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Aquila bicipite o a due teste, che
simboleggiavano le due parti,
Occidente e Oriente dell'impero,
emblema dell'impero romano adottato
da Costantino il Grande. Da: https:/
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Nel 326 -
Iniziano i lavori per la
costruzione della nuova capitale Nova Roma (
Nuova Roma) sul sito dell'antica città di Bisanzio, fornendola di un senato e di uffici pubblici simili a quelli di Roma. Il luogo venne scelto come capitale nel 324 per le sue qualità difensive e per la vicinanza ai minacciati confini orientali e danubiani. Inoltre, particolare non secondario, consentiva a Costantino di sottrarsi all'influenza invadente, arrogante ed irritante, degli aristocratici presenti nel senato romano. La città venne inaugurata nel 330 e prese presto il nome di
Costantinopoli. Rispetto alla vecchia città, la nuova era quattro volte più vasta: dove c'era un'antica porta Costantino pose un foro circolare, inoltre spostò le sue mura più ad occidente di 15 stadi. La città (oggi Istanbul, nome che appare ufficialmente dal 1930 e che deriva dal greco “
isten polis”, cioè "quella è la città") resterà poi fino al 1453 la capitale dell'Impero romano d'Oriente, chiamato dai latini impero bizantino.
L'aquila bicipite è, in araldica, l'aquila con due teste separate fin dal collo e rivolte una verso destra ed una verso sinistra. Generalmente la si pone nel capo d'oro, detto capo dell'Impero. Infatti l'aquila bicipite identifica l'unione di due imperi.
L'aquila bicipite fu adottata come stemma imperiale per la prima volta dall'imperatore romano Costantino I, detto il Grande, e rimase poi come stemma nell'Impero romano d'oriente fino all'ultima dinastia di imperatori bizantini: quella dei Paleologi. Oggi, la Chiesa ortodossa greca usa l'aquila bicipite come eredità dei bizantini. Lo stesso stemma fu poi usato dagli Arsacidi, re d'Armenia, e più avanti dagli Asburgo, imperatori d'Austria, e dai Romanov, zar di tutte le Russie. Anche i re di Serbia, i principi di Montenegro, e l'eroe albanese della resistenza contro i turchi ottomani, Giorgio Castriota Scanderbeg, adottò l'aquila bicipite come emblema. L'aquila bicipite fu adottata anche in Oriente, per il regno di Mysore nell'India. Secondo alcuni autori
una testa rappresenta l'
Occidente e l'altra l'
Oriente, in particolare le due metà dell'Impero bizantino, una in Europa e una in Asia.
- Il 326 è stato caratterizzato da una serie di uccisioni. Dopo quella del suo antico alleato e rivale Licinio, Costantino fa uccidere a Pola il suo figlio primogenito, Crispo, la cui madre era stata Minervina, la prima moglie di Costantino. Secondo alcune fonti, Fausta, sorella di Massenzio e moglie di Costantino, avrebbe accusato il figliastro Crispo di averla voluta sedurre o forse voleva assicurarsi l'eliminazione dei rivali dei propri figli come successori di Costantino. Poco dopo Costantino, convintosi dell'innocenza del figlio, l'avrebbe fatta morire affogandola in un bagno portato a una temperatura più alta del normale. Secondo una diversa versione la sua morte venne invece causata dal sospetto di adulterio fra i due. Fausta subì la damnatio memoriae, una locuzione che significa letteralmente "condanna della memoria", che nel diritto romano indicava una pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una persona, come se non fosse mai esistita. Da Fausta, Costantino aveva avuto tre figli, Costantino II, Costanzo II e Costante I, tutti succeduti al padre e due figlie, Costantina ed Elena. Nello stesso periodo venne ucciso inoltre Liciniano, figlio della sorella di Costantino, Costanza, e di Licinio.
- Fausta Massima Flavia (Roma, 289 o 290 - Roma, 326), da Costantino ebbe tre figli, Costantino II, Costanzo II e Costante I, tutti succeduti al padre e due figlie, Costantina ed Elena. Nata e cresciuta a Roma, era la figlia più giovane di Massimiano ed Eutropia. Nel marzo 307 sposò Costantino I, probabilmente a Treviri: il marito era più vecchio di lei di almeno quindici anni. Voluto come legame tra Costantino e il tetrarca, per rafforzarne l'alleanza, il matrimonio di Fausta fu messo alla prova da due eventi tragici, avvenuti a seguito dei contrasti di Costantino con il padre e il fratello di Fausta. Nel 310, fu Fausta a svelare il complotto di Massimiano contro Costantino, che farà uccidere il suocero e nel 312, invece, all'indomani della vittoriosa Battaglia di Ponte Milvio, Costantino fece mettere la testa del cognato Massenzio su di una lancia e la fece girare per la città. Dopo quasi dieci anni di matrimonio senza figli, Fausta diede a Costantino tre maschi e due femmine. Come moglie di un imperatore, Fausta ricevette il titolo di nobilissima femina e dopo la vittoria di Costantino su Licinio ricevette anche il titolo di augusta (324 o 325). Nel 326 secondo alcune fonti avrebbe accusato il figliastro Crispo, figlio della prima moglie di Costantino, Minervina, di averla voluta sedurre e lo fece mettere a morte. Poco dopo Costantino, convintosi dell'innocenza del figlio, l'avrebbe fatta morire affogandola in un bagno portato a una temperatura più alta del normale. Secondo una diversa versione la sua morte venne invece causata dal sospetto di adulterio. Fausta subì la damnatio memoriae, una locuzione che significa letteralmente "condanna della memoria", che nel diritto romano indicava una pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una persona, come se non fosse mai esistita.
Nel 330 - "
Nuova Roma", chiamata poi, col tempo,
Costantinopoli (che significa città di Costantino), è la
capitale dell'Impero Romano, e il suo vescovo inizia a pretendere prerogative primaziali.
Costantino, adoratore del "Sole Invincibile", pare che si sia convertito al cristianesimo solo sul letto di morte, per potere perpetrare tutti quelli che dai cristiani sono visti come "peccati mortali", fra cui l'omicidio del co-imperatore Licinio, i Fausta, la sua seconda moglie, del suo figlio primogenito Crespo ecc., anche se Costantino è considerato santo e "simile agli apostoli" dalla Chiesa ortodossa, da alcune Chiese orientali antiche e in alcune località oggi romano-cattoliche di rito latino, come Sedilo in Sardegna.
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Pianta dell'antica Costantinopoli.
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La
sua grande
opera sarà quella di
trasferire nella religione cristiana la continuità dell'impero romano: i vescovi, capi delle comunità cristiane, inizialmente non pagano tasse all'impero, per poi incassare le decime, il 10% sui redditi delle loro curie (termine che i Latini usavano per indicare i loro raggruppamenti). Inoltre i vescovi ebbero la facoltà di giudicare nei processi di diritto ordinario. In alternativa all'opinione tradizionale, secondo cui
Costantino si sarebbe convertito al cristianesimo poco prima della battaglia di Ponte Milvio, è stata, invece,
asserita una sua costante adesione al culto solare, mettendo in dubbio perfino il battesimo in punto di morte. Secondo altri, poi,
la religione sarebbe stata per Costantino un puro e semplice strumento per regnare. Lo storico svizzero Jacob Burckhardt, per esempio, afferma: «Nel caso di un uomo geniale, al quale l'ambizione e la sete di dominio non concedono un'ora di tregua, non si può parlare di cristianesimo o paganesimo, di religiosità o irreligiosità consapevoli: un uomo simile è essenzialmente
areligioso, e lo sarebbe anche se egli immaginasse di far parte integrante di una comunità religiosa». Secondo altri ancora poi, occorre distinguere fra convinzioni private e comportamento pubblico, vincolato dalla necessità di conservare il consenso delle proprie truppe (se non dei propri sudditi), qualunque ne fosse l'orientamento religioso. Da questo punto di vista è utile distinguere fra il comportamento di Costantino antecedente e quello successivo alla battaglia di Crisopoli, grazie alla quale conseguì il dominio assoluto sull'impero. Che Costantino si sia progressivamente avvicinato al cristianesimo sono comunque d'accordo molti conoscitori di quell'epoca. Tra costoro il grande archeologo e storico Paul Veyne, di estrazione marxista, sostiene con sicurezza l'autenticità della conversione di Costantino, ricordando, con J.B. Bury, che la sua «rivoluzione [...] fu forse l'atto più audace mai compiuto da un autocrate in ispregio alla grande maggioranza dei suoi sudditi». E ciò in considerazione del fatto che
la popolazione cristiana era circa il 10% del totale nel futuro Impero Romano d'Occidente. È comunque assolutamente fuori di dubbio la sincerità costantiniana nella
ricerca dell'unità e concordia della Chiesa, la cui necessità derivava da un
preciso disegno politico che considerava l'
unità del mondo cristiano condizione indispensabile alla
stabilità della potenza imperiale. Costantino infatti interpretava in senso cristiano l'antico tema, caro alla Roma imperale pagana, della
pax deorum, nel senso che
la forza dell'impero non
derivava semplicemente dalle azioni di un principe illuminato, da una saggia amministrazione e dall'efficienza di un ben strutturato e disciplinato esercito, ma direttamente
dalla benevolenza di Dio. Mentre però, nella religione romana, vi era un diretto rapporto tra il potere imperiale e le divinità, l'imperatore cristiano
non poteva ignorare la Chiesa, un'istituzione che, tramite i suoi vescovi, era l'unica
mediatrice della fonte divina del potere, e Costantino non poteva fare a meno di essere coinvolto nelle lotte teologiche della Chiesa. Su una tale base ideologica, questa ricerca dell'unità e della concordia dei cristiani comportava quindi anche interventi molto duri nei confronti di coloro che lo stesso imperatore considerava eretici, che erano trattati come, se non più duramente, dei pagani. I conflitti teologici si trovarono dunque ad avere una ricaduta politica, mentre d'altra parte le sorti interne dell'Impero erano sempre più dipendenti dai risultati delle lotte teologiche;
gli stessi vescovi, infatti,
sollecitavano continuamente l'intervento dell'imperatore per la corretta applicazione delle decisioni dei concili, per la convocazione dei sinodi e anche per la definizione di controversie teologiche: ogni successo di una fazione comportava la deposizione e l'esilio dei capi della fazione opposta, con i
metodi tipici della lotta politica.
Nel 331 - Eusebio di Cesarea, nel libro “Sulla vita di Costantino”, afferma che nell’anno 331 d.C.
Costantino gli
chiese personalmente
50 copie della Bibbia cristiana per le chiese che stava facendo costruire a Costantinopoli, come dimostrano i manoscritti biblici risalenti proprio a quel periodo: il codice Sinaitico e il codice Vaticano. Questo fu uno dei fattori decisivi nell'intera storia del cristianesimo, e offrì un'occasione senza precedenti per l'affermazione dell'ortodossia cristiana, poiché nel 303, un quarto di secolo prima, l'imperatore pagano
Diocleziano aveva ordinato di distruggere tutti gli scritti cristiani che era possibile trovare. Quindi i documenti cristiani, soprattutto a Roma, erano quasi spariti. Quando Costantino commissionò nuove versioni di questi documenti, permise ai custodi dell'ortodossia di revisionare, modificare e riscrivere il materiale come ritenevano più opportuno, secondo i loro obiettivi, più legati alla gestione del potere che ad una gestione dell'aldilà. Fu a questo punto che vennero apportate probabilmente quasi tutte le alterazioni decisive al Nuovo Testamento, e Gesù assunse la posizione eccezionale che ha avuto da allora. Non si deve sottovalutare l'importanza della commissione costantiniana: delle cinquemila versioni manoscritte più antiche del Nuovo Testamento, nessuna è anteriore al IV secolo. Il Nuovo Testamento nella sua forma attuale, è sostanzialmente il prodotto dei revisori e degli scrittori del IV secolo: custodi dell'ortodossia, con precisi interessi da difendere. C'è la possibilità, tuttavia, che ne vengano scoperti altri. Nel 1976 un cospicuo numero di antichi manoscritti fu scoperto nel monastero di Santa Caterina sul monte Sinai. Il ritrovamento venne tenuto segreto per circa due anni, prima che nel 1978 ne avesse notizia un giornale tedesco. Vi sono migliaia di frammenti, alcuni dei quali anteriori al 300 d.C., incluse otto pagine mancanti nel
Codex Sinaiticus custodito nel British Museum. I monaci che conservano il materiale hanno accordato accesso soltanto a uno o due studiosi greci. Cfr. « International Herald Tribune » del 27 aprile 1978, oltre, naturalmente alle scoperte archeologiche delle grotte del Mar Morto, i Manoscritti di Qumran
e il ritrovamento degli scritti di
Nag Hammâdi.
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Codice sinaitico.
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Il Codice Sinaitico o Codex Sinaiticus (Londra, British Museum, Libr., Add. 43725) è un manoscritto in greco onciale (cioè maiuscolo) datato tra il 330 e il 350 d.C. Originariamente conteneva l'intero Antico Testamento nella versione greca della Settanta, l'intero Nuovo Testamento, e altri scritti cristiani (Lettera di Barnaba, Pastore di Erma). L'onciale è un'antica scrittura maiuscola usata dal III all'VIII secolo nei manoscritti dagli amanuensi latini e bizantini; in onciale sono scritti anche altri due codici biblici tra i più antichi: il Codex Vaticanus (IV secolo) ed il Codex Alexandrinus (V secolo).
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Una pagina del codice sinaitico.
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Nella sua forma attuale, il codice consta di 346½ fogli di pergamena, scritti su quattro colonne; di questi, 199 appartengono all'Antico Testamento, 147½ al Nuovo Testamento più la Lettera di Barnaba e il Pastore di Erma, due antichi scritti cristiani, presenti però in forma mutila. Circa l'Antico Testamento, il manoscritto ha subito varie mutilazioni, specialmente nei libri da Genesi ad Esdra. Ciò che rimane è costituito da frammenti di Genesi 23-24; Numeri 5-7; 1 Cronache 9, 27-19,17; Esdra 9,9-10,44; Lamentazioni 1,1-2,20. Integri sono invece i libri di Nehemia, Ester, Gioele, Abdia, Giona, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia, Isaia, Geremia. Il manoscritto contiene anche i testi deuterocanonici di Tobia, Giuditta, 1 Maccabei e l'apocrifo 4 Maccabei (mentre il codice non ha mai contenuto 2 e 3 Maccabei). L'ordine dei libri del Nuovo Testamento è vangeli, lettere paoline, Atti, lettere cattoliche, Apocalisse. Il testo del "Codice Sinaitico" in generale assomiglia molto a quello del "Codex Vaticanus". Nell'Antico Testamento il testo del Sinaitico è più simile a quello del "Codex Alexandrinus". Le origini del "Codex Sinaiticus" sono poco conosciute, si è ipotizzato che sia stato scritto in Egitto. Qualcuno lo ha associato alle 50 copie della Bibbia commissionate dall'imperatore romano Costantino I. Uno studio paleografico compiuto sul testo nel 1.938 al British Museum ha mostrato che il testo è stato oggetto di molte correzioni.
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Correzioni aggiunte nel
codice
sinaitico.
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Le prime risalgono a un periodo immediatamente successivo alla sua stesura, nel IV secolo. Altre correzioni risalgono al VI-VII secolo, realizzate probabilmente a Cesarea, in Palestina. Secondo una nota presente alla fine dei libri di Esdra ed Ester, tali alterazioni sono state fatte sulla base di un altro antico manoscritto il quale fu corretto dalla mano del santo martire Panfilo (martirizzato nel 309). Il manoscritto manca della Pericope dell'adultera (Vangelo secondo Giovanni 8,1-11) e di Matteo 16,2b-3. Originariamente mancava anche dei versetti relativi all'agonia di Gesù al Getsemani (Vangelo secondo Luca 22:43-44), che fu poi successivamente introdotta da una seconda mano e
nel
vangelo di Marco non vi è traccia della
resurrezione del Cristo. Il "Codex Sinaiticus" fu ritrovato da Konstantin von Tischendorf presso il Monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai tra 1844 e 1859.
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Monastero di S. Caterina, nel Sinai.
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Il Monastero di Santa Caterina è un monastero del VI secolo situato in Egitto, nella regione del Sinai, al centro di una valle desertica. Dedicato a santa Caterina d'Alessandria, è il più antico monastero cristiano ancora esistente e sorge alle pendici del monte Horeb dove, secondo la tradizione, Mosè avrebbe parlato con Dio nell'episodio biblico del roveto ardente (3,2-6) e dove egli ricevette i comandamenti. Nel 2002 è stato dichiarato Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO per la sua architettura bizantina, la sua preziosa collezione di icone e per la grande raccolta di antichissimi manoscritti che costituiscono la più vasta e meglio conservata biblioteca di testi antichi bizantini dopo quella della Città del Vaticano. Inoltre, il monastero è considerato un luogo sacro dalle tre maggiori religioni monoteiste: il Cristianesimo, l'Ebraismo e l'Islam.
