Principali centri della laguna
veneziana nel V
secolo, da: https://venezia.myblog.it/
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In Veneto, gli Unni saccheggiano anche Altino e gli abitanti della terraferma di quella fascia costiera cercano rifugio nelle lagune, fenomeno che si ripeterà nel 568 con l'invasione dei Longobardi. L'attuale città di Venezia (allora indicata come Rivo Alto, da cui Rialto) si presentava allora come un insieme di piccoli insediamenti ancora molto eterogeneo, mentre maggiore importanza assumevano alcuni centri limitrofi come Torcello, Ammiana, Metamauco.
- Le lotte per la successione, seguite alla morte di Attila, dissolvono la potenza degli Unni. Dopo il suo decesso, l'Impero unno si disgregò rapidamente: infatti i tre figli di Attila (Dengizich, Ellac e Ernac) non riuscirono a sedare le rivolte per l'indipendenza dei sudditi degli Unni, portando alla rapida caduta dell'Impero unno.
Nel 455 - I Vandali conquistano Roma. Nel 455, il 16 marzo, l'imperatore Valentiniano III, responsabile dell'uccisione di Ezio, fu a sua volta assassinato dai seguaci dello stesso. I Vandali, non riconoscendo l'usurpatore Petronio Massimo (che sembra fosse coinvolto in entrambi gli omicidi) ritennero decaduto il precedente trattato stipulato con Valentiniano. Da qui il pretesto per salpare alla volta dell'Italia (una leggenda narra che fosse l'imperatrice, Licinia Eudossia, a chiamarli); sbarcati a Porto, i Vandali affiancati da guerrieri Mauri marciarono su Roma, i cui abitanti si diedero alla fuga; Massimo, invece di combattere, si preparava anche lui alla fuga, ma fu ucciso da un soldato della sua guardia. Alla porta Portuense papa Leone I si fece incontro a Genserico e lo implorò di risparmiare la città e la sua popolazione. Genserico accettò e venne quindi accolto in città con il suo esercito. Sebbene la storia parli del violento saccheggio della città eterna da parte dei vandali (da qui la parola vandalismo), in realtà Genserico onorò il suo giuramento: non vi furono né eccidi, né incendi, né dissennate distruzioni e i suoi uomini non devastarono Roma, rispettando le chiese cristiane. Comunque il saccheggio iniziò il 2 giugno 455; fu il terzo Sacco di Roma dopo i Galli di Brenno (390 a.C.) e i Goti di Alarico (410). In questo frangente i Vandali portarono via denaro e tesori (furono spogliati il palazzo imperiale, il tempio di Giove Capitolino, col suo tetto aureo, scomparvero i tesori del Tempio di Gerusalemme portati a Roma da Tito dopo la vittoria del 70 sugli ebrei ed altro ancora), mentre Genserico condusse con sé la vedova di Valentiniano, Licinia Eudossia, e le sue figlie, Eudocia (che, giunta a Cartagine, fu data in moglie a Unerico, il figlio di Genserico) e Placidia ed il figlio di Ezio, Gaudenzio e molti notabili romani, che al rientro a Cartagine furono divisi, come schiavi, tra i partecipanti alla spedizione. Avito, nuovo imperatore romano d'occidente dal 9 luglio 455, cercò, senza risultati, l'adesione dell'imperatore d'oriente, Marciano, per un'offensiva comune contro i Vandali, che nel frattempo, avevano occupato le restanti province della Mauretania (l'attuale Algeria centro-occidentale), con i Mauri pronti a riconoscere l'autorità vandalica. All'inizio del 456 i Vandali conclusero un'alleanza con i Suebi di Rechiaro che, rotto il trattato con l'impero, avevano invaso i territori della provincia Tarraconense mentre, nello stesso tempo, Genserico attaccava le coste calabresi e siciliane. Sbarcati ad Agrigento però, i Vandali vennero sconfitti dal generale Ricimero che, preso il mare, incrociò la flotta vandala in Corsica e la sconfisse, sempre nel 456.
Nel 453 - Muore Attìla, nei primi mesi dell'anno. La tradizione, secondo Prisco di Panion (storico bizantino, di lingua greca, che visse durante il regno di Teodosio II, e scrisse una Storia, di notevole importanza e affidabilità, e che descrive anche la sua esperienza come inviato presso la corte di Attila), dice che la notte dopo un banchetto che celebrava il suo ultimo matrimonio (con una principessa gota di nome Krimhilda, poi abbreviato con Ildikó), ebbe una copiosa epistassi e morì soffocato.
