati supremi che formavano l'esecutivo dell'Areopago, che un tempo era presieduto dal re.
Solone, pertanto, nell'intento di creare forme di mobilità sociale e di offrire i diritti politici a tutti i cittadini, sostituì alle quattro tribù gentilizie quattro nuove tribù in cui distribuì la cittadinanza in base al censo, ricavato dalle rendite dei poderi posseduti:
- Pentacosiomedimni: che ogni anno ricavavano più di 500 medimni di grano dai loro campi.
- Cavalieri (o Triacosiomedimni): coloro che potevano mantenere un cavallo o ricavavano tra 500 e 300 medimni di grano.
- Zeugiti: coloro che ricavavano tra 300 e 200 medimni di grano.
- Teti: la maggioranza, i lavoranti dei campi, coloro che guadagnando meno di 200 medimni di grano, non esercitavano alcuna magistratura esecutiva ma potevano partecipare alle assemblee e ai tribunali.
Con la suddivisione in quattro classi, all'areopago si affianca la bulé, consiglio di 400 estratti a sorte dalle prime tre classi. Solone, disponendo l'equiparazione tra i medimni (unità di misura per il grano) e i metreti (unità di misura per i liquidi, principalmente olio e vino) avvantaggiò non poco i ceti medi ed i piccoli proprietari, infatti, poiché olio e vino necessitavano di molto meno spazio rispetto alla coltivazione cerealicola, Solone permise anche ai meno abbienti, che possedevano meno terre, di avere uguali diritti di coloro che ne possedevano di più, a condizione che coltivassero il loro piccolo appezzamento con olio e vino in maniera intensiva. Solone riformò inoltre il diritto di cittadinanza sancendo che poteva essere concessa solo nei confronti di chi fosse stato esiliato permanentemente dalla patria o fosse giunto in Atene per esercitare un mestiere.
Dal 588 a.C. - Roma si espande
in direzione nord-ovest, venendo in conflitto con gli Etruschi di
Veio, dopo la scadenza del trattato concluso nella precedente guerra
mentre l'espansione etrusca verso il meridione d'Italia
porta anche all'occupazione di territori di Roma e
quindi i re, seppur etruschi, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e
Tarquinio il Superbo reagiranno. Tarquinio Prisco ottiene un trionfo
sugli Etruschi (il 1º aprile del 588/587 a.C.); Floro
racconta che Tarquinio Prisco sottomise, dopo frequenti scontri,
tutti i dodici popoli etruschi (vale a dire le città di Arezzo,
Caere, Chiusi, Cortona, Perugia, Roselle, Tarquinia, Veio, Vetulonia,
Volsinii, Volterra e Vulci). Anche Servio Tullio ottiene un triplice
trionfo (il primo il 25 novembre del 571/570 a.C., il secondo
il 25 maggio del 567/566 a.C. e un terzo in una data non
leggibile). L'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, otterrà il
rinnovo del trattato di pace con gli Etruschi, ma alla fine sarà
rovesciato nel contesto di una più ampia esautorazione del potere
etrusco nell'area dell'antico Latium vetus, e Roma, i
cui possedimenti non si estendevano oltre le 15
miglia dalla città, si darà un assetto repubblicano, una
forma di governo basata sulla rappresentatività popolare
in contrasto con la precedente autocrazia monarchica.
Ecumene di Anassimandro, carta del
mondo conosciuto nel 580 a.C.
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Cartina dell'antica Roma nel 600 a.C.
con le mura
serviane. Clicca sull'immagine per
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Considerato il secondo fondatore, Servio Tullio fu l'autore della più importante modifica dell'esercito dell'epoca pre-repubblicana, dividendo la popolazione in classi e centurie. Si rese conto, infatti, che per assicurare a Roma una forza militare sufficiente a mantenere le proprie conquiste era necessario un esercito più numeroso di quello che possedeva (un'unica legione di circa 3.000 fanti e 300 cavalieri, detto esercito romuleo). Introdusse quindi il "Census", il censimento della popolazione maschile che si teneva ogni 5 anni. Tale occasione si inaugurava con il "Lustrum" che consisteva in una "Lustrazio": tre animali sacri, prima di essere sacrificati, giravano attorno all'esercito in armi schierato nel Campo Marzio per rendere splendore e sacralità all'evento. Lustro è rimasto nel nostro linguaggio come periodo di 5 anni. In relazione al patrimonio posseduto, ognuno apparteneva ad una classe di centurie militari. Secondo la tradizione, fu Servio Tullio a compiere una prima riforma timocratica (la timocrazia è un tipo di governo in cui diritti e doveri del cittadino sono stabiliti secondo classi censitarie, cioè in base alle ricchezze possedute) dei cittadini romani atti a prestare il servizio militare (obbligati ad armarsi a proprie spese e perciò chiamati adsidui), suddividendoli in cinque classi (sei comprendendo quella dei proletarii) sulla base del censo, a loro volta ordinati in ulteriori quattro categorie: i seniores (maggiori di 46 anni, i veterani) e gli iuniores (tra 17 e 46 anni, i