Alfabeti antichi: Egiziano antico,
proto-Sinaico (Cananaico), Fenicio,
Greco, Etrusco e Latino. Clicca
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L'alfabeto fenicio è un'evoluzione dell'alfabeto protocananaico, e per convenzione è fatto risalire al 1.050 a.C., ma le iscrizioni nel sarcofago di Ahiram risalgono al XIII secolo avanti Cristo.
L'idea di codificare un sistema di scrittura derivava dalla scrittura dei Sumeri della fine del IV millennio a.C., da cui provenivano il cuneiforme dei Babilonesi e i geroglifici Egizi.
Secondo la tradizione, fu Thot a inventare la scrittura. Thot è la divinità egizia della luna, sapienza, scrittura, magia, misura del tempo, matematica e geometria.
È rappresentato sotto forma di ibis, uccello che vola sulle rive del Nilo, o sotto forma (meno frequente) di babbuino.
Thot in
geroglifico.
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Il nome egizio del dio in geroglifico è:
Rappresentazione
di Thot.
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Alfabeto Egiziano-ieratico dei
geroglifici, quello da cui
probabilmente i Fenici ricaveranno il
loro alfabeto
fonetico. Clicca sull'immagine per
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I Libri di Thot sono dei mitici libri, 42 in tutto, redatti dal dio egizio Thot e lasciati sulla terra, nei quali si troverebbero i misteri dei cieli e predizioni di eventi planetari futuri. Questi libri profetici sarebbero stati nascosti in biblioteche egiziane segrete ed ora risulterebbero dispersi. Nell'antico Egitto l'arte era uno strumento al servizio della politica e della religione. Essa rifletteva l'immutabilità del potere del faraone, il suo essere divinità vivente che continua a esistere nell'immagine dipinta o scolpita anche dopo la morte. Nella statuaria gli dèi, il faraone, i dignitari di corte furono rappresentati sempre in pose stilizzate, con lineamenti idealizzati che non conoscono i segni della vecchiaia o della malattia. Nella postura in piedi, hanno le braccia lungo i fianchi e muovono un passo in avanti come se camminassero lentamente; se vengono ritratti seduti appoggiano le mani sulle ginocchia. Tutto era previsto dal rigido cerimoniale di corte e agli artisti non rimaneva che seguire delle precise regole di rappresentazione.
Busto di Nefertiti,
moglie di Amenofi IV.
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L'unica eccezione riguardò il regno di Amenofi IV: questo faraone promosse la massima rivoluzione religiosa della storia d'Egitto e durante il suo regno agli artisti venne concessa una maggiore libertà interpretativa, come testimonia il bellissimo busto-ritratto della regina Nefertiti, sua moglie. In un dialogo platonico, il "Fedro", Thot viene nominato (come Theuth), in un breve apologo proposto da Socrate per contestare l'importanza della scrittura, di cui il dio egizio sarebbe stato l'inventore, a favore dell'oralità, che all'epoca di Socrate era ancora molto sviluppata, la quale sola permetterebbe all'uomo di "possedere" nella propria memoria quello che la fredda scrittura fissa su supporti materiali. Un’ipotesi sull’origine dei Tarocchi fa riferimento al Libro di Thot, nel quale sarebbero contenute delle conoscenze antiche originariamente trasmesse all’uomo da questa divinità.
Ermes Trismegisto in una
rappresentazione nel
pavimento del duomo di Siena.
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Thot è stato a volte identificato con il dio greco Ermes o Hermes Trismegistus (Ermes o Ermete Trismegisto, dal greco Τρισμέγιστος «tre volte grandissimo»). Ermes Trismegisto sarà poi il padre del sistema di pensiero che da lui prende il nome: l'Ermetismo. Vedremo poi che le idee filosofiche che porranno le basi del pensiero scientifico, prendono avvio dalla riflessione sulle dinamiche cosmologiche ed astrali, da cui si cercò di spiegare tutti gli altri fenomeni: la prima "scienza" fu, così, l'Astrologia, che, fin dai Sumeri, raccordava i movimenti astrali, considerati "cause" agli eventi in terra, gli "effetti". Probabilmente fu l'agricoltura a stimolare la ricerca nelle previsioni meteorologiche, ma è anche vero che i risultati erano di tutto rispetto. Talete, il primo filosofo, si arricchì con previsioni astrologiche inerenti i raccolti di olive: prese in affitto tutti i frantoi che poté, e grazie agli abbondanti raccolti li fece lavorare oltre misura.