Territori degli Unni, con la loro
capitale nella pianura ungherese,
nella metà del V secolo. Da: https:
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I suoi guerrieri, dopo aver scoperto la sua morte, si tagliarono i capelli e si sfregiarono con le loro spade in segno di lutto così che, dice Giordane, "il più grande di tutti i guerrieri dovette essere pianto senza lamenti femminili e senza lacrime, ma con il sangue degli uomini". La causa del decesso pare esser attribuibile ad un'emorragia cerebrale (in base a quanto attestato dai cronisti del tempo, ripresi dal goto Giordane, Attila era soggetto a sanguinamenti), occorsa durante la notte in cui sposò Krimhilda. Venne sepolto un paio di giorni dopo non lontano dalla capitale del suo regno (in realtà un campo trincerato in legno) nella pianura ungherese. Il suo corpo venne posto in tre sarcofagi: il più interno in legno, racchiuso da un secondo in argento puro e da un terzo in oro massiccio. Lo seguirono nella tomba tutte le sue ricchezze, il suo cavallo, le mogli, i servi ed anche gli schiavi che scavarono la fossa, per precauzione, in modo che nessuno fosse in grado di rivelare il luogo esatto della sepoltura.
"Ed un silenzio di morte avvolse il sepolcro la notte medesima, accomunando allo stesso tempo il morto ed i becchini", ebbe a scrivere lo storico Giordane. Jordanes o Giordane, nel suo
"De origine actibusque Getarum" cita il famoso
idromele, il liquore alcolico prodotto dalla fermentazione del
miele (chiamato medos o miod), bevuto nel banchetto funebre per la
morte di Attila.
- Le lotte per la successione, seguite alla morte di Attila, dissolvono la potenza degli Unni. Dopo il suo decesso, l'Impero unno si disgregò rapidamente: infatti i tre figli di Attila (Dengizich, Ellac e Ernac) non riuscirono a sedare le rivolte per l'indipendenza dei sudditi degli Unni, portando alla rapida caduta dell'Impero unno.
Il primo gruppo ad ottenere l'indipendenza fu quello dei Gepidi, guidati da re Ardarico, che sconfissero nel 453-454 l'esercito unno nella Battaglia del fiume Nedao (454), costringendo gli Unni a riconoscere loro l'indipendenza. Negli anni successivi tutti gli altri gruppi (come Sciri, Rugi, Eruli, Longobardi, Ostrogoti) ottennero gradualmente l'indipendenza dagli Unni, e nel 468 gli Unni persero la propria indipendenza, finendo per essere arruolati come mercenari dall'Impero romano d'Oriente.
La memoria dell'invasione degli Unni è stata trasmessa oralmente fra le tribù germaniche, ed è una componente importante nella "Völsunga Saga" e "Hervarar Saga", in norvegese antico, e nel "Nibelungenlied", in antico germanico. Tutte ritraggono gli eventi di questo periodo di migrazioni, avvenute circa un millennio prima della loro trascrizione. Nella "Hervar Saga", i Goti hanno i loro primi contatti con gli arcieri unni e si scontrano in un'epica battaglia sulle rive del Danubio. Nella "Völsunga Saga" e in "Nibelungenlied," re Attila ("Atli" in Norvegese e "Etzel" in Germanico) sconfigge il re franco Sigisberto I (Sigurðr o Siegfried) e il re burgundo Gontran I (Gunnar o Gunther) ma è successivamente assassinato dalla regina Grimilde (Gudrun o Kriemhild), sorella di quest'ultimo e moglie di Attila.
Nel 454 - Morto Attila, nel 454 gli
Eruli si distaccarono dagli Unni e costituirono un forte regno
intorno a Brno (Moravia meridionale) e Vienna, sottomettendo
le popolazioni vicine tra cui i Longobardi. Gli Eruli erano la
componente principale dell'insieme di tribù germaniche che,
entrate al servizio dell'Impero romano in qualità di mercenari,
ne decisero le sorti in territorio italico: nel 476, infatti, il loro
re Odoacre depose l'ultimo imperatore romano d'Occidente,
Romolo Augusto, e assunse il controllo dell'Italia. Il regno
degli Eruli fu però di breve durata, poiché scalzato nel 493 dagli
Ostrogoti di Teodorico.
Nel 457 - Facendo ricorso al prestigio
delle massime autorità religiose, alla corte di Costantinopoli
l'onore dell'incoronazione imperiale è assegnato al Patriarca di
Costantinopoli nell'investitura di Leone I nel 457, ma forse era già
successo col suo predecessore Marciano. Col tempo il rito fu sempre
più caratterizzato da grande solennità e magnificenza ed ebbe come
sua sede tradizionale la basilica di Santa Sofia. Secondo le fonti,
Leone I depose sull'altare di Santa Sofia la corona ricevuta sul
campo dai propri soldati e fu nuovamente incoronato dal patriarca, da
quel momento unico depositario di questa altissima funzione. Fase
conclusiva della cerimonia d'investitura era l'acclamazione da parte
del popolo nell'Ippodromo di Costantinopoli.
Regno dei Burgundi
nel V secolo. |
Moneta con monogramma
di Ricimero.
