Nave da guerra assira di produzione fenicia, VII secolo a.C., da Ninive,
Palazzo Sud-Ovest, stanza
VII, pannello 11 (Londra, British
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- "I re di Tarsis e delle isole deve offrire i loro doni ..." - Bibbia, Libro Secondo dei Salmi, 72,10.
- "Tutti i calici di re Salomone erano d'oro (...) Non c'era argento, nessun caso ha fatto nulla di tutto questo nei giorni di Salomone, quando il re aveva in mare le navi di Tarsis con Hiram e ogni tre anni venivano le navi di Tarsis portando oro, argento, avorio, scimmie e pavoni." E segue: "Hiram, re di Tiro (969-936 a.C.) di potenza fenicia, successore di Sidone. Questo re aveva stabilito accordi con il re Davide, durante la costruzione del Palazzo Reale e il Tempio di Gerusalemme, e poi con Salomone." - Bibbia, I Re, 10, 21-22.
- "Perché gli dèi delle nazioni sono vane: un albero del bosco, il lavoro delle mani del maestro con l'ascia lo interruppe con argento e oro impreziosisce, provenienti da Tarsis laminato argento, oro di Ofir e maestro lavorazione mani orafo, di blu e porpora e di scarlatto è il suo vestito, tutti sono il lavoro degli artigiani. Con il martello e chiodi che tengono in modo che non si muova. Sono come spaventapasseri nei campi, che non parlano. Bisogna portarli, perché non possono camminare. Non abbiate paura di loro, perché non fanno nulla di buono o cattivo." - Bibbia, in Geremia, (nato nel 645 a.C.) 10, 3.
- "(Descrizione di Tiro e di ricchezza). Tarsis commerciava con te in abbondanza tutti i tipi di prodotti: argento, ferro, stagno e piombo per la vostra merce (...) Le navi di Tarsis erano le tue carovane che portano merci. Così si diventa ricchi e ricchi nel cuore dei mari." - Bibbia, Ezechiele, (inizio sec. VI a.C.) 27, 12.
- "Giona si levò per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore, scese a Giaffa, dove trovò una nave che doveva andare a Tarsis. Ha pagato il prezzo della corsa e scese in essa per andare con loro in Tarsis dal Signore." - Bibbia, Giona, (IV sec. a.C.) 1, 3.
per il post "Tartesso: prima i Liguri, poi Fenici e Greci", clicca QUI.
Per il post "Ercole e altri miti a Tartesso", clicca QUI.
Per il post "Tartesso: l'Economia", clicca QUI.
- Verso il 500 a.C. i Galli Cenomani, insediati stabilmente nell'attuale bassa Lombardia orientale e nel basso Veneto occidentale, ossia nel territorio compreso tra il fiume Adige e l'Adda, risalirono alla conquista delle valli alpine combattendo contro le popolazioni indigene. A loro si opposero fieramente gli Stoni. Ne deve essere seguita una convivenza inizialmente difficile, che portò lentamente a una popolazione abbastanza omogenea, tanto che i Romani li identificano con l’unica denominazione di Reti.
Le vie dell'ambra nell'Europa del 500 a.C.. |
- Dal V al I secolo a.C., i Germani premettero costantemente verso sud, venendo a contatto (e spesso in conflitto) con i Celti e, in seguito, con i Romani. Lo spostamento verso sud fu probabilmente influenzato da un peggioramento delle condizioni climatiche in Scandinavia tra il 600 a.C. e il 300 a.C. circa. Il clima mite e secco della Scandinavia meridionale (una temperatura di due-tre gradi più elevata di quella attuale) peggiorò considerevolmente, il che non solo modificò drammaticamente la vegetazione, ma spinse le popolazioni a cambiare modi di vivere e ad abbandonare gli insediamenti. Intorno a tale periodo questa cultura scoprì come estrarre il "ferro di palude" (limonite) dal minerale nelle paludi di torba. Il possesso della tecnologia adatta ad ottenere minerale di ferro dalle fonti locali può aver favorito l'espansione in nuovi territori. Nell'area di contatto con i Celti, lungo il Reno, i due popoli entrarono in conflitto. Sebbene portatori di una civiltà più articolata, i Galli subirono l'insediamento di avamposti germanici nel loro territorio, che diedero origine a processi di sovrapposizione tra i due popoli: insediamenti appartenenti all'uno o all'altro ceppo si alternavano e penetravano, anche profondamente, nelle rispettive aree d'origine. Sul lungo periodo, a uscire vincitori dal confronto furono i Germani, che qualche secolo più tardi sarebbero dilagati a occidente del Reno. Identico processo si sarebbe verificato, a sud, lungo l'altro argine naturale alla loro espansione, il Danubio. Dal Blog "Sanremo Mediterranea": Per il post "Dal Ligure al Celtico, dagli antichi alfabeti dell'Italia Settentrionale al Runico", clicca QUI.
Carta della Venetia, X Regio della Roma
Imperiale.
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Cavallo degli antichi Veneti o
Venetici.