Testo tratto dalla Tavola Smeraldina di
Ermes Trismegisto.
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Particolare dell'iscrizione fenicia
nel sarcofago di Ahiram, XIII
sec.a.C. Clicca sull'immagine
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Dal 1.650 a.C. - Apogeo della Civiltà Minoica nell'isola di Creta e nelle assoggettate isole Cicladi, con il leggendario re Minosse. Si è poi appurato che Minosse non è un nome proprio, ma il titolo di sovrano, come ad esempio "faraone".
Carta con Micene in Grecia, le isole
Cicladi, Rodi e Creta
con le sue proto-città. Clicca
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- Le terramare erano antichi villaggi dell'età del bronzo medio e recente (del periodo 1.650 - 1.150 a.C.) dell'Emilia e delle zone della bassa pianura Padana, come le attuali provincie di Cremona, Mantova (l'alto Mantovano) e Verona.
L'eruzione fu uno dei più grandi eventi vulcanici accaduti sulla Terra, documentata storicamente. L'eruzione devastò l'isola di Thera (Santorini), compreso l'insediamento minoico ad Akrotiri come pure aree comunitarie e agricole sulle isole vicine e sulle coste di Creta. L'evento generò anche uno tsunami alto da 35 m. a 150 m. che devastò la costa nord di Creta, distante circa 110 km. Lo tsunami ebbe un impatto sulle città costiere quali Amnisos, dove i muri degli edifici furono deformati nel loro allineamento. Sull'isola di Anafi, 27 km ad est, sono stati trovati strati di cenere profondi 3 m., come pure strati di pomice sui pendii a 250 m. sopra il livello del mare.
Dove ha colpito l’onda? Certamente lo tsunami fu devastante, ma non è ancora completamente chiarito il suo sviluppo. Molti modelli, basati sulle conoscenze sempre più progredite, si sono succeduti ma le prove a conferma di queste teorie sono ancora scarse. Tuttavia proprio nell’ultimo lustro la caccia ai depositi di questo evento ha ottenuto buoni risultati. Sull’isola di Anaphi, una ventina di km ad est di Santorini, sono stati ritrovati livelli di pomici coperti da sedimenti alluvionali recenti a circa 350 metri dalla costa, ad un’altitudine di circa 50 metri sul livello del mare, per alcuni autori trascinati lì dall’onda di tsunami che avrebbe raggiunto quelle coste nel giro di dieci minuti. Altre evidenze simili sono state individuate a nord fino all’isola di Samotracia, ad est a Lesbo e Rodi, ancora più ad est sulle coste della Turchia, di Cipro e perfino di Israele, dalle parti di Jaffa, dove l’onda avrebbe avuto un’altezza di circa sette metri e sarebbe arrivata almeno un’ora e mezzo dopo l’inizio dello tsunami. Ipotesi quest’ultima tutta da verificare secondo altri autori, con i depositi che potrebbero essere dovuti ad altri tsunami dell’antichità. Tuttavia l’aspetto più interessante risiede a sud, in particolare nell’isola di Creta, distante circa 120 km da Santorini, dove l’onda di tsunami, viaggiando ad una velocità di circa 500 km/h, sarebbe giunta nel giro di 25-30 minuti, con un’altezza di 10-12 metri, colpendo (in modo differenziato a seconda della morfologia dei fondali) l’intera costa settentrionale. Molte evidenze, archeologiche e geologiche, portano a ritenere l’evento ormai assodato così come appare confermata l’ipotesi che l’economia della civiltà minoica, allora fiorente a Creta e nell’intero Egeo, abbia subito dal cataclisma un colpo praticamente mortale, vedendo distrutta gran parte della sua potente flotta navale e danneggiata sensibilmente l’agricoltura: proprio per questo si parla di tsunami minoico.
