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martedì 22 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.11: dal 1.550 al 1.320 p.e.v. (a.C.)

Monile bronzeo della
Cultura di Viverone.
Carta con l'ubicazione del Lago
di Viverone, in Piemonte.
Dal 1.550 a.C. - Nella Cultura di Viverone (1.550 - 1.450 a.C.), alcune costruzioni palafitticole sono costruite con cassoni quadrati orizzontali su cui vengono appoggiati i pavimenti, altre sfruttano una palificazione verticale che costituisce l'ossatura dell'edificio e dei pontili; dunque la tecnologia non è univoca. È però singolare che edifici in legno simili a quelli palafitticoli siano stati scoperti anche in terraferma, ad es. in Svizzera a Savognin Padnal o a Zurigo a Mozartstrasse. Infine è ormai chiaro che l'immagine del villaggio sospeso sull'acqua non è una regola. Recenti sondaggi e ricerche dimostrano ormai con chiarezza come alcuni impianti furono edificati sulle rive del lago e che quindi il villaggio non era affatto sospeso sull'acqua. Alcuni studiosi hanno quindi cercato di spiegare il diffondersi di questo criterio costruttivo rifacendosi a fattori esterni quali la variabilità climatica. Se lo scopo dell'impiantito ligneo è quello di proteggere le case dall'acqua alta, il diffondersi delle palafitte nell'età del Bronzo potrebbe manifestarsi in corrispondenza di un peggioramento climatico generale. Purtroppo la nostra conoscenza del clima nell'età del Bronzo è limitato e deriva dalla osservazione degli strati di ghiaccio sulle Alpi.
La preistoria è così divisa in 5 grandi periodi climatici che, a partire dall'ultima glaciazione (di Wurm, terminata 15.000 anni fa) corrispondono a consistenti variazioni delle temperature che possiamo così riassumere:
- Preboreale 11.000-5.000 anni fa (B.P. = prima del presente), improvviso innalzamento della temperatura ma comunque fredda, più del presente,
- Boreale 9.000 -7.500 anni fa, variazioni climatiche simili a quelle odierne, temperature più calde ed inverni miti,
- Atlantico 7.500 -5.500 anni fa, periodo più caldo e più umido, + 4°C rispetto al presente,
- Subboreale 5.500-2.800 anni fa, ritorno ad un clima più freddo e piovoso,
- Subatlantico da 2.800 anni fa, caratterizzato da temperature superiori a quelle attuali.
All'interno del periodo Subboreale, un raffreddamento rispetto al periodo precedente comportò l'avanzata dei ghiacciai e precisamente questo si verificò intorno al 1.500 a.C. in Svizzera e intorno al 1.280 a.C. in nord Italia. Queste fasi coincidono straordinariamente con quelle della scomparsa dei ritrovamenti archeologici di palafitte nelle rispettive regioni. Forse, durante le fasi più calde del periodo contraddistinto come Subboreale, le coste lacustri furono densamente abitate da genti che attuavano uno stratagemma per mettere al riparo gli edifici dalle repentine e stagionali trasgressioni del livello dei laghi.
Gli scavi di Savognid Padnal e Zurigo in Mozartstrasse, dimostrano che case lignee di grandi dimensioni furono costruite anche lontano dall'acqua. La palafitta pare dunque il punto di arrivo di una secolare tradizione architettonica lignea sviluppatasi in Europa continentale sin dal Neolitico grazie all'alto grado di forestazione e la disponibilità di materia prima. Se la palafitta è il prototipo della casa celtica o del casone medievale europeo è possibile che essa non sia esclusivamente lacustre e che anzi il problema stesso della "palafitta" sia sovrastimato se è vero che i resti di villaggi in legno in terraferma sono ben difficilmente riconoscibili per la dissoluzione esercitata sui materiali deperibili dai processi di decomposizione. La scoperta del villaggio palafitticolo di Viverone (in Piemonte) ha fornito contributo alla definizione del popolamento dell’Italia nord-occidentale alimentando alcune interessanti riflessioni sulle società dell'età del Bronzo. II villaggio di Viverone che occupa un area di 200 x 250 m, è stato identificato assieme ad altri 6 siti minori da archeologi subacquei volontari nel corso degli anni e ‘60 e successivamente scavato e rilevato dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte.
Viverone ha restituito oltre 150 oggetti in bronzo in perfetto stato di conservazione, miracolosamente conservatisi sui fondali del lago. Si tratta in parte di oggetti da guerra (spade, coltelli, asce) e di abbigliamento (spilloni, pinzette, pettini e eccezionalmente due rasoi - i più antichi attualmente noti in Italia). Particolarmente raro un morso piuttosto primitivo per cavallo realizzato anch'esso in bronzo. Il morso, in particolare, è di grande interesse soprattutto se messo in relazione con la scoperta effettuata il secolo scorso di due ruote in legno pertinenti ad un carro sul fondo della torbiera di Mercurago. La prima è una massiccia ruota composta di tre parti legate tra loro e sembrerebbe adatta ad un carro da lavoro. La seconda più leggera e raggiata ricorda da vicino quelle scolpite sui rilievi egiziani, ittiti o micenei. Gran parte degli studiosi, pur in assenza di una stratigrafia o di dati radiocarbonici (i reperti con il tempo sono andati distrutti e non esiste che un calco) assegnano queste ruote all'età del Bronzo. Si potrebbe dunque immaginare che i guerrieri di Viverone facessero uso del carro trainato dal cavallo in guerra; le loro spade sono troppo fragili per sopportare colpi di fendente e sembrano più adatte per essere utilizzate di punta. Il materiale di Viverone è tuttavia un unicum e la cronologia dei materiali di Mercurago non è affatto certa. I reperti bronzei di Viverone sono stati in questi ultimi anni più chiaramente inquadrati culturalmente e paiono chiaramente esogeni, presumibilmente prodotti nell'area dell'altopiano Svizzero e del Baden Württemberg. L'analisi condotta dallo scrivente sul complesso della cultura materiale ha però permesso di escludere che le genti di Viverone provenissero da quelle regioni; il materiale bronzeo di Viverone sembra frutto di scambi o dell'immissione del Piemonte in un circuito metallurgico occidentale che, attraverso il passo del Gran San Bernardo ha intensificato i rapporti tra l’Europa centrale e il Mediterraneo. I problemi da risolvere sono allo stato attuale molti e stimolanti e riguardano non solo la genesi ma anche l'esaurimento del fenomeno palafitticolo.
Carta con l'ubicazione di Mercurago, in Piemonte.
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In Emilia e Lombardia meridionale un fenomeno simile e leggermente sfasato cronologicamente passa sotto il nome di "terramare': il collasso dei due sistemi è tuttavia sincronico e allo stato attuale inspiegabile. Nell'area alpina piemontese i siti palafitticoli riconosciuti come Patrimonio dell’Umanità sono due: l’insediamento di Viverone, sulle sponde del lago omonimo, risalente all’età del Bronzo (1.550-1.400 a.C.), e quello di Mercurago, in un’area umida poco distante dal Lago Maggiore, di grande importanza per la quantità di materiali e utensili ritrovati al suo interno.

