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martedì 22 gennaio 2019

Storia dell'Europa n.13: dal 1.200 al 1.150 p.e.v. (a.C.)

Dal 1.200 a.C. - Si sviluppa in Europa un'Età del Ferro i cui maggiori centri sono Halstatt, Huttenberg e Cnosso.

- Mario Liverani in "Mutamenti climatici nell’antichità vicino-orientale e mediterranea", Torino 17-18 maggio 2012 afferma: "I dati climatici (in particolare le sequenze dendrocronologiche e polliniche) mostrano un episodio di brusca aridità, breve ma intensa, intorno al 1200 a.C. seguita poi da una fase di prolungata instabilità e aridità fino alla metà del IX secolo. I dati archeologici mostrano una serie di distruzioni dei centri urbani e palatini in Grecia (è il collasso della civiltà micenea), in Anatolia e nel Levante siro-palestinese all’inizio del XII secolo, e poi una prolungata fase di localismo, dimensione di villaggio e campi pastorali per tutta la prima età del Ferro, fino appunto alla metà del IX secolo. E i testi documentano bene sia la carestia alla fine del XIII secolo, sia la famosa invasione dei cosiddetti “Popoli del Mare” - genti di provenienza balcanica che si riversano dapprima nell’Egeo (è quella che le tradizioni classiche definivano l’invasione dorica) e poi in Anatolia e nel Levante - nel 1190 a.C., con il crollo dell’impero hittita e il restringimento di quello egiziano. Infine i testi documentano bene il successivo “effetto domino” anche nelle zone ad est dell’Eufrate (Assiria e Babilonia) ma con un décalage di un secolo buono rispetto all’invasione dei Popoli del Mare. In questo caso dunque le coincidenze sembrano già così ben documentate e circostanziate da renderci sicuri della spiegazione.
Località di rilievo nelle civiltà dei metalli europee: dopo la
civiltà del Rame, la civiltà del Bronzo dal II millennio,
civiltà del Ferro dal XII secolo a.C., i cui maggiori centri 
in Europa sono: Halstatt, Huttenberg e Cnosso.
Ovviamente la presentazione di questi casi andrebbe meglio articolata, e altri casi si potrebbero e dovrebbero aggiungere, sia per l’area circum-sahariana, sia per quella dell’Indo, sia per quella dell’Asia centrale. Ma l’esemplificazione mi pare già così sufficiente per chiarire come gli studi di proto-storia e di storia antica del mondo mediterraneo e vicino-orientale abbiano ormai ben superato il tabù della storiografia idealistica, si stiano attrezzando per metabolizzare le procedure (e comunque i risultati) di ambito scientifico, e stiano contribuendo alla costruzione di una storia delle società umane in cui il fattore ambientale e le variazioni climatiche occupano il posto che loro compete. Resta escluso, almeno spero, ogni riduzionismo: i processi e gli eventi messi in moto dai fattori climatici hanno una loro complessità di concause, di meccanismi e di effetti di natura sociale e tecnologica, economica e politica, culturale e simbolica, nonché le loro peculiarità regionali e diacroniche, che costituiscono il valore della storia nel suo senso più pieno."

- Il periodo che va  dal  1.200 a.C. al 1.000 a.C. è perciò abbastanza oscuro, ma ci si sta convincendo che la carestia del 1.200 a.C. sia stato l'evento scatenante il riassetto del quadro politico mediterraneo e mediorientale: secondo la ricerca di David Kaniewski, dell’Università Tolosa III - Paul Sabatier, effettuata assieme a colleghi di altre istituzioni e pubblicata sulla rivista on-line PlosONE, i ricercatori sono giunti alla conclusione che la crisi della tarda età del bronzo, piuttosto che imputabile ad una serie di eventi non correlati, sia stata provocata dal cambiamento radicale del clima, scatenante una siccità a cui sarebbero seguite carestie, inevitabili conflittualità politiche e invasioni dal mare da parte di popoli in cerca di fonti di sostentamento. Gli studiosi sottolineano anche che questo evento è in stretto rapporto con la sensibilità alle variazioni climatiche delle società dipendenti dalle proprie risorse agricole. Sensibilità e struttura economica, un binomio che, con il variare del clima, avrebbe portato inevitabilmente alla rovina. Pare del resto che la sequenza dendrologica di Gordion (la città, oggi turca di Gordio, del famoso nodo sciolto da Alessandro Magno con un colpo di spada) registri intorno al 1.200 a.C. un seguito di sette-otto anni particolarmente secchi: ciò che spiegherebbe la rovinosa carestia che investe una Anatolia già in difficoltà. Altrove, in bassa Mesopotamia, è stato il progressivo collasso della rete dei canali mettere in crisi l'agricoltura.
Tutto il Mediterraneo stava vivendo un periodo caratterizzato da catastrofi naturali con conseguenti migrazioni di popoli e da oriente giunse l'ultima ondata di tribù indoeuropee che, con lo sviluppo del fenomeno celtico, completò l'opera di mutamento culturale destinato a modificare per sempre il volto dell'Europa, in cui l'economia era ridotta a pastorizia e agricoltura.

