L'anziana vestale Emilia, che
custodisce il fuoco sacro
nel tempio di Vesta, da: http://smell.ilcannocchi
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- In seguito alla riforma teodosiana, il termine Eparchia è stato utilizzato nell'Impero romano d'Oriente per indicare una circoscrizione amministrativa equivalente alla provincia latina. Tali entità scomparvero poi nel VII secolo con l'istituzione dei temi (thémata in greco).
- Da allora, nell'Impero Romano non ci sarebbe più stata libertà di pensiero e di culto al di fuori dell'ortodossia cristiana. Per i successivi secoli, (e fino al presente) la Chiesa di Roma manovrerà principi, re, imperatori e la totalità delle menti per tenere a freno i suoi più acerrimi nemici: la verità, il sapere, la conoscenza, la scienza e più in generale la cultura; l'autodeterminazione personale e collettiva, il diritto alle pari opportunità, cosa che d'altra parte hanno fatto e fanno la maggioranza delle religioni ma soprattutto le tre monoteiste.
Nel 393 - L'imperatore d'occidente, poi considerato usurpatore Flavio Eugenio giunge a Roma dove mette in atto, pur essendo cristiano, una politica di tolleranza verso i "pagani" della religione romana, che sotto la guida di Virio Nicomaco Flaviano, riprendono il potere. Flavio Eugenio permise la riapertura dei templi pagani come il tempio di Venere e Roma, la restaurazione dell'altare della Vittoria nella curia romana e la celebrazione di feste religiose della religione romana. Questa politica religiosa, palesemente in contraddizione con i decreti anti-pagani del 391-392, creava tensioni con Teodosio I (che non lo aveva riconosciuto come suo collega e che era un fervente cristiano) e con il potente vescovo milanese Ambrogio, che lasciò la sua sede all'arrivo della corte imperiale di Eugenio.
Nel 394 - Il 5 settembre, l'esercito dell'imperatore d'occidente considerato usurpatore Flavio Eugenio, comandato dal franco Arbogaste, viene sconfitto dall'esercito di Teodosio I nella battaglia del Frigido (l'attuale fiume Vipacco vicino a Gorizia) e l'impero ha in Teodosio I, nuovamente, un unico padrone. Arbogaste si uccise per sfuggire alla cattura mentre Flavio Eugenio fu messo a morte per decapitazione come traditore. Il vandalo-romano Stilicone, all'epoca magister militum d'oriente, aveva messo insieme l'esercito che sotto la guida di Teodosio aveva vinto la Battaglia del Frigido e aveva inoltre alle proprie dipendenze il visigoto Alarico, che guidava un consistente numero di foederati goti e che costituivano l'avanguardia dell'esercito, che subirono gravissime perdite. Stilicone si distinse talmente al Frigido che Teodosio vide in lui l'uomo a cui poter affidare la difesa dell'Impero.
- Impero bizantino è il nome con cui gli studiosi moderni e contemporanei indicano l'Impero romano d'Oriente, distinzione che aveva incominciato a diffondersi durante il regno dell'imperatore Valente, dal 364 al 378, di cultura prevalentemente greca, separatosi dalla parte occidentale, di cultura quasi esclusivamente latina, dopo la morte di Teodosio I nel 395. Non c'è accordo fra gli storici sulla data in cui si dovrebbe cessare di utilizzare il termine "romano" per sostituirlo con il termine "bizantino", anche perché entrambe le definizioni sono utilizzate da molti di costoro, spesso indistintamente, per designare il mondo romano-orientale fino almeno al VII secolo. Le diverse impostazioni storiografiche condizionano anche la diversità di opinioni nella determinazione della datazione: taluni lo fanno coincidere con il 395 (separazione definitiva dei due imperi) ma si è anche proposto il 476 (fine dell'Impero Romano d'Occidente), il 330 (anno di inaugurazione della Nova Roma o Νέα Ῥώμη, fondata da Costantino I, copia fedele e nostalgica della prima Roma), il 565 (morte di Giustiniano I, ultimo imperatore di madrelingua latina e del suo sogno della Restauratio imperii). Alcuni storici prolungano il periodo propriamente "romano" fino al 610, anno dell'ascesa al trono di Eraclio I il quale modificò notevolmente la struttura dell'Impero. Resta comunque il fatto che per gli imperatori bizantini e per i propri sudditi il loro impero si identificò sempre con quello di Augusto e Costantino I dal momento che "romano" e "greco" fino al XVIII secolo furono per essi sinonimi. L'impero, dopo una lunga crisi, la sua distruzione da parte dei crociati nel 1204 e la sua restaurazione nel 1.261, cessò definitivamente di esistere nel 1.453 (conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi ottomani guidati da Maometto II). Il termine "bizantino", derivato da Bisanzio, l'antico nome della capitale imperiale Costantinopoli, non venne mai utilizzato durante tutta la durata dell'impero (395-1.453): i bizantini si consideravano Ῥωμαίοι (Rhōmaioi, "romei", ovvero Greco-Romani in lingua greca), e chiamavano il loro Stato Βασιλεία Ῥωμαίων (Basileia Rhōmaiōn, cioè "Regno dei Romani") o semplicemente Ῥωμανία (Rhōmania). Fino al regno di Giustiniano I, nel VI secolo, si tentò ripetutamente di ricostituire l'antica unità dell'impero romano, sottraendo i territori occidentali ai successivi conquistatori. Il greco fu la lingua di cultura e d'uso, com'era stata da sempre nelle province orientali dell'impero romano. Il latino, piuttosto diffuso presso le classi alte di Costantinopoli fino almeno all'età marcianea (Flavio Marciano è stato un imperatore romano d'Oriente dal 450 al 457), rimase comunque lingua ufficiale dell'Impero d'Oriente: Eraclio I lo sostituì con il greco intorno al 625. Curiosamente, per lungo tempo fu considerato disdicevole riferirsi all'impero come "greco", poiché tale termine aveva l'accezione spregiativa di pagano.