Dal 1.600 a.C. - Nella penisola greca, meta di periodiche migrazioni di popoli che consentiranno alla cultura greca di evolversi dall'iniziale cultura pelasgica, nel 2.000 a.C. giunge la popolazione guerriera degli Ioni, seguita nel 1.600 a.C. da Achei ed Eoli. Queste nuove migrazioni da nord, spingono gli Ioni nei territori dell'Attica e gli Achei in molte zone del Peloponneso (in Elide, nell'Acaia che da loro ha preso il nome, oltre che nell'Argolide, regione che verrà poi conquistata dai Dori), nelle isole attorno alla Grecia e nel resto del paese, mentre gli Eoli si stanziano prevalentemente nei territori della Beozia e della Tessaglia. Gli Achei (il cui nome deriva da Achille, da cui Acaia) sono quindi stati coloro che, seguiti dagli Eoli, sono riusciti a egemonizzare definitivamente le genti preelleniche (definite dai più Pelasgi). Son detti anche Argivi, dalla città di Argo, o Danai, cioè "figli di Danao", il fondatore di Argo, e quindi "occidentali" rispetto agli orientali Troiani.
Oggi li si associa più che altro ai Micenei, dalla città di Micene. Nell'Iliade con il nome Achei vengono indicati i popoli greci che presero parte alla Guerra di Troia. In età storica sono detti Achei gli abitanti dell'Acaia Ftiotide, nella Tessaglia meridionale, e dell'Acaia Egialea, corrispondente alla omonima regione denominata Acaia e parte dell'Arcadia. Per quanto riguarda la penetrazione di questo popolo nell'area greca si ritiene generalmente che queste genti di origine indoeuropea, attraverso i Balcani, occuparono il Peloponneso intorno al 1500 a.C., in coincidenza con la fine dell'era minoica.
Sono proprio gli Achei a intraprendere i primi contatti commerciali con l'avanzata civiltà Minoica cretese, e che subiscono l'influsso di questa cultura forte e civilizzata: dall'incontro di questi due popoli venne infatti a svilupparsi la fiorente civiltà Micenea, e definire quindi Achei e Micenei come se fossero la stessa cosa, è errato. Gli Achei potrebbero essere stati, in seguito, una concausa della capitolazione Minoica. Il ruolo degli Achei nello scacchiere politico del Mediterraneo orientale era di sicuro di fondamentale importanza.
Si parla di loro nei documenti ittiti, dove vengono chiamati Ahhiyawa, ed egiziani (Aqaivasa ) della seconda metà II millennio a.C.; Omero usa come sinonimi Achei e Danai, mentre sembrerebbe che Argivi si riferisca solo ai nativi del Peloponneso o della Grecia continentale, ma è quasi un sinonimo, mentre usa il termine Elleni solo per gli abitanti del nord della Grecia. Le città achee, erano governate dall'aristocrazia e riunite in confederazione. Gli Eoli invasero l'antica Grecia nel II millennio a.C. e probabilmente, la realtà storica dell'invasione ellenica della Grecia fu raccontata attraverso il mito della titanomachia: i fratelli Ade, Poseidone e Zeus personificano Ioni, Eoli e Achei che soggiogano Crono e i suoi fratelli Titani, ossia i Pelasgi adoratori delle divinità titaniche. Il nome "Eoli" deriva dal fatto che essi furono considerati i discendenti di Eolo, figlio di Elleno, il mitico patriarca degli Elleni. Popolo originariamente stanziato in Tessaglia ed in Beozia, gli Eoli migrarono verso oriente verso l'XI secolo a.C., stabilendosi nell'isola di Lesbo e poi sulle coste anatoliche in Eolide. Secondo la tradizione tale migrazione, capeggiata da Oreste, sarebbe avvenuta sotto la spinta dei Dori, l'ultimo e quarto popolo (forse) ellenico, che soggiogò la civiltà micenea ormai decaduta. Il processo della decadenza micenea parrebbe iniziare con la guerra di Troia, intorno al 1.200 a.C. L'invasione dorica, di un secolo circa più tarda, invece ne sarebbe il colpo di grazia.