- Dal National Geographic Italia: "Gli anni fondamentali per il crollo furono probabilmente quelli tra il 1.185 e il 1.130 a.C., ma si trattò di un processo che avvenne su un arco di tempo abbastanza lungo. Il cambiamento climatico agì come una scintilla che diede il via a una serie di eventi a catena. Il crollo dei raccolti costrinse alcuni gruppi che abitavano nelle regioni settentrionali a migrare in cerca di cibo, combattendo con altre comunità che a loro volta si spostarono per terra e per mare. Questa reazione a catena suscitò guerre e distruzioni e mise in crisi il delicato sistema commerciale dell'epoca. Le conclusioni raggiunte dagli scienziati, anche grazie alla datazione al radiocarbonio, coincidono quasi alla perfezione con i pochi resoconti storici del periodo, che appunto narrano di carestie, interruzioni delle rotte commerciali, tumulti, saccheggi e guerre per impadronirsi delle scarse risorse."

- Da https://ilbolive.unipd.it/it/news/cambiamenti-climatici-territorio-terramare: "Nella fase finale dell'età del bronzo recente, che va dalla fine del XIII all'inizio del XII a. C., c'era una provincia del mondo terramaricolo, ovvero quella della bassa pianura veronese, il cui centro fondamentale è il Fondo Paviani, che metteva in rapporto diretto i navigatori egei e levantini. Quest'ultimi, in un momento storico che corrisponde al collasso della civiltà micenea, arrivarono fino al delta del Po, e risalendo il fiume entrarono in contatto con i gruppi terramaricoli delle pianure veronesi. Il loro scopo non era tanto l'approvvigionamento del metallo, materiale di cui si rifornivano sull'isola di Cipro, bensì quello dell'ambra. Si tratta di una resina fossile che si trova soprattutto sulle coste del Mar Baltico e del Mare del Nord. È una materia prima inutile, ma di grande lusso. Poiché la civiltà delle terramare controllava l'afflusso di queste materie prime fondamentali, aveva raggiunto il suo apice anche dal punto di vista della pressione insediativa. Tutta la pianura e le fasce collinari, pedemontane, pedeappenniniche e appenniniche erano state completamente occupate grazie agli avanzatissimi sistemi di gestione delle acque. La deforestazione aveva raggiunto un punto limite. L'abbattimento della copertura forestale per far spazio ai campi, ai pascoli e agli insediamenti aveva causato problemi di carattere geomorfologico, come il degrado dei suoli e il ruscellamento. I terreni venivano ipersfruttati anche dal punto di vista della produzione, poiché c'era un'enormità di gente da sfamare, e ciò aveva provocato un impoverimento dei suoli. Tutto questo ha innescato una sorta di effetto domino che ha progressivamente reso il sistema delle terramare non più sostenibile. A questo si è aggiunto anche un aspetto di carattere climatico non dipendente dall'impatto antropico, al contrario di ciò che invece accade oggi. Sulla base dei dati archeologici, archeobotanici e geomorfologici possiamo osservare che nella Pianura padana e nell'intera Europa, intorno al 1200 a.C. si verificò un'oscillazione climatica in senso arido piuttosto rapida, la quale determinò anche l'abbassamento delle falde acquifere
Questa sorta di “tempesta perfetta”, in parte autoindotta, perché dovuta all'autodistruzione a cui i terramaricoli erano andati incontro inconsapevolmente dopo aver raggiunto il loro apice, e in parte eteroindotta, derivante da questa oscillazione arida, determinò l'impossibilità di portare avanti un sistema che aveva funzionato per centinaia di anni. C'è da dire, comunque , che la risposta a questa crisi fu diversa tra l'area a nord del Po e quella a sud. Quest'ultima, quella dell'Emilia, fu completamente spopolata. Ci sono evidenze che confermano che gli ultimi gruppi terramaricoli migrarono da questi territori, in cui era diventato difficile vivere, verso l'Italia centro-meridionale
Il sito di Frattesina prende lo spazio commerciale
che prima aveva il fondo Paviani.
Nelle zone a nord del Po, invece, vennero messe in campo delle strategie di resilienza: il territorio era solcato infatti da grandi fiumi di risorgiva che subivano meno gli effetti negativi della transizione climatica in senso arido. Per questo, il sistema delle terramare nord padane non collassò, ma attraverso un processo di iperselezione e iperconcentrazione del popolamento, diede vita a un nuovo sistema, che vide nel Po e nell'Adige i due assi fluviali fondamentali, composto però da pochi insediamenti, il più importante dei quali fu quello di Frattesina di Fratta Polesine, che ereditò dal sito di Fondo Paviani e dall'area delle valli veronesi quella vocazione a diventare centro di scambio internazionale".