Illirico ed Epiro, da QUI. |
- Un destino simile a quello dell'eunuco Eusebio (condannato a morte nel 361 d.C. dall'imperatore Giuliano detto l'Apostata) ebbe l'eunuco praepositus sacri cubiculi Eutropio, al servizio dell'imperatore Arcadio (377-408 d.C.), figlio di Teodosio I ed erede al trono d’Oriente. Per sostituirsi a Rufino, consigliere di fiducia del principe, Eutropio fece uccidere costui, incamerando le sue proprietà. Eutropio convinse poi Arcadio a sposare Eudossia, figlia del generale Bautone, e fece esiliare o dichiarare nemici dell'Impero tutti i suoi oppositori, compreso il generale Stilicone. Il potere e la ricchezza di Eutropio aumentarono al punto che dopo la nomina a patricius nel 398 d.C., ebbe anche il consolato l’anno dopo. Per la prima volta un eunuco occupava una carica così alta, scandalizzando la corte imperiale. Nel 399 d.C. il generale Gainas fu inviato da Eutropio, che aveva ricevuto il governo dell'Oriente dall'imperatore d'Oriente Arcadio, di domare gli Ostrogoti alleati dell’Impero in Frigia, che si erano ribellati. Gainas, nemico dell'eunuco, si accordò coi ribelli che dichiararono di cessare la rivolta a condizione che Eutropio fosse stato incarcerato e condannato a morte. Arcadio, che esitava a far arrestare l'eunuco, fu convinto dalla moglie Eudossia a procedere contro Eutropio, che si rifugiò nella basilica di Santa Sofia dove in effetti non valeva più il diritto d'asilo nelle chiese per una legge fatta approvare dallo stesso Eutropio nel 398. Fu invece san Giovanni Crisostomo (344-407 d.C.), patriarca di Costantinopoli, a difendere, con una serie di omelie, l'operato di Eutropio che tuttavia fu condannato all'esilio a Cipro, da dove con un pretesto venne fatto tornare a Costantinopoli e fatto giustiziare (nel 399 d.C.). I beni del praepositus furono confiscati e la sua figura venne presa dal poeta Claudio Claudiano (370-404 d.C.), come simbolo di tutti gli inganni, tradimenti e vizi propri degli eunuchi.
Nel 400 - I Vandali Asdingi lasciano la Pannonia, spinti alla colonizzazione di nuove terre dall'avanzata delle truppe unne.
- Alla fine del 406, Stilicone invia Alarico in Epiro, stringendo con lui una nuova alleanza contro l'Impero d'Oriente: l'intenzione di Stilicone era farsi consegnare da Arcadio l'Illirico orientale. Per difendere l'Italia o per attaccare l'impero d'Oriente però, vennero sguarnite le frontiere della Gallia e proprio il 31 dicembre del 406, attraversando il Reno ghiacciato presso Mogontiacum, Vandali, Alani e Suebi o Svevi, invadono la provincia.
