Sardegna: Tomba dei Giganti.
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- La prima menzione dei Popoli del Mare, databile dal 2.000 al 1.700 a.C., compare nell'obelisco di Biblo, dove viene nominato Kwkwn, figlio di Rwqq, transliterato Kukunnis figlio di Lukka.
Biblo, tempio fenicio degli obelischi. |
Reperto con la scrittura
"Lineare A".
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- Nella Civiltà Minoica entra in uso la scrittura "Lineare A". La Lineare A è uno dei due sistemi di scrittura utilizzati nell'isola di Creta prima del sistema di scrittura dei greci micenei detto Lineare B, insieme ai geroglifici cretesi. Durante il periodo minoico, prima del dominio miceneo, la Lineare A fu utilizzata come scrittura ufficiale nei palazzi e per i riti religiosi, mentre i geroglifici venivano utilizzati soprattutto sui sigilli. Questi tre sistemi di scrittura furono scoperti da Arthur Evans, che gli dette il nome utilizzato attualmente. Nel 1952, Michael Ventris scoprì che la Lineare B veniva usata per mettere per iscritto una primitiva forma di greco, nota oggi come miceneo. Insieme ad altri utilizzò questa scoperta per decifrare la Lineare B, decifrazione tutt'oggi ampiamente accettata, anche se rimangono molti punti da chiarire. Il fallimento nel determinare la lingua trascritta con la Lineare A ha impedito lo stesso tipo di progresso fatto con la Lineare B nella sua decifrazione. Sembra che la Lineare A sia stata utilizzata come sillabario completo intorno al 1.900 - 1.800 a.C., anche se svariati segni apparvero già in precedenza. È possibile che la scrittura troiana rinvenuta da Heinrich Schliemann ed una iscrizione rinvenuta nella zona centrale di Creta, così come alcuni marchi su ceramica da Lahun, Egitto (12esima dinastia) provengano da un periodo precedente, circa 2.100 - 1.900 a.C., il quale è il periodo della costruzione dei primi palazzi. I sistemi di scrittura adottati a Creta e poi in Grecia prima dell'introduzione dell'alfabeto, vengono distinti con le designazioni di scrittura lineare A (dal 1600 a.C. al 1400 a.C.) e scrittura lineare B (dal 1450 a.C. al 1200 a.C.). La A, con 85 segni, è diffusa in tutta l'isola di Creta, mentre la B, con 88 segni, nell'isola è rinvenuta solo a Cnosso, ma si trova anche nella Grecia continentale, a Pilo e a Micene. La lineare A costituisce ancora notevoli problemi per la sua decifrazione, sembra inoltre che dietro questa scrittura si celi una lingua non indoeuropea. La lineare B, grazie all'opera di Michael Ventris, è ormai facilmente decifrabile e serviva per trascrivere un dialetto greco dalle caratteristiche molto arcaiche.
Carta con Fiavè, in Trentino.
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Il disco di Festo.
