- Scriveva
Plutarco: «Nella guerra contro i Germani,
aspirando alla gloria di essere il primo uomo ad attraversare il Reno con un esercito, Cesare costruì
un ponte, per quanto il fiume fosse in quel punto molto largo e con una corrente
particolarmente rapida e vorticosa: in dieci giorni pose in opera il ponte completo.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 22, 6-7).
«La morte per parto della figlia in
casa di Pompeo addolorò Cesare, ma ne furono sconvolti gli amici, convinti che si fosse sciolta
quella relazione di parentela che manteneva nella pace e nella concordia lo stato.» (23, 5-6).
«A Roma si era formata una
opposizione a Cesare e la prima manifestazione fu l’assassinio di Clodio.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 26, 1).
«La morte di Crasso spinse Cesare a
chiudere la partita con Pompeo; nella pratica delle guerre galliche aveva allenato l’esercito e
accresciuto la sua fama: il malgoverno in Roma e la nomina di Pompeo a console unico accelerarono
i tempi.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 28, 1-8).
«Ribellandosi agli ordini del senato,
Cesare fece occupare Rimini, grande città della Gallia, affidando
l’esercito ad Ortensio. Successivamente, egli scese verso Rimini e
giunto al Rubicone, il fiume che segnava il confine tra la Gallia
Cisalpina e il resto dell’Italia, si fermò e in silenzio e a lungo
tra sé e sé meditò il pro e il contro. Alla fine, con impulso,
dopo aver detto “si getti il dado” si accinse ad
attraversare il fiume e prima di giorno si buttò su Rimini e la
conquistò. Dicono che la notte precedente il passaggio del Rubicone
egli fece un sogno mostruoso: gli parve di congiungersi con sua
madre.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 32, 3-8).
«Pompeo non accettò lo scontro e
fuggì verso Brindisi. (…) Cesare tornò allora a Roma: in 60
giorni, senza spargimento di sangue, era diventato padrone di tutta
l’Italia.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 35, 2-4).
- Con quest'atto Cesare dichiarava ufficialmente guerra al Senato e alla res publica, divenendo nemico dello stato romano. Si diresse verso sud spostandosi lungo la costa adriatica, nella speranza di poter raggiungere Pompeo prima che lasciasse l'Italia, per tentare di riconciliarsi con lui; Pompeo, al contrario, allarmato anche dalla caduta di numerose città, tra cui Corfinio, che si erano opposte a Cesare, si rifugiò in Puglia, con l'obbiettivo di raggiungere assieme alla sua flotta la penisola balcanica. L'inseguimento da parte dello stesso Cesare fu inutile, in quanto Pompeo riuscì a scappare assieme ai consoli in carica e a gran parte dei senatori a lui fedeli, e a mettersi in salvo a Durazzo. Cesare allora, rientrato il 1º aprile a Roma dopo anni di assenza, si impossessò delle ricchezze contenute nell'erario e, a una sola settimana dal ritorno, decise di marciare contro la Spagna (che gli accordi di Lucca avevano assegnato a Pompeo). Giunto in Provenza, lasciò tre legioni al comando di Decimo Bruto e Gaio Trebonio con l'incarico di assediare Marsiglia, che cadde in mano ai cesariani solo dopo mesi di assedio. Lui invece proseguì verso la penisola iberica, dove combatté contro i tre legati di Pompeo che amministravano la regione e dopo qualche mese di scontri riuscì ad avere la meglio e poté tornare in Italia.
- Gaio Giulio Cesare è stato dittatore (dictator) della Repubblica di Roma alla fine del 49 a.C., nel 47 a.C., nel 46 a.C. con carica decennale e dal 44 a.C. come dittatore perpetuo e per questo ritenuto da Svetonio il primo dei dodici Cesari, in seguito sinonimo di imperatore romano. Il dittatore non aveva alcun collega e non veniva eletto dalle assemblee popolari, come tutti gli altri magistrati, ma veniva dictus, cioè nominato, da uno dei consoli, di concerto con l'altro console e con il senato, seguendo un rituale che prevedeva la nomina di notte, in silenzio, rivolto verso oriente e in territorio romano. Cicerone e Varrone ricollegano l'etimologia del termine a questa particolare procedura di nomina. È probabile che il dittatore fosse l'antico comandante della fanteria, il magister populi, e questo spiegherebbe l'antico divieto, per lui, di montare a cavallo mentre nominava come proprio subalterno il magister equitum (il comandante della cavalleria). Alla dittatura si faceva ricorso solamente in casi straordinari (quali particolari pericoli da nemici esterni, rivolte o un impedimento grave ad operare del console che lo nominava), e il dittatore durava in carica fino a quando non avesse svolto i compiti per i quali era stato nominato e comunque non più di sei mesi; inoltre il dittatore usciva dalla propria carica una volta scaduto l'anno di carica del console che lo aveva nominato. Il dittatore era dotato di summum imperium, e cumulava in sé il potere dei due consoli; per questa ragione era accompagnato da ventiquattro littori. Inoltre non era soggetto al limite della provocatio ad populum (un istituto del diritto pubblico romano, introdotto dalla Lex Valeria de provocatione del 509 a.C. rogata dal console Publio Valerio Publicola che prevedeva la possibilità di commutare la pena capitale di un condannato a morte in altra pena se così stabilito da un giudizio popolare) e per questo i suoi littori giravano anche all'interno del pomerium (il confine sacro e inviolabile della città di Roma) con le scuri inserite nei fasci, mentre era proibito a chiunque portare armi. Tutti gli altri magistrati erano a lui subordinati. Con l'assunzione della dittatura a vita diede inizio a un processo di radicale riforma della società e del governo, riorganizzando e centralizzando la burocrazia repubblicana.
- Non è dato sapere il momento in cui venne dedotta la provincia romana della Gallia Cisalpina. La storiografia moderna oscilla fra la fine del II secolo a.C. e l'età sillana. Vero è che all'89 a.C. risale la legge di Pompeo Strabone ("Lex Pompeia de Gallia Citeriore") che conferisce alla città di Mediolanum, e ad altre, la dignità di colonia latina. Nel dicembre del 49 a.C. Cesare con la Lex Roscia concederà la cittadinanza romana agli abitanti della provincia.
Nel 48 a.C. - Ottenuta l'elezione al consolato per il 48 a.C., Cesare decise di attaccare Pompeo nella penisola balcanica, salpando da Brindisi nel gennaio del 48 a.C. assieme al suo luogotenente Marco Antonio. Il primo scontro con i pompeiani si ebbe a Durazzo, dove Cesare subì una pericolosa sconfitta di cui Pompeo non seppe approfittare. Si arrivò allo scontro in campo aperto, però, solo il 9 agosto, presso Farsalo: qui le forze di Pompeo, ben più numerose, furono sconfitte e i pompeiani furono costretti a consegnarsi a Cesare, sperando nella sua clemenza, o a fuggire. Scriveva Plutarco: “(A Farsalo) i cavalieri di Pompeo si muovevano con impeto per accerchiare l’ala destra dei Cesariani; ma prima che si lanciassero all’assalto, ecco che corrono fuori le coorti di Cesare, non servendosi però, come erano solite, dei giavellotti da lanciare da lontano, né cercando di colpire da vicino la coscia o il polpaccio dei nemici, ma mirando agli occhi e cercando di colpire il volto, per ordine di Cesare che riteneva che uomini senza tanta esperienza di guerra o di ferite, giovani, fieri della loro bellezza e giovinezza, avrebbero avuto paura soprattutto di questi colpi (…) atterriti dalla prospettiva di uno sfregio permanente. Accadde proprio così: (…) si voltavano e si coprivano la testa per proteggere il volto; alla fine in gran confusione si volsero in fuga producendo vergognosamente una rovina generale. (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 45, 1-6).
Pompeo cercò rifugio in Egitto, presso il faraone Tolomeo XIII, suo vassallo, ma il 28 settembre, per ordine dello stesso faraone, fu ucciso. Cesare, che si era lanciato all'inseguimento del rivale, se ne vide presentare pochi giorni dopo la testa imbalsamata.
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Cleopatra, museo Altes
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In Egitto era in corso una
contesa dinastica tra lo stesso Tolomeo XIII e la sorella Cleopatra VII.
Cesare, nell'intento di punire il faraone per l'uccisione di Pompeo, decise di
riconoscere come sovrana del paese Cleopatra, con la quale intrattenne una relazione amorosa e generò un figlio, Tolomeo XV, meglio noto ad Alessandria come Kaisariòn, diminutivo di Kaisar, Cesare. La scelta di Cesare non fu ben accolta dalla popolazione di Alessandria d'Egitto, che lo costrinse a rinchiudersi con Cleopatra nel palazzo reale; qui il generale romano, disponendo di pochissimi soldati, fu costretto a costruire opere di fortificazione, e a rimanere bloccato nel palazzo fino all'arrivo dei rinforzi.
Tentò più volte di rompere l'assedio usando le poche navi che aveva a disposizione, ma fu sempre respinto e durante uno di questi combattimenti, addirittura, saltato giù dalla sua nave distrutta, fu costretto a mettersi in salvo a nuoto, tenendo un braccio, in cui reggeva i suoi Commentari, fuori dall'acqua. Per evitare che Achilla (generale alessandrino) si potesse impossessare delle poche navi rimaste, le fece incendiare e nell'incendio venne probabilmente
danneggiata la famosa biblioteca di Alessandria, che conteneva testi unici e di inestimabile valore.
Dopo mesi di assedio, Cesare fu liberato e poté riprendere attivamente la guerra contro i pompeiani, che si erano ormai riorganizzati. Infatti il
re del Ponto Farnace II, a suo tempo alleato di Pompeo, aveva attaccato i possedimenti romani repubblicani per conto degli
optimates, mentre molti esponenti della
nobilitas senatoriale rifugiavano, sotto il comando di
Marco Porcio Catone Minore l'
Uticense (Utica è un'antica città costiera oggi situata a 8 km dalla costa della attuale Tunisia, a pochi chilometri a Nord di Cartagine e a 27 km a Nord di Tunisi, fondata nel 1101 a.C. Secondo Plinio il Vecchio "Utica" in Fenicio significava "città vecchia", in contrasto con la successiva colonia "Cartagine", che significava "città nuova"), in
Africa.
Nel 47 a.C. - Gaio Giulio Cesare annuncia la rapida vittoria riportata il 2 agosto contro l'esercito alleato degli optimates pompeiani e senatoriali di Farnace II a Zela, nel Ponto, con tre parole: Veni, vidi, vici (lett. venni, vidi, vinsi). «Subito marciò contro di lui con tre legioni e dopo una gran battaglia presso Zela lo fece fuggire (Farnace II) dal Ponto e distrusse totalmente il suo esercito. Nell'annunziare a Roma la straordinaria rapidità di questa spedizione, scrisse al suo amico Mazio tre sole parole: "Veni, vidi, vici".» (Plutarco, Vite Parallele: Alessandro e Cesare, BUR. Milano, 2004. Trad.: D. Magnino).
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Nel 47 a.C. a seguito di una relazione nata tra la regina egizia
Cleopatra e il
generale romano Gaio Giulio Cesare
nel corso della guerra civile alessandrina, nasce
Cesarione il cui nome completo è Tolomeo Filopàtore
Filomètore Cesare (47 a.C. - agosto 30 a.C.), chiamato nella
storiografia moderna Tolomeo XV ma meglio noto come Cesarione dal
greco antico «piccolo Cesare» o Tolomeo Cesare, faraone egizio e
ultimo sovrano, congiuntamente alla madre, del Regno tolemaico
d'Egitto, l'ultimo regno dell'età ellenistica. La prima notizia di un incendio
alla Biblioteca di Alessandria, che distrusse almeno
parte del suo patrimonio librario, concerne proprio la spedizione di
Giulio Cesare in Egitto. In seguito ai disordini scoppiati ad
Alessandria, un incendio si sviluppò nel porto della città,
danneggiando la biblioteca. Plutarco, nelle Vite parallele - Cesare,
è l'unico che parla della distruzione della biblioteca riferita
esplicitamente a Giulio Cesare (Vita di Cesare, 49.6). Alla
nascita di Cesarione, Cleopatra regnava insieme a suo fratello minore Tolomeo XIV, di circa
dodici anni. All'inizio del 46 a.C. la coppia reale si recò a Roma
insieme a Cesarione, ospite in una villa di Cesare sul Gianicolo e i
sovrani egizi erano ancora in città quando, il 15 marzo del 44 a.C.,
ebbe luogo l'assassinio di Cesare da parte di cospiratori
repubblicani. La corte egizia tornò quindi ad Alessandria e poco
dopo Tolomeo XIV morì, secondo alcune fonti fatto assassinare dalla
stessa Cleopatra. Il 2 settembre del 44 a.C., a soli tre anni,
Cesarione è nominato co-reggente dalla madre. La posizione di
Tolomeo XV come sovrano d'Egitto sarà però riconosciuta dalla
Repubblica romana solo nel 43 a.C. attraverso Publio Cornelio
Dolabella, che combatteva i Cesaricidi in Medio Oriente.
Nel 46 a.C. - Cesare parte per l'Africa, dove gli optimates, campioni dei patrizi "pater della patria" del senato, si erano riorganizzati sotto il comando di Catone l'Uticense e li sconfigge a Tapso. I superstiti trovarono rifugio in Spagna e Giulio Cesare, non soddisfatto di aver stupito solo il Senato, per sottolineare la vittoria davanti all'intero popolo romano, nel trionfo Pontico contro Farnace II, il terzo dei cinque che celebrò, «...tra le barelle del corteo fece portare avanti un'iscrizione di tre parole, "Veni, vidi, vici" che evidenziava non le azioni di guerra, come negli altri casi, ma la caratteristica della rapida conclusione.» (Svetonio, Vite dei Cesari, I, 37, Newton, Roma, trad.: F. Casorati).