giovani), ovvero coloro che rientravano nelle liste degli abili a combattere mentre i pueri (di età inferiore ai 17 anni, i fanciulli) e gli infantes (di età inferiore agli 8 anni, i bambini) non erano in età per prestare il servizio militare. In questo nuovo sistema la prima classe, la più facoltosa, poteva permettersi l'equipaggiamento completo da legionario (lo schieramento corazzato oplitico adottato dalla fanteria, i "pedites", prevedeva dispositivi difensivi come corazze elmi e scudi, oltre alle armi offensive, spade e lance) mentre quelle inferiori avevano armamenti via via più leggeri e le prime tre costituivano la fanteria pesante mentre le ultime due quella leggera. Dopo aver così organizzato la fanteria, Servio Tullio passò alla cavalleria, dove reclutò altre 12 centurie di equites dal fiore dell'aristocrazia cittadina, oltre alle 6 già formate da Tarquinio Prisco (i sex suffragia) per un totale di 18 centurie. I più ricchi erano proprio gli "equites", i cavalieri, che potevano possedere e mantenere un cavallo, e disporre di protezioni oltre alle armi offensive (elmi e corazze), anche se la cavalleria romana si basava sulla mobilità e aveva quindi solo compiti di avanguardia ed esplorazione, di ricognizione, scorta ed eventuale inseguimento al termine della battaglia; all'epoca fra l'altro non si usavano selle e staffe. Secondo il De Francisci, la cavalleria venne organizzata non più in centuriae, ma in turmae. In sostanza l'esercito serviano contava 1.800 cavalieri e 17.000 fanti potenzialmente atti alle armi (suddivisi in 5 classi ed in 170 centurie) oltre a 2 compagini legionarie, una utilizzata per difendere la città e l'altra per compiere campagne militari esterne per un totale di 193 centurie. Al di sotto di un certo patrimonio (come i proletarii) non si poteva far parte delle classi delle centurie.
Cartina dell'antico Lazio nel 600 a.C..
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Statuetta romana di Mater Matuta.
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Nella mitologia romana Mater Matuta era la dea del Mattino o dell'Aurora. Più tardi fu associata alla dea greca Ino o, appunto, Aurora. Aveva un tempio nel Foro Boario, realizzato, forse, all'epoca di Servio Tullio (secondo quarto del VI secolo a.C.), accanto al Porto fluviale di Roma, consacrato, secondo la leggenda, da Romolo. Distrutto nel 506 a.C., fu ricostruito nel 396 a.C. da Marco Furio Camillo, nell'odierna area di Sant'Omobono. Un altro tempio dedicato alla dea era nella città di Satricum. La sua festa (Matrialia) veniva celebrata l'11 giugno, a questo culto erano ammesse solo le donne vergini o sposate una sola volta, il cui marito era ancora vivo, mentre le donne schiave ne erano severamente escluse.
Il primo nome dell'insediamento urbano di Sanremo è stato "Villa Matuta", probabilmente dal nome della dea. Per i post "Cultura degli antichi Romani" clicca QUI, per i post "Politica nell'antica Roma" clicca QUI.
Isola di Chio. |
Fondamentale per la datazione di queste prime serie, è stato il ritrovamento di due depositi monetali durante gli scavi condotti all'inizio del secolo scorso nell'Artemision di Efeso. Il loro occultamento viene oggi messo in relazione con lavori di ristrutturazione del santuario, effettuati nel 560 a.C. L'introduzione delle monete in elettro sembra pertanto da porsi agli inizi del VI secolo a.C. La monetazione in elettro, battuta essenzialmente secondo uno standard "lidio-milesio", comprende lo statere (= gr 14,1 ca.) e alcune sue frazioni, fino a 1/96. Gli esemplari possono avere entrambi i lati lisci, oppure striature su una delle facce, o anche raffigurazioni di animali o di protomi su un lato e il marchio di uno o due punzoni, il cosiddetto "quadrato incuso", sull'altro. L'assegnazione a zecche specifiche risulta spesso problematica. L'alto valore delle diverse denominazioni indica un loro uso nel corso di transazioni economiche di livello piuttosto elevato.
- Nella seconda metà del VI secolo a.C. Focea perse l'indipendenza assieme alle altre città della Ionia. Prima passò a Creso, re di Lidia, e subito dopo, con la sconfitta di Creso nel 546 a.C., a Ciro il Grande, re di Persia. I Focei si rifugiarono a Chio con l'intenzione di acquistare e stabilirsi sulle isole Enusse ma, respinta l'offerta, si diressero verso le loro colonie nel Mediterraneo occidentale e molte furono quelle che fondarono.
Focea, importante porto commerciale, nel Mediterraneo occidentale fondò: Massalia, (l'attuale Marsiglia) in Francia, Alalia in Corsica, Elea in Magna Grecia, Emporion e Rhoda in Spagna. Ci informa infatti Erodoto che, utilizzando pentecontere anziché navi mercantili dallo scafo rotondo, i Focei furono i primi a compiere lunghi tragitti, e, aprendo nuove rotte commerciali a ovest, si erano spinti molto lontano, fin sull'Oceano Atlantico, presso Tartesso.