Nel 332 - I goti
Tervingi (poi chiamati Visigoti), stanziati
tra la
Moldavia e la
Valacchia,
sfondano il
limes ma sono sconfitti dall'imperatore Costantino che tuttavia, invece di farli rientrare nelle loro basi, li accoglie all'
interno dell'
Impero romano a seguito di un accordo che li avrebbe impegnati, in cambio del territorio ottenuto, a rapporti di collaborazione basati sui sussidi (o tributi) offerti dai romani in cambio di contingenti di
mercenari,
difesa dei confini, stabilità nella regione e scambi commerciali. Da allora rimarranno in pace fino al 365 quando, condotti da Atanarico,
entreranno in conflitto con l'Impero Romano appoggiando l'usurpazione
di Procopio contro l'imperatore Valente, pianificando una rivolta.
Nel 335 - I
Vandali, che abitavano la regione compresa tra il fiume Marisus ed il Danubio (forse poco a nord-ovest del Banato), sotto la guida di Visimar,
si
scontrarono con i
Goti di Geberico e furono
sconfitti. I superstiti chiesero a Costantino I di essere ammessi nei territori dell'Impero romano, ottenendone il permesso e
stabilendosi nella
Pannonia, dove rimasero tranquilli per almeno quarant'anni "obbedendo alle leggi dell'Impero come gli altri abitanti della regione". Furono così inglobati come
foederati dell'Impero, mantenendo la loro mansione di cuscinetto fra l'impero e le altre tribù barbare della pianura Sarmatica.
Nel 336
- In occasione della celebrazione dei tricennalia di
Costantino, Costanzo II
(il secondo dei figli sopravvissuti di Costantino, di cui il maggiore era Costantino II, essendo stato giustiziato il primogenito Crispo) sposa a Costantinopoli, prima
delle sue tre mogli, la figlia di
Giulio Costanzo (fratellastro di Costantino I) e di Galla, da cui non avrà figli.
- Nello specifico, la stirpe Costantiniana derivava da Costanzo Cloro (Flavio
Valerio Costanzo, meglio noto come Costanzo Cloro o Costanzo I;
Dardania, 31 marzo 250 circa - Eboracum, 25 luglio 306), imperatore
d'Occidente (nel 305-306) nato in Dardania da una famiglia di Illiri romanizzati. Secondo l'"Historia Augusta", Costanzo era figlio
di Flavio Tito Eutropio, un nobile proveniente dalla Dardania
settentrionale, nella provincia della Mesia Superiore, e di Flavia
Claudia Crispina, figlia di Bruzia Crispina e abiatica (nipote di
nonno) dei due fratelli e imperatori Claudio il Gotico e Quintillo.
Molti storici moderni, tuttavia, dubitano che egli potesse essere
realmente imparentato ai due augusti, e sospettano che tali
genealogie nobiliari possano essere un'invenzione di suo figlio
Costantino, e che la sua famiglia potesse essere di umili origini,
ipotesi peraltro avvalorata dal fatto che nell'esercito aveva
incominciato la propria carriera dai gradi inferiori. Nell'esercito romano aveva fatto
carriera, ricoprendo le cariche di protector sotto gli
imperatori Aureliano e Probo, tribunus e praeses
Dalmatiarum (governatore della Dalmazia) sotto l'imperatore Caro.
Ebbe un legame con Elena, che gli diede un figlio, Costantino, nato
all'inizio degli anni 270. Nel 288 era prefetto del pretorio
dell'imperatore Massimiano. All'inizio di quell'anno, Massimiano
aveva incaricato Costanzo di condurre una campagna contro gli alleati
Franchi di Carausio – un usurpatore che deteneva il potere sulla
Britannia romana – che controllavano gli estuari del Reno,
impedendo attacchi via mare contro Carausio. Costanzo si mosse verso
nord attraverso il loro territorio, portando distruzione e
diffondendo panico finché raggiunto il Mare del Nord, i Franchi
chiesero la pace e con l'accordo conseguente, Massimiano rimise al
potere il deposto re Franco Gennobaude.
Costanzo Cloro ebbe sette figli:
1) Costantino I da Elena (Flavia Giulia
Elena, Drepanum, 248 circa - Treviri, 329), concubina (o forse
moglie) dell'imperatore Costanzo Cloro e madre dell'imperatore
Costantino I. I cristiani la venerano come sant'Elena Imperatrice. I
dati biografici di questo personaggio sono piuttosto scarsi. Sembra
fosse stata una greca nativa di Drepanum, in Bitinia, nel golfo di
Nicomedia, nell'odierna Turchia; suo figlio Costantino rinominò
infatti la città in Helenopolis ("città di Elena") in suo
onore, cosa che ha condotto successive interpretazioni ad indicare
Drepanum come luogo di nascita di Elena. Elena diede alla luce
Costantino nel 274. Nel 293 Costanzo dovette lasciare Elena per
volere di Diocleziano e sposare la figliastra dell'imperatore
Massimiano, Teodora, allo scopo di cementare con un matrimonio
dinastico l'elevazione di Costanzo a cesare di Massimiano all'interno
della tetrarchia. Elena non si risposò, e visse lontano dalle corti
imperiali, sebbene fosse vicina a Costantino, che per lei aveva un
affetto particolare. Costantino fu proclamato imperatore nel 306,
dopo la morte di Costanzo. È probabile che in questo periodo Elena
abbia seguito il figlio. Inizialmente Costanzo pose la sua capitale a
Treviri: qui si trova il palazzo imperiale con un affresco in cui
forse è raffigurata Elena; inoltre esiste una tradizione medioevale
su Elena nella zona intorno all'antica capitale romana.
Successivamente Costantino si stabilì a Roma: qui la presenza di
Elena è legata al fundus Lauretus, nella zona sud-orientale della
città antica, dove sorse il palatium Sessorianum, la chiesa dei
Santi Marcellino e Pietro a lei riconducibile, con l'annesso mausoleo
di Elena in cui fu poi sepolta. Elena godette dell'ascesa al potere
del figlio, che nel 324 la onorò del titolo di augusta; in suo nome
furono coniate pure molte monete, in cui Elena era la
personificazione della Securitas ("sicurezza") dello stato.
Esiste una tradizione medievale leggendaria, legata all'Actus
Sylvestri, che la vuole simpatizzante per gli ebrei o ebrea, ma si
tratta di una versione non condivisa dagli storici moderni. Dopo
l'avvicinamento di Costantino al cristianesimo, anche Elena si
convertì alla religione orientale: secondo Eusebio fu Costantino
stesso a convertirla. È possibile che fosse vicina alle
posizioni dell'arianesimo. Nel 327-328 Elena partì per un viaggio
nelle province orientali dell'impero. Questo viaggio è descritto da
Eusebio, il quale ne fa un pellegrinaggio in Terra Santa sui luoghi
della passione di Gesù, con atti di pietà cristiana da parte
dell'augusta e costruzione di chiese. È però possibile che vi fosse
anche un significato politico, assieme a quello religioso, in quanto
la conversione di Costantino al cristianesimo, le sue riforme
religiose anti-pagane, la sostituzione di ufficiali pagani con altri
cristiani, nonché, probabilmente, la morte del figlio Crispo e della
moglie Fausta ordinate dall'imperatore, gli avevano fatto perdere il
favore delle popolazioni orientali. Nel tardo 328 o nel 329 Elena
morì, con Costantino al suo fianco, dunque verosimilmente a
Treviri. Fu sepolta nel mausoleo di Elena, collegato alla chiesa dei
Santi Marcellino e Pietro, al di fuori delle mura di Roma; il suo
sarcofago in porfido è conservato ai Musei Vaticani e, per le
tematiche militari che vi sono raffigurate, si ritiene fosse
inizialmente stato preparato per il figlio Costantino.
Nel 293 Costanzo dovette lasciare Elena per volere di Diocleziano e sposare la figliastra dell'imperatore Massimiano, Teodora, allo scopo di cementare con un matrimonio dinastico l'elevazione di Costanzo a cesare di Massimiano all'interno della tetrarchia.
Da Flavia Massimiana Teodora,
figliastra dell'imperatore romano Massimiano, in quanto figlia di sua
moglie Eutropia da un precedente matrimonio con Afranio Annibaliano,
console nel 292 e prefetto del pretorio sotto Massimiano, Costanzo Cloro ebbe altri sei figli:
2) Flavio Dalmazio, noto anche come Dalmazio il censore ( ... - 337), che passò la propria giovinezza a Tolosa ed è probabile che anche i suoi due figli, Dalmazio e Annibaliano, siano nati nella città gallica. A metà degli anni 320, Dalmazio tornò a Costantinopoli, alla corte di Costantino. Nel 333 venne nominato console e censore. Ad Antiochia Flavio ebbe la respononsabilità della sicurezza dei confini orientali dell'impero. Durante questo periodo esaminò il caso di Atanasio di Alessandria, oppositore dell'arianesimo, accusato dell'omicidio di Arsenio. Nel 334 Dalmazio soppresse la rivolta di Calocaerus, che si era proclamato imperatore a Cipro, mentre l'anno seguente mandò alcuni soldati al concilio di Tiro per salvare la vita di Atanasio. Dopo la morte di Costantino, la famiglia imperiale fu vittima di una purga che colpì anche Dalmazio e i suoi figli, che vennero giustiziati nella tarda estate del 337.
3) Giulio Costanzo ( ... –
settembre 337) si sposò due
volte ed ebbe Costanzo Gallo (nato
intorno al 325, divenne cesare d'Oriente dal 351 ma a causa del suo governo giudicato
fallimentare e odioso, l'imperatore Costanzo II, suo cugino e
cognato, ne ordinerà l'arresto e l'esecuzione) e una figlia, che sposerà il
cugino Costanzo II., da Galla (fl. 325 circa, sorella del
console Nerazio Cereale e del prefetto del pretorio Vulcacio Rufino)
e Giuliano (Flavio Claudio Giuliano;
6 novembre 331- Maranga, 26 giugno 363, futuro imperatore e
filosofo romano, l'ultimo sovrano dichiaratamente pagano) da
Basilina, oltre ad un altro figlio, più grande di Gallo e Giuliano,
morto assieme al padre nelle purghe del luglio del 337. Giulio
Costanzo era vissuto per qualche tempo in esilio a Tolosa e a Corinto
poi, nel 330, era andato a vivere a Costantinopoli, dove Galla era morta.
4) Flavio Annibaliano (... – settembre 337),
insieme al fratello Dalmazio fu educato a Tolosa dal retore Exuperio.
Nel 335, Annibaliano sposò la figlia di Costantino, Costantina, e fu
elevato al rango di nobilissimus. In occasione della
preparazione della campagna militare di Costantino contro i Sasanidi
(337), Annibaliano fu nominato Rex Regum et Ponticarum Gentium, "Re
dei Re e delle Genti Pontiche". Tale titolo fa supporre che
Costantino intendesse porre Annibaliano sul trono del Ponto, dopo la
sconfitta dei Sasanidi. La campagna non ebbe luogo, in quanto
Costantino morì nel maggio del 337.
Annibaliano fu ucciso nella purga che colpì i
membri maschili della famiglia imperiale e che tolse di mezzo molti
pretendenti al trono.
5) Flavia Giulia Costanza (dopo il 293 -
330 circa). Nel 311 o 312, l'imperatore Costantino I, fratellastro di
Costanza, la promise in moglie al proprio collega, Licinio: il
matrimonio si celebrò nel febbraio 313, in occasione dell'incontro
di Costantino e Licinio a Milano. Dall'unione nacque un figlio,
Valerio Liciniano Licinio, nel 315. Quando Licinio e Costantino si
dichiararono guerra nel 316, Costanza si schierò al fianco del
marito, come fece pure in occasione della guerra del 324. Dopo la
sconfitta di Licinio, Costanza intercesse presso Costantino in favore
di Licinio. Costantino risparmiò la vita di Licinio, obbligandolo a
risiedere a Tessalonica da cittadino privato; l'anno seguente, però,
ordinò che venisse ucciso. Un secondo colpo per Costanza fu la
morte, per ordine di Costantino, di suo figlio Liciniano.
6) Anastasia (fl. 314; ... – ...)
rientrò anch'essa nei giochi politici del fratellastro Costantino I.
Sposò Bassiano, un matrimonio con scopi dinastici visto che
Costantino elevò nel 314 Bassiano al rango di cesare per l'Italia e inviò al suo
collega orientale Licinio, il prefetto del pretorio Flavio Costanzo allo scopo di ottenere
il riconoscimento della nomina del cognato. Licinio riuscì a
convincere Bassiano a ribellarsi contro Costantino, consigliato dal
proprio fratello Senecio;
Costantino venne a sapere del complotto e mise a morte Bassiano.
Quando però chiese a Licinio di consegnargli Senecio e ne ricevette un
rifiuto, mise fine alla pace e attaccò il collega.
7) Eutropia (... - 350) sposò Virio
Nepoziano, console per il 336, ed ebbero un figlio di nome Nepoziano.
Madre e figlio sopravvissero alla purga della dinastia costantiniana
che insanguinò la famiglia imperiale nel 337, alla morte di
Costantino; è possibile che in quell'occasionesia stato ucciso Virio. Quando Magnenzio si ribellò nel 350, uccidendo l'imperatore
Costante I (figlio di Costantino), Nepoziano conquistò Roma per 28
giorni, prima di essere sconfitto e ucciso dal comandante di
Magnenzio, Marcellino: sembra che anche Eutropia sia stata mandata a
morte in tale occasione.
- Dagli inizi del IV secolo d.C.
gli eunuchi compaiono nell'amministrazione dell'Impero,
(in seguitospecialmente in quello d'Oriente),
con la funzione del praepositus sacri cubiculi (custode della
sacra camera da letto) che oltre ai compiti di valletto-maggiordomo
lavora come funzionario di alto grado civile, fiscale
e militare. Si preferisce servirsi di questi particolari
personaggi nella convinzione che la loro menomazione li rendesse
docili e ben disposti all'obbedienza privi com'erano di quella "vis"
naturale che appartiene agli uomini virili. L'eunuco poi non aveva
problema familiari a cui attendere e poteva dedicarsi esclusivamente
ai suoi compiti. La presenza di un praepositus con alti
incarichi è attestata durante l'impero di Costantino (274-337
d.C.) che si avvale dell'eunuco Eusebio,
passato poi a servire anche il figlio dell'imperatore Costanzo II
(317-361 d.C.). Nelle corti degli imperatori d'Oriente vennero create
delle vere e proprie gerarchie di cubicularii: nel
grado più basso della scala gerarchica erano i comites sacrae
vestis, addetti al vestiario imperiale, quindi vi erano i comites
domorum che curavano gli introiti della sacra camera. Lo
spatharius comandava la guardia del corpo mentre il
sacellarius curava le finanze private dell'imperatore.
Entrambi questi funzionari erano sottoposti al castrensis che
aveva alle sue dipendenze contabili (tabularii) e segretari. Superiore al castrensis era il
primicerius sacri cubiculi, l’eunuco anziano a sua volta
subordinato al praepositus sacri cubiculi, posto al culmine
della gerarchia, con il compito di vestire l'imperatore e di
porgergli tutti gli oggetti a lui destinati. Il praepositus
quindi faceva da intermediario tra l'imperatore e il mondo esterno
decidendo anche chi poteva essere ricevuto in udienza. Era di solito
nominato ambasciatore rappresentante con pieni poteri della volontà
imperiale, interveniva nelle nomine dei più alti funzionari
dell'Impero e nella confisca delle terre dei nemici del sovrano. In breve i cubicularii ebbero
modo di arricchirsi e di tessere una rete di connivenze politiche che
permise loro di essere arbitri del governo dell'Impero.
Le loro imprese sono rimaste nella memoria di diversi storici laici e
religiosi del IV-V sec. d.C. come Socrate Scolastico, Ammiano
Marcellino, Filostorgio, Palladio di Galazia, Sozomeno, Atanasio di
Alessandria che hanno tramandato come fosse mal riposta la fiducia
nella docile fedeltà degli eunuchi a confronto della reale cattiva
fama dei castrati come espressione di corruzione, avidità, arrivismo
e amoralità: "La fabbrica degli intrighi di corte batteva
giorno e notte sulla stessa incudine secondo la volontà degli
eunuchi, che con la loro esile voce sempre infantile e
accattivante, con una pesante odiosità, rovinavano,
sussurrando alle orecchie troppo accoglienti dell'imperatore, la
reputazione anche di un eroe." (Ammiano Marcellino, XVIII
4, 2-4).
Dal 337 -
Costantino muore (pare per malattia) il 22 maggio 337 ad Achyrona, non molto lontano da Nicomedia, mentre preparava da lungo tempo una campagna militare contro i Sasanidi di Persia. L’
Impero Romano vverrà così nuovamente
spartito fino al
350. Costantino, pur volendo apparire continuatore della suddivisione tetrarchica del potere, aveva nominato Cesari, suoi successori, i figli
Costantino II,
Costanzo II e
Costante I, oltre ai due nipoti Dalmazio (
Flavio Giulio
Dalmazio, anche noto come Dalmazio Cesare) e
Annibaliano, figli di Dalmazio il censore, instaurando quindi forzatamente una successione ereditaria ma astenendosi dal nominare un Augusto, inceppando così la legittimità delle nomine ai successori, titolo che a questo punto doveva essere conquistato sul campo per acclamazione delle truppe.
