chiamate in soccorso dai celti Sequani. I Suebi stavano poi per conquistare la Gallia intera, quando nel 58 a.C. intervenne Cesare, che ricacciò Ariovisto e i suoi oltre il Reno, passò due volte il fiume (55 e 53), e ne fece la linea di confine fra l'impero e i Germani, che furono da allora in relazione con i Romani. La Svevia
(in latino Suēbĭa, in tedesco Schwaben o Schwabenland) è una regione storica e linguistica della Germania e i
, furono una popolazione germanica che oltre duemila anni fa si era originata in un'area vicina al Mar Baltico, che era conosciuto dai Romani come
. In parte a causa della sua scarsa conoscenza con i diversi popoli germanici che interagirono con Roma, lo storico Tacito si è riferito a tutti i Germani dell'Elba con il nome di Herminones o Suebi, probabilmente semplificando notevolmente una realtà fatta di tribù non sempre strettamente affini.
Nel 68 a.C. - Dopo la morte della prima moglie, Cornelia Cinna minore, Gaio
Giulio Cesare sposa Pompea Silla (I secolo a.C. -
...), figlia di Gneo Pompeo Rufo (figlio di Quinto Pompeo Rufo) e di
Cornelia Silla, una delle figlie di Silla, da cui non avrà figli.
Dal 65 a.C. - Roma conquista l'impero seleucide e l'Egitto, estinguendo così le ultime dinastie di stirpe macedone che si erano instaurate in quei territori come conseguenza della spartizione dell'impero di Alessandro Magno. La guerra di conquista terminerà nel 30 a.C..
Nel 63 a.C. - Giulio Cesare è eletto pontefice massimo, dopo la morte di Quinto Cecilio Metello Pio, che era stato nominato da Silla. Cesare, per quanto scettico, si era battuto perché il pontificato tornasse a essere, dopo la riforma sillana, una carica elettiva e comprendeva perfettamente quale aspetto avrebbe avuto la sua figura se insignita della carica di tutore del diritto e del culto romano. A sfidarlo c'erano però rappresentanti della fazione degli optimates molto più anziani e già da tempo giunti al culmine del cursus honorum, quali Quinto Lutazio Catulo e Publio Servilio Vatia Isaurico. Cesare allora, aiutato anche da Marco Licinio Crasso, si procurò grandi somme di denaro che usò per corrompere l'elettorato e fu dunque costretto a pagare un prezzo altissimo per la sua elezione: il giorno del voto, uscendo di casa, promise infatti alla madre che ella lo avrebbe rivisto pontefice oppure esule. La nettissima vittoria di Cesare gettò nel panico gli optimates, mentre costituì per il neoeletto pontefice una nuova acquisizione di prestigio, in grado di assicurargli la nomina a pretore per l'anno seguente. Con Giulio Cesare il numero dei Pontefici passerà da 9 a 16 e per evidenziare l'importanza della sua carica, lasciò la casa natale nella Suburra per trasferirsi sulla via Sacra, cominciando ad attuare una politica volta ad accattivarsi anche le simpatie di Pompeo Magno, mentre la moglie Pompea Silla lo seguirà nell'abitazione consacrata al capo del collegio sacerdotale sulla via Sacra.
- Nello stesso 63 a.C. irrompe sulla scena politica Lucio Sergio Catilina. Nobile decaduto, tentò più volte di impadronirsi del potere, organizzando una prima congiura nel 66 o nel 65 a.C., a cui Cesare aveva preso probabilmente parte. La congiura, che avrebbe portato all'elezione di Crasso come dittatore e dello stesso Cesare come suo magister equitum, fallì per l'improvviso abbandono del progetto da parte di Crasso o forse perché Cesare si rifiutò di dare il segnale convenuto che avrebbe dovuto dare inizio al programmato assalto al Senato.
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Cesare Maccari: "Cicerone accusa Catilina" (1880) a Palazzo Madama. |
Quando nel 63 a.C. la seconda congiura di Catilina è scoperta da Marco Tullio Cicerone (pur non avendo prove certe) , Lucio Vezio, amico di Catilina, fa i nomi di alcuni congiurati, includendo tra essi anche Cesare. Questi sarà scagionato dalle accuse grazie al tempestivo intervento di Cicerone, ma resta assai probabile che avesse partecipato, almeno inizialmente, anche a questa seconda congiura. Ad avvalorare l'ipotesi è il discorso che lo stesso Cesare pronunciò in senato in difesa dei congiurati Lentulo e Cetego: dopo la sua fuga, Catilina aveva lasciato a loro le redini della congiura, ma i due erano stati scoperti grazie a un abile piano congegnato da Cicerone, principale accusatore di Catilina e responsabile del fallimento della congiura. Discutendo sulla pena cui condannare Lentulo e Cetego, molti senatori avevano proposto la condanna a morte; Cesare, invitando tutti a non prendere decisioni avventate e dettate dalla paura, propose invece di confinare i congiurati e di confiscare i loro beni. Il discorso di Cesare, che aveva convinto molti senatori, fu però seguito da un altro, molto acceso, pronunciato da Marco Porcio Catone Uticense, che riuscì a reindirizzare il senato verso la condanna a morte dei congiurati. Lentulo e Cetego furono quindi condannati a morte senza che gli fosse concessa la
provocatio ad populum. Il
discorso di Cesare, grazie al quale egli si presentò come un uomo saggio e poco vendicativo, fu molto
gradito al popolo; è però probabile che con le sue parole il futuro dittatore tentasse anche di salvare dalla morte amici e compagni politici con i quali aveva indubbiamente collaborato.
- Nel 63 a.C.
nasce a Roma
Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto (Roma, 23 settembre 63 a.C. - Nola, 19 agosto 14), figlio di Gaio Ottavio, uomo d'affari che aveva ottenuto, primo della gens Octavia (ricca famiglia di
Velitrae-Velletri), cariche pubbliche e un posto in Senato (era quindi un
homo novus). La madre, Azia maggiore, proveniva invece da una famiglia da parecchie generazioni di rango senatorio e dagli illustri natali: era infatti imparentata sia con Cesare sia con Gneo Pompeo Magno. Azia era più precisamente la figlia della sorella di Cesare, Giulia minore, e di Marco Azio Balbo;
Ottaviano, pertanto, era
pronipote di Cesare. Nacque a Roma nove giorni prima delle Calende di ottobre prima dell'alba, in quella parte del Palatino denominata
ad Capita Bubula («teste di bue»), dove dopo la sua morte venne costruito un santuario a lui dedicato. In seguito si trasferì, sempre sul Palatino, in una casa ugualmente modesta di non grande ampiezza e priva di lusso, visto che le colonne dei suoi portici piuttosto basse, erano di pietra del monte Albano, mentre nelle stanze non c'era né marmo, né mosaici. Dormì nella stessa camera per più di quarant'anni, anche d'inverno, sebbene considerasse poco adatto alla sua salute il clima invernale di Roma. Il suo nome alla nascita era Gaio Ottavio, cui fu aggiunto Turino quando era fanciullo (
Gaius Octavius Thurinus), soprannome in ricordo di suo padre Ottavio, vittorioso contro gli schiavi fuggitivi (i resti delle bande di Spartaco e di Catilina) nella regione di Thurii, città panellenica fondata nel 444 a.C. accanto alle rovine dell'antica Sibari i cui resti si trovano nei pressi di Cassano allo Ionio, in provincia di Cosenza.