- Di origine indoeuropea, gli Ausoni, esistevano già intorno al 1.600 a.C., cioè all'inizio del Bronzo medio. L'Ausonia era il loro territorio, si estendeva dal basso Lazio fino alla Calabria, abitavano le terre della Campania fino al fiume Sele; gli Enotri vivevano nel territorio a sud e gli Japigi nell'attuale Puglia (ad essi si affiancava un'altra popolazione enotria, quella dei Choni). Fra queste, quelle degli Ausoni e degli Enotri rappresentano, secondo le fonti, le più antiche popolazioni italiche dominanti ed avevano nell'VIII secolo a.C. ormai raggiunto una loro stabilità territoriale. Secondo la tradizione mitologica, verso il 1.400 a.C. un gruppo di Ausoni guidato da Liparo avrebbe raggiunto l'isola eoliana di Lipari e vi si sarebbe stabilito fondandovi una città chiamata Lipara (forse nel più volte riutilizzato sito del Castello di Lipari) ed uno stato che si mantiene lì dal 1.240 all'850 a.C., per poi essere distrutto violentemente e non più ricostituito. Attorno al 1.270 a.C. una parte del popolo ausonico (forse insieme ai Liguri Siculi) sarebbe emigrata dalla Campania in Sicilia.
- Il 1.600 a.C. è anche la data approssimativa della produzione del disco di Nebra, ritrovato a Mittelberg, una collina di 252 metri nel sud-ovest della foresta di Ziegelroda a 180 km di Berlino, in Germania. Da http://www.miste
Le terramare sono l'espressione dell'attività commerciale dell'età del bronzo. Sono insediamenti lungo una via che attraversava le Alpi nella Val Camonica e giungeva alle sponde del Po. Qui venivano costruite le terramare, che fungevano da depositi e punti di ripartenza delle merci, costituite da ambra dal Mar Baltico, e stagno dai Monti Metalliferi centro-europei, dirette lungo il Po fino alla sua foce e all'Adriatico, verso il Mar Mediterraneo orientale, il Mar Egeo, Creta, l'Asia Minore, la Siria, l'Egitto. Il nome Terramare deriva da terra marna (dal dialetto emiliano = terra grassa) con riferimento alla terra, generalmente di colore scuro, tipica dei depositi archeologici pluristratificati, formatisi, attraverso i secoli, con il succedersi delle abitazioni che venivano ricostruite una sull'altra. Questi depositi formavano delle collinette, alte fino a 5 metri, che costituivano ancora nel XIX secolo un tratto caratteristico del paesaggio padano. Nel corso dell'Ottocento queste collinette furono per la massima parte distrutte dalla attività di cava volta al recupero del terriccio, che veniva venduto come concime. Il termine andò poi in disuso con la dismissione di queste cave e rimase ad indicare solamente i villaggi dell'età del bronzo.