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Il cavallo, chiamato Ekvo dai Veneti antichi, animale-totem della protostoria dell'Europa, giocò nella loro cultura un ruolo di prim'ordine. Questi animali erano allevati per la loro valenza economica e come simbolo di predominio aristocratico e militare. I cavalli dei Veneti erano noti per la loro abilità nella corsa ed erano spesso riprodotti negli ex voto, nelle aree più sacre. Centinaia di bronzetti a forma di cavallo o di cavaliere su cavallo provengono dai luoghi di culto dei Veneti. Al cavallo erano riservati appositi spazi di sepoltura nelle necropoli. Il cavallo compare in vari manufatti come immagine simbolica o elemento decorativo.
- In Grecia, le due città greche più importanti, Atene e Sparta, erano divise quasi su tutto: avevano diversi interessi, diversi rapporti fra le classi, diversa concezione della vita e della cultura. E anche, naturalmente, una diversa concezione della guerra.
Opliti Spartiati - Clicca sull'immagine
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Costituzione di Sparta. Clicca
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Le armi di un oplita greco
del 500 a.C.: elmo,
corazza, lancia di cui
si vede solo la punta,
spada. Clicca per
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Diversa era la situazione ad Atene all'inizio del V secolo. Lì non si passava la vita sotto le armi, anzi, non c'era nessuno che facesse il soldato per professione: i cittadini venivano chiamati di volta in volta alle armi, in caso di necessità, sotto il comando di capi militari (gli strateghi) che venivano eletti di anno in anno. Nonostante che, dopo la riforma di Clistene, le cariche pubbliche venissero sorteggiate fra tutti gli aventi diritto, a quella di stratega veniva attribuita una componente di competenza tecnica, per cui era riservata, per comune consenso, alle persone riconosciute più esperte. Una cosa però accomunava le tecniche di guerra di Ateniesi e Spartani (e in realtà di quasi tutti i Greci) al momento dell'invasione persiana: per gli uni come per gli altri, il nerbo dei rispettivi eserciti era costituito dalla fanteria oplitica.
Gli opliti (da Yoplon, lo scudo tondo del diametro di un metro, in legno ricurvo corazzato in bronzo od ottone) erano cittadini liberi, appartenenti per lo meno al ceto medio, i quali potevano permettersi di equipaggiarsi con la pesante armatura di bronzo adottata dalle armate greche fin dalla fine dell'VIII secolo a.C. L'equipaggiamento difensivo (chiamato panoplia) era composto da una corazza, sagomata in modo da avere la forma di un torso maschile, a protezione del busto; da un elmo, sempre di bronzo, che riparava anche il naso e le guance; da protezioni metalliche per la parte inferiore delle gambe; infine dal grande scudo argivo (Yoplon), da cui derivava appunto il termine 'oplita'. Le armi offensive erano una lancia e una spada di ferro. La fanteria oplitica combatteva in formazione serrata e pertanto si muoveva con lentezza, ma con efficacia, ed era in grado di resistere anche a una carica di cavalleria. L'armatura di bronzo bastava spesso a proteggere i soldati dalle frecce scagliate da lontano, o anche da una lancia scagliata senza sufficiente forza e precisione. Per sconfiggere gli opliti, dunque, era necessario affrontarli a distanza ravvicinata.
Costituzione di Atene. Clicca
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Modalità dell'ostracismo, praticato ad
Atene.
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L'introduzione di questo modo di combattere soppiantò i combattimenti individuali sui carri trainati da cavalli e i duelli tra aristocratici raccontati da Omero nelle gesta degli eroi Micenei. Poiché per costruire una falange occorreva un gran numero di uomini e grazie al fatto che l'oplita non aveva bisogno del cavallo, che doveva essere spesato dal cavaliere, quindi un'aristocratico, artigiani e mercanti entrarono a far parte dell'esercito ottenendo il diritto di cittadinanza: questo permise che il potere militare finisse nelle mani dei comuni cittadini. Pertanto l'introduzione della guerra oplitica fu uno dei fattori che contribuì a minare il primato dell'aristocrazia, che perse il predominio sulla forza militare. Alla lunga la nuova tecnica di combattimento finì con il creare tensioni anche all'interno della disciplinatissima società spartana. Comunque ad Atene e in molte altre città il potere politico era passato nelle mani dell'assemblea dei cittadini.
La falange greca, formazione serrata
con cui
combattevano gli Opliti dell'antica
Grecia.