“...Per dimostrare che veramente fu soprannominato Turino potrebbe bastarmi segnalare la scoperta che ho fatto di un'antica statuetta di bronzo, che lo rappresenta ancora fanciullo, sulla quale è inciso in lettere di ferro, quasi cancellate dal tempo, questo soprannome: ho fatto dono della statuetta all'imperatore che la conserva nella sua camera da letto e la onora tra gli dei Lari. Ma anche M. Antonio, nelle sue lettere, lo chiama spesso, con disprezzo. «Turino» e Ottavio si limita a rispondergli di meravigliarsi che gli si getti in faccia come un insulto il suo primo appellativo. Più tardi egli prese il nome di Gaio Cesare e quindi il soprannome di Augusto: il primo in virtù del testamento del suo prozio, il secondo su mozione di Munazio Planco. Alcuni volevano addirittura, come se fosse anche lui fondatore della città, che lo si chiamasse Romolo, ma alla fine prevalse il soprannome di Augusto, sia per la sua novità, sia per la sua grandiosità. Il termine, derivato tanto da «auctus» quanto da «avium gestus» o «gustus» si applica ugualmente ai luoghi santificati dalla tradizione religiosa nei quali si faceva una qualsiasi consacrazione, dopo aver preso gli auspici, come dicono anche i versi di Ennio: «Dopo che l'illustre Roma fu fondata sotto augusti auspici.»” (Svetonio: Vita dei Cesari, Libro II, Augusto, 7)
Nel 61 a.C. - Gaio Giulio Cesare è eletto pretore, magistrato romano dotato di imperium e iurisdictio. L'attività del Praetor si concretizzava nella concessione dell'actio, cioè lo strumento con cui si permetteva ad un cittadino romano che chiedeva tutela, nel caso in cui non ci fosse una lex che prevedesse la tutela, di agire in giudizio, e portare quindi la situazione dinanzi al magistrato. Scriveva Svetonio: “Sempre come questore gli fu assegnata la Spagna Ulteriore; qui, con delega del pretore, percorse i luoghi di riunione per amministrare la giustizia, finché giunse a Cadice dove, vista la statua di Alessandro Magno presso il tempio di Ercole, si mise a piangere, quasi vergognandosi della sua inettitudine. Pensava infatti di non aver fatto nulla di memorabile all'età in cui Alessandro aveva già sottomesso il mondo intero. Allora chiese subito un incarico a Roma per cogliere al più presto l'occasione di compiere grandi imprese. Nello stesso tempo, turbato da un sogno della notte precedente (aveva sognato infatti di violentare sua madre) fu incitato a nutrire le più grandi speranze dagli stessi indovini che gli vaticinarono il dominio del mondo quando gli spiegarono che la madre, che aveva visto giacere sotto di lui, altro non era che la terra stessa, considerata appunto madre di tutti.”(Svetonio, Vite dei Cesari, Cesare, 7). Cesare fu quindi governatore della provincia della Spagna ulteriore, dove condusse operazioni contro i Lusitani; acclamato imperator, gli fu tributato il trionfo una volta tornato a Roma. Cesare fu tuttavia costretto a rinunciarvi, in quanto per celebrare il trionfo avrebbe dovuto mantenere le sue vesti di militare e restare fuori dalla città di Roma: il propretore chiese dunque al senato il permesso di candidarsi al consolato in absentia, attraverso i suoi legati, ma Catone l'Uticense fece in modo che la richiesta fosse respinta. Cesare, posto di fronte a una scelta particolarmente importante per la sua carriera futura, preferì dunque salire il gradino successivo del cursus honorum e candidatosi nel 60 a.C. fu eletto console per l'anno 59 a.C..
- Plutarco in Vite Parallele, precisa di non voler essere uno storico ma un biografo e che non cerca di stilare un elenco di episodi a cui un personaggio storico ha partecipato ma è interessato invece a svelare comportamenti che rivelino la forma mentis del soggetto stesso. Su Cesare scrive: "Egli prima di tutto elargì senza risparmio denaro e beneficenza. Così dava a vedere di non voler ottenere dalle spedizioni di guerra ricchezze che servissero al suo lusso e al suo benessere personale, ma metteva da parte e conservava per premiare chiunque compisse un atto di valore: la sua parte di ricchezza consisteva in ciò che dava ai suoi soldati meritevoli. In secondo luogo si sottopose di sua volontà ad ogni loro rischio e non si sottrasse a nessuna delle loro fatiche. Che amasse il pericolo non stupiva i suoi uomini perché sapevano quanto era ambizioso; ma la sua resistenza ai disagi superiore alla forza apparente del suo corpo li meravigliava. Cesare era di costituzione fisica asciutta di carnagione bianca e delicata; subiva frequenti mal di testa e andava soggetto ad attacchi di epilessia: la prima manifestazione l’ebbe, sembra, a Cordova. Eppure non sfruttò la sua debolezza come un pretesto per essere trattato con riguardo; al contrario fece del servizio militare una cura della propria debolezza. Compiendo lunghe marce consumando pasti frugali dormendo costantemente a cielo aperto, sottoponendosi ad ogni genere di disagi, combatté i suoi malanni e serbò il suo corpo ben difeso dai loro assalti. Si coricava la maggior parte delle notti su qualche veicolo e nella lettiga, sfruttando il riposo per fare qualcosa. Durante il giorno si faceva portare in visita alle guarnigioni, alle città, agli accampamenti ed aveva seduto al fianco uno schiavo che era abituato a scrivere sotto dettatura anche in viaggio, e dietro, in piedi, un soldato con la spada sguainata." (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare, 32). E ancora: "Si alleò con Crasso, il più ricco dei Romani: Cesare, che aveva ottenuto la provincia di Spagna (nel 61 a.C. Cesare divenne governatore della Spagna ulteriore, N.d.R.), non poteva partire prima di aver saldato i suoi debiti, mentre Crasso aveva bisogno dell’energia e della passione di Cesare per la sua lotta contro Pompeo. Crasso accettò di pagare i creditori più pressanti e inflessibili e diede garanzie per 830 talenti e così Cesare poté partire per la provincia (un talento a Roma valeva 32,3 kg di metallo prezioso, N.d.R.). Nell’attraversare le Alpi, passando per un villaggio barbaro molto povero, di fronte agli amici che scherzando gli dicevano: "Anche qui ci sono ambizioni per arrivare al potere e contese per ottenere il promo posto e invidie dei potenti tra loro?" e Cesare, parlando sul serio, disse loro: "Vorrei essere il primo tra costoro piuttosto che il secondo a Roma". Un’altra volta, in Spagna, leggendo un libro sulle imprese di Alessandro, pianse e agli amici diceva: "Non vi pare che valga la pena di addolorarsi se Alessandro alla mia età già regnava su tante persone, mentre io non ho ancora fatto nulla di notevole?"... Riconciliò Pompeo con Crasso, che avevano il massimo potere, e da nemici li fece diventare amici e convogliò su di sé la potenza di ambedue. Non fu la discordia di Cesare e Pompeo che diede origine alle guerre civili, ma piuttosto la loro concordia, giacché si coalizzarono dapprima per distruggere l’aristocrazia e poi, allo stesso modo, litigarono tra di loro. (Plutarco, Vite Parallele, Vita di Cesare 11 e 13).