Carta con la zona della civiltà delle
Terramare. Clicca sull'immagine per
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Le popolazioni terramaricole sono forse strettamente imparentate con i successivi proto-villanoviani e gli Etruschi. Infatti la grande tecnica nel trattare le acque di scolo, la presenza di argini, canalizzazioni e fognature nelle città etrusche, potrebbe essere derivata dai terramaricoli che da sempre ebbero a che fare con tali opere. Il collegamento tra Terramaricoli e Villanoviani si riscontra anche nella pratica d'incinerazione dei defunti, diffusasi dal centro Europa lungo la via dell'ambra. Proprio i Villanoviani potevano rappresentare un ramo periferico di questa via che portava l'ambra fino in Sardegna dove era fiorente la Civiltà nuragica. La struttura delle terramare si concilia con la tecnica delle palafitte costruite sui laghi dell'Italia settentrionale e centrale. Queste strutture su palafitte in terra erano adatte per costruire villaggi permanenti lungo le sponde dei fiumi soggetti a straripamenti. Il motivo di costruire in zone così difficili è sicuramente legato al commercio fluviale. Per le fondamenta delle palafitte si utilizzava il frassino, per il pavimento assi di abete, travi di pioppo coperte di canne per il tetto, rami intrecciati di nocciolo per le pareti; per rendere il pavimento impermeabile lo si ricopriva di argilla, mentre le pareti, per proteggersi dal freddo, venivano rivestite di un composto di argilla e sterco di vacca. Se una terramare prendeva fuoco, veniva abbattuta e ricoperta di terra. Nei secoli seguenti le Terramare furono abbandonate in favore della formazione del sentiero pedemontano che sarà poi la via Emilia. Altro fattore di declino fu lo spostamento della via dell'ambra che prima passava per la Val Camonica e poi per il Tirolo, che favorì invece la comparsa della Civiltà Atestina (o d'Este) dei Veneti. I villaggi erano di forma generalmente quadrangolare, delimitati da un fossato, nel quale scorreva acqua derivata da un vicino fiume o canale, e da un terrapieno. Nel periodo iniziale le terramare avevano tutte dimensioni analoghe, comprese fra 1 o 2 ettari. Successivamente verso la fine del Bronzo Medio, tra il 1.400 e il 1.300 a.C., alcuni villaggi aumentano le loro dimensioni fino ad arrivare a 15/20 ettari di estensione, altri invece rimangono di dimensioni ridotte, mentre altri ancora vengono abbandonati. Tutto farebbe pensare ad un riassetto politico del territorio, con la formazione di distretti entro i quali i villaggi assumono diversa consistenza demografica e diversa importanza. Gli scavi archeologici del XIX secolo e quelli più recenti hanno dimostrato che internamente i villaggi avevano un'organizzazione molto regolare, con case allineate secondo uno schema ortogonale determinato dall'incrocio delle strade. Intorno al 1.150 a.C., le terramare furono completamente abbandonate e tutto il territorio della pianura, specialmente nel settore emiliano, fu abbandonato per vari secoli. Le motivazioni di questa crisi non sono ancora del tutto chiare, sembra possibile che a fronte di una forte popolamento (si calcolano circa 200.000 individui) e ad un depauperamento delle risorse naturali, una crisi climatica in senso più arido abbia innestato una profonda crisi economica che a suo volta determinò una carestia e conseguentemente sconvolgimenti di ordine politico, che causarono poi il collasso dell'intera società.
Nel 1.628 a.C. - Data approssimativa dell'eruzione vulcanica dell'isola di Thera, l'odierna Santorini, stimata comunque fra il 1.600 e 1.650 a.C. L'eruzione minoica di Thera, anche riferita come eruzione di Thera o eruzione di Santorini, fu una vasta e catastrofica eruzione vulcanica (indice di esplosività vulcanica VEI = 6 o 7, Roccia Densa Equivalente DRE = 60 km3), la quale si stima sia accaduta nella metà del secondo millennio a.C.
Ricostruzione dell'eruzione vulcanica
di Thera (Santorini). Clicca
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Posizione dell'antica Thera, la
Santorini di oggi. Clicca
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Come doveva presentarsi, vista
dall'alto, la capitale di Atlantide.
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Altrove nel Mediterraneo si sono trovati depositi di pomice causati probabilmente dall'eruzione di Thera. Gli strati di cenere nelle carote perforate sul fondale marino e dei laghi in Turchia, tuttavia, mostrano che la più abbondante caduta di cenere avvenne a est e a nord-est di Santorini. Adesso si sa che la cenere trovata su Creta è stata depositata in una fase precorritrice all'eruzione vera e propria, alcune settimane e mesi prima delle principali fasi eruttive, ed avrebbero avuto un'impatto sull'isola meno devastante di quello che si pensava. L'eruzione sembra avere ispirato certi miti greci e può avere causato scompiglio in Egitto.