- Stilicone era pronto per la campagna contro l'impero d'Oriente nell'Illirico, contando anche sull'alleanza con Alarico e i suoi Visigoti, ma prima arrivò la notizia poi rivelatasi falsa che Alarico fosse deceduto, e Stilicone cercò di accertarsene; poi gli giunsero lettere di Onorio provenienti da Roma, che lo informavano dell'usurpazione di Costantino III e a tale notizia, il generale romano fu costretto ad annullare la spedizione illirica e a ritornare a Roma per stabilire le mosse future. Per cui, intenzionato a recuperare il possesso della Gallia, nel 407 Stilicone invia nella regione un'armata condotta dal generale romano di origini gote Saro (in latino Sarus; ... - 412), fratello di Sigerico (futuro re dei Visigoti per sette giorni), per porre fine all'usurpazione di Costantino III: Saro, attraversate le Alpi, ottenne alcuni successi iniziali, come la sconfitta e l'uccisione dei due generali di Costantino III, Giustiniano e Nebiogaste. Costantino III stesso fu assediato da Saro nella città di Valentia per sette giorni ma la città resistette all'assedio e ben presto accorsero in soccorso dell'usurpatore i rinforzi condotti dal franco Edobico e dal britannico Geronzio; all'arrivo di tali rinforzi, Saro fu costretto a levare l'assedio dopo soli sette giorni e tentare la ritirata, ma fu assalito e sconfitto dai due generali e riuscì a stento a sfuggire alla cattura. La ritirata frettolosa dell'esercito sconfitto di Saro verso l'Italia fu ostacolata durante l'attraversamento delle Alpi dai briganti Bagaudi, che consentirono all'esercito romano di tornare in Italia solo a patto che venisse loro ceduto tutto il bottino di guerra.
Nel 408 - Serena, in attesa che suo figlio Eucherio possa sposare Galla Placidia, temporeggia e alla morte della figlia Maria, fa sposare a Onorio l'altra figlia, Termanzia.
- In maggio, l'usurpatore Costantino III fa di Arles la propria capitale, dove nomina Prefetto Apollinare, il nonno di Gaio Sollio Sidonio Apollinare (Lugdunum, 5 novembre 430 circa - Clermont-Ferrand, 486), nobile gallo-romano, alto funzionario dell'Impero romano, poeta, epistolografo, vescovo di Alvernia e santo. Il suo rango e le sue conoscenze fecero sì che fosse al centro della vita pubblica della sua epoca.
- Stilicone è informato che Alarico aveva lasciato l'Epiro e che aveva collocato il suo accampamento a Emona, città situata tra la Pannonia Superiore e il Norico. Il re dei Visigoti aveva ricevuto lettere da Onorio che gli avevano annunciato l'annullamento della spedizione e gli avevano ordinato di rientrare in territorio romano-occidentale. Alarico, arrabbiato per l'annullamento della spedizione senza che avesse ricevuto alcuna ricompensa o almeno un rimborso spese per il mantenimento delle sue truppe per tutto il tempo trascorso in Epiro in attesa di Stilicone, decide di marciare in Norico, da dove invia messaggeri a Stilicone che gli chiedono 4.000 libbre d'oro, non solo come ricompensa per i servigi prestati all'Impero d'Occidente in Epiro ma anche come rimborso spese per il viaggio dall'Epiro al Norico, e minaccia di invadere l'Italia nel caso questa richiesta non sia soddisfatta. Stilicone, all'arrivo dei messaggeri di Alarico a Ravenna, li trattenne nella nuova capitale della parte occidentale e si dirige a Roma, dove intende consultarsi con l'Imperatore e con il Senato romano riguardo al pagamento di Alarico. Il senato, riunitosi al palazzo imperiale, discusse se dichiarare guerra al re dei Visigoti oppure pagargli la somma di denaro: la maggior parte dei senatori erano propensi per la guerra mentre Stilicone e pochi altri erano di opinione contraria e votarono per la pace con Alarico. Quando i senatori propensi alla guerra chiesero a Stilicone perché propendeva per la pace e conseguentemente al disonore del nome romano, in quanto essa veniva comprata con del denaro, il generale romano rammentò che Alarico era intervenuto in Epiro per assistere l'Impero d'Occidente nel tentativo di sottrarre all'Impero d'Oriente l'Illirico orientale e il piano avrebbe già avuto successo se non fosse intervenuta Serena, sua moglie, che volendo evitare una guerra civile tra le due parti dell'Impero, era riuscita a indurre Onorio a fermare la spedizione. Stilicone mostrò inoltre al senato una lettera dell'Imperatore a riprova di quanto aveva affermato. Il senato, ascoltate le argomentazioni di Stilicone, accettò di versare ad Alarico le quattromila libbre d'oro e soltanto un senatore di nome Lampadio, secondo la tradizione, ebbe il coraggio di affermare che «questa non è una pace, ma un contratto di servitù». Secondo Zosimo, Stilicone intendeva inviare Alarico in Gallia per combattere l'usurpatore Costantino III, e avrebbe avuto l'approvazione di Onorio, che scrisse persino ad Alarico, ma l'esecuzione di Stilicone mandò a monte tutto. Una volta versate le 4.000 libbre d'oro ad Alarico, Onorio decise di recarsi dapprima a Ravenna e poi a Pavia, dove voleva visionare l'esercito che doveva essere inviato contro l'usurpatore Costantino III. Onorio intendeva lasciare Roma per stabilirsi a Ravenna, sembra per suggerimento di Serena, che temeva che se l'Imperatore fosse rimasto a Roma avrebbe avuto un rischio maggiore di essere catturato da Alarico nel caso avesse invaso l'Italia e riteneva, al contrario, Ravenna maggiormente sicura. Giustiniano, avvocato consigliere di Stilicone, temendo che se Onorio si fosse recato a Pavia il rischio di una rivolta delle truppe romane di stanza a Pavia, avverse a Stilicone, sarebbe stato elevato, tentò di distogliere l'Imperatore dal viaggio senza però riuscirci.
