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martedì 22 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.17: dal 650 al 540 p.e.v. (a.C.)

Carta del Mediterraneo nel 650 a.C. con i nomi latini dei vari
territori; è evidenziato l'Illirycum.
Nel 650 a.C. - Fra il VII e VI sec. a.C. si forma la struttura politica degli Illiri. Artigiani eccellenti del metallo e guerrieri feroci, gli Illiri hanno basato i loro regni sulla guerra ed hanno combattuto fra di loro per la maggior parte della loro storia. Hanno generato e sviluppato la loro cultura, lingua e caratteristiche antropologiche nella zona occidentale dei Balcani, come menzionano scrittori antichi . Le regioni che gli Illiri hanno abitato includono l'intera penisola balcanica occidentale, il nord ed Europa centrale, il sud fino al golfo di Ambracian (Preveza, Grecia) e l'est intorno al lago Lyhnid (lago Ohrid). Altre tribù di Illiri, inoltre, migrarono e si sono stabilirono in Italia, nell'attuale Puglia; fra di loro vi erano i Messapii e gli Iapigi. Il nome “Illiria„ è menzionato dal quinto secolo a.C. mentre alcuni nomi di tribù risalenti al dodicesimo secolo a.C. sono citate da Omero. La formazione etnica degli Illiri ha luogo entro il quindicesimo secolo a.C., da metà dell'eta del Bronzo, ed avevano ereditato le loro caratteristiche antropologiche e lingua dall'età Neolitica. Dall'età del ferro, gli Illiri erano completamente caratterizzati. Alcuni studiosi Albanesi sostengono che dai Pelasgi sono derivati Tirreni ed Etruschi oltre a Illiri e Albanesi, e che i linguaggi di questi popoli sono quindi affini: Pausania (Arcadia, Libro VIII, 1,4,6) scrive: “Gli Arcadi dicono che Pelago fu il primo a nascere nella terra dell’Arcadia. Dato che Pelago divenne re, il paese si chiamò Pelasgia in suo onore”. Pindaro (Carminia, Fragmenta Selecta, I, 240) scrive: “Portando un bel dono, la Terra fece nascere per primo l’essere umano nell’Arcadia, il Divino Pelasgo, molto prima della luna”. I discendenti dei Pelasgi chiamarono ILIRIA (ILLYRIA per i Romani) la loro nuova patria: LIRI (LIR=libero), che voleva dire: “Il Paese del popolo libero”, paese che si estendeva dal Mediterraneo fino al Danubio. Parole con la radice Lir, ne troviamo con lo stesso significato nelle seguenti lingue: Pelasgo-illirico(liri), Etrusco(liri), Albanese odierno(liri), Italiano(libertà), Francese(libertè), Latino(libertas), Inglese(liberty), Spagnolo(libertad), Romeno(libertade), Portoghese(liberdade). In italia, e precisamente nel Lazio, esiste il monte Liri, nonché il fiume Liri, e Fontana Liri. Questo nome è stato conservato durante i secoli nei vari paesi Europei Mediterranei, molto probabilmente attraverso la “irradiazione” delle varie tribù illiriche, come gli Etruschi, i Messapi, i Dauni, i Veneti, i Piceni, ecc. Ognuno di questi nomi ha un significato nella lingua Albanese: E TRURIA (E= di, TRURIA= cervello, paese di gente con cervello), MESSAPI (MES=ambiente, centro, HAPI= aperto, paese di gente aperta), DAUNI (dauni, separati, separatevi), VENETI (nome derivante dalla dea VEND, patria, luogo per eccellenza), PICENI (PI=bere, KENI=avete, luogo con acqua abbondante). Il nome Pelasgi si può riferire alla parola Albanese PELLG (mare profondo), come in italiano “pelago”. In generale, le iscrizioni più antiche si presentano formulate da destra a sinistra e continuando talvolta da sinistra a destra, cioè in forma bustrofedica, e spesso senza interruzione tra una parola e l’altra".

- Durante il VII secolo a.C., ad Atene, le liti e le divisioni interne agli arconti spingono l'arconte Dracone ad assumere i pieni poteri, così da poter varare una serie di leggi durissime per garantire l'ordine sociale ad Atene.

Areopago di Atene visto
dall'Acropoli.
Dal 624 a.C. - Ad Atene il termine Aeropago è utilizzato col nuovo significato di assemblea degli anziani, che sostituisce il governo monarchico dei 9 arconti. L'Areopago è una delle colline di Atene situata tra l'agorà e l'acropoli e nel periodo monarchico vi si riuniva il collegio delle supreme magistrature dello Stato presiedute dal re (governo dei 9 arconti), mentre intorno al 624 a.C. tale termine venne utilizzato per indicare l'assemblea degli anziani. L'Areopago perse lentamente il controllo della vita pubblica col sorgere delle prime forme di democrazia, che si affermarono rispetto alle leggi arcaiche dell'arcontato, i cui membri erano addirittura eletti a vita, senza possibilità di rinnovo del consiglio.

Nel 621 a.C. - Ad Atene il legislatore Dracone pubblica il primo codice che limita il potere giudiziario dei nobili. Nato intorno al 650 a.C., Dracone è noto per aver inserito nel mondo greco il primo codice penale della storia e la durezza e la severità delle sue leggi hanno dato origine ad espressioni in cui il termine draconiano viene utilizzato come aggettivo, come ad esempio leggi draconiane o punizione draconiana. Nel 621 a.C. Dracone emanò una legge sull'omicidio che segnò la nascita del diritto penale. In questa legge si distingueva per la prima volta nel diritto il grado di responsabilità personale: chi aveva commesso l'omicidio involontariamente, si pensi ad esempio al progettista di una casa che poi era crollata uccidendone gli abitanti, era condannato all'esilio. Il tribunale che se ne occupava era formato da cinquantun efeti, magistrati incaricati di giudicare le cause di omicidio scelti tra i membri delle famiglie nobili e aventi almeno cinquant'anni. Chi aveva commesso l'omicidio volontariamente era condannato a morte dall'areopago.
Con questo decreto Dracone poneva fine alle sanguinose vendette dei parenti delle vittime, poiché il reato doveva essere riconosciuto da un apposito tribunale. Il legislatore dovette però concedere un'eccezione, che riguardava l'"omicidio giusto". Infatti, in caso di illegittima relazione carnale della moglie, della figlia, della sorella, della madre o della concubina, al cittadino ateniese era consentito ucciderla, se colta in flagranza di reato. Tale principio legale è stato accolto nel diritto di molti Paesi, resistendo pressoché inalterato nei secoli. In Italia, ad esempio, è sopravvissuta una norma fino al 1981 che mitigava la pena in caso di omicidio definito come "delitto d'onore".
Il codice di leggi di Dracone è ricordato per la sua particolare severità: la pena di morte era la punizione anche per piccole infrazioni. Ogni debitore, il cui stato sociale fosse inferiore a quello del suo creditore, ne diventava automaticamente schiavo, mentre la punizione era più lieve per chi avesse debiti nei confronti di una persona di classe inferiore. Il codice di Dracone fu sostituito proprio per la sua severità da quello di Solone nella prima parte del VI secolo a.C.. Dracone viene ricordato anche per essere stato il primo a codificare le leggi ateniesi; contrariamente alle credenze popolari non fu invece il creatore di queste leggi. Il suo codice ebbe in parte anche la funzione di uniformare i metri di giudizio e ridurre gli abusi commessi dai giudici. Morì nel 600 a.C. circa in maniera bizzarra: mentre era in visita sull'isola di Egina per essere riverito di fronte a una grande folla nel corso di un evento teatrale, Dracone fu coperto da così tanti cappucci e mantelli preparati in suo onore da esserne soffocato a morte.