Carta della Grecia o Ellade
arcaica, con i nomi in Latino.
In grassetto sono indicate Focea
(Phocaea), Micene (Mycenae)
e Tirinto (Tiryntus).
La Porta dei Leoni
dell'antica Micene.
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Dal 1.500 a.C. - Ascesa della Civiltà Elladica (o Micenea). Dal 1.500 al 900 a.C. ha luogo l'ascesa e il declino della civiltà Elladico-Micenea. Fra i popoli indoeuropei che dalla fine del III  all'inizio del II millennio a.C. invadono il territorio greco, vi sono gli Achei, che si stabiliscono nel Peloponneso. Sono proprio gli Achei (il nome Achei deriva da Achille) a intraprendere i primi contatti commerciali con l'avanzata civiltà Minoica cretese, e subiscono l'influsso di questa cultura forte e civilizzata:  dall'incontro di questi due popoli venne infatti a svilupparsi la fiorente civiltà Elladico-Micenea. Achei e Micenei sono quindi definizioni che intendono persone diverse, appartenenti a diverse culture. La civiltà micenea (che è contraddistinta dal militarismo) si sviluppa quindi dall'incontro tra cultura elladica e cultura minoica da Creta (più pacifista e gioiosa), e prende il nome da Micene, città più importante del Peloponneso (i resti di Micene vennero portati alla luce da H. Schliemann nel 1878). I Micenei si sostituiranno poi ai Minoici nel commercio nel mare Mediterraneo (come narrato nel mito di Giasone e della nave Argo) e a partire dal XVI secolo a.C. conquistano le Cicladi e le coste dell'Asia Minore. Si avrà quindi un'espansione commerciale anche in Italia.

Carta con i territori della Civiltà Micenea o Elladica,
sviluppatasi dal 1450 al 1200 a.C. con Micene
e le sue maggiori città.

I valori della Civiltà Micenea, o Elladica, a confronto con quelli della
Civiltà Minoica Cretese. Clicca sull'immagine per ingrandirla.
- Probabilmente l'eruzione di Thera del 1.628 a.C., che fondamentalmente aveva distrutto la Civiltà Minoica, favorì gli Elladici-Micenei, tramite spedizioni militari ed imprese piratesche, a conquistare quello che ne rimaneva, e si espansero inoltre verso le Cicladi meridionali, l'isola di Rodi e fino alle coste dell'Asia Minore. L'ennesimo cataclisma che si era abbattuto sulla Civiltà Minoica, pacifica e gioiosa, determinò quindi la supremazia definitiva della civiltà Micenea, fortemente guerriera. Nella tabella a lato sono indicate le caratteristiche profondamente diverse fra le due civiltà.

Alfabeto della scrittura sillabica micenea "Lineare B".
- Nel 1.952, Michael Ventris scoprì che la scrittura sillabica "Lineare B" veniva usata per mettere per iscritto una primitiva forma di greco, nota oggi come Miceneo. Insieme ad altri utilizzò questa scoperta per decifrare la Lineare B, decifrazione tutt'oggi ampiamente accettata, anche se rimangono molti punti da chiarire. Il sillabario miceneo, esclusi alcuni ideogrammi, è costituito quasi esclusivamente da segni per vocali isolate e per sillabe del tipo consonante+vocale, le consonanti sonore G, B e aspirate KH, TH si scrivono sempre sorde (K, P, T), mentre è mantenuta l'opposizione T/D. I suoni R e L sono indicati da un unico suono R, con Q si designa un suono molto antico ("Koppa") conservato in latino e mutato nel greco classico (lat. quis, greco tis.gif); inoltre il sillabario si rivelava poco adatto a rendere sia le consonanti finali di parola che i gruppi consonantici interni. Gli espedienti grafici che l'ortografia micenea adotta per ovviare all'imperfezione della scrittura sono due:
I) omissione grafica delle consonanti finali;
II) notazione di entrambi gli elementi consonantici mediante una vocale di raccordo ("quiescente").
La prima norma si applica per le consonanti finali (lmn.gif); es.: KO-WO = korwos.gif. Questo primitivo sistema di trascrizione è da imputarsi non solo all'adozione della scrittura sillabica del tutto inadatta al greco, ma anche all'inettitudine degli scriventi a intendere rettamente i suoni della lingua suddetta.

- L'inizio dell'età del bronzo in Estonia viene fatta risalire approssimativamente al 1.800 a.C., mentre in Finlandia poco dopo il 1.500 a.C. Le regioni costiere della Finlandia furono influenzate della cultura del bronzo nordica, mentre nelle regioni dell'entroterra le influenze vennero dalle culture della Russia settentrionale che usavano il bronzo. Stava iniziando lo sviluppo delle frontiere fra i popoli finnici e i Baltici. Iniziarono ad essere costruiti i primi insediamenti fortificati, Asva e Ridala sull'isola di Saaremaa e Iru nell'Estonia settentrionale. Lo sviluppo delle costruzioni di navi facilitò la diffusione del bronzo. Ci furono dei mutamenti nelle usanze funebri; un nuovo tipo di cimitero si estese dalle aree germaniche ed estoni, tombe a cista in pietra e la cremazione divennero sempre più comuni a parte un piccolo numero di tombe in pietra a forma di barca.

- I primi abitanti degni di nota che si stabilirono nella zona dell'odierna Svizzera, furono alcune tribù di origine celtica, gli Elvezi (i Leponti in Ticino) verso l'anno 1.500 a.C. e i Reti, di probabile origine ligure (secondo Plinio il Vecchio), che si stabilirono nella zona ad Est, mentre gli Elvezi si stabilirono ad Ovest.