- Nello stesso 46 a.C., nell'ambito di riforme riguardanti vari settori della Repubblica (politico, edile,
Gaio Giulio Cesare promulga, nella sua qualità di
pontefice massimo il
calendario giuliano (da cui prende il nome), un calendario solare, cioè basato sul ciclo delle stagioni, elaborato dall'astronomo egizio Sosigene di Alessandria, con mesi di 30 e 31 giorni e l’anno bisestile, ritoccato poi da Papa Gregorio XIII nel 1582, che sarà da allora il calendario ufficiale di Roma e dei suoi domini. Il settimo mese,
luglio si ricollega al latino Julius, nome proprio di Giulio Cesare che nacque il 13 di quel mese, che nel calendario romano era chiamato
quintilis. Naturalmente
il conto degli anni partiva dal supposto anno della fondazione di Roma, che per noi è il 753 p.e.v. (a.C.).
Successivamente il suo uso si estese a tutti i Paesi d'Europa e d'America, man mano che venivano cristianizzati o conquistati dagli europei. Rispetto all'anno astronomico, ha accumulato un piccolo ritardo ogni anno fino ad arrivare a circa 10 giorni nel XVI secolo. Per questo nel 1582 è stato sostituito dal calendario gregoriano per decreto di papa Gregorio XIII; diverse nazioni tuttavia hanno continuato a utilizzare il calendario giuliano ben oltre tale data, adeguandosi poi in tempi diversi tra il XVIII e il XX secolo. Alcune Chiese appartenenti alla Chiesa ortodossa tuttora usano il calendario giuliano come proprio calendario liturgico: da ciò deriva il diverso computo della Pasqua cattolica e ortodossa. Il calendario giuliano è anche alla base del calendario berbero, tradizionale del Nordafrica.
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Gaio Giulio Cesare
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Nel 45 a.C. - I
superstiti optimates-
pompeiani che avevano trovato rifugio in Spagna, sono raggiunti da
Cesare che
li sconfigge, questa volta
definitivamente, a Munda, diventando
capo indiscusso di Roma. Giulio Cesare è considerato, tanto dagli autori moderni quanto dai suoi contemporanei,
il più grande genio militare della storia romana. Egli seppe stabilire con i suoi soldati un rapporto tale di stima e devozione appassionata, da poter mantenere la disciplina evitando sempre il ricorso alla violenza contro i suoi stessi uomini. Nel corso della campagna di Gallia, Cesare non vietò mai ai suoi soldati di far bottino, ma il legionario doveva aver sempre ben chiaro l'obiettivo finale, e le sue azioni non dovevano in nessun modo condizionare i piani operativi della campagna del suo comandante. Conscio della situazione disagiata dei soldati, che venivano di solito ricompensati al congedo con una concessione di
ager publicus ma che fino a quel momento erano costretti a vivere con poco, di sua iniziativa, tra il 51 e il 50 a.C. decise di raddoppiarne la paga, che passò da 5 a 10 assi al giorno (pari a 225 denarii annui). La riforma fu così ben accolta che la paga del legionario rimase invariata fino a quando l'imperatore Domiziano (81-96) prese nuovi provvedimenti. Egli fu, inoltre, il primo a comprendere che una dislocazione di parte delle forze militari repubblicane (legioni e truppe ausiliarie) doveva costituire la base per
un nuovo sistema strategico di difesa globale lungo tutti i confini, e in particolare in quelle aree "a rischio". Durante la campagna di Gallia, infatti, negli inverni posizionava le sue legioni in aree strategiche, in modo che la situazione rimanesse tranquilla nei momenti in cui non ci fosse la possibilità di intervenire prontamente in caso di necessità. Creò un
cursus honorum per il centurionato, che si basava sui meriti del singolo individuo, tanto che a seguito di gesti particolari di eroismo, alcuni soldati potevano essere promossi ai primi
ordines, dove al vertice si trovava il
primus pilus o
primipilare di legione. Inoltre, poteva anche avvenire che un
primus pilus venisse promosso a
tribunus militum. Si andava indebolendo, pertanto, la discriminazione tra ufficiali e sottufficiali, e si rafforzava lo spirito di gruppo e la professionalità delle unità. Egli, contrariamente a quanto avevano fatto molti dei suoi predecessori, che fornivano alle truppe donativi occasionali, reputò fosse necessario dare continuità al servizio che i soldati prestavano, e
istituì il diritto a un premio per il congedo: era da tempo in uso la consuetudine di
donare appezzamenti di terreno ai veterani, ma si trattava di qualcosa che, almeno fino ad allora, era sempre avvenuto a discrezione dei generali e del senato.
- La definitiva sconfitta della fazione pompeiana procurò
a Cesare le
antipatie di buona parte dei
sostenitori della Repubblica, che temevano l'instaurazione di un regime a carattere monarchico, che sarebbe risultato inviso a tutti i Romani. Notevoli malcontenti, tuttavia, si generarono
anche all'interno dello stesso partito cesariano: alcuni dei più fidati collaboratori di Cesare, tra cui
Marco Antonio e
Gaio Trebonio, erano stati esclusi dalla campagna spagnola o posti in secondo piano durante le azioni belliche e covavano un certo risentimento nei confronti del loro stesso leader, cui erano stati fino ad allora profondamente devoti.
- Scriveva Plutarco: «Ritenendo che la monarchia fosse un sollievo ai mali delle guerre civili, i Romani elessero Cesare dittatore a vita; ciò equivaleva, per comune consenso, ad una tirannide.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 57,1).
«Dopo che ebbe posto termine alle guerre civili, si mostrò irreprensibile e i fatti dimostrano che i Romani giustamente hanno eretto il tempio della Clemenza in rendimento di grazie per la sua mitezza. Infatti lasciò liberi molti di quelli che avevano combattuto contro di lui. (…) E non tollerò che restassero abbattute le statue di Pompeo, ma le fece raddrizzare e perciò anche Cicerone disse che, erigendo le statue di Pompeo, Cesare aveva consolidato le proprie.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 57, 4-6).
«Per quanto gli amici lo invitassero a cingersi di una guardia del corpo, non volle, affermando che è meglio morire una volta sola che aspettare sempre di morire.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 57, 7) «Ma l’odio più vibrante e che l’avrebbe portato a morte glielo produsse l’aspirazione al regno, che fu per il popolo la causa prima per odiarlo.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 60, 1).
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Andrea Camassei: Festa dei Lupercalia
(1635) Museo del
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«[Marco] Antonio (durante la festa dei Lupercali) porse a Cesare un diadema intrecciato con una corona d’alloro. Si levò un applauso, non scrosciante, ma sommesso, come se fosse preparato. Cesare respinse la corona e tutto il popolo applaudì; quando di nuovo Antonio offerse al corona, pochi applaudirono e di nuovo applaudirono tutti quando Cesare la rifiutò. La prova ebbe questo risultato e Cesare, levatosi, ordinò di portare la corona sul Campidoglio. Poi si videro le sue statue adorne di diademi regali e due tribuni della plebe, Flavio e Marullo, vennero a toglierli: ricercarono poi coloro che per primi avevano salutato Cesare come re e li condussero in carcere.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 61, 5-8).
«Quando era già in corso la congiura, alcuni denunciarono Bruto a Cesare, ma egli non prestò fede. (…) Ma coloro che aspiravano al rivolgimento di regime e guardavano a lui (= Bruto) solo o a lui per primo (…) di notte riempivano di scritte la sua tribuna e il seggio sul quale da pretore amministrava la giustizia; la maggior parte di queste scritte diceva: “Tu dormi, o Bruto”; “Non sei Bruto”.» (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 62, 6-7).
- Nel 45 a.C., Gaio
Giulio Cesare è
padrone di Roma, ed è eletto
dittatore a vita.
- Nel 45 a.C., quando Cesare, il prozio,
parte per la Spagna per combattere contro i figli di Pompeo, il diciottenne
Ottaviano lo segue, sebbene ancora convalescente da una grave malattia. Raggiunge Cesare con una scorta ridotta, dopo aver percorso strade infestate da nemici e dopo un naufragio. Si fa subito apprezzare dal prozio per il
coraggio che dimostra. Dopo aver portato a termine anche la guerra in Spagna, Cesare, che progettava una campagna militare prima contro i Daci e poi contro i Parti,
lo invia ad Apollonia (sulla riva destra del fiume Voiussa, nell'attuale Albania), dove potrà
dedicarsi allo studio della retorica. Svetonio racconta che durante il soggiorno ad Apollonia, Ottaviano era salito insieme al fedele amico, Marco Vipsanio Agrippa, all'
osservatorio dell'astrologo Teogene. Fu Agrippa a consultarlo per primo, ricevendo splendide previsioni sulla sua vita futura, quasi incredibili.
Ottaviano, temendo di essere considerato di origini oscure, preferì inizialmente non fornire i dati relativi alla propria nascita, ma dopo numerose preghiere, vi acconsentì. Teogene allora si alzò dal suo seggio e
lo adorò.
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Augusto, Denario, Hiberia: Colonia
Patricia , c. 18-16 a.C. AR (g 3,82;
mm 19; h 8); Testa nuda a d., Rv.
Capricorno verso s., tiene il globo
legato al timone e porta una
cornucopia sul dorso, da QUI.
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Per questo motivo Ottaviano ebbe così tanta fiducia nel suo destino che fece coniare una moneta d'argento con il segno del
Capricorno, segno sotto il quale era stato concepito (momento preferito rispetto a quello della nascita di nascita per stilare un oroscopo) o segno del suo Ascendente, anche se il suo Sole di nascita era nella Bilancia. Ad Apollonia gli giungerà la notizia dell'omicidio di Cesare.
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Moneta di Cesare del 44 a.C. In un lato
il suo volto e nell'altro Venere,
antenata
della gens Iulia, che sulla mano destra
porta una Nike alata (la Vittoria).
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Nel 44 a.C. - L'operato di Gaio Giulio Cesare provoca la reazione dei conservatori optimates, finché un gruppo di senatori, capeggiati da Marco Giunio Bruto, Gaio Cassio Longino e Decimo Bruto, cospira contro di lui uccidendolo, alle Idi di marzo del 44 a.C. (il 15 marzo 44) nel Senato di Roma, davanti alla statua di Gneo Pompeo Magno, con decine di pugnalate. Cesare stava preparando una grande campagna militare contro i Parti con l'intenzione di ristabilire l'egemonia romana in Asia, compromessa dal disastro subito da Crasso nel 53 a.C. A Roma venne messo in giro ad arte un oracolo secondo il quale il regno dei Parti avrebbe potuto essere sconfitto solo da un re, andando ad aumentare le voci e i sospetti di aspirazioni monarchiche di Cesare, leitmotiv degli ottimati nei suoi confronti. Fu allora ordita una congiura guidata da Marco Giunio Bruto, Cassio Longino e Decimo Bruto che programmò l'attentato per il 15 marzo, in occasione di una seduta plenaria del Senato e il piano si svolse con successo. Cesare, colpito da ventitré coltellate, cadde a terra morto. Secondo Plutarco e Appiano, egli tentò di difendersi finché non vide anche Bruto snudare il pugnale, prima di colpirlo all'inguine. A quel punto si tirò la toga sul capo e si abbandonò alla violenza dei colpi. Sia Svetonio che Dione Cassio riferiscono che, secondo alcuni, le sue ultime parole, rivolte a Bruto, furono "Anche tu, figlio?". Plutarco racconta che la moglie Calpurnia ebbe una premonizione la mattina in cui Cesare fu assassinato (15 marzo 44 a.C.) e cercò inutilmente di convincere il marito a non recarsi in senato, dove più tardi avrebbe avuto luogo l'attentato. Fu Decimo Giunio Bruto Albino, uno dei congiurati, a persuadere Cesare a non ascoltare la moglie, dicendogli che avrebbe perso considerazione agli occhi dei senatori, se qualcuno avesse annunciato loro che Cesare non si era presentato alla seduta in attesa di "sogni migliori" di Calpurnia. Da lei Cesare non ebbe nessun figlio. Che si sappia, gli unici figli di Cesare sono stati Giulia da Cornelia Cinna minore e Cesarione (Tolomeo XV), che ebbe da Cleopatra. Secondo la testimonianza di Plutarco, dopo la morte del marito Calpurnia consegnò a Marco Antonio gli scritti, gli appunti e tutte le ricchezze di Cesare, che ammontavano a 300 talenti.
- Cesare stava preparando una grande campagna militare contro i Parti con l'intenzione di ristabilire l'egemonia romana in Asia, compromessa dal disastro subito da Crasso nel 53 a.C.. A Roma venne messo in giro ad arte un oracolo secondo il quale il regno dei Parti avrebbe potuto essere sconfitto solo da un re, andando ad aumentare le voci e i sospetti di aspirazioni monarchiche di Cesare, leitmotiv degli ottimati nei suoi confronti. Fu allora ordita una congiura guidata da Marco Giunio Bruto, Cassio Longino e Decimo Bruto che programmò l'attentato per il 15 marzo, in occasione di una seduta plenaria del Senato e il piano si svolse con successo. Cesare, colpito da ventitré coltellate, cadde a terra morto. Secondo Plutarco e Appiano, egli tentò di difendersi finché non vide anche Bruto snudare il pugnale, prima di colpirlo all'inguine. A quel punto si tirò la toga sul capo e si abbandonò alla violenza dei colpi. Sia Svetonio che Dione Cassio riferiscono che, secondo alcuni, le sue ultime parole, rivolte a Bruto, furono "Anche tu, figlio?".