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- Il 3 luglio 1908, gli archeologi che stavano scavando nell'antico palazzo minoico di Festo, a Creta, si imbatterono in uno degli oggetti più sorprendenti nella storia della tecnologia: il disco di Festo. La scoperta dell'ubicazione di Festo fu dovuta allo spirito avventuroso di un militare inglese, il generale Spratt il quale, Strabone alla mano, rintracciò l'antica città cretese di cui parlarono anche altri autori classici quali Omero nell'Iliade (II, 648) e nell'Odissea (III, 296) e Diodoro. Il Disco di Festo è un manufatto in terracotta ancora immerso nella leggenda e nel mistero. Venne rinvenuto sotto un muro del palazzo di Festo da due archeologi, Luigi Pernier e Federico Halbherr e l’attribuzione di una data con il metodo stratigrafico lo pone intorno al 1.700 a.C. A una prima occhiata non sembrava niente di speciale: un disco piatto e non dipinto di terracotta del diametro di una quindicina di centimetri. Ma a un esame più attento, si vide che su entrambi i lati erano impressi i segni di una scrittura, disposti lungo una linea a spirale che in cinque giri convergeva verso il centro. Il disco sembrava progettato ed eseguito con cura, in modo che la scritta iniziasse sul bordo e finisse esattamente al centro, sfruttando tutto lo spazio disponibile. La prima particolarità che salta all’occhio sono le dimensioni del disco: 16 cm di diametro per 16 mm di spessore. In secondo luogo appare interessante il modo in cui il disco è stato decorato: si tratta di un motivo a spirale che si conclude esattamente nel centro del disco, su entrambi i lati. All’interno della spirale vi sono riportati 241 simboli divisi in gruppi con delle “stanghette” che chiudono lo spazio di scrittura. Il basso numero di simboli unici, 45 ha fatto ipotizzare un sistema sillabico, resta il fatto che ad oggi, dopo numerosi tentativi, il disco è rimasto indecifrato. Un’ultima curiosità: i simboli non sono stati incisi, bensì “stampati” sulla creta fresca del disco. Interessante è l'analisi di Rosario Vieni da: http://www.misteria.
Carta tolemaica del III secolo della
Scizia (Scythia e Serica)
La Scizia è separata in due parti dai
monti Imai (l'Himalaya)
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Nel 1.700 a.C. - Tra le tante specie animali
addomesticate, il cavallo è forse quello che più ha fatto la
differenza in termini di fruttuosa alleanza con l’uomo, soprattutto
nell’ambito della vita bellica. E c’è un’intera regione
geografica che, senza la domesticazione del cavallo, avrebbe avuto
certamente una storia molto diversa. Il riferimento va alle ampie
steppe eurasiatiche, terre selvagge e difficili per gli esseri umani,
habitat naturali dei cavalli. In una schiera di popolazioni nomadi
che hanno abitato nei secoli queste regioni ce n’è una che più di
altre ha fatto del cavallo il suo principale mezzo di
sussistenza: gli Sciti, che
gli storici considerano generalmente di origine iranica, con
un periodo di esistenza collocato generalmente tra il IX secolo a.C.
al I secolo a.C. Le loro scorribande avvenivano in un’area
piuttosto ampia, che andava dalla Siberia meridionale e al Kazakistan
fino alle attuali Ucraina, Romania e Moldavia. La loro simbiosi
con i cavalli era tale che non solo ne facevano il principale mezzo
di trasporto, ma ne consumavano le carni e persino il latte,
e credevano che i loro fedeli destrieri li avrebbero accompagnati
anche nell’oltretomba. Le tracce più antiche di bardatura e uso
della sella si ritrovano proprio nei siti archeologici
attribuiti agli Sciti.
Secondo la teoria kurganica, nel 1.700
a.C. gli Sciti, popolazione indoeuropea di origine iranica formatasi dalla cultura di Srubna, si stanziano inizialmente nello Yenissei e proseguiranno poi verso l'Altaj ed il Caucaso, in direzione ovest, dilagando nelle steppe pontico-caspiche (costringendo i Cimmeri a
migrare a sud del Caucaso) da dove si spingeranno successivamente in
Europa orientale, spinti verso ovest delle tribù Hiung-nu (identificate con il popolo degli Unni), che muovendosi verso occidente mettevano in breve tempo in moto tutte le tribù nomadi delle steppe. Erodoto afferma che in origine gli Sciti sarebbero stati scacciati dagli Issedoni, un popolo del profondo nord. Gli Sciti avrebbero poi guadato il Volga e si sarebbero insediati negli antichi territori dei Cimmeri, poi chiamati Scizia, poiché erano stati braccati dai Massageti. L'invasione del regno dei Cimmeri lacerò quest'ultimi: la popolazione voleva semplicemente fuggire mentre i sovrani non volevano cedere all'invasione scita. Approssimandosi l'arrivo degli Sciti, i sudditi abbandonarono le loro terre senza combattere e i re, rimasti soli, si divisero in due gruppi e combatterono tra loro sterminandosi a vicenda. I loro corpi vennero seppelliti lungo le rive del fiume Dnestr. « Pare che i Cimmeri, in fuga dagli Sciti, si siano rifugiati in Asia (la penisola anatolica, n.d.r.) e abbiano colonizzato la penisola nella quale sorge attualmente la città greca di Sinope » (Erodoto, Storie, IV, 12, 2). Gli Sciti (o Scythi) furono una popolazione seminomade di origine iranica, mitologicamente nata o dall'unione tra Eracle ed Echidna, o tra Zeus ed il fiume Boristene, tra l'VIII ed il VII secolo a.C.