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- Ecateo di Mileto, (Mileto, 550 - 476 a.C.) è stato un geografo e storico greco antico. Visse attorno al 500 a.C. e fu tra i primi autori di scritti di storia e geografia in prosa del mondo greco. I logografi erano uomini che viaggiavano molto e descrivevano i paesi che visitavano nei loro vari aspetti: cultura, storia, geografia del luogo in cui vivevano, tradizioni, usi, costumi, religione. Grazie ai suoi numerosi viaggi lungo l'ecumene, la terra abitata conosciuta allora e formata dall'impero persiano, dalla Grecia, dall'Egitto, dal bacino del Mediterraneo, egli disegnò una carta geografica che perfezionava quella di Anassimandro e fu autore di una Periégesis, forse conosciuta da Erodoto. Essa rappresenta la fase intermedia tra poesia epica e storiografia. Figlio di Egesandro, aristocratico, si vantava, secondo quanto racconta Erodoto (Storie, II, 143), di avere avuto, nella propria genealogia, un dio per antenato della sedicesima generazione: i sacerdoti egiziani del dio Amon gli mostrarono nel tempio ben 345 statue di sacerdoti della stessa stirpe e il più antico di essi era ancora un uomo. Il senso dell'episodio sembra essere che egli cominciasse a considerare razionalmente i miti e a basarsi sui fatti per valutare le tradizioni. Sempre Erodoto (Storie, V, 36) racconta che al tempo della rivolta delle città ioniche contro i persiani (500 - 494 a.C.) Ecateo consigliò di costruire una flotta utilizzando il tesoro del tempio dei Branchidi per poter combattere con successo e fu poi tra gli ambasciatori che trattarono la pace col satrapo Artaferne; anche questo episodio mostrerebbe la sua spregiudicatezza e la sua noncuranza per ciò che allora era considerato sacro e inviolabile. Le Genealogie (Geneelogiai) sono una sua opera in 4 libri di natura storica, con un'esposizione di avvenimenti mitici ordinati cronologicamente per generazioni, in cui una generazione corrisponde a circa quarant'anni. Probabilmente Ecateo considerava il periodo dai deucalionidi, da Prometeo a Eracle. Restano una trentina di frammenti dai quali non si può ricavare carattere e distribuzione della materia trattata anche se sono considerate un tentativo di razionalizzare gli elementi mitici della storia primitiva della Grecia. Nel II libro erano narrati alcuni miti di Eracle e nel IV delle leggende milesie, del popolo degl'Itali e dei Morgeti. Restano frammenti anche del Giro della Terra (Periegesis), opera di natura geografica, pubblicata alla fine del VI secolo, in due libri riguardanti l'Europa e l'Asia, una descrizione di luoghi visitati, con indicazione delle distanze e osservazioni etnografiche: secondo Erodoto, disegnò una carta geografica che rappresentava la Terra come un disco rotondo circondato dall'Oceano, concezione del resto a lui anteriore.
Ecumene di Ecateo di Mileto.
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Esordisce nelle Genealogie con la perifrasi "os emoi dokei", "io scrivo cose che credo vere; invece molti racconti greci sono ridicoli". Questa fu una delle prime individualizzazioni dell'autore nella storia della letteratura, mentre in precedenza (basti pensare ai poemi omerici) lo scrittore non compare nell'opera, anzi essa è raccontata dalla musa per mezzo del poeta, non è frutto della fantasia o dell'abilità del poeta stesso. Considerando leggende molte tradizioni della sua terra, cerca di comprendere i miti, razionalizzandoli: così, per esempio, spiega la leggenda di Eracle che, nel capo Tenaro, scende nell'Ade per portare il cane infernale Cerbero a Euristeo, verificando che in quel luogo non c'è nessuna strada sotterranea e nessun ingresso all'Ade; dunque, secondo lui, Eracle ha semplicemente catturato in quel luogo un comune serpente chiamato, per la sua velenosità, cane dell'Ade. In questo modo il mito viene adattato ai tempi ma mantenuto, perché Ecateo non interpreta e mantiene reali Eracle e l'Ade, che sono i fondamenti della leggenda. È il limite di ogni razionalizzazione: in realtà le mitologie vanno spiegate storicizzandole, cioè comprendendo come e perché siano sorte, altrimenti vengono soltanto modificate, creandone altre, come infatti la storia insegna. Ma Ecateo non poteva “storicizzare”, proprio a causa dell'inesistenza, ai suoi tempi, di una storiografia e perciò di una metodologia storiografica e tuttavia, per il suo sforzo di mettere in discussione le narrazioni del passato, per la ricerca della verosimiglianza dei fatti e il rifiuto dell'autorità, merita il nome di padre della storiografia greca.
Dal 499 a.C. - Iniziano gli eventi che porteranno in Grecia le Guerre Persiane: Creso, re di Lidia, che aveva sottomesso le città greche della costa ionica nel 546 a.C. è rovesciato da Ciro il Grande, re di Persia, che si annette anche le città greche dell'Asia Minore.
Bronzetto raffigurante
un Guerriero Greco.
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- Nello stesso anno si verifica la prima ribellione delle città greche contro il potere persiano, fomentata dalla città ionica di Mileto, a cui Atene si allea e gli fornisce navi. I Greci milesi incendiano Sardi, vicino capoluogo della Satrapia Persiana: nell'incendio viene distrutto il tempio di Cibele. Anche Focea aderisce alla rivolta ionica contro Dario I di Persia e Dionisio di Focea comanda la flotta ionica nella battaglia di Lade (494 a.C.), in cui i Focesi poterono schierare solo tre navi su un totale di 350. I persiani vinsero la battaglia e poco dopo schiacciarono la rivolta. A Dario viene riferito che è stata Atene a fornire aiuto alle pòleis Greche ribelli.
Nel 494 a.C. - Il re di Persia Dario saccheggia Mileto e ristabilisce il controllo sulla Ionia, ma chiede ad un servitore di ricordargli, ogni giorno prima dei pasti, della pericolosità degli Ateniesi.
Nel 491 a.C. - A capo di una grande flotta, Dario si dirige su Atene, ma la flotta è distrutta da una tempesta.