- Nel 61 a.C. la seconda moglie di Cesare, Pompea Silla, è protagonista di un clamoroso scandalo dai contorni farseschi; la notte tra il 4 e il 5 dicembre, si festeggiavano, in onore della Bona Dea, i Damia: i riti, che quell'anno si svolgevano nella casa di Cesare, pontefice massimo e neoeletto pretore, erano interdetti agli uomini e officiati dalle sole donne. Clodio, amante della moglie di Cesare, Pompea, decise di intrufolarsi nella casa mentre erano in corso i preparativi per la festa: travestitosi da flautista per mantenere nascosta la propria identità, fu accolto da un'ancella di Pompea, di nome Abra, che era al corrente della relazione. Tuttavia, quando Abra si allontanò per avvisare Pompea dell'arrivo dell'amante, Clodio fu scoperto da un'altra ancella: al suo grido, accorsero le altre donne presenti in casa, e la madre di Cesare Aurelia Cotta, che coordinava i preparativi, scacciò Clodio. Non sono chiare le motivazioni che indussero Clodio a compiere un simile atto: non sembra sufficiente il semplice ricorso alla relazione amorosa con Pompea, ma si pensa piuttosto ad una bravata giovanile o ad un atto di sfida contro il console Cicerone, cui l'anno prima era stato rivolto, secondo le vestali, un auspicio favorevole dalla Bona Dea. La vicenda non ebbe, in principio, grandi conseguenze; lo stesso Cicerone, anzi, ne parlava così in una lettera all'amico Tito Pomponio Attico: «Publio Clodio, figlio di Appio, fu colto in casa di Gaio Cesare mentre si compiva il sacrificio rituale per il popolo, in abito da donna, e riuscì a fuggire solo grazie all'aiuto di una servetta; grave scandalo; sono sicuro che anche tu ne sarai indignato.» (Cicerone, Lettere ad Attico, I, 12, 3; trad. di C. Vitali, Zanichelli.). Il giorno seguente in tutta Roma non si parlava d'altro. Cesare ripudiò Pompea. Tuttavia nel processo che seguì, citato come testimone rifiutò di deporre contro Clodio e si dichiarò convinto dell'innocenza della moglie. Quando i giudici gli chiesero perché avesse allora divorziato, rispose con la famosa frase divenuta poi proverbiale: "La moglie di Cesare deve essere al di sopra di ogni sospetto".
Publio Clodio Pulcro (Roma, 93 o 92 a.C. - Bovillae, 18 gennaio 52 a.C.) è stato un esponente dell'importante gens aristocratica dei Claudii, che vantava fra i propri antenati personaggi illustri come Appio Claudio Cieco. Si avvicinò, fin da giovane, alla politica della fazione dei populares, e si rese in più casi colpevole di atti di sovversione e corruzione. In occasione della congiura di Catilina, nel 63 a.C., collaborò con il console Marco Tullio Cicerone, che tuttavia testimoniò contro di lui nel 61 a.C., durante il processo per lo scandalo della Bona Dea, processo nel quale fu tuttavia assolto perché i giurati che avrebbero dovuto emettere la decisione furono corrotti dal ricco e potente Crasso. Deciso a perpetrare la propria vendetta, Clodio si fece adottare da una famiglia plebea e così, effettuata la transitio ad plebem, poté essere eletto tribuno della plebe per il 58 a.C.. Fu dunque promotore di un'attività legislativa particolarmente intensa, propose e fece approvare una serie di plebisciti che contribuirono nel complesso a indebolire il senato a favore delle assemblee popolari e determinò, tra l'altro, l'esilio di Marco Tullio Cicerone nel 58 a.C., dovuto all'emanazione della legge retroattiva che puniva coloro che non avessero concesso ai condannati a morte la provocatio ad populum prima di essere giustiziati (nel suo caso specifico Lentulo e Cetego).
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Marco Licinio Crasso da QUI. |
Nel 60 a.C. -
Primo triumvirato, accordo privato mantenuto segreto per un po' di tempo come parte del progetto politico dei Triumviri per la spartizione del potere fra
Gaio Giulio Cesare e
Gneo (pronuncia G dura di "ghianda")
Pompeo Magno con
Marco Licinio Crasso, quest'ultimi colleghi consoli nel 70 a.C., quando avevano emanato una legge per il completo ripristino dei poteri dei tribuni della plebe (Lucio Cornelio Silla aveva di fatto tolto tutti i poteri ai tribuni della plebe ad eccezione dello
ius auxiliandi, il diritto di aiutare un plebeo in caso di persecuzioni da parte di un magistrato patrizio) ma che fino a quel momento avevano avuto una notevole antipatia reciproca, giacché ognuno riteneva che l'altro avesse superato i propri limiti per aumentare la sua reputazione a spese del collega. Il primo triumvirato ebbe notevolissime ripercussioni sulla vita politica, dettandone gli sviluppi per quasi dieci anni e segnò l'
inizio dell'ascesa politica di
Gaio Giulio Cesare.
Crasso era l'uomo più ricco di Roma (aveva infatti finanziato la campagna elettorale di Cesare per il consolato) ed era un esponente di spicco della classe dei cavalieri. Pompeo, dopo aver brillantemente risolto la guerra in Oriente contro Mitridate e i suoi alleati, era il generale con più successi alle spalle. Il rapporto tra Crasso e Pompeo non era dei più idilliaci, ma Cesare con la sua fine abilità diplomatica seppe riappacificarli, vedendo in un'alleanza tra i due l'unico modo in cui egli stesso avrebbe potuto raggiungere i vertici del potere. Crasso serbava infatti verso Pompeo un certo rancore da quando aveva celebrato il trionfo per la guerra contro Sertorio in Spagna e la vittoria contro gli schiavi ribelli che, soffocata la rivolta di Spartaco, cercavano di fuggire dall'Italia per attraversare l'arco alpino. Ogni merito era andato a Pompeo, mentre Crasso, vero artefice della sofferta vittoria su Spartaco, aveva potuto celebrare soltanto un'ovazione.
Pompeo avrebbe dovuto sostenere la candidatura al consolato di Cesare, mentre Crasso l'avrebbe dovuta finanziare. In cambio di quest'appoggio, Cesare avrebbe fatto in modo che ai veterani di Pompeo venissero distribuite delle terre, e che il Senato ratificasse i provvedimenti presi da Pompeo in Oriente. Al contempo, com'era desiderio di Crasso e dei cavalieri, fu ridotto di un terzo il canone d'appalto delle imposte della provincia d'Asia. A rinsaldare ulteriormente quanto previsto dal triumvirato, Pompeo sposò Giulia, la figlia di Cesare.