- Stilicone parte dunque per Ravenna, ma il viaggio a Pavia di Onorio, che è una pericolosa banderuola pronta a cambiare al primo vento, dà fastidio a Stilicone. Appena arrivato a Ravenna il magister provoca una agitazione tra i soldati con l’appoggio di Saro, ufficiale barbaro a lui fedele. Onorio non si arresta e prosegue per la capitale. A metà strada gli giunge la conferma della notizia della morte di Arcadio (il primo di maggio) avvenuta a Costantinopoli. L’imperatore orientale lascia erede il figlio di sette anni, Teodosio Il. Onorio, tuttavia, non si fece intimorire e partì per Bologna, dove scrisse a Stilicone, che all'epoca si trovava a Ravenna, ordinandogli di punire i rivoltosi. Quando però Stilicone annunciò la sua intenzione di punirli con la decimazione, i soldati con un pianto dirotto ottennero che il generale scrivesse all'Imperatore, chiedendo di non punirli, ottenendo così il perdono dall'Imperatore e scampando pertanto alla punizione. Stilicone raggiunse quindi Onorio a Bologna, dove i due ebbero una discussione accesa: Onorio, essendosi spento per malattia il I° maggio suo fratello Arcadio, intendeva infatti andare a Costantinopoli per assicurare la successione al nipote Teodosio II, figlio di Arcadio mentre Stilicone cercava di convincerlo che la presenza dell'Imperatore in Italia in questi frangenti così delicati (con Alarico e Costantino "III" in agguato) era necessaria e che sarebbe andato lui stesso in Oriente a sistemare le cose. Stilicone consigliò inoltre Onorio di negoziare con Alarico per stringere una nuova alleanza con lui: il generale intendeva impiegare i foederati Visigoti di Alarico in Gallia contro l'usurpatore Costantino III insieme alle legioni romane, sperando che con l'aiuto di Alarico sarebbe riuscito a recuperare la Gallia. Convinto da Stilicone, Onorio scrisse ad Alarico e alla corte d'Oriente e partì da Bologna per raggiungere Pavia. Partito Onorio, Stilicone si preparò per partire per Costantinopoli ma, narra Zosimo, tardò ad eseguire ciò che aveva promesso.
- Nell'estate del 408, le forze romane in Italia si riuniscono per attaccare l'usurpatore Costantino "III" mentre lui temeva che i cugini di Onorio in Hispania avrebbero organizzato un attacco da quella direzione mentre le truppe al comando di Sarus e Stilicone lo attaccavano dall'Italia, con una manovra a tenaglia. Quindi pensò di colpire per primo in Hispania e convocò il figlio maggiore, Costante, dal monastero dove abitava, lo elevò a Cesare e lo mandò con il generale Geronzio verso l'Hispania, dove sconfissero i cugini di Onorio con poca difficoltà. Didimo e Veriniano, furono catturati e altri due, Lagodius e Teodosiolus, fuggirono; il primo a Roma e Teodosiolus a Costantinopoli. Costante lasciò la moglie e la casa a Saragozza sotto la cura di Geronzio e tornò ad Arles per riferire al padre.
Dittico con Stilicone, la moglie
Serena e il figlio Eucherio.
Monza, tesoro del duomo.
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- A Ravenna e a Milano il partito antibarbarico o antigermanico aveva tessuto la sua strategia. Il 13 agosto a Ticinum (Pavia), proprio nel momento in cui Onorio, nel passare in rassegna le truppe, le stava incitando a dare il massimo nella guerra contro l'usurpatore Costantino III, al segnale di Olimpio, un civile abile negli intrighi di palazzo e nuovo favorito di Onorio, insorgono all’idea di essere nello stesso esercito assieme ai Visigoti di Alarico, un nemico pagato con soldi dello stato, il medesimo Alarico che avevano combattuto nelle passate battaglie sul suolo italico. Scoppiano gravissimi tumulti; davanti all’imperatore i soldati si gettano sugli alti dignitari stiliconiani del governo, compiono una strage e saccheggiano la città. Si narra che Onorio, nel tentativo di porre fine alla rivolta, si togliesse la porpora e il diadema e vagasse per la città nel tentativo di fermare i soldati, riuscendoci con molta fatica. È un vero colpo di stato: la fazione antigermanica prende un effimero sopravvento. Onorio terrorizzato fugge a Milano. Nomina frettolosamente magister officiorum Olimpio e prefetto al pretorio d’Italia il cattolico Mallio Teodoro. Ormai è rottura tra Onorio e Stilicone, l’imperatore infatti dà ordine ai suoi ufficiali di arrestarlo.