Focea, importante porto commerciale, nel Mediterraneo occidentale fondò: Massalia, (l'attuale Marsiglia) in Francia, Alalia in Corsica, Elea in Magna Grecia, Emporion e Rhoda in Spagna. Ci informa infatti Erodoto che, utilizzando pentecontere anziché navi mercantili dallo scafo rotondo, i Focei furono i primi a compiere lunghi tragitti, e, aprendo nuove rotte commerciali a ovest, si erano spinti molto lontano, fin sull'Oceano Atlantico, presso Tartesso.
Carta del 700 a.C. con gl'insediamenti
e limiti dell'influenza
di Tartesso segnalati in verde
brillante, le colonie greche in
blu, le colonie fenicie in verde-oliva.
Si vedono il Lago
Ligustico, Asta Regia (Jerez de la
Frontera) e Gadir (Cadiz). Fonte: https://es.wikipedia.org/wiki/Tartessos
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Giunti a Tartesso, in Spagna, i Focei strinsero amicizia col re Argantonio (che significa "uomo d'argento") che li invitò a trasferirsi nel suo paese. I Focei declinarono la proposta e quindi, avendo avuto notizia dell'espansionismo dei Medi, Argantonio assegnò loro una grande somma d'argento per costruire mura difensive nella loro città.
- Numerosi sono i miti e leggende associate a Tartesso, impero fondato da genti Liguri, come memorizzato dal toponimo Lago Ligur, oggi nome del distretto a sud-ovest di Siviglia in cui il lago si è interrato, ma di cui rimangono i toponimi di due località, Isla Mayor e Isla Minima.
- Numerosi sono i miti e leggende associate a Tartesso, impero fondato da genti Liguri, come memorizzato dal toponimo Lago Ligur, oggi nome del distretto a sud-ovest di Siviglia in cui il lago si è interrato, ma di cui rimangono i toponimi di due località, Isla Mayor e Isla Minima.
Le fonti letterarie antiche possono fornirci una visione realistica di quel paese, velato dalle nebbie del tempo.
Anche se vi è un alfabeto e una scrittura tartessica, non sono stati ancora decifrati, nonostante gli sforzi di molti studiosi; quindi abbiamo a che fare solo con quello che hanno scritto su Tartesso Greci, Fenici, Egizi, semiti e Romani. Il documento più antico su Tartesso è il poema "Ora Maritima" di Rufo Festo Avieno (Volsinii o Bolsena, fl.= floruit, aveva 40 anni nella seconda metà del IV secolo). Anche se è stato composto intorno all'anno 400 d.C., il poeta utilizza come principale fonte di ispirazione la memoria scritta del viaggio di un marinaio massaliota (di Marsiglia), l'"Euthymenes", scritto nel VI secolo a.C. e forse qualche fonte fenicia ancora più antica. Il documento cita la città di Tartesso che si trova tra le braccia della foce di un fiume che corrisponde all'attuale Guadalquivir. La lettura prosegue affermando che Tartesso ha governato su una vasta regione che si estende dalle regioni orientali, menzionando in particolare la città di Herma e la foce di un fiume, che potrebbe essere il Segura o il Vinalopó fino alla foce del Guadiana, nella metà meridionale del Portogallo. Avieno nomina anche diversi popoli stanziati a Tartesso, come i Cilbicenos, Etmaneos e Ileates, oltre che gli abitanti del regno di Selbyssena. Tuttavia, altri autori ci danno un'immagine minore dell'impero tartessico. Ecateo di Mileto, alla fine del VI secolo a.C., nel suo Periegesís, separa le città dei domini di Tartesso da quelle che i Mastienos avrebbero occupato in gran parte dell'Andalusia orientale, menzionando come città dei Mastienos: Mainobora nei pressi dell'attuale fiume Velez, Sixo, l'attuale Almuñecar, o Sualis (Fuengirola). Ciò ridurrebbe l'ambito tartessico al sud-ovest della penisola. Ecateo menziona anche le città Tartessiche di Elibirge (si può pensare ad Andujar) o Ibila, probabilmente, entrambe situate nella valle del Guadalquivir. Erodoto di Heraclea, e nel V secolo a.C. nomina i tartessici congiunti ad altre popolazioni come Cineti, Gleti, Elbisini, Mastieni e Celciani, tutti situati sulle sponde delle Colonne d'Ercole.
Bacino dell'antico Lago Ligur, sotto Siviglia, con indicate le antiche Isla Mayor e Isla Minima.
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Carta dell'impero dei Medi, della
Lidia, dell'impero Caldeo e dell'Egitto nel 612 a.C..