Dal 1.194 al 1.184 a.C. - È il periodo più citato per la guerra di Troia (o Ilio) cantata nell'omerica Iliade, evento rappresentativo dell'esaurimento della civiltà Micenea.
Carta con le antiche Micene,Troia,
Sparta e l'isola di Chio.
La data della fine di questo conflitto è importante poiché è diventata un punto di riferimento per datare gli eventi, come lo è stata la data del 776 a.C., anno della prima olimpiade dei Greci. Fonti letterarie greche parlano di una distruzione di Troia, ad opera greca, da collocarsi nel XII secolo a.C. Tucidide cita Agamennone e la guerra di Troia nel "II libro delle Storie" (par.9) e la datazione della fine del conflitto si potrebbe desumere dal libro V della sua "Guerra del Peloponneso", il cosiddetto "dialogo dei Meli", gli abitanti dell'isola di Milo, nelle Cicladi.
Carta con l'antica Troade.
Nel dialogo con gli Ateniesi, i Meli sottolineano di essere di tradizione dorica, essendo stati colonizzati dagli Spartani, nel contesto dell'invasione dorica della Grecia, da settecento anni. Siccome l'avvenimento è del 416 a.C. e passano ottant'anni tra la fine della guerra di Troia e la colonizzazione dorica (definita il "ritorno degli Eraclidi") la data della caduta di Troia risalirebbe al 1.196 a.C.
Carta con la Grecia antica e i territori
occupati dai Dori, fra cui è
evidenziata l'isola di Milo.
Anche se la datazione della caduta di Troia proposta da Erodoto, il primo degli  storici, è quella del 1.250 a.C., la maggior parte degli storici antichi, con Eratostene di Cirene, bibliotecario della Biblioteca di Alessandria in testa (Eratostene, 241 J. fr. 1; Apollodoro, 244 J. fr. 61 in Diodoro Siculo, I, 5, 1; Diodoro Siculo, XIV, 2, 4; Castore, 250 J. fr. 3; Dionigi di Alicarnasso II, 2; Eusebio, p. 89 K.; Paolo Orosio, I, 17, 1.) è quella dell'11 giugno 1.184 a.C.
Hippos fenicia, da cui l'errata
traduzione "cavallo di Troia",
 da QUI.
Secondo le narrazioni omeriche, la mitica città di Troia aveva preso il nome dall'altrettanto mitico re "Trōs" (in greco "Têukros", Teucro) mentre sarebbe stata fondata da Dardano, figlio di Zeus ed Elettra, che giunto nella Troade aveva ricevuto in dono dal re Teucro il territorio su cui innalzò l'acropoli che chiamò Dardania.
Genealogia degli dei dell'Olimpo
nei poemi omerici.
Ilo, nuovo re del sito (da cui l'alto nome Ilio) e suo figlio Laomedonte avevano fatto costruire le mura di Troia, divenuta così città, da Apollo e Poseidone, scacciati dall'Olimpo da Zeus. Visto poi che Laomedonte, succeduto al padre, non volle pagare la ricompensa pattuita alle divinità, Apollo per punizione diffuse una pestilenza mortale mentre Poseidone mandò nella città un mostro marino che divorava le genti, che fu in seguito scacciato grazie a Eracle.
Il viaggio di Odisseo (Ulisse)
al ritorno dalla guerra di Troia verso
 Itaca, immortalato nell'Odissea.
Ancora una volta Laomedonte rifiutò di pagare la giusta ricompensa ad Eracle, che scatenò così una guerra contro la città distruggendola e la famiglia reale fu sterminata tranne l'ultimogenito di Laomedonte, Priamo che ne divenne quindi re. Questi sposò prima Arisbe, da cui ebbe un figlio, poi Ecuba, con la quale generò diciannove figli tra maschi e femmine, e Laotoe, che gli dette due maschi, ed ebbe altri figli dalle varie concubine. Paride, figlio di Priamo e di Ecuba, rapì Elena, sposa di Menelao re di Sparta, provocando una nuova guerra contro Troia, terminata con la conquista e l'incendio della rocca dopo dieci anni di assedio.
Il viaggio di Enea da Troia al
Lazio immortalato da Virgilio
nell'Eneide.
Dopo la caduta della città i superstiti fuggirono in Italia: parte con Enea che giunse nel Lazio (tema trattato nell'Eneide dell'etrusco Virgilio Marone) e parte con Antenore, destinato a fondare Patavium (Padova).
Sicilia arcaica con Elimi,
Sicani e Siculi.
Da altre fonti (fra cui Tucidide) pare che un altro gruppo di  Troiani  scampati su navi e alla caccia di Achei, sarebbero approdati nelle coste occidentali della Sicilia e stabilita la loro sede ai confini con i Sicani, sarebbero stati tutti compresi sotto il nome di Elimi, e le loro città sarebbero state chiamate Erice e Segesta. Inoltre si sarebbero stanziati presso di loro anche un gruppo di greci originari della Focide, reduci anch'essi da Troia. Nell'Odissea, il secondo racconto della saga omerica, si descrive il decennale viaggio di Odisseo (Ulisse), l'astuto ideatore del cavallo di Troia e re di Itaca, al ritorno e alla riconquista del suo regno. Tutte queste narrazioni descrivono così un tentativo d'invasione all'inizio del XII secolo a.C., da parte degli Elladi-Micenei, verso l'Asia minore e il Mar Nero con una spedizione militare contro la città di Troia, di cui si ignorano l'etnia e la cultura degli abitanti. È stato poi grazie agli scavi organizzati da  Heinrich Schliemann (1822-1890) che si è avuta la conferma archeologica dell'epopea troiana.
Sembra la decadenza della civiltà Micenea sia iniziata proprio con la guerra di Troia, mentre l'invasione dorica del 1.100 a.C., quasi un secolo dopo, ne sarebbe stato il colpo di grazia.