Cartina con le lingue parlate nella penisola
Italica preromana, dal 1.000 a.C.: Celtica,
Ligustica, Lepontica, Retica, Venetica,
Etrusca, Picena, Umbra, Falerica, Latina,
Osca, Messapica, Sicula, Greca.
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- I Veneti, a volte indicati anche come Venetici, antichi Veneti o Paleoveneti per distinguerli dagli odierni abitanti del Veneto, erano una popolazione indoeuropea che si stanziò nell'Italia nord-orientale dopo la metà del II millennio a.C. e sviluppò una propria originale civiltà nel corso del millennio successivo. Il nome "Veneti" ricorre frequentemente nelle fonti classiche. Erodoto ricorda gli Eneti tra le tribù illiriche, probabilmente i nostri Veneti italici; nell'Europa centrale Tacito localizza i Veneti, o Venedi e Venedae, distinguendoli dai Sarmati, che sono gli Slavi Venedi-Sclavini; Pomponio Mela cita il lago di Costanza come Venetus lacus; infine Venetulani sono un popolo laziale scomparso citato da Plinio. Vi sono inoltre i Veneti Celti, della Bretagna francese, battuti poi da Giulio Cesare. La frequenza di questo etnonimo in diverse aree europee non va però spiegata con ipotetici legami storici e linguistici tra i diversi popoli che ne hanno fatto uso, quanto piuttosto con un'uguale derivazione, più volte ripetuta in modo indipendente, dalla medesima radice indoeuropea “wen” (amare). I Veneti (wenetoi) sarebbero pertanto gli "amati", o forse gli "amabili", gli "amichevoli". Agli antichi Veneti ci si riferisce talvolta con "Paleoveneti", "Veneti adriatici" o "Venetici" per distinguere il popolo dell'antichità dagli attuali abitanti della regione italiana del Veneto. Nel periodo antico vi erano rapporti culturali con la Civiltà villanoviana, con l'Egeo e l'Oriente, e successivamente anche con gli Etruschi. Caso unico tra i popoli dell'epoca nell'Italia settentrionale, si può stabilire l'identità tra la popolazione attuale e la cultura degli antichi, in questo caso i paleo-Veneti; è possibile infatti attribuire una precisa cultura materiale e artistica nel loro territorio di stanziamento, la Venezia. Questa cultura si sviluppò durante un lungo periodo, per tutto il I millennio a.C., anche se nel tempo subì diverse influenze. Di questa popolazione e identità la documentazione archeologica è particolarmente ricca. I Veneti si stanziarono inizialmente nell'area tra il Lago di Garda ed i Colli Euganei; in seguito si espansero fino a raggiungere confini simili a quelli del Veneto attuale, anche se bisogna considerare che la linea di costa del Mar Adriatico era più arretrata rispetto ad oggi. Secondo i ritrovamenti archeologici (che concordano anche con le fonti scritte), i confini occidentali del loro territorio correvano lungo il Lago di Garda, quelli meridionali seguivano una linea che parte dal fiume Tartaro, segue il Po e raggiunge Adria, lungo il ramo estinto del Po di Adria, mentre quelli orientali giungevano fino al Tagliamento. Oltre tale fiume erano insediate genti di ceppo illirico, anche se fino all'Isonzo la presenza veneta era tanto forte che si può parlare di popolazione veneto-illirica. I confini settentrionali erano invece meno definiti e omogenei; il territorio veneto risaliva soprattutto i fiumi Adige, Brenta e Piave verso le Alpi, che fungevano comunque da confine naturale. La presenza veneta sulle Alpi è attestata soprattutto nelle Dolomiti del Cadore, a Lagole.
Cavallo degli antichi Venetici.
La ricerca moderna, in questo modo, si è trovata in sostanziale accordo con quanto sostenuto già dalla storiografia latina: i Veneti  condividono con i Latini una comune origine protostorica, anche se non attraverso quel comune legame con l'Antica Grecia (e con Troia in particolare) postulato dai Romani mediante il mito di Antenore. L'insieme indoeuropeo veneto-latino si era formato come gruppo a sé in un'area dell'Europa centrale, probabilmente ubicato entro i confini dell'odierna Germania e parte di un vasto continuum indoeuropeo esteso nell'Europa centro-orientale fin dagli inizi del III millennio a.C. Da qui mosse verso sud nel corso del II millennio a.C., probabilmente intorno al XV secolo a.C.; mentre una parte di queste genti proseguì fino all'odierno Lazio (i Latini), il gruppo che avrebbe dato origine ai Veneti si insediò a nord del Golfo di Venezia e lì si attestò definitivamente. La civiltà o cultura Atestina o d'Este, diffusa nell'attuale territorio del Veneto e sviluppatasi tra la fine dell'età del bronzo (X-IX secolo a.C.) e l'età romana (I secolo a.C.) fu un'espressione di questa popolazione, i Venetici.

Antica rappresentazione di Eingana.
Il ricordo degli Euganei si conserva
nelle leggende e nelle favole delle
eingane o anguane/angane/aivane...
Gli antichi Euganei abitavano palafitte
lungo laghi e fiumi e le Anguane sono
la loro mitica rappresentazione che ne
determina il nome nelle varianti
etnonimiche: in retico Anauni, in
ligure Ingauni. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
- Gli Euganei erano un popolo insediatosi originariamente nella regione compresa fra il Mare Adriatico e le Alpi Retiche. Successivamente essi furono scacciati dai popoli Veneti in un territorio compreso tra il fiume Adige ed il Lago di Como, dove rimasero fino alla prima età imperiale romana. Catone il Censore, nel libro perduto delle Origines, annoverava tra le maggiori tribù euganee i Triumplini della Val Trompia ed i Camuni della Val Camonica. Si trattava probabilmente di un popolo preindoeuropeo di stirpe affine a quella dei Liguri Ingauni, come testimoniato dall'analogia dei nomi. Appartengono alla stessa stirpe degli Euganei, secondo Plinio il Vecchio anche gli Stoni in Trentino.

- Nel sito palafitticolo di Fiavè, in Trentino, nel corso del XV-XIV sec. a.C. venne edificato un nuovo abitato palafitticolo costituito da capanne su pali ancorati ad una complessa struttura a reticolo adagiata lungo la sponda e sul fondo del lago.

- I Latini discesero in Italia nel corso del II millennio a.C., probabilmente nel XV sec. a.C., provenienti forse dall'Europa centrale danubiana o, secondo la storiografia greco-romana, dall'Asia minore, anche se teorie su una loro origine autoctona non sono da escludere. La migrazione Latina avvenne via terra, seguendo il percorso naturale dato dalla dorsale appenninica da nord a sud, seguendo il versante occidentale della penisola. Secondo l'ipotesi del Mommsen la migrazione del gruppo Latino, si sarebbe estesa dal Lazio fino all'attuale Calabria. In seguito ai successivi arrivi di Greci e Sanniti, la presenza di popolazioni Latine, si sarebbe contratta, fino a coincidere con il Lazio Antico. Anche le altre popolazioni italiche di epoca storica, quali UmbriVolsciSannitiMarsi e Sabini, appartenevano al gruppo di popolazioni indoeuropee, stanziatesi in Italia, a seguito di migrazioni via terra, lungo la dorsale appenninica, seguendo un percorso da nord a sud, successive a quella dei Latini. I Latini diedero origine al popolo romano. Oggetto di dibattito è, oltre il luogo di provenienza del popolo latino, anche l'età in cui avvenne la sua migrazione nell'attuale Lazio. L'archeologia rileva che nella tarda età del bronzo il territorio a sud del Tevere era caratterizzato dalla cosiddetta facies laziale o cultura laziale (X-VIII secolo a.C.), regionalizzazione della precedente cultura protovillanoviana (collegabile con la civiltà dei campi di urne dell'Europa centrale) che uniformò l'area tirrenica della Toscana e del Lazio fra il XII e il X secolo a.C. sovrapponendosi alla cultura appenninica che dominava la regione nei secoli precedenti. Alla cultura laziale viene associata la formazione dell'ethnos latino che sul finire del secondo millennio a.C. si era già costituito in una serie di comunità (menzionate da Plinio il Vecchio) che avevano come centro principale Alba «Longa».