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- I Medi furono un antico popolo iranico che occupò gran parte dell'odierno Iran centrale e occidentale, a sud del Mar Caspio. Nel VI secolo a.C. fondarono un impero che si estendeva dall'attuale Azerbaigian all'Asia Centrale e che fu rivale dei regni di Lidia e Babilonia. Secondo le Storie di Erodoto, i Medi erano anticamente chiamati "Ariani" (da Harià = Signore), ma da quando Medea da Atene giunse in Colchide (nella Georgia occidentale), cambiarono il loro nome in suo onore. I Medi vengono menzionati per la prima volta in un'iscrizione assira che risalirebbe all'835 a.C. insieme ai Persiani, ma è grazie all'archeologia che possiamo collocare il loro arrivo nell'altopiano iranico alla metà del II millennio a.C. A quel tempo essi formavano un raggruppamento di tribù seminomadi, ma di notevole forza militare, i cui re dimoravano dentro fortezze (siti di Godin Tepe, Nush-i Jân). Il primo regno medo unificato appare solo nell'VIII secolo a.C., e secondo Erodoto fu fondato da Deioce, il quale in realtà non era che un piccolo capo tribù sottomesso, come i suoi più diretti successori, al re assiro Sargon II. Le incessanti lotte tra gli Assiri e le popolazioni iraniche erano dovute al bisogno di procurarsi i cavalli da parte dell'esercito assiro e alle incursioni a scopo di rapina e saccheggio dei Medi e dei Mannei in territorio assiro. Quando i Cimmeri invasero l'Anatolia dal Caucaso, il capo medo Fraorte (675-653 a.C.) riunì le tribù e si alleò con essi contro gli Assiri, ai quali inflisse pesanti sconfitte arrivando persino ad assediare Ninive, dove morì in combattimento. La Media fu successivamente assalita dagli Sciti che la dominarono fino a quando Ciassare la liberò (ca. 625 a.C.). organizzò un potente esercito, sottomise i Persiani e confederò le popolazioni iraniche per muovere guerra agli Assiri. L'alleanza con i Babilonesi consentì ai Medi, dopo la distruzione di Ninive (612 a.C.), di estendersi in Armenia e in Cappadocia fino alla Lidia, con la quale fu stabilito, dopo un conflitto e con la mediazione dei Babilonesi, un confine lungo il fiume Halys. Da questo momento, i re medi si attribuirono il titolo di "re dei re", avanzando pretese di supremazia su tutta l'Asia Minore. Il cosiddetto "impero medo", in realtà era una confederazione di numerose popolazioni iraniche. La mancanza di unità culturale e l'eccessiva eterogeneità della popolazione, rese il regno dei Medi fragile e ciò non tardò a rivelarsi alla morte di Ciassare. Suo figlio Astiage, succedutogli sul trono, non ebbe la forza e le qualità necessarie a contrastare la crescita della potenza persiana sotto Ciro, che si ribellò e, ereditando le esperienze statali elamiche, di cui i Medi erano privi, fu in grado di impossessarsi di tutto il Vicino Oriente. L'impero dei Medi, durato poco più di cinquanta anni, non ebbe caratteristiche culturali originali, ma imitò gli Elamiti, Urartu, la civiltà del Luristan e ovviamente le civiltà mesopotamiche. La sua forza risiedeva nell'esercito, che fu organizzato secondo criteri innovativi, cioè con la creazione di reparti di unità specializzate (arcieri, lancieri, cavalleria) manovrate secondo criteri tattici: l'epoca del combattimento eroico, individuale, signorile con i carri fu definitivamente superato in quest'area. Lo stesso sovrano doveva il suo potere al sostegno del ceto militare e all'ascendente che aveva sulle truppe, anche se formalmente esso era basato su principi religiosi.
Pisistrato, da: http://www. sunelweb.net/modules/ sections/index. php?artid=2712 |
Dal 561 a.C. - Pisistrato
(560 - 527 a.C.) del demo di Filaide, imparentato con Solone da parte
di madre, è tiranno di Atene dal 561/560 al 556/555 e dal 546
(o 544) al 528/527 a.C.. In veste di polemarco, il giovane Pisistrato
acquistò fama vincendo i megaresi contro i quali Atene era in
guerra, sottraendogli così definitivamente l'isola di Salamina e il
porto saronico di Nisea. Questi successi militari gli valsero
un prestigio e un credito tali da renderlo un attore di primo piano
della politica dell'epoca. Inizialmente, ottenne anche il sostegno
del popolo, che poi, però, si trasformò in timore. Atene all'epoca
era travagliata da una convulsa lotta politica, con partiti e fazioni
capeggiate dalle famiglie aristocratiche. La polis era allora divisa
tra la fazione legata alla zona costiera (i cosiddetti paralii, dal
greco paralia, costa), capeggiati dall'alcmeonide Megacle, e la
fazione legata all'entroterra (i cosiddetti pediaci, dal greco
pedion, pianura), capeggiati da Licurgo di Atene. Pisistrato, forte
dei crediti guadagnati, inutilmente ostacolato da Solone, si inserì
efficacemente nella lotta politica mettendosi a capo della
popolazione della zona montuosa (i cosiddetti diacrii, dal greco
ákra, montagna). Per ottenere l'appoggio popolare, Pisistrato
ricorse a uno stratagemma: si procurò delle ferite per mostrarle in
pubblico quale prova di un'aggressione subita da parte dei propri
rivali. Il popolo decretò per lui l'istituzione di una guardia del
corpo di 300 mercenari con la quale Pisistrato occupò l'Acropoli,
senza resistenza da parte degli opliti, nel 561/560 a.C., ottenendo
il potere assoluto. La presa del potere provocò una compattazione
del fronte dell'opposizione: un'alleanza tra Licurgo e Megacle sortì
l'effetto di costringerlo all'esilio. Pisistrato, in seguito, si
alleò con Megacle e, approfittando del clima propizio, riuscì a
ritornare ad Atene, facendosi precedere da una nuova simulazione:
fece vestire una fanciulla di altissima statura (del demo di Peania
o, secondo altri, una donna della Tracia di nome Fia) con gli abiti
tradizionali della dea Atena per sfilare in processione per la città
su un carro, a diffondere la voce che la dea stessa consigliava agli
Ateniesi di richiamarlo in città. Con questo spregiudicato accordo
con Megacle, Pisistrato scacciò Licurgo e, dopo aver sposato la
figlia di Megacle, fu da questi appoggiato quale tiranno di Atene.