Dal 487 a.C. - Ad Atene si assiste al declino del potere dell'Areopago, grazie alla rivoluzione democratica già avviata nel 508/7 a.C. da Clistene, la cui costituzione aveva assegnato il potere a una Bulé composta da cinquecento membri, sorteggiati da una lista di candidati precedentemente eletti dalle tribù ateniesi.
Lazio, 482 a.C., da https://it.wiki pedia.org/wiki/Guerre_tra_Ro ma_e_Veio#/media/File:Carte_ GuerresRomanoVeies _482avJC.png |
Dal 482 a.C. - Si combattono le
guerre fra Roma e Veio. Nel capitolo 43 del suo secondo libro,
Tito Livio cita i Veienti: siamo al consolato di Quinto Fabio
Vibulano e Gaio Giulio Iullo, ovvero nel 482 a.C. circa. I Veienti,
approfittando dell'impegno di Roma per riprendere la supremazia sulle
popolazioni latine, ripresero (oppure non avevano smesso) le armi
venendo a stento tenuti a freno. L'anno successivo, consoli Cesone
Fabio Vibulano e Spurio Furio Fusone, «Gli Equi attaccarono una
città latina, Ortona e i Veienti, ormai sazi di bottino,
minacciavano di attaccare la stessa Roma.» (Tito Livio, Ab Urbe
condita libri, II, 43, op. cit.). Gaio Giulio partì contro gli Equi.
Fabio portò l'esercito contro Veio. Una pagina nera nella storia
dell'esercito romano. Per i motivi di frizione sopra sommariamente
descritti, nonostante la bravura militare del console che schierò le
truppe per consentire alla sola carica della cavalleria di sgominare
il nemico, i fanti, componenti della plebe, si rifiutarono persino di
inseguire i nemici in fuga, volsero le spalle e ritornarono agli
accampamenti. L'anno seguente l'aristocrazia cambiò tattica: sotto
l'impulso di Appio Claudio il senato iniziò a cercare l'aiuto di
almeno uno dei tribuni per metterlo contro il collega e
neutralizzare, con una forza uguale e contraria, i difensori della
plebe. La posta era una delle molte ripresentazioni di una legge
agraria che voleva contrastare lo strapotere dei ricchi possidenti.
Questi, per potenza economica o politica riuscivano spesso ad
impossessarsi dei terreni conquistati dall'esercito dirigendo gli
sforzi dell'intera popolazione (anche della plebe) verso poche e
ricche tasche. La mossa politica riuscì e «avvenne la partenza per
la guerra contro Veio, cui erano giunti aiuti da ogni parte
dell'Etruria non per particolare gratitudine ai Veienti, ma per la
speranza che quella fosse l'occasione in cui Roma, logorata dalla
lotta intestina, potesse subire il tracollo.» (Tito Livio, Ab Urbe
condita libri, II, 44, op. cit.). La descrizione dei prodromi della
battaglia e del suo svolgimento, delle astute resistenze di consoli
ad attaccare per aumentare la vergogna e quindi l'ira dei Romani, gli
atti di eroismo dei semplici combattenti e dei componenti la gens
Fabia che affiancavano il consanguineo console Quinto Fabio e della
morte dell'altro console Gneo Manlio Cincinnato merita una voce a sé
stante. Questa, ad ogni modo, è la prima descrizione accurata
di una battaglia fra Romani e Veienti. In questo periodo i
Fabi sorsero in grande importanza all'interno di Roma, la famiglia
dava ogni anno un console alla città. L'anno successivo, infatti,
Cesone Fabio Vibulano salvò Roma da un attacco dei Veienti che il
collega del console, Tito Virginio Tricosto Rutilo aveva
sottovalutato. Da quel momento con i Veienti si instaurò una
situazione di "non-pace e non-guerra" con azioni di puro
brigantaggio nei territori avversari. Gli etruschi non affrontavano
le legioni romane ritirandosi dentro le mura e quando i Romani si
allontanavano uscivano per compiere razzie. Poiché gli eserciti di
Roma erano spesso impegnati in vari altri fronti, i Fabii giunsero a
chiedere una sorta di appalto della guerra contro Veio. La città
poteva portare i suoi eserciti contro Equi e Volsci; la gens Fabia
avrebbe preso su di sé l'intero peso della guerra con Veio,
impegnandosi a «salvaguardare l'autorità di Roma nel settore e
condurre la guerra come un affare di famiglia finanziandola
privatamente senza che la città dovesse impegnare né denaro né
uomini.». (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 48, op. cit.). La
guerra con Veio diventò endemica generando un famoso episodio della
storia di Roma. I Fabii condussero la guerra, una sorta di
bracconaggio invero, provocando i Veienti, rubando le loro messi e le
loro mandrie, resistendo agli attacchi dei nemici fino a quando
questi, stanchi di "perdere la faccia", non si
organizzarono, articolando una trappola e trucidando tutti i
componenti della gens Fabia nella Battaglia del Cremera. Era il 13
luglio del 477 a.C.; dei Fabii rimase un solo componente, il futuro
console Quinto Fabio Vibulano. Come conseguenza i Veienti ripresero
coraggio e arrivarono persino al Gianicolo senza saper approfittare
dell'occasione. Si fecero sconfiggere nuovamente con un trucco simile
a quello utilizzato contro i Fabii e vennero sterminati.
Carta con le Termopili e altre
battaglie
con i percorsi dei persiani.