- Stilicone, che è a Bologna, si rende conto che la sua politica è finita. In un primo momento pensa di dirigersi verso Pavia ma quando viene a sapere che Onorio offre la sua copertura alla rivolta della fazione antigermanica vi rinuncia. Da leale soldato tiene fede al giuramento fatto a Teodosio e rifiuta di marciare alla testa delle truppe foederate contro i reggimenti romani di Ticinum (Pavia). Dà anzi l’ordine di chiudere le porte delle città del nord Italia onde impedire alle famiglie dei soldati Goti di raggiungere i loro parenti. Con questa disposizione permette al governo di cautelarsi contro la ribellione delle truppe barbariche. Gli ostaggi civili diventano un efficace deterrente contro un inizio di guerra civile tra milizie dello stesso impero. A Bologna, durante la notte il capo goto Saro furente massacra la guardia del corpo di Stilicone (composta da Unni di Pannonia) ed ha con lui un misterioso colloquio nella sua tenda, probabilmente per convincerlo a spodestare Onorio e il partito anti-germanico.
- Stilicone, distrutto moralmente e psicologicamente, va a Ravenna. Qui trova l’appoggio delle milizie foederate subito accorse, con la possibilità di scontri con la guarnigione della città. Non riuscendo più a conferire con Onorio per persuaderlo dell'infondatezza delle accuse di tradimento, Stilicone riesce a trovare riparo in una chiesa, dove entrano le truppe di Onorio presentando a Stilicone una prima lettera scritta da Onorio, in cui veniva ordinato semplicemente il suo arresto e la detenzione in carcere, ma non la sua esecuzione e lo inducono ad uscire dalla chiesa. Non appena Stilicone uscì dalla chiesa tuttavia, i soldati gli lessero una seconda lettera, nella quale veniva ordinata la sua esecuzione per presunto tradimento. Non appena fu letta la seconda lettera, i soldati barbari fedeli a Stilicone erano sul punto di intervenire per salvare il generale dall'esecuzione, ma Stilicone li fermò all'istante, accettando il suo destino. Stilicone sarà giustiziato il 23 agosto del 408 da Eracliano. Nelle città dell'impero d'occidente le truppe romane regolari si scatenarono contro i parenti dei soldati visigoti e vi furono massacri.
- Alla notizia le milizie foederate non rispondono più al governo imperiale. Circa trentamila soldati di origine barbarica si uniscono alle forze di Alarico. È un momento di totale confusione: l’esercito è diviso. Olimpio assume la direzione della politica imperiale e scatena l’epurazione contro gli stiliconiani: Deuterio, capo dei ciambellani di corte e Pietro, capo dei notai, vengono arrestati, torturati e uccisi a bastonate. Onorio allontana dal trono la moglie Thermantia (figlia di Stilicone e che aveva sposato all’inizio dell’anno) e ordina l’uccisione del figlio di Stilicone, Eucherio, che fugge inutilmente a Roma trovando breve asilo in una chiesa. Naturalmente vi sono ripercussioni anche in Gallia dove, in agosto, viene ucciso il prefetto stiliconiano Limenio. In Italia viene ucciso il prefetto Longiniano, collega di Curzio. Gli stiliconiani uccisi nella rivoluzione di agosto erano tutti funzionari in carica.
- Ma neanche in questo momento Alarico pensa di dare il colpo mortale. Chiede un riconoscimento in denaro, due ostaggi, Aezio figlio di Giovio, prefetto dell’Illirico, e Giasone figlio di Gaudenzio già comes d’Africa. Promette di ritirarsi in Pannonia. Onorio respinge le richieste, ma trascura di preparare l’esercito per una prevedibile reazione militare del capo goto. Sul fronte interno lo squagliamento e la disintegrazione dell’esercito continua: Saro, il comandante più amato dalle truppe visigote non viene recuperato ma si mantiene fedele all’impero. Come comandanti Olimpio assegna Turpilione alla cavalleria, Varane alla fanteria e Vigilanzio al corpo dei domestici.
- Apprese le mosse della coppia Onorio-Olimpio, Alarico dalla sua sede nel Norico prepara per bene la spedizione: fa venire dalla Pannonia Ataulfo, fratello della moglie, con una moltitudine di Unni e Goti ma non lo aspetta. In autunno entra in e supera agevolmente Aquileia. Oltrepassa il Po e raggiunge, con una passeggiata militare, Ecubaria (Monteveglio o Vigarano Mainarda o Mirandola), roccaforte vicino a Bononia (Bologna). Aggira Ravenna, passa per Rimini poi da Ancona e punta deciso (per la Via Salaria) verso Roma.