L'insediamento dei coloni greci sul suolo italico ebbe luogo in due fasi, di cui la prima, in ordine sparso e a opera di gruppi di Achei, (intesi come popolazioni che costituivano la civiltà Micenea n.d.r.) avvenne in età arcaica, tra i secoli XV e XIV a.C., e il ricordo sopravvisse nei racconti degli avventurosi viaggi verso l'Occidente favoloso (ciclo troiano) e nei santuari di divinità ctonie (divinità generalmente femminili legate ai culti di dèi sotterranei e personificazione di forze sismiche o vulcaniche n.d.r.) che ancora in epoca storica sorgevano al di fuori delle città (e ciò trova conferma nell'archeologia). Quel remoto flusso immigratorio si interruppe verso il sec. XII a. C., forse in conseguenza dell'invasione dorica della Grecia, che sospinse gli Achei verso l'Asia Minore. La seconda fase si verificò poi dall'VIII secolo a.C..

- Verso il 1500 a.C. le popolazioni indoariane emigrano dall'Asia centrale nel subcontinente indiano dove sottomettono i nativi ed impongono il sistema delle caste. È opinione abbastanza diffusa che le guerre e le battaglie narrate nei Veda, i testi sacri dell'induismo, riflettano più o meno fedelmente la conquista dell'India nord-occidentale (Punjab) da parte degli stessi Arii. La cultura di Yaz (iranica) si espande verso ovest, Medi e Persiani giungono in Iran occidentale agli albori del I millennio a.C., importando un caratteristico stile ceramico.

Ricostruzione dello sviluppo di una Terramara da
https://doi.org/10.3390/rs12162617
- La civiltà delle terramare era una delle più avanzate nell'Europa continentale durante l'età del bronzo. Rappresentava infatti l'anello di congiunzione tra l'area alpina e l'Europa centro settentrionale ed ebbe un'importanza storica fondamentale anche come snodo attivo con la Grecia micenea e il vicino oriente. I terramaricoli riuscirono a conquistarsi questo ruolo centrale in area mediterranea grazie alla loro abilità nella gestione dell'acqua e nella messa a coltura di tutte le fasce territoriali e al commercio di risorse fondamentali, come il rame e l'ambra.
Eppure, dopo aver dominato la Pianura padana per quasi cinque secoli, verso l'inizio del 1.200 a.C. questa civiltà collassò rapidamente, anche a causa di un impatto antropico incontrollato sull'ambiente naturale e dei cambiamenti climatici. Da https://ilbolive.unipd.it/it/news/cambiamenti-climatici-territorio-terramare. A raccontare questa storia è Michele Cupitò, professore di protostoria europea e protostoria dell'urbanizzazione in Italia settentrionale all'università di Padova, e direttore dal 2010 dello scavo nella terramara di Fondo Paviani, che rappresenta uno dei contesti più importanti per studiare le relazioni tra gli abitanti della Pianura padana sia con l'Europa centrale, sia con l'Egeo e il Mediterraneo orientale, e per ricostruire le dinamiche che portarono all'emergere dell'abitato protostorico di Frattesina, sul fiume Po. Il professor Michele Cupitò racconta la storia della civiltà delle terramare. Montaggio di Barbara Paknazar: “La civiltà delle terramare è una illustre sconosciuta per quanto riguarda le fasi più antiche della storia dell'Europa, ma in realtà fu una delle più importanti dell'età del bronzo europeo”, racconta il professore. “Si trovava nella Pianura padana tra la Lombardia orientale, il Veneto occidentale e l'Emilia, in un territorio che comprendeva anche le fasce pedecollinari, pedemontane, prealpine, alpine e appenniniche nel periodo compreso tra il 1600 e il 1200 a.C. La parola “terramara” ha molto a che fare con la terra, ma ben poco con il mare. Deriva infatti dalla distorsione del termine “terra marna”, con cui gli agronomi dell'Ottocento definivano le terre molto fertili ricavate da queste aree. Nella metà dell'Ottocento, momento di straordinario sviluppo dello studio della preistoria in Italia, gli archeologi scoprirono nella Pianura padana delle vestigia di abitati preistorici che venivano sfruttate come cave di terreno fertilizzante. Decisero di descriverle con il termine terramare riferendosi a quella “terra fortemente fertilizzata”, ovvero la terra marna, derivante da depositi antropici e quindi ricca di materiali organici, che caratterizzava la zona. Questo termine, quindi, indica un insediamento dalle dimensioni molto variabili (si va dalle terramare di un ettaro fino a quelle più grandi che raggiungono i 20 ettari) con tre caratteristiche fondamentali e costanti: una forma sub-quadrangolare, un sistema di perimetrazione costituito da un argine, ovvero un terrapieno di terra armata, e circondato da un fossato collegato a un corso d'acqua. Questi villaggi ospitavano delle case, che erano per lo più delle palafitte, quindi abitazioni sopraelevate e sostenute da pali, e anche delle infrastrutture come recinti per gli animali, granai e tutto ciò che serviva per la vita degli abitanti. A seconda delle differenze del territorio, pianure, colline e aree pedemontane accoglievano insediamenti diversi. In ogni caso i reperti di cultura materiale, come le ceramiche e i prodotti in metallo e in bronzo, sono molto omogenei in questo vastissimo territorio, e questa è la ragione per cui si parla di una civiltà”. E prosegue: “La grande forza della civiltà terramaricola, che progressivamente occupò tutta la pianura e anche tutte le fasce pedemontane e pedecollinari, fu la sua capacità di gestione dell'acqua, che rappresentava, naturalmente, una risorsa fondamentale non solo per la sopravvivenza degli abitanti, ma anche per l'agricoltura e l'allevamento”, continua il professor Cupitò. “La Pianura padana, soprattutto quella a nord del Po, è un'area ricchissima d'acqua, mentre a sud di questo fiume i corsi d'acqua hanno carattere torrentizio e sono più legati alle oscillazioni climatiche e ai regimi di pioggia meteorica. Nelle fasi più avanzate del suo processo di sviluppo i terramaricoli perfezionarono una tecnologia idraulica straordinariamente raffinata, con canalizzazioni e sistemi di irrigazione in grado di portare l'acqua dalle zone basse e umide a quelle dossive. Fu così che questa civiltà riuscì a colonizzare l'intera pianura. Con il tempo, da una situazione in cui gli insediamenti occupavano in modo omogeneo il territorio e non c'erano grosse differenze dimensionali o di rango tra i diversi insediamenti, si passò progressivamente alla costruzione di sistemi territoriali complessi, fortemente gerarchizzati e con dei siti chiave che gestivano, da una posizione dominante, tutto il territorio”.