Dal 616 a.C. - L'etrusco Tarquinio Prisco diventa il quinto re di Roma mentre i principali centri etruschi dell'Etruria e della Campania vivono una stagione prospera per gli scambi commerciali con le popolazioni dell'Egeo (dalle coste fino all'entroterra dell'Asia minore) e i Cartaginesi. L'elemento etrusco, già incorporato nel tessuto sociale di Capua, della quale occupava una zona residenziale perciò detta "vicus Tuscus", improntò politicamente la storia della stessa Roma con la dinastia dei Tarquinii. A Tarquinio Prisco (616-578 a.C.) si deve, fra l'altro, la costruzione della cinta muraria di Roma (murus lapideus), poi completata sotto Servio Tullio. I Romani, durante la dominazione degli ultimi loro tre re, gli etruschi Tarquini, dal 616 a.C. al 509 a.C., appresero dagli Etruschi le modalità e l'arte del combattimento. Fu solo dopo la fine della monarchia e la cacciata dei re etruschi, e la successiva conquista dei territori dell'Italia meridionale (a cominciare dal Latium vetus), in seguito ad una serie interminabile di guerre contro Sabini, Volsci, Equi, Ernici, Latini e Sanniti, che la costante evoluzione di tecnica, tattica e strategia permise ai Romani di superare i loro antichi maestri etruschi. Il risultato finale fu la sottomissione degli antichi territori dell'Etruria. «[...] dai Tirreni [i Romani presero] l'arte di fare la guerra, facendo avanzare l'intero esercito in formazione di falange chiusa [...]» (Ateneo di Naucrati, I Deipnosofisti, VI, 106.). Considerata la loro organizzazione federale di città-stato, in caso di guerra gli eserciti etruschi erano reclutati su base cittadina e richiamando alle armi i cittadini secondo ricchezza e posizione sociale: di conseguenza composizione, equipaggiamento e aspetto degli eserciti doveva variare molto. Le formazioni armate comprendevano corpi di opliti, soldati in servizio permanente sottoposti a costante addestramento, che sostenevano il maggior peso del combattimento. Combattevano compatti ed erano armati di lancia, spada, difesi da scudo, elmo e corazza o un piccolo pettorale al centro del petto. Al loro fianco si trovavano reparti di truppe leggere, che comprendevano fanti armati alla leggera e tiratori scelti (arcieri o frombolieri), con il compito di provocare il nemico, disturbarlo e disorganizzarlo prima dell'urto degli opliti. La cavalleria, sia quella etrusca che quella romana si basava sulla mobilità e aveva quindi solo compiti di avanguardia ed esplorazione, di ricognizione, scorta ed eventuale inseguimento al termine della battaglia; all'epoca fra l'altro non si usavano selle e staffe.

Dal 600 a.C. - Nel corso del VI secolo a.C., gli Sciti dilagano verso l'area balcanica e la Pannonia, nel bacino settentrionale del Mar Nero, per poi toccare la Germania orientale e, con i Traci, l'Italia settentrionale.

In rosso gli insediamenti dei Celti Elvezi, Volsci, Insubri e Leponzi dall'età
del bronzo. In verde scuro le espansioni delle tribù dei Britanni, Goideli,
Trinovanti, Senoni, Boi, Celtiberi, Sequani e Celtoliguri nei vasti territori
dei Liguri, nei sec. VI e V a.C.. In verde più chiaro le successive espansioni
di Norici, Senoni, Scordisci, Traci e Galati. Clicca per ingrandire.
Le popolazioni Celtiche in Europa si suddividono in varie tribù. 

- In Grecia nasce il pensiero filosofico-scientifico occidentale. Nelle trattazioni sulla storia del pensiero scientifico degli inizi, figura in genere la Scuola di Mileto, detta anche Scuola Ionica, i cui esponenti più importanti, Talete, Anassimandro e Anassimene diressero le loro indagini scientifiche  principalmente verso interessi di ordine filosofico ma anche  astronomico  e cosmolo­gico (a quell'epoca non esisteva una differenziazione delle discipline scientifiche). L’importanza della Scuola Ionica risiede nel fatto che lo studio si manifestò con una certa connotazione di vera e propria indagine scientifica per la qualità delle domande che gli studiosi si posero. In particolare si domandarono quale fosse il principio unicoarché, (sostanza fon­damentale e causa prima che dava origine a tutta la materia). Ogni componente della Scuola diede una propria definizione di ciò che riteneva essere questo elemento fondamentale.
Talete di Mileto, 626 - 548 a.C.
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Talete di Mileto (ca. 626 - 548 a.C.) è ritenuto il fondatore della Scuola di Mileto. Ciò che si sa della sua vita è po­chissimo e avvolto nella leggenda. Si dice (da Proclo) che abbia viaggiato in Mesopotamia ed Egitto acquisendo numerose conoscenze. Erodoto dice che previde l’eclissi totale di Sole del 585 a.C., ma gli studiosi moderni danno poco credito a questa affermazione, o per lo meno, si tende a pensare che, avuta conoscenza del periodo delle eclissi di 18 anni, oggi detto saros, Talete abbia dato la previsione di una eclisse generica. Diogene Laerzio, scrivendo nel II secolo d.C. dice che Geronimo, discepolo di Aristotele, afferma che Talete calcolò l’altezza di una piramide egizia misurando la lunghezza dell'ombra della piramide, proprio nell’istante in cui l’ombra proiettata da Talete aveva lunghezza eguale alla sua altezza. Anche Plinio fa un’affermazione simile. E’ considerato da Plutarco il primo dei Sette Saggi. In molti libri di testo moderni di geometria, diversi assiomi sono attribuiti a Talete, ma nessuna sua opera ci è pervenuta. Talete pensava che la Terra fosse un disco galleggiante sul fiume Oceano, e che tutta la materia derivasse dall’acqua. Per lui dunque la sostanza fondamentale era l’acqua.  Aristotele riferisce che Talete utilizzò le sue conoscenze per predire una straordinaria raccolta di olive per la stagione futura. Ciò lo indusse ad acquistare tutti i frantoi disponibili e fu così in grado di guada­gnare un grande ammontare di denaro quando effettivamente l’eccezionale raccolto di olive si verificò. Questa storiella, indicativa di una sua attitudine per le cose pratiche, contrasta con un’altra, riferita da Platone. Egli dice che durante una notte scura, Talete, completamente assorto nella contemplazione del cielo stellato, cadde in una buca profonda. Le sue invocazioni di aiuto furono udite da una servetta che si trovava nelle vicinanze, che lo soccorse non senza fargli osservare come poteva pretendere di capire le cose del cielo se non era nemmeno capace di fare attenzione a dove metteva i piedi in terra.

Cartina degli Abruzzi con
Capestrano.
- Il Guerriero di Capestrano risale a questo periodo storico.
Nel 1934, in un vigneto di Capestrano, nell'attuale provincia di L'Aquila, negli Abruzzi, viene rinvenuto un antico monumento dell'arte degli antichi Italici.
Il Guerriero di
Capestrano.
Si tratta di un monumento scultoreo, alto 235 cm, destinato ad avere risonanza mondiale, tanto da essere definito il “Guerriero Italico” per  antonomasia. Si ritiene che rappresenti un'antico sovrano italico, dotato di armatura a protezione del cuore, elmo e armi, con le forme adottate ai quei tempi come canoni di rappresentazione condivisi. Non se ne conosce bene la provenienza: probabilmente Sabina. Persino l'epigrafe incisa su un lato, dal basso all'alto, è scritta utilizzando un alfabeto difficile da decifrare, contribuendo così ad incrementare il mistero del “Guerriero di Capestrano”, oggi conservato a Chieti, nel Museo Nazionale Archeologico.