Guerriero Scita, reperto in
feltro. Clicca sull'immagine
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Erodoto riferisce che il nome Sciti fu attribuito a tale popolazione dai Greci e che tale nome derivava da quello di uno dei re degli Sciti, Skules, ad esso direttamente correlato. Infatti gli Sciti chiamavano se stessi Skula. Erodoto sostiene che i Persiani chiamassero gli Sciti Saka. Assiri ed Ebrei trassero il nome aškuza/iškuza tramite gli Sciti stessi dopo l'invasione del Medio Oriente, da cui deriverebbe il nome originario Skuza, pressoché identico al greco Σκὺθης, mutuato dal prototipo iraniano Skuδa. Questo nome si formò dalla radice skeud, "gettare, tirare", traslata anche nelle lingue germaniche (lingua inglese: shoot); il suo significato sarebbe pertanto "arciere", come del resto confermato dalle fonti storiche che fanno dell'abilità con l'arco un tratto fondamentale degli Sciti. Principale fonte primaria sulle origini e la storia degli Sciti è il libro IV delle Storie di Erodoto. Lo storico greco riferisce, circa le origini del popolo scita, la tradizione greca e quella scita. Per i Greci, il popolo degli Sciti è nato dall'unione di Echidna con Eracle che, essendo giunto in Scizia, era stato costretto a giacere con il mostro affinché gli restituisse i suoi cavalli che lei gli aveva sottratto. I discendenti della loro unione furono sottoposti ad una particolare prova, come ordinato da Eracle ad Echidna: dovevano essere in grado di tendere l'arco e cingersi in vita la cintura così come faceva lui. Quelli che ne fossero stati in grado, avrebbero potuto dimorare nella Scizia, gli altri no. Solo il terzogenito, Scita, fu in grado di tendere l'arco cingere la cintura come Eracle, e così fu il primo re della Scizia. Altra tradizione riferita da Erodoto è un mito tramandato dagli stessi Sciti, che racconta di come il primo uomo nato in Scizia fu Targitao, figlio di Zeus e del fiume Boristene. Questi generò tre eredi: Lipossai, Arpossai e Colassai. Un giorno, dal cielo discesero tre oggetti d'oro: un'ascia bipenne (la labris degli antichi Cretesi), un aratro d'oro con giogo ed una coppa. Il primogenito, Lipossai, tentò di afferrare i doni divini, ma non appena vi provò, gli oggetti si fecero incandescenti. Dopo di lui, anche il secondogenito Arpossai provò a fare suoi i regali, ma anche questa volta gli oggetti divennero incandescenti e fu impossibile afferrarli. Solo l'ultimogenito, Colassai, riuscì ad appropriarsi dei tre manufatti d'oro; per questo motivo, i fratelli maggiori gli cedettero la loro parte di regno. Da Lipossai discese la tribù degli Aucati, da Arpossai i Catiari e i Traspi, da Colassai i Paralati.