Dal 1.450 a.C. - Pare che il centro di commerci  extra-territoriali rappresentato dalle Terramare padane, abbia attratto anche la più antica popolazione ellenica: "i Pelasgi... un popolo che occupava in antico tutto il bacino dell'egeo e tutta la Grecia continentale compreso il Peloponneso, e occupò in seguito vaste zone dell'Italia... nessuna altra stirpe pregreca viene descritta dagli storici antichi come colonizzatrice di estensioni così vaste, e l'opera di colonizzazione sembra partisse appunto dalle bocche del Po, con Spina, e di qui si irradiarono per tutta la pianura padana fondandovi le dodici città ricordate da Diodoro Siculo (XIV, 113, 1) che secondo lo storico preesistevano all'occupazione da parte degli Etruschi di almeno sette secoli" (da "La Tirrenia antica", opera in due volumi scritta da Claudio De Palma e pubblicata da Sansoni Editore: volume primo, pagine 214-215).
Ubicazione di Spina quando era ormai inserita nel mondo
etrusco. clicca sull'immagine per ingrandirla.
Spina era un'antica città situata nella bassura padana accanto alle sponde dell'Adriatico, la cui esistenza è attestata da varie fonti. Tra queste Dionisio di Alicarnasso (Antichità romane, I, 18, e 28, 3) secondo il quale schiere di Pelasgi, o per consiglio dell'oracolo di Dodona o per sottrarsi agli Elleni, passarono per mare in Italia, e presso il fiume Spinete (un ramo del Po, nei pressi dell'attuale Comacchio) fondarono un accampamento, che si trasformò nella florida città di Spina, che mandava doni votivi a Delfi; ai Pelasgi successero i barbari (cioè i Celti), poi i Romani. Spina, come riferiscono Strabone e Plinio, aveva un edificio per contenere doni votivi, nel santuario apollineo di Delfo. Era perciò considerata come città ellenica, e l'elemento ellenico dovette essere numeroso in Spina, specialmente quando nei primi tempi del secolo IV a. C. Dionisio il Grande, signore di Siracusa, fece sentire il suo potere alle foci del Po. Tale elemento ellenico si dovette distendere sull'elemento etrusco e sull'antico elemento etnico veneto o umbro; poi fu l'assoggettamento di Spina ai Galli (dall'inizio del sec. III a. C.). Ai tempi augustei Spina era ridotta a un semplice villaggio.