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Dal 461 - Dopo la morte dell'imperatore Maggioriano (7 agosto 461), assassinato dal magister militum d'Occidente, Ricimero, si aprì una lotta per l'elezione del nuovo imperatore d'Occidente che coinvolse Ricimero, l'imperatore d'Oriente Leone I e il re dei Vandali Genserico. Ricimero voleva porre sul trono d'Occidente un imperatore debole, che potesse controllare: la sua origine barbarica gli impediva infatti di prendere il trono per sé stesso. Genserico aveva rapito durante il Sacco di Roma (455) la moglie e le figlie di Valentiniano III (Licinia Eudossia, Placidia ed Eudocia) e aveva fatto sposare il proprio figlio Unerico con una delle due figlie dell'imperatore deceduto, Eudocia, imparentandosi così con la famiglia imperiale; il candidato di Genserico per il trono d'Occidente era Anicio Olibrio, che aveva sposato l'altra figlia di Valentiniano, Placidia, e che era quindi genero di suo figlio Unerico, "uno di famiglia" insomma. A tale scopo mise sotto pressione entrambi gli imperi attaccando ripetutamente Italia e Sicilia, affermando che il trattato di pace stipulato con Maggioriano non era più vincolante; Ricimero, che agiva autonomamente, inviò una ambasciata a Genserico chiedendogli di rispettare il trattato, mentre l'imperatore d'Oriente, con una seconda ambasciata, trattò l'interruzione delle incursioni e la riconsegna delle donne di Valentiniano. Ricimero decise di ignorare il candidato di Genserico e mise sul trono Libio Severo, scelto forse per compiacere l'aristocrazia italica, facendolo eleggere imperatore dal Senato il 19 novembre 461, a Ravenna. Tra la fine del 463 ed il 464, Genserico, re dei Vandali, era ancora in guerra con l'impero: non riconosceva il nuovo imperatore Libio Severo, voluto invece da Ricimero, il generale svevo-visigoto che di fatto governava l'impero e inoltre non veniva accolta la sua richiesta di elevare invece al trono imperiale Anicio Olibrio che, avendo sposato Placidia, figlia di Valentiniano III e sorella di Licinia Eudossia, era genero di suo figlio Unerico. Fece allora un accordo col titolare del comando indipendente della Gallia del nord, Egidio, per attaccare contemporaneamente l'Italia; ma la cosa sfumò per l'improvvisa morte di Egidio. Comunque la situazione tra i Vandali e l'impero d'Occidente rimase tesa. Dopo la morte di Libio Severo nel 465, Ricimero (che forse aveva avvelenato l'imperatore) governò da solo per otto mesi. Alla fine, però, dovette accettare Antemio (scelto da Leone I), di cui sposò la figlia Alipia.
Nel 465 - Gli Svevi in Hispania, che per la maggior parte erano pagani, si convertono al cristianesimo ariano.
Nel 467 - L'Imperatore d'Oriente, Leone I, nominò il nuovo Imperatore d'Occidente, Antemio e lo fece scortare a Roma dal governatore indipendente dell'Illyricum, Marcellino, che avrebbe poi dovuto proseguire ed attaccare il regno vandalo a Cartagine, ma la mancanza di venti favorevoli fece abortire il tentativo.Genserico, seccato, sia per la mancata nomina a Imperatore d'Occidente di Olibrio, sia per l'ordine di Leone I di aggredire il suo regno, cominciò da quell'anno ad attaccare anche le coste dell'Illiria, dell'Epiro e della Grecia, non risparmiando neppure Alessandria. Nel 468 il regno dei Vandali fu l'obiettivo dell'ultimo sforzo militare congiunto delle due parti dell'Impero, teso a sottometterli. Ma mentre i Vandali venivano sconfitti dai generali Bizantini in Tripolitania e perdevano la Sardegna e parte della flotta ad opera di Marcellino, Genserico sorprese ed incendiò il grosso della flotta nemica al comando del generale romano d'Oriente Basilisco a Capo Bon; meno della metà delle navi imperiali scamparono in Sicilia. Mentre Marcellino, riunita la sua flotta con quella rifugiatasi in Sicilia si accingeva a salpare per Cartagine, nell'agosto dello stesso anno, fu assassinato da un suo subalterno (forse un sicario di Ricimero). I Vandali rimasero signori incontrastati del Mediterraneo occidentale dallo stretto di Gibilterra alla Tripolitania. Nel 474 fu stipulata la pace perpetua con l'imperatore Zenone, dell'Impero romano d'Oriente, i Vandali concessero completa libertà di culto agli ortodossi e permisero la nomina di un nuovo titolare alla carica vescovile di Cartagine (vacante dal 457). Da parte sua Zenone, nel 476, confermò ai Vandali il possesso di tutta la provincia d'Africa (dallo stretto di Gibilterra alla Tripolitania), le isole Baleari (comprese le isole Pitiuse), la Corsica, la Sardegna e la Sicilia (che eccettuata la città di Lilibeo di interesse strategico, fu ceduta ad Odoacre in cambio di un tributo annuo).