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I Cesari nominati da Costantino, da:
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|
Costantino finì per esser parte
di una
sequenza di
tre dinastie, collegate fra loro da
alleanze matrimoniali, che avrebbe
governato ininterrottamente
(a parte la brevissima eccezione di Gioviano) dal
285, con
Massimiano, fino al
455 nell’Impero d’Occidente, e fino al
457 in quello d’Oriente: un totale di 172 anni, la più
lunga sequenza dinastica della storia romana e una svolta radicale
rispetto ai trenta Augusti e Cesari legittimi, più otto
scissionisti, e ai trentatré usurpatori sorti tra il 235 e il varo
della tetrarchia nel 293: Graziano sposò Costanza, la figlia di
Costanzo II, imparentando così le dinastie dei Costanzi e dei
Valentiniani, come fece anche il matrimonio di Valentiniano I con
Giustina, nipote di Giulio Costanzo e Galla (si veda R.M. Frakes, The
Dynasty, cit., pp. 97-98). La figlia di Valentiniano, Galla, sposò
Teodosio I, costituendo un legame tra la dinastia dei Valentiniani e
quella dei Teodosiani, mentre la loro figlia Galla Placidia fu la
madre di Valentiniano III, assassinato nel 455, e la nonna di
Placidia, che andò sposa a Olibrio, che fu brevemente imperatore nel
472. Il nipote di Teodosio, Teodosio II, morì nel 450; la nipote
Pulcheria sposò Marciano, che morì nel 457.
Costanzo II, nato poco dopo il fratello maggiore Costantino II, impegnato in Mesopotamia settentrionale a supervisionare la costruzione delle fortificazioni frontaliere, si affrettò a tornare a Costantinopoli dove organizzò e presenziò alle cerimonie funebri del padre, rafforzando i suoi diritti come successore e ottenendo il sostegno dell'esercito, componente fondamentale della politica di quei tempi.
- Durante l'estate del 337 si ebbero diversi eccidi, per mano dell'esercito, dei membri maschili della dinastia costantiniana e di altri esponenti di grande rilievo dello stato: solo i tre figli di Costantino e due suoi nipoti bambini (Gallo e Giuliano, figli di Giulio Costanzo, fratellastro di Costantino) furono risparmiati. Le motivazioni dietro questa strage non sono chiare: secondo Eutropio Costanzo II non fu tra i suoi promotori ma non tentò certo di opporvisi e condonò gli assassini; Zosimo invece afferma che Costanzo II fu l'organizzatore dell'eccidio. Nel settembre dello stesso anno i tre cesari rimasti (Dalmazio e Annibaliano, figli di Dalmazio il censore, fratellastro di Costantino, erano stati vittime della purga) si riunirono a Sirmio in Pannonia, dove il 9 settembre furono acclamati imperatori dall'esercito e si spartirono l'Impero: Costanzo II si vide riconosciuta la sovranità sull'Oriente, Costante I sull'Illirico e Costantino II sulla parte più occidentale (Gallie, Hispania e Britannia). La divisione del potere tra i tre fratelli durerà poco.
- Costantino II (Flavius Claudius
Constantinus; Arelate, febbraio 317 - Cervenianum, aprile 340), il
fratello maggiore, mantenne il territorio che aveva governato in
qualità di cesare da Treviri, mentre Costante e Costanzo si
spartirono il territorio di Flavio Dalmazio, ucciso insieme al
fratello Annibaliano. Oltre alla Gallia, alla Britannia,
alla Spagna e a parte dell'Africa, Costantino
ricevette anche la tutela sul fratello diciassettenne Costante I. Nel
338 affrontò con successo gli Alamanni, per cui si attribuì il
titolo di Germanicus maximus. Costantino II si arrogò più
potere di quanto gli era stato affidato, poiché promulgò alcune
leggi per le province africane, che cadevano sotto la giurisdizione
di Costante. Ben presto, insofferente delle ingerenze di Costantino
II, Costante I venne in contrasto con il fratello maggiore per cui
Costantino II, approfittando della lontananza di Costante, che si
trovava a Naissus in Pannonia, mosse contro di lui scendendo in
Italia (nel 340), ma fu ucciso durante una battaglia presso Aquileia e i suoi territori passarono quindi a Costante I che divenne unico
dominatore della parte occidentale dell'impero.
- Flavio Giulio Costante,
meglio conosciuto come Costante I (Flavius Iulius Constans;
320 - Oppidum Helena, 18 gennaio 350), riconosciuto augusto dal
Senato il 9 settembre di quell'anno, aveva potere sulle province di
Italia, Africa, Pannonia, Dacia,
Macedonia e Acaia. Nel 338 Costante, dopo aver
incontrato i fratelli a Viminacium, ottenne una vittoria contro i
Sàrmati e accettò il titolo di Sarmaticus maximus. Nel 340 i territori di Costantino II passarono a Costante I, che divenne unico dominatore della parte occidentale dell'impero e accettò il titolo di Maximus Victor ac Triumphator. Nel 341-342 combatté contro i Franchi
in Gallia, stipulando un trattato vantaggioso. Nel gennaio 343 si
recò nella Britannia romana. L'attraversamento della Manica in pieno
inverno significa che si dovesse intervenire con urgenza, e pare che
Costante abbia rinforzato le fortificazioni frontaliere della
provincia, forse per difendersi dagli attacchi delle tribù ostili
dopo che Costantino II aveva distaccato molte truppe provinciali al
fine di invadere l'Italia. Ad ogni modo, la visita di Costante in
Britannia, che durò fino alla primavera, fu l'ultima
di un imperatore romano nella provincia. Il 18 gennaio 350, in Gallia, l'usurpatore di Costante I, Magnenzio, è elevato imperatore dalle sue truppe.
Flavio Magno Magnenzio
(Samarobriva, Amiens in Gallia 303 - Lugdunum, 10 agosto 353), militare di origine barbarica, con la
sua rivolta spezzò il dominio ininterrotto dei
Costantinidi sulla pars Occidentis dell'impero, riuscendo a
coagulare le forze sociali ostili al governo di Costante. Inizialmente tentò di arrivare a patti
con Costanzo II, fratello di Costante e Augusto in Oriente, ma fu poi
costretto a muovergli guerra. Dopo aver nominato Cesare con la
responsabilità della difesa del confine renano un suo parente,
Decenzio, si mosse nell'Illirico, ma fu ripetutamente sconfitto da
Costanzo, spingendolo infine a suicidarsi. Attento alle istanze dei
territori che ne avevano sostenuto l'usurpazione, Magnenzio spostò
sull'aristocrazia di Roma il carico fiscale che gravava sui
provinciali, inimicandosela. Fu promotore di una politica religiosa
tollerante, nel tentativo di non alienarsi il consenso dei pagani né
quello dei cristiani, ma non riuscì ad ottenere l'appoggio delle
classi dirigenti dell'Italia e dell'Illirico, che rimasero legate
alla dinastia costantiniana e per questo affidò le cariche più
importanti alla stretta cerchia di uomini con cui aveva pianificato
la sua rivolta. Magnenzio era un laetus (pl.
laeti, al singolare laetus, è una parola latina che
nel tardo Impero romano stava ad indicare quei barbari che avevano
ricevuto il permesso di insediarsi sul territorio imperiale,
ricevendo la proprietà delle zone occupate, in cambio dell'impegno a
fornire reclute per l'esercito romano. La parola ha una origine
incerta: secondo l'opinione maggiormente diffusa deriverebbe da una
parola germanica il cui significato sarebbe "servo" o
"colono semi-libero", ma altri studiosi suggeriscono una
origine latina, celtica o iraniana) originario della Gallia nato
attorno al 303, che ricevette un'educazione latina, con cui affinò
le sue innate capacità oratorie. Intrapresa la carriera militare: fu
protector, poi comes rei militaris, e nel 350, al
momento della sua usurpazione, comes delle legioni degli
Herculiani e degli Ioviani, due unità che fungevano da guardia del
corpo dell'imperatore Costante I, distinguendosi per le ottime
doti di comando. È probabile che fosse pagano; molti elementi
sembrano suffragare tale ipotesi: sua madre era definita μάντις
ἀληθής («profetessa affidabile») ed egli stesso venerava
divinità pagane. Revocò inoltre l'editto emanato da Costante I nel 341
che vietava l'esecuzione dei sacrifici notturni. Tuttavia, come
d'altronde si evincerebbe dall'utilizzo della simbologia cristiana nella
sua monetazione, non si può escludere che fosse un cristiano che
cercava di trovare fra i pagani dei sostenitori per la sua rivolta.
Negli ultimi anni del suo regno infatti, Costante finì per alienarsi il
consenso di tutti i gruppi sociali: cercò di ristabilire la
disciplina negli eserciti riuscendo però solo ad attirarsi
l'antipatia dei soldati, aggravò il prelievo fiscale tra i
provinciali, scelse i governatori tra uomini incapaci di ricoprire
tale carica e infine, con la sua ferma adesione al cristianesimo, si
fece nemica l'aristocrazia senatoria di Roma. La sua cattiva nomea fu
poi gonfiata da alcuni comportamenti nell'ambito della sfera privata
ritenuti disdicevoli per l'epoca, come l'abitudine di attorniarsi di
attraenti soldati per soddisfare le sue voglie omosessuali o
il dedicare troppo tempo allo svago della caccia, che gli avrebbe
fatto progressivamente perdere il controllo sulla corte. Questa fu la
situazione storico-politica di cui seppe approfittare Magnenzio,
benché la cospirazione contro Costante si configurò inizialmente
come una congiura di palazzo. Infatti Zosimo narra che Marcellino
(Marcellino è stato un funzionario romano), comes rerum
privatarum di Costante, presso Augustodunum (Autun) organizzò
una festa in occasione del compleanno dei propri figli, alla quale
invitò molti dei funzionari e degli ufficiali superiori presenti in
città. Durante la festa Magnenzio, che vi partecipava, finse di
interpretare una rappresentazione teatrale e si rivestì degli
indumenti imperiali, facendosi chiamare Augusto (imperatore) dagli
ufficiali presenti. Le truppe presenti, sentendo le
acclamazioni dei propri ufficiali, credettero che i comandanti
stessero organizzando un colpo di Stato contro Costante, e sostennero
l'elevazione di Magnenzio a imperatore (18 gennaio
350). All'usurpatore si unirono l'esercito e gli abitanti di
Augustodunum, nonché i cavalieri che Costante aveva fatto giungere
in Gallia dall'Illirico come rinforzi. Come prima decisione,
Magnenzio ordinò la morte di Costante, benché quest'ultimo, anni
addietro, con un suo intervento personale avesse salvato la vita allo
stesso Magnenzio a seguito di una ribellione dei soldati posti sotto
il suo comando. Costante I fuggì allora verso la penisola
Iberica, ma fu raggiunto e ucciso vicino ai Pirenei da un
gruppetto di cavalieri guidati dal generale Gaisone.
- Flavio Giulio Costanzo, meglio noto
come
Costanzo II (Flavius Iulius Constantius; Sirmio, 7 agosto
317 - Cilicia, 3 novembre 361) è stato imperatore per
24 anni, difendendo l'impero dai nemici esterni e il proprio potere
dagli usurpatori e promuovendo il Cristianesimo. Nominato Cesare
(imperatore subordinato ad un Augusto) dal padre, assieme ai
fratelli, alla sua morte aveva mantenuto il potere come Augusto nella
parte
orientale dell'impero (province
d'
Asia e d'
Oriente,
compreso il
Ponto
e la
Tracia, lasciando gli altri fratelli a spartirsi
l'Occidente. Si impegnò nella difesa dei confini orientali
dell'impero dalla minaccia dei Sasanidi, optando per una politica
militare a bassa intensità diversa dalle consuetudini romane, che fu
efficace, ma che causò una certa insoddisfazione nel mondo romano. Buon comandante e amministratore,
ridusse il peso della burocrazia imperiale e del fisco; in campo
militare dovette affrontare anche le incursioni dei popoli barbari
attraverso i confini germanico e danubiano, mentre in politica
interna fu a lungo impegnato dall'usurpatore Magnenzio, cui contese e
strappò il potere in Occidente, come pure da altri usurpatori
(Vetranione, Decenzio, Nepoziano e Claudio Silvano). L'usurpatore
Magnenzio, elevato a
imperatore il 18 gennaio
350, grazie anche al supporto di
Fabio Tiziano, prefetto del pretorio delle Gallie e poi futuro
praefectus urbi, consolidava il proprio potere nelle province della
Britannia, della Gallia e della Spagna, anche in ragione della sua
politica favorevole ai pagani, in quanto revocò la legislazione
antipagana di Costante, permettendo invece la celebrazione
di sacrifici notturni. Costanzo II, Augusto in Oriente e fratello di
Costante, era all'epoca impegnato sulla frontiera persiana a
respingere l'offensiva sasanide su Nisibis e non fu in grado di
contrastare perentoriamente l'usurpatore.
Magnenzio, di fatto,
divenne l'unico
signore della
parte occidentale
dell'impero, il primo in discontinuità con dinastia costantiniana
dopo oltre mezzo secolo di regno. Magnenzio tentò di assicurarsi
anche il
controllo dell'Italia, ma a Roma Nepoziano, un membro
della dinastia di Costantino, al comando di uno sparuto gruppo di
avventurieri, si presentò sotto le mura della città e senza grandi
sforzi la conquistò, sconfiggendo ed uccidendo Aniceto, il prefetto
del pretorio di Italia, che si era opposto all'aggressore schierando
un piccolo contingente di cittadini armati. Tuttavia poco tempo dopo
lo stesso Nepoziano fu rovesciato e ucciso (1º luglio 350) da un
esercito inviato da Magnenzio agli ordini di Marcellino, promosso per
l'occasione
magister officiorum. L'usurpatore cercò di
imporre il suo potere anche sui territori dell'Illirico, che erano
stati di Costante, muovendo verso il fiume Danubio, ma intanto il
comandante delle truppe della Pannonia,
Vetranione, era stato
acclamato imperatore dai suoi uomini a Mursa (in Croazia),
ottenendo l'appoggio di Costantina, figlia di Costantino I. Magnenzio
tentò quindi di accordarsi sia con Vetranione che con Costanzo, ma
riuscì a stipulare un patto di formale alleanza solo con il primo,
mentre non ottenne alcun risultato col secondo. Costanzo, che aveva
ricevuto la notizia della morte del fratello Costante sul finire del
350, dopo aver stipulato la pace con i Sasanidi, marciando verso
ovest giunse ad Eraclea, dove incontrò un'altra
ambasceria
congiunta di Magnenzio e Vetranione, che gli proponeva la volontà
dei due usurpatori di offrirgli una preminenza della collegialità
imperiale in cambio del riconoscimento di entrambi come coreggenti.
Costanzo però imprigionò come ribelli tutti gli ambasciatori meno
uno, il prefetto del pretorio dell'Illirico Vulcacio Rufino e rifiutò
la proposta di Magnenzio, mentre iniziò delle serie trattative con
Vetranione che si conclusero con successo. Si diresse quindi a
Serdica (la moderna Sofia, in Bulgaria) dove incontrò Vetranione e
il suo esercito (il 25 dicembre 350). Vetranione giurò fedeltà a
Costanzo, rinunciando alla porpora e ritirandosi a vita privata a
Prusa, in Bitinia mentre Magnenzio invece sposava Giustina, una
giovane aristocratica imparentata con l'imperatore Costantino I allo
scopo di rafforzare la propria posizione legandosi alla dinastia
costantiniana. La
guerra tra
Magnenzio e
Costanzo II
era ormai inevitabile. L'esercito di Magnenzio era formato perlopiù
da contingenti gallici rafforzato da folti gruppi germanici, mentre
quello di Costanzo era costituito dalle truppe dell'Illirico che
erano state agli ordini di Vetranione, ma anche da Orientali, in
particolare gli arcieri armeni e aveva il suo cardine nella
cavalleria, il cui ruolo si rileverà decisivo per le sorti finali
del conflitto. Magnenzio cominciò i preparativi necessari per lo
scontro armato cautelandosi con la nomina a Cesare di un suo parente,
Decenzio, a cui fu affidata la difesa delle frontiere galliche dagli
assalti degli Alamanni, sollecitati dallo stesso Costanzo allo scopo
di creargli delle serie difficoltà. Dopodiché mosse verso
l'Illirico, essendo riuscito ad arruolare un considerevole numero di
soldati, rinfoltito per ultimo da unità di Franchi e Sassoni.
Costanzo, da parte sua, dopo aver nominato Cesare il cugino Gallo a
Sirmio (15 marzo 351), a cui aveva concesso in sposa la sorella
Costantina, affidandogli il governo delle provincie orientali, si era
mosso con il suo esercito con l'intenzione di raggiungere l'Italia,
ma arrivato ad Atrans (odierna Trojane, in Slovenia) cadde in
un'imboscata ordita da Magnenzio, che causò diverse perdite ai suoi
effettivi e lo costrinse a ritirarsi a Siscia. Magnenzio invece
avanzò in Pannonia, giungendo fino a Petovio. Qui fu raggiunto da un
inviato di Costanzo, il prefetto del pretorio d'Oriente Filippo, che
gli portò una proposta di Costanzo: a Magnenzio avrebbe concesso il
dominio della Gallia se egli avesse lasciato l'Italia e l'Africa. Il
vero intento del prefetto di Costanzo era però quello di indagare lo
stato delle truppe dell'usurpatore; nella stessa occasione Filippo
ebbe la possibilità di arringare i soldati di Magnenzio, cui
rinfacciò la loro ingratitudine verso la dinastia costantiniana.