Il Cigno, la costellazione del popolo
ligure, il popolo del Cigno.
Da: https://www.ilmeteo.it/notizie/
astronomia-tra-mito-e-cos
tellazioni-ecco-il-cigno
- Nel XIV/XIII sec. a.C. una frazione di Liguri si era stabilita nel Lazio, proprio nell'area dove verrà poi fondata  Roma. Presumibilmente queste popolazioni avevano avuto il controllo della Toscana, Umbria (loro erano Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio) e delle Marche, in cui avevano fondato Numana e Ancona. Questi Liguri erano denominati Siculi, e potrebbe trattarsi dei  Šekeleš, uno dei popoli del Mare. Dionigi di Alicarnasso nella sua storia delle antichità romane parla dei Siculi come della prima popolazione che abitò la zona di Albalonga, dove poi sorse Roma. Il nuovo confine territoriale fu il fiume Salso dove rimase fino all'arrivo dei Greci. Siculo (o Sikelòs o Siculos), è il presunto re che avrebbe dato il nome al popolo dei Siculi e alla Sicilia (Sikelia). La sua figura nella tradizione storiografica rimane costantemente legata alla storia dei Siculi, che dalla penisola italiana passarono in Sicilia, mentre si suppone che la tribù dei Siculi, così chiamati dal nome del loro condottiero Sikelòs, fosse di etnia Ligure. Antioco Senofaneo parla di un Siculo indistinto che sembra comparire dal nulla per dividere le genti, i Siculi dai Morgeti e dagli Itali-Enotri. Dei Siculi si fa menzione a proposito dell'arrivo dei Pelasgi in Italia. Così tramanda Dionigi di Alicarnasso a proposito di un oracolo rivolto ai Pelasgi : “Affrettatevi a raggiungere la Saturnia terra dei Siculi, Cotila, città degli Aborigeni, là dove ondeggia un'isola; fondetevi con quei popoli, ed inviate a Febo la decima e le teste al Cronide, ed al padre inviate un uomo.”. I Pelasgi accolto l'ordine di navigare alla volta dell'Italia, e di raggiungere Cotila nel Lazio vetus, allestirono numerose navi e si diressero come prima tappa verso le coste meridionali dell'Italia, che erano le più prossime. Lo schema narrativo seguito da Dionigi è identico a quello che Varrone aveva prodotto prima di lui, per cui ci si aspetterebbe che i Pelasgi, obbedendo all'oracolo che ingiungeva loro di recarsi a Cotila, andassero a sbarcare sulle coste del mar Tirreno dove lo stesso Varrone li aveva fatti approdare. “Ma”, dice Dionigi, “per il vento di Mezzogiorno, e per la imperizia dei luoghi, andarono a finire in una delle bocche del fiume Po, chiamata Spina. Qui lasciarono le navi, fondarono la città di Spina, si diressero verso l'interno e, superati gli Appennini, vennero a trovarsi sul versante occidentale della penisola italica nella regione dove a quel tempo abitavano gli Umbri.”. Ai Siculi, dice poi Dionigi, i Pelasgi tolsero Cere, Pisa, Saturnia, Alsio, Faleri, Fescennio ed altre città che nel tempo saranno degli Etruschi, probabili discendenti dei Pelasgi stessi. In Dionigi di Alicarnasso leggiamo che i primi aggressori dei Siculi (o Liguri-Siculi), quando essi ancora si trovavano in Italia peninsulare furono i cosiddetti Aborigini che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lesbio in Dionigi, infine, stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia. Secondo Dionigi di Alicarnasso la città di Roma avrebbe avuto come primi abitatori indigeni dei barbari siculi successivamente espulsi dagli Aborigeni con l'aiuto dei Pelasgi. I Siculi, respinti, si sarebbero rifugiati in Sicilia e gli Aborigeni si sarebbero estesi sino al fiume Liris assumendo il nome di Latini, dal re che li avrebbe domati al tempo della guerra troiana. Altre località che poi divennero pelasgiche, come Antemnae, Fescennium, Falerii, Pisae, Saturnia ecc. sarebbero state in origine occupate dai Siculi mentre un quartiere di Tivoli, che ancor oggi conserva il nome di Siciliano, avrebbe avuto al tempo di Dionigi ancora dei Siculi. Varrone nel "De lingua latina" considerava i Siculi originari di Roma perché numerose erano le somiglianze tra la lingua loro e quella latina. Servio considerava addirittura i Siculi giunti dalla Sicilia a Roma, e cioè proprio al contrario di tutte le altre testimonianze. Invece Festo fa i Siculi respinti dai Sacrani o Sabini insieme con i Liguri. Infine Solino li considera tra le più antiche popolazioni dell'Italia con gli Aborigeni gli Aurunci i Pelasgi e gli Arcadi. Anche i Sicani sono ricordati nel Lazio (l'antico Latium vetus), in Solinosia in Plinio il Vecchio dove i Sicani sono considerati popoli della lega del Monte Albano. Questi stessi Sicani sono ricordati nell'Eneide di Virgilio come alleati dei Rutuli, degli Aurunci, dei Sacrani; Aulo Gellio e Macrobio li ricordano con gli Aurunci ed i Pelasgi. Evidentemente si tratta non di Sicani ma di Siculi che nella tradizione poetica latina sono stati confusi tra loro. L'altra tradizione di Filisto di Siracusa sarebbe quella che fa dei Siculi una popolazione ligure, ed i liguri sarebbero stati coloro che, secondo Tucidide e Dionigi di Alicarnasso, avrebbero spinto le popolazioni sicane dall'Iberia, costringendole ad occupare la Sicilia. Questa tradizione dell'origine ligure dei Siculi si ritrova in Stefano di Bisanzio in cui si cita un passo di Ellanico, e anche in Silio Italico i Siculi sono considerati Liguri. In seguito a queste affermazioni si è rilevata dagli storici moderni la presenza di nomi di città come Erice, Segesta ed Entella in Liguria. « Anche il nome di Alba s'incontra spesso in Liguria. Un luogo di questo nome trovasi a occidente del Rodano nel territorio degli Elvii. A settentrione di Massalia (Marsiglia) conosciamo una popolazione montana ligure degli "Aλβιείς", Albienses o Albiei, e nel suo territorio Alba Augusta. Seguono in direzione orientale sulle coste italiane Albium Intemelium, Albium Ingaunum, Alba Decitia. Non lontana dal versante settentrionale degli Appennini trovasi sul Tanaro Alba Pompeia. Da ciò viene il quesito, se non sia la stessa voce ligure contenuta nel nome di Alba Longa. Al tentativo di spiegare questo nome con l'aggettivo latino "albus" contraddice non solo che da qualche attributo non siasi giammai formato un nome di luogo, ma anche la considerazione che l'aspetto di Alba Longa debba destare una impressione opposta all'aggettivo latino. Questo luogo è collocato sopra materiali vulcanici dei monti Albani, e il colore fondamentale della regione è grigioscuro. » (W. Helbig, Die Italiker in Der Poebene, 1879). G. Sergi facendo riferimento alle affermazioni di Helbig sulla strana natura del nome "Alba Longa", conviene che «il colore dei monti Albani è scuro, bluastro quasi, e va al nero in alcune ore del giorno». Quindi Alba Longa non poteva apparire molto "alba". Ma oltre Alba Longa si hanno nomi derivati da Alba come i monti Albani, il lago Albano, e il più importante di tutti il nome di Albula, già nome del Tevere. Sergi si chiede quindi se Alba Longa sia stato un abitato Ligure. Nel Lazio non c'è mai stata una tradizione che ricordi i Liguri, ma invece i Siculi, come leggiamo in Dionigi di Alicarnasso: « La città che dominò in terra e per tutto il mare, e che ora abitano i Romani, secondo quanto viene ricordato, dicesi tenessero gli antichissimi barbari Siculi, stirpe indigena; questi occuparono molte altre regioni d'Italia, e lasciarono sino ai nostri giorni documenti non pochi nè oscuri, e fra questi alcuni nomi detti Siculi, indicanti le loro antiche abitazioni » (Dionigi di Alicarnasso I, 9; II, 1, Trad. Sergi). Ed esaminando i caratteri fisici dei Liguri e dei Siculi, Sergi avrebbe stabilito la loro identità: anche da ricordi archeologici risulta esservi stato un simile comune costume funerario; e lo scheletro neolitico di Sgurgola presso Anagni era colorato in rosso come gli scheletri neolitici delle Arene Candide di Finale Ligure, (e dei Balzi Rossi, n.d.r.), grotte liguri. Liguri e Siculi sarebbero stati quindi due rami dello stesso ceppo umano, solo che, avendo differenti abitati, sarebbero stati erroneamente considerati come due razze diverse. La teoria è quindi che quando si parla di questi antichissimi barbari Siculi, primi abitatori della città che poi fu Roma, si tratti di una popolazione ligure-sicula condotta da Siculo. Troviamo effettivamente riscontro in Filisto di Siracusa che, riportato da Dionigi di Alicarnasso, sostiene che la gente, la quale passò dall'Italia in Sicilia, non era di Siculi, ma di Liguri condotti da Siculo. Servio scrive che la città da lui denominata "Laurolavinia", composizione delle due, Laurentum e Lavinium, che si fusero, sorse dove già abitasse Siculos. Antioco di Siracusa ci dice che: « La regione, che ora chiamasi Italia, anticamente tennero gli Enotri; un certo tempo il loro re era Italo, e allora mutarono il loro nome in Itali; succedendo ad Italo Morgete, furono detti Morgeti; dopo venne un Siculo, che divise le genti, che furono quindi Siculi e Morgeti; e Itali furono quelli che erano Enotri » (in Dionigi di Alicarnasso, 1,12). Nel Lazio e in altre regioni d'Italia questa identità di razza dei Siculi con i Liguri è rivelata da un altro fatto, cioè dai nomi dei luoghi, montifiumi, laghi, oltre che dalle forme nominali etniche dei rami differenti della stirpe. Le teorie che abbiamo visto sulle origini centro italiche prima, e liguri poi, si incontrano e si sposano perfettamente in questa terza teoria: Dionigi che aveva scritto che i Siculi fossero i più antichi abitatori della città che fu Roma, e del territorio latino, narra che i primi aggressori per occupare il loro abitato con lunga guerra furono i cosiddetti Aborigini che avevano chiamato in loro aiuto i Pelasgi. Questi non riuscirono a sconfiggere totalmente i Liguri-Siculi, i quali però, secondo quanto ci riferisce Ellanico Lebio in Dionigi, infine, stanchi delle aggressioni o non potendo resistere ad esse, avrebbero lasciato il territorio e sarebbero migrati, passando per l'Italia Meridionale, in Sicilia, che da loro avrebbe preso il nome. Non tutti i Liguri-Siculi avrebbero seguito Siculo in Sicilia e sarebbe per questo motivo che si riscontrano tracce liguri-sicule in tante regioni italiane. La fondazione di Alba, secondo la tradizione che vuol essere storia, così è descritta da Dionigi di Alicarnasso: « Nel trentesimo anno dopo fondata Lavinio, Ascanio, figlio di Enea, fondò