L'antica Grecia con le invasioni
 di Ioni e Achei dal 2000 a.C.
e dei Dori dal 1200 a.C. I monti:
 Olimpo, Parnaso, Elicona
e Taigeto.
- Nel XII secolo a.C. due nuove ondate migratorie, una dal nord, i cosiddetti Popoli del Mare e una dai Balcani, i Dori, una
popolazione indoeuropea, pongono fine all'egemonia Elladico-Micenea, causando un periodo di decadenza.

- La scomparsa della civiltà micenea determina ad Atene la nascita di un nuovo ordine sociale di tipo oligarchico e l'avvento nelle magistrature dei rappresentanti delle quattro tribù emergenti in Attica (la regione di Atene) a loro volta suddivise in fratrie (unione di più clan), che divennero un'importante espressione della vita sociale e religiosa ateniese.

- La civiltà Elladica-Micenea, probabilmente già avviata verso il declinio, fu travolta dall'invasione della popolazione dei Dori.
La migrazione del nuovo popolo guerriero, i Dori, provvisti di armi e armature in ferro, destabilizzò l'ordine politico e militare Elladico-Miceneo nella penisola greca, che era rimasto nell'Età del Bronzo, o verosimilmente era già avviato verso la decadenza.
Le genti doriche, che fecero del loro dio eponimo Doro (il quarto figlio di Elleno), il capostipite degli Elleni, abitavano originariamente la regione danubiana per poi passare nella valle del Vardar.
La Grecia dei primordi, con gli stanziamenti di
Ioni, Eoli e Dori. I Dori del Nord sono distinti
dagli altri Dori. Sono distinti gli Arcadi,
probabilmente discendenti dei Pelasgi.
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Penetrarono in Grecia parte attraverso l'Epiro e l'Illiria e parte attraverso la Macedonia Occidentale e la Tessaglia. Raggiunsero il Peloponneso mescolandosi agli abitanti di Micene e Tirinto e le conquistarono gradualmente.
Nella tradizione antica questa migrazione è rappresentata dalla leggenda del ritorno degli Eraclidi, i discendenti dell'eroe semi-dio Heracle, o Eracle, l'Ercole dei Latini, e alcuni studiosi hanno individuato in questo episodio mitologico una prova della cosiddetta "invasione dorica", ultima responsabile della decadenza della civiltà micenea. 
Gli Eraclidi, nella mitologia greca, sono sia i figli di Eracle, in particolare di Eracle e Deianira, sia i loro discendenti, e vengono definiti Eraclidi anche i 50 figli che Eracle ebbe dalle figlie di Tespio, chiamati poi Tespiadi, mentre soggiornava presso di lui. Secondo la testimonianza di Erodoto e Tucidide i Dori, discendenti di Eracle, si sarebbero spinti nel Peloponneso, in Laconia, dal nome di Lacedemone che vi aveva fondato Sparta, il nome di sua moglie, e nella Messenia. Sotto la spinta dell'invasione dorica, le popolazioni che erano stanziate nell'area Elladica diedero luogo alla prima migrazione  colonizzatrice dei greci, soprattutto verso est, sud-est e sud.
L'antica Grecia con l'invasione
 dei Dori del 1200 a. C. e i
conseguenti spostamenti
 a est di Ioni ed Eoli.
Comunità di Ioni, i fondatori di Atene, migrarono dal continente verso le coste dell'Asia minore, in quella che fu poi chiamata Ionia, dove più tardi diedero vita ad una confederazione religiosa di dodici città, incentrata sul santuario di Poseidone a Panionion, presso Mycale. Comunità di Eoli migrarono verso oriente, stabilendosi nell'isola di Lesbo e poi sulle coste anatoliche in Eolide, che da loro prese il nome. Secondo la tradizione tale migrazione fu capeggiata da Oreste e sarebbe avvenuta sotto la spinta dei Dori, che soggiogarono la civiltà micenea ormai decaduta.
Con il declino della civiltà Micenea ha inizio un periodo di decadenza, denominato dagli storici con il nome di "medioevo greco" che durerà tre secoli, a partire dal XII secolo a.C.
Il Medioevo ellenico sarà caratterizzato da una commistione dei tratti peculiari della precedente cultura micenea e delle innovazioni doriche, quali l'introduzione dell'uso del ferro, dell'incinerazione dei morti e della costruzione dei primi templi.

- Atene riesce in qualche modo a sfuggire alle invasioni doriche e durante il cosiddetto medioevo ellenico inizia a svilupparsi.