- In seguito all'esecuzione di Stilicone, Olimpio si impossessa del controllo dell'Impero, ricevendo la carica di magister officiorum e ottenendo dall'Imperatore che le alte cariche dello stato fossero assegnate a uomini di sua fiducia. Il regime di Olimpio si occupò anche di perseguitare i famigliari e i partigiani di Stilicone, molti dei quali furono processati, interrogati affinché confessassero i presunti piani di tradimento di Stilicone e, nei casi in cui non ci fossero confessioni, giustiziati. Onorio divorziò da Termanzia, figlia di Stilicone, e ordinò l'esecuzione di un altro figlio del generale, Eucherio, il quale, pertanto, si rifugiò in una chiesa di Roma. A Roma il comes sacrarum largitionum Eliocrate ricevette addirittura l'ordine di confiscare e vendere i beni di chiunque avesse ottenuto magistrature nel periodo della reggenza di Stilicone. Come se non bastasse, in seguito alla presa di potere da parte di Olimpio, assunse il controllo dello stato la fazione antibarbarica contraria all'imbarbarimento dell'esercito e alla negoziazione con Alarico: ciò, tuttavia, provocò effetti deleteri per l'Impero, con un indebolimento dell'esercito. Infatti, forse per ordine di Olimpio, le truppe di presidio delle città massacrarono le mogli e i figli dei soldati barbari al servizio dell'Impero e ne saccheggiarono le case. I soldati barbari, informati della notizia, per vendicarsi dei Romani che avevano trucidato le loro famiglie, decisero di disertare e allearsi con Alarico. Secondo Zosimo, Alarico fu così rinforzato da 30.000 soldati barbari che fino a poco tempo prima avevano servito Roma e Stilicone. Peter Heather ritiene invece che la cifra di 30.000 soldati si riferisca all'intero esercito di Alarico, avanzando l'ipotesi che Zosimo possa aver frainteso su questo punto la propria fonte, cioè Olimpiodoro di Tebe. Onorio, rimasto privo di una valida forza militare con cui opporsi ai barbari e all'usurpatore Costantino III, decide nel 408 di associare quest'ultimo al trono riconoscendolo co-imperatore e associandolo al consolato per l'anno successivo.
- Quando gli inviati di Costantino III arrivarono per parlamentare, il pauroso Onorio riconobbe Costantino come co-imperatore e i due furono consoli congiunti per l'anno 409. Costantino III è anche conosciuto come Costantino II d'Inghilterra e viene spesso confuso con il Costantino che si trova nella famosa e fantasiosa Historia Regum Britanniae di Geoffrey (o Goffredo) di Monmouth, che sale al potere dopo il regno di Gracianus Municeps. Nel racconto di Geoffrey, i Britanni chiedono ad Aldroenus, il sovrano di Armorica (la Bretagna gallica), di essere il loro sovrano dopo il ritiro romano, alla ricerca di un re che possa difenderli dai barbari. Aldroenus rifiuta ma manda invece suo fratello Costantino a governare. Costantino diventa re e ha tre figli, Costante, Aurelio e Uther, ma viene pugnalato a morte da un Pitto. Costantino III non ha alcuna relazione con il Costantino descritto nel racconto di Geoffrey e non ha alcun collegamento con la leggenda di Re Artù. Il Costantino di Geoffrey è il fratello di Aldroenus, entrambi discendenti di Conan Meriadoc ed è il Costantino di Geoffrey che, attraverso suo figlio Uther Pendragon è il nonno del leggendario Re Artù.
- Il successivo sacco di Roma del 410 per opera dei Goti di Alarico, dimostrò che cosa valesse l'impero senza le milizie e i comandanti germanici ed ebbe così inizio l'epoca dei regni germanici nelle provincie romane. Dopo otto secoli un esercito straniero entrava di nuovo a Roma. Nella navata centrale della Basilica di Sant'Ambrogio a Milano, si può vedere un sarcofago paleocristiano in marmo chiamato Sarcofago di Stilicone. Risulta tuttavia inverosimile, per il luogo e il modo in cui fu ucciso, che il generale sia stato sepolto a Milano; il nome della tomba si deve probabilmente ad una tradizione popolare. Un nuovo esercito romano era in preparazione in Italia per una seconda campagna contro l'usurpatore Costantino III, ma quando Stilicone venne giustiziato per ordine di Onorio (il 22 agosto 408), il generale romano di origini gote Saro e i suoi uomini abbandonarono l'esercito, lasciando l'imperatore senza protezione, arroccato nell'inespugnabile Ravenna con l'esercito dei Visigoti di Alarico I libero di muoversi in Etruria.