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Nel 479 a.C. - Le residue forze di terra persiane sono annientate a Platea. Atene si erge così come la città-stato più influente di tutta l'Ellade, sotto la guida politica di Aristide e impone uno stato di sudditanza alle altre città.
Carta geografica ottenuta dal Periplo
di Scilace, parte tratta da: http://
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- In Italia, nella Magna Grecia viene fondata un'altra scuola filosofica, la scuola Eleatica, che prese il suo nome da Elea, fondata dai Focei, Velia per i Romani, oggi nel comune di Ascea (Salerno), sulle coste del Cilento, patria dei suoi più importanti esponenti: Parmenide e Zenone. La sua fondazione è spesso attribuita al più anziano Senofane di Colofone ma, sebbene nella sua dottrina ci siano molti elementi che faranno parte integrante della speculazione della Scuola eleatica, è probabilmente più corretto guardare a Parmenide come suo fondatore. Il pensiero di Senofane era legato alla scuola ionica di Mileto, quella di Talete, Anassimandro e Anassimene. Parmenide di Elea visse all'incirca dal 515 al 460 (secondo altre testimonianze nacque invece intorno al 540 a.C.), e il suo spirito di libero pensiero si sviluppò in senso ontologico.
Parmenide di Elea.
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- l' alétheia (letteralmente = non velata), il sentiero della Verità, basato sulla ragione, che ci porta a conoscere l'essere vero;
- la doxa, basata sui sensi, ci fa conoscere l'essere apparente. La sua filosofia si sintetizza in una frase: "L'essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere". Significa che l'essere esiste, il non essere non esiste e non può essere pensato né espresso. L'essere sembra avere delle connotazioni divine perché è:
- ingenerato e imperituro perché se nascesse o morisse implicherebbe in qualche modo il non essere (in quanto nascendo verrebbe dal nulla e morendo tornerebbe al nulla);
- eterno
- immutabile e immobile perché se si trasformasse o si muovesse diventerebbe qualcosa che prima non era (non essere)
- unico e omogeneo
- finito (nell'antichità il finito è sinonimo di perfezione).
Parmenide però poi aggiunse un' altra via:
- la doxa plausibile, che esclude il non essere facendo leva sul dualismo luce-notte. Questa via dice che gli opposti (luce-notte, maschio-femmina...) sono entrambi essere ma senza entrambi ci sarebbe il nulla. Escludendo il non essere la terza via esclude anche la morte infatti anche il cadavere non è tale perché percepisce silenzio, freddo... In seguito, o perché le sue speculazioni risultavano offensive per i contemporanei cittadini di Elea, o a causa della mancanza di una salda guida, la scuola degenerò concentrandosi su temi eristici e retorici, mentre i migliori frutti di questa corrente furono assorbiti dalla metafisica platonica. Dibattuto è il tema dell'influenza del pensiero di Parmenide su quello di Eraclito o viceversa. Secondo Diogene Laerzio fu il primo ad affermare che la Terra è sferica e occupa il centro dell'universo. Parmenide di Elea distinse due livelli di conoscenza: secondo verità e secondo opinione. Per lui il Sole e la via lattea erano esalazioni di fuoco. Anche la Luna era esalazione di fuoco, ed era illuminata dal Sole. La tradizione lo considera anche il primo ad aver riconosciuto che Espero e Lucifero erano lo stesso astro, il pianeta Venere. Senofane di Colofone fu il primo a muovere all'attacco della mitologia della Grecia arcaica, nella metà del VI secolo a.C., scagliandosi contro l'intero sistema antropomorfico sancito dai poemi di Omero ed Esiodo. Gli eleatici ricercavano un essere unico, eterno, immutabile di fronte al quale il nostro mondo è solo apparenza, e Senofane diceva che gli dei non sono antropomorfi, cioè non hanno caratteristiche e sembianze umane, ma secondo lui esisteva una sola divinità che si identifica con l'universo, un dio-tutto, eterno.
Filosofo greco da alcuni
identificato come Eraclito.
Roma, musei capitolini.
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Zenone di Elea.
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Un'antica trireme greca ricostruita.
Navi lunghe e strette,
veloci e molto manovrabili, il loro
impiego fu decisivo
nella battaglia di Salamina. Clicca
sull'immagine
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Nel 478 a.C. - Viene creata in Grecia la Lega Delio-Attica che vanta vittorie contro Cartagine e gli Etruschi. La qualità speculativa della ragione e la nuova consapevolezza di libertà individuale (ottenuta parallelamente alla creazione di un mercato di schiavi), ha elaborato nuove forme di governo del potere nella res-pubblica: la Democrazia. Il potere è condiviso dalle varie parti della società degli uomini liberi, con e senza possedimenti fondiari, la terra: unici esclusi sono gli schiavi, ritenuti più merci che persone. Il culmine dello splendore politico e culturale di Atene è raggiunto con Pericle. Accentuato il carattere democratico con leggi che consentivano ai cittadini delle classi meno abbienti di accedere a cariche pubbliche. Favorito il sorgere di regimi democratici anche in altre città. Durante l'Età di Pericle si ha la costruzione del Partenone, dell'Eretteo, dei Propilei e di altri edifici pubblici. La letteratura si esprime con le tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide le commedie di Aristofane, la filosofia splende con Socrate e Platone.