Il Tempio dorico di Era (o Hera),
 detto anche Tempio di
Poseidon o Tempio di Nettuno,
 eretto a Paestum,
l'antica Poseidonia, intorno
 alla metà del V secolo a.C.
Alcune città doriche, Corinto e Megara in particolare, ma anche Sparta e altre, presero parte poi al grande movimento colonizzatore che a partire dall'VIII secolo a.C. si sviluppò in tutto il bacino del Mediterraneo. Colonie doriche furono fondate in Asia Minore, a Cipro, in Africa settentrionale ed in Italia (Magna Grecia). A partire dal XII secolo, l'insieme dei popoli della Grecia continentale, della costa ionica dell'Asia Minore e delle isole acquisisce progressivamente un'unica identità culturale per lingua (anche se i dialetti rimasero i linguaggi locali), religione, costumi, e si ha anche l'unica denominazione di Elleni. Le genti che abitano e hanno abitato la Grecia sono state chiamate, lungo il corso dei secoli, in diversi modi. Essi stessi si definiscono Elleni, dal nome dell'eroe Elleno, ritenuto il capostipite delle popolazioni greche degli Ioni, Eoli, Achei e Dori che, dal II millennio a.C., invasero la Grecia sottomettendo le popolazioni ivi residenti, fra cui i Pelasgi, stanziativisi prima di loro.
Cartina delle regioni, isole, città e dialetti dell'antica Grecia
o Ellade. I dialetti sono: Nord occidentale, Acheo, Arcado
cipriota, Dorico, Ionico, Eolico, Attico. Clicca sull'immagine
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I Macedoni hanno esportato la cultura ellenica, e la parola Hellenes (Έλληνες) è stata conosciuta in tutto il mondo, mentre i Romani hanno utilizzato la parola Greci, per riferirsi a queste genti, poiché i colonizzatori di Cuma in Campania, la più antica colonia greca della penisola italica e della Sicilia, fondata nel 750 a.C. dai Calcidesi e dagli abitanti di Cuma, piccolo centro dell'isola Eubea, si autodefinivano Graikòi, nome distintivo di alcune genti marittime della Beozia e della limitrofa costa dell'Eubea, nome che i Romani erroneamente recepirono come appellativo di tutte le genti elleniche, trasmettendolo fino a noi come Graeci. Le lingue europee, quindi, usano tale appellativo; in Oriente invece si usano nomi derivati da Ioni.
Conseguentemente all'invasione dorica compariranno gradualmente le póleis, le città-Stato. La conformazione del territorio, principalmente montuosa, contribuirà in modo determinante ad ostacolare l'unificazione dei villaggi e a favorire la nascita di piccole città-Stato indipendenti. Le città-Stato passarono inizialmente da regimi monarchici a tirannidi. Ciascuna città aveva divinità protettrici e leggi proprie (ogni città era strenuamente attaccata alle proprie tradizioni: arrivavano al punto da avere ciascuna un proprio calendario). Tuttavia, frequenti erano le anfizionie, alleanze tra città limitrofe, non necessariamente di carattere militare. L'Arcadia, nel Peloponneso, in cui si parlava il dialetto arcado-cipriota, rimase un territorio abitato dai discendenti dei Pelasgi, i primi a stabilirsi in Grecia. Alcuni studiosi Albanesi sostengono che dai Pelasgi sono derivati Tirreni ed Etruschi oltre a Illiri e Albanesi, e che i linguaggi di questi popoli sono quindi affini. Seguono alcuni elementi su cui basano le loro ipotesi. Pausania (Arcadia, Libro VIII, 1,4,6) scrive: “Gli Arcadi dicono che Pelago fu il primo a nascere nella terra dell’Arcadia. Dato che Pelago divenne re, il paese si chiamò Pelasgia in suo onore”. Pindaro (Carminia, Fragmenta Selecta, I, 240) scrive: “Portando un bel dono, la Terra fece nascere per primo l’essere umano nell’Arcadia, il Divino Pelasgo, molto prima della luna”.

Carta del 700 a.C. con gl'insediamenti e limiti dell'influenza di
Tartesso segnalati in verde brillante, le colonie greche in blu,
le colonie fenicie in verde-oliva. Si vedono il Lago Ligustico,
Asta Regia (Jerez de la Frontera) e Gadir (Cadiz).
Clicca sull'immagine per ingrandirla.
Intorno al XII secolo a.C., Tirreni, o Tirseni, Tyrseni, Raseni, Turuscha, forse uno dei Popoli del Mare o discendenti dei Pelasgi e sicuramente gli antenati degli Etruschi italici, che chiamavano se stessi "Rasenna", giunsero dall'Asia Minore e fondarono una colonia nei territori della mitica Tartesso, nell'attuale Spagna, su un'isola tra la foce del Guadalquivir (l'antico Betis) e l'oceano. Da Tartesso inizia l'invasione dei Tirreni e la sottomissione della zona, gestita fino ad allora da Liguri, Iberici e coloni orientali, ma presumibilmente era Ligure (come indica il toponimo Lago Ligur, il Lagus Ligustinus per i Romani) il substrato predominante nella zonaGli invasori approntarono una fiorente oligarchia commerciale e militare la cui capitale fu Tartesso stessa. Nel regno furono stabiliti due principali centri: presso la foce del Guadalquivir, Tartesso stessa e l'antica Olba, (nei pressi dell'attuale Huelva, sul fiume Tinto, nel nord ovest del territorio di Tartesso, vicino all'attuale frontiera col Portogallo), che doveva fungere da deposito di Tartesso dei minerali di rame provenienti dalle miniere del Rio Tinto, Aznacòllar e Linares.
Dal Blog "Sanremo Mediterranea":
per il post "Tartesso: l'Economia", clicca QUI,
per il post "Tartesso: prima i Liguri, poi Fenici e Greci", clicca QUI,
per il post "Ercole e altri miti a Tartesso", clicca QUI,
per il post "Il Lago Ligure nella mitica Tartesso", clicca QUI.