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Marco Giunio Bruto da:
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- Marco Giunio Bruto (Roma, 85 a.C. o 79-78 a.C. - Filippi, 42 a.C.), ufficialmente noto dopo l'adozione come Quinto Servilio Cepione Bruto è stata una delle figure preminenti della congiura delle Idi di Marzo assieme a Gaio Cassio Longino e a Decimo Bruto. Marco Giunio Bruto era figlio di Servilia, figlia di Quinto Servilio Cepione e nipote di Marco Livio Druso e di Marco Giunio Bruto, tribuno della plebe dell'83 a.C., popularis e seguace del partito mariano, che nel 77 a.C. aveva partecipato alla sollevazione democratica dell'ex console Marco Emilio Lepido contro il Senato oligarchico, che era stata sanguinosamente repressa da Quinto Lutazio Catulo e da Gneo Pompeo Magno. Quest'ultimo assediò a Modena Marco Bruto, lo costrinse alla resa e subito dopo lo fece sommariamente uccidere. Sua madre Servilia era una donna molto affascinante e politicamente potente, la cui relazione con Gaio Giulio Cesare, nota a tutti, fu per quest'ultimo la più importante fra le sue molte relazioni sentimentali, e poiché essa era molto antica, a dire di Plutarco, Cesare aveva qualche motivo di credere che Bruto fosse suo figlio. Grande peso sulla formazione del giovane Bruto ebbe suo zio Marco Porcio Catone, fratello uterino di sua madre Servilia, avversario politico di Cesare e personalità di spicco degli ottimati, noto per i suoi costumi morigerati e irreprensibili e per l'attaccamento ai valori tradizionali. Di lui infatti Bruto volle farsi "imitatore". Tra gli antenati del giovane poi, tanto da parte di madre quanto da parte di padre, figuravano due illustri e mitici tirannicidi, Lucio Giunio Bruto, fondatore della repubblica, e Servilio Ahala. Gaio Servilio Ahala fu un eroe leggendario di Roma antica che secondo la tradizione avrebbe salvato Roma da Spurio Melio nel 439 a.C., uccidendolo con un pugnale celato sotto l'ascella. Tuttavia, questo era probabilmente un mito inventato per spiegare il cognomen "Ahala"/"Axilla", (ascella) della Gens Servilia e che è probabilmente di origine Etrusca.
- Quando Cesare, vincitore della guerra civile, tornò a Roma e divenne dictator, Decimo Bruto si era unito alla cospirazione contro Cesare, convinto da Marco Giunio Bruto, senza che Cesare lo sospettasse minimamente, tanto che Decimo Bruto fu da lui menzionato nel suo testamento. Nel 44 a.C. fu nominato pretore peregrino da Cesare, per essere destinato ad essere governatore romano della Gallia Cisalpina nell'anno successivo e designato dal dittatore stesso al consolato del 42 a.C. al cui posto si insediò poi il triumviro Marco Emilio Lepido. Alle Idi di marzo, quando Cesare sembrava deciso di non recarsi al Senato su pressione della moglie Calpurnia, che aveva avuto cattivi presagi, fu Decimo Bruto a convincere il dittatore ad andare in Senato, allontanando le preoccupazioni della moglie. Quando Cesare arrivò nell'aula del Senato, fu attaccato e assassinato dai cospiratori. Secondo Nicolaus di Damasco, Decimo Bruto fu il terzo a colpire Cesare, pugnalandolo di lato.
- Gaio Cassio Longino (Roma, 87/86 a.C. - Filippi, 3 ottobre 42 a.C.) è stato tra i promotori della congiura che causò l'uccisione di Gaio Giulio Cesare nel 44 a.C.. Cassio apparteneva alla gens Cassia, una famiglia patrizia riuscita ad accedere al consolato agli inizi del II secolo a.C. Nel sesto decennio a.C. Cassio, dopo il matrimonio con Tertulla, figlia di Servilia, sembrò avvicinarsi al partito degli Optimates guidato da Catone Uticense. Prese parte alla guerra contro i Parti, al fianco di Marco Licinio Crasso, salvandosi dal disastro di Carre del 53 a.C., e riuscendo a respingere una loro successiva invasione che si era spinta fin sotto le mura di Antiochia. Nominato tribuno della plebe nel 49 a.C., si schierò, invece che dalla parte di Pompeo Magno come la maggior parte degli Ottimati, da quella di Cesare. Nonostante il suo rapporto con Cesare si fosse consolidato, Cassio decise di allontanarsi dai popolari per essere uno degli organizzatori del complotto che portò Cesare alla morte.
- Nonostante il successo dell'assassinio del dittatore, che aveva spinto Marco Antonio, console e braccio destro di Cesare, a scappare e aveva gettato nella confusione il partito cesariano dei popolari, i cesaricidi perdono ore preziose nel tentativo di accattivarsi il sostegno dei cittadini con discorsi sulla libertà, mentre i senatori, terrorizzati dalla vista dell'uccisione di Cesare, scappavano seminando il panico in città. Il corpo di Cesare, abbandonato nella Curia, veniva infine portato via da alcuni suoi schiavi. Abbattuto Cesare, i cesaricidi non si erano preoccupati di eliminare anche i suoi principali collaboratori, Marco Emilio Lepido (che nel 49 a.C. aveva fatto nominare Cesare dittatore, nel 46 a.C. era stato console e nel 44 a.C. era magister equitum ed era già destinato a divenire governatore della Gallia Norbonese e della Spagna Citeriore) e il collega di consolato di Cesare per il 44 a.C., Marco Antonio, uno dei suoi più fidati luogotenenti. Dopo il primo sbandamento, questi ultimi cominciarono a riorganizzarsi, mentre i cesaricidi dimostrarono la totale mancanza di un programma che andasse al di là dell'assassinio di Cesare e di una generica proclamazione di aver restaurato la libertà repubblicana da lui minacciata. I congiurati trovarono a Roma un'accoglienza così fredda che preferirono ritirarsi sul Campidoglio per decidere il da farsi. Vista l'inazione dei congiurati, il partito cesariano si riorganizzò velocemente sotto la leadership di Marco Antonio, la cui vita, durante l'attentato, era stata risparmiata per decisione dello stesso Marco Giunio Bruto. In quanto console e più alta carica dello Stato, Antonio si ritrovò così a capo del governo e i congiurati, campioni della legalità e rispettosi delle istituzioni tradizionali, finirono per rimettersi alla sua autorità. Due giorni dopo Antonio, in qualità di console, convocò una riunione del Senato nel corso della quale si avviò una politica di compromesso che assicurò la pace alla città: ai congiurati - assenti - si decise, su proposta di Cicerone, di concedere l'amnistia per l'assassinio di Cesare, mentre gli atti del dittatore venivano ratificati, conservando di fatto immutata la situazione e le cariche distribuite da Cesare. Limitati sempre più nel loro potere d'azione, i congiurati - in seguito al parere decisivo di Bruto - cedettero inoltre alla proposta di Antonio di tributare pubblici e solenni funerali per Cesare. Così, il 20 marzo, il cadavere del dittatore, molto amato dal popolo, e martoriato dalle coltellate fu esposto alla vista dei cittadini. Fu data inoltre lettura del suo testamento, dove alcuni fra i congiurati erano nominati come eredi secondi o possibili tutori del figlio adottivo Ottavio, mentre al popolo lasciava, per pubblico uso, i giardini vicino al Tevere e 300 sesterzi a testa. Infine Antonio, pronunciando il suo elogio funebre, scosse vivamente l'emotività della folla e mostrando la toga insanguinata e trafitta dalle pugnalate, il dolore e l'indignazione del popolo si trasformarono rapidamente in rabbia. Ne seguì una violenta sommossa popolare durante la quale il corpo di Cesare fu cremato in un colossale rogo allestito in modo improvvisato sul luogo stesso e con il tributo di onori divini al defunto, mentre i cesaricidi erano costretti a rifugiarsi in tutta fretta nelle proprie case, assaltate poco dopo dalla folla. Appena ebbe termine il rito funebre, la plebe si diresse, con le torce, verso la casa di Bruto e di Cassio; respinta a fatica si imbatté in Elvio Cinna e scambiandolo, per un equivoco di nome, con Cornelio, quello che il giorno prima aveva pronunciato una violenta requisitoria contro Cesare, lo uccise e la sua testa, conficcata su una lancia, fu portata in giro.
- La morte di Cesare apriva una fase di grave instabilità interna alla res publica romana. Le ragioni per cui fu ordita la congiura contro Cesare sono da ricercare:
- nei poteri quasi monarchici che questi aveva accumulato dopo la vittoria su Pompeo, tali da scatenare una atavica avversione contro ogni forma di potere di tipo personale e assoluto, in nome delle tradizioni e delle libertà repubblicane da una parte,
- nel revanscismo da parte degli optimates che avevano perso i loro privilegi e parte del loro potere con le riforme cesariane, visto che Gneo Pompeo Magno, il campione del Senato, appannaggio degli optimates stessi, era stato sconfitto da Gaio Giulio Cesare.
In ogni caso, l'azione dei
congiurati assassini di Cesare, definiti dagli storici cesaricidi,
mancava di un disegno politico preciso e coerente. Infatti il 15 marzo del 44 a.C.,
i senatori che si consideravano custodi e difensori della tradizione e dell'ordinamento repubblicani,
che assassinarono il dittatore a vita
Gaio Giulio Cesare, erano
convinti che il
loro gesto avrebbe avuto il
sostegno del popolo. Le loro previsioni si rivelarono però sbagliate e allora, rifugiatisi in Campidoglio, i cesaricidi decisero di attendere là l'evolversi degli eventi, lasciando in questo modo l'iniziativa agli stretti collaboratori del defunto dittatore: Marco Antonio e Marco Emilio Lepido. Dopo lo
sgomento iniziale seguito all'uccisione di Cesare, Marco Antonio prese in mano la situazione e si fece consegnare da Calpurnia, vedova del dittatore, le carte politiche e il denaro liquido di quest'ultimo. Intanto Lepido, nuovo proconsole della Gallia Narbonense e della Spagna Citeriore, lasciava ad Antonio il potere di occuparsi da solo della situazione: mentre in un primo momento aveva fatto entrare a Roma alcuni soldati della legione accampata alle porte della città con l'intento di attaccare il Campidoglio, alla fine decideva di partire per le sue province. Antonio trovava anche un'intesa con il suo vecchio nemico, Publio Cornelio Dolabella, che insieme a lui era stato designato console da Cesare. A questo punto,
per guadagnare tempo, con un abile mossa
Antonio permise che il senato concedesse l'amnistia ai congiurati e cercò il dialogo proprio con la massima assemblea romana. In cambio, il Senato votò la
concessione dei funerali di stato per
Cesare. Durante le celebrazioni accadde però che
la vista del corpo del dittatore e del sangue sulla sua toga,
la lettura del suo testamento generoso verso i romani e il
discorso ad effetto di Antonio, accendessero d'
ira l'
animo del popolo contro gli assassini. Fino all'aprile del 44, Antonio mantenne comunque un atteggiamento conciliante: lasciò che i cesaricidi assumessero quelle cariche a cui Cesare li aveva designati (Ventidio Basso) prima che questi lo uccidessero (del buon governo di Bruto fu particolarmente soddisfatto anche Cesare, che nel 44 lo nominò
praefectus urbi, terza carica dello stato repubblicano, preferendolo sfacciatamente a suo cognato Cassio nonostante fosse superiore a Bruto per età ed esperienza militare nel 44 Cesare gli offrì il consolato.), allontanò i veterani del defunto dittatore da Roma e propose l'abolizione della dittatura. Per sé chiese e ottenne la provincia di Macedonia (e le legioni che Cesare aveva ammassato là per la spedizione contro i parti) e per Dolabella quella di Siria. Per adesso Roma si era salvata dal caos, anche se la situazione tra Antonio e il senato era sempre più tesa.
- Per la loro sicurezza,
Marco Antonio esortò Bruto e Cassio a lasciare la città ed essi, essendosi ritrovati isolati, privi del sostegno sia della plebe urbana, sia di un senato filo-cesariano, sia dei soldati e dei veterani, ad aprile lasciarono l'Urbe. Assecondando poi le richieste di Antonio, i due congiurati, per preservare la pace, sciolsero le bande di partigiani repubblicani che si erano riunite intorno a loro, mentre invece Antonio, per parte sua, di lì a poco, fece ritorno a Roma dalla Campania con una nutrita scorta di veterani. Nel frattempo, gli altri
congiurati Decimo Bruto e
Gaio Trebonio partirono in quegli stessi mesi
per le provincie assegnate loro da Cesare, la Gallia Cisalpina e l'Asia.
Gaio Trebonio, convinto repubblicano che si era in passato opposto alla politica popolare del tribuno della plebe Publio Clodio Pulcro per poi passare alla fazione cesariana, era stato messo da parte, dopo aver avuto un importante ruolo nell'assedio di Marsiglia, per aver fallito nel tentativo di sconfiggere Gneo Pompeo il Giovane in Betica prima dell'arrivo di Cesare. Incoraggiato probabilmente dal "sistema di potere che Cesare tentava di costruire fuoriuscendo con molte incertezze e soluzioni dalla vecchia legalità repubblicana", Trebonio aveva aderito, nell'estate del 45 a.C., mentre Cesare era ancora impegnato a completare il processo di pacificazione della Spagna, ad un
progetto di congiura che mirava ad eliminare Cesare, probabilmente
nato all'interno dello stesso ambiente cesariano e dunque non direttamente riconducibile alla congiura che sarebbe stata portata a compimento alle Idi di marzo del 44 a.C..