- Eucherio, Serena e Termanzia fuggirono a Roma, ma l'antipatia del Senato romano verso Serena e il figlio ne decretò la morte. Serena aveva sfidato le antiche divinità romane sottraendo una collana alla statua di Giunone per adornarsene: era una sacrilega e non poteva essere aiutata. Termanzia si ritirò in un monastero, mentre sua madre e suo fratello venivano decapitati. A orchestrare la regìa delle accuse era stata Galla Placidia, che finalmente poteva vendicarsi di essere stata segregata e strumentalizzata per diciannove anni da Serena (Zosimo, V, 38). Contro Placidia si sono schierati gli storici a noi contemporanei, bollandola del titolo di delatrice. Certo era una donna che aveva meditato e accarezzato la sua vendetta nelle interminabili giornate passate alla corte di Milano, in un'adolescenza priva di gioie e di affetti. La Nemesi (personificazione della giustizia, in quanto garante di misura e di equilibrio, divinizzata nell'antichità classica e modernamente intesa come fatale punitrice della tirannide e dell'egocentrismo attraverso le alterne vicende della storia; vendetta orchestrata dagli eventi) a volte assume questo aspetto.
Roma, arco di Tito, particolare del trafugamento della Menorah e del Pettorale del Giudizio. |
Ricostruzione del come doveva presentarsi il pettorale del giudizio o della decisione, da QUI. |
Invasione di Iuti, Angli e Sassoni nella Britannia romana, da QUI. |
- In Gallia l'usurpatore Costantino III muore e un nuovo usurpatore insorge, Giovino, che chiama a sé il generale romano di origini gote Saro e i suoi uomini in qualità di proprio esercito. Giovino, che era stato eletto dai Burgundi e dagli Alani, regnerà per due anni. La sua caduta avverrà quando i Visigoti di Ataulfo (Alarico era morto nel 410), fingendo di volersi unire a lui, lo rovesceranno occupandone i territori. Saro cadde nella trappola e malgrado combattesse valorosamente alla testa delle proprie truppe, fu sconfitto e ucciso in uno scontro con Ataulfo. Giovino fuggì ma, assediato e catturato a Valentia, fu giustiziato.
- Nel 411 si tiene il primo Concilio di Cartagine che ebbe come tema l'eresia donatista, dopo che nel 406 l'imperatore Onorio, attraverso l'Editto di Unione, aveva assimilato i donatisti agli eretici e dato le loro proprietà ai cattolici. Il vescovo donatista Primiano, non volendosi dare per vinto, si recò dall'Imperatore a Ravenna, chiedendo e ottenendo un dibattito con i cattolici, sul cui esito si sarebbe pronunciato da arbitro il praefectus praetorio. L'imperatore nel 410 diede incarico al senatore Marcellino di organizzare i preparativi per la conferenza. Lo stesso Marcellino doveva esserne arbitro e giudice. Con lettera del primo giugno 411, Marcellino invitò alla conferenza i vescovi delle due confessioni, assicurando imparzialità di giudizio. Nel dibattito emersero entrambe le posizioni, quella cattolica e quella donatista, e Agostino, vescovo d'Ippona, ribatté con le sue argomentazioni, divenendo la figura chiave di tutto il concilio. Egli si soffermò, in particolare, sul rapporto ministro-sacramenti, affermando che chi ribattezza "pone la propria speranza in un uomo" e non in Cristo, vero auctor sacrament. Noi siamo stati salvati solo per i Suoi meriti e per Sua giustificazione. Inoltre i sacramenti dei donatisti, anche se sono validi, non sono però fruttuosi, a causa della loro posizione scismatica. Infatti mancano della grazia santificante dello Spirito Santo. Costui opera solo nella Chiesa unita e non agisce nelle comunità separate. A tarda sera Marcellino emanò il verdetto secondo cui i donatisti erano stati confutati. Questa decisione fu confermata da Onorio con editto del 30 gennaio 412. Agostino d'Ippona (latino: Aurelius Augustinus Hipponensis; Tagaste, 13 novembre 354 – Ippona, 28 agosto 430) è stato un filosofo, vescovo cattolico e teologo berbero. Padre, dottore e santo della Chiesa cattolica, è conosciuto semplicemente come sant'Agostino, detto anche Doctor Gratiae ("Dottore della Grazia"). Secondo Antonio Livi, filosofo, editore e saggista italiano di orientamento cattolico, è stato «il massimo pensatore cristiano del primo millennio e certamente anche uno dei più grandi geni dell'umanità in assoluto». Le Confessioni sono la sua opera più celebre. Nel 373 la sua ansia per la ricerca dell'assoluto lo fece approdare al Manicheismo, di cui, insieme al suo amico Onorato, divenne uno dei massimi esponenti e divulgatori. Agostino stesso narra che fu attratto dalle promesse di una filosofia libera dai vincoli della fede; dalle vanterie dei manichei che affermavano di aver scoperto delle contraddizioni nelle Sacre Scritture; e, soprattutto, dalla speranza di trovare nella loro dottrina