Carta della Scizia, con le popolazioni
Scite in marrone,
gli Agatirsi assimilabili agli Sciti in verde
e le popolazioni
limitrofe in ocra. Clicca sull'immagine
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Secondo Erodoto, il territorio della Scizia è di forma quadrata, ed è delimitata a nord dai territori degli Agatirsi, ad est dal Mare d'Azov e ad ovest dal Ponto Eusino. La Tracia ne era una propaggine, mentre la Crimea non ne faceva parte. Erodoto descrive l'estensione della Scizia partendo da Olbia, colonia di Mileto fondata sulla foce del Bug Meridionale, affermando che, seguendo la costa, il territorio era abitato da una popolazione culturalmente greco-scita, i Callippidi; oltre di essi ve ne era un altro, gli Alizoni. Culturalmente ascrivibili ai costumi Sciti, questi popoli erano sostanzialmente sedentari, poiché coltivavano grano, cipolle, aglio, lenticchie e miglio. Oltre gli Alizoni vi erano poi gli Sciti "aratori", che coltivavano grano, non per il proprio sostentamento ma per commerciarlo; erano stanziati dopo il Dnepr, all'interno. Gli "Aratori" erano chiamati, dai greci del luogo, Boristeniti, ma loro chiamavano se stessi Olbiopoliti. A est degli Sciti agricoltori, dopo il fiume Panticape, vi erano gli Sciti nomadi, che occupavano un territorio del tutto brullo, esteso fino al fiume Gerro; oltre questo fiume, vi erano i territori "reali", dimora degli Sciti più valorosi che, a loro volta, ritenevano gli abitanti del resto della Scizia loro schiavi; i territori reali arrivavano fino alla Crimea e, verso oriente, fino al Mare d'Azov. Un breve tratto di questa regione arrivava a lambire anche il fiume Don. Di là dal Don non si era più in Scizia ma, oltrepassati i territori dei Budini, dei Tissageti e degli Iurci, ad est, vi erano altre tribù scite che si erano distaccate dall'originario insieme degli Sciti reali. Da fonti assire, sembrerebbe che gli Sciti provenissero dalla Media e dall'Iran, e che fossero strettamente imparentati con i Medi (cosa del resto probabile visto la comune origine nel ceppo linguistico iranico) e solo in seguito siano andati ad abitare nell'area pontico-caspica, provenienti da Sud e non da Nord. Secondo Tamara Rice, gli Sciti appartenevano al gruppo indoeuropeo di probabile ceppo iranico, oppure ugro-altaico. Il Dragan ritiene che gli Sciti fossero un popolo indo-iraniano. Recenti analisi fisiche hanno unanimemente scoperto che gli Sciti, anche quelli che vivevano nella zona di Pazyryk, avevano caratteristiche fisiche spiccatamente europee. Ulteriori conferme sono giunte dallo studio di antichi resti di DNA. Uno studio del 2002 ha analizzato la genetica materna di resti umani di un uomo e una donna risalenti al periodo Saka provenienti dal Kazakhstan, presumibilmente marito e moglie. La sequenza mitocondriale HV1 del maschio era simile alla sequenza Anderson, che è la più diffusa tra le popolazioni europee. Viceversa, quello femminile suggeriva origini asiatiche. Nel 2004, è stata analizzata la sequenza HV1 ottenuta dai resti di un maschio scita-siberiano proveniente dall'Altaj, rivelando che l'individuo apparteneva alla linea materna N1a. Il DNA mitocondriale estratto da altri due scheletri della medesima zona ha mostrato come entrambi i soggetti presentassero caratteristiche di origine euro-mongolide. Uno dei due scheletri apparteneva alla linea materna F2a e l'altro alla linea D, entrambe caratteristiche delle popolazioni eurasiatiche. Uno studio del 2009 ha preso in considerazione gli aplotipi e gli alfatipi di ventisei campioni di antichi resti umani dell'area di Krasnoyarsk, in Siberia, risalenti ad un periodo compreso tra la metà del II millennio a.C. e il IV secolo a.C.. Pressoché tutti i soggetti appartengono all'aplogruppo R1a1-M17. Gli autori dello studio ritengono che i dati mostrino come, tra l'età del bronzo e l'età del ferro, la costellazione di popolazioni variamente chiamate Sciti fosse geneticamente più vicina ai popoli dell'Europa orientale che non dell'Asia centrale e meridionale.