Pisistrato aveva già una prole legittima dal primo matrimonio (oltre
che una illegittima da una concubina Argiva) e non sembrava volerne
dalla nuova moglie perché, stando a Erodoto, non voleva figli dalla
stirpe sacrilega degli Alcmeonidi. Quando Megacle si spazientì delle
sue inadempienze coniugali, che vanificavano i suoi disegni, ruppe
l'alleanza e lo scacciò da Atene (556 a.C.). In questo frangente,
entrambi gli attori politici avrebbero mostrato quindi di avere in
mente un progetto politico di consolidamento del potere (o di
ottenimento, nel caso di Megacle) da perseguire per via dinastica.
Nuovamente esiliato, il tiranno strinse amicizia con molti potentati
greci e nel 545 a.C. sbarcò a Maratona (regione a lui fedele) con un
esercito fornito da Eretria, Tebe e Nasso con altri mercenari che
pagava con l'argento delle sue miniere in Tracia. Con un forte
esercito sconfisse gli opliti ateniesi nei pressi del tempio di Atena
Pallenide: con questo atto di forza riprese il potere sulla città.
Durante il suo dominio i cittadini furono certamente privati di molte
libertà civili e morali, tra le quali quella di potere entrare in
città, sebbene avesse creato i giudici nei vari demi, per cui il
giudizio degli antichi su Pisistrato non è molto severo, poiché
essi lo ritenevano un tiranno dotato di grande abilità e
lungimiranza, vista anche la sua moderazione a differenza delle
tirannidi contemporanee. Adottò una riforma territoriale a scopi
fiscali e militari, che suddivideva il territorio ateniese in 48
naucrarie, 12 per ciascuna delle 4 tribù gentilizie, le quali tra
l'altro dovevano fornire i mezzi necessari alla costruzione e al
mantenimento di una nave allo stato, tramite ad una tassazione del 5%
delle entrate dell'associazione. Sotto il suo ultimo periodo di
tirannide iniziò la prima coniazione di monete ad Atene, che
erano in argento. A lui sono attribuite diverse riforme e
miglioramenti: incentivò infatti la piccola proprietà terriera a
discapito dei latifondi, incrementò il commercio, favorendo così la
crescita della classe mercantile, e favorì i ceti meno abbienti con
l'esecuzione di un vasto piano di opere pubbliche, come la
costruzione del tempio di Atena nell'acropoli. Inoltre, il suo
governo segnò una tappa notevole nella storia edilizia della città
e nello sviluppo dell'arte greca. Infatti è da ricordare la
trascrizione su papiro dell'Iliade e dell'Odissea, per cui
probabilmente è grazie al tiranno ateniese che i due poemi sono
giunti fino a noi. Inoltre vennero istituite nuove feste religiose:
le Dionisie, in onore del dio Dioniso, e le Panatenee.
A proposito della fondazione di Massalia, si narra che Focei (per visualizzare il post del Manoscritto Anonimo del 1700, in cui si parla dei Focei nell'area di Sanremo e in Liguria, clicca QUI) e Samioti aprirono relazioni commerciali con gli abitanti delle coste dell'Iberia orientale e della Gallia meridionale, che erano quasi tutti Iberi e Liguri. Nella particolareggiata leggenda di Massalia (Marsiglia), si racconta come i primi coloni Focei, Simos e Protis, provenienti da Efeso, incontrando il sovrano ligure Nannu, sarebbero stati invitati, in una lingua incomprensibile, a partecipare ad un banchetto al quale, a loro insaputa, la figlia di Nannu, Gyptis, avrebbe scelto il suo sposo tra gli astanti. Gyptis espresse la sua preferenza per il foceo Protis, generando la comunione tra i popoli. La terra su cui avrebbero edificato la loro città, infatti, sarebbe stata proprio Massalia.
Figura maschile di
Ligure, fine del VI
sec.a.C., con
copricapo a forma
di testa di cigno.
Parigi, Museo
del Louvre
|
Carta dell'antico mar Tirreno con la
zona
della battaglia di Alalia del 535 a.C.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
|
Dal 550 a.C. - Intorno al 550 a.C. popolazioni di Germani raggiunsero l'area del Reno, imponendosi sulle preesistenti popolazioni Celtiche e in parte mescolandosi a esse (è considerato misto il popolo di confine dei Belgi).