Solone, copia romana,
90 d.C. di un originale
greco del 110 a.C.
conservata al Museo
Archeologico, Napoli
(inv. 6143) da: https:

Nel 594 a.C. - Ad Atene l'arconte (uno dei magistrati supremi) Solone riforma il codice draconiano inviso per l'eccessiva durezza, salvo che in materia di omicidio, con una nuova costituzione democratica, in cui vengono ridotti i poteri dell'areopago, l'assemblea degli anziani (ex arconti). L'Areopago è una delle colline di Atene situata tra l'agorà e l'acropoli e nel periodo monarchico vi si riuniva il collegio delle supreme magistrature dello Stato presiedute dal re (governo dei 9 arconti).
La principale funzione dell'assemblea era stata quella di occuparsi della custodia delle leggi contro ogni violazione e della giurisdizione sui delitti di sangue. Il suo orientamento fu del tutto conservatore e la sua composizione, formata da membri provenienti dall'aristocrazia eletti per anzianità o per principi ereditari, accentuava il suo indirizzo moderato e sanciva il suo ruolo decisivo nella custodia delle leggi, della pubblica moralità e dei culti cittadini. Solone cerca di risolvere l'impasse politica derivante dal fatto che l'intera vita pubblica era nelle mani delle contrapposte stirpi aristocratiche le quali, a loro volta, costituivano quattro tribù, Opleti, Argadei, Geleonti ed Egicorei che eleggevano ciascuna cento membri della "Boulé dei Quattrocento". La Bulé era uno degli organi principali della politica ateniese, aveva il compito di organizzare l'Ecclesia (l'assemblea del popolo che votava le leggi scritte dalla Boulé stessa) e di controllare il lavoro dei magistrati (i funzionari investiti delle funzioni di giudice) e dei nove arconti, i magistrati supremi che formavano l'esecutivo dell'Areopago, che un tempo era presieduto dal re.
Solone, pertanto, nell'intento di creare forme di mobilità sociale e di offrire i diritti politici a tutti i cittadini, sostituì alle quattro tribù gentilizie quattro nuove tribù in cui distribuì la cittadinanza in base al censo, ricavato dalle rendite dei poderi posseduti:
- Pentacosiomedimni: che ogni anno ricavavano più di 500 medimni di grano dai loro campi.
- Cavalieri (o Triacosiomedimni): coloro che potevano mantenere un cavallo o ricavavano tra 500 e 300 medimni di grano.
- Zeugiti: coloro che ricavavano tra 300 e 200 medimni di grano.
- Teti: la maggioranza, i lavoranti dei campi, coloro che guadagnando meno di 200 medimni di grano, non esercitavano alcuna magistratura esecutiva ma potevano partecipare alle assemblee e ai tribunali.
Con la suddivisione in quattro classi, all'areopago si affianca la bulé, consiglio di 400 estratti a sorte dalle prime tre classi. Solone, disponendo l'equiparazione tra i medimni (unità di misura per il grano) e i metreti (unità di misura per i liquidi, principalmente olio e vino) avvantaggiò non poco i ceti medi ed i piccoli proprietari, infatti, poiché olio e vino necessitavano di molto meno spazio rispetto alla coltivazione cerealicola, Solone permise anche ai meno abbienti, che possedevano meno terre, di avere uguali diritti di coloro che ne possedevano di più, a condizione che coltivassero il loro piccolo appezzamento con olio e vino in maniera intensiva. Solone riformò inoltre il diritto di cittadinanza sancendo che poteva essere concessa solo nei confronti di chi fosse stato esiliato permanentemente dalla patria o fosse giunto in Atene per esercitare un mestiere.

Dal 588 a.C. - Roma si espande in direzione nord-ovest, venendo in conflitto con gli Etruschi di Veio, dopo la scadenza del trattato concluso nella precedente guerra mentre l'espansione etrusca verso il meridione d'Italia porta anche all'occupazione di territori di Roma e quindi i re, seppur etruschi, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo reagiranno. Tarquinio Prisco ottiene un trionfo sugli Etruschi (il 1º aprile del 588/587 a.C.); Floro racconta che Tarquinio Prisco sottomise, dopo frequenti scontri, tutti i dodici popoli etruschi (vale a dire le città di Arezzo, Caere, Chiusi, Cortona, Perugia, Roselle, Tarquinia, Veio, Vetulonia, Volsinii, Volterra e Vulci). Anche Servio Tullio ottiene un triplice trionfo (il primo il 25 novembre del 571/570 a.C., il secondo il 25 maggio del 567/566 a.C. e un terzo in una data non leggibile). L'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, otterrà il rinnovo del trattato di pace con gli Etruschi, ma alla fine sarà rovesciato nel contesto di una più ampia esautorazione del potere etrusco nell'area dell'antico Latium vetus, e Roma, i cui possedimenti non si estendevano oltre le 15 miglia dalla città, si darà un assetto repubblicano, una forma di governo basata sulla rappresentatività popolare in contrasto con la precedente autocrazia monarchica.

Ecumene di Anassimandro, carta del
mondo conosciuto nel 580 a.C.
Clicca per ingrandire.
- In GreciaAnassimandro disegna la prima carta del mondo conosciuto. Anassimandro (610 - 547 a.C. ca.) è ritenuto il primo discepolo di Talete.
Della sua vita si conosce pochissimo, si dice che abbia capeggiato una spedizione nel Mar Nero per fondare la città di Apollonia. Le notizie che di lui abbiamo ci vengono da Aristotele, Teofrasto e Diogene Laerzio, a loro volta citati da autori posteriori. E’ considerato il primo autore di un’opera a carattere filosofico, dal titolo "Della Natura". Di questo libro solo un frammento ci è pervenuto attraverso una citazione di Simplicio (che a sua volta cita Teofrasto). Si tratta di un brano che ha provocato accese discussioni tra i commentatori. Anassimandro identifica l'ar­ché nell’apeiron, l'”infinito” (più precisamente, nell’ente “privo di limiti”). Naturalmente esiste una grande indeterminatezza su cosa intendesse esattamente Anassimandro con quella definizione. Ma Anassimandro è importante anche per l’astronomia. C’è una sola testimonianza di una osservazione astronomica eseguita da Anassimandro, e riguarda la data in cui avviene il tramonto eliaco mattutino delle Pleiadi. Al contrario, si hanno citazioni di sue osservazioni astronomiche di carattere speculativo. Tra queste, citiamo quella secondo cui i corpi celesti eseguono percorsi circolari, e l’altra, importantissima, secondo cui la Terra galleggia nello spazio senza bisogno di alcun sostegno, affermazione grandemente innovativa (perché fino ad allora il concetto di qualcosa di solido che sostenesse la Terra era saldamente radicata presso tutte le culture) che segna veramente l’inizio dello studio del cosmo su basi scientifiche. Si dice che Anassimandro abbia introdotto in Grecia l’uso dello gnomone (apprendendolo probabilmente dai Babilonesi). Ad Anassimandro si fanno risalire le prime idee sulla convessità della superficie terrestre. Egli pensava che la Terra avesse forma cilindrica, con l’asse orientato nel senso levante-po­nente. Si dice anche che egli abbia eseguito per primo una misurazione dell’obliquità dell’eclittica (affermazione fortemente dubitata oggi). Altra affermazione tradizionale su Anassimandro è quella secondo cui egli abbia disegnato una carta geografica del mondo allora conosciuto, carta che doveva limitarsi a una rappresentazione del Mediterraneo circondato dal fiume Oceano. 