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Nel 1553 a Roma, nel vicolo dei Leutari, presso il Palazzo della Cancelleria, è stata rinvenuta casualmente, sotto le fondamenta di due modeste case, la grande statua di Gneo Pompeo Magno, la stessa scultura che si trovava nella curia di Pompeo e ai piedi della quale Cesare cadde ucciso dai congiurati. Svetonio racconta che Augusto fece spostare la statua fuori della curia per farla collocare di fronte alla propria basilica. Secondo alcuni esperti la zona corrisponde al ritrovamento. |
Nel 59 a.C. - Nell'anno del suo
consolato,
Cesare porta al servizio dell'alleanza la sua popolarità politica e il suo prestigio e si adopera per portare avanti le
riforme concordate con gli altri
triumviri. Nonostante la forte opposizione del collega Marco Calpurnio Bibulo, che tentò in ogni modo di ostacolare le sue iniziative,
Cesare ottenne comunque la
ridistribuzione degli appezzamenti di
ager publicus per i veterani di
Pompeo, ma anche per alcuni dei
cittadini meno abbienti. Bibulo, una volta accortosi del fallimento della sua sterile politica volta esclusivamente alla conservazione dei privilegi da parte della nobilitas senatoriale, si ritirò dalla vita politica: in questo modo pensava di frenare l'attività del collega, che invece poté attuare in tutta tranquillità il suo
rivoluzionario programma. Cesare infatti programmò la
fondazione di nuove colonie in Italia e per tutelare i provinciali riformò le leggi sui reati di concussione (l
ex Iulia de repetundis), facendo approvare allo stesso tempo delle leggi che favorissero l'
ordo equestris: con la
lex de publicanis egli ridusse di un terzo la somma di denaro che i cavalieri dovevano pagare allo stato, favorendo così le loro attività. Fece infine promulgare una legge che
imponeva al senato di stilare le relazioni di ogni seduta (gli
acta senatus). In questo modo Cesare si assicurava l'
appoggio di tutta la popolazione romana, ponendo le basi per il suo futuro successo.
- Nel 59 a.C., anno del suo primo consolato, Gaio Giulio Cesare sposa la sua terza e ultima moglie, Calpurnia Pisone (75 a.C. - dopo il 44 a.C.), figlia del senatore Lucio Calpurnio Pisone Cesonino. L'anno successivo al matrimonio, Cesare fece in modo di far diventare console il suocero Pisone. In precedenza, Cesare era stato sposato con Pompea, ripudiata nel 62 a.C., e prima ancora con Cornelia Cinna minore, morta di parto nel 68 a.C. Da Calpurnia Cesare non ebbe nessun figlio e che si sappia, gli unici figli di Cesare sono stati Giulia da Cornelia Cinna minore e Cesarione (Tolomeo XV) da Cleopatra. Secondo la testimonianza di Plutarco, dopo la morte del marito Calpurnia consegnò a Marco Antonio gli scritti, gli appunti e tutte le ricchezze di Cesare, che ammontavano a 300 talenti (un talento a Roma valeva 32,3 kg di metallo prezioso, N.d.R.).
- Un talento (in latino talentum, in greco antico τάλαντον, "talanton" col significato di 'scala, bilancia, somma') era un'antica unità di misura della massa. Era un peso di riferimento per il commercio, nonché una misura di valore pari alla corrispondente quantità di metallo prezioso. Si parla del talento nell'Iliade, quando Achille dà mezzo talento d'oro ad Antiloco come premio e nella Bibbia, in particolare nei Libri delle Cronache, ad esempio quando sono citati i talenti d'oro, d'argento, di bronzo e di ferro, donati per l'edificazione del primo tempio di Gerusalemme. La quantità di massa di un talento era diversa tra i diversi popoli: in Grecia il talento attico corrispondeva a 26 kg, a Roma valeva 32,3 kg, in Egitto 27 kg e a Babilonia 30,3 kg. Gli Ebrei e altri popoli orientali usavano il talento babilonese, anche se nel tempo ne modificarono la quantità: al tempo del Nuovo Testamento il peso del talento era di 58,9 kg.
- Nel 59 a.C., a circa a quattro anni, Ottaviano perde il padre mentre Gneo Pompeo Magno sposa Giulia (Iulia, 76 a.C. - 54 a.C.), figlia di Gaio Giulio Cesare e della sua prima moglie Cornelia Cinna minore, conosciuta come Giulia minore (Iulia minor) per distinguerla dalla zia Giulia maggiore, sorella di Cesare e nonna di Ottaviano. Giulia era rimasta orfana della madre nel 69 o 68 a.C., ed era stata educata dalla nonna Aurelia Cotta, madre di Cesare. Dopo una prima promessa di matrimonio con un Servilio Cepione, Cesare la dà in sposa nel 59 a.C. a Gneo Pompeo Magno ma morirà di parto ancora molto giovane, nel 54 a.C. e il figlio o la figlia che darà alla luce vivrà solo pochi giorni.
- Durante il consolato del 59 a.C., grazie all'appoggio dei triumviri, Cesare ottiene con la lex Vatinia del 1º marzo, il proconsolato delle province della Gallia Cisalpina e dell'Illirico per cinque anni, con un esercito composto da tre legioni (VII, VIII e VIIII). Poco dopo un senatoconsulto gli affida anche la vicina provincia della Narbonense, il cui proconsole, Quinto Cecilio Metello Celere, era morto all'improvviso, e la X legione.
- Il Senato sperava con le sue mosse di allontanare il più possibile Cesare da Roma, proprio mentre egli stava acquisendo una sempre maggiore popolarità. Quando lo stesso Cesare promise di fronte al Senato di compiere grandi azioni e riportare splendidi trionfi in Gallia, uno dei suoi detrattori, per insultarlo, urlò che ciò non sarebbe stato facile per una donna, alludendo ai costumi sessuali dell'avversario; il proconsole designato rispose allora ridendo che l'essere donna non aveva impedito a Semiramide di regnare sulla Siria e alle Amazzoni di dominare l'Asia. Cesare seppe comprendere le potenzialità che l'incarico affidatogli presentava: in Gallia avrebbe potuto conquistare immensi bottini di guerra (con i quali saldare i debiti contratti nelle campagne elettorali), e avrebbe acquisito il prestigio necessario per attuare la sua riforma della res publica.
Nel 58 a.C. - Prima di lasciare Roma, nel marzo del 58 a.C., Cesare incarica il suo alleato politico Publio Clodio Pulcro (amante della moglie Pompea Silla che aveva ripudiato), tribuno della plebe, di fare in modo che Cicerone fosse costretto a lasciare Roma. Clodio fece allora approvare una legge con valore retroattivo che puniva tutti coloro che avevano condannato a morte dei cittadini romani senza concedere loro la provocatio ad populum: Cicerone fu quindi condannato per il suo comportamento in occasione della congiura di Catilina, venne esiliato, e dovette lasciare Roma e la vita politica. In questo modo Cesare cercava di assicurarsi che, in sua assenza, il Senato non prendesse decisioni che compromettessero la realizzazione dei suoi piani. Allo stesso scopo, Cesare si liberò anche di un altro esponente dell'aristocrazia senatoriale, Marco Porcio Catone, che venne allontanato da Roma e inviato propretore a Cipro. Per evitare inoltre di divenire oggetto delle accuse legali dei suoi avversari, si appellò alla lex Memmia, secondo la quale nessun uomo che si trovava fuori dall'Italia a servizio della res publica poteva subire un processo giuridico. Infine, affidò la gestione dei suoi affari a Lucio Cornelio Balbo, un eques di origine spagnola; per evitare che i messaggi che gli spediva cadessero nelle mani dei suoi nemici, Cesare adoperò un codice cifrato, che prese il nome di cifrario di Cesare.