Corona reale rinvenuta a Tillia Tepe,
sito archeologico afgano, parte del
tesoro scita di Kul-Olba
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Un ruolo preponderante, nella religione degli Sciti, era svolto dall'oro, insediatosi nella cultura scita dopo la lunga permanenza in Medio Oriente. Esso è ben testimoniato da un mito fondativo scita riferito da Erodoto; grazie agli oggetti aurei, infatti, Colassai divenne il re-sacerdote della Scizia. L'oro veniva perciò considerato il tramite tra la dimensione umana e quella divina, elemento fondativo della società scita. Sempre secondo il mito originario scita, Colassai istituì tre regni per i suoi figli e il più vasto fu conferito a colui che aveva l'onere di custodire l'oro sacro. Anche per questo il re era considerato il custode dell'oro sacro, in onore del quale annualmente venivano celebrati particolari sacrifici propiziatori. Chi, durante tali feste, custodiva l'oro sacro beneficiava di particolari privilegi in quanto il compito era considerato piuttosto gravoso; infatti, gli Sciti ritenevano che chi si fosse addormentato mentre custodiva l'oro sacro sarebbe morto entro la fine dell'anno. Pertanto, chi doveva custodirlo riceveva in dono una porzione di terreno pari a quanto sarebbe riuscito a girarne a cavallo nell'arco di una giornata. Secondo gli Sciti, l'oro veniva custodito dai grifoni, che vivevano nel profondo nord.
- Dal 1.700 a.C., la coda della migrazione degli indeuropei dall'oriente, ha contatti con gli Sciti, di origine indoeuropea essi stessi. Gli indoeuropei che sarebbero divenuti i proto-celti, oltre ad avere società patriarcali e culti di divinità maschili-solari, come gli Sciti, avevano con essi molte altre usanze comuni: l'uso delle tombe a tumulo (kurgan), l'allevamento del cavallo, ritenuto sacro, il rito di tagliare e conservare la testa del nemico a protezione della propria capanna, la suddivisione in tre classi sociali (guerrieri, sacerdoti e lavoratori) in cui gli aristocratici possedevano più cavalli. I Proto-Celti, diedero un grande impulso all'agricoltura dei cereali ed ebbero il merito di diffondere in Europa l'uso dei metalli e del cavallo.
L'ampia diffusione dei metalli e della loro lavorazione è testimoniata dalla presenza di lavoratori di metalli nei Balcani orientali e l'influenza esercitata da questi fu notevole per tutta l'Europa centrale, specialmente per la sostituzione delle asce neolitiche realizzate in pietra o in corno con quelle in rame e in bronzo. Una delle strade attraverso le quali si diffuse la conoscenza delle asce di metallo fu forse quella che percorreva le steppe del Ponto, provenendo dal Caucaso. Oltre alla lavorazione dei metalli o alle asce da battaglia, gli allevatori pontici ed europei avevano altre caratteristiche in comune. L'inumazione in tombe singole, spesso sotto un tumulo circolare, con il corpo accompagnato dalle armi e dalla mobilia posseduta in vita dal defunto, costituiva la forma di sepoltura maggiormente diffusa, mentre nel vasellame lo erano alcune forme particolari e diversi tipi di decorazioni. Queste popolazioni praticavano l'allevamento di suini e bovini, ma maggior interesse suscitano le tecniche di allevamento dei cavalli e il loro sfruttamento. Ossa di cavallo insieme a quelle di suini e bovini (tutti animali aventi forti valori simbolici legati all'Altromondo) sono state ritrovate frequentemente nelle tombe in tutta la zona culturale presa in esame. A quell'epoca le mandrie di tarpan, il piccolo cavallo eurasiatico, costituivano molto probabilmente un importante mezzo di trasporto e il loro valore come bestie da soma lascia pensare che non vennero utilizzate come carne da macello, a differenza di bovini e suini. Tuttavia si può supporre