Cartina dell'antica Roma nel 600 a.C. con le mura
serviane. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Nel 578 a.C. - Servio Tullio diventa sesto re di Roma. 
Considerato il secondo fondatore, Servio Tullio fu l'autore della più importante modifica dell'esercito dell'epoca pre-repubblicana, dividendo la popolazione in classi e centurie. Si rese conto, infatti, che per assicurare a Roma una forza militare sufficiente a mantenere le proprie conquiste era necessario un esercito più numeroso di quello che possedeva (un'unica legione di circa 3.000 fanti e 300 cavalieri, detto esercito romuleo). Introdusse quindi il "Census", il censimento della popolazione maschile che si teneva ogni 5 anni. Tale occasione si inaugurava con il "Lustrum" che consisteva in una "Lustrazio": tre animali sacri, prima di essere sacrificati, giravano attorno all'esercito in armi schierato nel Campo Marzio per rendere splendore e sacralità all'evento. Lustro è rimasto nel nostro linguaggio come periodo di 5 anni. In relazione al patrimonio posseduto, ognuno apparteneva ad una classe di centurie militari. Secondo la tradizione, fu Servio Tullio a compiere una prima riforma timocratica (la timocrazia è un tipo di governo in cui diritti e doveri del cittadino sono stabiliti secondo classi censitarie, cioè in base alle ricchezze possedute) dei cittadini romani atti a prestare il servizio militare (obbligati ad armarsi a proprie spese e perciò chiamati adsidui), suddividendoli in cinque classi (sei comprendendo quella dei proletarii) sulla base del censo, a loro volta ordinati in ulteriori quattro categorie: i seniores (maggiori di 46 anni, i veterani) e gli iuniores (tra 17 e 46 anni, i giovani), ovvero coloro che rientravano nelle liste degli abili a combattere mentre i pueri (di età inferiore ai 17 anni, i fanciulli) e gli infantes (di età inferiore agli 8 anni, i bambini) non erano in età per prestare il servizio militare. In questo nuovo sistema la prima classe, la più facoltosa, poteva permettersi l'equipaggiamento completo da legionario (lo schieramento corazzato oplitico adottato dalla fanteria, i "pedites", prevedeva dispositivi difensivi come corazze elmi e scudi, oltre alle armi offensive, spade e lance) mentre quelle inferiori avevano armamenti via via più leggeri e le prime tre costituivano la fanteria pesante mentre le ultime due quella leggera. Dopo aver così organizzato la fanteria, Servio Tullio passò alla cavalleria, dove reclutò altre 12 centurie di equites dal fiore dell'aristocrazia cittadina, oltre alle 6 già formate da Tarquinio Prisco (i sex suffragia) per un totale di 18 centurie. I più ricchi erano proprio gli "equites", i cavalieri, che potevano possedere e mantenere un cavallo, e disporre di protezioni oltre alle armi offensive (elmi e corazze), anche se la cavalleria romana si basava sulla mobilità e aveva quindi solo compiti di avanguardia ed esplorazione, di ricognizione, scorta ed eventuale inseguimento al termine della battaglia; all'epoca fra l'altro non si usavano selle e staffe. Secondo il De Francisci, la cavalleria venne organizzata non più in centuriae, ma in turmae. In sostanza l'esercito serviano contava 1.800 cavalieri e 17.000 fanti potenzialmente atti alle armi (suddivisi in 5 classi ed in 170 centurie) oltre a 2 compagini legionarie, una utilizzata per difendere la città e l'altra per compiere campagne militari esterne per un totale di 193 centurie. Al di sotto di un certo patrimonio (come i  proletarii) non si poteva far parte delle classi delle centurie.
Cartina dell'antico Lazio nel 600 a.C..
La monetazione a Roma venne introdotta alla fine del IV, inizi del III secolo a.C., per cui i capitali erano misurati in "pecunia" (dalla parola latina per "pecora") non numerata, e cioè metallo pesato. Questo favorì comunque il reclutamento degli strati inferiori della società, fino ad allora esclusi dal servizio militare, segnando così il primo passo verso il riconoscimento politico di quella che solo grazie a questa riforma prenderà a chiamarsi plebe. L'inclusione della plebe nell'esercito portò ovviamente i re etruschi ad un primo contrasto con lo strato superiore della società romana, i patrizi, che vedevano minacciati i propri privilegi. Servio Tullio modificò la tradizionale ripartizione in tribù del popolo romano, che non tenne più conto dell'origine etnica delle genti, ma che considerava come criterio di appartenenza il luogo di residenza. Vennero così create quattro tribù urbane (Suburana, Palatina, Esquilina, Collina); in questo modo, oltre a omogenizzare i cittadini romani, si poteva anche valutare il patrimonio dei singoli cittadini e quindi fissarne il tributo che questi dovevano versare alle casse dello stato, oltre che il censo, che ne determinava la classe militare di appartenenza. Primo fra i Romani, condusse quindi  il primo censimento generale (dividendo i cittadini per patrimonio, dignità, età mestieri e funzioni), contando 80.000-83.000 cittadini romani, insieme a quelli delle campagne circostanti. Il nuovo corpo civico era quindi composto dai Comizi Curiati, le assemblee dei maschi adulti che formavano le nuove tribù territoriali e i  Comizi Centuriati che erano le assemblee degli appartenenti all'esercito in armi, (populus inteso come esercito) e che perciò non si potevano svolgere in città, in cui era proibito portare armi, ma nel Campo Marzio. Servio Tullio ampliò il pomerium (confine di Roma) ed aggiunse alla città di Roma i colli Quirinale, Viminale e Esquilino, scavando poi tutto intorno al nuovo tratto di mura un ampio fossato. Fece quindi costruire sull'Aventino, insieme agli alleati latini, il tempio di Diana, che corrisponde alla dea greca Artemide, il cui tempio si trovava ad Efeso, trasferendo da Ariccia il culto latino di Diana Nemorensis. Come per i Greci, per i quali il tempio di Artemide rappresentava una federazione di città, con il tempio di Diana, costruito intorno al 540 a.C., i Romani miravano a porsi come centro politico e religioso delle popolazioni del Lazio e forse anche dell'Etruria meridionale.
Statuetta romana di Mater Matuta.
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E sempre a Servio si ascrive anche la decisione di costruire il Tempio di Mater Matuta ed il Tempio della Dea Fortuna, entrambi al Foro Boario. Roma continuò comunque la sua politica di espansione territoriale, sia a danno dei vicini Sabini, sia delle città etrusche di Veio, Cere e Tarquinia le quali, non accettando la sovranità di Servio Tullio, considerato un usurpatore, non volevano più rispettare gli accordi di tregua stipulati con Tarquinio; dopo alterne vicende i Romani ebbero la meglio su queste città e ingrandirono il loro territorio verso nord.
Nella mitologia romana Mater Matuta era la dea del Mattino o dell'Aurora. Più tardi fu associata alla dea greca Ino o, appunto, Aurora. Aveva un tempio nel Foro Boario, realizzato, forse, all'epoca di Servio Tullio (secondo quarto del VI secolo a.C.), accanto al Porto fluviale di Roma, consacrato, secondo la leggenda, da Romolo. Distrutto nel 506 a.C., fu ricostruito nel 396 a.C. da Marco Furio Camillo, nell'odierna area di Sant'Omobono. Un altro tempio dedicato alla dea era nella città di Satricum. La sua festa (Matrialia) veniva celebrata l'11 giugno, a questo culto erano ammesse solo le donne vergini o sposate una sola volta, il cui marito era ancora vivo, mentre le donne schiave ne erano severamente escluse.
Il primo nome dell'insediamento urbano di Sanremo è stato "Villa Matuta", probabilmente dal nome della dea. Per i post "Cultura degli antichi Romani" clicca QUI, per i post "Politica nell'antica Roma" clicca QUI.