Nel 468 - Gli Unni perdono la propria indipendenza essendo arruolati come mercenari dall'Impero romano d'Oriente. Gli Eruli erano la componente principale dell'insieme di tribù germaniche che, entrate al servizio dell'Impero romano in qualità di mercenari, ne decisero le sorti in territorio italico: nel 476, infatti, il loro re Odoacre depose l'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augusto, e assunse il controllo dell'Italia.
Nel 476 - Odoacre, re degli Eruli, depone Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d'Occidente e assume il controllo dell'Italia. Il regno degli Eruli sarà però di breve durata, poiché scalzato nel 493 dagli Ostrogoti di Teodorico. Finisce così l'Impero Romano d'Occidente e questa data viene considerata come la fine dell'Era Antica e l'inizio del Medioevo, mentre per l'impero d'Oriente inizia un periodo di fulgore che perpetuerà l'esperienza politica romana.
Nel 468 - Gli Unni perdono la propria indipendenza essendo arruolati come mercenari dall'Impero romano d'Oriente. Gli Eruli erano la componente principale dell'insieme di tribù germaniche che, entrate al servizio dell'Impero romano in qualità di mercenari, ne decisero le sorti in territorio italico: nel 476, infatti, il loro re Odoacre depose l'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augusto, e assunse il controllo dell'Italia.
Invasioni barbariche nell'Impero Romano
e dissoluzione
dell'Impero Romano d'Occidente, da https://commons.wiki
media.org/w/index.php?curid=1234669 modificata. |
Regno di Siagrio o di Soisson, superstite dell'impero d'occidente da QUI. |
Nel 477 - Muore il monarca vandalo Genserico, con conseguente persecuzione dei non ariani. In politica interna Genserico dette libertà di religione a tutte le confessioni cristiane, ma volle che tutti i suoi stretti collaboratori si convertissero all'arianesimo. Durante il suo regno le tasse gravarono soprattutto sulle spalle delle ricche famiglie romane e del clero cattolico. Sembrava che nulla potesse fermare la potenza dei Vandali, ma con la scomparsa di Genserico sembrò scomparire la loro capacità combattiva. Genserico morì il 25 gennaio del 477, all'età di 87 anni (77 secondo alcune fonti) a Cartagine e alla sua morte divenne re il figlio Unerico. Nonostante fosse di fede ariana, come la maggior parte dei Vandali, Unerico si dimostrò all'inizio del suo regno tollerante con coloro che professavano la religione secondo il credo niceno, arrivando a permettere l'elezione di un nuovo vescovo di Cartagine nel 481, su richiesta dell'imperatore romano orientale Zenone. Perseguitò inoltre gli adepti dell'eresia manichea. Presto però iniziarono le persecuzioni anche contro i cattolici e vennero così puniti tutti coloro di etnia vandala che si fossero convertiti al cattolicesimo, ne vennero incamerati i loro possedimenti e molti furono esiliati a causa del loro credo religioso.
Nel 482 - Pubblicazione dell'"Henotikon" da parte dell'imperatore romano d'Oriente Zenone, l'«Atto di unione» promulgato nel 482 per mediare tra le opposte visioni dei calcedoniani, che riconoscevano in Cristo due nature, umana e divina (difisisti, da phisis, natura) e dei miafisiti (monofisisti) che ne riconoscevano solo una, divina. Il Concilio di Calcedonia del 451 aveva promulgato il credo calcedoniano e condannato la posizione miafisita, ma i miafisiti erano ancora forti, specie nelle province orientali dell'impero, e il Patriarca di Alessandria, Pietro III Mongo, era miafisita. Sostenere i miafisiti era stato uno degli errori dell'imperatore Basilisco (imperatore per un breve periodo, dal 9 gennaio 475 all'agosto 476), in quanto il popolo di Costantinopoli era calcedoniano, ma Zenone aveva bisogno del sostegno delle province a maggioranza miafisita, Egitto, Siria, Palestina e Asia Minore. Anche il Patriarca di Costantinopoli, Acacio, era interessato a ridurre la distanza tra le posizioni delle due fazioni avverse. Per queste ragioni Zenone promulgò, nel 482, l'Henotikon, un documento elaborato con l'aiuto di Acacio e indirizzato alle due fazioni in Egitto. L'editto presentava il credo niceno-costantinopolitano come un simbolo, un'espressione di fede finale e unitaria. Tutti gli altri simboli erano esclusi: Eutiche e Nestorio erano chiaramente condannati con un anatema, mentre i dodici capitoli di Cirillo di Alessandria erano accettati. L'insegnamento di Calcedonia non era ripudiato esplicitamente, ma passato sotto silenzio; Gesù Cristo era descritto come «l'unigenito Figlio di Dio [...] uno e non due» e non c'era un riferimento esplicito alle due nature. Il vescovo di Roma, papa Felice III, si rifiutò di accettare il documento e scomunicò Acacio (484), dando inizio allo scisma acaciano, ricomposto solo nel 519.