Dal V al I secolo a.C., i Germani premettero costantemente verso sud, venendo a contatto (e spesso in conflitto) con i Celti e, in seguito, con i Romani. Lo spostamento verso sud fu probabilmente influenzato da un peggioramento delle condizioni climatiche in Scandinavia tra il 600 a.C. e il 300 a.C. circa. Il clima mite e secco della Scandinavia meridionale (una temperatura di due-tre gradi più elevata di quella attuale) peggiorò considerevolmente, il che non solo modificò drammaticamente la vegetazione, ma spinse le popolazioni a cambiare modi di vivere e ad abbandonare gli insediamenti. Intorno a tale periodo questa cultura scoprì come estrarre il "ferro di palude" (limonite) dal minerale nelle paludi di torba. Il possesso della tecnologia adatta ad ottenere minerale di ferro dalle fonti locali può aver favorito l'espansione in nuovi territori. Nell'area di contatto con i Celti, lungo il Reno, i due popoli entrarono in conflitto. Sebbene portatori di una civiltà più articolata, i Galli subirono l'insediamento di avamposti germanici nel loro territorio, che diedero origine a processi di sovrapposizione tra i due popoli: insediamenti appartenenti all'uno o all'altro ceppo si alternavano e penetravano, anche profondamente, nelle rispettive aree d'origine. Sul lungo periodo, a uscire vincitori dal confronto furono i Germani, che qualche secolo più tardi sarebbero dilagati a occidente del Reno. Identico processo si sarebbe verificato, a sud, lungo l'altro argine naturale alla loro espansione, il Danubio.
Dal V al I secolo a.C., i Germani premettero costantemente verso sud, venendo a contatto (e spesso in conflitto) con i Celti e, in seguito, con i Romani. Lo spostamento verso sud fu probabilmente influenzato da un peggioramento delle condizioni climatiche in Scandinavia tra il 600 a.C. e il 300 a.C. circa. Il clima mite e secco della Scandinavia meridionale (una temperatura di due-tre gradi più elevata di quella attuale) peggiorò considerevolmente, il che non solo modificò drammaticamente la vegetazione, ma spinse le popolazioni a cambiare modi di vivere e ad abbandonare gli insediamenti. Intorno a tale periodo questa cultura scoprì come estrarre il "ferro di palude" (limonite) dal minerale nelle paludi di torba. Il possesso della tecnologia adatta ad ottenere minerale di ferro dalle fonti locali può aver favorito l'espansione in nuovi territori. Nell'area di contatto con i Celti, lungo il Reno, i due popoli entrarono in conflitto. Sebbene portatori di una civiltà più articolata, i Galli subirono l'insediamento di avamposti germanici nel loro territorio, che diedero origine a processi di sovrapposizione tra i due popoli: insediamenti appartenenti all'uno o all'altro ceppo si alternavano e penetravano, anche profondamente, nelle rispettive aree d'origine. Sul lungo periodo, a uscire vincitori dal confronto furono i Germani, che qualche secolo più tardi sarebbero dilagati a occidente del Reno. Identico processo si sarebbe verificato, a sud, lungo l'altro argine naturale alla loro espansione, il Danubio.
Nel 540 a.C. circa - Si combatte la battaglia del Mar Sardo, ricordata da Erodoto (I, 166), fra Etruschi e Cartaginesi alleati contro i Focei. Il quadro storico nel quale si svolsero le vicende che videro la fondazione e il popolamento dell’insediamento sul colle di Castello a Genova, appare il risultato di un più sistematico riassetto degli equilibri di forze nel settore del Tirreno settentrionale, determinato dal dispiegarsi di interessi contrastanti di varie potenze in crescita. Fin dall’VIII secolo a.C. Greci e Fenici avevano iniziato a fondare colonie (la prima fu Pythekoussai nell’isola di Ischia ad opera di Eubei) sulle coste del mar Tirreno, in Italia meridionale e in Sicilia. Nel 600 a.C. un gruppo di coloni di Focea, città della Ionia, in Asia Minore, aveva fondato, con il consenso delle popolazioni Liguri locali, Massalia (Marsiglia), alle bocche del Rodano. In poco tempo Marsiglia aveva assunto il controllo dei traffici marittimi del Mediterraneo nord occidentale, svolgendo anche un fondamentale ruolo di mediazione con le popolazioni celtiche che gestivano lo smercio del prezioso stagno delle isole Cassiteridi, in Cornovaglia, rarissimo altrove (ne esistevano solo limitati giacimenti in Etruria) ed indispensabile per realizzare la lega di bronzo.