Isola di Chio.
Nel 575 a.C.
 - Secondo il ritrovamento di un'antica iscrizione a Chio, città di un'isola dell'arcipelago delle Sporadi posta a ridosso della costa occidentale dell'Anatolia, viene convocato un consiglio popolare che offre la prima testimonianza di istituzioni democratiche e leggi o decreti del dèmos, il governo dei molti, mentre nelle grandi monarchie prima dei Greci non c'erano uomini liberi, nel senso in cui l'Occidente è giunto ad interpretare questo concetto. D'altra parte, secondo le informazioni in nostro possesso, Chio fu la prima città in cui si acquistavano e vendevano schiavi.
Pianta dell'antica Mileto, colonia Ionica in
Asia Minore, che mostra una concezione
democratica dell'urbanistica. A parte l'area
centrale, destinata agli uffici pubblici, le
zone residenziali appaiono fortemente
omogenee, conformemente all'ideale
di uguaglianza fra cittadini della città-
stato democratica. Clicca per ingrandire.
Nelle città greche nelle quali la libertà individuale raggiungeva le sue più alte espressioni (e in particolare Atene), fioriva  il  commercio di schiavi come beni mobili; i Greci scoprirono contemporaneamente l'idea della libertà individuale e della struttura istituzionale al cui interno poteva essere realizzata, e l'idea di far mercato della schiavitù, in cui gli uomini erano beni mobili, ridotti al rango di merce: comprati, venduti e trattati come bestie. L'antica Grecia fu perciò la prima società schiavistica della storia. Lo storico Teopompo, nativo dell'isola di Chio, afferma infatti: "Gli abitanti di Chio furono i primi tra i greci, dopo i Tessali e i Lacedemoni, a servirsi di schiavi. Ma essi non se li procuravano allo stesso modo di questi ultimi, perché i Lacedemoni e i Tessali avevano tratto i loro schiavi dai Greci che precedentemente abitavano il territorio che avevano conquistato e li avevano chiamati rispettivamente iloti e penesti, mentre gli abitanti di Chio possedevano schiavi barbari che avevano acquistato. Per quanto riguarda la monetazione nel mondo greco, il ricorso all'oro per la coniazione di monete è piuttosto raro. In Occidente il primo utilizzo di monete, in una lega di oro e d'argento chiamata "elettro" o "oro bianco" avviene in una zona geograficamente prossima al regno di Lidia.
Fondamentale per la datazione di queste prime serie, è stato il ritrovamento di due depositi monetali durante gli scavi condotti all'inizio del secolo scorso nell'Artemision di Efeso. Il loro occultamento viene oggi messo in relazione con lavori di ristrutturazione del santuario, effettuati nel 560 a.C. L'introduzione delle monete in elettro sembra pertanto da porsi agli inizi del VI secolo a.C. La monetazione in elettro, battuta essenzialmente secondo uno standard "lidio-milesio", comprende lo statere (= gr 14,1 ca.) e alcune sue frazioni, fino a 1/96. Gli esemplari possono avere entrambi i lati lisci, oppure striature su una delle facce, o anche raffigurazioni di animali o di protomi su un lato e il marchio di uno o due punzoni, il cosiddetto "quadrato incuso", sull'altro. L'assegnazione a zecche specifiche risulta spesso problematica. L'alto valore delle diverse denominazioni indica un loro uso nel corso di transazioni economiche di livello piuttosto elevato.

Moneta di Focea in elettro di 1/6 di
statere raffigurante la foca marina,
simbolo di Focea, con sotto la
lettera Φ, iniziale di Focea e
coniata nel 600-550 a.C.;
conservata al British
Museum di Londra. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
- Nella seconda metà del VI secolo a.C. Focea perse l'indipendenza assieme alle altre città della Ionia. Prima passò a Creso, re di Lidia, e subito dopo, con la sconfitta di Creso nel 546 a.C., a Ciro il Grande, re di Persia. I Focei si rifugiarono a Chio con l'intenzione di acquistare e stabilirsi sulle isole Enusse ma, respinta l'offerta, si diressero verso le loro colonie nel Mediterraneo occidentale e molte furono quelle che fondarono.
Focea, importante porto commerciale, nel Mediterraneo occidentale fondò: Massalia, (l'attuale Marsiglia) in Francia, Alalia in Corsica, Elea in Magna Grecia, Emporion e Rhoda in Spagna. Ci informa infatti Erodoto che, utilizzando pentecontere anziché navi mercantili dallo scafo rotondo, i Focei furono i primi a compiere lunghi tragitti, e, aprendo nuove rotte commerciali a ovest, si erano spinti molto lontano, fin sull'Oceano Atlantico, presso Tartesso.
Carta del 700 a.C. con gl'insediamenti e limiti dell'influenza
di Tartesso segnalati in verde brillante, le colonie greche in
blu, le colonie fenicie in verde-oliva. Si vedono il Lago
Ligustico, Asta Regia (Jerez de la Frontera) e Gadir
Giunti a Tartesso, in Spagna, i Focei strinsero amicizia col re Argantonio (che significa "uomo d'argento") che li invitò a trasferirsi nel suo paese. I Focei declinarono la proposta e quindi, avendo avuto notizia dell'espansionismo dei Medi, Argantonio assegnò loro una grande somma d'argento per costruire mura difensive nella loro città.

- Numerosi sono i miti e leggende associate a Tartesso, impero fondato da genti Liguri, come memorizzato dal toponimo Lago Ligur, oggi nome del distretto a sud-ovest di Siviglia in cui il lago si è interrato, ma di cui rimangono i toponimi di due località, Isla Mayor e Isla Minima.
Le fonti letterarie antiche possono fornirci una visione realistica di quel paese, velato dalle nebbie del tempo.
Bacino dell'antico Lago Ligur,
sotto Siviglia, con indicate le
antiche Isla Mayor e Isla
 Minima.
 Anche se vi è un alfabeto e una scrittura tartessica,  non sono stati ancora decifrati, nonostante gli sforzi di molti studiosi; quindi abbiamo a che fare solo con quello che hanno scritto su Tartesso Greci, Fenici, Egizi, semiti e Romani. Il documento più antico su Tartesso è il poema "Ora Maritima" di Rufo Festo Avieno (Volsinii o Bolsena, fl.= floruit, aveva 40 anni nella seconda metà del IV secolo). Anche se è stato composto intorno all'anno 400 d.C., il poeta utilizza come principale fonte di ispirazione la memoria scritta del viaggio di un marinaio massaliota (di Marsiglia), l'"Euthymenes", scritto nel VI secolo a.C. e forse qualche fonte fenicia ancora più antica. Il documento cita la città di Tartesso che si trova tra le braccia della foce di un fiume che corrisponde all'attuale Guadalquivir. La lettura prosegue  affermando che Tartesso ha governato su una vasta regione che si estende dalle regioni orientali, menzionando in particolare la città di Herma e la foce di un fiume, che potrebbe essere il Segura o il Vinalopó fino alla foce del Guadiana, nella metà meridionale del Portogallo. Avieno nomina anche diversi popoli stanziati a Tartesso, come i Cilbicenos, Etmaneos e Ileates, oltre che gli abitanti del regno di Selbyssena. Tuttavia, altri autori ci danno un'immagine minore dell'impero tartessico. Ecateo di Mileto, alla fine del VI secolo a.C., nel suo Periegesís, separa le città dei domini di Tartesso da quelle che i Mastienos avrebbero occupato in gran parte dell'Andalusia orientale, menzionando come città dei Mastienos: Mainobora nei pressi dell'attuale fiume Velez, Sixo, l'attuale Almuñecar, o Sualis (Fuengirola). Ciò ridurrebbe l'ambito tartessico al sud-ovest della penisola. Ecateo menziona anche le città Tartessiche di Elibirge (si può pensare ad Andujar) o Ibila, probabilmente, entrambe situate nella valle del Guadalquivir. Erodoto di Heraclea, e nel V secolo a.C. nomina i tartessici congiunti ad altre popolazioni come Cineti, Gleti, Elbisini, Mastieni e Celciani, tutti situati sulle sponde delle Colonne d'Ercole.