che i pastori del III e II millennio a.C. non utilizzarono il tarpan come mezzo di spostamento rapido, data la sua piccola taglia, e che questo antenato dei cavalli celtici venne considerato un animale da cavalcare solo in grazie a pasture migliori e allevamenti più selezionati. L'ipotesi di una grande invasione di popolazioni indoeuropee irrompenti in Europa dalle steppe eurasiatiche all'inizio del II millennio a.C. è basata sull'idea di utilizzo del cavallo come mezzo di spostamento rapido per gruppi di guerrieri armati di lance, spade, scudi, elmi e pugnali in metallo, anche se diversi studiosi oggi preferiscono pensare a un'espansione incruenta dovuta più alla diffusione di idee religiose, sociali e soprattutto tecnologiche che a una immigrazione consistente. La diffusione degli indoeuropei in Europa portò quindi nuove caratteristiche culturali e tecnologiche e determinò notevoli cambiamenti. Importante è sottolineare il fatto che le antiche culture europee cominciarono da questo momento ad abbandonare il matriarcato per accettare il patriarcato portato dai nuovi venuti, riducendo i riti per il culto della fertilità orientati verso la terra, per passare all'adorazione degli dèi solari. Gli studiosi sono ormai concordi nell'affermare che le tribù indoeuropee giunsero in Europa in un arco di tempo ampio compreso fra il 3500 e il 1200 a.C., apportando rilevanti innovazioni tecnologiche e contribuendo alla trasformazione profonda delle strutture sociali, culturali e religiose delle popolazioni neolitiche. Intorno al XIII secolo a.C., quando tutto il Mediterraneo stava vivendo un periodo caratterizzato da catastrofi naturali quali terremoti, siccità, maremoti e gelo, giunse l'ultima ondata di tribù indoeuropee che completò l'opera di mutamento culturale destinato a modificare per sempre il volto dell'Europa, con lo sviluppo del fenomeno celtico. Per "Celti: storia e cultura" clicca QUI.
In rosso, gli stanziamenti delle prime
tribù dei Germani.
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- La cultura materiale che si sviluppò sulle rive del mar Baltico occidentale e nella Scandinavia meridionale durante la tarda età del bronzo europea (1700 a.C. - 500 a.C.), nota come età del bronzo nordica, è già considerata la cultura comune ancestrale del popolo Germanico. Esistevano a quel tempo insediamenti piccoli ed indipendenti, oltre ad un'economia fortemente incentrata sulla disponibilità di bestiame. Fu questa l'epoca in cui la lingua proto-germanica assunse, all'interno della famiglia linguistica indoeuropea, le proprie caratteristiche peculiari. Il germanico comune, da intendersi più come un insieme di dialetti affini che come una lingua completamente unitaria, rimase sostanzialmente compatto fino alle grandi migrazioni di Germani verso sud, iniziate già nell'800 a.C .- 750 a.C. Il grado di compattezza dell'insieme dei Germani è oggetto di dibattito storiografico. Comunemente si ritiene che, nonostante la scissione in numerose tribù e l'assenza di un endoetnonimo attestato, i Germani avessero coscienza della propria identità etnica, secondo quanto ampiamente attestato sia dalla storiografica coeva greca e romana, sia dalla stessa produzione germanica di poco successiva; tuttavia alcuni recenti filoni storiografici criticano tale impostazione e, interpretando la attestazioni di appartenenza come conseguenti alla descrizione etnografica classica, negano ogni forma di coscienza identitaria comune. Permane in ogni caso piena convergenza sia sul carattere etnicamente composito delle varie tribù germaniche, sia sulla contemporanea omogeneità sociale, religiosa e linguistica.
Carta degli stanziamenti iniziali delle
tribù dei proto-Slavi
e della loro espansione a est.