Altre colonie focesi erano state ben presto fondate da Marsiglia ad Emporion (odierna Ampurias) in Spagna e da coloni provenienti dalla madrepatria a Kyrnos, in Corsica, nel luogo dove più tardi sorse la romana Aleria, verso il 565 a.C.. Il porto di Marsiglia era un importante scalo commerciale frequentato anche dagli Etruschi, che, dalla fine del VII secolo a.C., raggiungevano con le loro imbarcazioni le coste della Francia per smerciare i loro prodotti, in particolare vino, che era molto apprezzato dai Celti e dai Liguri, e ceramiche. Anche i Greci scambiavano vino, olio, profumi e ceramiche decorate con lo stagno, l’ambra e schiavi. La conquista delle città greche della Ionia da parte dei Persiani verso il 546 a.C. aveva costretto alla fuga i Greci. Nel 545 a.C. un gruppo di Focei, corrispondente a circa la metà della popolazione, lasciò la città occupata dai Persiani comandati da Arpago, generale di Ciro, per fondare altrove una nuova patria. Dopo alcuni tentativi falliti, gli esuli risolsero di raggiungere i compatrioti in Corsica. L’intraprendenza commerciale dimostrata dai nuovi venuti, accusati anche di pirateria nei confronti dei vicini, turbò la stabilità politica che aveva consentito fino a quel momento il pacifico sviluppo dei commerci marittimi ed ebbe come conseguenza la battaglia del Mar Sardo (circa 540 a.C.) ricordata da Erodoto (I, 166), che fu combattuta fra Etruschi e Cartaginesi alleati contro i Focei, forse con la partecipazione di Marsiglia. I Focei risultarono vittoriosi nello scontro, ma con perdite così elevate che i superstiti abbandonarono Kyrnos facendo vela verso la Calabria ed in seguito fondarono Elea (Velia) sulle coste della Campania, mentre gli Etruschi rioccuparono la Corsica. La battaglia del Mar Sardo ebbe come conseguenza la spartizione del Tirreno in sfere di influenza tra le grandi potenze che avevano partecipato al conflitto, con la definizione dei rispettivi confini politici e commerciali ed il consolidamento del sistema di porti e approdi a cui faceva capo la navigazione lungo le rotte settentrionali, perfezionato, dalla fine del VI secolo, anche mediante accordi e trattati commerciali, come il primo trattato stipulato nel 509 a.C., con giuramento, tra Roma e Cartagine. Nel testo, tramandato da Polibio (3,22 e 3,26), che aveva avuto occasione di leggerlo personalmente molti secoli dopo, sono spartiti gli spazi del Mediterraneo e introdotto il concetto di “acque territoriali”. Le ricerche archeologiche dimostrano che ogni potenza marittima si attivò per consolidare la propria autorità commerciale e politica: Marsiglia riorganizzò il settore fra Antibes e Nizza e iniziò a fabbricare anfore per commerciare il proprio vino, Cartagine operò un radicale riassetto delle colonie fondate dai fenici in Sardegna e nella Spagna meridionale. Gli Etruschi, non più soli padroni del Tirreno, diversificarono le loro attività, creando fondaci (il fondaco, pron. fóndaco, dal greco e attraverso l'arabo funduq, significa letteralmente "casa-magazzino", un edificio o un complesso di edifici che nelle città di mare svolgeva funzioni di magazzino e, spesso, anche di alloggio per i mercanti stranieri) all’interno di insediamenti indigeni in Linguadoca, come a Lattarci (odierna Lattes) e dando vita ad una rete di controllo e gestione delle più importanti vie di penetrazione commerciale marittima, fluviale e terrestre, mediante la fondazione o il potenziamento di centri ubicati in punti strategici, sia costieri, sul Tirreno, a Genova e ad Aleria in Corsica, sull’Adriatico a Spina, sia nell’entroterra padano, dove massicci spostamenti di coloni ripopolarono il fiorente centro di Felsina (Bologna) e edificarono nuove città a Marzabotto e al Forcello di Bagnolo San Vito a pochi chilometri da Mantova. Questo fenomeno di riorganizzazione, ad opera di Etruschi e Umbri, accompagnato da una capillare occupazione delle fertili campagne con fattorie e insediamenti produttivi, si protrasse a lungo, imprimendo un nuovo impulso ai commerci nell’area padana.