un'altra città; e dai Laurentini e da altri Latini e da quanti altri desideravano una sede migliore, trasportò gente nella città recentemente costrutta, cui aveva posto nome "Alba", la quale in lingua greca vuol dire λευκή ("bianca" in italiano), ma per distinguerla da altra città che aveva lo stesso nome, vi aggiunse una parola, che con la prima forma un insieme, "Alba Longa", cioè, Λευκή μακρά » (Dionigi di Alicarnasso, I, 66). Quale fosse quest'altra "Alba", e dove, Dionigi non lo dice, né adduce il motivo per il quale la nuova sia detta "Longa" (μακρά). Livio, invece, scrive: « is Ascanius, ubicumque et quacumque matre genitus - certe natum Aenea constat - abundante Lavini multitudine florentem iam, ut tum res erant, atque opulentam urbem matri seu novercae relinquit, novam ipse aliam sub Albano monte condidit, quae ab situ porrectae in dorso urbis Longa Alba appellata est » (livio, I, 3). Qui c'è da osservare che la città si fondava sub monte Albano, vuol dire che già questo monte aveva un nome, che, potrebbe secondo Sergi essere ligure-siculo in quanto non potrebbe significare bianco, come sarebbe in lingua latina, per via della palese colorazione scura-bluastra tendente al nero dei monti Albani. Dionigi che aveva preso la tradizione dagli autori della tradizione romana, traduce infatti Alba per Λευκή, Bianca. Sergi dopo aver esaminato il nome "Alba Longa" passa ad osservare i suoi derivati e si sofferma su "Albula", antico e primitivo nome del Tevere, come Livio, Plinio, Virgilio (Albula nomen) scrissero. Si conclude che il nome non può aver a che fare con la colorazione in quanto Virgilio stesso chiama flavus il Tevere perché trasporta sabbia, poi ancora lo chiama "caeruleus", "ceruleo", e anche Orazio lo chiama flavum. Esiste un altro fiume Albula nel Piceno, ricordato da Plinio nell'enumerare abitati e fiumi della quinta regione italica, il Piceno; e nomina anche fra altre città "Numana", a Siculis condita. Ciò significa che la regione era occupata dai Siculi, i quali diedero i nomi dei fiumi e degli abitati secondo il loro linguaggio. Poi ancora abbiamo Albinia, nell'Argentario, territorio che fu etrusco, ancora una città Alba vicina al Fucino, e Alba in Piemonte, un monte Alburnus in Lucania, un fiume Alba in Sicilia, ricordato da Diodoro Siculo; e in Liguria Alba Pompeia, Alba Decitia, e Albium o Album o Alba Intemelium e Ingaunum, (Albenga da Albium Ingauna e Ventimiglia da Albium Intemelia); Albiei e Alba nella Provenza; Alba nella Betica in Spagna e Alba fiume a nord-est della Spagna. Ancor più sorprendente il ricordo di Strabone, che le Alpi prima avevano il nome di Albia, e Albius mons era detta la sommità delle Alpi Giulie. G. Sergi esamina attentamente i rapporti linguistici che potrebbero esserci fra i tratti linguistici siculi e quelli liguri, ma non solo. Inizia il suo studio ponendo lo sguardo su alcuni suffissi che egli ritiene caratterizzanti dei linguaggi liguri e siculi. Un suffisso caratteristico ligure accettato è quello delle parole terminanti in -sco, -asco, -esco, in nomi propri, dovuto alla scoperta di un'antica iscrizione latina dell'anno 117 a.C., dove trattasi di un giudizio in una controversia territoriale fra Genuenses e Langenses, liguri. Qui s'incontrano i nomi di Novasca, Tulelasca, Veraglasca, Vineglasca. Inoltre nella tabula alimentaris riferibile alla disposizione di Traiano imperatore, per soccorrere di viveri fanciulli e fanciulle, si trovano altri nomi liguri con la stessa terminazione. Il Zanardello Tito, in alcune sue memorie, tentò di mostrare l'espansione dei nomi con tale suffisso ligure e anche di altri similmente liguri non soltanto in Italia, ma ancora nell'antica Gallia compreso il Belgio; e calcola seguendo il Flechia, che il numero dei nomi italiani col suffisso -sco in alta Italia supera 250; e simili forme si sono trovate nella valle della Magra, nella Garfagnana e altrove. Abbiamo nomi etnici Volsci, Osci o Opsci, poi Graviscae, città tenuta dagli Etruschi, Falisci, un popolo o una tribù Japuzkum o Iapuscum delle Tavole icuvine; e poi Vescellium in Arpinia, Pollusca nel Lazio, Trebula Mutuesca nell'Umbria, Fiscellus, monte ai confini dell'Umbria, ed altri altrove. Poi ancora abbiamo il nome di Etrusci e Tusci, che adoperarono i Romani e dopo gl'Italiani e altri. Altri suffissi:
-la, -lla, -li, -lli, come in Atella, Abella, Sabelli, Trebula, Cursula;
-ia, -nia, -lia, come in Aricia, Medullia, Faleria, Narnia;
-ba, come in Alba, Norba;
-sa, -ssa, come in Alsa, Suasa, Suessa, Issa;
-ca, come in Benacus (Benaca), Numicus (Numica);
-na, come in Artena, Arna, Dertona, Suana;
-ma, come in Auxuma, Ruma, Axima, e forse anche Roma;
-ta, -sta, come in Asta, Segesta, Lista;
-i, come Corioli, Volci o Volsei.
A proposito della radice "Alb", è interessante ciò che è tratto da: http://www.unior.it/userfiles/workarea_477/LZ6%20Perono_pp102_128.pdf
che motiverebbe la successiva fusione dei Liguri con le popolazioni Celtiche. La famiglia toponimica paleoligure di Alba, connessa a idronimi paleoeuropei in Alb- e, apofonicamente, al tipo Olb- (anche Orb- in area ligure), non rappresenta una formazione diretta sull’aggettivo indoeuropeo albho- ‘bianco’, ma, insieme a questo, continua un radicale pre-protoindoeuropeo Hal-bh- ‘acqua’ attestato anche dal sumerico halbia, (accadico halpium, ‘sorgente, massa d’acqua, cavità d’acqua’) ed è ulteriormente analizzabile come ampliamento della radice protoindoeuropea Hal- ‘nutrire’. Simile diffusione ha la base indoeuropea HwaH-r- ‘acqua’. Alcuni toponimi e idronimi di area ligure (l’area linguistica e culturale di formazione di nomi quali Olbicella, appunto) e delineando l’esistenza di una “famiglia” di denominazioni di luoghi che ci piace definire (sulla base del radicale non solo indoeuropeo che è all’origine della loro formazione) “città d’acqua”. Esistono prove di elementi comuni, sia pure remoti (già dalla fase indoeuropea), in ambito culturale e linguistico, tra gli antichi Liguri e gli abitanti (ad essi contemporanei) dell’Europa occidentale storicamente noti, almeno in parte, come Celti. Una macroscopica similitudine toponimica riguarda la Britannia (forse solo quella meridionale, in origine). Si ritiene (e l’ipotesi è assai convincente)che Albiōn, il nome di origine ancestrale della Britannia, sia connesso con le forme toponimiche liguri Albium e Album. La radice della denominazione è comune ed è, appunto, alb indoeuropeo albh. Da Albium ed Album derivano nella toponomastica ligure antica e “contemporanea” tra gli altri, l’omologo (omofono ed omografo rispetto alla seconda forma) Album, Album, Inganum, Album, Ingaunum, Albingaunum, ‘Albenga’, Albium Intemelia ‘Ventimiglia’, Albuca (nelle Gallie ed in Aquitania), Alba in provincia di Cuneo, Alba Heluorum in Provenza, Alba, attuale Arjona, in Spagna. Giacomo Devoto segnala inoltre,come di possibile ascendenza (o influenza nella formazione onomastica ligure, il toponimo di Albona, città istriana che sorge a pochi chilometri di distanza dal mare. Tutte queste denominazioni sono riconducibili direttamente alla radice "alb" e a una forma simplex che è Album. Ma Album non è connesso primariamente (si appurerà in seguito come si tratti di uno spostamento di significato rispetto all’originale) al latino albus, ‘bianco’. Deriva, invece, dalla radice "albh" che è la base, ad esempio, dell’idronimo germanico Albis, il nome del fiume Elba. Tutti questi nomi indicano stanziamenti su canali, su fiumi o su mari, in pratica luoghi situati in prossimità dell’acqua (e anche idronimi, denominazioni, appunto, di referenti che coincidono con l’iconimo: corsi d’acqua). Quel che a noi interessa in questa sede è che come la radice "albh" viene a essere la base dell’idronimo Albis, nome di origine ancestrale (in quanto idronimo paleoeuropeo) del fiume Elba, così essa è la componente generativa di alcune delle numerosissime denominazioni (antiche e “contemporanee”) Olbia che denotano, come tutti i nomi formati dalla radice albh, luoghi situati su canali, fiumi o mari. Olbia, la più antica colonia di Mileto, sul Mar Nero, ad esempio, ebbe come nome epicorico Olbia (senza varianti), derivato dalla radice "albh" con apofonia vocalica della [a] iniziale nel grado atimbro [o] (il radicale olbh è equivalente sul piano lessicale e derivato a livello morfofonologico dalla base albh). Olbia si ritrova, come toponimo, in Britannia, sulla destra del fiume Bug (in Ucraina), in Provenza, in Sardegna e altrove , a latitudini moltodifferenti, dunque – in Licia e nell’Ellesponto; naturalmente, soprattutto nel caso delle colonie elleniche, è stata inevitabile una sovrapposizione motivazionale col beneaugurante aggettivo greco ólbios, (femminile olbía). Se si resta nell’ambito di denominazioni legate alla radice "albh" e al significato di‘acqua’, può essere interessante ricordare che Albula, fu l’antico nome del fiume TevereAlbiōn, il nome di origine ancestrale della Britannia, viene a denotare, dunque, la grande isola sul Canale della Manica, un locus, quindi, sull’acqua e circondato dall’acqua. La ricostruzione "albh" (con bh richiesta dal germanico b/inAlbiz, ‘Elba’) non è tuttavia l’unica presa in considerazione nella glossografia. Giovanni Semerano, tra gli altri sostenitori dell’origine della radice "alb" da una famiglia linguistica non indoeuropea (nella teoria dell’Autore questo è postulato per definizione, dato che viene rifiutata l’esistenza stessa dell’indoeuropeo), propone una derivazione dall’antichissima voce accadica "alpium" a sua volta dal sumerico "albia", ‘sorgente’,‘massa d'acqua’,‘cavità d'acqua’. Questa forma si sarebbe poi trasferita nel sistema toponimico delle lingue “indoeuropee”, da un lato mantenendosi immutata nella radice "alb". Dal Blog "Sanremo Mediterranea": per il post "Dal Ligure al Celtico, dagli antichi alfabeti dell'Italia Settentrionale al Runico" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: dai Primordi ai Megaliti" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: Alleanza e fusione con i Celti" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: i Miti e le Fonti storiche" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: le Datazioni e le Fonti storiche" clicca QUI.