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- La culla dei popoli Slavi fu, molto probabilmente, la regione tra Cracovia ed il Danubio, vicina alle zone di origine dei balti. Gli slavi si espansero nella pianura ucraina del Dnepr nel VI secolo DC, dopo l'invasione degli avari, conquistando ed assimilando la maggior parte degli slavi orientali. Secondo alcune vecchie teorie, l'area di formazione dei Balti si trovava, fino alla fine del secondo millennio a.C. vicino all'alto e medio corso del Dnepr, nell'odierna Ucraina, dove si riteneva che si fosse stabilita un'ipotetica proto-comunità balto-slava, cioè un popolo comune che in seguito si fosse scisso e avesse dato origine agli odierni balti e slavi. All'inizio del primo millennio a.C., vari gruppi migrarono sulle coste del mar Baltico, e si stabilirono tra il fiume Pasłęka ed il fiume Nemunas. Non è chiaro se sia stata questa migrazione a dare origine alle tribù baltiche. Le più antiche popolazioni proto-Slave dell'Europa centrale, ancora prive di scrittura e dedite all'allevamento e all'agricoltura, probabilmente risiedevano nel corso medio-superiore della Vistola. Gli archeologi parlano di "cultura di Lausitz", ove sono state ritrovate delle urne funerarie. Questa cultura proto-slava si diffuse dal mar Baltico ai Carpazi, fino al Dnepr. Già dal II millennio a.C. si registrano alcune migrazioni di slavi dal bacino della Vistola e dell'Oder verso il Baltico orientale, là dove si mescolarono con le tribù ugro-finniche. Particolarmente studiato in Polonia è stato il villaggio di Biskupinsk, presso Poznan. La più antica civiltà euroslava che conosciamo, seppure parzialmente, è quella del bronzo e soprattutto del legno, almeno sino all'uso del ferro verso la metà del I millennio a.C. Non risulta fosse praticata la schiavitù. La maggior parte dei mezzi produttivi apparteneva a un collettivo, la tribù e soltanto dove i proto-slavi erano a contatto con Sciti, Traci e Celti, la proprietà di tali mezzi apparteneva a singole famiglie.
Alfabeti antichi: Egiziano antico,
proto-Sinaico (Cananaico), Fenicio,
Greco, Etrusco e Latino. Clicca
sull'immagine per ingrandirla.
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Dal 1.680 a.C. - I Fenici, probabilmente ispirati dalla scrittura degli Egizi, studiano per mettere a punto un alfabeto di 22 simboli fonetici. L'alfabeto fenicio è un'evoluzione dell'alfabeto protocananaico, e per convenzione è fatto risalire al 1.050 a.C., ma le iscrizioni nel sarcofago di Ahiram risalgono al XIII secolo avanti Cristo. L'idea di codificare un sistema di scrittura derivava dalla scrittura dei Sumeri della fine del IV millennio a.C., da cui provenivano il cuneiforme dei Babilonesi e i geroglifici Egizi.
Rappresentazione
di Thot.
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Secondo la tradizione, fu Thot a inventare la scrittura. Thot (vedi l'8.670 a.C.) è la divinità egizia della luna, sapienza, scrittura, magia, misura del tempo, matematica e geometria. È rappresentato sotto forma di ibis, uccello che vola sulle rive del Nilo, o sotto forma (meno frequente) di babbuino.
Thot in
geroglifico.
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Compagna di Thot fu Seshat che con lui divideva il compito di scrivere nomi ed imprese dei defunti sulle foglie dell'albero ished; secondo altre tradizioni sposa di Thot fu anche la dea-rana Heket. In quanto inventore della scrittura e patrono degli scribi fu tale ruolo che ebbe anche nei confronti del dio Ra di cui era segretario e visir.
Alfabeto Egiziano-ieratico dei
geroglifici, quello da cui
probabilmente i Fenici ricaveranno il
loro alfabeto fonetico.