- La scena politica romana è presto dominata da Marco Antonio, che aveva facilmente marginalizzato i cesaricidi. In realtà l'abile generale di Cesare, che ne aveva seguito le sorti nei suoi vari conflitti e che nel 44 ricopriva insieme a lui la carica consolare, voleva appropriarsi dell'eredità politica di Cesare e ripercorrerne le orme.
- Tornando da Apollonia, dove aveva avuto la notizia dell'omicidio del prozio, verso Roma, Ottaviano sbarca a Brindisi, dove riceve il benvenuto dalle legioni di Cesare, lì acquartierate in attesa della spedizione che voleva Cesare in Oriente, contro i Parti, e si impossessa dei circa 700 milioni di sesterzi (un sesterzio equivaleva all'incirca a 2 € attuali) di denaro pubblico destinati alla guerra contro i Parti, che utilizza a questo punto per acquisire ulteriore favore tra i soldati e tra i veterani di Cesare stanziati in Campania. «Ritenendo che la cosa più importante fosse quella di vendicare la morte di suo zio e di difendere ciò che aveva fatto, appena tornò da Apollonia, decise di essere estremamente duro con Bruto e Cassio, i quali non se lo aspettavano, e quando questi capirono di essere in pericolo, fuggirono; [allora Ottaviano] li perseguì con un'azione legale atta a farli condannare per omicidio.» (Svetonio, Augustus, 10)
- Il 21 maggio del 44 a.C., Ottaviano fa il suo ingresso a Roma mentre il 1º giugno Marco Antonio faceva approvare una legge che sottraesse a Decimo Bruto il governo della Gallia, conferito ora allo stesso Antonio. Il 5 giugno poi, nel tentativo di allontanare Bruto e Cassio con un incarico onorifico, veniva loro offerto il compito di acquistare grano dalla Sicilia e dall'Asia. La proposta suscitò l'ira furiosa di Cassio, mentre Bruto, indeciso sul da farsi, continuò ad attendere una qualche svolta favorevole, un accordo con Antonio e di conoscere l'andamento dei giochi Apollinari a Roma, indetti a suo nome in qualità di pretore. L'incrinatura nei rapporti con Antonio arrivò infine ai primi di agosto e i due pretori, Bruto e Cassio, lanciando minacce al console Antonio, si risolsero infine a partire per le province che erano state intanto assegnate loro, Creta e Cirenaica, innocue e prive di eserciti. Cicerone, invece, fece ritorno a Roma e, dopo una latitanza di circa sei mesi, si fece rivedere in Senato dove, il 2 settembre, diede inizio alla sua battaglia contro Antonio, attraverso una serie di discorsi, le Filippiche, nel corso delle quali portò avanti un'opera di idealizzazione dell'attentato contro Cesare e sostenne politicamente l'operato di Bruto e Cassio in Oriente e di Decimo Bruto in Gallia, e inoltre del giovane Ottaviano, che, mostrando a Cicerone la sua devozione per lui e per la patria, ne otteneva il sostegno. Ottaviano inoltre, poiché i magistrati incaricati non osavano celebrare i Ludi per la vittoria del prozio Cesare, si occupò personalmente di organizzarli (dal 5 al 19 settembre del 44 a.C.). In seguito, per riuscire a portare a termine altri suoi progetti, sebbene fosse patrizio ma non ancora senatore, si presentò come candidato per sostituire un tribuno della plebe, che era appena deceduto. La sua candidatura incontrò l'opposizione del console Marco Antonio, sul cui appoggio il giovane Ottaviano contava. Questa prima incomprensione con Antonio lo indusse a passare dalla parte degli ottimati, nemici storici dei populares cesariani.
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Marco Tullio Cicerone (106
-43 a.C.), Musei
Capitolini. |
- Quando nel mese di ottobre, l'appoggio del Senato a Ottaviano si fece più pressante, con
Cicerone che tuonava con le sue Filippiche contro Antonio, questi decise di riprendere il controllo della situazione richiamando in Italia le legioni stanziate in Macedonia. Di fronte a quella minaccia, Ottaviano in novembre richiamò allora i veterani di Cesare a lui fedeli, ottenendo ben presto anche la diserzione di due delle legioni macedoni di Antonio, la IV e la Martia, appena sbarcate. Poi, fallito, per l'opposizione del Senato (Cicerone infatti era certo della fedeltà del giovane Ottaviano alla Res publica), il tentativo di far dichiarare Ottaviano
hostis publicus per aver reclutato un esercito senza averne l'autorità (in realtà sarà Antonio a essere indicato come nemico dello Stato avendo preso d'assedio illegalmente Decimo Bruto, un legittimo propretore), il console Marco Antonio decise allora di accelerare i tempi dell'occupazione della Cisalpina, in modo da garantirsi una posizione di forza per l'anno successivo. Ricevuto il rifiuto da parte di Decimo Bruto alla cessione della Cisalpina, Antonio,
grazie al consenso del Senato, poté
marciare su Modena, dove strinse d'assedio Bruto mentre Ottaviano, su consiglio di alcuni ottimati, provò ad assoldare alcuni sicari perché uccidessero Antonio ma, scoperto il suo tentativo, credendosi a sua volta in pericolo, arruolò una buona parte dei veterani di Cesare, facendo loro grandi elargizioni per ottenerne il loro aiuto.
- Inizia così, alla fine del 44 a.C., la guerra civile romana, nell'ultimo complesso e confuso periodo storico della Repubblica romana, guerra civile iniziata nel 44 a.C. con l'assassinio di Cesare e terminata nel 30 a.C. con la battaglia di Azio.
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Statua di Augusto di Prima Porta,
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In occasione della
morte di Cesare, Ottaviano aveva saputo di essere stato
adottato per testamento dal prozio come
figlio ed erede e, secondo la consuetudine, assunse il
nomen gentilizio (Iulius) e il
cognomen (Caesar) del padre adottivo, omettendo però di aggiungere come tradizione un secondo cognome derivato della
gens di provenienza aggettivata in -
anus, divenendo così Gaio Giulio Cesare (Gaius Iulius Caesar). Il nome Ottaviano venne generalmente diffuso dalla propaganda degli avversari politici, ma non risulta nei documenti ufficiali. Si narra che poco prima di venire assassinato, Cesare lo avesse nominato
magister equitum in seconda, accanto a Marco Emilio Lepido, in vista della grande spedizione d'Oriente che stava preparando contro i Parti. Ottaviano, pur restando indeciso se chiamare in aiuto le legioni orientali per combattere i Parti o lasciar perdere, preferì tornare a Roma a reclamare
i suoi diritti di figlio adottivo e di
erede di Cesare. Ancora Svetonio racconta di un episodio curioso: «Tornando da Apollonia a Roma, dopo la morte di Cesare, nel cielo limpido e puro apparve all'improvviso un cerchio, simile all'arcobaleno, che circondò il sole, mentre la tomba di Giulia, figlia di Cesare, fu colpita più volte da un fulmine. [...] Tutti l'interpretarono come un presagio di grandezza e prosperità.» (Svetonio, Augustus, 95.) «...Ritornò però a Roma e rivendicò la sua eredità, nonostante le esitazioni di sua madre e l'energica opposizione del patrigno Marcio Filippo, ex console. Da quel tempo,
procuratosi un esercito, governò lo Stato prima con Marco Antonio e Marco Lepido, poi, per circa 12 anni, con il solo Antonio (dal 42 al 30 a.C.) e infine,
per 44 anni,
da solo (dal 30 a.C. al 14 d.C.).» (Svetonio: Vita dei Cesari, Libro II, Augusto, 8).
Nel 43 a.C. - Il 1º gennaio, giorno dell'insediamento dei nuovi consoli Pansa e Irzio, il Senato decreta l'abrogazione della legge che assegnava ad Antonio la Gallia Cisalpina e ordina a questi di cessare immediatamente gli attacchi a Decimo Bruto. Ottenutone un netto rifiuto, i consoli sono incaricati di marciare contro Antonio assieme a Ottaviano, a cui venne conferito eccezionalmente l'imperium di pretore per legalizzare la condizione del suo esercito privato. Il 14 aprile e il 21 aprile Antonio viene sconfitto nella battaglia di Forum Gallorum e nella battaglia di Modena, nelle quali però rimangono premeditatamente uccisi i due consoli Irzio e Pansa, per cui Ottaviano, che aveva preso parte personalmente ai combattimenti del 21 aprile all'interno del campo di Antonio, alla fine rimane l'unico comandante delle legioni repubblicane. «Durante il primo scontro, se dobbiamo credere a quanto scrive Antonio, Ottaviano si diede alla fuga e ricomparve due giorni dopo, senza il suo mantello di comandante ed il cavallo; ma nella seconda sappiamo che fece il suo dovere non solo come generale, ma anche come soldato: vedendo, nel mezzo della battaglia, che l'aquilifer della sua legione era ormai ferito gravemente, prese con sé l'aquila sulle spalle e la tenne con sé per il tempo necessario.» (Svetonio, Augustus, 10). Svetonio aggiunge che corse voce allora che fosse stato Ottaviano a far uccidere Aulo Irzio e Gaio Vibio Pansa, poiché, una volta messo in fuga Antonio e tolti di mezzo entrambi i consoli, potesse rimanere unico padrone degli eserciti vincitori. Tanto è vero che da Cicerone apprendiamo che, al termine della battaglia di Forum Gallorum, Pansa si ritirò al campo ferito, ma ancora in vita e la sua morte sembrò talmente sospetta che Glicone, il suo medico, fu messo in prigione con l'accusa di aver lavato la ferita con il veleno. Aquilio Nigro sostenne infine che nella confusione della battaglia l'altro console, Irzio, fu ucciso dallo stesso Ottaviano, che quando venne a sapere che Antonio, dopo la sconfitta, era stato accolto da Marco Emilio Lepido e che anche altri comandanti, insieme ai loro eserciti, si stavano avvicinando al partito dei populares, a lui avverso, abbandonò la causa degli ottimati. La tesi del complotto di Ottaviano sembra essere sostenuta anche da Tacito, che scrive: «...tolti di mezzo Irzio e Pansa (furono uccisi dai nemici? Oppure a Pansa sparsero del veleno sulla ferita e Irzio venne ucciso dai suoi soldati e per macchinazione dello stesso Augusto?), si era impadronito delle loro truppe; che aveva estorto il consolato a un senato riluttante e rivolto le armi, avute per combattere Antonio, contro lo stato...» (Tacito, Annales, I, 10). Tornato a Roma con l'esercito, infatti, malgrado la giovane età (aveva soli vent'anni), Ottaviano si fece eleggere console suffectus assieme a Quinto Pedio, ottenendo compensi per i suoi legionari e facendo approvare dal Senato la lex Pedia contro i cesaricidi. In tal modo i consoli poterono rifiutarsi di portare ulteriore soccorso a Decimo Bruto che, in fuga, venne infine ucciso nella Gallia Cisalpina da un capo gallo fedele ad Antonio. Svetonio racconta che: «[Ottaviano] A vent'anni prese il consolato, facendo avanzare minacciosamente le sue legioni verso Roma (urbem) e inviando quei [soldati] che chiedessero per lui a nome dell'esercito; quando il Senato sembrò esitante, il centurione Cornelio, capo della delegazione, gettando indietro il suo mantello e mostrando l'impugnatura del suo gladio, non esitò a dire nella Curia: "Se non lo farete [console] voi, questa [spada] lo farà".» (Svetonio, Augustus, 26). Poi, dopo aver fatto riconoscere la sua adozione (avvenuta nel 45) e mutato il nome in Gaio Giulio Cesare Ottaviano, decise di riappacificarsi con Lepido e Antonio ricomponendo i dissidi interni alla fazione cesariana, dalla sua nuova posizione di forza, come capo dello Stato romano. Ottaviano prese quindi contatti con il principale sostenitore di Antonio, il pontefice massimo Marco Emilio Lepido, già magister equitum di Cesare, con l'intenzione Con gli auspici di Lepido, ottenne dunque che fosse organizzato un incontro a tre con Antonio nei pressi di Bononia. Da quel colloquio privato nacque un accordo a tre, tra lui, Antonio e Lepido della durata di cinque anni. Si trattava del secondo triumvirato, riconosciuto legalmente dal Senato il 27 novembre di quello stesso anno con la Lex Titia, in cui veniva creata la speciale magistratura dei Triumviri rei publicae constituendae consulari potestate, ovvero "triumviri per la costituzione dello stato con potere consolare". «Per dieci anni fece parte del triumvirato, creato per dare un nuovo ordine alla Repubblica: come suo membro cercò inizialmente di impedire che si iniziassero le proscrizioni, ma quando esse cominciarono si mostrò più spietato degli altri due. [...] lui solo si batté in modo ostinato affinché non venisse risparmiato nessuno, arrivando a proscrivere anche C. Toranio, suo tutore, che era stato, inoltre, collega di suo padre come edile. [...] più tardi si pentì di questa sua ostinazione e promosse al rango di cavaliere T. Vinio Filopomeno, che sembra avesse nascosto il suo padrone, quando era proscritto.» (Svetonio, Augustus, 27).
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Aureo romano ritraente le effigi di
Marco Antonio (sinistra)
e Ottaviano (destra) emesso nel 41 a.C.
per celebrare il
secondo triumvirato. Si noti
l'iscrizione 'III VIR R P C'
(Triumviri Rei Publicae Constituendae
Consulari Potestate)
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- L'incontro fra
i tre maggiori eredi di Cesare fu organizzato da
Lepido su un'isoletta del fiume Reno, presso l'allora colonia romana di Bononia, l'odierna Bologna. Il patto, valido per un quinquennio, fu legalizzato ed ebbe validità istituzionale con la Lex Titia del 27 novembre 43 a.C. Ufficialmente i membri furono conosciuti come Triumviri Rei Publicae Constituendae Consulari Potestate (
Triumviri per la Costituzione della Repubblica con Potere Consolare, abbreviato come "III VIR RPC"). Svetonio racconta di un episodio curioso accaduto in questa circostanza: «Quando nei pressi di Bologna si riunirono le truppe dei triumviri, un'aquila, posàtasi sulla sua tenda [di Ottaviano], sopraffece e gettò a terra due corvi che la attaccavano da una parte e dall'altra: tutto l'esercito intese che un giorno o l'altro ci sarebbe stata tra i colleghi quella discordia che poi effettivamente ci fu, e ne presagì l'esito.» (Svetonio, Augustus, 96.)