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Cartina dei domini di Roma nel 58 a.C. |
- Gaio Giulio Cesare inizia quindi la
conquista della Gallia. Il
praenomen "
Gaio" è
forma corretta rispetto al pur comune "Caio". La forma "
Caio", infatti, si è diffusa a seguito di un'errata interpretazione dell'abbreviazione epigrafica "C." (cfr., tra gli altri, Conte, Pianezzola, Ranucci, "Dizionario della lingua latina", sub voce Gaius: «il fraintendimento dell'abbr., in cui la G si scriveva, per conservazione di grafia arcaica, C., ha generato la forma "Caio").
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Gaio Giulio Cesare, da QUI. |
Gaio Giulio Cesare, (Roma 100 - 44 a.C.), mentre si trovava ancora a Roma, venne a sapere che
gli Elvezi, stanziati tra il lago di Costanza, il Rodano, il Giura, il Reno e le Alpi retiche, si accingevano ad attraversare il territorio della Gallia Narbonense. C'era dunque il pericolo che essi, al loro passaggio sul territorio romano, compissero razzie e incitassero alla rivolta il popolo che ivi risiedeva, gli Allobrogi; i territori che si sarebbero svuotati, potevano poi divenire meta delle migrazioni di altri popoli germanici, che si sarebbero trovati a vivere al confine con lo stato romano, dando origine a un pericolo da non sottovalutare. Il 28 marzo Cesare, avuta notizia che gli Elvezi, bruciate le loro città, erano giunti sulle rive del Rodano, fu costretto a precipitarsi in Gallia, dove giunse il 2 aprile, dopo pochissimi giorni di viaggio. Disponendo solo della decima legione, insufficiente a contrastare un popolo di 368.000 individui (tra cui si contavano 92.000 uomini in armi), fece distruggere il ponte sul Rodano per impedire che gli Elvezi lo attraversassero e cominciò a reclutare in tutta la provincia forze ausiliarie, disponendo, inoltre, la creazione di due nuove legioni nella Gallia Cisalpina e ordinando a quelle stanziate ad Aquileia di raggiungerlo al più presto. Gli Elvezi inviarono a Cesare dei messaggeri che chiesero l'autorizzazione ad attraversare pacificamente la Gallia Narbonense; Cesare, però, temendo che una volta in territorio romano quelli si abbandonassero a razzie, gliela rifiutò, dopo aver fatto fortificare la riva del Rodano. Gli Elvezi, allora, decisero di attraversare il territorio dei Sequani; Cesare tuttavia, non si disinteressò della questione e, adducendo tra i vari pretesti le devastazioni compiute dagli Elvezi stessi ai danni degli Edui, alleati dei Romani, si decise ad affrontarli, e li sconfisse irreparabilmente a Bibracte. Una volta
sconfitti, agli
Elvezi fu dato ordine di
tornare nel loro territorio d'origine, in modo da
evitare che questo
venisse occupato da popoli germanici proveniente dalle zone del Reno e del Danubio. I Galli chiesero allora a Cesare la possibilità di riunirsi in un'assemblea generale per fronteggiare il problema dell'
invasione dei Germani guidati da Ariovisto. Costui aveva già invaso la Gallia in precedenza ma, pur avendo ottenuto la vittoria, era stato convinto dal Senato a rientrare entro i propri confini, ottenendo il titolo di
rex atque amicus populi Romani. Quando i Galli, al termine dell'assemblea, chiesero a Cesare di aiutarli a ricacciare l'invasore oltre il Reno, lo stesso Cesare propose ad Ariovisto di stipulare un accordo. Il re germano rifiutò, e Cesare decise di affrontarlo. Le legioni però, intimorite dalla fama di imbattibilità che i Germani avevano guadagnato, sembravano sul punto di rifiutare il combattimento ed ammutinarsi; Cesare allora, disse che avrebbe sfidato Ariovisto portando con sé solo la fedelissima decima legione, e le altre, per dimostrare il loro valore, accettarono quindi di seguirlo. Il generale romano avanzò verso Ariovisto, che aveva attraversato il Reno e dopo un ultimo fallimentare negoziato, si decise a dare battaglia in una piana ai piedi dei monti Vosgi, oggi compresa tra le città di Mulhouse e Cernay. I Germani, al termine dello scontro assai cruento, furono massacrati dalla cavalleria romana mentre cercavano di riattraversare il fiume Reno e lo stesso
Ariovisto, il loro condottiero, scampò a stento alla morte, riuscendo a guadare il Reno insieme a pochi fedeli. Da quel momento Ariovisto scomparve dalla storia mentre Cesare, respingendo i Suebi al di là del
Reno, eleggeva il fiume in quella che sarebbe stata la
barriera naturale della
Repubblica di
Roma per molti anni a venire
. Con la
vittoria su Ariovisto,
Cesare, aveva
fermato le
invasioni germaniche e posto il Reno come confine tra la Gallia e la Germania, stabilendo così una propria
egemonia sul quel
territorio.
Nel 57 a.C. - Dopo aver svernato nella Gallia Cisalpina, avvalendosi dell'aiuto degli alleati Edui e delle due nuove legioni che aveva fatto arruolare, Cesare decide di portare la guerra nel nord della Gallia. Qui i Belgi erano da tempo pronti all'attacco, consci del fatto che se Cesare si fosse completamente impossessato della Gallia avrebbero perso la loro autonomia. Il generale, radunate le forze, marciò allora verso il nord, dove i Belgi si erano radunati in un unico esercito di oltre 300.000 uomini. Raggiuntili, diede battaglia e li sconfisse una prima volta vicino a Bibrax presso il fiume Axona, provocando loro molte perdite. Cesare avanzò ancora, quando altri Belgi, in massima parte Nervi, decisero di unirsi nuovamente per combattere l'esercito romano. Essi attaccarono di sorpresa l'esercito romano, ma Cesare seppure con grandi difficoltà riuscì a respingerli e a contrattaccare, capovolgendo le sorti della battaglia: ottenne infatti la vittoria, riuscendo a uccidere moltissimi nemici. Portate a termine altre brevi operazioni, Cesare poté dirsi padrone dell'intera Gallia Belgica e all'arrivo dell'inverno tornò nuovamente nella Gallia Cisalpina.