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I Libri di Thot sono dei mitici libri, 42 in tutto, redatti dal dio egizio Thot e lasciati sulla terra, nei quali si troverebbero i misteri dei cieli e predizioni di eventi planetari futuri. Questi libri profetici sarebbero stati nascosti in biblioteche egiziane segrete ed ora risulterebbero dispersi. Nell'antico Egitto l'arte era uno strumento al servizio della politica e della religione. Essa rifletteva l'immutabilità del potere del faraone, il suo essere divinità vivente che continua a esistere nell'immagine dipinta o scolpita anche dopo la morte. Nella statuaria gli dèi, il faraone, i dignitari di corte furono rappresentati sempre in pose stilizzate, con lineamenti idealizzati che non conoscono i segni della vecchiaia o della malattia. Nella postura in piedi, hanno le braccia lungo i fianchi e muovono un passo in avanti come se camminassero lentamente; se vengono ritratti seduti appoggiano le mani sulle ginocchia. Tutto era previsto dal rigido cerimoniale di corte e agli artisti non rimaneva che seguire delle precise regole di rappresentazione.
Busto di Nefertiti, moglie
di Amenofi IV.
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L'unica eccezione riguardò il regno di Amenofi IV: questo faraone promosse la massima rivoluzione religiosa della storia d'Egitto e durante il suo regno agli artisti venne concessa una maggiore libertà interpretativa, come testimonia il bellissimo busto-ritratto della regina Nefertiti, sua moglie. In un dialogo platonico, il "Fedro", Thot viene nominato (come Theuth), in un breve apologo proposto da Socrate per contestare l'importanza della scrittura, di cui il dio egizio sarebbe stato l'inventore, a favore dell'oralità, che all'epoca di Socrate era ancora molto sviluppata, la quale sola permetterebbe all'uomo di "possedere" nella propria memoria quello che la fredda scrittura fissa su supporti materiali. Un’ipotesi sull’origine dei Tarocchi fa riferimento al Libro di Thot, nel quale sarebbero contenute delle conoscenze antiche originariamente trasmesse all’uomo da questa divinità.
Ermes Trismegisto in una
rappresentazione nel
pavimento del duomo di Siena.
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Thot è stato a volte identificato con il dio greco Ermes o Hermes Trismegistus (Ermes o Ermete Trismegisto, dal greco Τρισμέγιστος «tre volte grandissimo»). Ermes Trismegisto sarà poi il padre del sistema di pensiero che da lui prende il nome: l'Ermetismo. Vedremo poi che le idee filosofiche che porrano le basi del pensiero scientifico, prendono avvio dalla riflessione sulle dinamiche cosmologiche ed astrali, da cui si cercò di spiegare tutti gli altri fenomeni: la prima "scienza" fu, così, l'Astrologia, che, fin dai Sumeri, raccordava i movimenti astrali, considerati "cause" agli eventi in terra, gli "effetti". Probabilmente fu l'agricoltura a stimolare la ricerca nelle previsioni meteorologiche, ma è anche vero che i risultati erano di tutto rispetto. Talete, il primo filosofo, si arricchì con previsioni astrologiche inerenti i raccolti di olive: prese in affitto tutti i frantoi che poté, e grazie agli abbondanti raccolti li fece lavorare oltre misura.
Se l'Astrologia è la più antica "scienza", Ermes Trismegisto introduce una nuova scienza, chiamata poi Alchimia (da cui la parola chimica), con la compilazione scritta della Tavola Smeraldina. Per queste e altre considerazioni su ermetismo e alchimia, vedi l'anno 90 d.C. di questi post. L'alfabeto fenicio è quindi un'evoluzione dell'alfabeto protocananaico, e usato presso i fenici per scrivere nella loro lingua, che era un idioma nord semitico.
Testo tratto dalla Tavola Smeraldina di
Ermes Trismegisto.
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Particolare dell'iscrizione fenicia
nel sarcofago di Ahiram, XIII
sec.a.C. Clicca sull'immagine
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