L'accordo fu lo sviluppo naturale a cui portava la situazione creatasi dopo la morte di Cesare. Antonio e Ottaviano erano i principali eredi politici del dittatore ucciso l'anno prima; essi si ritrovarono nella comune opposizione agli ottimati - intenzionati ad abolire le riforme cesariane - e nella volontà di dare la caccia ai cesaricidi (i quali, intanto, con Bruto e Cassio, stavano organizzando imponenti forze in Oriente). Intanto Sesto Pompeo, figlio dell'avversario di Cesare, con le forze pompeiane superstiti e una potente flotta, teneva sotto controllo Sicilia, Sardegna e Corsica, e la usava per razziare le coste dell'Italia meridionale seminando il terrore. L'accordo era necessario soprattutto per Ottaviano, il quale voleva evitare di trovarsi fra due fuochi, da una parte Antonio con 17 legioni (comprese quelle dategli da Lepido, suo partigiano) e dall'altra le già ricordate forze dei cesaricidi in Oriente. Dall'incontro uscì una spartizione delle provincie, inizialmente a lui sfavorevole: ad Antonio sarebbe spettato il proconsolato nella Gallia Cisalpina e Comata, a Lepido la Gallia Narbonense e le Spagne, ad Ottaviano l'Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, territori minacciati dai pompeiani. Per reperire i fondi necessari per la campagna in Oriente e per vendicare la morte di Cesare, i tre redassero le "liste di proscrizione" degli avversari da eliminare ed incamerarne così i beni. A Roma e in Italia si scatenò quindi una caccia all'uomo senza eguali e in molti casi più feroce e indiscriminata di quella operata dopo la vittoria di Silla su Gaio Mario. Molte furono le vittime illustri: ben 300 senatori caddero assassinati e 2000 cavalieri ne seguirono la sorte. Tra questi fu anche Cicerone, al quale Antonio non aveva perdonato le orazioni contro di lui, raccolte nelle Filippiche. Ottaviano, pur essendo stato protetto e incoraggiato dal grande intellettuale latino, non fece nulla per salvargli la vita. Altra barbarie decisa dai triumviri fu l'uso di appendere ai rostri del foro le teste dei nemici uccisi e di dare una ricompensa proporzionale a chi le portava: 25.000 denari agli uomini liberi, 10.000 agli schiavi con l'aggiunta della manomissione (libertà) e della cittadinanza. I tre triumviri quindi, strinsero l'accordo per convenienza personale. Marco Antonio era desideroso di raccogliere e proseguire l'opera già cominciata da Cesare: riforma in senso monarchico dello stato ed espansione a Oriente dell'impero. Dopo aver dato pubblica lettura del testamento del dittatore, seppe usare per i suoi fini le ire popolari contro i cesaricidi, diventando così leader indiscusso del partito cesariano. Il suo consolato del 44 fu caratterizzato da politiche demagogiche e da una legislazione confusa. Percepì ben presto il pericolo rappresentato dal giovane Ottaviano, sia in quanto erede universale di Cesare, sia perché era ben visto dagli ottimati. Costretto, dopo la sconfitta subita a Modena, a condividere con il futuro rivale la scena politica, scatenò sanguinose rappresaglie contro i propri nemici politici. Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, fu astuto e abile allo stesso tempo nello sfruttare la confusione creatasi dalle lotte fra i diversi partiti. Nonostante la “pericolosa parentela”, fu visto inizialmente come paladino degli ottimati, da contrapporre ad Antonio. Non a caso, in occasione della battaglia di Modena, accompagnò come propraetor i consoli Irzio e Pansa con milizie a lui fedeli. Ben presto, però, fece pentire l'aristocrazia della scelta fatta, mostrando di voler vendicare il padre adottivo e di raccoglierne l'eredità politica. Seppe raggiungere subito in maniera spregiudicata la massima magistratura della Res publica con un vero e proprio colpo di Stato e, come vedremo, una volta entrato in contrasto con Antonio, si presentò come campione del mos maiorum tanto caro all'aristocrazia senatoria e della conservazione e tutela dei valori della repubblica e delle sue istituzioni.
Non fu solo bravo nel sapersi muovere nell'agone politico, ma si circondò di valenti uomini, come quel Marco Vipsanio Agrippa abile generale che gli regalò i suoi successi militari più importanti. Marco Emilio Lepido, sostenitore di Cesare e poi di Antonio subito dopo le idi di marzo, fu invece presto un comprimario, una spalla degli altri due colleghi e in molti casi poco affidabile. Di fronte al crescere della personalità e dell'importanza degli altri triumviri, egli fu sempre più relegato ai margini della scena politica.
Nel 42 a.C. - Appena due anni dopo il suo assassinio, il Senato deifica ufficialmente Gaio Giulio Cesare, elevandolo a divinità. L'eredità riformatrice e storica di Cesare è quindi raccolta da Ottaviano Augusto, suo pronipote e figlio adottivo. Gaio Giulio Cesare ha avuto un ruolo fondamentale nella transizione del sistema di governo dalla forma repubblicana a quella imperiale. Probabilmente il continuo scontro fra le due anime della Repubblica, i pochi optimates aristocratici e i tanti populares che volevano partecipare alla vita pubblica, non garantiva una continuità del potere per la vastità dell'impero romano nascente, continuità che invece si perpetrò nel principato.
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Grecia, ubicazione di Filippi,
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- Nell'ottobre del 42 a.C., nei pressi di Filippi, cittadina della provincia di Macedonia, posta lungo la Via Egnatia, alle pendici del monte Pangeo, si combattè la battaglia che oppose le forze cesariane del secondo triumvirato, composto da Marco Antonio, Cesare Ottaviano e Marco Emilio Lepido, alle forze degli ottimati repubblicani di Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, i due principali cospiratori ed assassini di Gaio Giulio Cesare. Due furono le fasi dello scontro, combattute rispettivamente il 3 e il 23 ottobre. Nella prima battaglia Bruto ottenne un brillante successo irrompendo dentro gli accampamenti di Ottaviano, ma contemporaneamente Antonio ebbe la meglio contro Cassio che, sconvolto dalla sconfitta e non informato del successo di Bruto, si suicidò. Nella seconda battaglia, combattuta con estremo accanimento dalle legioni veterane delle due parti, Marco Antonio diresse con grande energia le sue forze che finirono per sbaragliare completamente l'esercito di Bruto che a sua volta preferì suicidarsi. La guerra fu vinta dalle legioni cesariane dei triumviri soprattutto per merito di Marco Antonio mentre Ottaviano, in precarie condizioni di salute e privo di grandi doti di condottiero, ebbe un ruolo minore. Lepido invece era rimasto in Occidente per occuparsi della situazione in Italia. Plutarco scrive che Antonio coprì il corpo di Bruto con un mantello purpureo in segno di rispetto. Erano, infatti, stati amici e Bruto aveva aderito alla congiura per uccidere Cesare soltanto a patto che Antonio fosse lasciato in vita. Molti altri optimates persero la vita nella battaglia: fra i più grandi spiccano il figlio dell'oratore Quinto Ortensio Ortalo e il figlio di Marco Porcio Catone Uticense. Alcuni nobili trattarono dopo la sconfitta con i vincitori, ma nessuno volle farlo col giovane Ottaviano. I sopravvissuti dell'esercito di Bruto e Cassio furono inglobati in quello dei triumviri. Antonio rimase presso Filippi con alcuni soldati che vi fondarono poi una colonia; Ottaviano tornò a Roma col compito di trovare terre per i veterani. Alcuni terreni nel cremonese e nel mantovano (territori accusati di aver favorito Bruto e Cassio) furono espropriati e consegnati ai veterani di guerra al posto di denaro, per una grave crisi economica, come ricompensa dei servigi resi allo stato. Uno di questi terreni apparteneva alla famiglia di Virgilio, che cercherà in tutti i modi di riprendersi la proprietà. Dopo Filippi, che fu la vittoria definitiva sui cesaricidi, Marco Emilio Lepido ottenne solo l'Africa. Chiamato a sostenere Ottaviano contro Sesto Pompeo (figlio di Pompeo Magno) in Sicilia nel 36 a.C., fu un alleato poco fedele e giunse alla fine col parteggiare per esso. Abbandonato dai soldati, dovette arrendersi e chiedere perdono a Ottaviano (ormai padrone dell'Occidente). Per punizione fu costretto a rinunciare alle otto legioni giunte in Sicilia al seguito di Sesto Pompeo che aveva preso al comando, le magistrature affidategli (mantenendo solo quella di pontifex maximus, titolo puramente onorifico) e a ritirarsi a vita privata al Circeo fino alla morte (ca. 12 a.C.).
- Ottaviano, che in gioventù era stato fidanzato con la figlia di Publio Servilio Vatia Isaurico, sposa nel 42 a.C. la figliastra di Antonio, Clodia Pulcra. Clodia della gens Claudia Pulcra, nata nel 57 a.C., era figlia di P. Claudio (o Clodio) Pulcro detto “Pulchellus” e di Fulvia (donna di non nobili origini) i cui zio e cugino paterni erano stati rispettivamente consoli negli anni 79, 54 e 38 a.C. Una sua lontana cugina, nipote del console del 38 a.C., era Valeria Messalina, moglie dell’imperatore Claudio e nota per aver avuto l’alcova popolata da amanti. Quando, dopo la morte di Gaio Giulio
Cesare, Marco Antonio e Ottaviano si riconciliarono dopo essersi
scontrati a Modena, venne deciso, anche dietro la pressione dei
soldati, di consolidare l'alleanza con un matrimonio, che avrebbe
legato Ottaviano al generale di Cesare tramite la figlia acquisita.
Clodia era all'epoca molto giovane. Dopo due anni di convivenza,
Ottaviano rimandò indietro Clodia dalla madre, inviando con la
ex-moglie anche uno scritto in cui affermava di non aver
consumato il matrimonio e che Clodia era ancora vergine: da Clodia quindi, Ottaviano non ebbe figli. Ci
furono voci riguardo alla mancata consumazione, tanto che alcuni
sostennero che Ottaviano avesse intenzione sin dall'inizio di rompere
con Marco Antonio. Subito dopo il divorzio, Ottaviano sposerà
Scribonia.
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Nel 42 a.C. nasce Tiberio Giulio Cesare Augusto (Roma,
16 novembre 42 a.C. - Miseno, 16 marzo 37), il secondo imperatore
romano, dal 14 al 37, appartenente alla dinastia giulio-claudia,
Membro della gens Claudia, nato col nome di Tiberio Claudio Nerone
(Tiberius Claudius Nero) poiché era figlio dall'omonimo Tiberio
Claudio Nerone (85 a.C. - 33 a.C.), cesariano e pretore nell'anno
della nascita di Tiberio, e di Livia Drusilla, di circa trent'anni
più giovane del marito. Sebbene avesse combattuto con Cesare,
Tiberio Claudio Nerone era un repubblicano convinto, sostenitore del
partito degli ottimati e giunse anche a proporre di premiare gli
assassini di Cesare nel 44 a.C., quando questi sembrava che
prendessero il sopravvento. Malgrado ciò, i meriti acquisiti durante
il servizio con Gaio Giulio Cesare gli permisero di venire eletto
pretore nel 42 a.C.. Tanto dal ramo paterno che da quello materno,
Tiberio apparteneva alla gens Claudia, un'antica famiglia
patrizia giunta a Roma dalla Sabina nei primi anni della repubblica e
distintasi nel corso dei secoli per il raggiungimento di numerosi
onori e alte magistrature. Fin dall'origine, la gens Claudia si era
divisa in numerose famiglie, tra le quali si distinse quella che
assunse il cognomen Nero, che in lingua sabina significava
"forte e valoroso"). Egli poteva dunque dirsi membro di una
stirpe che aveva dato alla luce personalità di altissimo rilievo,
come Appio Claudio Cieco e che annoverava tra i più grandi assertori
della superiorità del patriziato, quindi del partito degli
optimates. Tiberio padre, dopo l'omicidio di Gaio Giulio
Cesare si era schierato dalla parte di Marco Antonio, luogotenente di
Cesare in Gallia, entrando in contrasto con Ottaviano, erede
designato dallo stesso Cesare. Dopo la costituzione del secondo
triumvirato tra Ottaviano, Antonio e Marco Emilio Lepido e le
conseguenti proscrizioni, i contrasti tra i sostenitori di Ottaviano
e quelli di Antonio si concretizzarono in una situazione di
conflitto, ma il padre di Tiberio continuerà ad appoggiare Marco
Antonio. Allo scoppio del bellum Perusinum, suscitato dal
console Lucio Antonio e da Fulvia, moglie di Marco Antonio, il padre
di Tiberio si era unito agli antoniani, fomentando il malcontento che
stava nascendo in molte regioni d'Italia. Dopo la vittoria di
Ottaviano, che riuscì a sconfiggere Fulvia asserragliata a Perugia e
a restaurare il proprio controllo su tutta la penisola italica, fu
costretto a fuggire, portando assieme a sé la moglie e il
figlioletto omonimo. La famiglia si rifugiò dunque a Napoli e partì
poi alla volta della Sicilia, allora controllata da Sesto Pompeo,
figlio di Pompeo Magno, il campione del partito degli optimates
e zio di Scribonia, seconda moglie di Augusto. I tre furono
poi costretti a raggiungere l'Acaia, dove si stavano radunando le
truppe antoniane che avevano lasciato l'Italia. Il piccolo Tiberio,
costretto a prendere parte alla fuga e a patire le insicurezze del
viaggio, ebbe dunque un'infanzia disagevole e agitata, fino a quando
gli accordi di Brindisi, che ristabilivano una pace precaria,
permisero agli antoniani fuoriusciti di fare ritorno in Italia.