- Gli Umbri furono un popolo giunto dal nord in Italia nel XII secolo a.C., che si sovrappose e si sostituì a quelli presenti (in Umbria la presenza dell'uomo è attestata sin dal primo Paleolitico). Parlavano una lingua indoeuropea del gruppo osco-umbro, l'umbro, scritta con alfabeto proprio di derivazione greco-occidentale, non molto dissimile dagli altri alfabeti italici.
I dialetti Italici parlati nel
centro-sud nel 400 a.C.
Occuparono un'area che in epoca classica si estendeva dall'alta e media valle del Tevere fino al mar Adriatico, comprendendo anche l'odierna Romagna: delimitata dal Tevere ad ovest e dall'Adriatico ad est. Inizialmente gli Umbri avevano occupato anche i territori dell'odierna Toscana e della Valle Padana, solo successivamente conquistati da Etruschi e Galli (questo territorio viene chiamato "Grande Umbria"). L'espansione di Celti ed Etruschi li confinò quindi nella zona ad est del medio corso del Tevere, mentre ad ovest del fiume fioriva la potenza etrusca. Non è noto se gli Umbri indicassero se stessi con un endoetnonimo, né quale forma avesse. Il termine "Umbri" è l'etnonimo con il quale il popolo era indicato dai vicini Latini e dai Greci (greco Ὄμβροι o Ὀμβρικόι). L'ingresso dei popoli osco-umbri in Italia, provenienti dall'Europa centro-orientale dove si cristallizzarono come gruppo linguistico autonomo all'interno della famiglia indoeuropea, è generalmente collocato intorno al XII secolo a.C. L'arrivo degli Osco-umbri in Italia è stato posto da alcuni studiosi in correlazione allo sviluppo della cultura protovillanoviana, cronologicamente compatibile; tale ipotesi è rafforzata dal fatto che gli insediamenti storici degli Umbri, soprattutto nella fase della "Grande Umbria", coincidono sostanzialmente con l'area villanoviana. Descrivendone l'origine, Plinio il Vecchio afferma: « La popolazione umbra è ritenuta la più antica d'Italia, si crede infatti che gli Umbri fossero stati chiamati Ombrici dai Greci perché sarebbero sopravvissuti alle piogge quando la terra ne fu inondata. È attestato che gli Etruschi sottomisero trecento città umbre » (Plinio il Vecchio, "Naturalis historia", III, 112-113). Questa descrizione, è oggi considerata con attenzione. Sebbene sia certo che la zona fosse abitata già da millenni prima dell'arrivo degli Indoeuropei, ai tempi di Plinio gli Umbri erano oramai la popolazione "più antica d'Italia" tra quelle allora esistenti nella penisola italica, cioè Italici ed Etruschi. Le conoscenze che si hanno fino ad ora sul popolo umbro, emergono attraverso i dati combinati delle fonti storiche (Scilace, Erodoto, Dionisio di Alicarnasso, Strabone, Plinio il Vecchio, etc.) dei rinvenimenti epigrafici e delle evidenze archeologiche. Plinio il Vecchio, parlando della sesta regione Umbra con l'Agro Gallico scrive che: ”I Siculi e i Liburni ne occuparono molti territori; li cacciarono gli Umbri, che furono cacciati dagli Etruschi e questi dai Galli". Per quanto riguarda la sistemazione geografica prendiamo da Strabone alcuni passi della sua Geografia: « [Nella terza parte dell'Italia] scorre dagli Appennini il Tevere che si arricchisce di molti fiumi in parte attraversando la stessa Etruria, per il resto separandone prima l'Umbria, quindi i Sabini ed i Latini, che vanno dai pressi di Roma fino al mare. Questi popoli confinano pertanto con il fiume e con gli Etruschi in larghezza e reciprocamente in profondità: dagli Appennini, nel punto in cui si avvicinano all'Adriatico, si estendono per primo gli Umbri, dopo questi i Sabini, ultimi gli abitanti del Lazio, tutti dipartendosi dal fiume [...] Gli Umbri poi, che stanno nel mezzo, fra Sabina ed Etruria, superando le montagne si spingono però fino ad Ariminum e Ravenna. [...] con l'Etruria confina, nella parte orientale, l'Umbria che ha inizio dagli Appennini, ed anche oltre, fino all'Adriatico. » (Strabone, Geografia, V, 2,1.)