Nel 484 - Dopo l'emanazione, da parte dell'imperatore romano d'Oriente Zenone, dell'"Henotikon", avviene uno scisma, detto "acaciano", fra le chiese cristiane, d'oriente e d'occidente. Prese il nome da Acacio, all'epoca patriarca di Costantinopoli, che aveva ispirato l'"Henotikon" stesso, in cui Gesù Cristo era descritto come «l'unigenito Figlio di Dio [...] uno e non due» e non c'era un riferimento esplicito alle due nature, come invece stabilito dal Concilio di Calcedonia del 451, dove era stata condannata la posizione miafisita (solo una natura divina), ma i miafisiti erano ancora forti, specie nelle province orientali dell'impero. Il vescovo di Roma, papa Felice III, si rifiutò di accettare il documento e scomunicò Acacio, provocando lo scisma di Costantinopoli, che si ricomporrà nel 519, con Giustino I imperatore d'Oriente. Può essere considerato il primo scisma fra chiese cristiane, orientale ed occidentale. A metà del V secolo, mentre l'impero romano d'Occidente si stava dissolvendo nella barbarizzazione germanica, per l'agiato clero cristiano d'Oriente, divenne improcrastinabile risolvere le dispute teologiche sulla natura di Cristo. Da tempo i teologi discutevano se Gesù possedesse entrambe le nature, umana e divina, oppure solamente quella divina e si interrogavano se le due nature fossero compresenti o distinte. Nelle chiese d'oriente, influenzate dalle speculazioni filosofiche di stampo ellenistico, la questione sollevava da tempo un profondo e articolato dibattito. Le due massime chiese d'oriente erano quelle di Antiochia, in Siria, e di Alessandria d'Egitto, entrambe sede di patriarcato. I teologi di Antiochia, di scuola aristotelica, mettevano in risalto l'umanità di Cristo e l'unione delle sue due nature, rimaste integre in una sola persona. L'autonomia della natura umana veniva accentuata fino a farla diventare un secondo soggetto accanto al Logos. Diversamente da loro, ad Alessandria, di scuola platonica, si dava l'assoluta precedenza alla divinità di Cristo. Il Logos divino sarebbe stato l'unico vero centro di azione in Cristo. I teologi di Alessandria non si riferivano mai a un soggetto umano o a un distinto principio operativo. In Cristo vi era la perfetta unità del Verbo nella carne: l‘uomo è il Verbo, ma il Verbo in quanto unito a un corpo. I massimi esponenti della scuola teologica alessandrina (Didaskaleion) furono Clemente, Origene e Atanasio. Sia la chiesa di Antiochia sia quella di Alessandria accettarono le decisioni del Concilio di Nicea I (del 325), che aveva affermato la consustanzialità, cioè la stessa natura, del Padre e del Figlio. Nel concilio successivo, a Costantinopoli (381), cui presero parte solo esponenti della Chiesa dell'Impero romano d'Oriente, venne ribadita l'uguaglianza tra le divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Nella prima metà del V secolo fu patriarca di Alessandria Cirillo (370-444). Durante la sua epoca si sviluppò l'eresia nestoriana, teoria cristologica di matrice antiochena. Cirillo fu il primo vescovo a denunciare gli errori del nestorianesimo; fu l'estensore della lista delle 12 rinunce (“anatemi”) che il papa di Roma Celestino I sottopose a Nestorio. Fu la figura centrale del concilio di Efeso I del 431, che condannò definitivamente il nestorianesimo come eresia. Il concilio di Efeso però, aveva lasciato irrisolta una questione fondamentale: che tipo di rapporto sussiste tra la natura umana e quella di Cristo dopo l'incarnazione: sono tra loro subordinate, o sono fuse, ovvero separate? Uno dei discepoli di Cirillo, il monaco Eutiche, provò a dare una risposta. Eutiche viveva a Costantinopoli come rappresentante diplomatico della chiesa di Alessandria. Nella capitale bizantina era anche padre superiore di un importante convento di monaci. Nella sua prova di risposta, Eutiche affermò che in Cristo, dopo l'incarnazione la natura umana è stata assorbita completamente da quella divina. La divinità avrebbe accolto l'umanità "come il mare accoglie una goccia d'acqua". Contro Eutiche si pronunciarono i patriarchi di Costantinopoli e di Antiochia e il papa di Roma. A suo favore si schierò invece Cirillo, che però morì pochi anni dopo. Per dirimere la questione, fu comunque convocato il concilio di Efeso II che si tenne nel 449; gli alessandrini, rappresentati dal loro papa (il titolo del loro vescovo) Dioscoro I, uscirono vincitori: il sinodo confermò l'ortodossia della teoria di Eutiche, definita “monofisismo”, cioè una natura, nello specifico, quella divina.