- Nel 42 a.C. viene abolita la provincia della Gallia Cisalpina facendone invece parte integrante dell'Italia romana.
Nel 41 a.C. - Nascono i primi contrasti nel secondo triumvirato: Lucio Antonio, fratello di Marco Antonio, nel 41 a.C. si ribella a Ottaviano poiché pretendeva che anche ai veterani del fratello fossero distribuite terre in Italia (e non solo ai 170.000 veterani di Ottaviano), ma fu sconfitto a Perugia nel 40 a.C.. Svetonio racconta che durante l'assedio di Perugia, mentre stava facendo un sacrificio non molto distante dalle mura cittadine, Ottaviano per poco non fu ucciso da un gruppo di gladiatori che avevano compiuto una sortita dalla città. Non si può provare che Antonio fosse a conoscenza delle azioni del fratello ma, dopo la sconfitta di quest'ultimo, tanto Antonio come Ottaviano decisero di non dare troppo peso all'accaduto (Lucio Antonio fu risparmiato e perfino inviato in Spagna come governatore). Contemporaneamente a questi fatti, il legato di Antonio in Gallia, un certo Quinto Fufio Caleno, morì e le sue legioni passarono dalla parte di Ottaviano, che poté appropriarsi di nuove province del rivale. Svetonio aggiunge: «Dopo l'occupazione di Perugia, [Ottaviano] prese provvedimenti contro un gran numero di prigionieri e a chi chiedeva la grazia e di essere perdonato, rispose: «Si deve morire.» Altri dicono che, tra quelli che si erano arresi, ne scelse trecento tra i due ordini [senatorio e equestre] e li mandò a morte per le idi di marzo, di fronte ad un altare posto in onore del divo Giulio. Altri ancora raccontano che Ottaviano prese le armi in accordo con Antonio, per smascherare gli avversari che si nascondevano, [...] Dopo averli sconfitti, confiscò i loro beni per poter mantenere le promesse di donativa fatte ai veterani.» (Svetonio, Augustus, 15). Ottaviano a questo punto sposa Scribonia, parente di Sesto Pompeo: da questa donna ebbe la sua unica figlia, Giulia. In realtà però, né l'intesa né il matrimonio durarono a lungo.
- Al 41 a.C. risale l'incontro
di Cleopatra con un altro generale romano, il triumviro Marco
Antonio e anche con lui la regina ebbe una relazione amorosa,
che portò alla fine del 40 a.C. alla nascita di due fratellastri di
Cesarione, i gemelli Alessandro Elio e Cleopatra Selene e più tardi,
nell'estate del 36 a.C. nascerà Tolomeo Filadelfo.
Nel 40 a.C. - Nell'estate, Ottaviano e Antonio vengono ad aperte ostilità: Antonio cerca di sbarcare a Brindisi con l'aiuto di Sesto Pompeo, ma la città gli chiude le porte mentre i soldati di ambedue le fazioni si rifiutano di combattere e i triumviri pertanto, mettendo da parte le discordie, rinnovano il patto di alleanza per altri cinque anni con il trattato di Brundisium (Brindisi) del settembre del 40 a.C., in cui si ripartiscono nuovamente le province romane: ad Antonio resta l'Oriente romano da Scutari, compresa la Macedonia e l'Acaia e a Ottaviano l'Occidente, compreso l'Illirico. A Lepido, ormai fuori dai giochi di potere, l'Africa e la Numidia e a Sesto Pompeo è confermata la Sicilia, tanto per metterlo a tacere, affinché non arrechi problemi in Occidente. Il patto è sancito con i matrimoni tra Antonio, la cui moglie Fulva era morta da poco, e la sorella di Ottaviano, Ottavia minore e quello fra Ottaviano e Scribonia, del partito di Sesto Pompeo. Poco dopo Ottaviano romperà l'alleanza con Sesto Pompeo e, dopo aver ripudiato Scribonia, sposerà Livia Drusilla, madre di Tiberio e in attesa del secondo figlio Druso.
- Nel 40 a.C. Gaio Giulio Cesare Ottaviano sposa quindi come sua seconda moglie Scribonia, nata nel 74 a.C. e della famiglia degli Scriboni, antica famiglia plebea che solo di recente, con il fratello di Scribonia, Lucio Scribonio Libone (Lucius Scribonius Libo; ... - 34 a.C.), militare e politico romano durante la Repubblica e coinvolto nelle guerre civili dalla parte di Gneo Pompeo Magno, suo consuocero, era diventata nobile. Non è noto cosa fece Lucio Scribonio Libone dopo la sconfitta e morte di Pompeo nella battaglia di Farsalo (48 a.C.), ma dopo la morte di Cesare (44 a.C.), Libone è in Spagna col genero Sesto Pompeo, ed è dunque ipotizzabile che non si fosse sottomesso a Cesare. Continuò a combattere con Sesto Pompeo e fu una delle figure di alto lignaggio che nel 40 a.C. Sesto Pompeo inviò dalla Sicilia in Grecia per scortare la madre di Marco Antonio, Giulia Antonia, che si era rifugiata presso Pompeo dopo la Guerra di Perugia. Ottaviano fu molto allarmato da questo evento, perché temeva un'alleanza tra Sesto Pompeo, che aveva il dominio sui mari, con Marco Antonio: dietro consiglio di Gaio Cilnio Mecenate e allo scopo di stringere un'alleanza con Libone e Pompeo, Ottaviano chiese quindi la mano di Scribonia, la sorella di Libone che era molto più anziana di lui e si era già sposata due volte. Il matrimonio ebbe luogo poco dopo e aprì la strada per una pace tra i triunviri e Sesto Pompeo, che fu negoziata l'anno seguente a Miseno, in un incontro cui partecipò anche Libone. Quando la guerra riprese, nel 36 a.C., Libone si schierò ancora una volta dalla parte del genero Sesto Pompeo, ma quando capì che sarebbe stato sconfitto, lo abbandonò (nel 35 a.C.). In cambio del suo tradimento, nel 34 a.C. venne scelto dai triunviri per il consolato, da esercitare assieme a Marco Antonio, ma morì poco dopo essere entrato in carica. Pur di allearsi con Sesto Pompeo quindi, Ottaviano aveva accettato questo matrimonio anche se la moglie era molto più vecchia di lui e avesse già avuto due mariti precedenti (probabilmente un P. Cornelius ed un Marcellinus). Il matrimonio non durerà che un anno, Ottaviano ripudierà Scribonia nello stesso giorno della nascita della loro figlia Giulia, evento che genererà malumore e opposizione da parte di costei negli anni successivi del suo principato.
Nel 39 a.C. - A Miseno (frazione del comune di Bacoli, nella città metropolitana di Napoli), Ottaviano attribuisce a Sesto Pompeo le province di Sardegna e Corsica, fondando dunque la città di Turris Libisonis, porto granario di Roma e promettendogli l'Acaia, ottenendo in cambio la ripresa dei rifornimenti a Roma (Pompeo con la sua flotta bloccava le navi provenienti dal Mediterraneo). Sesto Pompeo però, stava diventando un alleato scomodo e Ottaviano decise di disfarsene di lì a poco. Si arrivò così ad una prima serie di scontri non particolarmente felici per Ottaviano: la flotta preparata per invadere la Sicilia fu infatti distrutta sia da Sesto sia da un violento fortunale. Ottaviano decide così di divorziare dalla moglie Scribonia, che aveva sposato poiché appartenente ad una famiglia del partito di Sesto Pompeo e dalla quale
avrebbe avuto il suo unico figlio naturale, Giulia, poiché intende
prendere in sposa Livia Drusilla, della quale si
dice fosse sinceramente innamorato, anche se era la moglie di Tiberio Claudio Nerone
padre e madre del piccolo Tiberio. Le nozze avrebbero avuto
sicuramente un notevole significato politico in quanto
Ottaviano sperava così di riavvicinarsi alla fazione
degli antoniani, mentre l'anziano padre di Tiberio intendeva,
concedendo sua moglie a Ottaviano, discostarsi dal rivale di
Ottaviano, Sesto Pompeo, che fra l'altro era lo zio di Scribonia,
seconda moglie di Ottaviano. Il triumviro chiese per le nozze
l'autorizzazione del collegio dei pontefici, dal momento che Livia
aveva già un figlio (Tiberio) ed era in attesa di un secondo
(Druso, che come Tiberio era
figlio di Tiberio Claudio Nerone padre). I sacerdoti
acconsentirono al matrimonio tra i due, ponendo, come unica clausola,
che fosse accertata la paternità del nascituro.
- Nell'ottobre del 39 a.C. nasce Giulia maggiore (nota ai contemporanei come Iulia Caesaris filia o Iulia Augusti filia; ottobre 39 a.C. - 14), l'unica discendente naturale di Augusto e della sua seconda moglie Scribonia. Giulia nasceva il giorno stesso in cui il padre, allora noto come Ottaviano, divorziava dalla sua seconda moglie Scribonia, madre di Giulia, per sposare tre mesi dopo (17 gennaio del 38 a.C.) Livia Drusilla, che era sposa di Tiberio Claudio Nerone padre. Secondo la legge romana, Ottaviano ottenne la piena potestà sulla bambina, che tolse alla madre naturale e quando poi raggiunse l'età giusta, fu inviata dalla matrigna Livia Drusilla per ricevere l'educazione di una ragazza romana aristocratica, che Ottaviano volle fosse esemplare. «Augusto allevò la figlia e le nipoti con tale severità che vennero abituate al lavoro della lana e vietò loro di dire o fare qualcosa se non pubblicamente, perché ogni cosa potesse essere annotata nel diario quotidiano.» (Svetonio, Augustus, 64.). Ricevette, per volere del padre, i migliori insegnanti: Macrobio afferma che Giulia aveva un «amore per la letteratura e una considerevole cultura, qualcosa di facile da ottenere nella sua famiglia».
Nel 38 a.C. - Il 17 gennaio del 38 a.C. Ottaviano
sposa Livia Drusilla, già madre di Tiberio, che dopo tre mesi
partorirà un figlio a cui è imposto il nome di Druso. Per quanto la paternità di Druso, è indubbio che Livia
e Ottaviano non si conoscevano quando il bambino era stato concepito e che quindi era figlio di Tiberio Claudio Nerone, padre anche del piccolo Tiberio. Mentre
Druso era allevato dalla madre nella casa di Ottaviano, Tiberio era
rimasto presso l'anziano padre fino all'età di nove anni. Livia Drusilla (57 a.C. -
29 d.C.) era figlia di Alfidia e di M. Livio Druso Claudiano,
proscritto dai triumviri e suicida nel 42 a.C., quando la Repubblica
(della parte di Marco Antonio) era naufragata a Filippi. Sembra che
questo padre provenisse o fosse imparentato con la gens Claudia
Pulcra ed era sicuramente parente di Druso Libone (console del 15
a.C.). Comunque sia Livia Drusilla era figlia unica e certamente un
buon partito essendo una erede della gens Livia (anche se per
via adottiva). Livia Drusilla era andata in prime nozze giovanissima
(età di primo matrimonio eranno considerati i 14-15 anni per il
sesso femminile) sposa a Tiberio Claudio Nerone. Livia aveva seguito
il primo marito nelle sue lunghe peregrinazioni durante la guerra
civile, e solo nel 39 fu concesso alla famiglia Claudia a rimettere
piede a Roma. Certamente un sincero amore, ma anche motivi
politici furono la causa del terzo matrimonio di
Ottaviano. Livia infatti apparteneva per nascita e per
matrimonio alla famiglia patrizia dei Claudi e cioè alla classe
aristocratica che gli era avversa e che Ottaviano premeva attirare a
sé. Il primo marito non fece d’altra parte pressione contro
l’importante Augusto e accettò di buon grado lo “scambio”
della moglie pur di rientrare nella vita politica a Roma.
- Nel 38 a.C. Marco Vipsanio Agrippa, amico e futuro genero di Cesare Ottaviano (poi Augusto) divenuto governatore della Gallia, decide di passare il fiume Reno a causa delle continue razzie compiute da parte della tribù germanica dei Suebi che abitavano lungo la sponda destra del grande fiume. Il passaggio del fiume da parte delle armate romane avvenne nel territorio degli alleati Ubi, rimasti fedeli ai Romani fin dai tempi di Cesare e Agrippa compì così devastazioni nei territori germanici. Una volta date sufficienti dimostrazioni di forza con le armi, Agrippa tornò sulla sponda sinistra del grande fiume, permettendo agli alleati Ubi di trasferirsi in massa all'interno dei confini imperiali, garantendo così loro una maggiore protezione, riconoscente dei servigi prestati durante quell'anno di guerra e per tener lontani gli altri Germani. Una volta trasferiti all'interno dei confini dell'Impero romano, gli Ubi rimasero fedeli alleati dei Romani, fondando per l'occasione una nuova città: Ara Ubiorum, la moderna città di Köln (Colonia). In questa città, a partire dalla disfatta di Teutoburgo del 9 d.C. e almeno fino al 17-18, soggiornarono due legioni: la legio I Germanica e la legio XX Valeria Victrix.