Magnenzio quindi accusò Filippo di aver abusato del suo ruolo di
ambasciatore, e di tutta risposta, dopo aver respinto la proposta di
Costanzo, inviò presso questi, che si era ritirato a Cibalae con il
proprio esercito,[48] Fabio Tiziano, il quale, dopo aver inveito
contro il figlio di Costantino per il suo malgoverno, lo intimò di
abdicare in favore di Magnenzio se volesse salva la vita. Ma al
seguito del diniego ricevuto da Costanzo, Magnenzio ruppe gli indugi
e avanzò su Siscia, radendola al suolo. Inorgoglito da tale
successo, l'usurpatore puntò poi verso Sirmio, confidando anche in
questa occasione di poterla conquistare senza troppe difficoltà;
tuttavia, giunto sotto le mura della città, Magnenzio fu respinto
dagli abitanti e dai soldati rimasti a presidio della stessa e fu
costretto a ripiegare a Mursa. Costanzo non prese da subito
l'iniziativa, ma quando riuscì a far defezionare con tutta la sua
cavalleria il
tribunus scholae armaturarum
Claudio Silvano, futuro usurpatore per 28 giorni in Gallia,
mosse con tutti i suoi effettivi verso
Mursa, che Magnenzio
stava ancora assediando e nella quale aveva tentato di appiccare il
fuoco alle porte. Lì, alla confluenza della Drava con il Danubio, il
28 settembre
351 ci fu lo
scontro decisivo. In quella
che passerà ai posteri come la
battaglia di Mursa (28
settembre 351), Magnenzio schierò 36000 uomini, contro gli 80000 di
Costanzo. La battaglia iniziò nel tardo pomeriggio e si protrasse
fino a notte inoltrata. Costanzo, dopo aspri combattimenti, riuscì
ad avere la meglio accerchiando con la sua cavalleria l'ala destra
dell'esercito nemico. Magnenzio corse il pericolo di essere preso
prigioniero e per salvarsi, fu costretto a fuggire travestito,
lasciando a combattere al suo posto Romolo, forse il suo
magister
equitum, che poi cadde sul campo. Nonostante tale defezione, la
battaglia comunque durò ancora a lungo, perché alcuni reparti
dell'esercito di Magnenzio, seppur fiaccati dalle gravi perdite,
continuarono a combattere con accanimento. Dopo un ultimo e decisivo
assalto della cavalleria di Costanzo, che determinò la conquista
dell'accampamento di Magnenzio e la morte o la resa dei suoi
ufficiali, la battaglia terminò con la vittoria piena del figlio di
Costantino, che accordò il perdono a chi si era arreso, eccetto
coloro direttamente implicati nell'assassinio di Costante. A Mursa
Magnenzio perse circa 24000 uomini, i due terzi del suo esercito,
mentre Costanzo ne perse circa 30000. La tragicità di questa
battaglia fu celebrata nel
Constantini imperatoris bellum adversus
Magnentium, un'opera perduta della poetessa Faltonia Betizia
Proba, moglie di Clodio Celsino Adelfio,
praefectus urbi di
Roma sotto Magnenzio nel 351. La propaganda che voleva
Costanzo
combattere con il
sostegno divino fu accresciuta dal fatto che
l'imperatore lasciò lo scontro per andare a pregare dentro la
basilica dei martiri situata fuori dalla città insieme al vescovo di
Mursa, Valente, che in seguito annunciò a Costanzo come un angelo
gli avesse rivelato la sua immediata vittoria contro Magnenzio. La
storiografia favorevole all'imperatore, prendendo come spunto
l'affinità onomastica tra Magnenzio e Massenzio, paragonerà la
battaglia di Mursa a quella combattuta a Ponte Milvio il 28 ottobre
del 312, con l'
intento di assimilare l’immagine di
Costanzo
a quella del padre
Costantino. Costanzo non si preoccupò o
forse non seppe trarre vantaggi immediati dalla sua vittoria a Mursa:
probabilmente, a prescindere dalle gravi perdite subite, non aveva
intenzione di affrontare una campagna invernale e rinunciò a
inseguire Magnenzio. Trascorse invece la stagione a Sirmio, ove
preferì occuparsi di questioni religiose, presiedendo un sinodo che
condannò le dottrine del vescovo locale Photeinos.
Magnenzio
ebbe quindi il tempo di
rifugiarsi ad
Aquileia, dove
aveva una magnifica corte, e dedicò tutto l'inverno 351-352 a
riorganizzare il suo esercito e a fortificare le Alpi Giulie. Allo
stesso tempo tentò poi di concludere senza successo una tregua con
Costanzo, probabilmente anche a causa delle preoccupanti notizie che
ricevette da Decenzio circa la situazione in Gallia, ove, data la
scarsità di soldati a sua disposizione, non riusciva a contenere le
scorrerie degli Alamanni, tant'è che questi, dopo aver incendiato
Castrum Rauracense, lo sconfissero in una battaglia campale tra
Treviri e il Reno, insediandosi permanentemente in questa frazione di
territorio. La situazione si aggravò quando un gran numero di
Italici e soprattutto di senatori si imbarcò per la Dalmazia per
raggiungere Costanzo, traendo vantaggio dall'amnistia che questi
aveva proclamato. Costanzo infine nell'estate del
352 si
convinse a superare le Alpi, aggirando le fortificazioni di
Magnenzio, e riuscì ad avanzare fino ad Aquileia. L'usurpatore però
aveva già abbandonato la città quando fu informato che Costanzo
stava per avvicinarsi e, radunati i soldati che trovò lungo la
strada procedendo verso ovest, riuscì a sbaragliare l'incauta
avanguardia nemica che lo inseguiva. Nel frattempo però Costanzo,
che fin dall'inizio aveva armato una grossa flotta, faceva bloccare
dalle sue navi il litorale veneto e dopo che i suoi emissari
riuscirono a far sollevare quasi tutta l'Italia contro Magnenzio,
fece sbarcare un esercito alle foci del Po, impedendo in tal modo
alle truppe dell'usurpatore stanziate a sud di ricongiungersi con
lui. Così mentre le città del nord Italia gli si consegnavano
spontaneamente, Costanzo procedeva con la sua strategia navale,
riuscendo a sottrarre a Magnenzio il controllo della Sicilia prima e
dell'Africa poi, alla quale inviò una flotta a Cartagine, fatta
precedere da suoi emissari accorsi dall'Egitto. Intanto dalla Gallia,
Decenzio non riuscva a inviare rinforzi a Magnenzio nella guerra
contro Costanzo poiché impegnato dagli Alamanni lungo la frontiera
del Reno. Perso il controllo dell'Italia, Magnenzio decise allora di
rifugiarsi in Gallia e tentò di riorganizzare il suo esercito, ma
Costanzo nel frattempo aveva fatto sbarcare una flotta a sud dei
Pirenei per impedirgli di ricevere rinforzi dalla penisola iberica.
Magnenzio tentò quindi di far assassinare
Costanzo Gallo, Cesare d'Oriente dal 351, in modo da
destabilizzare il governo dell'Oriente e far sì che Costanzo
abbandonasse il suo intento di muovere verso le Gallia, ma il
complotto fu scoperto e sventato. Costanzo da parte sua continuava ad
avanzare velocemente verso ovest e il 3 novembre arrivò a Milano,
ove pubblicò un editto che annullava alcune delle misure adottate da
Magnenzio e dai suoi governatori e incontrò una delegazione del
Senato di Roma capeggiata da Memmio Vitrasio Orfito, che poi sarà
nominato
praefectus urbi per due volte tra il 353 ed il 359,
che si rallegrava della sua vittoria sull'usurpatore. Nell'estate del
353, Magnenzio provò ancora una volta ad opporsi a Costanzo,
ma fu sconfitto
nella battaglia di
Mons Seleucus (La
Bâtie-Montsaléon). Si rifugiò quindi a Lugdunum (Lione) e richiamò
Decenzio dalla frontiera sul Reno, dove era ancora impegnato nella
guerra contro gli Alamanni. Tuttavia, alla notizia della sconfitta
patita a Mons Seleucus, la città di Treviri si ribellò scegliendo
come proprio difensore un tal Pemenio, con i soldati che già
meditavano di consegnare l'usurpatore a Costanzo per ottenere il
perdono da quest'ultimo. Magnenzio si rese quindi conto di non poter
più contare sull'appoggio incondizionato della popolazione gallica,
che in precedenza aveva sostenuto convintamente i motivi della sua
usurpazione. Il 10 agosto 353,
Magnenzio uccise la propria
madre e tutti i parenti e gli amici più stretti che erano a Lugdunum
con lui, e poi
si suicidò. La
sua testa fece il
giro
delle città a dimostrare la sua sconfitta. Pochi giorni più
tardi, il 18 agosto, Decenzio, venuto a sapere del suicidio di
Magnenzio mentre si recava da lui per portargli aiuto, si impiccò a
Agendicum, città ove si era rifugiato. Il 6 settembre Costanzo
entrò a Lugdunum e promulgò un'amnistia assai clemente, che
però non mise in atto ed anzi avviò una persecuzione spietata dei
seguaci di Magnenzio. Molti dei soldati che avevano militato
dalla parte dell'usurpatore furono integrati nelle truppe di Costanzo
e redistribuiti, con fine punitivo, lungo il limes persiano e
renano, mentre coloro che si erano rifiutati di passare dalla
parte del vincitore si diedero alla macchia, vivendo di brigantaggio
in Gallia, finché Giuliano (Flavio Claudio Giuliano, imperatore e
filosofo romano, l'ultimo sovrano dichiaratamente pagano, che tentò,
senza successo, di riformare e di restaurare la religione romana dopo
che essa era caduta in decadenza di fronte alla diffusione del
cristianesimo) con una sua amnistia li integrò nel proprio esercito.
L'
impero era di nuovo
riunito sotto
un solo
imperatore, mentre nei confronti di Magnenzio fu dichiarata la
damnatio memoriae.
Non avendo
figli, Costanzo II associò al potere gli unici due parenti maschi rimastigli
dopo le purghe seguite alla morte di Costantino, che avevano
consentito a Costanzo di sbarazzarsi di possibili concorrenti al
soglio imperiale: prima scelse il cugino Gallo (Flavio Claudio Giulio Costanzo Gallo; Massa Veternensis, 325/326 - Pola, 354), cui diede in sposa la
propria sorella Costantina e che poi mise a morte a causa della sua
disastrosa amministrazione dell'Oriente, poi il fratellastro di
questi Giuliano, il quale, dopo aver dimostrato insospettate qualità
militari e amministrative in Gallia, gli si rivoltò contro proclamandosi imperatore e succedendogli poi alla sua morte. Come il
padre prima di lui, quale imperatore Costanzo assunse un ruolo attivo
all'interno dei confronti dottrinali del cristianesimo, promuovendo
l'arianesimo nell'ambito della diatriba sulla natura di Cristo;
promosse anche diversi concili, rimuovendo e nominando molti vescovi.
Con Costanzo il potere e i privilegi della gerarchia ecclesiastica si
consolidarono e il cristianesimo divenne sempre più la religione
principale dello Stato romano.
Nel 342 - La federazione
dei Franchi è protagonista di un'incursione in territorio
gallico, condotta a partire dalla loro area d'insediamento presso
il Reno ma sono respinti da Costante I, imperatore dal
337.
- Nell'Europa orientale, le tribù di Slavi orientali ridussero fortemente i loro rapporti commerciali con Roma, preferendo quelli con le tribù sarmatiche o altre tribù slave e di parteciparono alle guerre anti-schiavistiche contro Roma, unendo parte delle loro forze a quelle dei Marcomanni nella seconda metà del II secolo e a quelle gotiche nel III e IV secolo. Tuttavia i Goti, capeggiati da Ermanarico, ambivano a sottomettere gli stessi Venedi (gli Slavi occidentali), senza peraltro riuscirvi. I movimenti migratori dei Venedi nelle terre a sud-ovest dell'Elba e dell'Oder erano stati causati anche dalla pressione e dalle violente incursioni degli Unni nell'Europa orientale e centrale, benché la maggior parte di loro non fosse stata interessata da quelle incursioni.
- Durante il
IV secolo gli
Unni, popolo guerriero nomade, probabilmente
di ceppo turcico (o turco), provenienti dalla Siberia meridionale,
giungono in Europa. Non si conosce quasi nulla della lingua unna, l'ipotesi più accettata è che si trattasse di una lingua altaica ma diverse altre teorie la vorrebbero vicina al moderno ungherese o addirittura alle lingue iraniche. Giordane (o Giordano o Jordanes, storico bizantino di lingua latina del VI secolo di probabile origine gotica o alana) scrisse che gli Unni "si procuravano ferite sulle guance come segno di lutto per i guerrieri più valorosi, piangendoli non con lacrime di donne ma con il sangue degli uomini". Inoltre gli Unni
praticavano la deformazione cranica, allungandosi le teste probabilmente a imitazione dei nomadi sàrmati di origine indoiranica. La deformazione cranica fu una pratica molto comune nel corso della storia. Il procedimento veniva applicato sin dalla più tenera infanzia e consisteva nello stringere la testa del bambino con un bendaggio, approfittando del fatto che a quell'età il cranio era ancora molle e in crescita. Nel caso di alcuni popoli, questa pratica serviva a indicare che il ragazzo era destinato al sacerdozio, ma nel caso degli Unni se ne ignora il significato, anche se come suggerisce lo storico John Man, "gli uomini con la testa allungata costituivano un'élite".
Gli
Unni sono stati descritti come un popolo di uomini brutti e spaventosi e lo stesso si diceva dei loro
cavalli, la loro vera grande
arma vincente sui campi di battaglia. I cavalli unni erano diversi dai cavalli attuali e molto diversi da quelli adottati dalla cavalleria romana e dai popoli con cui si scontrarono. Esteticamente questi cavalli potevano sembrare poco attraenti, erano molto magri, decisamente più bassi dei cavalli adottati dagli eserciti imperiali ma erano forti, resistenti e veloci, in grado di percorrere anche 100 km senza aver bisogno di essere ferrati, di indole mansueta e in grado di trovare il foraggio anche sotto la neve: sopravvivevano dunque facilmente anche in condizioni ambientali poco favorevoli. L'unico territorio in cui questi cavalli si muovevano a disagio era quello montagnoso, ma nelle vaste praterie della steppa Europea, nelle pianure e nelle valli si dimostrarono molto più performanti di qualsiasi cavalleria contro cui si scontrarono. I cavalieri unni sembravano un tutt'uno in sella ai loro cavalli, i bambini imparavano a cavalcare nello stesso tempo in cui imparavano a camminare e al galoppo di quei veloci destrieri sapevano destreggiare le armi con una precisione che le altre cavallerie, più rigide, pesanti e diversamente equipaggiate, non possedevano. Grazie all'
uso sia della
sella che della
staffa i loro attacchi erano sorprendentemente potenti, scanditi da repentini movimenti inaspettati. Si ritiene che un tipo di sella arcaica sia stata usata fin dal 700 a.C. circa dagli Sciti, un popolo nomade della steppa eurasiatica, ma è stato certamente l'arrivo in Europa di
selle robuste come quelle cinesi a fare la differenza in battaglia. Lo scoprirono a loro spese i Romani, che combatterono gli
Unni seduti su coperte appoggiate ai cavalli mentre la cavalleria dei loro nemici era già dotata di
selle in
legno con pomelli davanti e dietro, il cui vantaggio era una stabilità senza pari e la possibilità di tirare frecce senza fermarsi. Allo stato attuale e basandoci sui ritrovamenti effettuati in alcuni siti archeologici, è possibile oggi affermare che le
prime staffe rinvenute in
Europa sono attribuibili al quarto secolo dopo Cristo e provengono dalle tombe dei cavalieri
Sàrmati situate nel bacino del fiume Kuban, a nord del Caucaso, mentre al quinto secolo dopo Cristo appartengono alcune staffe in ferro, con la fessura per il passaggio dello staffile e la forma consueta che ancora oggi gli viene data, rinvenute in tombe di
Unni in Ungheria. Gli storici romani e cristiani che tanto disprezzarono gli Unni, descrivendoli come rozzi e incivili, narrarono di come si nutrissero della
carne cruda che riponevano
sotto la
sella durante le cavalcate, appena scaldata e "cotta" dal continuo movimento del corpo sulla sella. In realtà quella carne proteggeva l'animale dall'attrito del contatto, rendendogli quindi la cavalcata più lieve, che poi quella carne venisse realmente mangiata non apparirebbe certo strano oggi, soprattutto alla luce del prezzo della carne di Kobe, pregiatissima perché "massaggiata" a mano. Il cavaliere unno non avevano solo un cavallo a disposizione, ma un'intera scuderia di cavalli al seguito, in modo da poter contare sempre su un cavallo riposato per un'azione scattante. Quando gli Unni avanzavano lo facevano così velocemente che si potevano vedere le sentinelle correre disperate per annunciare l'arrivo degli Unni quando già se ne sentiva lo scalpitio sul terreno e l'orizzonte si copriva della polvere sollevata dagli zoccoli dei loro cavalli.