- La politica dei Vandali nei confronti della religione era contraddittoria al punto che, dopo aver permesso il 1º febbraio 484 un concilio tra vescovi ariani e cattolici, il 24 febbraio dello stesso anno fu emanato un decreto in cui ai sacerdoti cattolici fu proibito di esercitare qualsiasi funzione e di abitare sia in città che nei villaggi. Tutte le chiese cattoliche e le loro proprietà passarono al clero ariano; i funzionari regi di fede ortodossa furono privati della loro carica e tutti i cittadini di fede ortodossa furono multati; inoltre, se avessero perseverato nella loro fede e non avessero abbracciato la dottrina ariana, entro il 1º giugno dello stesso anno sarebbero stati dichiarati eretici, gli sarebbero stati confiscati i beni e sarebbero stati deportati. Al loro deciso rifiuto, migliaia di cattolici furono esiliati sia in Corsica che in veri e propri campi di concentramento nell'entroterra africano, dove morirono a centinaia per le condizioni di vita estreme e per la disidratazione. I sacerdoti cattolici ortodossi più fortunati furono rimossi dagli uffici divini e gli fu permesso di rimanere presso le precedenti diocesi, ma molti, torturati e bruciati vivi sul rogo, subirono il martirio in quella che fu una delle più crudeli persecuzioni della storia della cristianità. Mentre in quel periodo i Vandali, rafforzando ulteriormente la marina, mantennero il controllo delle isole del mediterraneo occidentale, nell'entroterra africano tuttavia i Berberi iniziarono la conquista della regione corrispondente grossomodo all'odierna Algeria, creando ai Vandali non pochi problemi logistici a causa dei loro continui attacchi, che minacciavano i collegamenti e le comunicazioni tra i possedimenti di Cartagine e Tangeri. Unerico, che fu il primo Vandalo a fregiarsi del titolo di Re dei Vandali e degli Alani, fu colpito, alla fine del 484, dalla peste (considerata dai cattolici una punizione divina per le sue persecuzioni) e morì dopo pochi giorni, il 23 dicembre del medesimo anno. Gli successe il nipote Gutemondo. In quegli anni, i più potenti rivali dei Vandali, cioè i Visigoti, gli Ostrogoti e l'Impero Romano d'Oriente (Bizantino), erano impegnati in lunghe e sanguinose guerre, che impedirono loro di dedicarsi alla conquista del Regno Vandalo che, dopo aver toccato il suo apogeo sotto Genserico, iniziava ora un rapido declino. In seguito, la persecuzione contro i cattolici fu attenuata e nel 487 la maggior parte delle chiese cattoliche ortodosse furono riaperte e gli ecclesiastici esiliati rientravano. Si stabilizzò inoltre la situazione economica interna, che sotto Unerico era arrivata sull'orlo del collasso.
Regni Franchi 481-814 da QUI. |
Nel 491 - Approfittando del conflitto tra Odoacre e Teodorico, i Vandali cercarono di riappropriarsi della Sicilia, ma le truppe spedite sull'isola nel 491 furono ricacciate dagli Ostrogoti e così fu perso il contributo che Odoacre versava, dal 476, per il possesso dell'isola. Al re vandalo Guntemondo successe il fratello, Trasamondo, descritto dagli storici del tempo come un sovrano poco capace, inadatto al suo ruolo. Sotto la sua guida il Regno dei Vandali subì continui attacchi dalle popolazioni berbere e dei Mauri che portarono alla perdita di quasi tutto il territorio che oggi fa parte dell'Algeria. Negli ultimi anni del suo regno inoltre l'importante città portuale di Leptis Magna, sulla costa mediterranea, fu saccheggiata e distrutta dai Berberi mettendo in risalto l'estrema debolezza in cui si trovava il Regno dei Vandali. Riuscì tuttavia a mantenere e consolidare una forte presa su quello che è considerato il "cuore" del Regno, oggi corrispondente al territorio tunisino, alla parte più orientale dell'Algeria e alla Tripolitania; le tribù di Tripoli però, negli ultimi anni di regno, si resero indipendenti e lo sconfissero duramente. In politica interna, Trasamondo continuò la politica del fratello che aveva messo fine alle persecuzioni contro i cattolici, iniziate dallo zio Unerico, pur riprendendo una politica anticattolica, evitando però i metodi violenti, ripresero gli esili tra il clero cattolico, tra cui il vescovo di Cartagine, usandogli però i dovuti riguardi; questa politica gli permise di far progredire significativamente le relazioni con l'Impero Bizantino. I Vandali fecero un'alleanza con gli Ostrogoti e nel 500, in seconde nozze, Trasamondo sposò la sorella del loro re, Teodorico, Amalafrida, che portò in dote la città siciliana di Lilibeo ed il suo circondario (l'estremità occidentale della Sicilia). L'alleanza scricchiolò, tra il 510 ed il 511, quando i Vandali aiutarono il re dei Visigoti, Gesalico, figlio illegittimo di Alarico II che Teodorico considerava un usurpatore del trono a scapito del figlio legittimo di Alarico II, Amalarico, che per parte di madre era nipote di