Nel 56 a.C. - Ad insorgere a Giulio Cesare furono i popoli della costa atlantica, dopo che Cesare stesso aveva mandato il giovane Publio Licinio Crasso a esplorare le coste della Britannia, lasciando così intuire il suo progetto di espansione verso nord-ovest. Per contrastare gli insorti, Cesare fece allestire una flotta di navi da guerra sulla Loira e dopo aver inviato i propri uomini nei punti nevralgici della Gallia per evitare ulteriori ribellioni si diresse verso la Bretagna, per combattere i Veneti. Dopo aver espugnato alcune città nemiche, egli decise di attendere la flotta appena costruita, che giunse al comando di Decimo Giunio Bruto Albino. Con essa poté facilmente avere la meglio sui Veneti presso Quiberon e, dopo averli sconfitti, li fece uccidere o ridurre in schiavitù, per punire la condotta incresciosa che avevano tenuto nei riguardi degli ambasciatori romani.
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Carta con i Veneti in Armorica. |
La popolazione celtica dei Veneti abitava la zona del Morbihan, in Armorica, nell'attuale Bretagna (in quella che divenne Gallia Lugdunensis). La loro città più famosa (probabilmente la loro capitale) era Darioritum (oggi nota come Vannes), menzionata nella Geografia di Tolomeo. « I Veneti sono il popolo che, lungo tutta la costa marittima, gode di maggior prestigio in assoluto, sia perché possiedono molte navi, con le quali, di solito, fanno rotta verso la Britannia, sia in quanto nella scienza e pratica della navigazione superano tutti gli altri, sia ancora perché, in quel mare molto tempestoso e aperto, pochi sono i porti della costa e tutti sottoposti al loro controllo, per cui quasi tutti i naviganti abituali di quelle acque versano loro tributi.. » (De bello Gallico, III, 8)
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Le Gallie nel 58 a.C., solo Cisalpina e Narbonensis erano Romane. |
I Veneti furono una grande ed influente potenza marittima e commerciale. Avevano una forte organizzazione ed erano probabilmente dotati di un Senato. Avevano un'importante flotta per commerciare con le Isole britanniche e l'Italia, da cui diffusero l'olio e il vino; vendevano inoltre prodotti salati e salumeria che erano ben conosciuti ed apprezzati a Roma, nonché stagno, piombo e rame provenienti dalla grande isola britannica. Più a sud dell'Armorica c'erano i Namneti, stanziati nella foce della Loira e che diedero il loro nome alla città di Nantes. I Namneti erano chiamati Sanniti da Strabone e da Tolomeo, ma furono semplicemente una tribù dei Veneti, come si evince da ciò che scrisse Giulio Cesare nel "De bello Gallico", II, c-8. « I Pictoni erano ostili ai Veneti come si può dedurre dalla loro alleanza con il proconsole Giulio Cesare nella sua prima campagna e dalle navi costruite o fornite ai Romani da parte loro, dei Santoni e da altri popoli gallici per facilitare la rovina del Veneti. » (Cesare, de bello Gallico, VIII e III, 11). Nel 56 a.C. le navi di Cesare, fornite dagli altri popoli gallici, distrussero la flotta veneta nella battaglia del Morbihan. Il parlamento fu passato per le armi e le donne ed i bambini venduti come schiavi.
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Divisione della Repubblica di Roma nel primo Triumvirato. |
- Nel 56 a.C. i
tre triumviri si incontrano
a Lucca, dove
Cesare ebbe, in qualità di proconsole, il governo della Gallia cisalpina e di quella transalpina, oltre all'Illirico ed al comando di quattro legioni, per cinque anni. Pompeo e Crasso ebbero un secondo consolato nel 55 a.C.,
Crasso ricevette la provincia di Siria e la direzione della campagna contro i Parti, mentre
Pompeo l'Africa, le due Spagne (Ulterior e Citerior) e quattro legioni, due delle quali cedette a Cesare per la guerra gallica. Ecco come descrive Plutarco l'accordo tra i tre a Lucca: «[Cesare] stipulò un accordo con Crasso e Pompeo sulle seguenti basi: essi si sarebbero candidati al consolato, Cesare li avrebbe appoggiati mandando a votare un gran numero di soldati. Una volta eletti, i due si sarebbero fatti attribuire province ed eserciti ed avrebbero ottenuto per Cesare la conferma di quelle province che già governava (Gallia cisalpina, Narbonense e Illirico) per altri cinque anni.» (Plutarco, Pompeo, 51).
Prima della conquista della Gallia da parte di Gaio Giulio Cesare, spinte alle spalle dalla pressione dei Suebi, le tribù germaniche degli Usipeti e dei Tencteri avevano vagato per tre anni e si erano spinte a nord del fiume Meno, fino a raggiungere le regioni abitate dalla tribù celtico-gallica dei Menapi, alla foce del Reno. I Menapi possedevano, su entrambe le sponde del fiume, campi, casolari e villaggi e quindi, spaventati dall'arrivo di quella moltitudine di genti (Cesare sostiene fossero ben 430.000 persone), abbandonarono gli insediamenti a est del Reno e posero alcuni presidi lungo il fiume, per impedire ai Germani di passare in Gallia. Non riuscendo ad attraversare il fiume, Tencteri ed Usipeti simularono la ritirata per poi tornare improvvisamente di notte facendo strage dei Menapi che erano tornati nei loro villaggi. Si impadronirono quindi delle loro navi e passarono il fiume Reno, occuparono i loro villaggi in Gallia e si nutrirono per tutto l'inverno con le loro provviste.
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Carta della Gallia Belgica con le popolazioni che la abitavano. |
Nel 55 a.C. - Venuto a conoscenza di questi fatti, Cesare decise di anticipare la sua partenza per la Gallia e raggiungere le sue legioni, che svernavano nei territori della Gallia Belgica. Era venuto inoltre a sapere che alcune tribù galliche avevano invitato le tribù germaniche ad abbandonare i territori appena conquistati del basso Reno, per inoltrarsi in Gallia. « Attratti da questa speranza, i Germani si spinsero più lontano con le loro scorrerie, fino ai territori degli Eburoni e dei Condrusi, che sono un popolo cliente dei Treviri [...] Cesare dopo aver blandito ed incoraggiato i capi della Gallia, ed avergli richiesto reparti di cavalleria alleata, stabilì di portare la guerra ai Germani [...] Cesare dopo aver provveduto a raccogliere frumento ed arruolati i cavalieri si diresse verso le regioni dove si diceva si trovassero i Germani. » (Cesare, De bello Gallico, IV, 6-7,1).
I Germani Usipeti e Tencteri, che si trovavano in una località non molto distante dall'attuale città olandese di Nimega (in olandese Nijmegen), una volta venuti a conoscenza dell'avvicinamento dell'esercito romano decisero di inviare ambasciatori a Cesare, per chiedere al generale il permesso di stanziarsi in quei territori, offrendo in cambio la loro amicizia. Gli ricordarono il motivo per cui erano stati costretti a migrare ed il loro valore in battaglia, ma Cesare negò loro il permesso di occupare territori della Gallia sostenendo che non era giusto che i Germani si impadronissero delle terre di altri popoli, proprio loro che non erano stati capaci di difendere i propri territori dalle scorrerie dei Suebi. Cesare consigliò loro di riattraversare il Reno e di occupare i territori del popolo amico degli Ubi, che avevano chiesto a Cesare di intervenire oltre il grande fiume offrendogli la loro alleanza, per potersi liberare finalmente dal giogo dei vicini Suebi.