Nel 36 a.C. - Grazie all'amico e generale Marco Vipsanio Agrippa, Ottaviano riesce a porre fine alla guerra con Sesto Pompeo, grazie anche ad alcuni rinforzi inviati da Antonio. Sesto Pompeo è sconfitto definitivamente presso Nauloco. La battaglia navale di Nauloco fu combattuta il 3 settembre del 36 a.C. tra la flotta di Sesto Pompeo, figlio di Gneo Pompeo Magno, e quella di Marco Vipsanio Agrippa, ammiraglio di Ottaviano, nei pressi di Nauloco in Sicilia. La disfatta di Sesto segnò la definitiva sconfitta dei partito pompeiano e la fine della sua opposizione al Secondo triumvirato. Sesto Pompeo si era rifugiato in Spagna con quanto restava delle armate del partito repubblicano dopo l'assassinio di Cesare. Il Senato, che l'aveva perdonato, gli aveva affidato il comando della flotta al tempo della guerra di Modena. Con questa forza navale, Sesto aveva occupato la Sicilia (nel 42 a.C.), raccogliendo intorno a sé tutti i nemici dei triumviri e aveva dato vita a un vero e proprio blocco navale contro Roma, che si era quindi trovata senza adeguati rifornimenti granari (nel 39 a.C.). Dopo un momentaneo compromesso (che però nessuno rispettò fino in fondo) tra le due parti, si riaccesero le ostilità e nel 38 a.C. Ottaviano fu battuto in mare da Sesto, riportando gravi perdite umane. Allora Ottaviano aveva richiamato dalla Gallia il suo legato, Marco Vipsanio Agrippa e aveva chiesto aiuto ad Antonio, che gli aveva concesso 120 navi in cambio di 20.000 soldati italici. Le due flotte si incontrarono tra il promontorio di Milazzo e la città di Nauloco presso la quale era ancorata l'armata di Pompeo. Entrambe le flotte erano composte da 300 navi, tutte dotate di artiglieria ma Agrippa comandava le unità più pesanti armate con l'arpagone, una versione più recente del corvo. Svetonio racconta: «[Ottaviano] al momento di combattere, fu preso da un colpo di sonno così profondo che i suoi amici faticarono molto per svegliarlo, affinché desse il segnale d'attacco. Per questo motivo Antonio, lo credo io [Svetonio], aveva tutte le sue buone ragioni per rimproverarlo, sostenendo che egli non avesse avuto neppure il coraggio di osservare una flotta schierata a battaglia, al contrario di essere rimasto sdraiato sul dorso con gli occhi rivolti al cielo, terrorizzato, rimanendo in quella posizione, senza presentarsi ai soldati, fino a quando Agrippa non mise in fuga la flotta nemica. [...] Dopo aver fatto passare in Sicilia un'armata, tornò in Italia a prendere le restanti truppe, ma fu assalito all'improvviso da Democaro e Apollofane, luogotenenti di Pompeo; fu un miracolo se riuscì a salvarsi, fuggendo su una sola imbarcazione. Un'altra volta, quando si trovava a piedi nei pressi di Locri, in direzione di Reggio, vide da lontano le navi di Pompeo lungo la costa. Convinto che fossero le sue, si diresse in spiaggia e per poco non venne fatto prigioniero. E proprio in questa circostanza, mentre fuggiva per sentieri impraticabili in compagnia di Paolo Emilio, uno schiavo di quest'ultimo, poiché lo odiava in quanto in passato [Ottaviano] aveva proscritto il padre del suo padrone, provando a vendicarsi, tentò di ucciderlo.» (Svetonio, Augustus, 16). Fuggito in Oriente, Sesto Pompeo fu catturato e giustiziato da un ufficiale di Antonio (nel 35 a.C.).
- Dopo la vittoria su Sesto Pompeo, Ottaviano dovette far fronte alle rivendicazioni di Lepido, il quale riteneva che la Sicilia dovesse toccare a lui, come stabilito dagli accordi dei triumviri e quindi, rompendo il patto di alleanza con Ottaviano, mosse per impossessarsene con venti legioni ma fu sconfitto rapidamente, visto che i suoi soldati lo abbandonarono e passarono dalla parte di Ottaviano. Lepido fu infine confinato al Circeo, pur conservando la carica pubblica di pontifex maximus. Il Monte Circeo (o promontorio del Circeo) è un piccolo promontorio che si erge sul Mar Tirreno, insieme al promontorio di Gaeta, come estrema propaggine meridionale della provincia di Latina, e che insieme a Capo Miseno, all'Isola d'Ischia e all'arcipelago ponziano racchiude le acque e segna il confine del golfo di Gaeta.
- Con la vittoria su Sesto Pompeo e la definitiva sconfitta di Marco Emilio Lepido,
Ottaviano è il padrone indiscusso della
parte occidentale dei domini romani.
Dal 35 a.C. - Campagne militari vittoriose di
Ottaviano nell'Illirico. Quando Cesare fu ucciso, i Dalmati tornarono a ribellarsi, pensando che il potere romano risiedesse nel dittatore appena morto, e si erano opposti al pagamento del tributo al governatore dell'Illyricum, Publio Vatinio. In seguito tutte le risorse militari romane erano state impiegate nella guerra civile seguita al cesaricidio, ma ora per Ottaviano era necessario assicurarsi il controllo della strada che collegava l'Italia settentrionale (la Gallia cisalpina) con il medio/basso Danubio, fino alla frontiera orientale. Questa via passava da importanti (e futuri) centri amministrativi/militari romani e se si voleva rendere sicura l'intera area a sud del Danubio, l'emergente Impero doveva mettere in atto un vasto piano strategico che contemplasse la conquista dell'intero Illirico, ben più determinante, ad esempio, della Germania Magna.
Nel 34 a.C. - Dopo aver conquistato l'Armenia con l'aiuto dell'esercito di Cleopatra, regina d'Egitto e sua amante, Marco Antonio celebra il trionfo nella capitale egiziana, Alessandria.
In quella occasione Marco Antonio nomina Cleopatra e il figlio Cesarione (il cui padre era Giulio Cesare) reggenti di Cipro e divide la parte orientale dei domini di Roma, che gli era stata affidata con gli accordi del secondo triumvirato, fra i tre figli avuti da Cleopatra, con quella che è nota come la «donazione di Alessandria». In quell'occasione a Tolomeo XV (Cesarione) è attribuito il titolo
di Re dei Re e gli è confermata la co-reggenza dell'Egitto.
Nel 33 a.C. - Dopo l'eliminazione graduale di tutti i contendenti al potere su Roma nell'arco di sei anni, da Bruto e Cassio a Sesto Pompeo e Lepido, la situazione rimane nelle sole mani di Ottaviano in Occidente e Antonio in Oriente, portando un inevitabile aumento dei contrasti tra i due, ciascuno troppo ingombrante per l'altro, tanto più che i successi ottenuti nelle campagne militari di Ottaviano in Illirico (del 35-33 a.C.) e contro Lepido non erano stati compensati da Antonio in Oriente contro i Parti, limitandosi alla sola acquisizione in dote dell'Armenia. Alla sua scadenza, nel 33 a.C., il triumvirato non viene rinnovato (durò infatti 10 anni) e Antonio ripudierà Ottavia minore, (nel 32 a.C.) sorella di Ottaviano.
- Nel 33 a.C. Tiberio Claudio
Nerone padre muore ed è il giovanissimo figlio Tiberio
a pronunciarne la laudatio funebris dai rostri del Foro.
Tiberio si trasferisce quindi nella casa di Ottaviano dov'erano la
madre e il fratello, proprio mentre le tensioni tra Ottaviano e
Antonio porteranno ad un nuovo conflitto, che si concluderà nel 31
a.C. con lo scontro decisivo di Azio.
Nel 32 a.C. - Il conflitto fra Ottaviano e Antonio era ora inevitabile, mancava solo il
casus belli, che Ottaviano trovò Scriveva Svetonio: «La sua alleanza [di Ottaviano] con Antonio era sempre stata dubbia e poco stabile, mentre le loro continue riconciliazioni altro non erano che momentanei accomodamenti; alla fine si giunse alla rottura definitiva e per meglio dimostrare che Antonio non era più degno di essere un cittadino romano, aprì il suo testamento, da Antonio lasciato a Roma, e lo lesse davanti all'assemblea, dove designava come suoi eredi anche i figli che aveva avuto da Cleopatra.» (Svetonio, Augustus, 17). Ancora Svetonio aggiunge che Antonio aveva scritto ad Augusto in modo confidenziale, quando non era ancora scoppiata la guerra civile tra loro: «Che cosa ti ha cambiato? Il fatto che mi accoppio con una regina? È mia moglie. Non sono forse nove anni che iniziò [la nostra storia d'amore]? E tu ti accoppi solo con Drusilla? E così starai bene se quando leggerai questa lettera, non ti sarai accoppiato con Tertullia, o Terentilla, o Rufilla, o Salvia Titisenia o tutte. Giova forse dove e con chi ti accoppi?» (Svetonio, Augustus, 69.). Poiché
il Senato non aveva visto di buon occhio il trionfo celebrato
ad Alessandria e tantomeno
la spartizione ai figli di terre che appartenevano a Roma e non ad Antonio, Ottaviano decise di forzare la mano ai senatori e, dopo aver corrotto alcuni funzionari, si impossessò del testamento del rivale e lo lesse pubblicamente all'assemblea senatoria:
Antonio lasciava i territori orientali di Roma a Cleopatra VII d'Egitto
e ai suoi figli,
compreso Cesarione, figlio di Gaio Giulio Cesare. Si scatenò la prevista reazione, per cui si
dichiara Antonio nemico pubblico mentre Ottaviano gli manda i suoi parenti e i suoi amici, tra cui i consoli Gaio Sosio e Domizio Enobarbo. Poi
il Senato di Roma dichiara guerra a Cleopatra, ultima regina tolemaica di Egitto, sul finire del 32 a.C..
Nel 31 a.C. - Marco Antonio e Cleopatra sono sconfitti nella battaglia navale di Azio, il 2 settembre del 31 a.C. e si suicideranno entrambi l'anno successivo, in Egitto. La battaglia navale fu vinta dalla flotta di Ottaviano, guidata con abilità da Marco Vipsanio Agrippa, già decisivo contro Sesto Pompeo, soprattutto per la scarsa decisione di Marco Antonio che si fece convincere da Cleopatra a rinunciare al combattimento, mentre l'esito era ancora incerto, e a fuggire con il tesoro dell'esercito verso l'Egitto con una parte delle navi, mentre il resto della flotta antoniana rientrava in porto dopo aver subito alcune perdite.
Nel 30 a.C. - Da alcuni anni risalivano le frizioni tra Antonio e Ottaviano, triumviro e figlio adottivo di Cesare, quindi fratellastro adottivo dello stesso Cesarione, tensioni che erano sfociate in una guerra civile intestina della Repubblica romana tra i due generali. Nel settembre del 31 a.C. Antonio e Cleopatra erano stati sconfitti nella battaglia di Azio e si erano quindi ritirati in Egitto. Dopo il ritorno ad Alessandria dei due, Cesarione e Marco Antonio Antillo, figlio di Antonio da un precedente matrimonio, erano entrati a far parte degli efebi e il primo fu sempre più coinvolto negli affari del regno (l'efebìa, da ephebéia, era la condizione legale dei giovani al primo gradino dell'arruolamento di leva (le odierne "reclute"), che si esercitavano sotto il controllo dello stato. L'efebia era quindi il primo gradino per l'età adulta e sanciva l'uscita dall'infanzia. Ad Atene si era efebi dai diciotto ai vent'anni e ciò veniva sancito con un solenne giuramento nel tempio di Aglauro). La situazione andava però peggiorando con l'avanzata di Ottaviano in Siria e nell'estate del 30 a.C. Cleopatra, allontanatasi da Antonio, iniziò i preparativi per una sua partenza insieme a Cesarione per l'India, così da sfuggire al figlio adottivo di Cesare, Ottaviano; i suoi piani furono però scoperti dal governatore della Siria Quinto Didio, che fece bruciare la flotta egizia di stanza nel mar Rosso. Nel luglio di quell'anno quindi, Ottaviano sbarcò in Egitto e assediò Alessandria; Antonio si suicidò il 1º agosto di quell'anno, mentre Cleopatra il 12. Dopo la morte della madre, Cesarione fu fatto uccidere per ordine di Ottaviano, convinto in tal senso da Ario Didimo, per liberarsi di uno scomodo rivale dinastico, mentre gli altri figli di Cleopatra furono condotti a Roma.