Con il governo di Pericle, l'artefice della democrazia ateniese, e sotto la supervisione dello scultore Fidia, la rocca di Atene si trasformò in un frenetico cantiere dove affluivano gli ingegni e gli artisti migliori del tempo. Si costruirono il Partenone, tempio così chiamato da Athena Parthénos, la dea protettrice della città; i Propilei, cioè l'ingresso monumentale all'area sacra; il Tempio di Atena Nike, di piccole dimensioni ma di squisita eleganza; l'Eretteo, un tempio costituito da diversi ambienti tra cui la celebre Loggia delle Cariatidi, dove le colonne sono sostituite da eleganti figure femminili.
- Pericle, in greco Περικλῆς, Periklēs, "circondato dalla gloria" (nato a Cholargos nel 495 a.C. circa, morto ad Atene nel 429 a.C.), è stato un politico, oratore e stratega ateniese durante il periodo d'oro della città, tra le Guerre Persiane e la Guerra del Peloponneso. Discendeva, da parte di madre, dalla potente e storicamente influente famiglia degli Alcmeonidi. Pericle ebbe una così profonda influenza sulla società ateniese che Tucidide, uno storico contemporaneo a lui, lo acclamò "Primo cittadino di Atene". Durante i primi due anni delle Guerre del Peloponneso, Pericle fece della Lega Delio-Attica (una alleanza fra Atene e altre città, con Delo, isola sacra poiché ritenuta il luogo di nascita di Apollo, come riferimento per l'alleanza), un impero comandato da Atene. Promosse le arti e la letteratura; questa fu la principale ragione per la quale Atene detiene la reputazione di centro culturale dell'Antica Grecia. Cominciò un progetto ambizioso che portò alla costruzione di molte opere sull'Acropoli (incluso il Partenone, il "tempio della vergine", dedicato ad Atena con un imponente statua d'oro e avorio, alta venticinque metri, costruita da Fidia). Sotto il governo di Pericle, Atene raggiunse il massimo sviluppo democratico, con l'istituzione dell'assemblea cittadina come capo della Lega Delio-Attica. Per avere informazioni sulla vita di Pericle, visualizza il post "Paolo Rossi: Pericle e la Democrazia" cliccando QUI.
Ecco il suo Discorso agli Ateniesi riportato da Tucidide in "La guerra del Peloponneso" II, 37-41: "Qui ad Atene noi facciamo così: qui il nostro governo favorisce i molti, invece dei pochi, e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così: le leggi, qui, assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza, quando un cittadino si distingue, allora esso sarà a preferenza di altri chiamato a servire lo stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa, al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. Qui ad Atene noi facciamo così: la libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana, noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro, e non infastidiamo mai il nostro prossimo, se al nostro prossimo piace vivere a modo suo, noi siamo liberi, liberi di vivere, proprio come ci piace, e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari, quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così: ci é stato insegnato di rispettare i magistrati e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi, e di non dimenticare mai coloro che ricevono offesa, e ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte, che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto, e di ciò che è buonsenso. Qui ad Atene noi facciamo così: un uomo che non si interessa allo stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile, e benché in pochi siano in grado di dar vita a una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma io proclamo Atene scuola dell’Ellade, e che ogni ateniese cresce prostrando in se una felice versatilità, la fiducia in se stesso e la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione. Ed é per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Atene, Eretteo, la loggia delle
cariatidi. Clicca sull'immagine
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Pericle.
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Ecco il suo Discorso agli Ateniesi riportato da Tucidide in "La guerra del Peloponneso" II, 37-41: "Qui ad Atene noi facciamo così: qui il nostro governo favorisce i molti, invece dei pochi, e per questo viene chiamato democrazia. Qui ad Atene noi facciamo così: le leggi, qui, assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza, quando un cittadino si distingue, allora esso sarà a preferenza di altri chiamato a servire lo stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa, al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. Qui ad Atene noi facciamo così: la libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana, noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro, e non infastidiamo mai il nostro prossimo, se al nostro prossimo piace vivere a modo suo, noi siamo liberi, liberi di vivere, proprio come ci piace, e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari, quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così: ci é stato insegnato di rispettare i magistrati e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi, e di non dimenticare mai coloro che ricevono offesa, e ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte, che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto, e di ciò che è buonsenso. Qui ad Atene noi facciamo così: un uomo che non si interessa allo stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile, e benché in pochi siano in grado di dar vita a una politica, beh, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma io proclamo Atene scuola dell’Ellade, e che ogni ateniese cresce prostrando in se una felice versatilità, la fiducia in se stesso e la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione. Ed é per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così!"