Carta dell'impero dei Medi, della Lidia, dell'impero
Caldeo e dell'Egitto nel 612 a.C..
Medi furono un antico popolo iranico che occupò gran parte dell'odierno Iran centrale e occidentale, a sud del Mar Caspio. Nel VI secolo a.C. fondarono un impero che si estendeva dall'attuale Azerbaigian all'Asia Centrale e che fu rivale dei regni di Lidia e Babilonia. Secondo le Storie di Erodoto, i Medi erano anticamente chiamati "Ariani" (da Harià = Signore), ma da quando  Medea da Atene giunse in Colchide (nella Georgia occidentale), cambiarono il loro nome in suo onore. I Medi vengono menzionati per la prima volta in un'iscrizione assira che risalirebbe all'835 a.C. insieme ai Persiani, ma è grazie all'archeologia che possiamo collocare il loro arrivo nell'altopiano iranico alla metà del II millennio a.C. A quel tempo essi formavano un raggruppamento di tribù seminomadi, ma di notevole forza militare, i cui re dimoravano dentro fortezze (siti di Godin Tepe, Nush-i Jân). Il primo regno medo unificato appare solo nell'VIII secolo a.C., e secondo Erodoto fu fondato da Deioce, il quale in realtà non era che un piccolo capo tribù sottomesso, come i suoi più diretti successori, al re assiro Sargon II. Le incessanti lotte tra gli Assiri e le popolazioni iraniche erano dovute al bisogno di procurarsi i cavalli da parte dell'esercito assiro e alle incursioni a scopo di rapina e saccheggio dei Medi e dei Mannei in territorio assiro. Quando i Cimmeri invasero l'Anatolia dal Caucaso, il capo medo Fraorte (675-653 a.C.) riunì le tribù e si alleò con essi contro gli Assiri, ai quali inflisse pesanti sconfitte arrivando persino ad assediare Ninive, dove morì in combattimento. La Media fu successivamente assalita dagli Sciti che la dominarono fino a quando Ciassare la liberò (ca. 625 a.C.). organizzò un potente esercito, sottomise i Persiani e confederò le popolazioni iraniche per muovere guerra agli Assiri. L'alleanza con i Babilonesi consentì ai Medi, dopo la distruzione di Ninive (612 a.C.), di estendersi in Armenia e in Cappadocia fino alla Lidia, con la quale fu stabilito, dopo un conflitto e con la mediazione dei Babilonesi, un confine lungo il fiume Halys. Da questo momento, i re medi si attribuirono il titolo di "re dei re", avanzando pretese di supremazia su tutta l'Asia Minore. Il cosiddetto "impero medo", in realtà era una confederazione di numerose popolazioni iraniche. La mancanza di unità culturale e l'eccessiva eterogeneità della popolazione, rese il regno dei Medi fragile e ciò non tardò a rivelarsi alla morte di Ciassare. Suo figlio Astiage, succedutogli sul trono, non ebbe la forza e le qualità necessarie a contrastare la crescita della potenza persiana sotto Ciro, che si ribellò e, ereditando le esperienze statali elamiche, di cui i Medi erano privi, fu in grado di impossessarsi di tutto il Vicino Oriente. L'impero dei Medidurato poco più di cinquanta anni, non ebbe caratteristiche culturali originali, ma imitò gli Elamiti, Urartu, la civiltà del Luristan e ovviamente le civiltà mesopotamiche. La sua forza risiedeva nell'esercito, che fu organizzato secondo criteri innovativi, cioè con la creazione di reparti di unità specializzate (arcieri, lancieri, cavalleria) manovrate secondo criteri tattici: l'epoca del combattimento eroico, individuale, signorile con i carri fu definitivamente superato in quest'area. Lo stesso sovrano doveva il suo potere al sostegno del ceto militare e all'ascendente che aveva sulle truppe, anche se formalmente esso era basato su principi religiosi.

Pisistrato, da: http://www.
sunelweb.net/modules/
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Dal 561 a.C. - Pisistrato (560 - 527 a.C.) del demo di Filaide, imparentato con Solone da parte di madre, è tiranno di Atene dal 561/560 al 556/555 e dal 546 (o 544) al 528/527 a.C.. In veste di polemarco, il giovane Pisistrato acquistò fama vincendo i megaresi contro i quali Atene era in guerra, sottraendogli così definitivamente l'isola di Salamina e il porto saronico di Nisea. Questi successi militari gli valsero un prestigio e un credito tali da renderlo un attore di primo piano della politica dell'epoca. Inizialmente, ottenne anche il sostegno del popolo, che poi, però, si trasformò in timore. Atene all'epoca era travagliata da una convulsa lotta politica, con partiti e fazioni capeggiate dalle famiglie aristocratiche. La polis era allora divisa tra la fazione legata alla zona costiera (i cosiddetti paralii, dal greco paralia, costa), capeggiati dall'alcmeonide Megacle, e la fazione legata all'entroterra (i cosiddetti pediaci, dal greco pedion, pianura), capeggiati da Licurgo di Atene. Pisistrato, forte dei crediti guadagnati, inutilmente ostacolato da Solone, si inserì efficacemente nella lotta politica mettendosi a capo della popolazione della zona montuosa (i cosiddetti diacrii, dal greco ákra, montagna). Per ottenere l'appoggio popolare, Pisistrato ricorse a uno stratagemma: si procurò delle ferite per mostrarle in pubblico quale prova di un'aggressione subita da parte dei propri rivali. Il popolo decretò per lui l'istituzione di una guardia del corpo di 300 mercenari con la quale Pisistrato occupò l'Acropoli, senza resistenza da parte degli opliti, nel 561/560 a.C., ottenendo il potere assoluto. La presa del potere provocò una compattazione del fronte dell'opposizione: un'alleanza tra Licurgo e Megacle sortì l'effetto di costringerlo all'esilio. Pisistrato, in seguito, si alleò con Megacle e, approfittando del clima propizio, riuscì a ritornare ad Atene, facendosi precedere da una nuova simulazione: fece vestire una fanciulla di altissima statura (del demo di Peania o, secondo altri, una donna della Tracia di nome Fia) con gli abiti tradizionali della dea Atena per sfilare in processione per la città su un carro, a diffondere la voce che la dea stessa consigliava agli Ateniesi di richiamarlo in città. Con questo spregiudicato accordo con Megacle, Pisistrato scacciò Licurgo e, dopo aver sposato la figlia di Megacle, fu da questi appoggiato quale tiranno di Atene. Pisistrato aveva già una prole legittima dal primo matrimonio (oltre che una illegittima da una concubina Argiva) e non sembrava volerne dalla nuova moglie perché, stando a Erodoto, non voleva figli dalla stirpe sacrilega degli Alcmeonidi. Quando Megacle si spazientì delle sue inadempienze coniugali, che vanificavano i suoi disegni, ruppe l'alleanza e lo scacciò da Atene (556 a.C.). In questo frangente, entrambi gli attori politici avrebbero mostrato quindi di avere in mente un progetto politico di consolidamento del potere (o di ottenimento, nel caso di Megacle) da perseguire per via dinastica. Nuovamente esiliato, il tiranno strinse amicizia con molti potentati greci e nel 545 a.C. sbarcò a Maratona (regione a lui fedele) con un esercito fornito da Eretria, Tebe e Nasso con altri mercenari che pagava con l'argento delle sue miniere in Tracia. Con un forte esercito sconfisse gli opliti ateniesi nei pressi del tempio di Atena Pallenide: con questo atto di forza riprese il potere sulla città. Durante il suo dominio i cittadini furono certamente privati di molte libertà civili e morali, tra le quali quella di potere entrare in città, sebbene avesse creato i giudici nei vari demi, per cui il giudizio degli antichi su Pisistrato non è molto severo, poiché essi lo ritenevano un tiranno dotato di grande abilità e lungimiranza, vista anche la sua moderazione a differenza delle tirannidi contemporanee. Adottò una riforma territoriale a scopi fiscali e militari, che suddivideva il territorio ateniese in 48 naucrarie, 12 per ciascuna delle 4 tribù gentilizie, le quali tra l'altro dovevano fornire i mezzi necessari alla costruzione e al mantenimento di una nave allo stato, tramite ad una tassazione del 5% delle entrate dell'associazione. Sotto il suo ultimo periodo di tirannide iniziò la prima coniazione di monete ad Atene, che erano in argento. A lui sono attribuite diverse riforme e miglioramenti: incentivò infatti la piccola proprietà terriera a discapito dei latifondi, incrementò il commercio, favorendo così la crescita della classe mercantile, e favorì i ceti meno abbienti con l'esecuzione di un vasto piano di opere pubbliche, come la costruzione del tempio di Atena nell'acropoli. Inoltre, il suo governo segnò una tappa notevole nella storia edilizia della città e nello sviluppo dell'arte greca. Infatti è da ricordare la trascrizione su papiro dell'Iliade e dell'Odissea, per cui probabilmente è grazie al tiranno ateniese che i due poemi sono giunti fino a noi. Inoltre vennero istituite nuove feste religiose: le Dionisie, in onore del dio Dioniso, e le Panatenee.