Nel 343 - Al Concilio di Serdica (o Sardica, l'attuale Sofia in Bulgaria) convocato nel 343/344 dagli imperatori Costante I e Costanzo II, parteciparono 180 vescovi di cui molti semiariani i quali, non riconoscendo come vescovi Atanasio di Alessandria, Marcellino di Ancira e Asclepiade di Gaza, costituirono un altro concilio che scomunicò il papa Giulio I. Nella sua maggioranza però, il concilio restò fedele a Roma e confermò la dottrina atanasiana e il simbolo di Nicea e promulgò inoltre canoni riguardanti il diritto episcopale, fra cui il diritto della Sede romana di ricevere i ricorsi di chierici o vescovi condannati in provincia.
Nel 344 - Nasce Giovanni Crisostomo, o Giovanni d'Antiochia (Antiochia, 344/354 - Comana Pontica, 14 settembre 407), arcivescovo cattolico, santo e teologo bizantino, il secondo Patriarca di Costantinopoli, commemorato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa, venerato dalla Chiesa copta; è uno dei 33 Dottori della Chiesa. La sua eloquenza è all'origine del suo epiteto Crisostomo (in greco antico χρυσόστομος / khrysóstomos, letteralmente «Bocca d'oro»). Il suo zelo e il suo rigore furono causa di forti opposizioni alla sua persona. Fra l'altro scrisse delle omelie antigiudaiche, utilizzate nei secoli successivi come pretesto per discriminazioni e persecuzioni contro gli ebrei. In età avanzata dovette subire un esilio e morì durante un trasferimento.
- A partire dal IV secolo (dopo l'Editto di Milano) la Diocesi di Roma diventa proprietaria di immobili e terreni, frutto delle donazioni dei fedeli. Il patrimonio terriero del vescovo di Roma era denominato Patrimonium Sancti Petri poiché le donazioni erano devolute a san Pietro, l'apostolo fondatore della Chiesa romana. Nel VI secolo il patrimonio petrino assumerà un'estensione di rilievo.
Nel 350 -
Ulfila traduce il
Nuovo Testamento in lingua gota favorendo la
conversione dei
Goti al
cristianesimo ariano. Ulfila o Wulfila (in gotico
"Lupacchiotto"; 311 - Costantinopoli, giugno 388) era nato da genitori romani
di una comunità originaria della Cappadocia, ridotta poi in
cattività dai Goti sul finire del III secolo, di religione
cristiana ariana e di lingua e cultura elleniche. Fu forse grazie a
prigionieri come lui che il Cristianesimo si diffuse tra i Goti,
allora stanziati nella Bessarabia storica.
|
In color mattone,
la Bessarabia. |
Si sa che nel 311 i
genitori di Ulfila vivevano a nord del Danubio, in territorio
visigoto. Oltre al goto, Ulfila sapeva il latino e il greco e fu
inviato più volte come ambasciatore a Costantinopoli, dove prese
contatti con l'ala moderata degli ariani. Nel 348 il vescovo di
Costantinopoli, Eusebio di Nicomedia, lo nominò vescovo presso i
goti. All'inizio la sua missione di evangelizzatore fallì: re
Atanarico scatenò una
persecuzione contro i goti cristiani, che per
questo migrarono con Ulfila nell'area oggi al confine tra Romania e
Bulgaria, con il benestare dell'imperatore romano Costanzo II. Lo
storico Iordanes, nel suo
De origine actibusque Getarum del
551, scrisse (libro LI, 267): «Ci furono anche altri Goti, detti
minori, un popolo immenso il cui vescovo e capo fu Wulfila, che si
dice li avesse istruiti nelle lettere». Grazie alla sua
predicazione, Ulfila convertì molti goti al cristianesimo ariano.
Tradusse, anche se con difficoltà,
la Bibbia dal greco
al
gotico antico, di cui creò l'
alfabeto (detto
appunto
gotico). La sua opera precede quindi di alcuni decenni
la Vulgata (la Bibbia tradotta in latino da san Girolamo). Ma, a differenza di quest'ultima, la
Bibbia di Ulfila non ebbe diffusione. Dal 325, infatti, l'arianesimo
era considerato eretico e Ulfila, che era ariano, dovette difendersi
dall'accusa di eresia. Morì a Costantinopoli nel 388, quando
la maggioranza dei goti era ormai cristianizzata. Neppure in punto di
morte Ulfila rinnegò la sua versione del cristianesimo. Il vescovo
ariano Massimino, nella sua Dissertazione contro Ambrogio (
Contra
Ambrosium, 56, 59-60, 63), ne riporta il testamento spirituale
pronunciato prima di morire. Eccone un passo: «Io, Ulfila, vescovo e
confessore, ho sempre creduto in questo modo, e in questa fede unica
e veritiera passo al mio Signore: credo che Dio Padre sia unico,
ingenerato ed invisibile, e credo nel suo Figlio unigenito, Signore e
Dio nostro creatore, ed artefice di ogni creatura, che non ha nessuno
simile a sé: quindi uno è il Dio padre di tutti, che è anche Dio
del Dio nostro; e credo che uno sia lo Spirito Santo, virtù
illuminante e santificante […] né Dio, né Signore, ma ministro
fedele di Cristo, non uguale, ma suddito ed obbediente in tutto al
Dio padre».
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Carta dell'Occitania (di cui solo
Provenza e Languedoc, Aquitania
esclusa) provincia Romana.
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- Nel crogiuolo occitanico, composto da iberi, liguri, baschi, celto-liguri, greci e romani, diventati tutti cittadini romani nel 121 a.C., con la proclamazione della Provincia della Gallia Narbonensis (da cui il termine Provenza), si mescolano successivamente popoli germanici (goti e franchi) e semito-camitici (ebrei e arabo-berberi) che si convertono spontaneamente alla lingua ed alle culture latine. La
lingua d'Oc è una delle lingue neolatine che si formano sul substrato degli antichi dialetti regionali e della lingua ufficiale e colta della Roma conquistatrice e padrona, fin dalla fine dell'Impero. Se in quella parte di continente che denominiamo Francia settentrionale (e che allora era lungi dall'essere un'entità definita e definibile) si andava affermando la Langue d'Oil, in una zona compresa
tra le Valli alpine del Piemonte e la Catalogna prendeva forma la lingua d'Oc (anche se in realtà non dovette esserci per il volgo, il popolo non colto, un significativo distacco dal dialetto parlato in precedenza). Per "Occitani: storia e cultura":
http://storianet.blogspot .it/2015/01/occitani-storia-e-cultura.htmlNel 352 - Da QUI: I destini di Eusebia e
di Giustina s'incrociarono per breve tempo alla metà del IV
secolo, quando entrambe si unirono in matrimonio a due
imperatori rivali. Nel dicembre del 352,
a Milano, Eusebia sposa
il più maturo e già vedovo imperatore Costanzo II. Di
Eusebia non sappiamo la
data di nascita ma solo che proveniva da una famiglia di Salonicco, di recente
elevazione senatoria. Il padre Flavio Eusebio era stato magister equitum
et peditum prima del 347 e console subito dopo tale data ed aveva
almeno altri due figli di cui si conoscono i nomi: Flavius Hypotius
e Flavius Eusebius. Quest'ultimo, omonimo del padre, diverrà
governatore dell'Ellesponto nel 355, governatore della Bitinia nel
355/356 e console nel 359. Gli storici all'unanimità attribuiscono
ad Eusebia bellezza e intelligenza, ma questi erano forse gli
attributi comuni a tutte le auguste. Giustina,
definita bella e intelligente, aveva solo dodici anni quando
il padre Giusto, governatore del Piceno, la consegnò in
quello stesso anno al cinquantenne Magno Magnenzio, già
vedovo di sua sorella maggiore e con una figlia sua coetanea. Giustina era verosimilmente
appartenente alla dinastia costantiniana, probabilmente tramite sua
madre, che potrebbe
essere stata o figlia di Crispo, il figlio primogenito di Costantino I
(anche se identità e destino del figlio di Crispo ed Elena non sono
noti; è stato proposto comunque che fosse una femmina e che fosse la
madre dell'imperatrice Giustina, da Harlow e altri) o di Giulio
Costanzo (fratellastro di Costantino). Magno Magnenzio era stato acclamato imperatore nel 350 dopo una rivolta
nelle Gallie conclusasi con la morte di Costante, fratello di
Costanzo. In un primo tempo questo generale franco
aveva tentato di farsi accettare dal Senato romano e dall'imperatore
come collega, offrendo in moglie a Costanzo la propria figlia e
chiedendo per sé Costantina, la sorella vedova dell'imperatore. Ma la
sua origine germanica escludeva che potesse in qualche modo
raccogliere legittimamente l'eredità del grande Costantino,
imparentandosi coi suoi figli.
- Costanzo II, poco prima della vittoria decisiva sull'usurpatore Magnenzio,
sposa Eusebia (... – Tessalonica, 360), sua seconda moglie, figlia del suo
magister militum Eusebio (comandante in capo dell'esercito), che l'imperatore stimava tanto da concedergli di condividere il consolato del 347. In onore di Eusebia, descritta dalle fonti come molto bella, Costanzo creò una nuova diocesi, costituita dalla Bitinia e da parti della Pontica, cui diede il nome di Pietas ("pietà", "senso del dovere", "rispetto"), traduzione in latino della parola greca eusebia. Eusebia usò la propria influenza sul marito per aiutare le persone a lei vicine; i suoi due fratelli divennero consoli nel 359 e dal punto di vista religioso fu una sostenitrice dell'Arianesimo, influenzata dall'eunuco Eusebio, il potente
praepositus sacri cubiculi ("addetto agli appartamenti imperiali") di Costanzo. Eusebia e Costanzo
non ebbero figli e sebbene fosse stata forse lei a convincere il marito a elevare il cugino
Giuliano al rango di cesare, si tramanda che Giuliano stesso le abbia causato
ripetuti aborti allo scopo di non avere pretendenti al trono di sangue imperiale. Probabilmente
Costanzo era
sterile e quelle voci infamanti erano messe in giro da cristiani ostili al filosofo Giuliano.
Nel 353 -
Da
QUI:
Costanzo II scende in campo e
sconfigge il rivale
Magno
Magnenzio. Per l'occasione riapre la zecca a Milano con
l'emissione di una moneta commemorativa, in cui veniva effigiato
quale
debellator orbis. Magnenzio si suicidò il 10 agosto a
Lione; la sua testa venne spiccata e portata in giro per le province;
chiunque l'avesse sostenuto, anche solo con un gesto di compassione
umana, venne torturato,
condannato a morte o all'esilio e i
suoi beni confiscati (Amm. Marc., XIV 5, 1-9). Questa sorte toccò al
padre di Giustina e a
Graziano il Vecchio, il cui
figlio
Valentiniano diventerà
imperatore e
secondo
marito di
Giustina. Ammiano Marcellino ha così
tratteggiato il carattere fisico e psicologico di
Costanzo II:
bruno, con uno sguardo luminoso e penetrante, morbidi capelli, guance
sempre ben rasate, brevilineo. Sobrio e parco, moderato nel cibo e
nelle bevande, dormiva pochissimo. La sua massima abilità era nel
cavalcare, nel lanciare giavellotti e nel saettare con precisione.
Era così compreso della sua ieratica maestà che, in presenza del
pubblico, rimaneva immobile come una statua, senza pulirsi nemmeno il
naso. Poiché era
scarso d’ingegno, era prudente fino alla
paranoia, che lo spinse a commettere parecchi omicidi anche di
consanguinei, ma soprattutto di persone che temeva. Per questo motivo
non presenziò mai a processi. L’unica persona della quale
si
fidò ciecamente fu la
moglie Eusebia, che gli fece da
filtro alle voci sottili degli eunuchi e a quelle insinuanti dei
cortigiani.
- Da QUI: Costanzo II ed Eusebia pongono la
loro sede a Milano,
nel palatium presso S. Giorgio al Carrobio di Porta Ticinese,
adattato per un fastoso soggiorno. Il clima che si respirava a corte
era tutt'altro che sereno: adulazione cortigiana, lusinghe
artificiose, trame di calunnie tessute instancabilmente dagli avidi
eunuchi di palazzo, segreti sussurri che materializzavano cavalletti
di tortura, catene, pianti di supplici inascoltati. "La fabbrica
degli intrighi di corte batteva giorno e notte sulla stessa incudine
secondo la volontà degli eunuchi, che con la loro esile voce
sempre infantile e accattivante, con una pesante odiosità,
rovinavano, sussurrando alle orecchie troppo accoglienti
dell'imperatore, la reputazione anche di un eroe."
(Ammiano Marcellino, XVIII 4, 2-4). Tutta la letteratura nera
che siamo abituati ad associare a Bisanzio si potrebbe benissimo
trasferire alla corte milanese. Ammiano Marcellino ci consegna
due impareggiabili ritratti di cortigiani: Paolo, spagnolo, cameriere
della sala da pranzo "soprannominato Catena perché era
invincibile nell'intrecciare complicate calunnie" e Mercurio,
persiano, detto "conte dei sogni", perché "insinuandosi
spesso in molti banchetti e riunioni, come un cane nascostamente
pronto a mordere, che dissimula l'intera crudeltà scodinzolando
umilmente, se qualcuno narrava ad un amico un sogno, lo riferiva con
velenosi artifici, deformandolo, alle orecchie avide
dell'imperatore". Ad alimentare questo inferno di turpitudini
c'era Costanzo, spietato assassino dei suoi
consanguinei nel 337 e timoroso di ricevere lo stesso
trattamento.
Nel 354 - Da QUI: Dopo aver eliminato suo cugino Gallo, che aveva
fatto sposare con sua sorella Costantina, Costanzo II assapora il delirio del potere e comincia a definire se stesso "la
mia Eternità" e a firmarsi "Signore di tutto il mondo".
Restava però in vita un ultimo rivale, che aveva tutte le carte in
regola per contestargli il dominio assoluto: suo cugino Giuliano,
fratellastro di Gallo. E su di lui si concentrerà la fabbrica
degli intrighi.
Nel 355 - Gli Alamanni (o Alemanni) passano la frontiera in Alsazia con l'idea di stabilirsi in massa e definitivamente nel territorio dell'impero, ma l'imperatore romano Giuliano li sconfiggerà a Strasburgo nel 358.
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Confederazioni dei Franchi
e degli Alemanni. |
Delle antiche
tribù germaniche, nell'Europa centrale erano rimaste soltanto due
confederazioni di tribù: i popoli stanziati nei territori del Danubio, gli
Alamanni e quelli stanziati intorno al Reno, i
Franchi.
- Da QUI: Giuliano, detto l'Apostata Giuliano, nato a Costantinopoli nel 331 e scampato alla strage del 337, era vissuto in rigoroso e forzato isolamento a Macellum in Cappadocia, in quella che lui chiamava "la torre del silenzio", ossia l'edificio funebre dove i persiani esponevano i cadaveri al pasto degli uccelli. Nel 355 venne prelevato e condotto nei pressi di Milano, dove attese in angosciosa incertezza sei lunghi mesi prima che Costanzo II trovasse il coraggio di guardarlo negli occhi. La regìa dell'incontro spettò a Eusebia. Secondo Ammiano Marcellino sarebbe stato schiacciato dalla nefanda cospirazione dei cortigiani se non lo avesse appoggiato per ispirazione divina l'imperatrice Eusebia, che gli procurò l'autorizzazione a trasferirsi all'università di Atene. E' difficile cogliere le reali
intenzioni di Eusebia: Giuliano le dimostrò, almeno nei suoi
scritti, una sincera gratitudine per averlo mandato nella sua amata
Atene; ma il bel gesto dell'imperatrice sembra una manovra diversiva
in attesa di sferrare l'attacco decisivo. Pochi mesi dopo Giuliano
fu richiamato a Milano perché il 6 novembre si celebrava la sua
elezione a cesare e contemporaneamente gli si offriva in
moglie Elena, la sorella minore di Costanzo. Tutta
l'operazione fu architettata da Eusebia. La corte di Milano era
propensa ad abolire la carica di cesare e a mantenere tutto l'impero
sotto un solo augusto, ma "a questi sforzi si opponeva
ostinatamente solo l'imperatrice, non si sa bene se perché temesse
un trasferimento in regioni remote (le Gallie), o per provvedere al
bene pubblico secondo la sua naturale saggezza." (Amm. Marc. XV
8,2). Il trasferimento nelle Gallie, regione oltremodo
turbolenta e palcoscenico degli assassinii di quasi tutti i prossimi
imperatori, equivaleva in realtà alla condanna a morte. Quando Giuliano arrivò a Milano,
l'imperatore convocò l'esercito, prese posto su una tribuna
eretta su un rialzo di terra, circondato da aquile e insegne e,
tenendo la mano destra di Giuliano, lo associò come cesare
al comando, rivestendolo della porpora imperiale. Con questo
gesto l’imperatore si costituiva quale garante (auctor) del
candidato. Tutti i soldati, battendo gli scudi contro le ginocchia
con spaventoso fragore, mostrarono la loro approvazione. Giuliano era
cosciente del significato dell'elezione, perché mentre sedeva sul
cocchio imperiale per entrare alla reggia mormorò, citando l'adorato
Omero: "La purpurea morte e un possente destino mi hanno
afferrato". Il neo-cesare ricordava ancora, dopo tanti anni, il
massacro dei suoi parenti ordinato proprio da chi ora gli sedeva al
fianco; come lui stesso scrisse nelle sue memorie, sentiva ancora il
sapore del fumo denso nella sua gola e l'odore dolciastro del sangue
di cui era imbrattato prima che una mano pietosa lo sottraesse alla
carneficina. Aveva meno di sei anni quando questa tragedia segnò per
sempre la sua breve esistenza. Dopo aver celebrato il matrimonio
con Elena, nubile e vicina ai trent'anni, il 1°
dicembre la coppia fu spedita in fretta e furia nelle Gallie.