Attraverso le comode vie d’acqua dell’asse Po-Mincio le barche cariche di merci pregiate, anfore di vino e olio, raffinate ceramiche dipinte e profumi dalla Grecia, vasellame da simposio, figurine di bronzo e gioielli dall’Etruria, ambre intagliate, incenso dall’Arabia, raggiungevano l’abitato del Forcello, vero caposaldo commerciale per il tragitto verso i territori della cultura di Golasecca, le cui popolazioni esercitavano il controllo dei valichi alpini e degli itinerari verso le regioni dell’Europa centrale abitate dai Celti. Altre vie di terra mantenevano in contatto l’Etruria padana con il Tirreno, garantendo l’approvvigionamento dei metalli attraverso i valichi appenninici che congiungevano la Romagna con la Garfagnana in direzione di Populonia e collegavano i mercati golasecchiani con la Liguria centrale lungo il percorso della Val Polcevera, poi ricalcato dalla via Postumia, che raggiungeva il porto di Genova attraversando i territori del Piemonte occupati dai Liguri dell'interno. Come testimonia Scilace (Ps.Skil. 5), nel VI secolo a.C. la costa ligure era posta sotto l’influenza etrusca con un limite ad Antion (Antibes). La realizzazione di un centro stabile a Genova sembra rispondere, come diremmo in linguaggio moderno, ad un’esigenza di mercato. La convergenza sul porto di una rete di percorsi di crinale e di fondovalle in corrispondenza di valichi, che collegavano, con il tragitto più breve in Liguria, la città ai territori padani, e la posizione costiera in un punto di tappa quasi obbligato, giustificano la nascita di un santuario emporico e la fortuna del centro, posto in una zona di cerniera tra Etruschi, Greci di Marsiglia, Celti e le popolazioni della Padana occidentale, Liguri dell’interno e Golasecchiani, che da tempo si affacciavano sulla costa ligure per i loro scambi. Come dimostrano le scoperte del Portofranco, al momento della fondazione dell’abitato sulla sommità della collina di Castello esisteva già a Genova una comunità attiva, che gestiva lo scalo e praticava scambi con merci di importazione, e i nuovi arrivati si indirizzarono perciò verso un luogo sicuro e ospitale, già noto per precedenti frequentazioni commerciali. Nelle acque di Alalia-Corsica o di Albia si scontrarono infine le tre potenze allora padrone dell’occidente: Greci (Alalioti e Massalioti) da una parte e dall’altra Etruschi (in maggioranza Ceretani) e Cartaginesi. A questi ultimi toccò la vittoria nella battaglia del mare Sardonio, dove il mondo antico subì un totale cambiamento. La talassocrazia greco-focese dovette cedere a quella degli Etruschi che ebbero mano libera nel Tirreno sino a Lipari e alle coste della Sicilia. I cartaginesi fondarono un impero nei mari dell’occidente, calando la saracinesca contro chiunque volesse violarli.
Senofane di Colofone.
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- Dal 540 a.C. fiorisce il pensiero di Senofane di Colofone (565 - 470 a.C.). Le poche notizie sulla sua vita sono fornite da Diogene Laerzio: "Senofane di Colofone, figlio di Dexio o di Ortomeno... lasciata la patria, dimorò a Zancle (l’odierna Messina) di Sicilia e poi prese parte alla colonia diretta a Elea e qui insegnò; abitò anche a Catania. Secondo alcuni non fu discepolo di nessuno, secondo altri, dell’ateniese Betone o di Archelao. Sozione dice che fu contemporaneo di Anassimandro. Scrisse versi epici, elegie e giambi, censurando quanto sia Omero che Esiodo avevano detto sugli dei. Cantava egli stesso le sue composizioni. Si dice che abbia polemizzato contro Talete, Pitagora ed Epimenide. Visse fino a tardissima età... cantò anche "La fondazione di Colofone" e "La deduzione di colonia a Elea" in duemila versi. Fiorì nella 60ª olimpiade (540 - 537). Demetrio Falereo in "Sulla vecchiaia" e lo stoico Panezio in "Sulla tranquillità dell’animo" dicono che abbia sepolto i figli con le sue mani, come Anassagora. Pare che sia stato comprato e poi riscattato dai pitagorici Parmenisco e Orestade...". Diceva Senofane: "Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi...i mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro...gli Etiopi credono che (gli dei) siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi ...ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare...i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi ...". In realtà, "uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza...tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente...senza fatica tutto scuote con la forza del pensiero...sempre nell’identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là.". Da tutto questo si ricava la concezione di un dio-universo e nient’altro si può dire della sua concezione della divinità e dell’essere, diversamente da tarde interpretazioni che vogliono fare di Senofane un precursore della scuola eleatica e il maestro di Parmenide. Egli è legato alla scuola ionica di Mileto, quella di Talete, Anassimandro e Anassimene, a cui egli aggiunge uno spirito, che si potrebbe definire laico, di critica alle concezioni religiose correnti. Non a caso sostiene che "il certo, nessuno lo ha mai colto né ci sarà nessuno che possa coglierlo, sia per quanto riguarda gli dei che per ogni cosa. Infatti, se pure ci si trovasse a dire qualcosa di vero, non lo si saprebbe per esperienza diretta; noi possiamo avere solo opinioni", aggiungendo che "non è che da principio gli dei abbiano rivelato tutto ai mortali, ma col tempo, cercando, gli uomini trovano il meglio".
In queste ultime affermazioni si rileva uno spirito di concretezza razionalistica sui limiti della conoscenza umana ma anche la consapevolezza che non da interventi soprannaturali l’uomo può acquisire conoscenza o costruire la propria cultura. Oltre a schierarsi contro i valori propri del mito e della epopea omerica, affermò contrariamente ai valori in voga tra i contemporanei, la netta superiorità dei valori spirituali quali la virtù, l'intelligenza e la sapienza, sui valori puramente vitali, come la forza e il vigore fisico degli atleti. Da quelli la città ha ordinamenti migliori e felicità maggiore che non da questi."Perché vale di più la nostra saggezza che non la forza fisica degli uomini e dei cavalli[...] Difatti, che ci sia tra il popolo un abile pugilatore o un valente nel pentatlo o nella lotta [...], non per questo ne è avvantaggiato il buon ordine della città.
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