Gli Ubi (in latino Ubii) erano un'antica popolazione germanica che aveva abitato, fino al 38 a.C., la sponda destra del fiume Reno nei territori di fronte all'attuale città di Koeln (Colonia), territori che confinavano a sud con quelli dei Suebi, di cui gli Ubi dovettero diventare tributari. Appartenenti, secondo Tacito, agli Istaevones (i Germani occidentali), confinavano, nella Gallia al di là del Reno, con i Treveri, anch'esso popolo originariamente germanico. Nel 55 a.C., Giulio Cesare, poco prima di oltrepassare il Reno e compiere la prima incursione romana in territorio germanico, descriveva così questo popolo:
«...gli Ubi, nazione che in passato fu potente e florida... È un poco più civilizzata degli altri popoli proprio perché in prossimità del fiume Reno, e sono spesso visitati dai mercanti e questa vicinanza li fa assomigliare agli usi e costumi dei vicini Galli... ed i vicini Suebi, non avendo potuto cacciarli, malgrado ci avessero provato in passato con molte guerre, proprio per l'importanza e potenza di questa nazione, li sottomisero a sé come tributari, facendoli diventare meno importanti e più deboli...» (Cesare, De bello Gallico, IV, 3, 3-4).
Nel frattempo era stata quindi stabilita una tregua fra Usipeti e Tencteri con Cesare, al fine di giungere ad una soluzione, ma durante la tregua, quei Germani si scontrarono con uno squadrone di cavalleria gallo-romana, e lo costrinsero alla fuga. Così, quando gli ambasciatori di Usipeti e Tencteri si recarono da Cesare per giustificarsi, lui li accusò di non aver rispettato l'accordo, li fece imprigionare, dopodiché con una mossa fulminea, piombò sull'accampamento germanico difeso solo da carri e bagagli, massacrò uomini donne e bambini (quasi 200.000 persone) e costrinse i superstiti alla fuga verso nord, in direzione della confluenza del Reno con la Mosa, lungo uno dei tratti finali del Reno, quello più occidentale, chiamato Waal. L'azione, particolarmente cruenta, suscitò la sdegnata reazione di Catone, che propose al senato di consegnare Cesare ai Galli, in quanto colpevole di aver violato i diritti degli ambasciatori. Il Senato invece, proclamò una lunghissima supplicatio di ringraziamento di ben quindici giorni.
Nel 55 a.C. quindi, per rispondere alla richiesta di soccorso dei nuovi alleati Ubi e punire i loro oppressori,
Cesare si decide ad
attraversare il
Reno ed entrare in
Germania tramite la costruzione di un ponte che accedesse ai territori degli alleati Ubi, in una località identificata con Neuwied, 15 km a nord di Coblenza, per attuare un'azione dimostrativa che
intimorisse e
scoraggiasse definitivamente i propositi di tribù germaniche a
stanziarsi in futuro nelle
Gallie e/o di fornire truppe mercenarie ai Galli, intromettendosi fra le loro vicende e Roma. Il fiume
Reno si presentava allora particolarmente
largo e
profondo, inoltre la rapidità delle sue acque richiedeva una struttura molto solida per un ponte. Per questo motivo furono utilizzati come sostegni dei cavalletti a due gambe, di cui ciascuna costituita da due pali molto robusti (con un diametro di 45 cm) ricavati da robusti tronchi, uniti tra loro da traverse lunghe circa 60 cm. Questa struttura diede a ciascuna gamba l'aspetto di una scala a pioli, ma essa si opponeva efficacemente alla corrente del fiume. I pali avevano lunghezza variabile a seconda della profondità del fiume e furono calati nel fiume con apposite attrezzature, quindi messi in posizione e infissi con dei battipali. La parte che veniva appuntita veniva conficcata nel fondo del fiume e non si innalzavano perpendicolarmente al letto, ma venivano
inclinati in modo che i pali a monte avessero la corrente contro, mentre quelli a valle l'avessero a favore. Una grossa trave teneva unita la coppia di piloni, completando il cavalletto. Su questa struttura poggiavano travi spesse 60 cm e lunghe quanto la distanza che vi era tra un pilone e l'altro, cioè 5 m.
La pavimentazione era costituita di un’intelaiatura di legno poggiata su tronchi trasversali e ricoperta di tavole. Alla solidità bisognava affiancare l'elasticità, per cui non vennero utilizzati chiodi, ma legature in corda. Vennero anche approntate altre opere di rinforzo secondarie: a valle furono fissati altri pali obliqui per aumentare la resistenza alla corrente del ponte, mentre poco più a monte vennero costruite delle palizzate per attutire eventuali colpi subiti da alberi o navi che le popolazioni germaniche potevano lasciare nel fiume in modo da danneggiare il ponte. Il ponte doveva avere una carreggiata di circa 4 m ed era lungo poco meno di 500 m., con 56 campate di 8 m. che costituivano il ponte sul Reno. L'opera, secondo Cesare, fu completata in soli dieci giorni. Approntato il lungo ponte di legno sul Reno, Cesare lo attraversò con le sue truppe (composte da 8 legioni di 5/6.000 armati ciascuna) e si accamparono presso i nuovi alleati Ubi, poi per 18 giorni operarono una serie di devastazioni nei vicini territori dei Sigambri (che in seguito costituirono la confederazione dei Franchi) e dei Suebi (che in seguito costituirono la confederazione degli Alemanni o Alamanni), per fargli intendere di lasciare in pace gli Ubi, nuovi alleati di Roma. Terrorizzati a sufficienza i Germani, Gaio Giulio Cesare decise di far ritorno in Gallia, distruggendo il ponte alle proprie spalle per non lasciare facile accesso alla Gallia e fissando il confine della Gallia assoggettata alla Repubblica romana, sul Reno. (Gaio Giulio Cesare, De bello Gallico, IV, 16, 2; 18, 2; 19, 4 e Cassio Dione, Storia romana, XXXIX, 48).
La nazione dei Sigambri dunque, abitava sulla riva destra del Reno, di fronte al popolo degli Eburoni, nella regione dei fiumi Sieg e Wupper, a nord degli Ubi (Gaio Giulio Cesare, De bello Gallico, IV, 16). Alcune fonti storiche citano i Sigambri (dal latino: Sigambri o Sicambri o Sugambri) come un'antica popolazione germanica stanziata lungo la riva destra del medio corso del fiume Reno (Strabone, Geografia VII , 2.4), tra il fiume Lippe e il Sieg, a partire dalla metà del I secolo a.C. I Sigambri confinavano con i Marsi a est, la Gallia dei Celti a ovest, gli Usipeti a nord e i Tencteri a sud. Fredegario, uno storico franco del VII sec., narra nella sua "Cronaca" che i Franchi Sicambri venivano dai tempi remoti degli antichi Patriarchi ebrei alla sua epoca, citando numerose fonti d'informazione e di rimando, fra cui gli scritti di San Girolamo, l'arcivescovo Isidoro di Siviglia ed il vescovo Gregorio di Tours, anch'egli autore di una Storia dei Franchi. Per raggiungere tale precisione, Fredegario, che godeva di molta considerazione alla corte borgognona, approfittò della sua possibilità di accedere a svariati archivi ecclesiastici ed annali statali. Egli, dunque, racconta come i Franchi Sicambri, da cui prese nome la Francia, erano stati a loro volta chiamati così per via del loro capo Francio o Francione, morto nel II secolo a.C. La tribù, che era passata nella Scozia, affondava le sue radici nell'antica città di Troia. Tracce di questa discendenza si potrebbero trovare in alcuni nomi come quello della città di Troyes e, perfino di Parigi che porterebbe il nome del principe Paride, figlio del re Priamo di Troia. Quella dei Merovingi, quindi, sarebbe stata una dinastia discendente in linea maschile dai "Re pescatori" che corrispondevano anche ad una linea di successione femminile sicambrica. I Sicambri, prendevano il loro nome da Cambra, una regina tribale vissuta intorno al 380 a.C., originaria della Scozia ed erano chiamati anche i "nuovi parenti". La città di Cambrai, potrebbe avere ereditato il nome dalla regina Cambra.