In aggiunta, si è congetturato che l'eruzione minoica e la distruzione della città di Akrotiri avesse fornito la base o altrimenti l'ispirazione a Platone per la storia riguardo ad Atlantide. Platone, nel Timeo e nel Crizia, parlava di una favolosa isola, sede di una civiltà eletta, spazzata via da un’immane cataclisma del tutto simile ad un maremoto: molti autori hanno identificato la sua Atlantide proprio con Santorini. Quindi Platone ha derivato il mito di Atlantide da un'impero che si estendeva da Thera a Creta? E' probabile, visto che fu Solone a riportare il racconto di avere visionato documenti egizi che descrivevano Atlantide e la sua popolazione, i cui profughi si sarebbero poi rifugiati in Egitto. Il nome che gli egizi usarono per identificare quei profughi era "keptiu", lo stesso che usavano per indicare i Cretesi.
Come doveva presentarsi la città
principale di Atlantide.
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Carta delle invasioni di Ioni e Achei
dal 2000 a.C., e Dori
dal 1200 a.C., nell'antica Grecia.
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Carta delle regioni dell'antica Grecia
con le città che saranno poi
edificate.
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Carta con Micene in Grecia, le isole
Cicladi, Rodi e Creta con le sue
proto-città. Clicca sull'immagine
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Carta delle invasioni di Ioni, Eoli,
Dori e Dori del
Nord nell'antica Grecia. In Arcadia si
rifugiano
i Pelasgi, i primi indoeuropei arrivati
in Grecia.
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- Di origine indoeuropea, gli Ausoni, esistevano già intorno al 1.600 a.C., cioè all'inizio del Bronzo medio. L'Ausonia era il loro territorio, si estendeva dal basso Lazio fino alla Calabria, abitavano le terre della Campania fino al fiume Sele; gli Enotri vivevano nel territorio a sud e gli Japigi nell'attuale Puglia (ad essi si affiancava un'altra popolazione enotria, quella dei Choni). Fra queste, quelle degli Ausoni e degli Enotri rappresentano, secondo le fonti, le più antiche popolazioni italiche dominanti ed avevano nell'VIII secolo a.C. ormai raggiunto una loro stabilità territoriale. Secondo la tradizione mitologica, verso il 1.400 a.C. un gruppo di Ausoni guidato da Liparo avrebbe raggiunto l'isola eoliana di Lipari e vi si sarebbe stabilito fondandovi una città chiamata Lipara (forse nel più volte riutilizzato sito del Castello di Lipari) ed uno stato che si mantiene lì dal 1.240 all'850 a.C., per poi essere distrutto violentemente e non più ricostituito. Attorno al 1.270 a.C. una parte del popolo ausonico (forse insieme ai Liguri Siculi) sarebbe emigrata dalla Campania in Sicilia.
Disco di Nebra. Clicca
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%20di%204000%20anni.htm: Il disco di Nebra è un manufatto circolare in bronzo e oro datato 1600 a.C. circa, con un diametro di 32 cm. con raffigurati sole, luna e stelle tra le quali si distinguono le sette Pleiadi; o almeno il gruppo delle 7 stelle visibili ad occhio nudo che fanno parte della costellazione delle Pleiadi. Il disco di Nebra sembrerebbe, così, essere la più antica rappresentazione di stelle in assoluto. Questo singolarissimo ritrovamento archeologico, sembra corroborare gli stretti legami tra l'Europa centro-settentrionale e il mondo miceneo e poi omerico evidenziati dagli studi di Rosario Vieni, di Harald Haarmann, e di Felice Vinci. Il disco è il perfetto pendant dei versi del XVIII libro dell'Iliade in cui Omero illustra le decorazioni astronomiche fatte dal dio fabbro Efesto sullo strato in bronzo posto al centro dello scudo di Achille: "Vi fece la terra, il cielo e il mare, / l'infaticabile sole e la luna piena, / e tutti quanti i segni che incoronano il cielo, / le Pleiadi, le Iadi, la forza d'Orione". Il Disco di Nebra è stato attribuito alla cultura di Únětice (2.300 - 1.600 a.C.) in base ai pugnali in rame che presumibilmente erano associati al reperto.