Teodorico; abbandonato Gesalico al suo destino, l'alleanza tra Vandali e Ostrogoti tornò solida. A Trasamondo successe il cugino Ilderico, di circa sessant'anni, figlio primogenito di Unerico e di Eudocia, che tra il 484 e il 523, aveva vissuto per quasi quarant'anni a Costantinopoli, al seguito di Eudocia quando fu ripudiata, e che era rimasto in ottimi rapporti con i membri della corte imperiale, specialmente con Giustiniano I, che governava per conto dell'imperatore Giustino I. I Vandali non lo amarono poiché, invece di praticare l'arianesimo come i suoi predecessori, indotto dalla madre si era da tempo convertito al cattolicesimo. A renderlo ulteriormente impopolare di fronte alla propria gente fu il suo carattere imbelle e la sua omosessualità, considerata dai Vandali come estremamente riprovevole. Ilderico, richiamò gli esuli, restituì le chiese agli ortodossi e permise la nomina di un nuovo vescovo cattolico a Cartagine, e facilitò la conversione al cattolicesimo di molti Vandali, che allarmò la nobiltà vandala, e Amalafrida, la vedova del suo predecessore Trasamondo, e la sua guardia ostrogota si ribellarono; i Goti finirono massacrati e l'ex regina in carcere.
Teoderico seguì le linee guida già tracciate da Odoacre, lasciando ai Romani, che gli si dimostrarono fedeli, gli impieghi amministrativi e politici che già possedevano, riservando nel contempo esclusivamente ai Goti i compiti di sicurezza e difesa. Inoltre, per pacificare l'Italia, riscattò i cittadini romani fatti prigionieri da altri popoli barbari e procedette alla distribuzione delle terre. Tale liberalità e avvedutezza nella ripartizione dei terreni è da attribuire all'esiguo numero di Ostrogoti rimasti dopo aver varcato le Alpi. Anche in ambito religioso Teoderico, benché seguace del Cristianesimo ariano, non perseguitò la fede cattolica, seguendo anche in questo l'esempio di Odoacre. Il nuovo imperatore Giustino I, che ambiva ad un nuovo ruolo dell'Impero anche in relazione alle questioni religiose che agitavano il cristianesimo, dette inizio alla sua personale crociata contro l'arianesimo, visto come fede inconciliabile e soprattutto pericolosa per il crescente potere della Chiesa cattolica. Fedele a questa sua linea di ostilità nei confronti dell'eresia ariana, nel 524 decretò che i luoghi di culto ariani venissero consegnati alla Chiesa cattolica. Teodorico, convinto che ci fosse un'intesa segreta tra l'impero di Costantinopoli e gli abitanti romani d'Italia, reagì con violenza: fece uccidere alcuni dei suoi più preziosi collaboratori, tra cui Severino Boezio. In seguito Teodorico costrinse papa Giovanni I a recarsi a Costantinopoli per chiedere la revoca del decreto a Giustino I e per chiedere per giunta che gli ariani convertiti al cattolicesimo potessero riabbracciare la fede ariana. Il Papa ottenne la revoca dell'ordine, ma si rifiutò anche solo di chiedere all'imperatore il permesso per gli ariani convertiti al cattolicesimo di tornare all'arianesimo. Così, quando tornò a Roma, Giovanni I fu imprigionato e lasciato morire in carcere nel 526 da Teodorico. Teodorico, sconvolto dagli avvenimenti degli ultimi mesi e ormai vecchio, morì nello stesso 526 lasciando l'Italia, pacificata, al nipote Atalarico sotto la reggenza della figlia Amalasunta. "Il re aveva raggiunto l'età senile e capiva che presto se ne sarebbe andato. Chiamò quindi i conti goti e i capi del suo popolo intorno a sé, designò Atalarico, figlio di sua figlia Amalasunta, suo successore e ordinò ai presenti, come sua ultima volontà, di aver cura del re, amare il senato e il popolo di Roma, e di mantenersi sempre favorevoli alla pace nei confronti dell'imperatore." (Giordane). Atalarico, il nipote ha appena 10 anni e Amalasunta prende la reggenza. Amalasunta ascolta il desiderio del padre: mantiene la relazione d'amicizia con l'imperatore, e prende provvedimenti contro la miseria della popolazione, ma questo non piace agli Ostrogoti che sono stanchi di essere trattati come Romani: avevano accettato l'imposizione della parità di diritti con i Romani da Teodorico, ma non sono disponibili ad accettare che una donna freni il loro potere di vincitori. Nasce un'opposizione ostrogota contro Amalasunta ed è come una guerra: da una parte la regina che vuole continuare a regnare come ha fatto il padre, dall'altro i capi ostrogoti che vogliono il potere per poterne disporre secondo i loro principi. Nel 534 muore Atalarico, appena diciottenne, Amalasunta non riesce più a dominare la situazione e la lotta contro di lei aumenta di intensità. Per tentare di salvare la situazione, associa al trono il cugino Teodato, amico dei capi ostrogoti. Ma l'opposizione ostrogota non si ferma per questo e lo stesso Teodato si pone contro Amalasunta, nel 535 la depone, la relega in un'isola sul lago di Bolsena, poi la fa strozzare.