C'è troppa insistenza da parte di tutti gli storici e in Giuliano
stesso nel definire Eusebia "donna estremamente
intelligente" e Costanzo succube delle sue decisioni per
non riconoscerla come la principale stratega di questa
operazione. Giuliano era l'ultimo discendente dei figli
che il capostipite Costanzo Cloro ebbe da Teodora,
mentre dei figli avuti da Elena rimanevano Costanzo II
ed Elena, tutti senza figli: in attesa di rimanere incinta,
Eusebia doveva eliminare i due diretti rivali. L'imperatrice,
colpita dalla temibile sterilità, contava sulla professione
di castità fatta da Giuliano e sulla precaria salute
della cognata Elena. Purtroppo per lei le cose presero una piega
completamente diversa. Eusebia non aveva calcolato che
per un filosofo come Giuliano era ammesso il sacrificio di se stessi
in nome dello Stato: Elena rimase incinta poco dopo il
matrimonio. Ammiano Marcellino, che pure loda la bontà, la cultura e
la bellezza di Eusebia, non tralascia di riportare i sospetti che
caddero sull'imperatrice allorché Elena perse il primo figlio
a Lutetia (Parigi) per un taglio eccessivo del cordone ombelicale.
Nel 356 - Da QUI: Nasce il primo
figlio di Flavio Giuliano ed Elena, sorella minore di Costanzo, che è un maschio, ma la levatrice taglia il cordone
ombelicale in modo da procurare un'emorragia al neonato.
Secondo la normale procedura, il cordone ombelicale veniva reciso
quattro dita sopra l'ombelico solo quando la levatrice si era
accertata dell'integrità fisica del neonato, altrimenti, con
l'approvazione del medico, sopprimeva l'infelice creaturina. In caso
di errata valutazione, i due sanitari rispondevano con la propria
vita. Le accuse contro la levatrice dovettero essere avanzate dai
nemici di Eusebia, ma nessuno storico ci informa di misure punitive
contro la levatrice e il medico e neppure Giuliano ne accenna nei
suoi scritti.
Nel 357 - La federazione di tribù dei Franchi Salii, così chiamati perché abitavano la regione prossima al fiume Sala, l'odierno Ijssel, il più orientale dei tre rami principali in cui si divide il Reno prima di sfociare in mare, erano giunti, attraversando il Reno e la Mosa, ai territori delle valli della Mosa stessa e dello Schelda, la cui parte terminale aveva una notevole importanza strategico-commerciale essendo sulle rotte dirette in Britannia. Inizialmente i Franchi Salii avevano interferito con atti pirateschi sulle rotte di rifornimento dei romani finché nel 357 l'imperatore Giuliano, trovando le rotte del Reno sotto il loro controllo, ebbe degli scontri con loro, al termine dei quali li pacificò. Roma garantì ai Franchi una fetta considerevole della Gallia Belgica e divennero foederati dell'Impero romano, incaricati di difendere la frontiera del Reno contro Alani, Suebi e Vandali. La regione che i Franchi Salii ottennero corrisponde all'incirca alle odierne Fiandre e ai Paesi Bassi a sud del Reno e rimane ancora oggi una regione di lingua germanica (attualmente predomina l'olandese ed il fiammingo). I Franchi Salii divennero quindi, il primo popolo germanico a stabilirsi permanentemente all'interno del territorio romano, con il ruolo di foederati. Da quel territorio i Franchi conquistarono gradualmente gran parte della Gallia Romana a nord della Valle della Loira e ad est dell'Aquitania visigota. I Franchi Ripuarii si consolidarono sulla riva destra renana, da Colonia fino all'odierna Francoforte. A queste federazioni franche apparteneva probabilmente anche i Brutteri e i Sicambri (o Sigambri), che già avevano combattuto contro i Romani ai tempi di Giulio Cesare e Augusto e che avevano poi assegnato loro dei contingenti, come ausiliari, nell'esercito romano. Dal 26 gli storici romani non ne avevano più scritto, ma Fredegario, uno scrivano borgognone del VII/VIII sec., narra nella sua "Cronaca", che la storia dei Franchi Sicambri era iniziata dai tempi remoti degli antichi Patriarchi ebrei, citando numerose fonti d'informazione e di rimando, fra cui gli scritti di San Girolamo, l'arcivescovo Isidoro di Siviglia ed il vescovo Gregorio di Tours anch'egli autore di una "Storia dei Franchi". Per raggiungere tale precisione, Fredegario, che godeva di molta considerazione alla corte borgognona, approfittò della sua possibilità di accedere a svariati archivi ecclesiastici ed annali statali. Egli, dunque, racconta come i Franchi Sicambri, da cui prese nome la Francia, erano stati a loro volta chiamati così per via del loro capo Francio o Francione, morto nel II secolo a.C.. La tribù, che era passata nella Scozia, affondava le sue radici nell'antica città di Troia. Tracce di questa discendenza si potrebbero trovare in alcuni nomi come quello della città di Troyes e perfino di Parigi che porterebbe il nome del principe Paride, figlio del re Priamo di Troia. Quella dei Merovingi, quindi, sarebbe stata una dinastia discendente in linea maschile dai "Re pescatori" che corrispondevano anche ad una linea di successione femminile sicambrica. I Sicambri, prendevano il loro nome da Cambra, una regina tribale vissuta intorno al 380 a.C., originaria della Scozia ed erano chiamati anche i "nuovi parenti". Potrebbe darsi che da tale Cambra avesse preso nome la città di Cambrai. Lo storico Ammiano Marcellino riporta nelle sue cronache che la tribù dei Salii era composta da uomini forti e coraggiosi che si erano spinti sino alle fortificazioni sulla strada romana di Colonia e affermava inoltre che sia i Salii che i Ripuari avessero un proprio re. C'è chi ipotizza che i Romani li chiamassero Franchi nel senso di "i liberi", ovvero gli "affrancati", (dal latino francus = libero?) e il nuovo territorio Franconia, da cui deriveranno Francia e Germania.
- Da QUI: In occasione di una seconda gravidanza di Elena, sorella minore di Costanzo II, si mormorò che Eusebia avesse propinato alla cognata una pozione abortiva durante il viaggio ufficiale a Roma nell'aprile 357 per la celebrazione del ventennale di governo di Costanzo II. Giuliano non nominò quasi mai sua moglie, non le dedicò il minimo pensiero affettuoso e non ebbe mai parole di dolore per i figli che morivano. Elena, relegata a Lutetia, semplicemente non esisteva. Difficile farsi un ritratto di questa donna, che ha subìto una sorta di censura anche presso i contemporanei. Elena visse come un'invisibile. Già il fatto che a trent'anni fosse nubile costituisce un'eccezione anche nel panorama del primo cristianesimo. Non si era ancora fatta strada la possibilità per una donna di stirpe imperiale di consacrarsi alla Chiesa in piena castità, scelta ammessa invece per le patrizie. Tutto lascia intendere che soffrisse di disturbi che consigliavano per lei una vita ritirata. Non bisogna dimenticare che sua madre Fausta era stata giustiziata da suo padre Costantino, nel dubbio ingiustificato di un adulterio consumato con Crispo, figlio maggiore dell'imperatore e anche lui eliminato. Elena non aveva che un anno quando la tragedia si compì e fu condannata a vivere senza madre, col solo conforto della sorella Costantina di dieci anni maggiore. Eusebia era astuta: quando Elena seguì il fratello con la sua corte a Milano dovette conquistare la sua fiducia con affettuosa premura. Le insinuò gradualmente l'idea del matrimonio col cugino cercando di non urtare la sua suscettibilità. Ma è difficile credere in un affetto sincero e disinteressato quando uno storico contemporaneo si permette di riportare voci che lasciano trapelare, se non intenti omicidi, una palese rivalità. Un secondo aborto si verificò in
occasione del viaggio da Parigi a Roma; Elena era rimasta subito
nuovamente incinta e le sue precarie condizioni di salute avrebbero
dovuto sconsigliare un viaggio così impegnativo. La conseguenza
fu ovviamente catastrofica e nuovamente si puntò l'indice accusatore
contro Eusebia. L'ultima gravidanza fu fatale a Elena, che
morì senza che venisse registrato neppure il giorno esatto del
decesso, fissato tra la fine del 360 e l'inizio del 361. Anche questa
volta si favoleggiò di un intervento criminoso di Eusebia,
che moriva negli stessi giorni.
- Da QUI: La bella Eusebia era stata
colpita dalla più terribile delle malattie per un'imperatrice, la
sterilità. Per curarsi doveva utilizzare potenti e pericolose
pozioni, preparate sotto stretto controllo medico, che avevano
effetti emorragici. Fu così che morì. Il fatto che
disponesse di tali filtri indusse i suoi detrattori ad accusarla di
averli fatti assumere anche alla cognata Elena, che non ne aveva certo
bisogno. Mai Giuliano darà segno di raccogliere queste accuse. Il
montaggio delle trame contro Eusebia potrebbe essere opera del
partito cattolico. L'imperatrice e suo marito Costanzo II
erano cristiani ariani, mentre Elena era cattolica
e Giuliano notoriamente pagano. Elena si prestava ad assumere le
caratteristiche di una novella martire e la sua storia
utilizzata nella propaganda contro gli ariani. L'imperatrice venne
tumulata in un sarcofago di porfido, il marmo rosso degli imperatori,
nel mausoleo vicino a S. Agnese sulla Nomentana. Il mosaico che una
volta ricopriva le pareti della cupoletta sopra il sarcofago
raffigurava la Gerusalemme celeste con due figurette, che ritraevano
Elena e sua sorella Costantina. Eusebia si era indelebilmente
macchiata di fronte ai cattolici dopo il grandioso
concilio svoltosi da gennaio a maggio 355 nella basilica
ecclesìa nova (S. Tecla), fatta appositamente costruire
dall'imperatore. L'esito del concilio fu drammatico: il vescovo
cattolico Dionigi fu esiliato e al suo posto la corte impose il
cappadocio Aussenzio, di
lingua greca e credo
ariano. La sua ignoranza del latino suscitò l'ostilità dei
milanesi e il suo insediamento dovette avvenire sotto scorta armata.
Le gerarchie cattoliche lo definirono lapidariamente "faccendiere"
per i suoi stretti rapporti con la corte e addossarono la colpa
dell'esilio di Dionigi alla perfida Eusebia. Perché non attribuirle
anche gli attentati contro Elena?
Nel 360 - Sapore (re dei
Sasanidi; l'Impero sasanide, noto anche come secondo impero persiano
per distinguerlo dal primo impero persiano, l'Impero achemenide, è
stato l'ultimo impero persiano preislamico, governato dalla dinastia
sasanide dal 224 d.C. al 651 d.C.. Ha rappresentato una delle potenze
maggiori in Asia Occidentale insieme all'Impero romano/bizantino,
nella tarda antichità. Nel corso del tempo, l'Impero giunse a
comprendere interamente gli odierni Iran, Iraq, Afghanistan, Siria
orientale, nel Caucaso Armenia, Georgia, Azerbaijan, e Dagestan,
parte dell'Asia Centrale sudoccidentale, parte della Turchia oltre ad
alcune regioni costiere della penisola arabica, la regione del golfo
persico e alcune regioni del Pakistan occidentale. Il nome nativo
dell'Impero sasanide in Persiano Medio è Eran Shahr che significa
Impero ariano, dal sanscrito ariyà, cioè "signore".
È noto che intrattenne rapporti pacifici con la dinastia Tang in
Cina e con l’impero indiano, inoltre giocò un ruolo fondamentale
nella formazione dell'arte medievale sia europea sia asiatica) prese
le fortezze orientali di Singara e Bezabde; Costanzo II,
obbligato a riprendere le ostilità con i Sasanidi, richiese al
cesare Giuliano alcune sue truppe, anche allo scopo di assicurarsi
che non potesse progettare l'usurpazione, ma le truppe galliche si
ribellarono all'idea di essere mandate in oriente e proclamarono
augusto Giuliano, figlio di Giulio Costanzo, che aveva dato valide prove di capacità
militari difendendo la Gallia da vari tentativi d'invasione: fu
l'inizio di una nuova guerra civile. Costanzo decise che la guerra
contro i Sasanidi avesse la precedenza sulla ribellione di Giuliano, e
nella primavera del 360 iniziò la propria campagna orientale,
occupando Edessa e cercando di riprendere Bezabde; l'attacco però
fallì e Costanzo decise di ritirarsi a svernare ad Antiochia di
Siria.
- Nel 360 nell'ambito del cristianesimo, l'arianesimo stava soppiantando quasi del tutto il cattolicesimo niceno di Paolo di Tarso. Sembra infatti che la la dinastia imperiale dei Costanzi fosse di fede ariana, escludendo Giuliano. La stesura della Bibbia in gotico dell'ariano Ulfila, aveva fatto sì che una parte di Visigoti e Ostrogoti si convertisse a quella fede, abbandonando il paganesimo germanico. Longobardi, Alani, Vandali e Burgundi erano già tutti ariani. Nell'impero d'Occidente, sotto gli auspici dei Visigoti, l'arianesimo diverrà la forma di cristianesimo predominante in Spagna, nei Pirenei e in Occitania.
Nel 361 -
Da
QUI:
Costanzo II aveva subìto il fascino e il potere di Eusebia, ma questo non gli impedì di
risposarsi subito per garantirsi la discendenza, e la prescelta fu
Faustina. Era il terzo matrimonio e fu celebrato ad Antiochia. A Costanzo non fu però concesso di conoscere chi lo avrebbe rappresentato fra i posteri, perché morì prima che la moglie desse alla luce, all'inizio del 362,
Flavia Costanza, detta quindi
Postuma.
- Ad Antiochia,
all'inizio dell'anno 361, Costanzo II sposa la quattordicenne
Faustina, sua terza moglie, quindi Eusebia doveva
essere già morta nel 360, forse per una malattia all'utero o a causa
di una medicina datale per curarne l'infertilità. Faustina
(347 - dopo il 365) darà all'imperatore il tanto sospirato erede,
Flavia Massima Faustina Costanza (futura moglie
dell'imperatore Graziano), che però nacque dopo la morte del padre. Quando l'usurpatore Procopio si rivolterà a Graziano nel 365, penserà di garantirsi la lealtà delle truppe tenendo in ostaggio Faustina e la figlia, che presenzieranno sia all'elevazione al trono di Procopio che agli inizi delle sue battaglie; probabilmente pensando di testimoniare così la sua appartenenza alla stirpe costantiniana. Nel 361 l'imperatore Costanzo II riprese inizialmente la campagna sasanide, muovendo su Edessa e da qui su Ierapoli, ma poi riprese la strada per Antiochia, muovendo contro a Giuliano, che col suo esercito stava procedendo verso oriente. Lo scontro fratricida tra gli ultimi due membri della dinastia costantiniana però non avvenne; partito da Tarso in autunno, il 3 novembre, Costanzo II morì per una febbre mentre si trovava ancora in Asia, a Mopsucrenae. Il senato di Roma, con un atto di consecratio, lo divinizzò. Costanzo aveva 44 anni e ne regnava da 24.
-
L'eunuco Eusebio,
praepositus di Costantino I nel 337 e nello stesso anno
passato al servizio del figlio Costanzo II, difese l'arianesimo di
cui era appassionato seguace con ogni mezzo riuscendo a far
convertire molti dei suoi dipendenti cubicularii e persino
l'imperatrice Eusebia. Inviato da Costanzo come ambasciatore per
trattare la riconciliazione con papa Liberio fu poi presente
all'incontro tra l'imperatore e il papa. Entrato in contrasto con
Costanzo Gallo, (325–354 d.C.) cesare d'Oriente e cugino di
Costanzo, riuscì a influenzare il giudizio dell'imperatore fino a
farlo condannare a morte come traditore, riuscendo così ad
incamerare tutti i suoi beni confiscati divenendo così ricchissimo
e sempre più influente nel governo sino a quando Giuliano, cesare
d’Occidente e fratellastro di Costanzo Gallo, nel 360 d.C. fu
acclamato "augusto" dall'esercito. L’imperatore Costanzo
si mosse contro Giuliano, ma morì l’anno dopo così che divenne
imperatore Giuliano detto l'Apostata (331-363 d.C.) che istituì uno
speciale tribunale per giudicare i funzionari corrotti ed Eusebio
riconosciuto autore delle false accuse contro Gallo fu condannato
a morte nel 361 d.C..