Dal 1.350 a.C. - I villaggi terramaricoli della bassa pianura padana entrano in vasti circuiti commerciali che coinvolgono le coste del Baltico, l'area danubiano-carpatica, l'Egeo e il Mediterraneo orientale.

Maschera in oro del re miceneo
Agamennone. Clicca sull'immagine
per ingrandirla.
Dal 1.320 a.C. - Apogeo della Civiltà Elladica, o Micenea. Nei miti e leggende della cultura micenea, l'epopea di Teseo, Arianna e del Minotauro, indica pesanti tributi imposti da Creta, nella fase minoica, ad Atene. Così, il mito di Giasone e degli argonauti alla ricerca del vello d'oro, indica l'esplorazione elladico-micenea delle coste del Mar Nero a bordo di natanti, nel mito rappresentati dalla nave Argo, probabilmente una pentecontera. La pentecontera era una nave a propulsione mista, essendo sospinta sia dalla vela che da remi e fu la prima imbarcazione adatta alle lunghe navigazioni. Il suo nome deriva proprio dai cinquanta vogatori disposti, venticinque per lato e in un unico ordine, sui due fianchi della nave.
Antica pentecontera greca.
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L'esemplare più famoso appartiene al mito: la nave Argo e i suoi (circa) cinquanta Argonauti. In seguito il termine andò a designare un'intera classe di navi, anche più potenti, sia a un ordine (monere) che a due (diere), dotate anche di più di 50 rematori. Si trattava sostanzialmente di una nave da guerra, a fondo piatto e dotata di un rostro per le manovre di speronamento. Le sue dimensioni sono stimate in circa 38 metri di lunghezza per 5 metri di larghezza.

Europa intorno al 1.300 a.C. con i territori dei Liguri, Celti, Italici (Umbri,
Opici, Ausoni, Japigi, Enotri, liguri Siculi e Sicani), Germani, Slavi
(Venedi-Sclavini e Orientali) Traci, Frigi, Illiri (fra cui i Venetici), Greci
(Elleni e Pelasgi), Baltici, Sciti (Indo-Iraniani, Sarmati e Alani) e Anatolici.


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