Carta con l'ubicazione del Lago
di Viverone, in Piemonte.
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Dal 1.550 a.C. - Nella Cultura di Viverone (1.550 - 1.450 a.C.), alcune costruzioni palafitticole sono costruite con cassoni quadrati orizzontali su cui vengono appoggiati i pavimenti, altre sfruttano una palificazione verticale che costituisce l'ossatura dell'edificio e dei pontili; dunque la tecnologia non è univoca. È però singolare che edifici in legno simili a quelli palafitticoli siano stati scoperti anche in terraferma, ad es. in Svizzera a Savognin Padnal o a Zurigo a Mozartstrasse. Infine è ormai chiaro che l'immagine del villaggio sospeso sull'acqua non è una regola. Recenti sondaggi e ricerche dimostrano ormai con chiarezza come alcuni impianti furono edificati sulle rive del lago e che quindi il villaggio non era affatto sospeso sull'acqua. Alcuni studiosi hanno quindi cercato di spiegare il diffondersi di questo criterio costruttivo rifacendosi a fattori esterni quali la variabilità climatica. Se lo scopo dell'impiantito ligneo è quello di proteggere le case dall'acqua alta, il diffondersi delle palafitte nell'età del Bronzo potrebbe manifestarsi in corrispondenza di un peggioramento climatico generale. Purtroppo la nostra conoscenza del clima nell'età del Bronzo è limitato e deriva dalla osservazione degli strati di ghiaccio sulle Alpi.
La preistoria è così divisa in 5 grandi periodi climatici che, a partire dall'ultima glaciazione (di Wurm, terminata 15.000 anni fa) corrispondono a consistenti variazioni delle temperature che possiamo così riassumere:
- Preboreale 11.000-5.000 anni fa (B.P. = prima del presente), improvviso innalzamento della temperatura ma comunque fredda, più del presente,
La preistoria è così divisa in 5 grandi periodi climatici che, a partire dall'ultima glaciazione (di Wurm, terminata 15.000 anni fa) corrispondono a consistenti variazioni delle temperature che possiamo così riassumere:
- Preboreale 11.000-5.000 anni fa (B.P. = prima del presente), improvviso innalzamento della temperatura ma comunque fredda, più del presente,
- Boreale 9.000 -7.500 anni fa, variazioni climatiche simili a quelle odierne, temperature più calde ed inverni miti,
- Atlantico 7.500 -5.500 anni fa, periodo più caldo e più umido, + 4°C rispetto al presente,
- Subboreale 5.500-2.800 anni fa, ritorno ad un clima più freddo e piovoso,
- Subatlantico da 2.800 anni fa, caratterizzato da temperature superiori a quelle attuali.
All'interno del periodo Subboreale, un raffreddamento rispetto al periodo precedente comportò l'avanzata dei ghiacciai e precisamente questo si verificò intorno al 1.500 a.C. in Svizzera e intorno al 1.280 a.C. in nord Italia. Queste fasi coincidono straordinariamente con quelle della scomparsa dei ritrovamenti archeologici di palafitte nelle rispettive regioni. Forse, durante le fasi più calde del periodo contraddistinto come Subboreale, le coste lacustri furono densamente abitate da genti che attuavano uno stratagemma per mettere al riparo gli edifici dalle repentine e stagionali trasgressioni del livello dei laghi.