Nel 362 - Da QUI: Nasce Flavia Costanza, figlia di Faustina e del defunto Costanzo II, detta quindi Postuma. La sorte di questa piccina pare essere segnata sin dall'infanzia. Orfana di tanto padre, venne strumentalizzata dall'usurpatore Procopio nel 365 per garantirsi il favore dei soldati fedeli alla memoria di Costanzo. Procopio era parente di Basilina, moglie di Giulio Costanzo e madre di Giuliano, e questa parentela con la famiglia regnante lo autorizzava a proclamarsi difensore della discendente imperiale: portava in giro per gli accampamenti su una lettiga la vedova Faustina e la piccina come degli ostaggi. Procopio venne ucciso dall'imperatore Valente, fratello di Valentiniano I, e di Faustina non abbiamo altre notizie; la figlia Costanza venne giocata come pedina dinastica per sancire la continuità tra la discendenza di Costantino e quella del nuovo imperatore Valentiniano I, che nel 374 le imporrà il suo mite figlio Graziano che era stanziato a Treviri, nel nord delle Gallie, l'attuale Trier; nel Land tedesco Renania Palatinato, sul fiume Mosella a circa 15 km dal confine con il Lussemburgo. Ma il viaggio per raggiungere lo sposo a Treviri non fu senza incidenti: “mentre pranzava in una pubblica villa chiamata Pristensis, poco mancò che fosse fatta prigioniera dai Quadi, se per la protezione di una divinità propizia non si fosse trovato sul luogo il governatore della provincia pannonica Messalla, che la fece salire su una carrozza del servizio postale e la ricondusse di gran carriera a Sirmio, lontana da lì ventisei miglia. Così per questo caso fortunato fu sottratta al rischio di una miseranda schiavitù la regale fanciulla, la cui cattura, se non se ne fosse ottenuto il riscatto, avrebbe inferto una grave iattura allo stato romano”. La vita risparmiatale in questa
occasione non fu peraltro né lunga né felice. Dopo aver messo al
mondo nel 379 un maschietto, del quale si ignora persino il nome,
Costanza morì nel 383 e il 12 settembre dello stesso anno la
sua salma fu trasferita nel mausoleo imperiale di Costantinopoli.
- Costanza era la figlia che l'imperatore della dinastia costantiniana Costanzo II aveva avuto dalla terza moglie Faustina, nata dopo la propria morte e fu l'unica sua discendente. Faustina era stata introdotta a corte dall'eunuco Eutropio in un momento di grave difficoltà per Costanzo II, allora privo di figli e probabilmente sterile, considerati i suoi precedenti matrimoni. Non è da escludersi che la determinazione degli eunuchi di vederlo padre, per assicurare a lui, non meno che a se stessi, la continuità dell'imperio, li avesse spinti a dei sotterfugi per rendere gravida Faustina. In seguito Giuliano, ribellatosi a Costanzo e a questi succeduto, permise che moglie e figlia del defunto imperatore rimanessero indisturbate a corte negli anni successivi. Da quando l'usurpatore Procopio si era ribellato nel 365 all'imperatore Graziano, utilizzava Costanza e la madre Faustina per convincere delle truppe di passaggio a disertare in suo favore; la sua strategia era quella di contrapporre al legittimo imperatore Valente le proprie pretese dinastiche, in quanto membro della dinastia costantiniana (sua madre era sorella di Basilina, madre dell'imperatore Giuliano), e il supporto della moglie di Costanzo gli fu prezioso. Si racconta che nel corso di una invasione di Quadi e Iazigi nel 374, poco mancò che Costanza fosse catturata dai barbari inferociti, riuscendo invece a rifugiarsi a Sirmio. E sempre intorno al 374, Costanza sposò l'imperatore Graziano, collegando così la dinastia di Costantino I a quella di Valentiniano I. Si avrà notizia dell'arrivo delle sue spoglie a Costantinopoli nell'agosto del 383
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La campagne di Persia del 363
dell'imperatore Giuliano.
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Nel 363 - L'
imperatore Giuliano (Flavio Claudio Giuliano;
6 novembre 331- Maranga, 26 giugno 363), succeduto a Costanzo II e ricordato come l'
apostata, poiché da
filosofo quale era, aveva rinnegato il cristianesimo (era stato battezzato da bambino e non per volontà sua), inizia la campagna contro la Persia, in cui troverà la morte. Flavio Claudio
Giuliano, figlio di
Giulio Costanzo (fratello,
da parte del padre Costanzo Cloro, di Costantino I) e della sua
seconda moglie Basilina (che apparteneva a una nobile famiglia di
latifondisti della Bitinia; morì qualche mese dopo la sua nascita),
è stato l'
ultimo imperatore dichiaratamente
pagano.
Tentò, senza successo, di riformare e di restaurare la
religione romana vista la sua decadenza di fronte alla diffusione del
cristianesimo.
Membro della dinastia costantiniana (che si affermava
fosse discesa da Claudio il Gotico e dai Flavi), fu Cesare in Gallia
dal 355 e un pronunciamento militare nel 361 seguito dalla morte del cugino Costanzo II, lo resero imperatore fino alla morte,
avvenuta nel 363 durante la campagna militare in Persia. Per
distinguerlo da Didio Giuliano o da Giuliano di Pannonia, usurpatore
dell'imperatore romano Carino nel 283-285 o di Massimiano nel 286, fu
chiamato anche Giuliano II, Giuliano Augusto, Giuliano il Filosofo o
Giuliano l'Apostata dai cristiani, che lo presentarono come un
persecutore ma, per quanto personalmente avverso al cristianesimo,
non ci furono comunque mai persecuzioni anticristiane
(anche se vennero emanate dall'imperatore politiche
discriminatorie contro i cristiani). Giuliano manifestò tolleranza
nei confronti delle altre religioni, compreso l'ebraismo, al punto da
ordinare la ricostruzione del tempio ebraico di Gerusalemme secondo
un programma di ripristino e rafforzamento dei culti religiosi
locali; il tentativo di ricostruzione però venne abbandonato. In
campo fiscale e amministrativo Giuliano aveva proseguito la politica
che aveva tenuto quando governava la Gallia. Ridusse il carico
fiscale, combatté la corruzione burocratica attraverso una più
attenta selezione e cercò di ridare un ruolo all'amministrazione
delle città. Con la morte di Giuliano si estinse la
dinastia degli imperatori costantiniani e si concluse l'ultimo
tentativo di espansione imperiale in Oriente.
Giuliano scrisse numerose opere di carattere filosofico, religioso,
polemico e celebrativo, in molte delle quali criticò il
cristianesimo. La sua ispirazione filosofica era in gran parte
neoplatonica.
- Flavio Claudio Gioviano
(Singidunum, 331 - Dadastana, 17 febbraio 364) è imperatore romano
dal giugno 363 alla sua morte, avvenuta dopo otto mesi. Figlio del
comes domesticorum Varroniano, Gioviano divenne comandante dei
protectores domestici (primicerius) dell'esercito di
Giuliano, dopo le dimissioni del padre. Il 26 giugno 363,
l'imperatore Giuliano era rimasto ucciso in seguito alle ferite
riportate in una battaglia contro i Sasanidi e Gioviano, che "godeva
di una modesta fama per i meriti paterni", venne eletto
(avventatamente a parere di Ammiano Marcellino) imperatore da un
consiglio di comandanti dell'esercito e delle legioni, dopo che la
scelta su Salustio, prefetto del pretorio d'Oriente, di maggiore
esperienza, era stata rifiutata dallo stesso che adduceva motivi di
salute e vecchiaia. Una volta ottenuto il potere, Gioviano,
consapevole della sua inesperienza militare, concluse con l'impero
persiano una pace svantaggiosa per Roma, abbandonando i territori che
Galerio aveva conquistato in Mesopotamia nel 297, comprese le
fortezze di Singara e Nisibi (più altri 15 castelli), e lasciando di
fatto l'Armenia sotto il controllo dell'Impero persiano, che poté
così insediarvi un sovrano vassallo. Tale scelta fu aspramente
criticata dallo storico del tempo Ammiano Marcellino che definì tale
accordo "vergognosissimo" e "ignobile", a cui
sarebbe stato preferibile "affrontare dieci battaglie".
«Tu, Fortuna del mondo romano, sei giustamente accusata a questo
proposito, poiché fra l'imperversare delle catastrofi che
annientavano a raffiche lo stato, ne hai consegnato le redini,
strappate di mano ad una guida esperta [Giuliano] ad un giovane
immaturo, che noto per non essersi mai distinto nella sua vita
precedente in quest'ambito, non è giusto né biasimare né lodare.»
(Ammiano Marcellino, Rerum gestarum libri, XXV, 9, 7). Gioviano
abrogò inoltre i decreti del suo predecessore contrari alla chiesa
cristiana (era egli stesso un cristiano), pur
mantenendo una politica di tolleranza verso tutte le religioni,
attirandosi l'odio e il sospetto dello stesso Ammiano (pagano, noto
per l'appoggio dato a Giuliano), che questi definisce un debole,
succube del Cristianesimo e incapace politicamente (a motivo della
sua età giovane e della mancanza di esperienza). Gioviano morì il
17 febbraio 364, dopo soli otto mesi di regno, probabilmente
avvelenato casualmente dalle esalazioni di un braciere che teneva
nella sua stanza a Dadastana in Bitinia, mentre tornava con
l'esercito dalla disastrosa spedizione militare contro l'Impero
persiano; tra l'altro Ammiano Marcellino riporta che l'opinione
prevalente era che l'imperatore fosse morto per indigestione.
- Da QUI: Alla morte di Costanzo II, l'impero era passato al cugino Giuliano, trafitto a
morte nel 363 da una lancia, che non si seppe mai da quale
esercito fosse stata scagliata.
Gioviano, il protector domesticus (ufficiale delle
guardie palatine) che aveva accompagnato la salma di Costanzo II a
Costantinopoli, assunse le redini dello Stato. Suo suocero
Lucilliano, ritiratosi dalla carriera militare a Sirmio, venne
inviato a Milano come magister equitum et peditum (comandante
supremo della cavalleria e fanteria) per porre rimedio alla
situazione incerta creatasi dopo la morte di Giuliano. Lucilliano
doveva portare con sé persone fidate e la scelta cadde su Seniauco e
Valentiniano. La reazione milanese alla notizia della
morte di Giuliano fu talmente violenta che solo
Valentiniano scampò all'eccidio che ne era seguito. Poi, per un
improvviso colpo di fortuna, colui che poco prima aveva temuto
per la vita si vide innalzare al comando dello Stato quando Gioviano
morì il 17 febbraio 364. Valentiniano I aveva allora quarantatré anni, con un fisico atletico, splendido colore di capelli, occhi azzurri dallo sguardo obliquo e inquietante, statura elevata e tratti armoniosi. Era originario della Pannonia, pagano appena convertito al cristianesimo (indifferente alla distinzione fra cattolici e ariani); Ammiano lo descrive come scrittore dignitoso, di eloquio vivace ed incisivo, pittore e scultore piacevole, inventore di nuove armi, amante dell'eleganza; per controparte aveva un pessimo carattere: autoritario fino alla crudeltà per esigere disciplina e obbedienza, con eccessi di collera incomprensibili per l'educazione classica romana, implacabile e sommario nell'emettere sentenze e affrettare giudizi. Come sede della sua corte aveva inizialmente scelto Milano, dove soggiornò dal novembre 364 alla fine del 365, poi si spostò a Lutetia per dirigere le campagne contro gli Alamanni. I frequenti e micidiali attacchi di febbre cui andava soggetto gli consigliarono di associare alla guida dell'impero, già dal 367, il figlio Graziano di soli otto anni, onde garantire la continuità dinastica in caso di peggioramento delle sue condizioni. Nel discorso che Valentiniano pronuncia nella cerimonia c'è già il ritratto del futuro sfortunato imperatore: "Non è stato educato come noi sin dalla culla a un'inflessibile disciplina, né è maturato nel sostenere le difficoltà... (ma) poiché è stato educato negli studi letterari e nelle discipline che allenano l'intelligenza, esaminerà con retto giudizio il valore delle azioni buone e malvagie; farà in modo che gli onesti sappiano di essere compresi..." (Am. Mar. XXVII 6, 8-9). Poi la corte di spostò a Treviri, e qui entrò in scena Giustina.
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Solidus di Valentiniano I (Cibalae,
Vinkovci in Croazia, 3/07/321 -
Brigetio, 17/11/375). Cristiano,
abbandonò il paganesimo di
Giuliano l'Apostata. Di Siren-Com
-Opera propria, CC BY-SA 3.0: QUI.
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Nel 364 - Dopo la morte di
Gioviano, dopo soli otto mesi di regno, il 23 febbraio l'esercito e
la corte eleggono imperatore Flavius Valentinianus o
Valentiniano I, figlio di Graziano il Vecchio, un prominente
ufficiale di origine pannonica dell'esercito romano con gli
imperatori Costantino I e Costante I. Poco dopo la sua elezione,
Valentiniano I affida le province orientali al fratello minore
Valente e poco dopo associa al potere della parte occidentale
anche il figlio avuto dalla sua prima moglie, Graziano.
Valentiniano, Valente e Graziano erano cristiani, quindi abbandonarono la
politica di Giuliano in campo religioso, mentre sul piano militare,
amministrativo e fiscale, i Valentiniani seguirono invece la linea
del predecessore. Grazie a una nuova politica monetaria, che favoriva
lo scambio fra monete d'oro, d'argento e di bronzo, riuscirono a
frenare l'inflazione galoppante ma dovettero affrontare l'emergenza dei barbari che premevano sui confini della Germania con la costruzione di un poderoso limes che andava dal Mare del Nord, in corrispondenza della foce del Reno, alle Alpi Retiche. Valentiniano, come e ancor più dei suoi predecessori, fece frequente ricorso al reclutamento di mercenari nell'esercito, con il conseguente accesso alle magistrature civili e militari di molti Germani e la graduale "barbarizzazione" dei quadri dell'amministrazione, della burocrazia e dell'esercito.
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Solidus di Flavio Giulio Valente (Cibalae, Vinkovci città della Croazia, 328 - Adrianopoli, 9 agosto 378), imperatore d'Oriente, da: QUI. |
- I
Tervingi (dal 395 chiamati Visigoti) condotti da Atanarico, pur essendone alleati, entrano in
conflitto con l'Impero Romano per appoggiare l'usurpazione di Procopio contro l'imperatore d'Oriente Valente, pianificando una
rivolta. Definito "l'
ultimo vero
romano",
Valente non riuscì a ben governare, tanto da pensare di abdicare e poi suicidarsi a causa di Procopio, che gli si era ribellato autonominandosi imperatore.
Nel 365 - A Costantinopoli, l'usurpatore Procopio è incoronato imperatore. Procopio (Cilicia, 326 - 27
maggio 366), membro della dinastia costantiniana è stato usurpatore
dell'imperatore romano Valente dal 365 alla propria morte. Nativo
della Cilicia, sua madre era sorella di Basilina, madre
dell'imperatore Giuliano, di cui era quindi cugino. Nel 358 Procopio aveva fatto parte
dell'ambasciata condotta da Lucilliano per volere di Costanzo II
presso i Sasanidi e in quel periodo era tribunus e notarius.
Aveva preso parte alla campagna contro i Sasanidi del cugino nel 363:
giunto a Carre, Giuliano aveva affidato parte dell'esercito a
Procopio e Sebastiano con il compito di guidarli verso l'Armenia,
unirsi al re Arsace e ricongiungersi con lui in Assiria. In tale
occasione, l'imperatore aveva concesso al cugino di vestire la veste
imperiale, per ragioni rimaste oscure. Giuliano era morto prima del suo
ritorno e quando Procopio arrivò a Tilsafata, tra Nisibi e Singara,
l'esercito aveva già scelto Gioviano come nuovo augusto. Secondo
Zosimo, Procopio si spogliò della veste imperiale e gli chiese di
congedarsi dall'esercito per potersi dedicare all'agricoltura e
all'amministrazione dei propri beni e si recò quindi con tutta la
famiglia (moglie e figli) a Cesarea di Cappadocia, dove aveva una
proprietà. Secondo Ammiano Marcellino, Procopio si nascose nelle
campagne di Calcedonia per timore di Gioviano e da questa città si
recava nella vicina Costantinopoli in segreto; altre versioni lo
vogliono a supervisionare il trasporto del corpo di Giuliano a Tarso
e il conseguente funerale, per poi nascondersi a Cesarea e riemergere
a Calcedonia, di fronte alla casa del senatore Strategio, affamato e
ignorante degli eventi intercorsi. In ogni caso, Procopio era considerato
da molti il legittimo successore al trono di Giuliano, vista la sua
appartenenza alla dinastia costantiniana. Quando Valente lasciò
Costantinopoli (nell'inverno del 365/366) con l'aiuto dell'eunuco
Eugenio, Procopio corruppe due legioni, armò schiavi e
volontari e prese la capitale, senza spargimento di sangue, tra la
sorpresa degli abitanti, che lo sostennero in odio al patricius
Petronio, suocero dell'imperatore Valente e probabilmente grazie ad una cospirazione di corte. Il 28 settembre 365, Procopio fu incoronato imperatore
dal senato di Costantinopoli e penserà di garantirsi la lealtà delle truppe esponendo Faustina (terza moglie di Costante II) e la figlia Costanza, che presenzieranno sia alla sua all'elevazione che agli inizi delle sue battaglie; probabilmente Procopio pensava così di testimoniare la sua appartenenza alla stirpe costantiniana. Valente rispose muovendosi verso
la Galazia mentre suo fratello Valentiniano I, impegnato in una
campagna contro i Germani, non poté aiutarlo. Procopio mise dei
propri uomini ai posti di comando e per rafforzarsi ulteriormente,
inviò un messaggio al re dei Goti, forse Atanarico, ricordandogli
l'impegno preso con la famiglia di Costanzo. Avendo come ostaggi la
moglie e la figlia di Costanzo II, Faustina e Costanza, riuscì a
convincere alcune truppe di passaggio per Costantinopoli e dirette in
Tracia ad unirsi a lui. Gli andò invece male il tentativo di portare
dalla sua parte le truppe dell'Illiria, nonostante la distribuzione
di monete recanti la sua effigie. Dopo un felice primo scontro contro le
truppe di Valente a Mygdos, le forze di Procopio resistettero a
quelle di Valente a Nicea, Calcedonia ed Elenopoli (Drepano, in Asia
Minore) fino ad abbandonare la Bitinia per fuggire ad Ancyra, da dove
Valente coordinò le azioni militari che gli permisero di mantenere
la posizione. Procopio, nell'inverno del 365/366 raccolse denaro e
truppe progettando una campagna per la primavera seguente. Nel
frattempo però, perdeva l'appoggio di un ex generale di Costanzo,
Flavio Arbizione, che passando dalla parte di Valente gli diede una
ragione da far valere presso i soldati per ribadire i suoi diritti
dinastici. Alcune truppe di Procopio lo abbandonarono prima dello
scontro principale fra i due rivali che mossisi incontro si
mancarono, con l'esercito di Procopio arrivato in Frigia e quello di
Valente in Lidia: fu questi a tornare indietro e a ingaggiare la
decisiva Battaglia di Tiatira. L'esercito di Procopio fu sconfitto e
decisivo fu il tradimento del suo generale Gomoario. Una successiva
sconfitta fu causata dal tradimento del generale Agilone. Senza più
speranze, Procopio fuggì accompagnato da due collaboratori ma fu
tradito anche da costoro e consegnato alle truppe di Valente, che lo
uccisero il 27 maggio 366. Alcune fonti lo danno decapitato
all'istante, insieme ai traditori che lo accompagnavano, altre
affermano che Valente lo fece legare a degli alberi legati fra loro
che, rilasciati, lo squartarono.