Carta del mediterraneo nell'VIII sec. a.C. con la Grecia e le
sue pòleis (città), e le loro colonie e città fondate
successivamente. In rosso scuro i territori di Fenici
e Cartaginesi. Sono sottolineate in rosso: Focea,
Lampsaco più a nord, Amiso sul Mar Nero, Naucrati
in Egitto, Massalia (Marsiglia), Alalia, Cuma, Elea,
Reggio. Clicca per ingrandire.
- I  viaggi marittimi dei focei erano estesi: a sud commerciavano probabilmente con la colonia greca di Naucrati, in Egitto e a nord aiutarono probabilmente l'insediamento delle colonie di Amiso e Lampsaco. (Vedi cartina a fianco).
A proposito della fondazione di Massalia, si narra che Focei  (per visualizzare il post del Manoscritto Anonimo del 1700, in cui si parla dei Focei nell'area di Sanremo e in Liguria, clicca QUI) e Samioti aprirono relazioni commerciali con gli abitanti delle coste dell'Iberia orientale e della Gallia meridionale, che erano quasi tutti Iberi e Liguri. Nella particolareggiata leggenda di Massalia (Marsiglia), si racconta  come i primi coloni Focei, Simos e Protis, provenienti da Efeso, incontrando il sovrano ligure Nannu, sarebbero stati invitati, in una lingua incomprensibile, a partecipare ad un banchetto al quale, a loro insaputa, la figlia di Nannu, Gyptis, avrebbe scelto il suo sposo tra gli astanti. Gyptis espresse la sua preferenza per il foceo Protis, generando la comunione tra i popoli. La terra su cui avrebbero edificato la loro città, infatti, sarebbe stata proprio Massalia.
Questo episodio ci fa intendere che Massalia non può essere considerata una colonia esclusivamente greca, ma più probabilmente il luogo di un'intesa greco-ligure come accesso al Mediterraneo dei commerci continentali europei e viceversa (sale, metalli, ambra, vino, manufatti ecc.).
Figura maschile di
Ligure, fine del VI
sec.a.C., con
copricapo a forma
di testa di cigno.
Parigi, Museo
del Louvre
Da quando i Focei si stabilirono ad Alalia, in Corsica, per cinque anni costruirono templi e saccheggiarono i paesi circostanti, fino a quando Etruschi e Cartaginesi li affrontarono nella battaglia navale di Alalia (535 a.C.).
Carta dell'antico mar Tirreno con la zona
della battaglia di Alalia del 535 a.C.
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Le flotte etrusca e cartaginese furono sconfitte nella prima battaglia navale di cui abbiamo notizia nella storia del Mediterraneo, anticipando di 60 anni le guerre Persiane. I Focei vinsero, ma riportarono danni così gravi alle loro navi che preferirono trasferirsi a Rhegion (l'attuale Reggio Calabria) e da lì risalire la costa per fondare Elea. Tra i fondatori della colonia figurava anche il filosofo Senofane di Colofone. Elea vedrà poi la fioritura della scuola filosofica Eleatica, con Parmenide e Zenone.

Dal 550 a.C. - Intorno al 550 a.C. popolazioni di Germani  raggiunsero l'area del Reno, imponendosi sulle preesistenti popolazioni Celtiche e in parte mescolandosi a esse (è considerato misto il popolo di confine dei Belgi).
Dal V al I secolo a.C., i Germani premettero costantemente verso sud, venendo a contatto (e spesso in conflitto) con i Celti e, in seguito, con i Romani. Lo spostamento verso sud fu probabilmente influenzato da un peggioramento delle condizioni climatiche in Scandinavia tra il 600 a.C. e il 300 a.C. circa. Il clima mite e secco della Scandinavia meridionale (una temperatura di due-tre gradi più elevata di quella attuale) peggiorò considerevolmente, il che non solo modificò drammaticamente la vegetazione, ma spinse le popolazioni a cambiare modi di vivere e ad abbandonare gli insediamenti. Intorno a tale periodo questa cultura scoprì come estrarre il "ferro di palude" (limonite) dal minerale nelle paludi di torba. Il possesso della tecnologia adatta ad ottenere minerale di ferro dalle fonti locali può aver favorito l'espansione in nuovi territori. Nell'area di contatto con i Celti, lungo il Reno, i due popoli entrarono in conflitto. Sebbene portatori di una civiltà più articolata, i Galli subirono l'insediamento di avamposti germanici nel loro territorio, che diedero origine a processi di sovrapposizione tra i due popoli: insediamenti appartenenti all'uno o all'altro ceppo si alternavano e penetravano, anche profondamente, nelle rispettive aree d'origine. Sul lungo periodo, a uscire vincitori dal confronto furono i Germani, che qualche secolo più tardi sarebbero dilagati a occidente del Reno. Identico processo si sarebbe verificato, a sud, lungo l'altro argine naturale alla loro espansione, il Danubio.