una spiegazione scientifica della natura e dei suoi fenomeni più misteriosi. La mente indagatrice di Agostino era entusiasta per le scienze naturali ed i Manichei dichiaravano che la natura non aveva segreti per Fausto di Milevi, il loro dottore. (Milevi era in Numidia, l'attuale Algeria). Tuttavia, tale adesione non fu scevra da dubbi che l'attanagliavano: essendo torturato dal problema dell'origine del male, Agostino, nell'attesa di risolverlo, diede credito all'esistenza di un conflitto tra due principi. C'era, inoltre, un fascino molto potente nell'irresponsabilità morale che risultava da una dottrina che negava la libertà ed attribuiva la commissione di crimini ad un principio esterno. Nel 383, Fausto di Milevi, il celebre vescovo manicheo, giunse a Cartagine. Agostino gli fece visita e lo interrogò, ma scoprì nelle sue risposte solo volgare retorica, assolutamente estranea a qualsiasi cultura scientifica. L'incantesimo si ruppe e, anche se Agostino non abbandonò immediatamente il gruppo, la sua mente iniziò a rifiutare le dottrine manichee. Nel 383 Agostino, all'età di 29 anni, cedette all'irresistibile attrazione che l'Italia aveva per lui; a causa della riluttanza della madre a separarsi da lui, dovette ricorrere ad un sotterfugio ed imbarcarsi con la copertura della notte. Non appena giunto a Roma, dove continuò a frequentare la comunità manichea, si ammalò gravemente. Quando guarì aprì una scuola di retorica ma, disgustato dai trucchi dei suoi alunni, che lo defraudavano spudoratamente delle loro tasse d'istruzione, fece domanda per un posto vacante come professore a Milano. Il praefectus urbi Quinto Aurelio Simmaco l'aiutò ad ottenere il posto con l'intento di contrastare la fama del vescovo Ambrogio. Dopo aver fatto visita al vescovo, però, si sentì attratto dai suoi discorsi e iniziò a seguire regolarmente le sue predicazioni. Per comprendere il pensiero di Agostino non si può prescindere dal suo vissuto esistenziale: egli cercò sempre di conciliare l'atteggiamento contemplativo con le esigenze della vita pratica e attiva. Poiché visse spesso drammaticamente il conflitto tra i due estremi, il suo pensiero consistette nel tentativo grandioso di tenere uniti la ragione e il sentimento, lo spirito e la carne, il pensiero pagano e la fede cristiana. Fu proprio l'insoddisfazione per quelle dottrine che predicavano una rigida separazione tra bene e male, tra luce e tenebre, a spingerlo ad abbandonare il manicheismo, e a subire l'influsso dapprima dello stoicismo e poi soprattutto del neoplatonismo, i quali viceversa riconducevano il dualismo in unità, così che oggi gli studiosi concordano sul fatto che la filosofia agostiniana è sostanzialmente di stampo neoplatonico. Ciò significa che Agostino recepì il pensiero di Platone filtrato attraverso quello di Plotino. Rispetto a questi ultimi tuttavia egli introdusse alcuni concetti nuovi marcatamente religiosi e attinenti in particolare alla fede cristiana: sostituì ad esempio la teoria della reminiscenza delle Idee con quella dell'illuminazione divina; o ancora, concepì la creazione dell'universo non semplicemente come un processo necessario tramite il quale Dio (plotinianamente) si manifesta e produce se stesso, ma come un libero atto d'amore, tale cioè che si sarebbe anche potuto non realizzare. E soprattutto, il Dio di Agostino non è quello impersonale di Plotino, ma è un Dio vivente che si è fatto uomo. All'amore ascensivo proprio dell'eros greco, egli avvertì così l'esigenza di affiancare l'amore discensivo di Dio per le sue creature, proprio dell'agape cristiano. Secondo Agostino di conseguenza, anche il mondo e gli enti corporei, essendo frutti dell'amore divino, hanno un loro valore e significato, mentre i platonici tendevano invece a svalutarli. Questo tentativo di collocare la storia e l'esistenza terrena entro una prospettiva celeste, dove anche il male trovi in qualche modo spiegazione, rimase sempre al centro delle sue preoccupazioni filosofiche. Nonostante le sottigliezze delle interpretazioni plotiniane di Platone nelle esposizioni di Agostino, nei concili di Cartagine fu emanata la proibizione per tutti, vescovi inclusi, di studiare Aristotele, Platone, Euclide, Pitagora, Tolomeo ecc.
Carta dell'Hispania nel periodo
409-429 di Alcides Pinto. |
Territori degli Unni, con la loro
capitale, nella pianura ungherese, |
Gli Unni in battaglia contro gli Alani in un'illustrazione ottocentesca di Johann Nepomuk Geiger, da https ://it.wikipedia.org/wiki/Unni |
Scuola di Atene di Raffaello Sanzio.
In quest'opera Raffaello rappresenta
i grandi filosofi del passato: l'unica
donna è Ipazia di Alessandria. |
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