Carta con l'ubicazione della cultura proto-celtica di
Canegrate e quella celtica lepontica di Golasecca, nel
nordovest italico. Sono indicate le varie tribù di
Luguri, Celto-Liguri e Celti insediati o che
si insediarono in quei territori.
- Nel XII secolo a.C., nel territorio compreso fra  lo spartiacque alpino a nord, il Po a sud, il Serio ad est e il Sesia ad ovest, si sviluppa la cosiddetta Cultura di Golasecca. Tale civiltà prende il nome dalla località di Golasecca (provincia di Varese, sulle rive del fiume Ticino), dove, all'inizio del XIX secolo, l'abate Giovanni Battista Giani effettuò i primi ritrovamenti che ritenne testimonianze della battaglia avvenuta, durante la seconda guerra punica, tra Annibale e Scipione, tesi già sostenuta precedentemente da Carlo Amoretti, erudito viaggiatore settecentesco. È, però, nel 1865 che Gabriel De Mortillet attribuisce tali reperti ad una civiltà autonoma preromana. I Celti, a cui probabilmente si deve l'origine di tale cultura, erano popolazioni di ceppo indoeuropeo che giunsero in Europa in varie ondate, provenienti dall'Asia centrale, fra il 3500 e il 1500 a.C., attraverso il Caucaso e il Medio Oriente. Le zone europee in cui si svilupparono i primi segni della cultura celtica furono, appunto, l’area di Golasecca nel XII-X secolo a.C., l’area mineraria di Hallstatt (in Alta Austria) dove diedero vita a una cultura particolare sviluppatasi intorno all’VIII secolo a.C. e, infine, il sito di La Tène (nei pressi dell'attuale Neuchatel, in Svizzera), dove raggiunsero la massima espressione artistica, sociale e spirituale nel VI-V secolo a.C. Si diffusero, inoltre, nell’intero territorio austriaco e svizzero, nella Germania sud-orientale, in Francia, Belgio, Italia settentrionale, in parte dell’Europa centro-orientale, Spagna settentrionale, Balcani, Isole Britanniche, Irlanda e nell’area centrale della penisola  Anatolica. Per quanto riguarda l'area Golasecchiana, si può presumere che la struttura sociale adottata fosse articolata gerarchicamente e che la popolazione fosse divisa in villaggi situati nei pressi delle necropoli ritrovate. Il territorio su cui si estendeva la popolazione golasecchiana era molto ampio, anche se non uniforme, comprendente le pianure tra i fiumi Sesia ed Oglio ed estendendosi a su fino al Po e a nord fino ai contrafforti alpini dei passi che conducono verso le vallate del Rodano e del Reno. Gli insediamenti golasecchiani erano quindi di grande importanza strategica, dato che si trovavano lungo itinerari che collegavano, tramite i valichi del San Bernardino, San Gottardo e Sempione, la penisola  italica e il centro Europa. Era praticata l'agricoltura, la tessitura e l'allevamento che permetteva di produrre carne e formaggio. L’ampia circolazione di manufatti golasecchiani a nord delle Alpi è in stretto rapporto con l’espandersi e l’aumentare del volume dei commerci nell’Etruria Padana, e non solo: dal ritrovamento di vari suppellettili si deduce che i Golasecchiani commerciavano non solo con i Liguri, ma anche con Etruschi, Greci, con i popoli dell'Italia Centro Meridionale ed insulare, fungendo anche da intermediari con i Celti del nord (culture di Hallstatt e di La Tène). La rete di scambi comprendeva la Cornovaglia, la Bretagna e la Galizia, regioni da cui proveniva lo stagno necessario alla produzione del bronzo; dalle regioni baltiche proveniva, invece, l'ambra. Il popolo detto della cultura di Golasecca risalente all’età del ferro era quindi inequivocabilmente di origine celtica, ben antecedente alla storica invasione del IV secolo a.C. Le sue origini risalgono addirittura alla seconda metà del II millennio all’interno della cultura locale dell’età del bronzo, detta di Canegrate; infatti sono molti gli studiosi che vedono un continuo evolutivo tra le facies di Canegrate del XIII secolo a.C. e quelle successive di Golasecca del VII secolo a.C. Un fattore importante da tenere in considerazione è che alcuni reperti risalenti a Canegrate sono diversi da quelli comuni nell’ambito locale, ma ben conosciuti nella regione a sud della Germania dove si sviluppò la cultura dei campi d’urne, unanimemente considerata antenata dei Celti dell’età del ferro. Tali reperti sono manufatti in bronzo ampiamente diffusi e ceramiche a scanalatura, utilizzati nei riti inceneritori, il che fece supporre ad un’espansione delle popolazioni protoceltiche dei campi di urne. Non esistono però prove tali da confermare questa tesi anzi, al contrario l’area mediterranea in questo periodo vive una forte instabilità dovuta a continui spostamenti di popoli e conseguenti guerre, mentre in Europa continentale vi è un periodo di calma il che farebbe pensare che i ritrovamenti della cultura di campi di urne al di qua delle Alpi sia dovuta più ad una moda che ad un’espansione di tale popolo. Diversi studiosi quindi ritengono che si possa parlare anche della cultura di Canegrate come di popolazioni protoceltiche, infatti la fine dell’età del bronzo è stata la base su cui si formarono successivamente le culture dell’età del ferro, per questo motivo la cultura di Canegrate prende il nome di cultura protogolasecchiana. Che la popolazione golasecchiana fosse celtica e conseguentemente quella di Canegrate protoceltica, si evince anche dai ritrovamenti nella necropoli di Ascona e del ripostiglio dei bronzi di Malpensa, reperti che comprendono gambiere in lamina di bronzo decorate a sbalzo, decorazioni a ruote solari associate ad uccelli acquatici stilizzati; reperti trovati non solo in Italia settentrionale ma anche in gran parte dell’Europa, dalla conca carpatica fino ai dintorni di Parigi, il che indica una piena integrazione dell’area golasecchiana con il resto dell’Europa. Dal Blog "Sanremo Mediterranea": per il post "Dal Ligure al Celtico, dagli antichi alfabeti dell'Italia Settentrionale al Runico" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: dai Primordi ai Megaliti" clicca QUI, per il post "Antichi Liguri: Alleanza e fusione con i Celti", clicca QUI. Vedi anche http://culturaprogress.blogspot.it/2014/12/la-cultura-di-golasecca.html.