- Anassagora di Clazomene visse all'incirca dal 500 al 430 a.C. E' probabile che abbia trascorso la sua giovinezza nella natia Ionia (Clazomene era una città nelle vicinanze di Smirne). Le fonti più importanti su Anassagora sono Aristotele, Platone, Teofrasto, Aetius, Plutarco, Ippolito. Si dice che, di famiglia facoltosa, abbia trascurato le ricchezze per dedicarsi allo studio. Si dice anche che sia stato lui il primo filosofo ad introdurre in Atene la filosofia (fino ad allora confinata alla Ionia) quando, poco più che ventenne, vi si trasferì. E' largamente accettato che ad Atene egli divenne amico di Pericle, più giovane di lui di cinque anni. Ma, come è noto, l'amicizia con Pericle gli costò cara: i nemici politici di Pericle per colpirlo si rifecero su Anassagora facendolo imprigionare e costringendolo all'esilio. Sembra addirittura che il provvidenziale intervento di Pericle abbia salvato Anassagora da sanzioni più gravi. Le accuse ad Anassagora consistevano, come è noto, nell'aver egli affermato che il Sole non era altro che "una pietra infuocata" (evidentemente, nell'Atene del 450 a.C. l'attitudine mentale tradizionale era ancora fortemente legata a valori sacrali e lo svilirli a una interpretazione naturalistica non poteva ancora essere accettato). Comunque, Anassagora si rifugiò a Lampsaco (sulla costa orientale dell'Ellesponto), dove si dice abbia fondato una Scuola filosofica. Nella dottrina filosofica di Anassagora si aveva una accentuazione del nous inteso come "mente", oppure "ragione", cioè disanima dei fenomeni secondo principi di razionalità. Secondo Aetius (che cita Teofrasto), Anassagora sosteneva che la Luna brilla di luce non propria ma riflessa dal Sole, così come la pensava Parmenide. Ippolito e altri ci informano delle corrette interpretazioni date da Anassagora, per primo, delle modalità del compiersi delle eclissi di Sole e di Luna. Sulle modalità di svolgimento delle eclissi di Luna, comunque, Anassagora introduce una credenza erronea, ammettendo la possibilità che ad oscurare la Luna siano anche altri corpi interposti. C'è un notevole grado di incertezza su quanto fossero estese le sue cognizioni matematiche. Vitruvio ci dà una intrigante informazione su Anassagora. Ci dice che, mentre si trovava in prigione, scrisse un trattato nel quale si davano istruzioni su come dipingere gli scenari per le commedie che venivano rappresentate ad Atene: come dovevano essere dipinti i pezzi che dovevano apparire sullo sfondo, e come quelli che dovevano apparire in primo piano. Si potrebbe arguire da ciò che Anassagora produsse una specie di trattato sulla prospettiva ma manca completamente qualunque altra notizia che confermi queste affermazioni di Vitruvio. E' noto anche la battuta con la quale si dice abbia risposto a che gli chiedeva quale riteneva fosse lo scopo della sua vita: "Investigare il Sole, la Luna e le stelle".
Anassagora.
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Empedocle.
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Nel 475 a.C. - Si arriva all'alleanza di Roma con i Sabini. Publio Valerio Publicola, il console, si fece aiutare dai socii Latini ed Ernici ed entrò in contatto con Veienti e Sabini. Per prima cosa si scagliò contro i Sabini, ne espugnò l'accampamento mettendo in crisi anche la fiducia dei Veienti che stentarono ad organizzare una difesa comune. Questa difesa non ebbe grande riuscita. La cavalleria di Valerio riuscì a scompaginare i difensori e a sbaragliare gli Etruschi. Appena in tempo per fermare un attacco dei Volsci che a loro volta approfittavano delle difficoltà romane per compiere razzie e devastazioni. I consoli dell'anno successivo furono Lucio Furio Medullino e Gaio Aulo Manlio. A quest'ultimo fu affidata l'ennesima guerra con Veio. I risultati furono notevoli; i Veienti, senza combattere, chiesero e ottennero una tregua di quarant'anni.
Nel 451/450 a.C. - A Roma vengono scritte le leggi delle XII tavole (duodecim tabularum leges), un corpo di leggi compilato dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di diritto privato e pubblico derivate da pronunce pontificali tramandate oralmente per molto tempo. Rappresentano la prima codificazione scritta del diritto romano, dopo i più antichi mores (consuetudini o costumi) e la lex regia, non scritti. « [...] mi pare che il solo libro delle XII tavole superi per autorità ed utilità le biblioteche di tutti i filosofi » (Marco Tullio Cicerone, De Oratore, I - 44, 195). Le fonti antiche, per giustificare questa innovazione, accennano a contatti con Ermodoro di Efeso, discendente del filosofo Eraclito e in effetti proprio nel VI-V secolo a.C., il mondo greco conobbe la legislazione scritta. Il tribuno della plebe Gaio Terenzilio Arsa aveva proposto, nel 462 a.C., la nomina di una commissione composta da appositi magistrati con l'incarico di redigere un codice di leggi scritte per sopperire all'oralità delle consuetudini (i mores) allora in vigore. Il Senato, dopo un'iniziale opposizione (la proposta fu riformulata l'anno seguente dai cinque tribuni della plebe), votò nel 454 a.C. l'invio di una commissione di tre membri nominati dai concilia plebis in Grecia, per studiare le leggi di Atene