Gli scavi di Savognid Padnal e Zurigo in Mozartstrasse, dimostrano che case lignee di grandi dimensioni furono costruite anche lontano dall'acqua. La palafitta pare dunque il punto di arrivo di una secolare tradizione architettonica lignea sviluppatasi in Europa continentale sin dal Neolitico grazie all'alto grado di forestazione e la disponibilità di materia prima. Se la palafitta è il prototipo della casa celtica o del casone medievale europeo è possibile che essa non sia esclusivamente lacustre e che anzi il problema stesso della "palafitta" sia sovrastimato se è vero che i resti di villaggi in legno in terraferma sono ben difficilmente riconoscibili per la dissoluzione esercitata sui materiali deperibili dai processi di decomposizione. La scoperta del villaggio palafitticolo di Viverone (in Piemonte) ha fornito contributo alla definizione del popolamento dell’Italia nord-occidentale alimentando alcune interessanti riflessioni sulle società dell'età del Bronzo. II villaggio di Viverone che occupa un area di 200 x 250 m, è stato identificato assieme ad altri 6 siti minori da archeologi subacquei volontari nel corso degli anni e ‘60 e successivamente scavato e rilevato dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte.
Monile bronzeo della
Cultura di Viverone.
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Viverone ha restituito oltre 150 oggetti in bronzo in perfetto stato di conservazione, miracolosamente conservatisi sui fondali del lago. Si tratta in parte di oggetti da guerra (spade, coltelli, asce) e di abbigliamento (spilloni, pinzette, pettini e eccezionalmente due rasoi - i più antichi attualmente noti in Italia). Particolarmente raro un morso piuttosto primitivo per cavallo realizzato anch'esso in bronzo. Il morso, in particolare, è di grande interesse soprattutto se messo in relazione con la scoperta effettuata il secolo scorso di due ruote in legno pertinenti ad un carro sul fondo della torbiera di Mercurago. La prima è una massiccia ruota composta di tre parti legate tra loro e sembrerebbe adatta ad un carro da lavoro. La seconda più leggera e raggiata ricorda da vicino quelle scolpite sui rilievi egiziani, ittiti o micenei. Gran parte degli studiosi, pur in assenza di una stratigrafia o di dati radiocarbonici (i reperti con il tempo sono andati distrutti e non esiste che un calco) assegnano queste ruote all'età del Bronzo. Si potrebbe dunque immaginare che i guerrieri di Viverone facessero uso del carro trainato dal cavallo in guerra; le loro spade sono troppo fragili per sopportare colpi di fendente e sembrano più adatte per essere utilizzate di punta. Il materiale di Viverone è tuttavia un unicum e la cronologia dei materiali di Mercurago non è affatto certa. I reperti bronzei di Viverone sono stati in questi ultimi anni più chiaramente inquadrati culturalmente e paiono chiaramente esogeni, presumibilmente prodotti nell'area dell'altopiano Svizzero e del Baden Württemberg. L'analisi condotta dallo scrivente sul complesso della cultura materiale ha però permesso di escludere che le genti di Viverone provenissero da quelle regioni; il materiale bronzeo di Viverone sembra frutto di scambi o dell'immissione del Piemonte in un circuito metallurgico occidentale che, attraverso il passo del Gran San Bernardo ha intensificato i rapporti tra l’Europa centrale e il Mediterraneo. I problemi da risolvere sono allo stato attuale molti e stimolanti e riguardano non solo la genesi ma anche l'esaurimento del fenomeno palafitticolo.
In Emilia e Lombardia meridionale un fenomeno simile e leggermente sfasato cronologicamente passa sotto il nome di "terramare': il collasso dei due sistemi è tuttavia sincronico e allo stato attuale inspiegabile. Nell'area alpina piemontese i siti palafitticoli riconosciuti come Patrimonio dell’Umanità sono due: l’insediamento di Viverone, sulle sponde del lago omonimo, risalente all’età del Bronzo (1.550-1.400 a.C.), e quello di Mercurago, in un’area umida poco distante dal Lago Maggiore, di grande importanza per la quantità di materiali e utensili ritrovati al suo interno.
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Carta con l'ubicazione di Mercurago, in
Piemonte.
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