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Non possiamo quindi parlare di Regno degli Ostrogoti, ma di Regno Ostrogotico, o Visigotico ecc. I Vandali invece, avendo avuto atteggiamenti tirannici, verranno infine spazzati via da Belisario, generale di Giustiniano, poiché la popolazione romana gli era rimasta ostile e non erano quindi riusciti ad instaurare una società funzionale. L'imperatore romano (che ora regna solo a oriente) invia le insegne imperiali ai nuovi Re dei territori dell'ex impero d'occidente, investendoli così come consoli regnanti.
- Teoderico (il cui nome in norreno e islandese è Þiðrik af Bern, mentre in tedesco è Dietrich von Bern, dove Bern è il nome di Verona nel tedesco altomedioevale) nacque in Pannonia, fra le attuali Ungheria e Austria. Figlio del re ostrogoto Teodemiro e di una sua concubina, Erelieva. Secondo i documenti del Priorato di Sion era un discendente di Sarah-Damaris Principessa della Tribù di Giuda Bat Yeshuah, nata nel 27, figlia primogenita di Gesù (Yeshuah Ben Yossef) e di Maddalena (Mariamne Migdal-Eder Principessa della Tribù di Beniamino) attraverso la madre Erelieva De Tongres, nata nel 410, che aveva sposato nel 454 Théodemir d'Ostrogothie, figlio di Winithar d'Ostrogothie, morto ne 472. All'età di otto anni, Teoderico era stato stato inviato come ostaggio, a garanzia della pace tra Bizantini ed Ostrogoti, presso la corte dell'imperatore Leone I, dove visse per dieci anni. Nella capitale dell'Impero romano d'Oriente venne educato e apprese il latino e il greco. Riscattato dal padre, si fece subito valere come comandante degli Ostrogoti in diverse battaglie, conquistandone ben presto la fiducia. Teodorico succede al trono degli Ostrogoti dopo la morte del padre (474) e prosegue la politica di alleanza con il vicino Impero, dal quale otteneva compensi per i servigi di protezione dei confini. L'imperatore bizantino, alleandosi con Teoderico, sperava che questi riuscisse a porre sotto il controllo ostrogoto le nuove popolazioni barbariche che spingevano ai confini dell'Impero, assicurando così a Bisanzio una zona di influenza che fungesse da cuscinetto tra l'Impero e le popolazioni barbariche. I successi di Teoderico portarono l'imperatore Zenone a riconoscere al re ostrogoto lo stato di federato romano e di eleggerlo a console nell'anno 484 (alcuni anni dopo gli fu anche eretta una statua equestre a Costantinopoli), ufficializzando in questo modo il predominio ostrogoto sull'area balcanica. La presenza di Teoderico stava diventando però sempre più ingombrante per Zenone e nel contempo Odoacre in Italia stava allargando la sua zona di influenza minacciando gli interessi di Bisanzio. Zenone pensò di risolvere i suoi problemi mettendo l'uno contro l'altro i due re barbari, per cui, con l'aiuto di Bisanzio, nel 488 Teoderico preparò la spedizione verso l'Italia, intrapresa nell'autunno dello stesso anno. Teoderico varcò le Alpi orientali nel 489 con al seguito un esercito di circa 100.000 Ostrogoti e condusse le sue genti in una serie di cruenti scontri contro gli Eruli, scontri che terminarono dopo cinque anni (493), quando Teoderico fece uccidere a tradimento il suo rivale Odoacre e tutta la sua corte durante un banchetto che avrebbe dovuto sancire la pace tra i due re. L'eliminazione di Odoacre, che pare volesse a sua volta insidiare la vita di Teoderico, segnò l'inizio del dominio degli Ostrogoti in Italia, dominio che rappresentò un lungo periodo di pace e stabilità.
Peso in bronzo col nome di
Teoderico, re degli Ostrogoti e
console dell'imperatore Romano
come Re d'Italia.
|
Teoderico, primo Re
d'Italia, investito
dall'imperatore
romano (d'oriente). |
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