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Britannia nel I sec.a.C. |
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Scudo Celtico in bronzo del I sec. a.C. ritrovato nel Tamigi a Battersea, in Inghilterra. Clicca sull'immagine per ingrandirla. |
Nell'estate del 55 a.C., Cesare decide di invadere la ricca e misteriosa Britannia. Dopo alcune operazioni preventive, salpò con ottanta navi e due legioni per sbarcare nei pressi di Dover, poco lontano da dove lo attendeva l'esercito nemico. Dopo un duro combattimento, i Britanni furono sconfitti e decisero di sottomettersi a Cesare, ma tornarono quasi subito alla ribellione, non appena appresero che parte della flotta romana era stata danneggiata dalle tempeste, che impedivano l'arrivo di rinforzi. Attaccati di nuovo i Romani, i Britanni risultarono, però, nuovamente sconfitti, e furono costretti a chiedere la pace e a consegnare numerosi ostaggi. Cesare tornò allora in Gallia, dove dislocò le legioni negli accampamenti invernali; intanto, però, molti dei Britanni si rifiutarono di inviare gli ostaggi promessi, e Cesare cominciò a programmare una nuova campagna.
- Nel 55 a.C., all'età di sedici anni, Ottaviano indossa la toga virile e ottiene alcune ricompense militari in Africa, in occasione del trionfo del prozio Gaio Giulio Cesare, senza nemmeno aver partecipato alla guerra per la giovane età.
Nel 54 a.C. - Dopo essersi assicurato la fedeltà della Gallia, Giulio Cesare salpa nuovamente verso la Britannia con ottocento navi e cinque legioni. Sbarca senza incontrare nessuna resistenza, ma, non appena si accampa, viene attaccato dai Britanni guidati da Cassivellauno. Cesare decide allora di portare la guerra nelle terre dello stesso Cassivellauno, oltre il Tamigi e attacca fulmineamente i nemici: dopo aver riportato delle facili vittorie, molte tribù gli si sottomisero e Cassivellauno, sconfitto, fu costretto ad avviare le trattative di pace, che stabilirono come avrebbe offerto ogni anno un tributo e degli ostaggi a Roma. Cesare si ritirò allora dalla Britannia stabilendo numerosi rapporti di clientela che posero la base per la conquista dell'isola nel 43 d.C.. Il proconsole dislocò le sue legioni negli hiberna (antico nome latino attribuito dai Romani all'Irlanda. Il nome Hibernia viene da fonti geografiche greche), quando già in più zone della Gallia si respirava aria di rivolta. Infatti il capo degli Eburoni Ambiorige, in particolare, decise di prendere d'assedio un accampamento e, convinti con l'inganno i soldati a uscire allo scoperto, li aggredì, massacrando quindici coorti. Spinto dal successo, attaccò un altro accampamento, retto da Quinto Cicerone; questi si comportò in modo prudente, e attese l'arrivo di Cesare, che mise in fuga l'esercito nemico di 60 000 uomini. Contemporaneamente, anche il luogotenente di Cesare, Tito Labieno, fu attaccato dai Treviri, guidati da Induziomaro ma, sebbene in svantaggio numerico, li sconfisse, uccidendo anche lo stesso capo Induziomaro.
Nel 53 a.C. - All'inizio dell'anno Cesare porta il numero delle sue legioni a dieci, arruolandone una ex novo e ricevendone un'altra da Pompeo. Fermata una rivolta nella Belgica, marciò contro Treviri, Menapi ed Eburoni, affidando parte delle truppe al luogotenente Tito Labieno. Lo stesso Cesare sottopose a crudeli razzie le terre dei Menapi, che furono costretti a sottometterglisi, mentre Labieno, mediante vari stratagemmi, poté avere facilmente la meglio sui Treviri e sugli Eburoni. Lo stesso Cesare racconta che il suo legato, Quinto Tullio Cicerone, a capo di 7 coorti legionarie della legio XIV, viene sconfitto presso Atuatuca da 2.000 guerrieri Sigambri. Cesare, venuto a conoscenza dell'accaduto, raggiunse il Reno, lo passò per la seconda volta, costruendovi un nuovo ponte e messo piede sul territorio germanico, qui lasciò 12 coorti di fanteria legionaria a guardia della riva destra del grande fiume, per ricordare ai Germani delle precedenti devastazioni e dissuaderli dal compiere nuove scorrerie nelle Gallie (Gaio Giulio Cesare, De bello Gallico, VI 35, 5 e Cassio Dione, Storia romana XL, 32). Decise così di tornare indietro lasciando in piedi il ponte (a eccezione della parte terminale) come monito della potenza romana e condusse l'intero esercito contro gli Eburoni e il loro capo Ambiorige; i popoli limitrofi, impauriti dall'entità delle forze dei Romani, accettarono di sottomettersi a Cesare e Ambiorige si ritrovò così isolato. Molti Galli anzi, si unirono ai Romani e cominciarono a combattere gli Eburoni e questi, non senza reagire, furono gradualmente sconfitti e massacrati, così che alla fine dell'estate Cesare poté ritenere vendicate le sue quindici coorti. Ultimo atto della guerra di Gallia fu la rivolta guidata dal capo degli Arverni Vercingetorige, attorno al quale si strinsero tutti i popoli celti, inclusi gli "storici" alleati dei Romani, gli Edui. La rivolta ebbe inizio dalle azioni dei Carnuti, ma ben presto a prenderne il comando fu Vercingetorige che, eletto re degli Arverni, si guadagnò l'alleanza di tutti i popoli limitrofi.
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In rosso, gli stanziamenti delle prime tribù dei Germani, poi le espansioni dal 50 a.C. al 300 d.C.. |
- I
territori delle future province di
Germania inferiore e
Germania superiore entreranno
nella
sfera d'influenza romana con la
conquista della Gallia da parte di Gaio Giulio Cesare.
- Dopo la morte di Crasso avvenuta in quell'anno a Carre, in Siria, mentre combatteva i Parti, Cesare si scontra con Gneo Pompeo e la fazione degli optimates per il controllo dello stato.
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