Antica rappresentazione di Eingana.
Il ricordo degli Euganei si conserva
nelle leggende e nelle favole delle
eingane o anguane/angane/aivane...
Gli antichi Euganei abitavano palafitte
lungo laghi e fiumi e le Anguane sono
la loro mitica rappresentazione che ne
determina il nome nelle varianti
etnonimiche: in retico Anauni, in
ligure Ingauni
Dal 1.150 - Gli Euganei erano un popolo insediatosi originariamente nella regione compresa fra il Mare Adriatico e le Alpi Retiche. Successivamente essi furono scacciati dai popoli Veneti in un territorio compreso tra il fiume Adige ed il Lago di Como, dove prosperava la civiltà Golasecchiana, e lì rimasero fino alla prima età imperiale romana. Catone il Censore, nel libro perduto delle Origines, annoverava tra le maggiori tribù euganee i Triumplini della Val Trompia ed i Camuni della Val Camonica.
Carta con gli insediamenti degli Euganei, Carni, Veneti
(Venetici), Reti, Camuni e Celti Leponzi e Cenomani.
Si trattava probabilmente di un popolo preindoeuropeo di stirpe affine a quella dei Liguri Ingauni, come testimoniato dall'analogia dei nomi che avevano in comune. Appartengono alla stessa stirpe degli Euganei, secondo Plinio il Vecchio, anche gli Stoni in Trentino. Quando i Veneti raggiunsero il loro territorio fra il XII e l'XI secolo avanti Cristo, provenienti da un'imprecisata regione dell'Europa orientale, in parte spostarono verso Ovest gli Euganei ed in parte li assorbirono fondendosi con loro.

Reitia, divinità dei Veneti
(e dei Reti) dell'Italia
nord-orientale.
- Il nome "Veneti" ricorre frequentemente nelle fonti classiche. Erodoto ricorda gli Eneti tra le tribù illiriche, probabilmente i nostri Veneti italici; nell'Europa centrale Tacito localizza i Veneti, o Venedi e Venedae, (gli Slavi Venedi-Sclavini) distinguendoli dai Sàrmati; Pomponio Mela cita il lago di Costanza come Venetus lacus; ci sono poi i Venetulani, un popolo laziale scomparso citato da Plinio. Vi sono inoltre i Veneti Celti, della Bretagna francese, battuti poi da Giulio Cesare. La frequenza di questo etnonimo in diverse aree europee non va però spiegata con ipotetici legami storici e linguistici tra i diversi popoli che ne hanno fatto uso, quanto piuttosto da un'uguale derivazione, più volte ripetuta in modo indipendente, dalla medesima radice indoeuropea “wen” (amare). I Veneti (wenetoi) sarebbero pertanto gli "amati", o forse gli "amabili", gli "amichevoli".
Agli antichi Veneti del nord-est italico ci si riferisce talvolta con "Paleoveneti", "Veneti adriatici" o "Venetici" per distinguere il popolo dell'antichità dagli attuali abitanti della regione italiana del Veneto. Nel periodo antico vi erano rapporti culturali fra i nostri Veneti e la Civiltà villanoviana, l'Egeo, l'Oriente e successivamente anche con gli Etruschi. Nelle pianure del Veneto meridionale fra il 1150 e il 900 a. C. sorse il grande centro pre-urbano di Frattesina, crocevia di traffici fra il Baltico, le Alpi Orientali e Cipro, con sistema socio-economico fortemente gerarchizzato; quindi si sviluppano Villamarzana, e poi Montagnana.

Cartina dell'Europa e Mediterraneo nell'XI sec. p.e.v. (a.C.) con alcune
delle culture presenti in quei territori: Culture delle Tombe a fossa,
Cultura Germanica nord occidentale, Cultura Catalana dei campi
d'urne, Cultura Villanoviana, Cultura Adriatica, Cultura Laziale,
Cultura di Hallstat, Cultura Atestina o d'Este, Cultura di Golasecca
e Cultura Apula. Sono indicati i fiumi inerenti a tali civiltà.
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