- Dopo la vittoria di Azio, Ottaviano non solo ordina quindi di uccidere il figlio di Cleopatra, Cesarione (in greco ellenistico Cesariòn, piccolo Cesare) la cui paternità veniva attribuita dalla regina a Gaio Giulio Cesare, ma decide di annettere l'Egitto a Roma, compiendo l'unificazione dell'intero bacino del Mediterraneo sotto Roma, e facendo di questa nuova acquisizione la prima provincia imperiale, governata da un proprio rappresentante, il prefetto d'Egitto. L'imperium di Ottaviano su questa provincia venne probabilmente sancito da una legge comiziale già nel 29 a.C., due anni prima della messa in opera del nuovo assetto provinciale. Svetonio racconta che quando Ottaviano si trovava ancora ad Alessandria d'Egitto: «[...] si fece mostrare il sarcofago e il corpo di Alessandro Magno, prelevato dalla sua tomba: gli rese omaggio mettendogli sul capo una corona d'oro intrecciata con fiori. E quando gli chiesero se voleva visitare anche la tomba di Tolomeo, rispose che voleva vedere un re, non dei morti.» (Svetonio, Augustus, 18). Per la storiografia moderna più datata, la nuova forma di governo provinciale riservata all'Egitto ebbe origine dal tentativo di compensare gli Egiziani della perdita del loro monarca-dio (il faraone), con la nuova figura del Princeps; in realtà, la scelta di Ottaviano di porre a capo della nuova provincia un prefetto plenipotenziario (figura che derivava direttamente dal prefetto della città tardo-repubblicana), il cosiddetto praefectus Alexandreae et Aegypti, titolo ufficiale attribuito al neo-governatore che aveva soppresso la Bulè di Alessandria, era stata dettata dal contesto in cui era avvenuta la conquista del paese: la guerra civile, ragioni di ordine strategico-militare nella lotta fra le due factiones tardo-repubblicane pro-occidente o pro-oriente, l'importanza del grano egiziano per l'annona di Roma e, non da ultimo, il tesoro tolemaico. L'aver, infatti, potuto mettere le mani sulle risorse finanziarie dei Tolomei consentì a Ottaviano di pagare molti debiti di guerra, nonché decine di migliaia di soldati che in tanti anni di campagne lo avevano servito, disponendone l'insediamento in numerose colonie, sparse in tutto il mondo romano. Svetonio aggiunge che Ottaviano: «[...] per meglio ricordare la vittoria di Azio, fondò nelle vicinanze la città di Nicopoli, dove vennero istituiti dei giochi quinquennali; fece ingrandire l'antico tempio di Apollo e consacrò a Nettuno e a Marte dove aveva posto gli accampamenti, adornandoli con le spoglie navali.» (Svetonio, Augustus, 18).
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Aureo coniato il 27 a.C. durante il
consolidamento del potere di
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- Ottaviano era divenuto, di fatto, il
padrone assoluto dello Stato romano, anche se formalmente Roma era ancora una repubblica e Ottaviano stesso non era ancora stato investito di alcun potere ufficiale, dato che la sua potestas di triumviro non era stata più rinnovata: nelle Res Gestae riconosce di aver governato in questi anni in virtù del "
potitus rerum omnium per consensum universorum" ("consenso generale"), avendo per questo motivo ricevuto una sorta di perpetua
tribunicia potestas (certamente un fatto extra-costituzionale). Il
senato gli conferì progressivamente
onori e privilegi, ma il problema che Ottaviano doveva risolvere consisteva nella
trasformazione della sostanza dei rapporti istituzionali, lasciando
intatta la forma repubblicana. I fondamenti del reale potere vennero individuati nell'
imperium e nella
tribunicia potestas: il primo, proprio dei consoli, conferiva a chi ne era titolare il potere esecutivo, legislativo e militare, mentre la seconda, propria dei tribuni della plebe, offriva la facoltà di opporsi alle decisioni del senato, controllandone la politica grazie al diritto di veto.
Ottaviano cercò di ottenere tali poteri evitando di alterare le istituzioni repubblicane e dunque senza farsi eleggere a vita console e tribuno della plebe ed evitando inoltre la soluzione cesariana (Giulio Cesare era stato eletto, prima annualmente e poi a vita
dictator).
La carica di dittatore gli fu infatti
offerta, ma
egli prudentemente la rifiutò: «Il popolo con grande insistenza offrì ad Augusto la dittatura, ma lo stesso, dopo essersi inginocchiato, fece cadere la toga dalle spalle e, a petto nudo, supplicò che non gli fosse imposta.» (Svetonio, Augustus, 52). Ottaviano, ora
Augusto, considerava
il titolo di dominus («signore») come un
grave insulto e sempre lo respinse con vergogna. Svetonio racconta che un giorno, durante una rappresentazione teatrale alla quale assisteva, un mimo esclamò: O dominum aequum et bonum! («O signore giusto e buono!»). Tutti gli spettatori approvarono esultanti, quasi che l'espressione fosse rivolta ad Augusto, ma egli, non solo pose fine a queste adulazioni con un gesto e lo sguardo, il giorno seguente, emise anche un severo proclama che ne vietasse ulteriori piaggerie. Egli, infine, non permise che lo chiamassero dominus né i figli o i nipoti, che fosse per gioco o in tono serio. Ancora Svetonio racconta che Ottaviano: «Due volte pensò di restaurare la Repubblica: la prima volta subito dopo aver sconfitto Antonio, memore che quest'ultimo gli aveva ripetuto spesso che era lui il solo ostacolo al ritorno [della Repubblica]; [la seconda volta] di nuovo nella stanchezza di una malattia persistente. In quella circostanza convocò a casa sua magistrati e senatori dando loro un resoconto dell'Impero. Ma pensando che, come privato cittadino, non avrebbe potuto vivere senza pericolo e temendo di lasciare la Res publica in mano all'arbitrio di molti, continuò a mantenere [il potere]. Non sappiamo quale sia stata la cosa migliore da fare.» (Svetonio, Augustus, 28).
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Roma, i resti dei Fori Imperiali.
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Nel 29 a.C. -
Rimasto in Egitto per tutto l’inverno del 30 e la primavera del 29 prima dell'era Volgare (a.C.), risolto l’assetto politico in Oriente,
Ottaviano fa ritorno a Roma e il 13, 14 e 15 agosto di quell'anno celebra
tre magnifici trionfi delle vittorie riportate in Dalmazia, ad Azio ed in Egitto. Durante la cerimonia di un trionfo, è
Tiberio a precedere il carro del vincitore, conducendo il cavallo
interno di sinistra, mentre
Marcello, nipote prediletto e
successore designato di Augusto, cui però premorirà (Marco Claudio
Marcello, Roma 42 a.C. - Baia 23 a.C., era figlio di Gaio Claudio
Marcello, console nel 50 a.C. e di Ottavia minore, sorella di
Ottaviano), monta quello esterno di destra, trovandosi dunque al
posto d'
onore. Ottaviano concede donativi ai veterani ed ai poveri adoperando i tesori di Cleopatra e alla fine dei tre giorni di feste, consacra il tempio dedicato a Cesare. Come aveva già fatto Pompeo Magno, anche Ottaviano in quell'occasione fa coincidere il suo triplice trionfo con le feste celebrate a Roma in onore di Eracle, il
12 agosto per
Heracles Invictus ed il giorno successivo in onore di
Heracles Victor, l'Eracle vincitore. La memoria di quei festeggiamenti, le
Ferie Augustae si è perpetrata nel nostro
Ferragosto, il 15 Agosto, così come l'etimologia del nome
agosto si ricollega al latino Augustus, nome dato a quel mese dall'8 a.C.
- In quell'anno
Virgilio Marone (che era di Mantova, quindi di
discendenza etrusca) inizia la stesura dell'"
Eneide", che assegnerà
antenati divini a
Romolo e ad alcune "gens" Romane (
Venere per la gens Julia, a cui apparteneva Giulio Cesare). Caio Giulio Cesare, che nacque il 13 luglio del 101 o il 12 luglio del 100 a.C. nella Suburra, un quartiere di Roma, dall'antica e nota famiglia patrizia della
gens Iulia, annoverava tra gli antenati anche il primo e grande re romano, Romolo, che discendeva da Iulo (o Ascanio), figlio del principe troiano Enea, secondo il mito figlio a sua volta della dea Venere.
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Cartina di Roma antica con i nomi dei
7
colli fino alle mura serviane del VI
sec. a.C., e l'espansione della Roma
Repubblicana e Imperiale fino alle
mura aureliane del III sec. d.C..
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Nel 27 a.C. -
Il 16 gennaio,
Ottaviano,
che da qui in avanti sarà chiamato
Augusto (degno di venerazione),
restituisce formalmente nelle mani del senato e del popolo romano
i poteri straordinari assunti per la guerra contro Marco Antonio e riceve:
- il titolo di console da rinnovare annualmente,
- una potestas con maggiore auctoritas rispetto agli altri magistrati (consoli e proconsoli), poiché aveva diritto di veto in tutto l'Impero, a sua volta non assoggettato ad alcun veto da parte di qualunque altro magistrato;
- l'imperium proconsolare decennale, rinnovatogli poi nel 19 a.C., sulle cosiddette province "imperiali" (compreso il controllo dei tributi delle stesse), vale a dire le province dove fosse necessario un comando militare, ponendolo di fatto a capo dell'esercito;
- il titolo di Augusto (su proposta di Lucio Munazio Planco), cioè "degno di venerazione e di onore", che sancisce la sua posizione sacra che si fondava sul consensus universorum di Senato e popolo romano;
- l'utilizzo del titolo di Princeps ("primo cittadino");
- il diritto di condurre trattative con chiunque volesse, compreso il diritto di dichiarare guerra o stipulare trattati di pace con qualunque popolo straniero.
- Nel 27 a.C. Augusto effettua la
suddivisione dell'impero in province senatorie e imperiali.
- Alcune province, in genere quelle di più antica annessione e ormai pacificate, nelle quali non era necessaria la presenza di legioni, sono affidate al controllo del Senato (province senatorie) e rette, secondo il modello dell'epoca repubblicana, da proconsoli (Proconsul provinciae) o propretori, eletti annualmente, a capo delle truppe lì stanziate a cui il senato stesso avrebbe potuto in qualunque momento emanare un senatus consultum limitandone o revocandone i poteri conferiti. A questi si affiancavano i proquestori per l'amministrazione finanziaria e i procuratori imperiali, che si occupavano dell'amministrazione delle proprietà del principe (res Caesaris). La Numidia, l'Africa proconsolare, l'Asia, l'Acaia e l'Epiro, l'Illyricum, la Macedonia, la Sicilia, Creta e Cirene, Bitinia e Ponto, Sardegna e Corsica, Hispania Baetica erano province senatorie e a partire dal 22 a.C. Augusto cedette al Senato le province della Gallia Narbonense e di Cipro ottenendo in cambio quella dell'Illyricum.
- Le province imperiali erano quelle in cui il governatore era nominato direttamente ed unicamente dall'imperatore. Queste province erano spesso province di confine, strategicamente e militarmente importanti per la sicurezza dell'Impero o comunque quelle non del tutto pacificate o nelle quali erano da poco scoppiate guerre o rivolte; lo scopo ultimo, non troppo celato, era il controllo della pressoché totalità delle legioni da parte dell'imperatore. Si trattava delle province (esclusa l'Africa proconsolare) che si trovavano lungo il limes romano, in cui erano presenti delle legioni, soprattutto nei suoi tratti renano-danubiano-orientale. A questo sistema, faceva eccezione, già al tempo di Augusto, la prima provincia imperiale per costituzione, ovvero l'Egitto, che era assegnata ad un Praefectus Aegypti di rango equestre e di nomina imperiale, l'unico fra i governatori equestri che avesse al proprio comando una o più legioni. La Hispania Tarraconensis, la Hispania Lusitania, la Gallia Comata (o Tres Galliae), la Gallia Narbonensis (divenuta poi provincia senatoria dal 22 a.C.), la Siria (a cui fu unita la Cilicia e Cipro fino al 22 a.C.) e l'Egitto erano province imperiali. A partire dal 22 a.C. Augusto cedette al Senato le province della Gallia Narbonense e di Cipro ottenendo in cambio quella dell'Illyricum. Il potere dell'imperium consentiva all'imperatore di assumere direttamente il comando delle legioni stanziate nelle province "non pacatae" e di avere così costantemente a disposizione una forza militare a garanzia del suo potere, nel nesso inscindibile tra esercito e proprio comandante che era stato creato dalla riforma di Gaio Mario, ormai vecchia più di un secolo. L'imperium gli garantiva inoltre, la gestione diretta dell'amministrazione e la facoltà di emanare decreta, decisioni di carattere giurisdizionale, ed edicta, decisioni di carattere legislativo.
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Il Pantheon visto dall'alto.
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- Nel
27 a.C., anno in cui Ottaviano ottenne il titolo di Augusto, Marco Vipsanio
Agrippa rivestì per la terza volta il consolato insieme all'amico e futuro suocero Augusto. Quello stesso anno Vipsanio Agrippa
costruì e dedicò il
Pantheon, ricostruito in seguito sotto l'imperatore Adriano, che ripeté sulla trabeazione il testo dell'iscrizione dell'edificio eretto da Agrippa durante il suo terzo consolato (M·AGRIPPA·L·F·COS·TERTIVM·FECIT, ovvero"Marco Agrippa, figlio di Lucio, console per la terza volta, fece"). Il
Pantheon, il tempio dedicato al culto di tutti gli dei (dal greco Pan= tutti e Theon=divinità) che sorge in piazza della rotonda, vicino a piazza Minerva, era stato concepito come Augusteum, ossia come luogo sacro dedicato al divinizzato imperatore Augusto e tempio di tutte le divinità protettrici della sua stirpe. Danneggiato nell’incendio di Roma dell’80 d.C., fu restaurato da Domiziano ed è giunto a noi quasi integro nella ricostruzione eseguita da Adriano nel 130 d.C.. Quasi tutto quello che vi si può ammirare risale all'epoca romana. La
cupola, che ha un diametro interno di 44.30 m, è tuttora la
più grande mai realizzata
in muratura ed è costruita in un conglomerato particolarmente leggero formato da malta e da scaglie di travertino, sostituite man mano che si sale, da lapilli (pozzolana vulcanica) e pietra pomice. Alta 43,4 metri, dalla cupola la luce filtra attraverso l’oculus, l’apertura circolare con un diametro di 9 metri sulla sua sommità, illuminando l’intero edificio. In caso di pioggia, l’acqua che cade all'interno sparisce nei 22 fori quasi invisibili del pavimento, anche se nell'antichità probabilmente la pioggia veniva deviata dalle forti correnti ascensionali prodotte dalle torce accese all'interno. La massiccia porta di bronzo risale all'età romana, così come l'esterno, iscrizione compresa, del 27 a.C.
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