|
Damaso, mosaico
in S. Paolo fuori le
mura, a Roma.
|
Nel 366 -
Dopo furiosi
scontri costati 137 morti fra due fazioni cristiane,
Damaso I è l'unico vescovo (quindi papa) di Roma. Damaso I (Roma o Guimarães, 305 ca. - Roma, 11 dicembre 384) fu il 37º papa della Chiesa cattolica, che lo venera come santo. Fu papa dal 1º ottobre 366 alla sua morte. Figlio dell'iberico Antonio (prete aggregato alla chiesa di San Lorenzo) e di una certa Laurentia, si è ritenuto per molto tempo che fosse nato nell'attuale Portogallo, ma ricerche storiche più recenti sembrano indicare che egli possa essere nato a Roma; di certo crebbe a Roma al servizio della chiesa di San Lorenzo martire. Morto papa Liberio il 24 settembre 366, il clero romano si divise in due fazioni: una, favorevole alla politica del defunto antipapa Felice II, del tutto contraria ad ogni accordo con i sostenitori delle teorie ariane (nonostante Felice II fosse ariano), e l'altra, maggioritaria, più conciliante e favorevole ad accordi e compromessi. In due distinte e contemporanee elezioni, i primi, riuniti nella basilica di Santa Maria in Trastevere, elessero e consacrarono frettolosamente
papa il diacono Ursino, mentre i secondi, nella basilica di San Lorenzo in Lucina,
scelsero Damaso, che fu consacrato nella basilica di San Giovanni in Laterano il 1º ottobre 366. Molti dettagli degli avvenimenti che seguirono a questa elezione vennero narrati nel Libellus Precum, una petizione all'autorità civile da parte di Faustino e Marcellino, due presbiteri della fazione di Ursino, e dallo storico pagano
Ammiano Marcellino che così narrava: « L'ardore di Damaso e Ursino
per occupare la sede vescovile superava qualsiasi ambizione umana. Finirono per affrontarsi come due partiti politici,
arrivando allo scontro armato,
con morti e feriti; il prefetto, non essendo in grado di impedire i disordini, preferì non intervenire. Ebbe la meglio Damaso, dopo molti scontri; nella basilica di Sicinnio, dove i cristiani erano riuniti, si contarono 137 morti e dovette passare molto tempo prima che si calmassero gli animi. Non c'è da stupirsi, se si considera lo splendore della città di Roma, che un premio tanto ambito accendesse l'ambizione di uomini maliziosi, determinando lotte feroci e ostinate. Infatti, una volta raggiunto quel posto, si gode in santa pace una fortuna garantita dalle donazioni delle matrone, si va in giro su di un cocchio elegantemente vestiti e si partecipa a banchetti con un lusso superiore a quello imperiale. ». Il prefetto di Roma, di cui parlava Ammiano Marcellino, era un tale Vivenzio Scisciano che attese che si concludessero i disordini per prendere posizione nella contesa: una volta accertata la vittoria del partito di Damaso, esiliò da Roma Ursino. Ma i suoi seguaci non vollero accettare la sconfitta e si rifugiarono nella basilica di Santa Maria Maggiore che i damasiani il 26 ottobre assalirono: si accese una vera e propria battaglia, con le conseguenze citate da Ammiano Marcellino. Riammesso l'anno seguente a Roma, Ursino cercò nuovamente di prendere il posto di Damaso, dando vita ad altri disordini e ricavandone un nuovo esilio per decreto dell'imperatore Valentiniano I. Dalla Gallia prima e da Milano successivamente, tramite un ebreo di nome Isacco, nel 370 fece accusare Damaso di gravi delitti. Fu celebrato un processo che nel 372 assolse il vescovo di Roma, e Ursino, per decreto del nuovo imperatore Graziano, fu definitivamente esiliato a Colonia. Questi contrasti si rifletterono non solo sulla reputazione di Damaso ma anche su quella della Chiesa romana. Molti, sia nella società pagana che in quella cristiana, videro in Damaso un uomo le cui ambizioni terrene erano superiori alle preoccupazioni pastorali. Damaso amava infatti il fasto e gli spettacoli. e non esitava a commissionare grandi opere. Sotto il suo pontificato la residenza papale assunse un aspetto principesco. In un periodo in cui le grandi famiglie di senatori e di benestanti coprivano di doni gli ecclesiastici, la Chiesa iniziò ad accumulare ricchezze e non pochi accusarono i sacerdoti di essere mossi solo da ragioni economiche. In tal senso, un decreto imperiale del 370 proibì agli ecclesiastici di far visita a vedove ed ereditiere per evitare che le inducessero a fare donazioni alla Chiesa. Nel 378, alla corte imperiale sarà mossa
contro Damaso anche un'accusa di adulterio, dalla quale sarà scagionato prima dall'Imperatore Graziano e poco dopo da un sinodo romano di quarantaquattro vescovi, che scomunicherà per giunta i suoi accusatori.
Nel 367 - L'imperatore romano
Valente attacca i goti Tervingi a nord del
Danubio ma non riuscirà a combattere direttamente contro di loro,
apparentemente a causa del fatto che i Goti si erano ritirati sui
Montes Serrorum (probabilmente i Carpazi). Secondo Ammiano
Marcellino, Valente non trovò nessuno con cui combattere (nullum
inveniret quem superare poterat vel terrere) e questo proverebbe
che fuggirono terrorizzati sulle montagne (omnes formidine
perciti... montes petivere Serrorum). Nell'anno seguente
l'inondazione del Danubio impedì ai romani di
attraversarlo. Nel 369 Valente penetrò profondamente in territorio
gotico, vincendo una serie di schermaglie con i Grutungi (e forse
anche con i Tervingi). Il tutto si concluse però con un trattato di
pace.
Nel 368 - Gli
Alemanni travolgono Mogontiacum (Magonza, l'attuale Mainz) e costringono l'imperatore Valentiniano I ad accorrere, insieme al figlio ed augusto Graziano. I due imperatori passano il Reno e si spingono fino al fiume Neckar, dove ottengono un'importante vittoria sulle genti germaniche nei pressi di Solcinium. A Treviri però, a Valentiniano giunge notizia che la
Britannia è stata
devastata da
Pitti,
Attacotti e
Scoti, i quali avevano ucciso i generali Nettarido e Fullofaude. Valentiniano invia quindi in Britannia delle truppe al comando prima di Severo, poi di Giovino e Protervuide ma, di fronte agli insuccessi subiti, decide di inviare nell'isola il
valoroso comes (Conte)
Flavio Teodosio (il Vecchio, padre di Teodosio I) che, sbarcato in Britannia,
riuscìrà a porre fine alle incursioni annientando gli invasori e ripristinando la pace. Vinti gli incursori, ripristinata la pace, Teodosio riuscì persino a recuperare alcuni territori persi in precedenza, costituendo una nuova provincia romana che prese il nome di Valentia in onore di Valentiniano I. Il futuro usurpatore Magno
Massimo combattè con Teodosio il Vecchio nella campagna in Britannia, distinguendosi per le sue qualità militari contro i Pitti.
Nel 369 - Mentre i suoi generali si spingevano nei territori dei Goti a nord, l'imperatore romano d'oriente Valente, per domare la rivolta degli ex alleati goti Tervingi (poi chiamati Visigoti), di cui era re Atanarico, decide di passare il Danubio in Dobrugia (regione situata tra il Danubio e il Mar Nero), nei pressi di Noviodunum, avendone ragione. Atanarico, pur essendo stato sconfitto, riuscì a negoziare una pace favorevole grazie al fatto che si era ritirato sui Carpazi, fuori dall'impero e furono così solamente sospesi i precedenti accordi conclusi con Costantino nel 332, basati sui sussidi (o tributi) offerti dai Romani in cambio di contingenti mercenari, stabilità nella regione e scambi commerciali. I goti Tervingi (poi chiamati Visigoti) che erano pagani della tradizione mitologica scandinava, che erano la maggioranza, riconoscevano come loro capo
Atanarico, mentre la parte che si era convertita al Cristianesimo di
credo ariano, promosso da Ulfila, faceva capo a Fritigerno, per cui i goti Tervingi (poi chiamati Visigoti) facevano capo ai due condottieri in base al loro culto. Lo stesso vescovo Ulfila aveva
intrapreso la messa per iscritto della Bibbia, che divenne così il
primo testo in lingua gotica e la più estesa testimonianza delle
lingue germaniche antiche. Valente decise infine di fermarsi nella
Dobrugia, per migliorare le fortificazioni lungo il tratto del basso
corso danubiano.
- Da
QUI: La cristiana di fede
ariana Giustina, che aveva solo
dodici anni quando il padre Giusto, governatore del Piceno, l'aveva
consegnata nel 352 al cinquantenne usurpatore
Magno Magnenzio, ricompare come
signora dei
palazzi imperiali di Treviri nel 369, quando diventa la legittima
consorte dell'imperatore
Valentiniano I. E' la seconda volta che assurge al vertice del potere sposando un generale, lei che era verosimilmente
appartenente alla
dinastia costantiniana, probabilmente tramite
sua madre che potrebbe essere stata o figlia di Crispo, il primogenito di Costantino I (anche se identità e destino del figlio di Crispo ed Elena non sono noti; è stato proposto comunque che fosse una femmina e che fosse la madre dell'imperatrice Giustina da Harlow e altri) o di Giulio Costanzo (fratellastro di Costantino). È noto che Giustina avesse due fratelli, Costanziano e Cereale, entrambi ufficiali sotto Valentiniano I. L'unione aveva fatto scandalo, perché
Valentiniano era ancora sposato con Marina Severa, che ripudiò in
favore di questa avvenente ventenne, tradizionalmente legata al suo
stesso partito politico. La storia della
Chiesa non ha potuto
accettare che il
padre del mite e
cattolico Graziano
fosse stato
bigamo ed ha quindi elaborato la leggenda che
Giustina, essendo rimasta orfana e vedova a tredici anni, avesse
fatto l'ancella di Marina Severa. L'imperatrice, colpita dalla
perfezione del suo corpo, ne avrebbe parlato in maniera entusiasta al
marito, che avrebbe promulgato una legge per ammettere il concubinato
per gli imperatori (Paredi, p. 147). Secondo alcune fonti Giustina
divenne la
concubina di Valentiniano I nel
363 e ne
suggestionò le decisioni a favore del
vescovo ariano
Aussenzio nel 364. Secondo altri l'unione ebbe luogo nel 369 a
Treviri.
Giustina (probabilmente 340 - 388) è
stata un'imperatrice romana, seconda moglie dell'imperatore romano
Valentiniano I e la madre del futuro imperatore Valentiniano II,
oltre che di Galla, Grata e Giusta. Era la figlia di Giusto,
governatore di Picenum sotto Costanzo II, che l'imperatore aveva
fatto uccidere in quanto, come racconta Socrate Scolastico, il
governatore fece un sogno che l'imperatore interpretò come un
presagio di rivolta.
Nel 371 - Nasce Valentiniano II, uno dei figli che l'imperatore Valentiniano I aveva avuto dalla sua seconda moglie, la cristiana ariana Giustina, insieme alle sorelle Galla, Grata e Giusta. Era il secondo figlio maschio di Valentiniano, che aveva già avuto Graziano da un precedente matrimonio.
Nel 374 -
Sappiamo che avvenne l'
uccisione a tradimento, dopo un banchetto, del
capo dei suebi Quadi, Gabinio, da parte del prefetto del pretorio delle Gallie, Massimino, che rese furiosi non solo i Quadi, ma molte altre popolazioni a loro vicine (come gli
Iazigi ed i
Vandali), che insieme
inviarono squadre di saccheggiatori a sud del Danubio
in territorio romano. Furono così senza alcun preavviso assaliti i contadini impegnati nel raccolto delle messi, molti dei quali furono sterminati mentre altri furono fatti prigionieri e condotti con molti animali di ogni tipo nei loro territori. Poco mancò che anche la stessa figlia dell'imperatore Costanzo II, Flavia Massima Faustina Costanza, venisse catturata dai barbari inferociti, riuscendo invece a rifugiarsi a Sirmio.
|
Ambrogio di Milano.
|
- Il 7 dicembre 374
Ambrogio è nominato
vescovo di
Milano. Aurelio Ambrogio, meglio conosciuto come
sant'Ambrogio (Treviri, 339/340 - Milano, 397) è stato un vescovo,
scrittore e santo romano, una delle personalità più importanti
nella Chiesa del IV secolo. È venerato come santo da tutte le Chiese
cristiane che prevedono il culto dei santi; in particolare, la Chiesa
cattolica lo annovera tra i quattro massimi dottori della Chiesa
d'Occidente, insieme a san Girolamo, sant'Agostino e san Gregorio I
papa. Conosciuto anche come Ambrogio di Treviri, città in cui era
nato e in cui il padre esercitava la carica di prefetto del pretorio
delle Gallie, intorno al 339 circa, proveniva da un'illustre
famiglia
romana di rango
senatoriale, la
gens Aurelia, cui la famiglia materna
apparteneva inoltre al ramo dei Simmaci. La famiglia di Ambrogio, a
cui apparteneva Santa Sotere, martire cristiana, Marcellina e Satiro
di Milano, risultava convertita al cristianesimo già da alcune
generazioni. Destinato alla carriera amministrativa sulle orme del
padre, dopo la sua prematura morte frequentò le migliori scuole di
Roma, dove compì i tradizionali studi del
trivium e del
quadrivium
(imparò il greco e studiò diritto, letteratura e retorica),
partecipando poi attivamente alla vita pubblica dell'Urbe. Dopo
cinque anni di avvocatura esercitati presso Sirmio (l'odierna Sremska
Mitrovica, in Serbia), nella Pannonia Inferiore, nel 370 fu
incaricato quale governatore dell'Italia Annonaria per la provincia
romana Aemilia et Liguria, con sede a Milano, dove divenne una figura
di rilievo nella corte dell'imperatore Valentiniano I. La sua abilità
di funzionario nel dirimere pacificamente i forti contrasti tra
ariani e cattolici gli era valso un largo apprezzamento da parte dei
cattolici e tutta la
sua opera finì per far
primeggiare il
cattolicesimo sull'arianesimo, grazie alla sua
influenza sugli
imperatori, in particolare Graziano e Teodosio. Nel 374, alla morte
del vescovo ariano Aussenzio di Milano, il delicato equilibrio tra le
due fazioni sembrò precipitare. Il biografo Paolino racconta che
Ambrogio, preoccupato di sedare il popolo in rivolta per la
designazione del nuovo vescovo, si recò in chiesa, dove
all'improvviso si sarebbe sentita la voce di un bambino urlare
«Ambrogio vescovo!», a cui si unì quella unanime della folla
radunata nella chiesa. I milanesi volevano un cattolico come nuovo
vescovo. Ambrogio però rifiutò decisamente l'incarico, sentendosi
impreparato: come era in uso presso alcune famiglie cristiane
all'epoca, egli non aveva ancora ricevuto il battesimo, né aveva
affrontato studi di teologia. Ma alla fine accettò l'incarico,
considerando che fosse questa la volontà di Dio nei suoi confronti e
decise di farsi battezzare: nel giro di sette giorni ricevette il
battesimo nel battistero di Santo Stefano alle Fonti a Milano e venne
ordinato vescovo. Conosciuto comunemente come Ambrogio di Milano, la
città di cui assieme a san Carlo Borromeo e san Galdino è patrono e
della quale è stato vescovo dal 374 fino alla morte, le sue spoglie
sono conservate a Milano, nella basilica a lui dedicata.
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