e delle altre città. Tito Livio ci fornisce i nomi dei tre componenti la commissione: Spurio Postumio Albo Regillense, Aulo Manlio Vulsone e Servio Sulpicio Camerino Cornuto. Nel 451 a.C. fu istituita una commissione di decemviri legibus scribundis che rimpiazzò le magistrature ordinarie, sia patrizie che plebee, sospese in quell'anno. I componenti della commissione furono scelti tra gli ex-magistrati patrizi. Lo stesso Tito Livio ce ne fornisce i nomi: Appio Claudio Crasso, console; Tito Genucio Augurino, console; Tito Veturio Crasso Cicurino; Gaio Giulio Iullo; Aulo Manlio Vulsone; Servio Sulpicio Camerino Cornuto; Publio Sestio Capitone; Publio Curiazio Fisto Trigemino; Tito Romilio Roco Vaticano; Spurio Postumio Albo Regillense. Seguendo il testo liviano furono nominati decemviri i tre della commissione inviata ad Atene, in qualità di "esperti" e "gli altri furono eletti per far numero" (supplevere ceteri numerum). Le Dodici Tavole (non sappiamo se di legno di quercia, d'avorio o di bronzo) vennero affisse nel foro, dove rimasero fino al saccheggio ed all'incendio di Roma del 390 a.C. da parte dei Celti di Brenno. Cicerone narra che ancora ai suoi tempi (nel I secolo a.C.) il testo delle Tavole veniva imparato a memoria dai bambini come una sorta di poema d'obbligo (ut carmen necessarium) e Livio le definisce come “fonte di tutto il diritto pubblico e privato (fons omnis publici privatique iuris)”. Il linguaggio delle tavole è ancora un linguaggio arcaico ed ellittico. Alcuni studiosi suppongono che le norme siano state scritte in metrica, per facilitarne la memorizzazione. Secondo lo storico Ettore Pais, i redattori non introdussero grandi novità ma si sarebbero limitati a redigere per iscritto gli antichi mores. Per il testo delle Tavole vedi QUI.
Nel 474 a.C. - La flotta riunita delle città-stato costiere dell'Etruria meridionale, Cere e Tarquinia, naviga verso sud-est lungo la costa laziale con l'obiettivo di attaccare e conquistare la colonia greca di Cuma. Dopo la prima battaglia di Cuma del 525 a.C., i rapporti fra Etruschi e Greci erano diventati ancora più conflittuali dopo la battaglia di Aricia del 505 - 504 a.C., quando la sconfitta degli Etruschi da parte di un'alleanza Greco-Latina aveva determinato la fine del commercio via terra tra l’Etruria e la Campania attraverso il Lazio, interrotto inizialmente dai Latini dopo la caduta della monarchia e della dinastia etrusca a Roma. Per questo motivo la via marittima diventava sempre più strategica per gli Etruschi che vedevano proprio nella città di Cuma, con il suo porto ben organizzato, una seria minaccia per la loro navigazione. L’attacco etrusco alla città greca prevedeva un assalto combinato da terra e dal mare. Ma i Cumani vennero a conoscenza in anticipo della strategia etrusca e chiesero aiuto a Ierone I (o Gerone), tiranno di Siracusa, che non esitò a inviare in soccorso la sua intera flotta. Proprio quando gli Etruschi stavano iniziando l’operazione di accerchiamento da terra e dal mare spuntò, inattesa, la flotta da guerra di Siracusa, composta da moderne triere, che gettò nello scompiglio le navi etrusche che furono costrette a invertire la rotta e a dirigersi contro il nemico. Lo scontro probabilmente avvenne in mare aperto presso il vicino capo Miseno dove, ai piedi della scogliera alta 160 metri a picco sul mare, si accese una sanguinosa battaglia con un corpo a corpo tra navi che penalizzava fortemente i legni etruschi, più agili ma meno potenti e veloci delle triere greche. I Siracusani affondarono e catturarono numerose navi, costringendo alla fuga le poche superstiti. L’esercito di terra, intimorito e scoraggiato, tolse l’assedio a Cuma e tornò in patria. Ierone lasciò un presidio sull'isola di Pitecusa (Ischia). Con la seconda battaglia di Cuma e la disfatta degli Etruschi, fu ristabilito il controllo greco della costa e si indebolì la presenza degli Etruschi in Campania.
Nel 470 a.C. - Ad opera dei Cumani, è fondata, ad oriente del primitivo insediamento di Partenope, la "città nuova", Neapolis, che vide un rapido sviluppo favorito dal declino del potere siracusano e da uno stretto legame con Atene. Partenope assumerà nel tempo il nome di Palaepolis, "città vecchia". Nel 421 a. C. le popolazioni italiche dell'entroterra conquisteranno sia Capua che Cuma, lasciando invece indenne Neapolis, che comunque risentirà fortemente della loro influenza.
Nel 462/461 a.C. - Ad Atene,
Efialte e Pericle limitano definitivamente i
poteri dell'Areopago, che passa a occuparsi solamente dei reati
relativi al sacrilegio e all'omicidio volontario. L'organismo
riacquistò importanza col declino della democrazia e il sorgere
della civiltà ellenistica.
Nel 453 a.C. - La realizzazione
della fortificazione di Genova, sembra rispecchiare una pressante
esigenza di difesa, forse in relazione alla situazione di insicurezza
determinata dalle incursioni dei
greci Siracusani nell’alto
Tirreno nel 453 a.C. contro
l’isola d’Elba e
la Corsica.
Le colonne del tempio di Saturno, nel Foro di Roma. |
Carta geografica degli insediamenti
europei dei Celti dopo Golasecca:
Hallstatt, La Tène, e successive
espansioni.
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