Nel 540 a.C. circa - Si combatte la battaglia del Mar Sardo, ricordata da Erodoto (I, 166), fra Etruschi  Cartaginesi alleati contro i Focei. Il quadro storico nel quale si svolsero le vicende che videro la fondazione e il popolamento dell’insediamento sul colle di Castello a Genova, appare il risultato di un più sistematico riassetto degli equilibri di forze nel settore del Tirreno settentrionale, determinato dal dispiegarsi di interessi contrastanti di varie potenze in crescita. Fin dall’VIII secolo a.C. Greci e Fenici  avevano iniziato a fondare colonie (la prima fu Pythekoussai nell’isola di Ischia ad opera di Eubei) sulle coste del mar Tirreno, in Italia meridionale e in Sicilia. Nel 600 a.C. un gruppo di coloni di Focea, città della Ionia, in Asia Minore, aveva fondato, con il consenso delle popolazioni Liguri locali, Massalia (Marsiglia), alle bocche del Rodano. In poco tempo Marsiglia aveva assunto il controllo dei traffici marittimi del Mediterraneo nord occidentale, svolgendo anche un fondamentale ruolo di mediazione con le popolazioni celtiche che gestivano lo smercio del prezioso stagno delle isole Cassiteridi, in Cornovaglia, rarissimo altrove (ne esistevano solo limitati giacimenti in Etruria) ed indispensabile per realizzare la lega di bronzo.
Altre colonie focesi erano state ben presto fondate da Marsiglia ad Emporion (odierna Ampurias) in Spagna e da coloni provenienti dalla madrepatria a Kyrnos, in Corsica, nel luogo dove più tardi sorse la romana Aleria, verso il 565 a.C.. Il porto di Marsiglia era un importante scalo commerciale frequentato anche dagli Etruschi, che, dalla fine del VII secolo a.C., raggiungevano con le loro imbarcazioni le coste della Francia per smerciare i loro prodotti, in particolare vino, che era molto apprezzato dai Celti e dai Liguri, e ceramiche. Anche i Greci scambiavano vino, olio, profumi e ceramiche decorate con lo stagno, l’ambra e schiavi. La conquista delle città greche della Ionia da parte dei Persiani verso il 546 a.C. aveva costretto alla fuga i Greci. Nel 545 a.C. un gruppo di Focei, corrispondente a circa la metà della popolazione, lasciò la città occupata dai Persiani comandati da Arpago, generale di Ciro, per fondare altrove una nuova patria. Dopo alcuni tentativi falliti, gli esuli risolsero di raggiungere i compatrioti in Corsica. L’intraprendenza commerciale dimostrata dai nuovi venuti, accusati anche di pirateria nei confronti dei vicini, turbò la stabilità politica che aveva consentito fino a quel momento il pacifico sviluppo dei commerci marittimi ed ebbe come conseguenza la battaglia del Mar Sardo (circa 540 a.C.) ricordata da Erodoto (I, 166), che fu combattuta fra Etruschi e Cartaginesi alleati contro i Focei, forse con la partecipazione di Marsiglia. I Focei risultarono vittoriosi nello scontro, ma con perdite così elevate che i superstiti abbandonarono Kyrnos facendo vela verso la Calabria ed in seguito fondarono Elea (Velia) sulle coste della Campania, mentre gli Etruschi rioccuparono la Corsica. La battaglia del Mar Sardo ebbe come conseguenza la spartizione del Tirreno in sfere di influenza tra le grandi potenze che avevano partecipato al conflitto, con la definizione dei rispettivi confini politici e commerciali ed il consolidamento del sistema di porti e approdi a cui faceva capo la navigazione lungo le rotte settentrionali, perfezionato, dalla fine del VI secolo, anche mediante accordi e trattati commerciali, come il primo trattato stipulato nel 509 a.C., con giuramento, tra Roma e Cartagine. Nel testo, tramandato da Polibio (3,22 e 3,26), che aveva avuto occasione di leggerlo personalmente molti secoli dopo, sono spartiti gli spazi del Mediterraneo e introdotto il concetto di “acque territoriali”. Le ricerche archeologiche dimostrano che ogni potenza marittima si attivò per consolidare la propria autorità commerciale e politica: Marsiglia riorganizzò il settore fra Antibes e Nizza e iniziò a fabbricare anfore per commerciare il proprio vinoCartagine operò un radicale riassetto delle colonie fondate dai fenici in Sardegna e nella Spagna meridionale. Gli Etruschi, non più soli padroni del Tirreno, diversificarono le loro attività, creando fondaci (il fondaco, pron. fóndaco, dal greco e attraverso l'arabo funduq, significa letteralmente "casa-magazzino", un edificio o un complesso di edifici che nelle città di mare svolgeva funzioni di magazzino e, spesso, anche di alloggio per i mercanti stranieri) all’interno di insediamenti indigeni in Linguadoca, come a Lattarci (odierna Lattes) e dando vita ad una rete di controllo e gestione delle più importanti vie di penetrazione commerciale marittima, fluviale e terrestre, mediante la fondazione o il potenziamento di centri ubicati in punti strategici, sia costieri, sul Tirreno, a Genova e ad Aleria in Corsica, sull’Adriatico a Spina, sia nell’entroterra padano, dove massicci spostamenti di coloni ripopolarono il fiorente centro di Felsina (Bologna) e edificarono nuove città a Marzabotto e al Forcello di Bagnolo San Vito a pochi chilometri da Mantova. Questo fenomeno di riorganizzazione, ad opera di Etruschi e Umbri, accompagnato da una capillare occupazione delle fertili campagne con fattorie e insediamenti produttivi, si protrasse a lungo, imprimendo un nuovo impulso ai commerci nell’area padana.
Attraverso le comode vie d’acqua dell’asse Po-Mincio le barche cariche di merci pregiate, anfore di vino e olio, raffinate ceramiche dipinte e profumi dalla Grecia, vasellame da simposio, figurine di bronzo e gioielli dall’Etruriaambre intagliate, incenso dall’Arabia, raggiungevano l’abitato del Forcello, vero caposaldo commerciale per il tragitto verso i territori della cultura di Golasecca, le cui popolazioni esercitavano il controllo dei valichi alpini e degli itinerari verso le regioni dell’Europa centrale abitate dai Celti. Altre vie di terra mantenevano in contatto l’Etruria padana con il Tirreno, garantendo l’approvvigionamento dei metalli attraverso i valichi appenninici che congiungevano la Romagna con la Garfagnana in direzione di Populonia e collegavano i mercati golasecchiani con la Liguria centrale lungo il percorso della Val Polcevera, poi ricalcato dalla via Postumia, che raggiungeva il porto di Genova attraversando i territori del Piemonte occupati dai Liguri dell'interno. Come testimonia Scilace (Ps.Skil. 5), nel VI secolo a.C. la costa ligure era posta sotto l’influenza etrusca con un limite ad Antion (Antibes). La realizzazione di un centro stabile a Genova sembra rispondere, come diremmo in linguaggio moderno, ad un’esigenza di mercato. La convergenza sul porto di una rete di percorsi di crinale e di fondovalle in corrispondenza di valichi, che collegavano, con il tragitto più breve in Liguria, la città ai territori padani, e la posizione costiera in un punto di tappa quasi obbligato, giustificano la nascita di un santuario emporico e la fortuna del centro, posto in una zona di cerniera tra EtruschiGreci di Marsiglia, Celti e le popolazioni della Padana occidentaleLiguri dell’interno e Golasecchiani, che da tempo si affacciavano sulla costa ligure per i loro scambi. Come dimostrano le scoperte del Portofranco, al momento della fondazione dell’abitato sulla sommità della collina di Castello esisteva già a Genova una comunità attiva, che gestiva lo scalo e praticava scambi con merci di importazione, e i nuovi arrivati si indirizzarono perciò verso un luogo sicuro e ospitale, già noto per precedenti frequentazioni commerciali. Nelle acque di Alalia-Corsica o di Albia si scontrarono infine le tre potenze allora padrone dell’occidente: Greci (Alalioti e Massalioti) da una parte e dall’altra Etruschi (in maggioranza Ceretani) e Cartaginesi. A questi ultimi toccò la vittoria nella battaglia del mare Sardonio, dove il mondo antico subì un totale cambiamento. La talassocrazia greco-focese dovette cedere a quella degli Etruschi che ebbero mano libera nel Tirreno sino a Lipari e alle coste della Sicilia. I cartaginesi fondarono un impero nei mari dell’occidente, calando la saracinesca contro chiunque volesse violarli.

Senofane di Colofone.
- Dal 540 a.C. fiorisce il pensiero di Senofane di Colofone (565 - 470 a.C.).  Le poche notizie sulla sua vita sono fornite da Diogene Laerzio: "Senofane di Colofone, figlio di Dexio o di Ortomeno... lasciata la patria, dimorò a Zancle (l’odierna Messina) di Sicilia e poi prese parte alla colonia diretta a Elea e qui insegnò; abitò anche a Catania. Secondo alcuni non fu discepolo di nessuno, secondo altri, dell’ateniese Betone o di Archelao. Sozione dice che fu contemporaneo di Anassimandro. Scrisse versi epici, elegie e giambi, censurando quanto sia Omero che Esiodo avevano detto sugli dei. Cantava egli stesso le sue composizioni. Si dice che abbia polemizzato contro Talete, Pitagora ed Epimenide. Visse fino a tardissima età... cantò anche "La fondazione di Colofone" e "La deduzione di colonia a Elea" in duemila versi. Fiorì nella 60ª olimpiade (540 - 537). Demetrio Falereo in "Sulla vecchiaia" e lo stoico Panezio in "Sulla tranquillità dell’animo" dicono che abbia sepolto i figli con le sue mani, come Anassagora. Pare che sia stato comprato e poi riscattato dai pitagorici Parmenisco e Orestade...". Diceva Senofane: "Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi...i mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro...gli Etiopi credono che (gli dei) siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi ...ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare...i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi ...". In realtà, "uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza...tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente...senza fatica tutto scuote con la forza del pensiero...sempre nell’identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là.". Da tutto questo si ricava la concezione di un dio-universo e nient’altro si può dire della sua concezione della divinità e dell’essere, diversamente da tarde interpretazioni che vogliono fare di Senofane un precursore della scuola eleatica e il maestro di Parmenide. Egli è legato alla scuola ionica di Mileto, quella di Talete, Anassimandro e Anassimene, a cui egli aggiunge uno spirito, che si potrebbe definire laico, di critica alle concezioni religiose correnti. Non a caso sostiene che "il certo, nessuno lo ha mai colto né ci sarà nessuno che possa coglierlo, sia per quanto riguarda gli dei che per ogni cosa. Infatti, se pure ci si trovasse a dire qualcosa di vero, non lo si saprebbe per esperienza diretta; noi possiamo avere solo opinioni", aggiungendo che "non è che da principio gli dei abbiano rivelato tutto ai mortali, ma col tempo, cercando, gli uomini trovano il meglio".
In queste ultime affermazioni si rileva uno spirito di concretezza razionalistica sui limiti della conoscenza umana ma anche la consapevolezza che non da interventi soprannaturali l’uomo può acquisire conoscenza o costruire la propria cultura. Oltre a schierarsi contro i valori propri del mito e della epopea omerica, affermò contrariamente ai valori in voga tra i contemporanei, la netta superiorità dei valori spirituali quali la virtù, l'intelligenza e la sapienza, sui valori puramente vitali, come la forza e il vigore fisico degli atleti. Da quelli la città ha ordinamenti migliori e felicità maggiore che non da questi."Perché vale di più la nostra saggezza che non la forza fisica degli uomini e dei cavalli[...] Difatti, che ci sia tra il popolo un abile pugilatore o un valente nel pentatlo o nella lotta [...], non per questo ne è avvantaggiato il buon ordine della città.


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